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N° 11 / ESTATE 2021 JACOBINITALIA.

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Il nemico
invisibile

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50
«La più bella astuzia
del diavolo è persuadervi
che egli non esiste».

Charles Baudelaire,
Lo spleen di Parigi. Piccoli poemi in prosa.

IL NEMICO INVISIBILE
3
Fenomenologia

56 50 46
Editoriale

8
Quelli dell’1% del radical chic
Lorenzo Zamponi

10 L’ordine naturale
del mercato Conoscere
i ricchi
Francesca Coin
Salvatore Morelli

Dominanti
16

e dominati Ricchi
Marco Bertorello d’Italia:
intervista
Nadia Urbinati
fuori i nomi
Marco D’Eramo

I manipolatori
La ricchezza 62 occulti
26

secondo i ricchi Giuliana Freschi


Demetrio Guzzardi
Giulio Calella

Fumetto
67

99%
L’invenzione
32

della gerarchia
Seth Ackerman
intervista Assia Petricelli
Timothy Earle Sergio Riccardi

I cocci (In)sensibili
75
40

del soffitto al potere


di cristallo Francesca Coin
intervista
Jennifer Guerra Alberto Nerazzini
Il grande furto Un affare
84 80

112 108
legalizzato di famiglia
Lorenzo Bagnoli Nadeesha Uyangoda

Il lavoro Spettacolo
sporco per pochi
Nichole M. Aschoff eletti
Alexander Billet

Gli intoccabili
94 90

Ricchi
126 122 116 di serie
Carla Ricci

Selene Pascarella

Il potere di veto Privilegi


delle classi di classe
dominanti Tommaso Giagni
Jonah Birch

Il piccolo
L’epoca del borghese
105 100

filantrocapitalismo dei tempi


Piero Maestri
nuovi
Alberto Prunetti

Mio padre
130

Corsia lavorava
privilegiata per la Cia
Lorenzo Paglione
Ted Jessup
Citoyens
Desk Art director Jacobin Italia
Giulio Calella Alessio Melandri Rivista trimestrale
Salvatore Cannavò n. 11 - estate 2021
Marie Moïse Web Master
Giuliano Santoro Matteo Micalella
Lorenzo Zamponi Autorizzazione del Tribunale di Roma
Hanno SCRITTO n. 173/2018 rilasciata il 25/10/2018
Redazione IN QUESTO NUMERO
Gaia Benzi Lorenzo Bagnoli
Marco Bertorello Marco d’Eramo Testata e articoli tradotti
Francesca Coin Giuliana Freschi da Jacobin Mag su licenza di
Danilo Corradi Tommaso Giagni Jacobin Foundation Ltd
Sara Farris Jennifer Guerra 388 Atlantic Avenue
Simone Fana Demetrio Guizzardi Brooklyn NY 11217
Giacomo Gabbuti Salvatore Morelli United States
Piero Maestri Alberto Nerazzini
Sabrina Marchetti Carla Ricci
Francesco Massimo Nadia Urbinati Editore
Assia Petricelli Nadeesha Uyangoda
Alberto Prunetti
Bruno Settis Coordinamento
con Jacobin MAG Edizioni Alegre società cooperativa
COLLABORATORI David Broder Circonvallazione Casilina, 72/74
Elisa Albanesi 00176 Roma
Simona Baldanzi Illustratori www.edizionialegre.it
Wolf Bukowski Mariapaola Bossini
Carlotta Caciagli Maddalena Carrai
Francesco Campolongo Manfredi Ciminale Direttore responsabile
Salvatore Cannavò
Andrea Capocci Luciop
Luca Casarotti Martoz
Nicola Carella Pronostico
Chiuso in tipografia il 24 maggio 2021
Loris Caruso Anna Quaranta
Donatella Di Cesare Ginevra Rapisardi
Lorenzo Declich Sergio Riccardi
Stampa
Michele Filippini Irene Rinaldi
Arti Grafiche La Moderna S.r.l.
Luca Giangregorio Jacopo Starace
via Enrico Fermi, 13/17
Wissal Houbabi Valeria Weerasinghe 00012 Guidonia Montecelio (Roma)
Stefano Iannillo
Emanuele Leonardi COPERTINA
Martina Lo Cascio Bianca Bagnarelli Distribuzione in libreria
Marco Marrone Messaggerie Spa
Porpora Marcasciano
Miguel Mellino
Giuseppe Montalbano Abbonamenti (4 numeri)
Lorenzo Paglione Digitale: 24 euro
Franco Palazzi Digitale + cartaceo: 36 euro
Selene Pascarella Spedizioni in paesi Ue: 20 euro
Luca Pisapia Spedizioni in paesi extra Ue: 35 euro
Simone Pieranni
Christian Raimo
Arianna Tassinari Info
Walter Bruno Toscano www.jacobinitalia.it
Wu Ming 1 info@jacobinitalia.it
Un romanzo corale per non dimenticare
«storie che tracciano un confine netto. fra la verità
e l’oblio. sono storie vere, semplici. storie di lacrime,
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nuova edizione
Quelli
R
dell’ % 1
icordate Essi vivono, il film di John Carpenter del 1988? Un operaio
disoccupato trova degli occhiali grazie ai quali può vedere e ricono-
scere l’esistenza di un’élite di alieni che controlla il mondo grazie a
messaggi subliminali che esortano la gente a lavorare in silenzio,
consumare il più possibile e conformarsi alle regole. Questa allego-
ria descrive bene come le lenti dell’ideologia possano nascondere
le più sottili forme di comando e sfruttamento. In questo numero di
Jacobin Italia cerchiamo di inforcare gli occhiali e raccontare questi
dispositivi dalla prospettiva di chi sta in alto: i ricchi, la classe dominante, le élites. È lo
stesso tema del n. 41 di Jacobin magazine che esce in contemporanea negli Stati uni-
ti,The ruling class, del quale trovate alcuni articoli qui di seguito.
Trattiamo di quelli che il movimento Occupy Wall Street ha definito 1% della società:
le tavole a fumetti di Assia Petricelli e Sergio Riccardi che trovate nell’inserto illustrano la
storia del concetto dell’1% contrapposto al 99%, esploso con Occupy grazie soprattutto
a David Graeber ma che era ispirato agli scritti dal carcere del militante afroamericano
George Jackson.
Come sostiene Francesca Coin aprendo le danze, la caratteristica di questa epoca è che
la ruling class deve sostenere la necessità della sua esistenza propinando politiche econo-
miche che vengono presentate come naturali e irreversibili. Ciò non cancella il fatto che il
mondo, dicono Nadia Urbinati e Marco d’Eramo nella loro discussione con Marco Berto-
rello, si divide ancora in dominanti e dominati. E che le promesse di benessere che sono
servite a mettere a tacere gli sfruttati sono sempre meno credibili. L’ideologia neoliberale
si nutre dei media e delle narrazioni egemoni: si pensi a figure come quella di Flavio Bria-
tore (del quale Giulio Calella legge il libro-manifesto), al ruolo dei Think Tank che hanno
il compito di perpetuare il pensiero dominante e farcelo considerare inevitabile (se ne
ESTATE 2021

occupano Giuliana Freschi e Demetrio Guzzardi), alle parabole dei buoni samaritani del
filantro-capitalismo alla Bill Gates (passate in rassegna da Piero Maestri), al modo in cui i
ricchi vengono descritti nelle serie televisive (le ha viste per noi Selene Pascarella). Tutto
N. 10
8
ciò ha origini antiche, ecco perché abbiamo chiesto all’antropologo Timothy
Earle di spiegarci quando e come cominciano ad affermarsi le gerarchie (spoi-
ler: tutto dipende dalla nascita dei confini). Jennifer Guerra, invece, ci mette in
guardia da quelle forme di femminismo che si concentrano sulla carriera indi-
viduale delle donne e non sulla liberazione collettiva, e che per questo finiscono
per essere funzionali al perpetuarsi del dominio. Lorenzo Zamponi ripercorre la
storia del concetto di «radical chic», passato nel giro di pochi anni dal descrivere
l’infatuazione di alcuni borghesi per la rivoluzione allo stigmatizzare vagamente
una (presunta) élite culturale progressista: una grande operazione di distrazione
di massa a protezione dell’élite economica.
Salvatore Morelli mette insieme alcuni dati per mostrarci perché analiz-
zare l’evoluzione della ricchezza, della sua composizione e distribuzione,
è necessario a capire in che società viviamo e come pretendere dei cam-
biamenti. Dalle classifiche (e dai profili) dei più ricchi d’Italia traiamo
spaccati e sveliamo narrazioni propagandistiche, oltre ad accertare che
negli ultimi vent’anni i ricchi sono diventati sempre più ricchi. Del resto,
il giornalista d’inchiesta Alberto Nerazzini racconta a Francesca Coin che
l’origine delle fortune dei più ricchi spesso è oscura. Ma non è detto che
tutto ciò sia illegale, come scrive Lorenzo Bagnoli a proposito della finanza
offshore che distrae centinaia di miliardi di euro dalle casse pubbliche.
I ceti dirigenti hanno bisogno di apparati esterni cui delegare il lavoro sporco.
È il caso della McKinsey, società di consulenza globale cui ricorrono indifferen-
temente grandi aziende e governi, come lo stesso governo Draghi per il Recovery
Fund. Se ne occupa Nichole M. Aschoff. C’è poi, come sostiene Carla Ricci, una li-
nea di continuità dei funzionari pubblici che garantisce che non siano sufficienti
le elezioni a cambiare la sostanza delle politiche. Del resto, afferma Jonah
Birch, i capitalisti non hanno bisogno di governare direttamente per ga-
rantire che vengano fatti i loro interessi, per questo stesso motivo non
è mai bastato conquistare il governo per attuare politiche socialiste.
Sanità, casa e istruzione sono tre settori in cui riconoscere odiosi
privilegi e invisibili ascensori sociali. Li raccontano rispettivamen-
te, e da prospettive e linguaggi differenti, Lorenzo Paglione, Na-
deesha Uyangoda e Tommaso Giagni. Alberto Prunetti descrive in
forma di invettiva poetica i piccolo borghesi di oggi, quelli che intima-
mente aderiscono al pensiero dominante e che al tempo stesso sposano
forme di protesta sterili e rassicuranti.
Infine, l’incredibile storia narrata in prima persona da Ted Jessup, oggi af-
fermato autore e produttore televisivo statunitense cresciuto in una famiglia
agiata di funzionari della Cia nel pieno della Guerra fredda: gente cosmopolita,
aperta al mondo, progressista.
IL NEMICO INVISIBILE
9
L’ordine
POTERE

naturale
del mercato
In passato la violenza di una classe sull’altra era
considerata espressione di un ordine naturale. Oggi
invece il problema della classe dominante è come sfruttare
legittimamente i lavoratori in un contesto democratico

«I
l più grande trucco inventato dalla classe dominante è stato con-
vincere il mondo che non esiste». Daniel Finn apre l’editoriale del
numero contemporaneo a questo di Jacobin Mag – The ruling class
– con questa frase che riassume bene il problema principale della
classe dominante nell’ultimo secolo: sopravvivere alla democrazia
senza perdere il consenso sociale. Fino all’inizio del Novecento,
Francesca Coin come spiega Finn, il potere della classe dominante era esplicito
e spesso schiacciante, epitome di una società gerarchica, in cui la
classe lavoratrice era tenuta in condizioni di miseria e sudditanza. A partire dal Nove-
cento, il problema della classe dominante è diventato come mantenere il proprio potere
nell’epoca del suffragio universale, delle lotte anti-coloniali, del femminismo e dei sinda-
cati di massa, celando la propria vocazione anti-democratica.
La ricostruzione della storia anti-democratica della ruling class è un lavoro complica-
to, che attraversa le epoche e i continenti, portando con sé alcuni tratti comuni, tra cui
una profonda fede in un ordine naturale gerarchico e una gran-
de avversione per quella che l’economista tedesco Walter Eu-
cken nel 1932 ha chiamato «la democratizzazione del mondo», Francesca Coin,
quella cultura egualitaria e socialista che rischiava di mettere sociologa all’Università
ESTATE 2021

in pericolo «i valori centrali della civiltà». Poiché è impossibile di Lancaster, si occupa


ripercorrere la storia o la teoria della classe dominante in que- di lavoro, moneta e
sta sede, è utile tenere a mente alcuni snodi fondamentali, in diseguaglianze.
N. 11

Illustrazione di
10
11 IL NEMICO INVISIBILE
particolare come veniva teorizzata all’epoca dell’introduzione del suffragio universale e
come agisce oggi, nel momento storico in cui più che mai la sua violenza è organizzata e
la sua legittimità è messa in discussione.
È stata proprio la «scuola italiana» di Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca a offrire alcune
delle più attente definizioni della classe dominante nella società. È dalla Sicilia che scrive
Gaetano Mosca, quando apprezza «l’apparente assurdità» di una riforma che intendeva
estendere il diritto di voto alle donne, ai poveri e agli illetterati dell’isola, sostenendo che
un tale tentativo di democratizzazione sarebbe stato svuotato di significato dai proprie-
tari terrieri. Esistono al mondo, scrive Mosca in Elementi di Scienza Politica (1896), due
classi di persone, quella dei governanti e l’altra dei governati. La classe dei governanti
«monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti»; mentre la classe dei
governati «è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, più o meno ar-
bitrario e violento». Secondo Mosca, tutte le società sono governate dalla minoranza e
questo destino riflette una precisa necessità politica da preservare anche con l’inganno.
Per Mosca, del resto, estendere il diritto di voto alle donne e ai meno abbienti significava
ingannare il «popolo» ben più di quanto significasse cedergli alcuna reale sovranità. Per
certi versi, il punto fondamentale di Mosca è che la minoranza continuerà a governare,
in una democrazia esattamente come in una oligarchia. La domanda fondamentale, per
Mosca, è «come». Domanda a cui il teorico risponde con il criterio delle «tre C»: con la
consapevolezza che i membri della classe dominante hanno dei pro-
pri interessi comuni; con la coesione, ovvero con la capacità di agi-
IL NEOLIBERISMO re come «classe» e infine con la cospirazione, la modalità con cui la
COME PROGETTO classe dominante nasconde il proprio dominio al resto della società.
DI RESTAURAZIONE DEL È utile dire che questi non sono temi nuovi: la divisione della so-
POTERE DELLA CLASSE cietà in classi è un tema dibattuto da secoli, che Marx considerava
DOMINANTE NASCE COL la condizione stessa di esistenza del capitalismo. È solo in una so-
COLPO DI STATO DELLE cietà divisa in classi, in cui i ricchi detengono la proprietà di tutto,
ISTITUZIONI FINANZIARIE e ai poveri non resta che vendersi per sopravvivere, che sfruttare
i poveri e accumulare profitti sulla loro pelle diventa un obiettivo
legittimo. Ma a differenza del passato, quando la violenza di una
classe sull’altra era considerata espressione di un ordine naturale, nell’ultimo secolo il
problema è diventato come consentire alla classe dominante di sfruttare legittimamen-
te i lavoratori in un contesto democratico, attraversato da lotte trasversali per l’egua-
glianza. Nel suo libro Retoriche dell’intransigenza (Il Mulino 1991), Albert Hirschman
analizza le retoriche che le classi dominanti hanno usato negli ultimi due secoli per ar-
ginare le tendenze della democrazia. Per Hirschman, il punto fondamentale è che nelle
epoche di reazione, la classe dominante si dota di alcune principali retoriche per repri-
mere le spinte rivoluzionarie. Queste retoriche richiamano la «futilità» che ritroviamo
in Gaetano Mosca, l’idea che nessuna riforma del sistema elettorale e nessun suffragio
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universale potrà introdurre alcun reale cambiamento nell’ordine naturale della società.
Hirschman cita poi la tesi della perversità, in base alla quale ogni defenestrazione della
classe dominante scatenerebbe effetti perversi e controproducenti. È questa la tesi di
N. 11
12
Vilfredo Pareto, per il quale la divisione della società in due classi, quella dei governanti
e quella dei governati, è «una legge naturale». L’esistenza di una classe dominante, in
questo senso, non è espressione di un’ingiustizia o di un sopruso, bensì l’effetto di un
ordine naturale che vede al governo i più ricchi, ovvero quel 20% della popolazione che
possiede l’80% delle risorse. Di fatto, con Pareto, vediamo emergere un elemento nuovo
e molto importante. Pareto, infatti, conferisce alla cosiddetta «legge 80/20» una forma
statistica che ambisce ad avere valore empirico, tramutando così la diseguaglianza so-
ciale in principio universale e in una legge naturale della società. Per Pareto, «la lotta
intrapresa da certi individui per appropriarsi della ricchezza prodotta da altri è il grande
fatto che domina tutta la storia dell’umanità». Per questo, redistribuire la ricchezza in
senso più equo è inopportuno, perché è una legge naturale della società che a governare
siano «i migliori», ovvero i ricchi.
È evidente che nel secondo dopoguerra le retoriche della reazione vengono messe in
grande tensione dalle lotte anti-coloniali, femministe e dai sindacati di massa. È qui che
la questione dell’invisibilità della classe dominante posta da Finn assume tutta la sua im-
portanza. Quinn Slobodian nel suo illuminante testo The Globalists (Harvard university
press 2018), offre due fondamentali elementi per comprendere come è cambiata la clas-
se dominante a partire dagli anni Cinquanta. In primo luogo, Slobodian ricorda come
la ruling class si sentisse in pericolo a causa delle lotte anticoloniali che minacciavano
di dissolvere la divisione regionale del
lavoro e delle lotte socialiste che met-
tevano in pericolo la stabilità dell’ordi- competenza dello stato-nazione, servendosi di organi-
ne naturale. È utile, qui, ripercorrere le smi sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale per
analisi dei primi teorici ordoliberali e il Commercio (Oms), il Fondo Monetario Internazionale
neoliberali, inclusa la scuola di Ginevra (Fmi) e la Banca mondiale (Bm), per spostare le redini dei
di Friedrich Hayek, Ludwig von Mises e processi redistributivi oltre i confini nazionali. Nasce qui
Wilhelm Röpke, a cui Slobodian dedica il sistema odierno del «doppio governo» dove un «gover-
molta attenzione, per apprezzare la vi- no invisibile dell’economia» predomina su «un governo
sione del mondo della classe dominante visibile di nazioni castrate», come lo definisce Slobodian,
nel Novecento. con uno spazio politico ridotto nel quale partiti diversi in
Durante gli anni Sessanta, i movi- diverse nazioni mettono in atto le stesse identiche politi-
menti anticoloniali, le lotte femministe che: sradicare il welfare, privatizzare tutto e aumentare il
e sul lavoro furono visti come un assal- controllo sociale. In questo tipo di analisi, il neoliberismo
to ai principi della civiltà occidentale, viene interpretato come una reazione, in cui la classe do-
ponendo urgentemente la questione di minante fa esattamente quanto suggerivano le «tre C» di
come mantenere il potere della classe Gaetano Mosca: prende consapevolezza dei propri inte-
dominante senza perdere il consenso ressi comuni, agisce come «classe», e cospira.
sociale. Per Slobodian, la soluzione fu Ne parla David Harvey nel suo efficace Una breve sto-
l’«ordoglobalismo», il progetto di un ria del neoliberismo (Il Saggiatore 2007), quando narra la
nuovo ordine globale che sposta nell’a- crisi «fiscale» di New York come una specie di «colpo di
rena internazionale i meccanismi re- stato da parte delle istituzioni finanziarie» contro i go-
golativi che storicamente erano stati verni democraticamente eletti per attuare la propria ven-
detta nei confronti del lavoro. Per Harvey, il neoliberismo
IL NEMICO INVISIBILE

