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DA NIETZSCHE AD ADORNO
Modernità di Wagner e il paradosso della redenzione
del presente è per Nietzsche uno sradicato, che cerca stabilità nel possesso,
nella tecnica e nella scienza.
Se nella Seconda inattuale viene sottoposto a critica lo storicismo quale
ausilio per la vita, già nel libro sulla tragedia troviamo:
A che cosa accenna l’enorme bisogno storico della cultura moderna insod-
disfatta, l’affastellarsi di innumerevoli altre culture, la divorante volontà di co-
noscere, se non alla perdita del mito, alla perdita della patria mitica, del mitico
grembo materno?5
5 Ivi, p. 152.
6 Cfr. R. Safranski, Nietzsche. Biografia di un pensiero, Garzanti, Milano 2018, pp.
83-4.
G. Di Giacomo - Da Nietzsche ad Adorno 15
il contrasto fra una produzione mitica che pretende una validità religiosa
(Wagner) e una dimensione estetica nella quale il mito sta al servizio della
vita (Nietzsche). Comunque, prima di arrivare alla rottura, Nietzsche si
sente legato a Wagner nel tentativo di istituire un nuovo mito a partire dallo
spirito della musica:
Nel saggio Arte e rivoluzione8, Wagner fonda il suo progetto dei Nibe-
lunghi, nel quale mette in contrasto la cultura idealizzata dell’antica polis
greca con i rapporti culturali della moderna società borghese. Nella polis
greca, società e individuo, interessi pubblici e privati si conciliavano reci-
procamente, e per questo l’arte aveva un valore autenticamente pubblico;
insomma, essa era un evento attraverso il quale il popolo esplicitava il
senso e i principi della sua vita comunitaria. Tuttavia per l’arte moderna,
sostiene Wagner, non esiste più un tale pubblico; l’opinione pubblica è
diventata un mercato e l’arte è finita sotto la coercizione della commer-
cializzazione, sì che, al pari di altri prodotti, viene offerta e venduta come
merce sul mercato. Secondo Wagner questo è un processo scandaloso, per-
ché l’arte dovrebbe possedere una dignità fine a se stessa, mentre invece il
capitalismo l’avvilisce, degradandola a mero strumento di intrattenimento;
la corruzione della società ha corrotto anche l’arte e, senza una rivoluzione
della società, nemmeno l’arte potrà trovare la sua vera essenza, che con-
siste nel dispiegamento dell’energia creativa umana e, quindi, nella possi-
bilità di un uomo autenticamente libero. Così, secondo Wagner, se l’arte
greca si è sviluppata in armonia con la società, nel mondo contemporaneo
l’arte non può che svilupparsi in antitesi con la società stessa, cioè essere
rivoluzionaria, dove rivoluzione significa rigenerazione dell’umanità, una
rigenerazione che è soprattutto estetica, dal momento che il nuovo mondo,
che dovrà emergere dalla rivoluzione politica, deve essere tale da poter
accogliere la nuova arte, l’“opera d’arte dell’avvenire”.
L’anello del Nibelungo abbozza l’immagine di un uomo libero, narran-
do del tramonto degli dei che falliscono a causa della loro stessa volontà
di potenza; essi hanno corrotto il mondo fin dall’inizio, non riuscendo a
conciliare fra loro i due principi fondamentali della vita, l’amore e il pote-
re; per questo essi aspirano a un nuovo inizio, che però è possibile soltanto
se il loro potere tramonta per dare luogo a un’umanità non più subordinata
al volere degli dei. Il Walhalla, la sede degli dei, va in fiamme quando
Brünnhilde restituisce l’anello, simbolo del potere, all’elemento dell’acqua
e perciò all’immanenza della natura, quando dunque sparisce dal mondo il
potere distaccato dall’amore. Nel regno dei Nibelunghi, dall’oro sottratto
da Alberich alle Figlie del Reno, viene forgiato un anello che conferisce
un grandissimo potere: è come se Wagner, in questo modo, avesse voluto
personificare lo spirito demoniaco dell’epoca industriale; e, se gli dei stessi
partecipano alla corruzione generale del mondo, allora il nuovo inizio si
darà senza dei. Il Ring aveva bisogno, secondo Wagner, di uno spazio –
quello appunto di Bayreuth – che dirigesse tutta l’attenzione sugli avveni-
menti della scena, catturando il pubblico e mettendolo in uno stato d’animo
solenne, dal momento che per lui il dramma musicale è una redenzione
della sofferenza dovuta al disagio nella civiltà. Da questo punto di vista,
Nietzsche vede l’arte fare ritorno, con Wagner, alla sua origine nell’antichi-
tà greca: essa diventa nuovamente quel sacrale evento sociale che celebra
l’importanza mitica della vita e il cui nome è il “dionisiaco” e questo per-
ché “il dionisiaco, con la sua gioia originaria percepita anche nel dolore, è
il grembo comune della musica e del mito tragico”9. Quello che Nietzsche
si aspetta, infatti, dal dramma musicale di Wagner, è la riunificazione dio-
nisiaca, quella comunione mediante l’arte che egli descrive sull’esempio
della tragedia greca:
11 Ivi, p. 35.
12 Ivi, p. 54.
13 Ivi, p. 139.
14 Ivi, p. 157.
15 Ivi, p. 54.
18 Prospettive su Wagner
16 Ivi, p. 45.
G. Di Giacomo - Da Nietzsche ad Adorno 19
quale chi è incantato dall’arte viene coinvolto nel suo gioco a tal punto
che esperisce ormai la cosiddetta serietà della vita soltanto come un gio-
co: insomma, l’opera d’arte farebbe in modo che la realtà ci appaia come
illusione. Successivamente, però, egli rifiuta l’idea che si possa accedere a
una tale “illusione consapevole”, dal momento che sono ormai distanti quei
periodi nei quali il culto della tragedia viene soltanto esteticamente goduto,
e questo significa che dalla civiltà antica noi siamo separati per sempre.
Ormai, dunque, per Nietzsche è solo un sogno pensare a una rinascita del
mito e della tragedia nel segno di Wagner.
A ben vedere, l’ambiguità di Wagner, che non a caso presto Nietzsche
gli rimprovererà, sta nel fatto che Wagner, se da una parte collegandosi a
Schopenhauer formula le sue idee sulla redenzione tramite l’arte, dall’altra
si rende conto che è ormai il mercato a determinare il successo di un’opera
d’arte: ciò che arriva sul mercato deve avere un lato sensazionale che cat-
turi, e di qui l’inizio del grande periodo dell’estetica della merce. È questo
il presupposto che rende predominante, nell’epoca di Wagner, il desiderio
di conquistare il pubblico mediante la compiacenza e la provocazione, con
la conseguenza che l’arte finisce per valere per i suoi effetti commerciali
e, se ciò che conta sono tali effetti, Wagner non disdegna nulla di ciò che
rende possibile la sua ascesa: insomma egli è stato il fondatore moderno di
una religione dell’arte e, insieme, uno stratega della commercializzazione
della sua stessa arte. Nietzsche nota già molto presto questo tratto sensa-
zionalistico e ossessionato dall’efficacia commerciale di Wagner, anche se
quest’ultimo voleva ottenere l’effetto sacrale e redentore attraverso un’o-
pera d’arte totale, un’opera cioè di tipo mitico-religioso; ora, sempre per
Nietzsche, è proprio questa accezione di “mito” a essere regressiva, dal
momento che dà luogo a un “teatro totale” che si riduce a uno spettacolo in
grado di avvolgere interamente lo spettatore.
Possiamo ripercorrere queste diverse prese di posizione di Nietzsche nei
confronti di Wagner attraverso i suoi scritti. In Richard Wagner a Bayreuth
Nietzsche afferma che in nessun altro artista si può scorgere una tale eleva-
zione morale che viene espressa non solo dal mito ma anche dalla musica.
Nietzsche trova infatti nell’Anello del Nibelungo “la musica più morale che
[si] conosca”17 e, guardando indietro a Tannhäuser e all’Olandese volante,
si può sentire come l’uomo Wagner si sia trasformato. La tragedia vuole che
“il singolo sia consacrato a qualcosa di sovrapersonale; egli deve disimpa-
rare la terribile angoscia che la morte e il tempo causano all’individuo”18:
19 Ivi, p. 118.
20 Ivi, p. 128.
21 Ibidem.
22 Ivi, p. 129.
23 Ivi, p. 135.
24 Ivi, p. 144.
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del Tannhäuser); ciò che è più magnifico e più alto scende anelante sugli
uomini, non volendo che gli si chieda da dove venga e, quando la funesta
domanda viene fatta, ritorna per dolorosa necessità alla sua vita superiore
(motivo del Lohengrin); l’anima amante della donna e così anche il popolo
accolgono volentieri il nuovo genio, apportatore di felicità, benché i cultori
della tradizione lo respingano (motivo dei Maestri cantori); due innamo-
rati, non sapendosi amati, desiderano bere l’uno dall’altra la bevanda di
morte che libera la loro anima, conducendola a una breve felicità, come se
veramente fossero sfuggiti al giorno e all’illusione della vita stessa (motivo
del Tristano e Isolda). Nell’Anello del Nibelungo l’eroe tragico, Wotan, è
un dio assetato di potenza, e percorrendo tutte le vie per ottenere tale poten-
za si lega con patti e perde la libertà, finendo implicato nella stessa maledi-
zione che pesa sul suo destino. Egli sperimenta la sua mancanza di libertà
proprio nel fatto di non aver più alcun mezzo per impadronirsi dell’anello
d’oro, che è un pericolo per lui stesso finché è nelle mani dei suoi nemici.
Dal momento che è preso dal terrore del tramonto di tutti gli dei, questo
eroe si dispera all’idea di dover assistere impotente a questa fine, ed è per
questa ragione che ha bisogno dell’uomo libero e senza paura (Siegfried)
che, in lotta contro l’ordine divino, sia in grado di compiere per proprio
conto l’impresa negata al dio stesso. Proprio quando si risveglia una nuova
speranza, Wotan deve obbedire all’obbligo che lo lega: di propria mano
deve annientare chi ha dimostrato la compassione più pura verso la sua
sofferenza, ovvero Brünnhilde. Alla fine però è preso dalla repulsione per
questa potenza che porta in grembo il male, al punto che tale volontà si
spezza facendogli desiderare la fine. Solo a questo punto accade ciò che
aveva tanto desiderato: appare l’uomo libero e senza paura, la cui nascita
contraddice ogni tradizione. I suoi genitori devono espiare il legame con-
tro l’ordine della natura e del costume che li ha congiunti, e sono costretti
a perire mentre Siegfried vive. Wotan segue le sorti dell’eroe con occhio
amorevole e paterno, e la nausea abbandona la sua anima.
Nel Caso Wagner25, però, il giudizio di Nietzsche cambia. Voltare le
spalle a Wagner è stato per lui un destino, e forse nessuno ha avuto in ma-
niera più pericolosa la possibilità di crescere col wagnerismo, nessuno si
è con maggiore durezza difeso da esso, nessuno ha maggiormente gioito
dell’essersene liberato. Se il filosofo esige dentro di sé di diventare “senza
tempo”, allora la sua lotta più dura la deve sostenere con ciò per cui egli è
figlio del suo tempo: ora Nietzsche, come Wagner, è figlio di questo tempo,
cioè un décadent, solo che Nietzsche ha compreso ciò e se ne è difeso, tan-
28 Ivi, p. 227.
29 Ivi, p. 229.
24 Prospettive su Wagner
30 Th. W. Adorno, Wagner, in Wagner Mahler. Due studi, Einaudi, Torino 1966, p.
49.
31 Cfr. Ivi, p. 82.
G. Di Giacomo - Da Nietzsche ad Adorno 25
34 Ivi, p. 84.
35 Ivi, p. 86.
36 Ivi, p. 88.
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lavoro”, dal momento che quello che mette davanti agli occhi è “il prodotto
del suo lavoro, senza che il lavoro vi si possa identificare”37. Sotto la legge
del sogno la fantasmagoria sottostà alla sua particolare dialettica, come
mostra in modo esemplare il Tannhäuser. Non a caso, sottolinea Adorno,
dalle prime parole del protagonista l’inganno è chiamato sogno: “Troppo!
Troppo! Oh, se io non mi svegliassi alfine!”; la sua conversione ascetica è
fondata soltanto sull’ideale della libertà: “Ma io me ne debbo tornare su, al
mondo, alla terra, / Presso di te altro che schiavo non posso diventare, / ma
a libertà io aspiro; / Di libertà, di libertà, io ho sete” (Atto I).