come progetto di restaurazione del potere della classe


dominante nasce qui e incarna precisamente la capaci-
tà dell’ordine proprietario di agire come classe. Le cause
di questa reazione le aveva anticipate già nel 1942 l’eco-
nomista Michael Kalecki, quando, in un breve articolo di
sette pagine chiamato Aspetti politici del pieno impiego,
13
mandava gambe all’aria ogni possibile ottimismo circa il
potenziale del riformismo keynesiano del secondo dopo-
guerra. La piena occupazione, anticipava Kalecki, avrebbe
generato un cambiamento nel rapporto di forze a favore
della classe lavoratrice che non piaceva affatto all’ordine
proprietario. Il rafforzamento dei sindacati e le richieste di
aumenti salariali osavano ambire a un labor standard nel
quale il lavoro dettava le condizioni sui profitti e le rendi- no intese come strategie di governo che
te. Quando l’inflazione di quegli anni rischiava di cambia- contribuiscono a rendere invisibile la
re il rapporto di forze nella società, si rese necessario com- classe dominante. Queste misure di po-
battere frontalmente il lavoro senza cambiare le finalità litica economica sono state fortemente
dichiarate della democrazia liberale. La società era troppo depoliticizzate, da un lato perché rese
istruita, politicizzata e fondamentalmente irresponsabi- astratte e spesso incomprensibili da una
le per compromettere il destino della classe dominante. continua matematizzazione dell’econo-
Bisognava sottrarre ogni ambito della vita sociale al con- mia, e dall’altro perché sono state spo-
trollo democratico per consentire alla classe dominante di state nell’arena internazionale, e rese
salvare la civiltà. nuovamente espressione di un ordine
È importante dire che lo strumento usato dalla clas- naturale che non può essere cambiato.
se dominante per riprendere le redini del potere è l’eco- Accade così che, dalla metà degli anni
nomia politica, quell’ordine naturale del mercato su cui Ottanta, le vite di ciascuno di noi sono
poggia la struttura tutta della società odierna. In questo state esposte alla violenza del merca-
senso, il passaggio alla trickle down economics – la teoria to internazionale, si tratti di lavoratori
dello sgocciolamento della ricchezza dall’alto verso il bas- che perdono il lavoro perché il capitale
so –, l’introduzione di politiche fiscali anti-redistributive, si sposta dove il lavoro costa meno ed è
la guerra ai sindacati, il decoupling tra la produttività e i meno sindacalizzato, di flussi di capitale
salari, la possibilità di muovere capitali liberamente tra che riescono a entrare e uscire dai paesi
stati e più in generale il cambiamento degli obiettivi di influenzandone le politiche fiscali, o an-
distribuzione della ricchezza dal lavoro al capitale, van- cora di piani di aggiustamento struttura-
le e austerità che impongono di congela-
re i livelli retributivi, ridurre gli organici o
l’assistenza sociale, come si confà nel famoso diktat ce lo chiede l’Europa.
La liberalizzazione dei mercati ha portato ad alcune crisi, scriveva l’Economist negli
anni Novanta in un articolo chiamato Who’s in the driving seat?, quando la crisi in Messico
del 1994-95 pose di fronte a una crescente insofferenza per le diseguaglianze acuite dal li-
bero mercato. Tuttavia, «i mercati offrono ai governi una salutare disciplina che nel lungo
periodo incoraggia politiche economiche migliori e una migliore performance». Laddove
un governo espanda eccessivamente la spesa pubblica, i mercati lo costringeranno pre-
sto o tardi ad attuare politiche restrittive per favorire l’attrazione di capitali. Insomma, il
problema non è la violenza dei mercati finanziari ma la brutta tendenza delle democrazie
ESTATE 2021

a fare scelte sbagliate.


È evidente che in questi anni le conseguenze del libero mercato sono diventate inso-
stenibili, complice l’ondata di austerità e morte portata dalle crisi finanziarie e poi dalla
crisi pandemica negli ultimi dieci anni. Quando David Finn scrive che «il più grande truc-
N. 11

co inventato dalla classe dominante è stato convincere il mondo che non esiste», scrive
precisamente che si è servita dell’economia politica per attuare riforme economiche an-
ti-redistributive, che vengono presentate come espressione di forze naturali irreversibili,
lasciando ancora una volta il corpo sociale in balia di difficoltà sempre più acute. Per certi
versi, è proprio l’invisibilità invasiva della classe dominante ad aver creato le condizioni
per quello che Mark Fisher definiva il Realismo capitalista (Nero 2018), quell’idea che non
14
c’è alternativa alla violenza del sistema, perché mentre il corpo sociale si trova a subirne
le conseguenze come in una macelleria, le cause di tale violenza sono indecifrabili, attri-
buite a forze naturali, cataclismi o fatalità dietro le quali è sempre più difficile scorgere il
soggetto politico che sceglie di attuarle.
La violenza delle politiche neoliberali e l’invisibilità della classe dominante sono state
il segreto della longevità dell’epoca neoliberale, ciò che ha caratterizzato «la strana non
morte del neoliberismo», come l’ha definita Colin Crouch. Ma è anche ciò che ha bloc-
cato a lungo la classe lavoratrice in un’impasse tra la propria esperienza di sfruttamento
e la promessa di benessere del discorso dominante. Ne parlavano Alan Jacobs et al. in un
recente articolo sull’American Political Science Review titolato Whose news? Class-biased
economic reporting in the United States che si sofferma sul ruolo che la stampa ha avuto
negli ultimi quarant’anni nel nascondere la classe dominante. La stampa per quarant’an-
ni ha fatto gli interessi dei ricchi, definendo buone notizie quelle che facevano crescere i
redditi più alti, anche se tale crescita si traduceva nel deterioramento delle condizioni di
vita dei ceti con i redditi più bassi. La stampa, per Jacobs et al., fa gli interessi dei ricchi,
ma li presenta come fossero gli interessi di tutti, nascondendo sistematicamente l’antago-
nismo di classe nell’utilizzo estensivo di dati aggregati.
In questo contesto, l’impotenza che ha bloccato a lungo la classe lavoratrice in una
specie di impasse è la stessa che ha consentito in tutto il mondo l’ascesa della destra e
la sua capacità di capitalizzare la frustrazione di milioni di indivi-
dui che da anni si sentono in balia della concorrenza del mercato,
senza alcun colpevole contro cui ribellarsi, sopraffatti da istituzioni LA CLASSE LAVORATRICE
responsabili che sono troppo lontane. Purtroppo, laddove la classe È DA TEMPO BLOCCATA
dominante diventa invisibile, ogni fallimento è individualizzato e DA UN’IMPASSE TRA
nasce la necessità di identificare un capro espiatorio, perché quan- LA PROPRIA ESPERIENZA
do l’ansia sociale raggiunge un punto critico, le comunità cercano DI SFRUTTAMENTO
un modo per proiettare la propria ansia collettiva altrove e salvarsi E LA PROMESSA
dall’implosione. Il segreto della politica di Matteo Salvini sta esat- DI BENESSERE
tamente in questo, nella sua capacità di offrire alla società un capro
espiatorio per spostare continuamente il bersaglio della rabbia e
trasformare la lotta di classe in una guerra tra poveri.
Questo numero di Jacobin Italia è dedicato alla classe dominante, perché è tempo di
interrogare le politiche che torturano la società e gli strumenti d’informazione che le legit-
timano: dalle riforme fiscali che riducono le aliquote per i ricchi, come la flat tax, a quelle
che tutelano le banche a scapito dei meno abbienti, come l’austerità, o che consentono di
convivere con un’evasione fiscale che in Italia, come ricorda nella sua intervista il giornali-
sta investigativo Alberto Nerazzini, è superiore al gettito fiscale annuale.
«Conosci il tuo nemico prima di sognare un mondo migliore», scriveva Phillip Mi-
rowski nel suo libro, mai tradotto in italiano, Never Let a Serious Crisis Go to Waste – Non
lasciamo che la crisi diventi un’occasione sprecata. Dopo una crisi pandemica che ha la-
sciato milioni di persone in balia di malattia, povertà e morte per proteggere la «salute»
delle finanze statali, è forse tempo di prendere questo suggerimento seriamente.
IL NEMICO INVISIBILE
15
POTERE

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EDOM IN ATI inati,
a rc o d ’E ra m o e Nadia Urb erismo.
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Una discussio i c la s s e d a ll ’alto del neoli
sulla lotta d offerta alle pe
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ESTATE 2021

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N. 11

race
di Jacopo Sta
Illustrazione
16
17 IL NEMICO INVISIBILE
uando la lotta di classe non si vede generalmente è agita da
uno solo dei due soggetti, quello strutturalmente dominante.
Ciò venne confermato nel 2006 da Warren Buffet, considerato
il più grande investitore di tutti i tempi: «C’è una lotta di clas-
se, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la
Marco Bertorello guerra, e stiamo vincendo». Nel 2020 sono usciti i vostri libri
intervista che, seppur in forma diversa, hanno come presupposto non solo
Nadia Urbinati l’esistenza di questa classe, ma una sua propria identità. Nadia
Marco d’Eramo Urbinati schematizza la distinzione nei Pochi contro molti (La-
terza) e ne fa poi derivare il conflitto politico del ventunesimo
secolo, mentre Marco d’Eramo parla di Dominio (Feltrinelli) in termini di guerra invi-
sibile dei potenti contro i sudditi. Entrambi riflettete su una polarità che è economica,
ma anche politica e ideologica. Nadia parla della contrapposizione dei pochi contro i
molti come la «più radicale delle contrapposizioni» e «la più persistente e fatale delle
lotte» e Marco afferma che negli ultimi quarant’anni è stata portata a termine «una
gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri». Abbiamo attraversato un periodo in
cui le categorie e gli stessi termini che utilizzate e che sono centrali nei vostri libri non
venivano neppure scomodati. Nel medesimo periodo sono usciti i testi di Katharina
Pistor e Michael Lind che confermano l’attualità di questo approccio, frutto non certo
di una coincidenza, ma di una parabola che negli ultimi tem-
pi svela le dinamiche prevalenti a livello globale.
Marco Bertorello
Nadia Urbinati: Dominati e dominanti ci sono sempre stati, collabora con il
non è una cosa d’oggi. Però nel tempo storico hanno mutato Manifesto ed è autore
i metodi, le strategie, e ciò ha generato diversi tipi di regime. di volumi e saggi su
La caratteristica che emerge sia dal libro di Marco d’Eramo economia, moneta e
che dal mio è che esiste un dominio dei pochi nei confronti debito.
dei molti e per «pochi» intendiamo coloro che hanno in mano Marco d’Eramo,
l’economia mondiale. È un sistema di organizzazione del la- giornalista
voro e della distribuzione che va al di là dei luoghi, degli stati, e saggista, ha lavorato
dei territori e designa un metodo di produzione e di consumo al Manifesto.
che è globale e prende tutto. Questa uniformità globale è un Nadia Urbinati insegna
ESTATE 2021

elemento importantissimo che va al di là dei regimi politici, scienze politiche alla


che diventano sempre meno rilevanti. Oggi si parla di modello Columbia University
cinese e modello occidentale, ma sono rubricati come forme di New York. Si occupa
come ricercatrice del
N. 11

pensiero democratico
e liberale, di sovranità
e rappresentanza
politica.
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diverse di uno stesso seme che è quello del governo misto. Il secondo elemento è che ora
non si parla più di lotta tra classi organizzate. Si hanno di fronte lotte che sono più che
altro ribellioni, senza un piano di emancipazione dalla propria condizione di classe o
dalla società divisa in classi. C’è il senso del non mutamento, della non trasformabilità di
queste lotte. A me interessa porre l’accento su questo aspetto: la scomparsa del conflitto
politico in vista di un obiettivo definibile, programmabile e, in qualche caso, raggiungi-
bile. In assenza di questa dimensione della lotta come guerra che si combatte tra nemici
visibili o organizzabili e che ha uno scopo, c’è una situazione che si può chiamare domi-
nio. Questo mi sembra che ci consegna anche il volume di d’Eramo e quello della stessa
Pistor. Siamo in un mondo unificato, definito, dove il dominio non ha un altro da sé, un
fuori da sé, una via d’uscita. È l’aspetto più deprimente di quest’analisi. A me piacerebbe
che tali analisi riuscissero a darci uno spaccato realistico senza immaginarsi una regia
malefica o un’entità malevole e quindi senza una visione cospirato-
ria. Ѐ possibile cercare di fare un’analisi critica e realistica allo stesso
tempo, senza una personificazione di una strategia diabolica. SE CHI LOTTA NON
SI PONE L’OBIETTIVO
Marco d’Eramo: I dominanti hanno sempre fatto una guerra contro DELL’EMANCIPAZIONE
i dominati però quello che è interessante questa volta è il retroterra DALLA PROPRIA
della faccenda. Non siamo dopo il trattato di Utrecht che pose fine CONDIZIONE DI CLASSE,
alla guerra di successione spagnola nel diciottesimo secolo. Siamo NON C’È VIA DI USCITA
nella fase successiva a quella in cui sembrava che, dopo le rivoluzio- DAL DOMINIO
ni dell’Ottocento e del Novecento, dopo il welfare state e il keynesi-
smo, i dominati avessero acquistato un diritto di cittadinanza. Una
fase in cui il rapporto tra dominati e dominanti sembrava diverso da quello di tre secoli
fa. La controffensiva delle élites dominanti è avvenuta quando si sono sentite in perico-
lo, dopo gli anni Sessanta. Il fatto nuovo è che hanno avuto bisogno di cambiare la loro
ideologia. Non gli è bastato riproporre il liberalismo classico, quello da Adam Smith a
Stuart Mill. Gli è servito altro: cambiare le categorie, cambiare antropologia per ottenere
il risultato che diceva Nadia, ossia convincere tutti che le classi non ci sono più e che era-
no un’invenzione peregrina. Quando parliamo di dominio non parliamo di cose astratte.
Il fatto che i vaccini, comprati con il denaro pubblico, siano stati acquistati con contratti
mantenuti segreti, dimostra che siamo di fronte a qualcosa di più del liberalismo classi-
co. Indica che è successo qualcosa di diverso da quanto tutti sostengono: non c’è meno
stato, ma si è invertito il rapporto di subordinazione tra stato e mercato. Nell’antichità
erano i mercanti al servizio dell’imperatore, ora è l’imperatore al servizio dei mercanti. Si
IL NEMICO INVISIBILE
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giudica se uno stato è buono se favorisce l’attività economica degli imprenditori. La se-
conda novità di questo dominio fa capire come siamo stati convinti. Mi ha stupito molto
l’indifferenza che ha accolto la notizia che i dipendenti di Amazon devono fare popò in
un sacchetto e pipì in una bottiglia. Ѐ qualcosa che non indigna nessuno e ciò indica la
potenza di quella che Pierre Bourdieu chiama «violenza simbolica», ossia quanto le ca-
tegorie dei dominanti siano state interiorizzate dai dominati producendo ciò che diceva
Nadia: non si vede un futuro, una prospettiva di lotta. Non lo si vede perché siamo stati
convinti di essere tutti imprenditori. Come diceva Gerard Schröder: «Ich A.g.», ognuno
datore di lavoro di sé stesso. Per avere successo, la controffensiva di quest’ultimi cin-
quant’anni ha dovuto creare nuove categorie, una nuova antropologia e una nuova idea
del mondo. Ed è in questa idea che noi viviamo.