Tannhäuser vuole portare l’immagine del piacere dal Venusberg sulla
terra: il suo commiato da Venere in nome della “libertà” è, sì, sempre per
Adorno, “uno degli autentici momenti politici dell’opera di Wagner”38, ma
proprio questo sarebbe ambiguo, dal momento che la fedeltà a Venere non
è quella al piacere bensì appunto alla sua fantasmagoria. Il suo tradimento
non sta nel recarsi dai cavalieri, ma nel cantare loro, estraneo al mondo e
prigioniero del sogno, l’inno di lode a Venere, quell’inno che per la secon-
da volta lo consegna in sacrificio a quel mondo da cui era sfuggito proprio
nella fantasmagoria, sì che la sua stessa evasione è apparente. Con il bando
del piacere, che la fantasmagoria ci mette davanti, “si associa fin dall’inizio
l’elemento del suo declino”39: si può dire che nell’illusione (il bando del
piacere) è insita la disillusione (il venir meno di questo stesso bando) e ciò
ha nell’opera di Wagner il suo “modello segreto”, quel Don Chisciotte che
Wagner amava tanto, con riferimento evidentemente al finale, dove Don
Chisciotte afferma in punto di morte che, se avesse ancora tempo, rinun-
cerebbe ai libri di cavalleria per altri libri – insomma, non si esce dai libri.
Ma, sostiene Adorno, l’idea estetica di Wagner non si accontenta dell’im-
missione del mondo nella fantasmagoria: quest’ultima deve ampliarsi nel
Gesamtkuntswerk o, come Wagner lo chiama, il “dramma dell’avvenire”,
che riunisce elementi poetici, musicali e mimici.
Wagner sarebbe costretto al motivo fantasmagorico dell’occultamento
nella discussione sull’unità del Gesamtkuntswerk, e proprio là dove egli
caratterizza “l’‘intenzione poetica’ da cui si deve originare ogni opera
d’arte”40: non a caso, lo stesso Wagner parla della necessità di occultare il
processo produttivo a vantaggio dell’intenzione dell’artista; con tale occul-
tamento l’“opera d’arte totale” aspira all’ideale del fenomeno assoluto, che
37 Ibidem.
38 Ivi, p. 89.
39 Ivi, p. 90.
40 Ivi, p. 93.
28 Prospettive su Wagner
41 Ivi, p. 96.
42 Ivi, p. 97.
43 Ivi, p. 105.
44 Ivi, p. 106.
45 Ivi, p. 110.
46 Ivi, p. 128.
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essere quietata nella pace della morte come nel piacere, ed è per questo
che il piacere in Wagner assume l’immagine di morte e distruzione; così
la morte è esaltata come höchste Lust (“suprema letizia”) e supremo bene.
Già in Schopenhauer si annunciano quel travestimento della morte come
redenzione e quel concetto di “redenzione universale” che in Wagner costi-
tuiranno l’ideologico vertice dell’opera intera. Sotto il nome di redenzione,
la negatività e la negazione del mondo borghese indistintamente vengono
fatte passare per positive, con la conseguenza che “lo sfacelo cosmico alla
fine del Ring” si presenta come “morte e trasfigurazione”; così, sostiene
Adorno, “i morti sono ingannati ancora una volta” nel nome di quella re-
denzione che in Wagner è l’ultima fantasmagoria: questa, in luogo della
trascendenza, “pone l’immagine ingannevole del soggetto sopravvissuto,
elevato, che s’affretta a sorgere nell’istante del suo annichilimento”47. Tut-
tavia, se la redenzione si rivela come il nulla, la fantasmagoria si risolve
come apparenza. Insomma, conclude Adorno, sul sistema e sul suo tramon-
to è pronunciato il giudizio nell’Atto II della Walkiria, che veramente ha
bisogno “del dio terroristico affinché l’opera non denunci l’obbedienza al
destino”48. Soltanto Sigmund, che muore senza speranza, non Siegfried, si
mantiene fedele al sogno di libertà: egli si rifiuta all’ideale eroico, e dunque
al raggiungimento del Walhalla, se l’assoluto vuole sottrargli quella fedeltà
dell’individuazione (e quindi l’unione con Siegliende) che Wagner e Scho-
penhauer aborrono.
Tra i punti centrali del Wagner di Adorno c’è senza dubbio il rapporto
tra “apparenza” e “fantasmagoria”, che in questo scritto sono strettamente
connessi in relazione all’opera di Wagner. Il giudizio negativo che Adorno
esprime sulla nozione di “fantasmagoria”, in quanto occultamento della
produzione nel prodotto – e quindi del divenire nell’essere, e dell’incom-
piutezza e frammentarietà nella totalità –, si estende alla nozione di “appa-
renza”, che fa tutt’uno con l’opera d’arte nella sua pretesa di appartenere
all’Essere. Successivamente però, e in particolare nella Teoria estetica, la
nozione di apparenza acquista per Adorno un valore positivo, diventando
la condizione stessa di quell’opera d’arte che è definita “moderna”. L’arte
è apparenza di ciò che è sempre al di là dell’apparire, di ciò che non ap-
pare: di qui, appunto, la rivalutazione in Adorno del tema dell’apparenza.
Il fatto è che Adorno vede nell’opera d’arte un doppio movimento: da una
parte essa riconcilia in modo ideale, trasfigurato, ciò che nella realtà sociale
resta diviso e irriconciliato, dall’altra però la stessa opera denuncia come
47 Ivi, p. 131.
48 Ivi, p. 134.
30 Prospettive su Wagner
50 Ivi, p. 306.
51 A. Badiou, Cinque lezioni sul “caso” Wagner, Asterios, Trieste 2011.
G. Di Giacomo - Da Nietzsche ad Adorno 33
54 Ibidem.
55 Ibidem.
56 Ivi, pp. 75-76.
G. Di Giacomo - Da Nietzsche ad Adorno 35
57 Ivi, p. 76.
36 Prospettive su Wagner
Ella ha di certo vissuto vite diverse, ma Wagner non le dipana lungo l’asse
del tempo, in senso diacronico, bensì le concentra nello spazio occupato nel
dramma dal personaggio come in modo sincronico: è un’altra manifestazione
del concetto del tempo che si fa spazio.58
Alcune vite di Kundry riemergono dentro altre, come accade nel mo-
mento in cui lei, nel rinnovato tentativo di seduzione nei confronti di Par-
sifal, rammemora di avere irriso Cristo lungo la Via Crucis e di essere stata
colpita dal suo sguardo. Benché Parsifal indichi la possibilità di salvezza
nella rinuncia alla brama amorosa da parte della donna, questa è in cerca
del Salvatore; tuttavia, neppure il battesimo è l’autentico momento di sal-
vezza per Kundry: di fatto lei scoppia in quel momento a piangere, mani-
festando la coscienza di una colpa non ancora rimessa, coscienza che le era
preclusa nella sua vita di seduttrice reincarnata e impedita al pianto, anche
quando le cadde tra le braccia Amfortas: “Allora io rido, rido, / piangere
non posso, / soltanto gridare, urlare, / scatenarmi, impazzire, / in sempre
rinnovata notte di follia, / da qui col pentimento mi sono appena destata”
(Atto II); così il suo pianto, anche se non è comunque una redenzione, an-
nulla per sempre la maledizione del riso forzato.
Come è stato messo in evidenza da Hans Küng59, esiste un legame tra il
Parsifal e il Ring. Il Ring descrive un mondo pagano che, seguendo la sua
logica intrinseca, deve estinguersi in una catastrofe universale, anche se vi
sono dei sopravvissuti a questa catastrofe: la folla anonima degli uomini che
assiste silenziosa alla distruzione degli dei. Tuttavia il mondo del Ring non
può sapere come questa umanità, cioè la forza del Nuovo, si verrà organiz-
zando: questo è il compito del Parsifal, che è dunque il seguito logico del
Ring; ciò che infatti si realizza con il rifiuto di Kundry da parte di Parsifal è la
sua apertura a una nuova comunità, dal momento che Parsifal sembra indi-
zia di redenzione per mezzo dell’amore, giacché è Dio stesso che ha fatto
una scommessa, simile a quella fatta da Pascal: morendo sulla croce ha
compiuto un gesto arrischiato, senza alcuna garanzia del risultato finale,
esponendo se stesso all’estrema contingenza dell’esistenza. A ben vedere,
dunque, il problema posto dal Parsifal non è quello della rigenerazione del
cristianesimo, dal momento che la questione del cristianesimo è sospesa
alla possibilità della sua infinità: questa dipendenza nei confronti dell’infi-
nito indica semplicemente che vi è una connessione tra l’infinito e la com-
passione, giacché è quest’ultima a essere lo strumento che rende possibile
un accesso all’infinito. La compassione è necessaria per “dischiudere” ciò
che è chiuso, ed è proprio questo il motivo per cui, nella sua dichiarazione
conclusiva, Parsifal parla della “forma suprema della compassione”.