La fine del keynesismo e della socialdemocrazia, con tutto ciò che si porta dietro in
termini economici e politico-culturali, determina un nuovo panorama. I termini del
conflitto così appaiono mutati. Nadia afferma che i nuovi conflitti sono caratterizzati
da un lato dallo svuotamento delle procedure democratiche, ormai ridotte a mera for-
malità, e dall’altro dalla ribellione che non è rivoluzione e neppure una sua ambizio-
ne. Così interviene la paura reciproca. Frutto anche di un’instabilità ormai sistemica.
Un’instabilità che sembra il portato di una crisi permanente dell’attuale modello di
sviluppo. Quando l’austerità o l’espansione monetaria costituisce
l’unica prospettiva di tenuta, gli spazi di agibilità si riducono per
È SUCCESSO QUALCOSA tutti. Come se il sistema avesse un rendimento di gran lunga infe-
DI DIVERSO DA QUANTO riore. Le stesse élites, afferma Nadia, «sono scontente, si sentono
TUTTI SOSTENGONO: insicure del loro ruolo dirigente». La crisi, sebbene continui ad au-
NON C’È MENO STATO, SI È mentare la ricchezza dei dominanti, è crisi per tutti. Lo stradomi-
INVERTITO IL RAPPORTO DI nio di cui parlate voi è indice di alcune difficoltà sistemiche. Che
SUBORDINAZIONE ne pensate?
TRA STATO E MERCATO
Nadia Urbinati: Le classi dirigenti in questa fase sono coloro che per
ragioni di fortuna, caso e condizione di capitale familiare si sono
trovate a navigare in acque più che buone. C’è stato il passaggio da un capitalismo co-
struttore di cose, industriale, a un capitalismo che vive di investimenti finanziari. Grazie
all’industria informatica aumenta la possibilità di fare facilmente tanti soldi. Non si co-
struisce niente, loro non costruiscono più niente. Consumano tanto in relazione a quello
che è il loro potere d’acquisto. È un’élite fondata su condizioni di vita diverse da quelle
degli altri. Queste persone vivono tra noi ma non le individuiamo, cercano di ritagliarsi
condizioni di vita – anche geograficamente all’interno delle nostre città – che sono a noi
invisibili, ma le vediamo camminare nelle nostre città probabilmente. Hanno la capacità
di dividere la società in due forme d’essere. Noi conosciamo la forma di entrambe, men-
ESTATE 2021

tre loro non conoscono nemmeno l’esistenza dell’altro mondo. All’interno delle grandi
metropoli finanziarie come Pechino, Shanghai, New York, Chicago o Londra, si situano in
luoghi definiti solo per loro. È come se fossimo tornati alle città medievali, con le mura,
N. 11
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con la differenza che non sono così visibili come un tempo. Hanno le loro armate, i loro
sistemi di vita, le loro università. Quando costruiscono le loro Fondazioni lo fanno per
finanziare le grandi università, i loro luoghi di formazione, insieme a un apparato ideolo-
gico che deve convincere tutti che la realtà non può cambiare e, soprattutto, che è giusta.
L’idea di giustizia è costruita sul presupposto che la diseguaglianza è buona, è meritata,
che non c’è nulla e nessuno da criticare e alcuna recriminazione da avanzare. Questo è
l’elemento individualista della morale che poi si trasferisce nel diritto. Un diritto fondato
su riti individuali privati, primo fra tutti quello alla proprietà e alla libera scelta. Cioè la
responsabilità è mia e tua perché facciamo scelte sbagliate, ma una responsabilità col-
lettiva, di classe, non è prevista. Marco d’Eramo sostiene che loro hanno letto Antonio
Gramsci, perché costruire una Fondazione con lo scopo di propagandare una visione del
mondo è un progetto egemonico in senso gramsciano. Il loro progetto alla fine è pro-
prio il preservare la posizione di dominio. Non costruire qualcosa o godere di qualcosa,
ma preservare il dominio. La giustizia sociale viene trasformata in un discorso di merito
individuale o di fortuna. I fallimenti sono solo individuali, così come le conquiste. Ecco
perchè io non so se chiamarla classe dirigente: li chiamo «pochi». Questi «pochi» che vi-
vono tra noi, anche se non sappiamo esattamente come vivono, dove vivono, cosa fanno,
sembrano però legati a un filo di paura rispetto agli altri, rispetto ai «molti». E il modo
per dominare i «molti» è renderli dissociati in tanti individui piccolini. Ciascuno si sente
responsabile delle proprie miserie e così viene neutralizzato il potenziale di rivolta. I Gi-
let gialli o il movimento cileno contro l’aumento del costo della metropolitana sono pic-
coli segni di rivolta che però non sono connessi a nessun tentativo di cambiare le cose.
Viviamo un periodo di illusione. La democrazia per esistere ha bisogno di qualcosa che
viene invece eroso ogni giorno: l’uguaglianza della cittadinanza. Che è anche la dignità
di non dover fare pipì o popò in una bottiglia. Occorrerebbe qualcuno o qualcosa che
ci scuotesse per farci capire che non sono superiori a noi perché hanno dei bidet o dei
water dorati. Hanno la stessa struttura corporea, gli stessi bisogni, la stessa vita. E sono
uguali a noi. Scuotiamoci da questa subordinazione.

Marco d’Eramo: Ascoltando Nadia sembra di sentire il discorso del Ciompo di Machia-
velli che nelle Istorie Fiorentine dice: «Spogliati nudi, ci vedranno simili; indossando noi
i loro vestiti, e loro i nostri, senza dubbio sembreremo noi nobili e loro ignobili perché
solo povertà e ricchezza fanno la differenza». Quello che dice Nadia è perfettamente
vero. Oggi siamo arrivati a un punto di dominio in cui l’oligarchia è tale in senso giuridi-
co: le élites non obbediscono più alle stesse leggi a cui obbedisce la massa. Noi paghiamo
le tasse, le élites no. Sennò perché dovrebbero esistere i paradisi fiscali? È indispensa-
bile all’ordine economico che esistano le Bahamas o le Cayman? Un cittadino dedito
al narcotraffico può prendersi anche cinquant’anni di carcere e in alcuni posti rischia
la fucilazione. Una grande banca che fa riciclaggio di denaro dal narcotraffico rischia
una multa e i suoi dirigenti spesso non vengono neppure puniti, com’è avvenuto per
esempio alla Royal Bank di Scozia. La violenza del dominio non è una cosa nuova così
come il suo volto arcigno. I giovani degli anni Sessanta si rivoltavano contro la guerra in
IL NEMICO INVISIBILE
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Vietnam non perché non si consideravano statunitensi ma perché credevano negli Satti
uniti. Avevano creduto in ciò che gli veniva raccontato e si accorgevano che non era vero.
Adesso sta accadendo qualcosa di simile. La differenza con l’ideologia del passato è che
una volta la borghesia diceva: «Se ci seguite starete meglio». In questo senso si procla-
mava come classe generale ed era classe dirigente. Sono d’accordo con Nadia che adesso
non c’è classe dirigente, perché c’è dominio ma non c’è direzione. Ora nessuno ti dice:
«Se stai con Amazon, se stai con Zuckerberg, se stai con Google, starai meglio». Ti dicono:
«Se non ci ostacoli non starai peggio». Non ti danno prospettive. Tant’è vero che nessu-
no parla di come staranno i giovani quando saranno vecchi e non avranno la pensione.
Si sta creando una situazione in cui la realtà offerta alle persone contraddice troppo il
racconto che gli viene fatto. Puoi raccontare a un rider che è imprenditore di sé stesso e
qualcuno ci può anche credere, ma non è vero. Bisogna evitare le fantasie cospirazioniste
ma analizzare verso dove spingono gli interessi materiali di classe. Il neoliberismo non
vuole meno stato, vuole uno stato che faccia i suoi interessi. Tant’è vero che ogni volta
che c’è una crisi lasciano fare tutto allo stato. In Italia è fantastico: l’unità nazionale in-
torno a un signore che era in Banca d’Italia, Bce e Goldman Sachs.

L’economista Branko Milanovic sottolinea come le più recenti tendenze acuiscano le


differenze sociali. Parla di «omogamia o accoppiamento assortativo», cioè quando
persone con un livello di istruzione e di reddito uguale o simile si sposano. Questi ac-
coppiamenti (imprenditore lui, avvocato lei e/o viceversa) combinati con i rendimenti
crescenti degli investimenti sulla prole (dall’asilo al master, vita in ambienti ipersti-
molanti, ecc.) producono un aumento delle diseguaglianze che si aggiungono ai fatto-
ri semplicemente ereditari di cui parla Thomas Piketty. I ricchi oggi lavorano tanto e
guadagnano tanto per il loro lavoro e se a ciò aggiungiamo le differenze di patrimonio
esistenti a monte, che si autoalimentano, gli steccati sociali crescono creando barriere
sempre più insuperabili. Un panorama socio-economico rigidamente separato, quasi
fossero delle nuove caste, sebbene non formalmente codificate. In questo senso i ric-
chi di oggi sono diversi da quelli di ieri? Il cosiddetto sogno americano appare ancor
più una chimera?

Nadia Urbinati: Questo è un ceto, più che una classe. Un gruppo di persone che, in rela-
zione a quello che possiede, si costruisce un’identità di ceto, nelle stesse università, nei
luoghi di ristoro, nel modo di vestire e di acquistare beni. Tutti aspetti che definiscono un
ceto. Mi sembra una medievalizzazione delle classi, con però sempre il rischio di poter
cascare fragorosamente se c’è una crisi che elimina una parte di loro, scremando i «po-
chi» quando sono un po’ troppi. Occorrerebbe analizzare di più tali oligarchie, fondate
innanzitutto sul monopolio. Qui si costruiscono dei monopoli globali, altro che libero
mercato, la concorrenza non c’è più. Il mondo di Adam Smith sembra proprio finito. I
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sistemi monopolistici alzano muri «giuridici» all’interno dell’economia di mercato. Gli


Stati uniti in questo senso sono l’avanguardia di un ordine mondiale di corporations o
potenti oligarchi che portano a compimento il perfezionamento di un loro ordine giu-
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ridico la cui costruzione è iniziata nel diciannovesimo secolo. Le multinazionali sono
«individui morali» non solo «giuridici», hanno i diritti civili che abbiamo noi umani: li-
bertà di scelta e di parola, oltre che di proprietà. La decisione del 2010 della Corte su-
prema statunitense nel caso Citizens United e Hobby Lobby ha proposto una soluzione
inquietante della controversia in atto nella dottrina giuridica americana sull’identità
delle multinazionali: ovvero che queste possano essere trattate come persone singole
e quindi riconosciute come depositarie di diritti umani e civili fondamentali. Ciò signi-
fica che una corporation può far eleggere un candidato «amico» al Congresso e avere
uno straordinario vantaggio rispetto ai singoli elettori e, a volte, anche ai partiti. Questa
manomissione dell’eguaglianza politica per mezzo del diritto civile rappresenta una tra-
sformazione che avrà impatti difficilmente controllabili sulle scelte politiche degli stati.
Assegnare alle multinazionali l’identità di persona morale ha messo il cappello su una
lotta in corso da anni tra le multinazionali e gli stati (soprattutto se democratici). Tende a
legittimare un fenomeno in atto per cui le multinazionali accedono ai meccanismi giuri-
dici di protezione dei diritti offerti dagli istituti internazionali di difesa dei diritti umani.
I trattati privati di investimento sono oggi rubricati come strumenti di affermazione dei
diritti umani e usati davanti all’International Centre for Settlement of Investment Dispu-
tes (Icsid) per la risoluzione di contenziosi esemplari, come per esempio quello che nel
2003 ha contrapposto la multinazionale Tecmed (di cui è parte anche l’Enel) al governo
di uno stato della federazione messicana che, in seguito a un cambio di
maggioranza politica, aveva deciso di rescindere il contratto di sfrutta-
mento energetico siglato dal precedente governo con quella multina- SIAMO ARRIVATI A UN
zionale. Per rafforzare la richiesta di Tecmed, il tribunale ha citato una PUNTO DI DOMINIO IN
precedente sentenza della Corte europea dei diritti umani nella quale CUI L’OLIGARCHIA È TALE
si legge che le imprese «non-nazionali sono più vulnerabili rispetto alle IN SENSO GIURIDICO: LE
legislazioni nazionali» e quindi sono più bisognose di protezione dei ÉLITES NON OBBEDISCONO
loro diritti o interessi. In sostanza, lo stato protegge (male) i soggetti PIÙ ALLE STESSE LEGGI A
che stanno sotto il suo diretto potere giurisdizionale, mentre gli organi- CUI OBBEDISCE LA MASSA
smi internazionali diventano protettori delle «nuove» persone globali,
le corporations. Viviamo in un’epoca di grande transizione verso una
forma di dominio non più politica, non più legata al potere ma alla trasformazione della
sovranità, da sovranità politica a sovranità dei monopoli.

Marco d’Eramo: Tutto quello che stiamo dicendo lo catalogherei sotto la voce: ricostitu-
zione della plebe. Ciò avviene sia attraverso i processi giuridici che attraverso la distru-
zione dell’apparato di istruzione per tutti. Lo dicevano già Adam Smith e Jean-Jacques
Rousseau, ciò che differenzia il popolo dalla plebe è l’istruzione per tutti. E questa ple-
beizzazione si unisce all’assenza dei tribuni della plebe. Un tempo i sindacati e i partiti
comunisti svolgevano il ruolo di tribuni della plebe, oggi quest’ultima ricorre a quelli
che vengono chiamati populisti perché non c’è nessuno che ne rappresenti gli interessi.
Però il problema di tutte le classi sociali è la riproduzione, cioè come si fa a riprodurre
nel tempo il proprio potere, in questo caso il dominio. I feudali avevano trovato una
IL NEMICO INVISIBILE
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bella formula: di padre in figlio. Il problema delle classi capitaliste è che le dinastie du-
rano sempre meno. Una volta si diceva: «Il padre accumula, il figlio spende, il nipote va
in rovina», adesso non è nemmeno più così. La struttura delle classi capitaliste attuali
non prevede dinastie: non ci sono più i Buddenbrook. Nessuno sa chi è il figlio di Jeff
Bezos o di Steve Jobs. Le classi dirigenti o dominanti non fanno in tempo a diventare
classi, rimangono ceti – come dice Nadia – perché non hanno il tempo di strutturarsi di
generazione in generazione. Ed è una debolezza del sistema. Un’altra debolezza è che i
capitalisti occidentali cominciano a invidiare la Cina. Perché il nostro è un capitalismo
che non permette investimenti a lungo termine mentre il capitalismo cinese vara pro-
getti che quello occidentale non consente più. In secondo luogo, e questa è la cosa più
drammatica, il capitalismo cinese mostra che si può fare a meno della libertà e della
democrazia, e l’economia funziona lo stesso. Da qui l’attrazione di un nuovo modello
per le oligarchie.

Nadia Urbinati: L’attrazione per la Cina nel mondo della scienza politica è straordinaria.
Innanzitutto la Cina cessa per molti di essere rubricata come sistema totalitario, benché
dipenda da un partito unico e da un’oligarchia per cooptazione, senza competizione. In
Cina hanno risolto i problemi di instabilità e corruzione legati al sistema elettorale con
un governo misto senza elezioni. In occidente, la nostra è una forma di governo misto
basato sulle libere elezioni, anche se col passare del tempo le ele-
zioni non consentono che il potere circoli fuori di una classe ristret-
IL CAPITALISMO CINESE ta di persone e ai cittadini resta solo il voto confermativo. Si insinua
MOSTRA CHE SI PUÒ FARE tra gli scienziati politici, la domanda: che cosa ci guadagniamo ad
A MENO DELLA LIBERTÀ E avere le elezioni? Comportano instabilità, non selezionano compe-
DELLA DEMOCRAZIA. tenti e non garantiscono controllo. Lo studioso Jason Brennan met-
DA QUI L’ATTRAZIONE te quindi in discussione che le elezioni siano un metodo razionale
DI UN NUOVO MODELLO per prendere decisioni. Altri teorici si rivolgono alla deliberazione
PER LE OLIGARCHIE per scopi specifici e convocate per sorteggio, spezzando la sovra-
nità popolare rappresentata dal parlamento. La deliberazione, del
resto, risolve i problemi e non denota competizione: mettendo in-
sieme piccole assemblee di cittadini, che rappresentano in proporzione la collettività,
si possono risolvere meglio i problemi, pacificando la società. La Cina lo fa già a livello
locale, con un sistema di comunità di villaggio che si gestiscono i problemi senza eleg-
gere e senza generare conflitto. In Europa, l’Unione europea ha immesso nei sistemi po-
litici nazionali una propensione all’uso di procedure tecno-burocratiche, abituandoci
negli ultimi quarant’anni a tradurre i problemi politici in problemi amministrativi che
possono essere meglio risolti senza i partiti e senza competizione: sia i tecnocrati che i
populisti hanno una propensione contro i partiti e per l’unificazione del committente
(la società) nel nome di problemi da risolvere con vantaggi per tutti. Tecnocrazia e de-
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mocrazia possono essere integrati. Al di là delle enormi differenze, la Cina non è così
lontana. In questo momento sono più ottimista sugli Stati uniti che sull’Europa perché
lì la frattura destra-sinistra non è stata nascosta dietro quella dei «pochi» e dei «molti»,
N. 11
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ma attraversa i «pochi» e i «molti», dividendoli e riunendoli in relazione a un’ideologia:
giustizia sociale invece di darwinismo sociale. Da noi il dualismo è preferibilmente tra
una parte sopra e una parte sotto. La parte sopra decide, se riesce con le elezioni, sen-
nò usa i tecnici per governare. Addirittura il piano per il Recovery fund viene ideato
delegando ad agenzie private. Il governo non fa direttamente quello che dovrebbe fare.
Parte dei soldi del Recovery fund servono per pagare chi fa i progetti. Il parlamento ha a
malapena la funzione di assenso finale. I politici fanno poco o nulla.

Un’ultima domanda a Marco. I Think Tank, letteralmente serbatoi (o carri armati) di


pensiero, sono degli organismi che servono a produrre pensiero e orientamento po-
litico-economico per le classi dirigenti, o parti di esse. Ne hai scritto nel tuo libro e
sono una prerogativa statunitense. In Italia non sembra essersi affermato qualcosa
di paragonabile. In un recente libro di Adolfo Scotto Di Luzio sugli anni Ottanta e il
movimento studentesco della Pantera si afferma che una delle poche cose che quel
movimento non aveva compreso era che l’impresa privata non voleva accaparrarsi
l’Università italiana: non ne aveva la forza. In Italia dunque la sfera privata ha sempre
mostrato dei limiti di forza ed egemonia o i Think Tank hanno avuto una loro declina-
zione in salsa tricolore?

Marco d’Eramo: Il problema dell’Italia è che non c’è mai stata una borghesia. Ci sono
stati molti ricchi, a volte ricchi illuminati. Ma una vera e propria classe borghese non
c’è mai stata. La borghesia è quella roba che costruisce lo stato; in Italia non è mai acca-
duto. Un bellissimo libro pubblicato da Cornell University sulla storia parallela di Italia
e Giappone nel dopoguerra evidenzia come ambedue i paesi venivano dal fascismo,
ambedue hanno avuto dei miracoli economici nel dopoguerra, ambedue hanno avuto
un sistema monopartitico. Tutti dicevano che l’Italia era instabile, ma l’Italia ha avuto
un solo partito (la Democrazia cristiana) al governo per quarantasei anni, cambiava-
no i ministri ma il governo restava lo stesso. Entrambi i paesi hanno avuto problemi
di mafia, corruzione, terrorismo e, soprattutto, si sono fermati economicamente una
volta terminata la Guerra fredda. Giappone e Italia dopo la Guerra fredda non sono più
cresciuti. A partire dal 1991 i più importanti imprenditori italiani hanno venduto tutto.
Quelli che restano fanno i «dazieri», riscuotono balzelli (i Benetton) o speculano sulle
case di riposo (i De Benedetti). In Italia le imprese di un certo livello tecnologico sono
state vendute. Nel 1980 in Italia si costruivano computer, c’era l’industria farmaceu-
tica, ecc. Ora di borghesia in Italia non se ne parla proprio. Ce lo vedi un industriale
brianzolo che dà dieci milioni di dollari a uno specialista di Platone, Swift e Rousseau,
come invece hanno fatto i magnati del Midwest? Il tondinaro si compra tutt’al più un
calciatore. Le borghesie le misuri dai giornali che hanno. I giornali italiani sono clau-
strofobici, non c’è niente al di fuori dell’Italia, la pagina degli esteri è praticamente un
quadratino in basso. In Francia il crollo della borghesia lo misuri dal crollo della qualità
di Le Monde. I tedeschi resistono perché hanno la Frankfurter. Magari ci fossero i Think
Tanks in Italia!
IL NEMICO INVISIBILE
25
La ricchezza
secondo
RICCHEZZA

i ricchi
Flavio Briatore è il testimonial del padronato all’italiana:
ostenta opulenza, fa sfoggio di lusso pacchiano.
Ha scritto un libro-manifesto nel quale sostiene
che i poveri hanno bisogno di quelli come lui

Illustrazione di
ESTATE 2021
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27 IL NEMICO INVISIBILE
È
il 31 ottobre del 2009. Al ristorante italiano Nello’s di New York si
presenta il miliardario russo Roman Abramovič in compagnia di
sei amici. Ordina spaghetti mare e monti, cotoletta alla milane-
se, parmigiano, prosciutto e mozzarella, minestrone, tre taglio-
lini con tartufo, cinque bottiglie di vino francese, due Magnum
di champagne. Il totale del conto è di 47.221,90 dollari. A quel
Giulio Calella punto Abramovič decide di lasciare 5.000 dollari di mancia per i
poveri camerieri.
Flavio Briatore, nel suo affascinante libro Sulla ricchezza (Sperling&Kupfer 2017), il
più schietto trattato su come i ricchi vedono sé stessi e il mondo che li circonda, rac-
conta questo episodio con un po’ di emozione e tanto orgoglio. L’emozione di chi si
riconosce in una persona che quando esce la sera può spendere i milaeuro; e l’orgoglio
di chi sa che godendosi la propria vita fa il bene dell’intera società, anche di quei poveri
camerieri. Non nasconde però l’indignazione per l’ingiustizia che subisce dai suoi con-
nazionali: «Il paese-Italia – scrive – non ama le persone di quel tipo, non vuole strade
infestate da gente che per un giro di shopping in centro mette in conto pure un migliaio
di euro di multe tra parcheggi e telecamere». Che fine farebbe in effetti il nostro paese
se non ci fossero i ricchi a finanziare le casse dei comuni pagando multe per arrivare
con i Suv fin sotto al Duomo di Firenze e ammirare la cupola del Brunelleschi al riparo
di finestrini oscurati?

OGNUNO HA CIÒ CHE MERITA

In modo spregiativo verso la cultura popolare del nostro paese, il giornalista Indro
Montanelli diceva che «quando un italiano vede passare una macchina di lusso, il suo
primo stimolo non è averne una anche lui, ma tagliarle le gomme». L’intento di Mon-
tanelli era ovviamente ridurre le differenze sociali a questione di invidia: se i poveri la
smettessero di invidiare i ricchi e si dessero da fare, magari l’avrebbero anche loro, pri-
ma o poi, una macchina di lusso. Quella frase però contiene anche una paura: di fronte
a ingiustizie sociali evidenti esiste un’istintiva rabbia di classe che rischia di esplodere
da un momento all’altro. Occorrono allora quelle che i Wu Ming chiamano narrazioni
diversive, che permettono di spostare l’attenzione su cause e responsabilità fittizie per
distogliere lo sguardo dalle contraddizioni del capitalismo proponendo false soluzioni
e/o capri espiatori.

Nelle democrazie a capitalismo avanzato, si sa, si è ricchi o Giulio Calella,


poveri non per destino né per diritto: ognuno e ognuna occu- cofondatore
pa esattamente il posto sociale che si merita. È il famoso «so- e presidente della
gno americano»: chiunque se «lavora sodo» può farcela. Certo cooperativa Edizioni
ESTATE 2021

negli ultimi quarant’anni la mobilità sociale si è ridotta mol- Alegre, fa parte del
tissimo rispetto ai quarant’anni precedenti, ma è un incidente desk della redazione
di percorso da affrontare rendendo ancor più meritocratica la di Jacobin Italia.
N. 11
28
nostra società. Michael Young, inventore della parola «meritocrazia» nel libro del 1958
The Rise of the Meritocracy, la usava in realtà per mettere in guardia proprio dal potere
del merito che finisce per subordinare a presunte qualità individuali l’uguaglianza so-
stanziale dei cittadini, che dovrebbe essere invece garantita a tutti e tutte. Ma sbagliava.
«Io sono uno che si fa da sempre un gran mazzo, come la maggior parte dei ricchi – scri-
ve Briatore – La ricchezza è figlia dell’intelligenza e del lavoro, non della dea bendata. La
ricchezza è mentalità, abilità, sangue freddo, coraggio. Togliete a un ricco la sua fortuna,
dategli un anno e sarà più ricco di prima». Provare a togliere a ogni ricco la sua fortuna
sarebbe in effetti una proposta interessante, da applicare subito per risolvere un po’ di
problemi, ma Briatore è convinto che non porterebbe allo stesso risultato del famoso
film degli anni Ottanta che rivediamo ogni anno a Natale – Una poltrona per due. In
un mondo in cui il lavoro diventa sempre più creativo è soprattutto chi ha talento – in-
nato o acquisito che sia – a essere premiato. Per questo se a volte
vi rendete conto che «lavorare sodo» non è sufficiente non potete
prendervela con nessuno, abbiate pazienza. «LA RICCHEZZA
Abbiate pazienza anche perché, badate bene, sono i poveri ad È MENTALITÀ, ABILITÀ,
aver bisogno dei ricchi non viceversa: senza gli imprenditori che SANGUE FREDDO.
creano lavoro i poveri farebbero la fame, dovrebbero quindi ringra- TOGLIETE A UN RICCO LA
ziarli e preoccuparsi anche degli interessi dei ricchi. Karl Marx, un SUA FORTUNA, DATEGLI UN
paio di secoli fa, sosteneva che se lavoratori e lavoratrici detenes- ANNO E SARÀ PIÙ RICCO DI
sero collettivamente i mezzi di produzione potrebbero continuare PRIMA», DICE BRIATORE
a produrre ricchezza senza distribuirla ai propri padroni, mentre
al contrario la ricchezza degli imprenditori non esisterebbe senza
lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, senza quello che ha descritto come un vero
e proprio furto (di plusvalore) che trasforma la ricchezza prodotta collettivamente in
profitto privato. Sbagliava anche lui: «L’impresa dovrebbe essere il centro del mondo,
l’unico pensiero, l’ultimo della sera prima di andare a dormire e il primo al risveglio –
spiega ancora il fondatore della Billionaire lifestyle – Perché l’impresa non crea agio e
ricchezza soltanto per chi la gestisce e si assume gli oneri, i rischi, i vantaggi della sua
attività. L’impresa crea posti di lavoro, occupazione, aggregazione sociale, benessere
per la collettività».

I RICCHI SONO VITTIME

Daniele Giglioli nel suo Critica della vittima (Nottetempo 2014), scrive che «la vittima
è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto [...] in un tempo
in cui tutte le identità sono in crisi, o manifestamente posticce, essere vittima dà luogo
a un supplemento di sé». Un vero e proprio paradigma vittimario ha sostituito negli
ultimi anni le grandi visioni del mondo, liberali o socialiste che fossero, trasformando la
stessa idea di solidarietà verso sfruttati, oppressi ed esclusi in una più vaga empatia ver-
so le «vittime». Ma qualunque leader o potente prevede un nemico di cui essere vittima
reale o potenziale, fino ad arrivare al paradosso di narrazioni in cui i potenti usurpano
IL NEMICO INVISIBILE
29
il ruolo alle vittime reali: «Il rancore vittimario dei vincenti – scrive Giglioli – è uno dei
fenomeni più singolari del nostro tempo [...] Se solo la vittima è nel vero, chi desidera
crisma di verità per il proprio discorso sarà sempre tentato dalla menzogna di spacciarsi
per la vittima che non è».

Come spiega ancora Briatore, chi identifica le vittime solo con i poveri sbaglia: le vere
vittime sono i ricchi. Sono vittime innanzitutto di un processo di «espropriazione della
ricchezza a prescindere dalla sua origine e provenienza» che li costringe, a causa di un
«legame tossico tra sindacati e politica che ha lentamente corroso il tessuto sociale del
paese fino a distruggerlo», a pagare le tasse sulla propria ricchezza dopo che già in effet-
ti hanno pagato le multe ai comuni fregandosene dei divieti di parcheggio vicino alle vie
dello shopping. Le imprese «che andrebbero premiate per aver raggiunto risultati eco-
nomici i cui benefici si riflettono su tutta la collettività vengono in-
vece chiamate a pagare il conto della grande abbuffata di stato». Se
PER BRIATORE I RICCHI si vogliono i soldi dei ricchi bisognerebbe tagliare profondamente
SONO VITTIME le tasse e immaginare un metodo totalmente diverso per attingere
DI UN PROCESSO alle loro risorse. Ad esempio l’Italia «non contempla una visita nei
DI «ESPROPRIAZIONE musei pensata specificatamente per coloro che non hanno tempo
DELLA RICCHEZZA da perdere e sono disposti a pagare per questo. Perché per entrare
A PRESCINDERE DALLA SUA nei musei italiani l’unica e sola via d’accesso è quella della coda di
ORIGINE E PROVENIENZA» tre ore per pagare 10 euro di biglietto? Perché non prevedere una
corsia privilegiata con visita guidata e uscita dal museo mezz’ora o
un’ora dopo l’arrivo, magari al costo di 3 mila euro? Cosa ti impedi-
sce di farlo? Lo sguardo arrabbiato di quelli che stanno in fila nei confronti del riccone
che arriva con moglie e figli e imbocca un’altra entrata?». Se son solo i ricchi a «non aver
tempo da perdere» è strano in effetti che i perditempo in fila si innervosiscano tanto. Ma
quel loro sguardo pieno di rabbia fa di nuovo paura, tanto che Briatore risponde subito:
«Allora fai in modo che non si incontrino».
Questo martirio in coda nei musei di cui sono vittime i ricchi, testimonia il vero pro-
blema del nostro paese: viviamo in una società snob che colpevolizza i ricchi, dove è
egemone un moralismo mediocre che «nasconde una concezione della ricchezza come
privilegio di cui vergognarsi e una visione del mondo come diviso tra buoni e cattivi: il
ricco sempre tendenzialmente malvagio, il povero per definizione campione di virtù».
Nel 2016 Flavio Briatore è in Puglia, davanti al bellissimo mare salentino di Otran-
to, per costruire una nuovo resort di lusso, il Twiga beach club. Si sente una specie di
salvatore della patria in grado di portare i ricchi al sud per salvare il nostro paese. Co-
nosce bene i gusti dei suoi simili, quelli pronti a spendere anche 10, 20, 30 mila euro al
giorno quando vanno in vacanza, e sa cosa serve: hotel extralusso sul mare, porti per
yacht, servizi impeccabili e tanto divertimento. «I ricchi scelgono, partono, spendono
ESTATE 2021

e lasciano ricchezza, non problemi e costi per rimuovere le tracce del loro passaggio.
Come quelli con lo zainetto che si fermano in spiaggia, accendono il falò, mangiano,
bevono e se ne vanno senza portar via bottiglie e legna bruciacchiata».
N. 11
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Le sue parole sembrerebbero intrise di un certo disprezzo di classe, ma non è così: i
soldi li hanno i ricchi e solo costruendo luoghi a loro dimensione arriverà qualche bri-
ciola anche ai poveracci con lo zainetto. Il Twiga è però vittima della procura di Lecce
che a un anno dall’inizio dei lavori blocca tutto per abuso edilizio in zona vincolata.
Un atto, spiega Briatore, frutto della presenza nel nostro paese di «un’arroganza intel-
lettuale diffusa, che deriva da un patrimonio storico, artistico, paesaggistico unico al
mondo, e si permette la sciccheria di sbattere la porta in faccia ai ricchi e di sdegnare
la ricchezza».

IL MONDO DEI SOGNI (D’ORO)

Ma di cosa hanno paura i ricchi? Perché invece di presentarsi solo come modelli
gloriosi hanno iniziato a descrivere sé stessi anche come vittime? «La prosopopea della
vittima – scrive ancora Giglioli – rafforza i potenti e indebolisce i subalterni [...] La con-
dizione di vittima pretende una risposta unanime; ma una risposta unanime è soltanto
una risposta falsa, che non permette di vedere quali sono le vere linee di frattura».

Da decenni sappiamo, perché lo dicono i ricchi, che il motivo per cui il nostro paese
non prospera abbastanza è che il progresso è intralciato da chi si attarda a pensare la
nostra come una società divisa in classi, pretendendo «politiche assistenzialiste» per i
soggetti sociali più deboli. Per far crescere la ricchezza di ognuno va invece cambiata
prospettiva – spiega Briatore – perché il soggetto di cui preoccuparsi è uno solo e acco-
muna tutti e tutte: «i paesi con i più alti tassi di sviluppo sono quelli che mettono al cen-
tro del mondo solo e soltanto il consumatore». Consumando si cambia la propria vita e
il mondo, è il consumatore a far sentire la sua voce ogni giorno, consumare è il vero atto
democratico che rende quasi superfluo il voto. Però ovviamente «quelli con lo zainet-
to» consumano poco, per questo alla fine non possiamo far altro che concentrarci sui
bisogni di chi consuma tanto, perché faranno così circolare la ricchezza. Un mondo di
questo tipo – racconta l’ex team manager di Formula 1 – esiste già: «Abu Dhabi ha capito
la potenza dei brand e ci ha investito, riuscendo per esempio a sfruttare il marchio Fer-
rari meglio dell’Italia. Dentro il parco Ferrari World di Abu Dhabi si sperimenta un vero
e proprio viaggio in Italia [...] Hanno investito 3 miliardi e in due anni hanno realizzato
un canale lungo tre chilometri e largo settanta metri che attraversa la capitale. Una sera
a cena ho chiesto: ma perché lo avete fatto? A che cosa vi serviva? Mi hanno risposto: lo
abbiamo fatto soltanto per i turisti, perché possano vivere l’esperienza di navigare per
la città con una barca». Un sogno.
Per raggiungere questo mondo dei sogni, spiega in conclusione, «bisogna prendere
tutti i pregiudizi contro i ricchi e contro la ricchezza che vengono instillati fin da bambi-
ni, fare un bel mucchio e accendere un falò». Otterremo così finalmente un mondo fatto
solo per ricchi, in cui si rimuove il conflitto sociale e si scaccia via l’incubo che la rabbia
della maggioranza che quei soldi non ce l’ha, si trasformi in un movimento intenziona-
to a non accettare più lo stato di cose presenti.
IL NEMICO INVISIBILE
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32 N. 11 ESTATE 2021 POTERE
magazi
bin n

e
da jac
L’invenzione
della
gerarchia
Dai monarchi di una volta ai miliardari dei giorni nostri,
i pochi nel corso dei millenni hanno accumulato potere
e ricchezza a danno dei molti. Abbiamo chiesto a Timothy
Earle, antropologo, come è cominciato tutto ciò

Illustrazione di Anna Quaranta per Mimaster

IL NEMICO INVISIBILE
33
N
ei classici della teoria filosofica moderna, pensatori come Tho-
mas Hobbes, John Locke o Jean-Jacques Rousseau hanno ipo-
tizzato un tempo nel lontano passato in cui le classi sociali non
esistevano – il cosiddetto «stato di natura», che finì quando gli
Seth Ackerman umani inventarono la proprietà privata e lo stato. È mai esistito
intervista un simile momento nel corso della storia?
Timothy Earle Se mi stai chiedendo se c’è mai stato un momento specifico,
puntuale, in cui sono comparse per la prima volta le classi sociali,
la risposta è no. Sono comparse più e più volte in diverse parti del mondo, in situazioni
differenti. Il modo in cui ciò è successo può essere in gran parte analizzato in termini di
comandanti-leader forti che hanno capito come manipolare le istituzioni per concentra-
re potere e ricchezza.
Per ottenere il potere, un leader deve prima offrire qualcosa che attiri le persone, qual-
cosa che piaccia. Ma il concetto cardine qui è circoscrizione, cioè l’abilità di legare le per-
sone a un luogo. Quando le persone non possono spostarsi in altri luoghi, non possono
affiliarsi ad altri gruppi, non possono «votare con i loro piedi», le loro opzioni sono limita-
te. Una volta che inizi a circoscrivere le società, a quel punto hai la possibilità di sviluppare
il controllo.

In altre parole, senza la circoscrizione, le persone possono sempre semplicemente


andarsene sui monti se la situazione diventa troppo oppressiva.
Non c’è nemmeno bisogno che diventi così tanto oppressiva. Se ti viene chiesto di la-
vorare due giorni in più a settimana, andarsene in montagna sembra una buona idea. E ci
sono molti, molti casi in cui succede.
Per questo è importante guardare a come una società diventa circoscritta. Uno dei
classici modi con cui la si circoscrive è attraverso i sistemi di irrigazione. I sistemi di irri-
gazione sono collegati alla comparsa dei capitribù e degli stati in tutto il mondo, perché
una volta che hai costruito un sistema di irrigazione la produttività agricola diventa di
gran lunga superiore a qualsiasi altra cosa nell’area in cui hai circoscritto le persone. Le
hai vincolate.

È necessario avere una gerarchia sociale per gestire un si- Seth Ackerman è
stema di irrigazione? direttore editoriale di
No, la gerarchia non riflette la complessità di un sistema di Jacobin Mag. Timothy
irrigazione. Riflette l’organizzazione della società in senso più Earle è professore
ampio. Puoi trovare dighe e canali di irrigazione altrettanto emerito di antropologia
complessi, per dimensioni o scala di grandezza, nelle società economica. Ha
relativamente egualitarie come in quelle fortemente gerarchiz- scritto diversi libri
zate. È l’opportunità di circoscrivere che fa la differenza. sull’archeologia delle
ESTATE 2021

diseguaglianze.
Perché alcune società sono diventate più egualitarie, e al- La traduzione
tre più gerarchizzate? è di Gaia Benzi.
N. 11
34
Be’, non dovrebbe sorprendere i lettori di Jacobin che il fattore determinante sia in entram-
bi i casi la proprietà. La domanda è: chi possiede il sistema di irrigazione? Se è un singolo a
possedere il sistema di irrigazione, l’unica moneta di scambio che il resto della popolazione
ha è la propria forza lavoro. Perché il sistema non funziona senza persone che ci lavorano.
Un capo deve garantire al popolo dei vantaggi, e il vantaggio principale di un sistema di
irrigazione è dato dalla sua stabilità e produttività. Ma non appena i capi e i governanti af-
fermano di possedere il sistema di irrigazione, hanno il controllo di una risorsa preziosa.