La crucialità del tema della redenzione nel Parsifal la troviamo nella
parte finale della Recherche di Marcel Proust. In alcuni abbozzi del perio-
do 1910-1462 della Recherche troviamo un’evocazione del Parsifal inserita
nel racconto dell’ultima matinée nel palazzo dei Guermantes, dove viene
offerto agli ospiti – sempre in questi abbozzi – un concerto appunto wa-
gneriano. Il Narratore, arrivato in ritardo, non potendo entrare nella sala del
concerto, mentre aspetta nella biblioteca attigua che l’esecuzione musicale
abbia termine, riconosce da una frase musicale l’Incantesimo del Venerdì
Santo. La scelta del Parsifal non è affatto priva di significato: se il tema
di quest’opera wagneriana è l’itinerario verso la salvezza, c’è però anche
un legame ben più forte tra il destino di Parsifal e quello del Narratore
della Recherche63. Parsifal, nella prima parte della sua vita, è incapace di
decifrare i misteri ai quali assiste (il rito del Graal celebrato da Amfortas)
e di comprendere a fondo l’altrui dolore (rappresentato dalla malattia dello
stesso Amfortas). Questa sua situazione simboleggia con efficacia la giovi-
nezza del Narratore prigioniero dei propri desideri egoistici, insensibile alle
sofferenze della nonna e di Albertine. Non mancano, nella Recherche, le
seducenti fanciulle in fiore, amiche di Albertine, esplicitamente apparenta-
te alle Fanciulle-fiore che tentano Parsifal nel giardino del mago Klingsor.
È stato forse l’insieme di tutti questi elementi a suggerire a Proust, nel
1910-11, il progetto di inserire l’esplicita menzione del Parsifal nel Tempo
ritrovato: l’itinerario di Parsifal si offriva al romanziere come una perfetta
raffigurazione allegorica della maturazione di Marcel. Anche Marcel, sino
alla rivelazione finale che fa di lui un artista, è chiuso nella cecità dell’egoi-
smo e della brama di vivere; chinarsi amorosamente sul passato per ridargli
vita sarà il suo modo di liberarsi dalla schiavitù del desiderio.
Tuttavia, dalla versione finale del Tempo ritrovato, il riferimento al Par-
sifal è stato cancellato e sostituito dalla Sonata di Vinteuil. A questo punto
dobbiamo chiederci le ragioni di questa sostituzione: il fatto è che, se nel
corso di tutta la Recherche il narratore ambisce a scrivere un’opera con la
quale possa vincere il tempo e dunque raggiungere l’Eternità, e perciò il
Senso assoluto (la redenzione finale), proprio nelle ultime pagine si rende
conto che questa opera non può che essere scritta “nel tempo”, e non a
caso queste due ultime parole (“nel tempo”) chiudono le quasi quattromila
pagine della Recherche. Il riferimento al Venerdì Santo dell’Atto III del
Parsifal era stato evidentemente fatto da Proust quando questi era convin-
to che l’opera potesse effettivamente vincere il tempo, raggiungendo così
il Senso assoluto, ovvero la Redenzione definitiva; del resto Proust – in
questo vicino a Nietzsche – interpretava le ultime battute “Redenzione al
redentore” dell’opera wagneriana come appunto una Redenzione definiti-
va. Ma, se noi interpretiamo il Redentore a cui fa riferimento il Parsifal
come colui che ci redime, ovvero ci libera, dal bisogno della Redenzione,
allora qui abbiamo a che fare non con una Redenzione (ovvero un Senso)
assoluta, bensì con una redenzione (ovvero un senso) che si offre di volta in
volta, appunto “nel tempo”. Ora, se Proust avesse così interpretato quella
battuta finale, avrebbe potuto mantenere il riferimento al Parsifal perché in
entrambi i casi la redenzione si dà sempre e solo nel tempo.
Insomma, se Parsifal sembra evidenziare l’idea dell’arte come reden-
zione, con la quale aveva già polemizzato con astio Nietzsche, a un’analisi
più attenta della celebre battuta di chiusura dell’opera di Wagner – “re-
denzione al Redentore” – può essere messo in evidenza come si potreb-
be trattare di una visione della redenzione paradossalmente assimilabile
proprio alla filosofia di Nietzsche, nonché al pensiero di Dostoevskij; in
altre parole, è il Parsifal stesso che ci metterebbe in condizione di liberarci
dall’idea di una Redenzione trascendente, perché la battuta “redenzione
al Redentore” significa – a mio parere – proprio redimere l’uomo dalla
necessità della Redenzione stessa. Per queste ragioni – come s’è detto –,
Proust avrebbe potuto mantenere nell’edizione definitiva della Recherche
il riferimento wagneriano, perché, diversamente da quanto hanno pensato
tanto lui quanto Nietzsche stesso, tale riferimento esprime lucidamente la
consapevolezza che l’Assoluto non può non coniugarsi con il finito, così
come nelle ultime righe della Recherche Proust evidenzia come l’extratem-
porale, e cioè l’Eterno, non può darsi che nel tempo.