Come sono nati questi sistemi di proprietà? È logico presupporre che non siano
sempre esistiti.
Tra cacciatori e raccoglitori non c’è grande consapevolezza delle relazioni di proprietà.
Lo sappiamo dai resoconti etnografici dei cacciatori e raccoglitori ancora esistenti, ma lo
constatiamo anche analizzando i marcatori di proprietà presenti nei reperti archeologici.
C’è un qualche senso di proprietà, ma è molto flessibile: se sei un cacciatore o raccogli-
tore, quello che vuoi è massimizzare la mobilità, la tua capacità di spostarti nello spazio.
Con l’avanzare del Neolitico, cioè del periodo in cui si è passati dalla caccia e raccol-
ta all’agricoltura, è possibile osservare un’intensificazione dello sfruttamento della terra:
investimenti assai maggiori in termini di lavoro umano su uno stesso suolo. È qui che
iniziano a comparire gli indicatori chiave dei diritti di proprietà comune.
Un esempio classico sono i cimiteri di comunità. Un cimitero di comunità sancisce
una relazione forte tra i vivi e i morti. Perché mai fare una cosa del genere? Be’, una delle
ragioni più ovvie è perché si ereditano i diritti su quella terra.

È un modo di dire «questa terra appartiene a noi».


Sì. E le cerimonie che vi si associano sono un modo per dare concretezza al gruppo
come gruppo con particolari diritti di proprietà. Ma non stiamo ancora parlando di so-
cietà di classi. Nella società neolitica, il leader non si distingue così tanto dagli altri. È il
leader del gruppo.
Quello che succede con lo sviluppo dei capitribù è che il leader di un gruppo di per-
sone collegate tra loro, magari responsabile dei rituali e della guerra, trova un modo per
assumere il controllo di entrambe queste funzioni e metterle al proprio servizio anziché
al servizio della comunità locale.

Dunque, originariamente, questi leader non avrebbero dovuto detenere la proprietà


personale della terra, ma solo a nome del gruppo. Invece, a un certo punto, hanno pre-
so il potere.
Esattamente. Ecco come si è sviluppata la proprietà.

In uno dei tuoi libri c’è un passaggio che mi ha davvero colpito: «In tutte le comunità
alcuni individui, soprattutto uomini, cercano di dominare sugli altri. Questi esaltati
di solito sono disposti a correre grossi rischi in termini di danni fisici pur di stabilire e
mantenere con l’aggressività il proprio dominio».
IL NEMICO INVISIBILE
35
Sì. A volte vengono definiti personalità dalla «tripla A»: aggrandizers, accumulators, ac-
quisitors (esaltati, accumulatori, accaparratori). Bramano di potere e si considerano per-
sone importanti. Probabilmente questo atteggiamento ha radici biologiche, ma è estre-
mamente variabile. Alcune persone hanno questo impulso, altre no.
La domanda è: riescono a ottenere il potere, o incontrano una resistenza? La risposta
dipende se c’è o meno circoscrizione. Se non c’è, e qualcuno prova a fare il capo, basta
andare via – non ha alcun modo di imporre l’obbedienza. Ma una volta che si è vincolati a
un luogo, diventa difficile resistere allo sviluppo di un potere centrale.
È per questo che la crescita della popolazione è stata un fattore così importante nello
sviluppo storico della gerarchia migliaia di anni fa. Perché la crescita della popolazione
porta a un’intensificazione dello sfruttamento della terra, che genera un maggior inve-
stimento nello sviluppo territoriale – che, a sua volta, crea porzioni di terra personali e
difendibili.

Ma un singolo capo non può fisicamente controllare e difendere la terra da solo. Per
prendere il potere, ha bisogno dell’appoggio degli altri.
Sì. Nel mio libro su come i capi prendono il potere, identifico tre fonti principali di
potere. Una è l’economia, il cui fondamento risiede nel diritto di proprietà. La seconda è
il potere militare – i guerrieri. E la terza è la religione o l’ideologia, che fornisce legittimità.
Il capo ha degli specialisti in ciascuna di queste aree. Così, nell’e-
conomia ha coloro che gestiscono la terra; nella guerra, i guerrieri;
LE FONTI PRINCIPALI nella religione, i preti. Sono coloro che io chiamo «specialisti collega-
DEL COMANDO SONO: ti», specialisti del potere collegati alla rete del capo.
L’ECONOMIA, CIOÈ Tutte e tre le tipologie sono importanti, ma le fondamenta si tro-
IL DIRITTO DI PROPRIETÀ, vano nell’economia. Prendi i guerrieri, ad esempio. La domanda
IL POTERE MILITARE è, come puoi controllare un guerriero? Lo controlli controllando le
E LA RELIGIONE politiche economiche. Lui è il tuo uomo. Riceve le proprie armi da
CON L’IDEOLOGIA te, riceve un pezzo di terra per trarre sostentamento dal lavoro degli
schiavi da te.
Prendi invece i leader religiosi. Hanno bisogno di strutture, chiese,
templi, monumenti. Hanno bisogno di cerimonie – e le cerimonie non è che accadono da
sole, sono estremamente costose. Qualcuno deve pur pagarle. Qualcuno deve predisporre
il banchetto, pagare per tutte le attrezzature rituali.
La religione è costosa, i guerrieri sono costosi. È l’abilità di controllare le politiche eco-
nomiche che ti consente di controllare in maniera centralizzata queste fonti di potere
sociale.

Puoi fare un esempio di come si è svolto questo processo?


Il mio esempio classico è l’isola di Hawaii. L’isola di Hawaii e le altre isole della Poli-
ESTATE 2021

nesia hanno cominciato a essere colonizzate circa 1500 anni fa dalle popolazioni pro-
venienti dalla Melanesia, l’area attorno la Nuova Guinea. Queste popolazioni portarono
con sé una sofisticata tecnologia nautica, che gli permise di raggiungere l’isola, oltre alla
N. 11
36
tecnologia necessaria all’irrigazione. Come possiamo notare, in alcune isole l’irrigazione
fu relativamente poco diffusa, e non produsse niente di particolare, mentre in altre situa-
zioni, come nell’isola di Hawaii, l’irrigazione fu sviluppata in maniera estensiva. Il livello
di sviluppo dell’irrigazione, e la conseguente capacità di trarne un plusvalore, è ciò che
permise la creazione di un’élite guerriera collegata ai capi.
Una volta che i capi ottennero la proprietà della terra attraverso la conquista, sop-
piantarono i leader locali nominando persone a gestire quella terra – chiamati konohiki
– per amministrare la popolazione locale. La frase ad Hawaii è «i konohiki ci mettono a
lavoro». E da lì in poi, assistiamo allo sviluppo di questi sistemi di irrigazione e di una
gerarchia sociale.

Dunque parte tutto dall’irrigazione e dalla circoscrizione?


No, lo sviluppo di una gerarchia può seguire strade differenti. Nella Danimarca dell’Età
del bronzo, ad esempio, la circoscrizione non funzionò perché la densità di popolazione
era troppo bassa. Il potenziale di movimento era troppo grande. Invece, la gerarchia fu
fondata sul controllo del commercio. Questo è il classico modello Eurasiatico. Circa cin-
quemila anni fa, iniziano a sorgere e svilupparsi enormi sistemi commerciali dal raggio di
migliaia di chilometri. Quasi subito l’utilizzo principale degli oggetti scambiati attraverso
il commercio fu di differenziare il segmento dominante della popolazione. Un capo man-
teneva il proprio gruppo di supporto controllando la distribuzione della ricchezza – so-
prattutto armi, ma anche oro e argento, gemme preziosi, abiti ben fatti.
Così, in Eurasia, nel passaggio dal Neolitico all’Età del bronzo si può osservare una
divisione tra gente comune ed élite in termini di oggetti posseduti. E dal momento che
alcuni di questi potevano essere ottenuti soltanto con il commercio, si trattava di oggetti
a cui i contadini locali di sicuro non avevano accesso. La chiave è creare una differenza.
Quando si sviluppano i sistemi con capitribù si assiste sempre a una progressiva se-
parazione del leader dal proprio gruppo. Nel caso di Hawaii, e in alcuni altri casi della
Polinesia, i capi non appartengono più alla comunità locale. Sono considerati una razza a
parte, una divinità. Sono diversi.
Questo è uno degli aspetti centrali nella formazione della classe – la capacità di creare
una separazione ideologica e demarcare una differenza materiale dagli oi pollòi [i molti].

Perché mai un gruppo dovrebbe mettere uno di questi sgradevoli esaltati in posizio-
ne di potere?
L’élite dominante crea un’ideologia a cui le persone credono. E parte dei motivi per
cui le credono risiede nel fasto delle cerimonie e nell’architettura monumentale che le
circonda. Già tra cacciatori e raccoglitori abbiamo testimonianze di arte fatta con pietre
particolari o piccole costruzioni monumentali. In realtà, i primi specialisti che possiamo
identificare dai resti archeologici sono legati alla religione.

Perché la religione avrebbe bisogno di specialisti?


Credo che la natura della religione stia nel fatto che solo alcune persone ne sono com-
IL NEMICO INVISIBILE
37
mosse. Alcune persone sentono davvero un legame con Dio o con gli dei o con gli spiriti o
quello che vuoi. E allora il problema diventa, riesci a convincere anche gli altri?

Ricorda molto quello che Max Weber chiamava «autorità carismatica».


È l’autorità carismatica, ma basata sull’economia rituale. Weber sosteneva che Gesù
avesse un potere carismatico, e sono sicuro che ce l’avesse. Ma l’abilità di portare quel
potere allo step successivo, al controllo religioso carismatico, dipende dallo sviluppo di
rituali e strutture scenografiche.
Quello a cui le persone si affezionano è la cerimonia. È il particolare medium attraver-
so il quale si diffonde l’ideologia. Quello a cui devi pensare è questo: se sei un contadino,
fermo sempre in uno stesso posto a zappare la terra, la vita è noiosa. Ricordo quando par-
lai con un allevatore di colocasia nell’isola di Hawaii nel corso di uno studio etnografico
sui metodi utilizzati dall’agricoltura moderna per l’irrigazione della colocasia. Gli chiesi:
«Com’è la vista da quella collina?». Si trovava esattamente sopra la sua fattoria. E mi ri-
spose: «Non sono mai stato lassù». Aveva sempre lavorato il suo campo per sette giorni a
settimana sin da bambino.
Ora, prendi quel genere di noia e aggiungi un mondo che offre feste religiose e il senso
di meraviglia spirituale che ottieni quando entri nella Cattedrale di Chartres o partecipi
a una di queste grandi cerimonie – mio Dio, è molto diverso. Ed è una cosa che i pochi
possono controllare più facilmente dei molti. Non tutti possono costruire un tempio o
una cattedrale; c’è bisogno di un’organizzazione straordinaria. E così il potere carismati-
co di Gesù Cristo diventa parte di un’istituzione religiosa che possiede enormi proprietà
fondiarie e controlla il lavoro per costruire cattedrali e chiese e tutto il resto.
Il problema è che la religione è soggetta a inflazione. Non importa quanto sia bella la fe-
sta, le persone vorranno una festa più bella. E per i leader, questo è un mondo competitivo.
Supponiamo che ci siano due capi in competizione tra loro per il potere in una certa zona:
vedrai i sistemi religiosi crescere esponenzialmente in direzioni sempre più elaborate.
Per questo, i capi hanno bisogno di estrarre sempre più ricchezza e di organizzare sem-
pre più persone. Da un punto di vista logistico diventa molto difficile.

Tutto questo è ovviamente ciò di cui parlava Karl Marx quando ha definito la classe
dominante come il gruppo che estrae plusvalore e lo controlla.
Esattamente. Il mio lavoro consiste nell’utilizzare i concetti che Marx ha sviluppato
per la società capitalista e (forse in modo meno sofisticato) per la società feudale. Questi
erano i mondi che conosceva. Non conosceva altre società, se non nella sua immagina-
zione. Lui e Friedrich Engels immaginarono come sarebbe potuto essere un comunismo
primitivo, ma non lo conoscevano. Non ne avevano alcuna evidenza archeologica, cosa
che invece abbiamo prodotto negli ultimi 150 anni.
Come antropologi e archeologi abbiamo messo insieme le evidenze necessarie a fare
ESTATE 2021

questo genere di discussioni, e abbiamo applicato i princìpi marxisti alle società non ca-
pitaliste per vedere come hanno funzionato lì.
N. 11
38
All’interno della disciplina, c’è un consenso abbastanza ampio sul quadro che ci hai
esposto?
È molto diffuso tra le persone che si interessano di politica economica. Un accade-
mico che osservi la guerra o la religione o la razza come fenomeni separati non ha alcun
interesse a spiegare perché sono sorti; ha interesse a capire come funzionano. Questa è la
differenza principale. L’approccio evoluzionistico che ho io non è proprio della gran parte
degli antropologi.

Così tu e i tuoi colleghi interessati a questi temi siete una sorta di anomalia all’inter-
no della disciplina.
Un’anomalia, senz’altro. La maggior parte degli antropologi e degli archeologi non
sono interessati alla politica economica o al potere. Non la considerano l’essenza della
società umana. E per me, questo non ha alcun senso. Voglio dire, se non comprendi come
si sviluppano le diverse forme di potere, non so come pensi di poter studiare il funziona-
mento delle società.

È facile ascoltare le conseguenze storiche che hai delineato e concludere che la Sto-
ria è soltanto una storia di persone che finiscono per vivere sempre più sottoposte
all’autorità e al controllo di governanti dispotici.
I capi non ottengono necessariamente il potere. La domanda sul
perché si possa desiderare che esista qualcuno che ci dia degli ordini è
fondamentale. La società è un sistema che tende a de-organizzarsi; ten- SE NON SI COMPRENDE
de a rompersi in unità più piccole. Organizzare le persone è la tendenza COME SI SVILUPPANO
contraria. Devi spiegare i capi; non devi spiegare l’assenza di capi. LE DIVERSE FORME
La domanda è: com’è fatta l’economia che ne sta alla base? In que- DI POTERE, NON SI PUÒ
sta situazione gli esseri umani sono riusciti a creare un’economia con- STUDIARE DAVVERO
trollabile? Se non l’hanno fatto, avrai una società egualitaria. IL FUNZIONAMENTO
Per esempio, parte dello sviluppo della gerarchia sociale nell’isola DELLE SOCIETÀ
di Hawaii è consistita nello stabilire la proprietà su punti particolari
lungo il corso dei fiumi – di fatto, chiunque fosse passato sotto il tuo
accampamento fortificato avrebbe dovuto pagarti un dazio. E così possiamo notare un
livello molto alto di differenziazione sociale lungo i fiumi dove questo poteva accadere.
Ma se hai un fiume dal corso irregolare, che permette una molteplicità di percorsi ed è
difficile da controllare, non troverai nulla del genere – è più egualitario. Le fondamenta
dell’economia, il punto di controllo, vengono gettate costruendo un forte o un castello a
guardia del fiume.
La domanda è, puoi impedire che succeda? È questa l’argomentazione di Adam Smith
a favore del libero mercato – che non ha niente a che vedere con ciò che la gente chiama
oggi «libero mercato». Voleva farla finita con i monopoli privati concessi dai sovrani.
E ricorda, il potere del lavoro è sempre nelle mani dei contadini. Se, come gruppo, de-
cidessero di non allinearsi, sarebbe difficile costringerli a farlo. Voglio dire, puoi iniziare
ad ammazzarli. Ma devi mantenere la legittimità. E la coercizione è molto costosa.
IL NEMICO INVISIBILE
39
I cocci
POTERE

del soffitto
di cristallo
Se le rivendicazioni del femminismo si spostano
dalla liberazione collettiva alla libertà individuale
finiscono per rafforzare il pensiero neoliberale.
Ecco perché non basta una «donna al potere»
Illustrazione di Valeria Weerasinghe
ESTATE 2021
N. 11
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41 IL NEMICO INVISIBILE
N
Nel 1986 usciva sul Wall Street Journal un articolo a firma di Carol
Hymowitz e Tim Schellhardt intitolato The Glass Ceiling: Why Wo-
men Can’t Seem to Break The Invisible Barrier That Blocks Them
From the Top Jobs (Il soffitto di cristallo: perché le donne sembrano
non rompere la barriera invisibile che impedisce loro di raggiungere
le cariche più alte). Nonostante la metafora del soffitto di cristal-
Jennifer Guerra lo fosse stata inventata due anni prima dall’editrice britannica Gay
Bryant sulle pagine di Working Woman, è l’articolo del Wall Street
Journal a essere considerato il vero artefice della popolarità di questa espressione, che an-
cora oggi viene utilizzata per indicare gli ostacoli che le donne incontrano nel raggiungere
le posizioni apicali nel lavoro e nella politica.
Negli ultimi anni, il tema è tornato alla ribalta, anche a causa di alcuni importanti avveni-
menti. La rottura «del più alto e del più resistente» dei soffitti – quello della presidenza sta-
tunitense – è stato il cavallo di battaglia di Hillary Clinton da ben prima che ufficializzasse
la sua candidatura alle elezioni del 2016. Con una Ted Talk del 2010 e il libro del 2013 Lean
in (in italiano, Facciamoci avanti, Mondadori 2013), la Coo (Chief operating officer) di Face-
book Sheryl Sandberg è diventata il simbolo della battaglia contro il soffitto di cristallo che,
scrive Forbes, con la sua importante posizione dentro Facebook Sandberg non avrebbe sol-
tanto «rotto», ma proprio «preso ad accettate». Il successo dei libri e discorsi motivazionali
della manager è diventato tale che non di rado si sente parlare di lean
in feminism per indicare tutto quel mondo di networking aziendale,
IL SOFFITTO DI CRISTALLO lobby e Fondazioni che lavorano per l’empowerment femminile nel
È L’ESPRESSIONE CON LA mercato del lavoro. Un’espressione efficace anche sul piano simbolico:
QUALE SI DESCRIVONO checché ne dica Forbes, Sandberg sembra più animata dalla gentilezza
GLI OSTACOLI DELLE di chi bussa alla porta prima di entrare che dalla violenza di chi sfonda
DONNE NEL RAGGIUNGERE un soffitto.
POSIZIONI APICALI NEL Nel 1986, anno dell’articolo del Wall Street Journal, Reagan era al suo
LAVORO E NELLA POLITICA secondo mandato e in procinto di bombardare la Libia, mentre in
Gran Bretagna si portava a compimento il famoso «Big Bang» della
Borsa di Londra, il capolavoro della privatizzazione thatcheriana. Si
era nel pieno della controrivoluzione neoliberale, ma anche di una profonda crisi d’identità
del movimento femminista. Dopo il successo della seconda ondata del movimento negli
anni Sessanta e Settanta, costellato da riconoscimenti impor-
tanti nel campo dei diritti civili, le lotte delle donne sembravano
affievolirsi in tutto il mondo. In Italia, per esempio, si considera il Jennifer Guerra, nata
1981 con il referendum sull’aborto l’ultimo afflato della stagione nel 1995 a Brescia, è
femminista. Negli anni del riflusso, il femminismo non sparì, ma scrittrice e giornalista.
diventò «diffuso», per usare un’espressione di Anna Rita Calabrò Ha lavorato come
e Marta Grasso, tendendo «a mantenersi nei limiti della sfera redattrice a The
ESTATE 2021

soggettiva della donna che ne è toccata», senza riuscire a incidere Vision, ha pubblicato
sulla società e ancor meno sulle agende politiche. Il corpo elettrico
Più in generale, il decennio degli Ottanta rappresenta un vuoto (Edizioni Tlon 2020) e
Il capitale amoroso
N. 11

(Bompiani 2021).
42
nella storiografia del femminismo. Nonostante la sua presenza non si fosse affatto eclissata,
ma anzi fosse entrata nelle maglie della cultura attraverso l’apertura delle Case delle donne,
dei centri di documentazione e ricerca e di iniziative accademiche di grande importanza, si
tende a considerare questo periodo come un raccordo tra la seconda e la terza ondata, che
comincia «ufficialmente» nel 1991. Al di là dei limiti della cosiddetta teoria delle ondate, gli
anni Ottanta sono senz’altro meno rappresentativi sul piano delle lotte ma non per questo
meno interessanti. Anzi, in un certo senso si possono considerare il periodo più decisivo
per il futuro del femminismo proprio per ciò che stava accadendo al di fuori del movimento
delle donne.
Un primo momento di svolta fu il 1975 quando, su impulso della diffusione crescente dei
movimenti femministi in tutto l’Occidente, le Nazioni unite proclamarono l’«anno delle
donne» e organizzarono la prima conferenza internazionale delle donne a Città del Messi-
co. Le 133 delegazioni degli stati membri, eccezionalmente costituite da una maggioranza
di donne, individuarono tre obiettivi da raggiungere entro dieci anni: l’eliminazione delle
discriminazioni di genere in ogni ambito della vita sociale, la partecipazione delle donne
allo sviluppo e un loro maggior contributo nel rafforzamento della pace mondiale. Gli effetti
immediati della conferenza furono la fondazione dell’Instraw, l’Istituto internazionale delle
Nazioni unite per la ricerca e la formazione del progresso delle donne, e dell’Unifem, il Fon-
do di sviluppo Onu per le donne. A partire da quella data, anche altre importanti istituzioni
come il Fondo monetario internazionale
e la Banca mondiale cominciarono a do-
tarsi di strumenti per raggiungere la pa- sociali, posizione predominante invece nel blocco sovieti-
rità di genere, sia al proprio interno che co, che considerava la Conferenza come un’occasione per
come obiettivo strategico. le donne di prendere finalmente parola sui grandi problemi
La conferenza del 1975 è molto impor- politici e non per affrontare la questione dei loro diritti. Fat-
tante perché se da un lato sancì la legit- to sta che dal 1975 in poi, l’opinione pubblica statunitense
timità delle rivendicazioni femministe, assunse una postura sempre più favorevole nei confron-
contribuì anche a crearne una versione ti del femminismo, tanto che il Time quell’anno scelse di
accettabile. Come ha ricostruito l’et- celebrare le Women of the year anziché il consueto Man of
nografa Kristen Ghodsee, gli Stati uniti the year. Chiaramente, questa svolta non era motivata dal
erano preoccupati che la Conferenza si desiderio di riconoscere politicamente il femminismo, che
trasformasse per l’Unione sovietica, rap- restava un movimento di radicale trasformazione dell’e-
presentata dalla cosmonauta Valentina sistente, ma di orientarlo verso posizioni più in linea con
Tereshkova, in un’occasione per votare il capitalismo, anche in funzione antisovietica. Secondo
risoluzioni anticapitaliste. D’altronde, lo Ghodsee, la conferenza di Pechino del 1995 – la prima dopo
stesso governo statunitense considerava il crollo dell’Unione sovietica – sancì la definitiva vittoria
il femminismo, persino nella versione della visione statunitense del femminismo, trattando in
liberal della National Organization of maniera quasi esclusiva i problemi della violenza di genere,
Women, un movimento socialista. Per del traffico di esseri umani e delle molestie sessuali.
questo l’obiettivo della Conferenza per Negli stessi anni, le Nazioni unite si impegnavano per adot-
gli Usa diventò quello di separare le que- tare un approccio di sviluppo noto come Wid, Women in
stioni femminili da quelle economiche e Development, elaborato dall’Università di Harvard per la
Banca mondiale. Questo approccio puntava a dotare le
IL NEMICO INVISIBILE

donne nei paesi del Sud del mondo, africani in particolare,


di un proprio reddito che generasse una più ampia circo-
lazione di capitali. Insistendo sull’imprenditoria femminile
e in generale sulla partecipazione delle donne ai processi
economici e decisionali, il Wid ignorava tutte le cause strut-
turali delle diseguaglianze di genere e di classe, nonché la
43
loro intersezionalità. Nel frattempo in Occidente, con il
massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro dovu-
to anche alla terziarizzazione dell’economia, si poneva con
sempre maggiore insistenza il problema della leadership
femminile. Secondo l’Harvard Business Review, dal 1980 al
2010 negli Stati uniti c’è stato un incremento di 4,5 milio-
ni di posti manageriali, di cui 2,6 occupati da donne (per
il 40% bianche). È pur vero che la maggior parte di questi 2014). Per la filosofa, questo processo di
posti sono stati ottenuti in settori tradizionalmente femmi- legittimazione ha colpito tutti gli assetti
nili, o che si sono consolidati come tali: marketing, finanza, del femminismo degli anni Sessanta e
risorse umane, educazione, sanità. Il numero delle donne Settanta: per prima cosa, la priorità eco-
con posizione di Ceo o nella pubblica amministrazione è nomica è passata «dalla redistribuzione
aumentato solo dell’1% nel corso di trent’anni. Questi ri- al riconoscimento»; lo spirito informale
sultati non sono frutto soltanto del caso o del corso della del neoliberismo ha poi fatto crollare la
storia, ma anche di strategie e politiche specifiche che mi- figura del padrone, sia nella fabbrica che
ravano proprio alla rottura del famoso tetto di cristallo. Dal nella casa, rendendo non più necessaria
1991 al 1996 il governo degli Stati uniti creò un’apposita la critica all’androcentrismo che anima-
Glass Ceiling Commission con il compito di monitorare il va il femminismo di seconda ondata. In-
fenomeno e tentare di superarlo. I vari report prodotti dal- fine, il movimento ha cercato di adottare
la commissione evidenziavano come l’assenza di donne e una prospettiva globale attraverso le isti-
minoranze nei ruoli dirigenziali fosse uno «spreco di capi- tuzioni internazionali che non sono però
tale umano» e come la loro presenza fosse invece un «solido organismi che operano dal basso, ma
investimento» per le aziende. Tutto ciò non sarebbe stato gruppi di interesse in cui lavora persona-
possibile senza un importante cambiamento ideologico in le specializzato e altamente qualificato.
quello che viene definito «femminismo egemonico». Se- La disorganizzazione insita nell’assetto
condo Nancy Fraser il femminismo è finito per diventare neoliberista ha fatto il resto. Per Fraser,
affine al «nuovo spirito del capitalismo», come scrive nel «il sogno di emancipazione delle donne
suo famoso saggio Fortune del femminismo (Ombre Corte è imbrigliato nel motore dell’accumu-
lazione capitalista» a ogni livello della
catena sociale, dalle donne di classe me-
dia decise a rompere il soffitto di cristallo a quelle di classe povera, desiderose di liberarsi
dall’autorità tradizionale. Forti di una legittimazione politica e soprattutto morale, le istan-
ze femministe si sono fatte largo nei luoghi di potere. L’empowerment da pratica di self help
femminista è diventato uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite. Le
femocrats, le burocrate femministe, hanno ottenuto importanti posizioni all’interno delle
istituzioni internazionali, promuovendo agende per la parità e l’uguaglianza. Tutte cose che
di per sé non sono un male: non si può negare che la marginalizzazione delle questioni di
genere nei programmi politici sia un problema, così come la mancata partecipazione delle
donne alla società civile e alla vita pubblica in generale.
ESTATE 2021

Ma queste istanze possono diventare dannose nel momento in cui si crede nel pensiero
magico che basti una «donna al potere» a risolvere problemi che non sono individuali, ma
strutturali. Anzi, a ben guardare, questa forma mentis si è consolidata in un momento sto-
rico in cui c’era proprio una donna, Margaret Thatcher, a rappresentare una delle più alte
N. 11

figure di potere nel panorama mondiale. Eppure, Thatcher non ha fatto nulla per le donne
del suo paese, anche se oggi qualcuno la ricorda come un’icona femminista per il semplice
fatto di essere stata la prima premier del Regno Unito e di aver esercitato un potere inspera-
to per una donna prima di allora.
Questa sorta di risignificazione è avvenuta perché l’ideologia del femminismo egemonico
insiste sulla realizzazione personale che, non a caso, è anche il cuore dell’ideologia neolibe-
44
rista. Avendo spostato l’attenzione delle rivendicazioni da una liberazione collettiva a una
libertà individuale, che si fa spesso coincidere con un alto posizionamento all’interno della
scala sociale, il messaggio femminista si è senz’altro democraticizzato, ma allo stesso tempo
ha perso la sua conflittualità. È riuscito persino a far sembrare antiquata la metafora dello
sfondamento del tetto di cristallo: è un femminismo che si limita ad accostarsi all’esistente,
come suggerisce il fortunato libro di Sandberg. Chiaramente, il grande assente di questo
femminismo convinto che l’importante sia «farsi avanti» – pur con tutte le difficoltà dettate
dal genere – è la questione di classe.
Già Evelyn Reed ne La liberazione della donna (Meltemi 1969) si chiedeva se una donna pove-
ra avesse più in comune con un uomo povero o con la moglie di un uomo ricco che compar-
tecipava alla difesa della proprietà privata e dei suoi privilegi. La risposta di Reed era catego-
rica: finché il movimento femminista si convincerà che il nemico è il maschio e non il sistema
capitalistico, fallirà. Oggi si è compiuto il passo successivo della semplificazione, gli uomini
sono accettati nei movimenti femministi e si è perso l’interesse non tanto nell’individuazione
di un nemico, quanto più nella ricerca di una causa della diseguaglianza. Si fa riferimento a
un generico patriarcato a cui si fatica a dare un volto definito, ma che è facile da collocare
in una visione del mondo dettata dalla verticalità, in cui se c’è una direzione in cui andare
è quella verso l’alto. Questo indefinito patriarcato ci tarpa le ali nella nostra ascesa verso le
posizioni apicali, diventando l’incarnazione del soffitto di cristallo. Va da sé che l’unico modo
per sconfiggerlo è cercare di raggiungere il suo stesso posizionamento.
L’obiettivo di un femminismo incapace di considerare le radici econo-
miche della diseguaglianza, scrivono le autrici di Femminismo per il UN FEMMINISMO INCAPACE
99% (Laterza 2019) Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser, DI CONSIDERARE
sono le «pari opportunità di dominio». Non si lotta per migliorare le LE RADICI ECONOMICHE
condizioni di partenza, ma quelle di arrivo, senza mettere mai davvero DELLA DISEGUAGLIANZA
in discussione gli assi portanti del potere, a eccezione del genere di chi AVRÀ COME OBIETTIVO
lo detiene. LE «PARI OPPORTUNITÀ
Il capitalismo è riuscito a mettere le femministe nella scomoda posi- DI DOMINIO»
zione di dover scegliere tra il compromesso e la lotta senza quartiere,
annacquando sia una soluzione che l’altra e alimentando le divisioni
all’interno del movimento stesso. Se da un lato c’è sempre maggiore diffidenza nei confron-
ti del cosiddetto pinkwashing, l’uso strumentale del femminismo e delle lotte Lgbtiq da
parte di brand e aziende, una simile presa di consapevolezza per il momento non sembra
riguardare la questione del potere nel mondo aziendale, finanziario e ancor meno politico.
La sostanziale assenza delle donne da questi settori in passato non basta però a giustifi-
care l’entusiasmo mediatico che creano le «donne al potere» oggi, specialmente quando il
genere o un superficiale impegno per «i diritti delle donne» vengono usati come schermo
per giustificarsi dalle critiche o scrollarsi di dosso responsabilità politiche. Le soggettivi-
tà marginalizzate non hanno bisogno di risarcimenti compensatori, ma di cambiamenti
strutturali capaci di incidere sulla loro quotidianità, creando un cambiamento reale. Come
recitava un cartello visto in una manifestazione in Argentina, «per ogni soffitto di cristallo
rotto, c’è una donna povera e immigrata che deve pulire i cocci».
IL NEMICO INVISIBILE
45
Fenomenologia
PRIVILEGIO

del radical chic


La storia di un concetto ormai tossico che da tempo ha
perso il suo significato originario: prima indicava
il fenomeno (reale) della fascinazione rivoluzionaria
dei borghesi. Oggi descrive un’immaginaria élite culturale

«L
a verità è che io non ce la farò mai a fare parte di un’élite/ Sono
pacchiano e pretenzioso, sono radical kitsch». Quattro anni fa, in
Comunisti col Rolex, J-Ax e Fedez puntavano il dito contro l’ipocri-
sia dell’opinione pubblica che «odia il povero che diventa borghe-
se» e di un’élite progressista con la puzza sotto il naso per piacere
alla quale «è una questione di design/ Fatti una vigna sui castelli,
Lorenzo Zamponi non l’attico a CityLife».
L’idea del proletario arricchito che ostenta la propria ricchezza
con uno stile di vita pacchiano non è particolarmente originale, fa parte del repertorio rap
da qualche decennio. La cosa interessante del testo della canzone è l’identificazione totale
tra appartenenza politica e gusto estetico: sinistra e destra sono entrambe interclassiste, ma
ai primi piace fare il vino, i prodotti bio, l’auto elettrica e il veganesimo, in un pauperismo
che nasconde la ricchezza, mentre ai secondi piacciono le macchine grosse e i gioielli.
Quest’immagine della sinistra ridotta a una serie di consumi culturali raffinati, senza
più alcun riferimento di classe, è normalmente associata al concetto di «radical chic»,
coniato nel 1970 dallo scrittore americano Tom Wolfe in un ar-
ticolo che raccontava di una festa organizzata da alcuni espo-
nenti del jet set newyorkese a sostegno del Black Panther Party. Lorenzo Zamponi,
ESTATE 2021

Lo sfottò nei confronti della fascinazione di una parte dell’alta ricercatore


società per il radicalismo politico, anche nelle sue forme arma- in sociologia, si occupa
te, arrivò presto anche in Italia, accolto entusiasticamente dalla di movimenti sociali e
partecipazione politica.
N. 11

È coautore
di Resistere alla crisi
(Il Mulino 2019).
46
stampa di destra. Un fenomeno tutto interno a una fase storica ben precisa, in cui politi-
ca rivoluzionaria e avanguardia culturale si trovavano spesso in contatto. Sembra quindi
paradossale che il concetto di «radical chic» sia così comune nella politica di oggi, in cui i
miliardari guevaristi come Giangiacomo Feltrinelli e le attrici di Hollywood antimperiali-
ste come Jane Fonda scarseggiano.
Se si cerca «radical chic» su Twitter in italiano, nel maggio del 2021, le prime cinque
persone a cui questo termine viene riferito, da parte di utenti generalmente sostenitori
della Lega o di Fratelli d’Italia, sono: lo scrittore Roberto Saviano, il sindaco di Milano
Beppe Sala, il cantante e influencer Fedez, l’ex amministratore delegato Fiat Sergio Mar-
chionne e l’europarlamentare centrista Carlo Calenda. Cos’abbiano di «radical» queste
figure è un mistero: l’unico a godere di una qualche popolarità in ambienti politici di
sinistra radicale potrebbe essere Saviano, e non senza distinguo e prese di distanza. In che
senso Calenda può essere considerato «radical chic»?
Il punto è che questo concetto ha da tempo perso il suo significato originario, andando
a indicare invece un altro fenomeno: l’élite culturale, o quantomeno la sua percezione dif-
fusa. «Radical chic» non identifica più la fascinazione per le correnti politiche rivoluzio-
narie di alcuni esponenti dell’alta borghesia, ma piuttosto l’idea che esista un antagoni-
smo forte tra valori, gusti e consumi culturali dell’élite e quelli del resto della popolazione.
Come ha segnalato il sociologo svedese Jens Rydgren, la destra radicale adotta una
strategia populista molto particolare: «l’élite» a cui «il popolo» si contrappone non è mai
quella economica, ma piuttosto quella culturale. I «radical chic» diventano quindi tutti
coloro che sono percepiti come «culturalmente superiori», i trendsetter dei consumi cul-
turali e dei valori egemonici. Una grande operazione di distrazione di massa, a protezione
della vera classe dominante, l’élite economica. Se per la sinistra la società è primariamen-
te divisa in classi, e il nemico comune della maggior parte delle persone, come testimonia
questo numero di Jacobin Italia, è la classe dominante, per la destra una strategia di con-
senso popolare deve trovare altre linee di frattura e altri avversari.
Dietro al concetto di «radical chic» nel suo significato corrente, quindi, c’è la sostituzione
dell’asse economico come principale categoria di divisione della società con quello cultura-
le: ciò che determina la tua appartenenza sociale non è la tua classe o il tuo reddito, ma la tua
posizione culturale, intesa in vari modi, dal livello di istruzione all’adesione o meno a valori
genericamente progressisti, dallo stile di linguaggio ai consumi culturali. Pierre Ostiguy, nei
suoi studi sul populismo, segnala la politicizzazione delle differenze socio-culturali, di modo
di essere e di comportarsi, tra un «basso» caratterizzato da linguaggio schietto e volgare, di-
sinibizione, autorità personale, e un «alto» caratterizzato da buone maniere, freddo distac-
co, istruzione, autorità formale. Un modello in cui pare di vedere in filigrana la sagoma del
primo grande populista di destra della contemporaneità in Italia: Umberto Bossi, con i suoi
strilli, le sue camicie sbottonate, il suo accento marcato, le sue battute grevi, il suo apparire
completamente diverso dal politico colto e incravattato della Prima Repubblica e perfetta-
mente simile a uno dei tanti frequentatori quotidiani dei bar della provincia padana.
Quella della destra di identificare come nemici del popolo i «radical chic» dell’élite cul-
turale è una scelta strategica ben precisa, costruita per occultare la realtà dei rapporti
IL NEMICO INVISIBILE
47
sociali, disarticolare ogni opzione di progresso sociale e creare opportunità di consenso
popolare per proposte politiche che non mettono in discussione nessuno dei rapporti
di potere e sfruttamento che strutturano la società capitalista. Una strategia che va sma-
scherata, attaccata e ribaltata in ogni occasione, come del resto proviamo a fare in questo
numero indicando i veri avversari della grande maggioranza delle persone.
Ma attenzione: se questa strategia, almeno in parte, funziona, è perché si innesta su
processi sociali reali e concreti. Il disallineamento tra appartenenza di classe e valori cul-
turali, e la crescente rilevanza di questi ultimi nel segnare la distinzione tra sinistra e destra
sono fenomeni su cui la letteratura ormai è sconfinata, concentrandosi sull’emersione di
partiti di sinistra e destra che si posizionano sull’asse Gal (Green, Alternative, Libertarian)
– Tan (Traditional, Authority, National), sulla spaccatura interna ai ceti medi tra «vincitori»
e «perdenti» della globalizzazione, sul cosiddetto «backlash» (rinculo, contraccolpo) con-
servatore nei confronti dei progressi civili degli ultimi decenni sui temi di genere e razziali.
Thomas Piketty ha mostrato come il voto per la sinistra nei paesi occidentali sia sempre
meno associato al basso livello di reddito e sempre più all’alto livello d’istruzione, dando
vita a sistemi politici dominati da diverse élites: la «sinistra dei bramini» (l’élite cultura-
le) contro la «destra dei mercanti» (l’élite economica). Ma davvero un livello di istruzione
elevato rende «élite»? Capitale economico e capitale culturale non hanno lo stesso effetto
nel determinare la vita delle persone. Eppure, un determinato posizionamento culturale
può avere un forte impatto sulla percezione, propria e altrui, dell’ap-
partenenza sociale. I ceti medi, in particolare, si prestano a ogni tipo
QUALCHE ANNO FA SU UN di paradosso, all’incrocio tra fratture di classe, culturali e geografiche:
MURO DI MADRID APPARVE un ricercatore precario o un grafico web di città, che vivono con lo sti-
QUESTA SCRITTA: «NON pendio di un metalmeccanico, possono percepirsi o essere percepiti
SEI DI CLASSE MEDIA: come «élite» perché sono abbonati all’edizione online del New York
SEI UN LUMPEN (UN Times, mentre un imprenditore di provincia dalle svariate proprietà
SOTTOPROLETARIO) CON si identificherà e sarà identificato con «il popolo che lavora» perché
UN PO’ DI ISTRUZIONE» legge solo la Gazzetta dello sport sul banco dei gelati del bar. Schemi
paradossali, in un’Italia in cui, alle elezioni del 2018, il primo partito
tra i laureati e tra i disoccupati è stato lo stesso: il Movimento 5 Stelle.
Prendere sul serio il tema del disallineamento tra classe e cultura è necessario. Pur-
troppo, a sinistra si finisce spesso per farlo prendendo per buona la retorica tossica dei
«radical chic», in due modi apparentemente opposti ma in realtà convergenti. Il primo,
molto diffuso negli ambienti liberal e nella cosiddetta «classe professionale-manageria-
le» (media, professionisti, istruzione, lavoro creativo e così via), consiste nel rivendicare,
ironicamente ma neanche tanto, l’identità di «radical chic» e accettare una divisione del
mondo tra pochi illuminati caratterizzati da competenza, mentalità aperta, fiducia nella
scienza, europeismo, e così via, e una massa di ignoranti, volgari, retrogradi, populisti e
razzisti. Temi e stilemi molto diffusi nelle aree centriste intorno a Matteo Renzi e Carlo
ESTATE 2021

Calenda, ma anche nel Partito democratico e ovviamente nei sostenitori del governo Dra-
ghi, per non parlare dei media e del commentariato social. Una linea politica suicida per
qualsiasi opzione di sinistra, che regala alla destra la rappresentanza della maggioranza
N. 11
48
delle persone. Il secondo, più limitato nelle dimensioni, consiste nel cosiddetto «rossobru-
nismo», cioè nell’identificazione della «sinistra radical chic» come principale avversario e
nel conseguente abbandono di qualsiasi valore progressista in nome dell’inseguimento
della destra sul terreno del consenso popolare in termini conservatori. Un tentativo che si
è sempre dimostrato fallimentare, proprio perché la retorica della destra è falsa, e una clas-
se lavoratrice omogeneamente maschia, bianca, etero e conservatrice, pronta a votare per
un distopico socialismo nazionale senza progresso sociale, nella realtà concreta non esiste.
Arrendersi alla retorica dei «radical chic» e della sinistra come insieme di gusti culturali
raffinati vuol dire accettare la sconfitta strutturale di un’opzione di trasformazione della
società e assumere come naturale ed eterno il bipolarismo tra neoliberismo progressista
e populismo reazionario, tra proposte politiche che non rappresentano diverse idee di fu-
turo, ma solo diversi stili culturali e comunicativi: come sintetizzava efficacemente Matt
Karp sul n. 10 di Jacobin Italia, citando Matt Christman di Chapo Trap House, «il partito
del Non Essere uno Stronzo» contro «il partito del Non Essere una Femminuccia». Una lo-
gica figlia del realismo capitalista, della fine della storia, dell’idea che i rapporti economici
e di potere nella società siano assolutamente intoccabili e che l’unica cosa che ci resta da
fare sia interpretarli in un modo più o meno inclusivo.
Quella dei «radical chic» è la narrazione di destra su un tema reale e concreto, cioè
la crescente difficoltà di ricostruire una coalizione sociale e politica di classe per la tra-
sformazione progressista della società dopo la sconfitta storica del movimento operaio.
Rigettarla è necessario, così come è necessario prendere sul serio la questione che sot-
tende, rifiutando le scorciatoie e concentrandosi sugli strumenti concreti della ricom-
posizione: da una parte, costruendo spazi reali di insediamento sociale e organizzazio-
ne politica, dal mutualismo alla rappresentanza, che diano alle persone la possibilità
di riconoscersi oltre le nicchie culturali che segmentano la società; dall’altra, mettendo
in campo proposte politiche di avanzamento generale, progetti di società futura in cui
ci si possa identificare a prescindere dal fatto che si preferisca Bong Joon-ho o Checco
Zalone. Le sinistre post-2008, da Syriza a Podemos, dal Labour di Corbyn alle due cam-
pagne presidenziali di Bernie Sanders, hanno sperimentato questo terreno, con alterne
fortune, così come su questo terreno si misurano movimenti come quello femminista
o quello per la giustizia climatica. La crisi dei blocchi sociali novecenteschi è qui per
restare, ma la segregazione della società in tribù culturali incomunicabili non è un de-
stino segnato. Anzi, il grande sforzo ideologico del pensiero dominante per segregarci in
mille nicchie di mercato nasconde interessi comuni sempre più diffusi. Qualche anno
fa su un muro di Madrid apparve una scritta: «Non sei di classe media: sei un lumpen
(un sottoproletario) con un po’ di istruzione». In un mondo in cui ci viene fatto cre-
dere che bastino una laurea e un cocktail servito in un vasetto a renderci simili a John
Elkann, è salutare rifiutare la cooptazione e riconoscerci in interessi comuni alla grande
maggioranza delle persone: protezione sociale, salute universale, redistribuzione della
ricchezza, una vita degna e libera, un modello economico che non provochi pandemie
e catastrofi climatiche. La sfida è farne un immaginario comune di società futura in cui
riconoscersi.
IL NEMICO INVISIBILE
49
Conoscere
RICCHEZZA

i ricchi
Occuparsi di quelli che hanno molti soldi, capire chi sono
e in che modo hanno accumulato le loro fortune,
serve a comprendere in che tipo di società viviamo
ed è necessario per afferrare le ragioni della povertà

N
on esiste una definizione univoca di ricchi, ma esistono defini-
zioni socialmente accettabili, riflesso dei tempi e del senso co-
mune in un dato momento storico. Dunque come si può misu-
rare la «ricchezza» di risorse economiche? Ci sono due indicatori
principali. Il reddito (inteso come il flusso di denaro che ogni
anno guadagnamo) e il patrimonio (inteso come il valore aggre-
Salvatore Morelli gato delle risorse fisiche, degli immobili, dei terreni e di tutti i ri-
sparmi e gli investimenti finanziari accumulati nel corso del tem-
po e misurati in un dato istante temporale). Come tutte le misure, si tratta di parametri
imperfetti e approssimativi, ma anche sufficientemente informativi per identificare il
livello di benessere e prosperità individuale.
Negli anni Sessanta e Settanta l’impresa tecnologica italiana
leader nel mondo, la Olivetti, aveva una regola aurea: nessun
manager doveva guadagnare più di dieci volte il salario mini- Salvatore Morelli
mo di un operaio. Oggi, assumendo uno stipendio minimo di è ricercatore in
un lavoratore pari a 800 euro mensili, dovremmo riconoscere scienza della finanza
una persona come ricca se avesse almeno 100 mila euro di gua- all’università di Roma
dagno annuale. I dati Inps sui lavoratori dipendenti (escluden- Tre e Senior Scholar
ESTATE 2021

do professionisti e dipendenti pubblici) ci dicono che questa presso lo Stone Center


soglia è pressappoco quella necessaria per entrare nel gruppo on Socio-Economic
dell’1% più ricco dei dipendenti privati del paese, e si aggira nel Inequality – The
Graduate Center at
N. 11

the City University of


New York. È membro
del coordinamento del
Forum disuguaglianze
e diversità.
50
1%
1. Quota di reddito complessivo
0,9%
dello 0,01% più ricco del paese
0,8%
Redditi maggiori di 850 mila euro
0,7%

0,6% Fonte: Guizzardi D. e Morelli S. (in corso), su dati Mef, tabulazioni


delle dichiarazioni dei redditi a fini Irpef. Elaborazione dei dati a
cura di Demetrio Guizzardi.
0,5%

0,4%

0,3%

0,2%

0,1%

0%
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
2012
2014
2016
2018
2020
2017 intorno ai 90 mila euro mentre era pari a 62 mila euro del 1978. Con lo stesso metodo
si potrebbero identificare i «super ricchi», non l’1% più ricco ma una frazione ancora più
infinitesimale dei lavoratori dipendenti: l’1% dell’1% (il top, lo 0,01%). I lavoratori dipen-
denti entrerebbero in questo gruppo di super ricchi con almeno 530 mila euro di reddito
nel 2017. Secondo le analisi degli economisti Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio,
questa soglia è cresciuta del 140% negli ultimi quarant’anni: nel 1978 per entrare in que-
sto gruppo bastavano 220 mila euro. Più del 50% di questi individui ha residenza nella
provincia di Milano, intorno al 15% nella provincia di Roma e il resto in altre province.
Meno del 10% sono donne secondo il rapporto annuale dell’Inps.

MA COME SI MISURANO I REDDITI E I PATRIMONI?

Fino a ora abbiamo considerato solo il reddito da lavoro dipendente. Chiaramente


esistono anche altre tipologie di reddito da considerare per definire la condizione eco-
nomica: i redditi da lavoro autonomo, quelli risultanti dagli affitti di immobili, dagli
interessi sul risparmio, i dividendi e le cedole frutto di investimenti finanziari, le plusva-
lenze frutto della vendita di imprese e azioni ecc. Questi redditi, da capitale e da attività
imprenditoriale, sono particolarmente rilevanti per gli individui più abbienti.
Riconsideriamo ora quel gruppo dell’1% dell’1% dei più ricchi. Utilizzando le dichia-
razioni fiscali ai fini Irpef tabulate dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef )
possiamo allargare sia la definizione di reddito (come descritto sopra) sia la popolazio-
IL NEMICO INVISIBILE
51
70%
2. Quota di ricchezza netta del 10% degli adulti più ricco del paese
Patrimoni maggiori di 360 mila euro
65%
Fonti di natura amministrativa
Indagine campionaria
60%

55%

50%

45%

40%
Fonte: Cannari L. e D’Alessio
G. (2018) e Alvaredo F., Acciari
P. e Morelli S. (2021).
35%
1968
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
2012
2014
2016
2018
2020
ne di riferimento: non parleremo più dell’1% dell’1% della popolazione dei lavoratori
dipendenti privati (circa 1.400 persone) ma dell’intera popolazione degli adulti (ossia
circa 5.000 persone). Secondo stime elaborate da Demetrio Guzzardi, questi super ric-
chi avrebbero un reddito complessivo di almeno 850 mila euro, con una media di 1,8
milioni di euro in valore annuale. Dunque, al crescere dei redditi cresce anche la rile-
vanza di quelli provenienti dai capitali e dagli investimenti e attività imprenditoriali. Si
tratta comunque di una sottostima, visto che i redditi da capitale sono parzialmente
rappresentati nelle dichiarazioni fiscali e quindi ampiamente sottostimati (tralasciando
anche altre considerazioni, come quelle legate all’evasione fiscale ecc.).
Poi ci sono i patrimoni. Ancora più concentrati in poche mani e soprattutto, per loro
natura, molto più grandi dei redditi (ogni anno i patrimoni delle famiglie ammontano
a circa 8.500 miliardi di euro, circa 7 volte il totale dei redditi delle famiglie, pari a circa
1.200 miliardi di euro). Questa misura di risorse economiche rende la definizione di
«ricco» più interessante ma allo stesso tempo anche più difficile da calcolare.
Per misurare i patrimoni dobbiamo sommare il valore di mercato di tutti gli immobili
e terreni in possesso, gli oggetti di valore, le piccole imprese di famiglia, tutti i risparmi
nei conti bancari e postali, gli investimenti in titoli obbligazionari azionari, i risparmi
nei fondi di previdenza integrativa e di assicurazione vita e le giacenze estere, e a questi
ESTATE 2021

sottrarre tutti i debiti e i mutui contratti. Un’operazione non facile perché dovremmo
accordarci su metodi di stima e trovare una banca dati che ce lo permette. Al momen-
to in Italia ce ne sono tre: una proveniente da banche dati amministrative fiscali sulle
N. 11
52
12
3. Ricchezza media dei dieci Italiani più ricchi Forbes List
In miliardi di euro
10

8
Fonte: Alvaredo F., Acciari P.,
e Morelli S. (2021) fino al 2019
e stime dell’autore fino ad aprile 2021.
6

0
2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021
dichiarazioni di successione, frutto di un lavoro recente che ho portato avanti con due
coautori; una proveniente dall’indagine dei bilanci delle famiglie gestita dalla Banca
d’Italia dalla metà degli anni Settanta; e un’ultima lista stilata dal magazine statunitense
Forbes che fotografa i miliardari del mondo, Italia inclusa.
Consideriamo per ora solo la prima di queste serie. Con questi dati possiamo iden-
tificare chi è in possesso di almeno 500 mila euro di ricchezza o patrimonio in Italia
(soglia proposta nel dibattito pubblico per l’applicazione di un’imposta patrimoniale).
Secondo le nostre stime si tratta di quasi il 6% degli adulti più ricchi del paese con una
ricchezza media di circa 1,2 milioni di euro. Un gruppo di persone che detiene circa il
45% di tutta la torta di ricchezza totale del paese. Il 60% circa di questi patrimoni sono
composti da immobili, il 30% da investimenti finanziari e il resto da depositi e oggetti
di valore. Si tratta di un gruppo che ha anche pochi debiti. E l’1% dell’1% più ricco della
popolazione? Possiamo fare per i patrimoni lo stesso esercizio fatto sui redditi e scopri-
re che per entrare in questo gruppo ci vogliono almeno 20 milioni di euro e patrimoni
medi di circa 40 milioni di euro (detenuti per circa il 90% in investimenti finanziari). Più
risaliamo la piramide della ricchezza e più ci addentriamo nei gruppi dei super ricchi,
più si fanno predominanti i patrimoni finanziari, relativamente liquidi o più facilmente
liquidabili (cioè vendibili e quindi trasformabili in «contante»).
Per fare un paragone utile e per dare un’idea dell’ordine di grandezza, si pensi che nel
nostro paese almeno 10 milioni di adulti hanno risparmi liquidi inferiori ai 2.000 euro,
decisamente insufficienti per far fronte a uno shock di reddito come quello inflitto dalla
IL NEMICO INVISIBILE
53
14%
4. Inversione di fortune – disuguaglianze di patrimonio
Fonte: Alvaredo F., Acciari P., e Morelli S. (2021). I dati sono sulla ricchezza personale netta.
12%

10%
27 mila euro medi Top 0,1 %
16 milioni di euro medi
8%

6%
7,5 milioni di euro medi
4%

2% Bottom 50%
7 mila euro medi
Ricchezza
0%
1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016
perdita del lavoro, da una malattia o dalla pandemia in corso. Oppure considerare che il
50% della popolazione adulta più povera di patrimonio, circa 25 milioni di adulti, detiene
solo 7.000 euro in media di patrimoni e risparmi, anche per via di livelli di indebitamento
più alti. Il patrimonio dei 5.000 individui più ricchi del paese varrebbe quindi più di 10
mila volte quello dei 25 milioni di adulti più poveri. E il rapporto salirebbe a circa 20 mila a
1 includendo potenziali sottostime dei patrimoni legati all’esistenza di conti offshore (al-
meno il 9% del Pil secondo uno studio della Commissione europea). Ecco quanto siamo
lontani dalla regola aurea di Olivetti di 10 a 1.

È AUMENTATA LA CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA IN ITALIA?

Se usiamo le stime dell’indagine campionaria dei bilanci delle famiglie osserviamo


che le disuguaglianze di ricchezza, misurate in vario modo, sono decisamente cresciute
dalla fine degli anni Ottanta all’inizio del 2000 per poi stabilizzarsi fino ai giorni nostri.
Se usiamo invece le stime provenienti da banche dati amministrative fiscali e corrette
per una serie di problemi di sottostima, catturiamo una tendenza molto crescente alla
concentrazione dei patrimoni a partire dalla metà degli anni Novanta. Cioè i patrimoni
sono sempre più concentrati nelle mani di pochi, soprattutto quelli finanziari. Ci sono
ESTATE 2021

varie ragioni per ritenere più attendibili queste tipologie di stima rispetto a quelle cam-
pionarie, per via di una serie di limitazioni che non permettono a queste indagini di
catturare davvero i grandi patrimoni.
N. 11
54
Come si vede dalla fig. 4 i nostri studi sottolineano come ci sia stata una vera e
propria inversione di fortune fra la parte più povera del paese e la parte più ricca a
partire dal 1995. Un periodo molto turbolento per l’Italia, con una crisi finanziaria
molto forte, due recessioni pesanti e una crisi del debito e varie riforme del mercato
del lavoro e della spesa previdenziale. Un esempio concreto: l’1% dell’1% più ricco di
patrimoni (i 5.000 individui più ricchi) aggregava nelle proprie mani circa il 2% della
ricchezza totale delle famiglie italiane; questa fetta è più che raddoppiata nel 2016,
arrivando a circa il 5%. Tutto questo, senza contare le stime dei cosiddetti patrimoni
evasi nei conti offshore, altrimenti la quota salirebbe a quasi il 6% della ricchezza ag-
gregata delle famiglie.
Considerando solo i 5 individui più ricchi del paese, così come fotografato dai dati
Forbes, la quota di ricchezza aggregata è cresciuta nello stesso periodo dallo 0,2% allo
0,75% ed è rimasta tale fino al 2019. Nel 2020, la quota è scesa leggermente per effetto
della pandemia, ma è subito rimbalzata a dati record, 0,9% circa nel 2021, come ci dico-
no i dati preliminari. In altre parole, il valore medio della ricchezza dei dieci paperoni
Forbes italiani è passata da 8,54 miliardi di euro nel 2019 (o 7,15 miliardi nel 2020) a
10,14 miliardi di euro nei primi mesi del 2021.
A confronto, invece, il 50% più povero (25 milioni di adulti) avevano una buona fetta
della ricchezza netta delle famiglie nel 1995, quando il nostro era uno dei maggiori paesi
risparmiatori al mondo, e questa fetta valeva circa il 12%, per poi scendere a poco meno
del 4% nel 2016.

PERCHÉ È IMPORTANTE OCCUPARSI DEI RICCHI?

Spesso si sente dire che non bisogna occuparsi dei ricchi ma solo dei poveri. Tuttavia,
nonostante sfugga alla percezione, abbiamo visto come pur essendo una percentuale
molto piccola della popolazione, i «ricchi» detengono una fetta consistente delle risorse
economiche e delle attività produttive, esercitando un potere di influenza e di indirizzo
non di poco conto sulla società, sull’economia nel suo complesso e sull’utilizzo delle
risorse ambientali. Come ci ha ricordato Tony Atkinson nel suo ultimo libro, Disugua-
glianze (Raffaello Cortina editore 2015), non si può assumere che le condizioni eco-
nomiche individuali siano indipendenti. Richiamando le parole del poeta John Donne
«nessun uomo è un’isola»: ciò che succede ai ricchi influisce direttamente sui meno
fortunati.
Come scrivono, infine, Maurizio Franzini, Elena Granaglia e Michele Raitano nel
saggio Dobbiamo preoccuparci dei ricchi?, «preoccuparsi dei ricchi, per noi vuol dire,
soprattutto, chiedersi se i meccanismi che portano all’arricchimento siano compati-
bili con quello che, secondo requisiti largamente condivisi, può essere considerato un
buon funzionamento dei mercati e delle più complessive istituzioni […] Vuol dire anche
interrogarsi sulle conseguenze che il formarsi di redditi così elevati e così distanti da
quelli della grande maggioranza della popolazione può avere sul resto della società e
sulla sua stessa evoluzione nel corso del tempo».
IL NEMICO INVISIBILE
55
56 N. 11 ESTATE 2021 RICCHEZZA

Ricchi
d’Italia:
fuori
i nomi L’evoluzione della classifica mostra che nel corso degli
ultimi vent’anni i ricchi sono diventati sempre più ricchi.
Guardarli in faccia significa ripercorrere la storia recente
della lotta di classe al contrario nel nostro paese
BERLUSCONI SILVIO 7.200.000.000
DEL VECCHIO LEONARDO 6.600.000.000 SILVIO BERLUSCONI
BENETTON LUCIANO 4.900.000.000 È stato venditore e costruttore, anzi fondatore
MARAMOTTI ACHILLE 2.500.000.000 di città, poi fondatore di televisioni private e

2002
AGNELLI GIOVANNI 2.300.000.000 monopolista del settore, editore e presidente
DORIS ENNIO 2.000.000.000 del consiglio capace di egemonizzare la vita
FERRERO MICHELE 1.700.000.000 pubblica del paese per almeno vent’anni. Ha
ARMANI GIORGIO 1.600.000.000 detto: «Mia madre sostiene che non ho il know
ROSSI DI MONTELERA LORENZO 1.500.000.000 how per odiare».
TANZI CALISTO 1.300.000.000

BERLUSCONI SILVIO 5.900.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 5.600.000.000 GIORGIO ARMANI
BENETTON LUCIANO 4.600.000.000 La sua storia pare un archetipo delle mitologie
FERRERO MICHELE 3.500.000.000 neoliberali del self made man: da vetrinista

2003
MARAMOTTI ACHILLE 2.200.000.000 della Rinascente, la grande distribuzione ante
ARMANI GIORGIO 1.700.000.000 litteram, alle vette del mondo della moda, per
AGNELLI UMBERTO 1.500.000.000 cui inventa uno stile che sfonda soprattutto
PRADA MIUCCIA 1.400.000.000 nell’immaginario del cinema. Ha detto: «Essere
DORIS ENNIO 1.200.000.000 famoso è quasi un impegno morale».
GNUTTI EMILIO 1.000.000.000

BERLUSCONI SILVIO 10.000.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 6.900.000.000 ENNIO DORIS
BENETTON LUCIANO 4.500.000.000 Quarant’anni fa ha l’intuizione, nell’Italia
FERRERO MICHELE 3.700.000.000 dell’epoca inedita, di offrire consulenze

2004
ARMANI GIORGIO 2.200.000.000 finanziarie personalizzate. Fonda Programma
AGNELLI UMBERTO 2.100.000.000 Italia, poi Banca Mediolanum, posseduta a metà
MARAMOTTI ACHILLE 2.100.000.000 dalla Fininvest di Berlusconi. Ha detto: «Per
DORIS ENNIO 2.000.000.000 molti il fisco è un mezzo per ridistribuire la
PERFETTI AUGUSTO GIORGIO 2.000.000.000 ricchezza, ma è un concetto superato».
PRADA MIUCCIA 1.500.000.000

BERLUSCONI SILVIO 12.000.000.000


BENETTON LUCIANO 9.900.000.000 PESSINA STEFANO
DEL VECCHIO LEONARDO 8.500.000.000 Guida Walgreens Boots Alliance, un impero della
FERRERO MICHELE 8.500.000.000 distribuzione farmaceutica globale da 136,9

2005
ARMANI GIORGIO 4.500.000.000 miliardi di dollari di fatturato con quasi mezzo
PRADA MIUCCIA 3.000.000.000 milione di dipendenti e 20 mila farmacie in 25
CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO 2.100.000.000 paesi, dagli Usa alla Cina. Ha detto: «Non lavoro
DORIS ENNIO 2.000.000.000 per i soldi o per la gloria: mi piace soltanto
PESSINA STEFANO 1.700.000.000 costruire business».
MARCEGAGLIA STENO 1.000.000.000

57 IL NEMICO INVISIBILE
58 N. 11 ESTATE 2021

BERLUSCONI SILVIO 11.000.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 10.000.000.000 LEONARDO DEL VECCHIO
FERRERO MICHELE 10.000.000.000 La leggenda vuole che cominci da operaio
ARMANI GIORGIO 4.100.000.000 incisore e arrivi a fondare e dirigere Luxottica, il

2006
CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO 2.700.000.000 maggiore produttore e distributore del pianeta
BENETTON CARLO 2.500.000.000 sul mercato dell’ottica. Ha poi diversificato
BENETTON GILBERTO 2.500.000.000 gli affari, nel settore assicurativo e in quello
BENETTON GIULIANA 2.500.000.000 degli autogrill. Ha detto: «I miei operai e i miei
BENETTON LUCIANO 2.500.000.000 manager sono come una famiglia».
PRADA MIUCCIA 2.500.000.000

BERLUSCONI SILVIO 11.800.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 11.500.000.000 FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE
FERRERO MICHELE 10.000.000.000 Membro di una famiglia di costruttori,
ARMANI GIORGIO 4.500.000.000 protagonista di enormi speculazioni edilizie

2007
CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO 3.000.000.000 a Roma (in 50 anni ha costruito 800 mila
MORETTI POLEGATO MARIO 3.000.000.000 appartamenti) e in tutto il mondo. Possiede Il
BENETTON CARLO 2.800.000.000 Messaggero e Il Mattino. Ha detto: «Lo stato non
BENETTON GILBERTO 2.800.000.000 deve ostacolare i fenomeni: l’urbanesimo c’è
BENETTON GIULIANA 2.800.000.000 stato e la gente doveva trovare una casa».
BENETTON LUCIANO 2.800.000.000

FERRERO MICHELE 11.000.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 10.000.000.000 LUCIANO BENETTON
BERLUSCONI SILVIO 9.400.000.000 Nel 1965 apre a Belluno assieme ai suoi fratelli il
ARMANI GIORGIO 5.000.000.000 primo dei negozi di abbigliamento che portano

2008
BENETTON CARLO 2.900.000.000 il suo cognome che poi compariranno in tutto il
BENETTON GILBERTO 2.900.000.000 mondo. È uno dei simboli della trasformazione
BENETTON GIULIANA 2.900.000.000 del nordest da zona arretrata a territorio del
BENETTON LUCIANO 2.900.000.000 miracolo postfordista. Ha detto: «Non siamo né
MORETTI POLEGATO MARIO 2.900.000.000 papponi di stato né razza padrona».
CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO 2.600.000.000

FERRERO MICHELE 9.500.000.000


BERLUSCONI SILVIO 6.500.000.000 MARIO MORETTI POLEGATO
DEL VECCHIO LEONARDO 6.300.000.000 Fonda e amministra Geox, azienda calzaturiera
ARMANI GIORGIO ARMANI 2.800.000.000 che propone uno speciale tessuto che copre ma

2009
PESSINA STEFANO 1.600.000.000 al tempo stesso traspira. Ha poi annunciato di
BENETTON CARLO 1.500.000.000 voler diversificare nel settore dell’auto elettrica.
BENETTON GILBERTO 1.500.000.000 Ha detto: «È inconcepibile che uno spenda 500
BENETTON GIULIANA 1.500.000.000 euro per un paio di scarpe e poi si ritrovi i piedi
BENETTON LUCIANO 1.500.000.000 che puzzano».
MORETTI POLEGATO MARIO 1.500.000.000
FERRERO MICHELE 17.000.000.000
DEL VECCHIO LEONARDO 10.500.000.000 GIULIANA BENETTON
BERLUSCONI SILVIO 9.000.000.000 La leggenda del gruppo di famiglia (vedi sopra
ARMANI GIORGIO 5.300.000.000 Luciano Benetton) vuole che sia stata lei a

2010
MORETTI POLEGATO MARIO 2.400.000.000 tessere il primo maglione giallo sgargiante che
BENETTON CARLO 2.100.000.000 convince i suoi tre fratelli a lanciare una linea
BENETTON GILBERTO 2.100.000.000 di abbigliamento dai colori insoliti. Ha detto: «Il
BENETTON GIULIANA 2.100.000.000 successo è sempre stata l’unione della nostra
BENETTON LUCIANO 2.100.000.000 famiglia, ognuno era bravo nel proprio settore».
DORIS ENNIO DORIS 1.900.000.000

FERRERO MICHELE 18.000.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 11.000.000.000 PATRIZIO BERTELLI
BERLUSCONI SILVIO 7.800.000.000 Amministratore delegato del gruppo Prada, che

2011
ARMANI GIORGIO 7.000.000.000 gestisce con la moglie Miuccia Prada (vedi sotto).
BENETTON CARLO 2.400.000.000 Il suo capolavoro finanziario è stato far quotare
BENETTON GILBERTO 2.400.000.000 l’azienda alla borsa di Hong Kong. Ha detto:
BENETTON GIULIANA 2.400.000.000 «Siamo sempre stati all’avanguardia, pensi al
BENETTON LUCIANO 2.400.000.000 Rinascimento, ma oggi non siamo all’altezza
MORETTI POLEGATO MARIO 2.300.000.000 dell’eredità che la storia ci ha lasciato».
CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO 1.500.000.000

FERRERO MICHELE 23.000.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 11.500.000.000 AUGUSTO PERFETTI
ARMANI GIORGIO 7.200.000.000 Figlio di Ambrogio e nipote di Egidio, fondatori

2012
PRADA MINUCCIA 6.800.000.000 dell’azienda specializzata in caramelle e gomme
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 6.000.000.000 da masticare che porta il loro cognome e che ha
BERLUSCONI SILVIO 5.900.000.000 ereditato. Ha detto: «Calate l’ancora» quando
BERTELLI PATRIZIO 3.700.000.000 nel 2013, mentre stazionava nelle acque delle
PESSINA STEFANO 2.600.000.000 Baleari, gli è stato sequestrato il superyacht da
BENETTON CARLO 2.100.000.000 100 milioni di euro per presunta evasione fiscale.
BENETTON GILBERTO 2.100.000.000

FERRERO MICHELE 20.400.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 15.300.000.000 RENZO ROSSO
PRADA MIUCCIA 12.400.000.000 Anche lui, come i Benetton, è partito dal

2013
ARMANI GIORGIO 8.500.000.000 Veneto e nel 1978 ha fondato Diesel, marchio
BERTELLI PATRIZIO 6.700.000.000 d’abbigliamento famoso soprattutto per i jeans.
PESSINA STEFANO 6.400.000.000 Tramite la finanziaria Red Circle Investments
BERLUSCONI SILVIO 6.200.000.000 investe con alcuni dei soggetti più influenti della
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO ROCCA 6.100.000.000 Silicon Valley. Ha detto: «Dialogo con Dio, ma
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 5.000.000.000 non gli chiedo mai niente».
ROSSO RENZO 3.000.000.000

59 IL NEMICO INVISIBILE
60 N. 11 ESTATE 2021

FERRERO MICHELE 26.500.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 19.200.000.000 MIUCCIA PRADA
PRADA MIUCCIA 11.100.000.000 Al secolo Maria Bianchi, è esponente della terza
generazione della famiglia che ha fondato nel

2014
PESSINA STEFANO 10.400.000.000
ARMANI GIORGIO 9.900.000.000 1913 il fortunato marchio di moda. Si racconta
BERLUSCONI SILVIO 9.000.000.000 che da studente partecipasse alle manifestazioni
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 7.200.000.000 vestita Yves Saint Laurent. Ha detto, a proposito
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 6.300.000.000 del figlio che erediterà tutto: «Preparare il futuro
BERTELLI PATRIZIO BERTELLI 6.000.000.000 è la cosa che mi emoziona di più».
GARAVOGLIA ROSA ANNA MAGNO 3.500.000.000

FERRERO MARIA FRANCA FISSOLO 23.400.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 20.400.000.000 MASSIMILIANA LANDINI ALEOTTI
PESSINA STEFANO 12.100.000.000 Ha ereditato assieme ai tre figli a seguito della

2015
ALEOTTI MASSIMILIANA LANDINI 10.400.000.000 scomparsa nel maggio 2014 del marito Alberto
ARMANI GIORGIO 7.600.000.000 Aleotti il colosso farmaceutico globale Menarini,
BERLUSCONI SILVIO BERLUSCONI 7.400.000.000 che è presente in 136 paesi del mondo con più
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 6.000.000.000 di 17.000 dipendenti. Non appare sui giornali,
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 5.200.000.000 non rilascia interviste, non sono disponibili sue
BERTELLI PATRIZIO 4.100.000.000 dichiarazioni.
PRADA MIUCCIA 4.100.000.000

FERRERO MARIA FRANCA FISSOLO 22.100.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 18.700.000.000 GIANFELICE MARIO ROCCA
PESSINA STEFANO 13.400.000.000 È presidente del gruppo industriale Techint e
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 10.100.000.000 dell’Istituto Clinico Humanitas, proviene da una

2016
SILVIO BERLUSCONI 6.200.000.000 famiglia di imprenditori nel settore siderurgico. I
ARMANI GIORGIO 6.100.000.000 cospirazionisti prendano nota: è anche membro
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 5.700.000.000 della Commissione Trilaterale. Ha detto: «Oggi
DE’LONGHI GIUSEPPE 3.400.000.000 gli imprenditori sono isolati come fossero
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 3.400.000.000 portatori di indicibili interessi».
GAROVOGLIA ROSA ANNA MAGNO 3.300.000.000

FERRERO MARIA FRANCA FISSOLO 25.200.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO DEL VECCHIO 17.900.000.000 GIUSEPPE DE’ LONGHI
PESSINA STEFANO 13.400.000.000 È il presidente dell’omonimo gruppo leader nel

2017
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 9.500.000.000 settore degli elettrodomestici. Ha cominciato
SILVIO BERLUSCONI 7.000.000.000 con i condizionatori e poi è passato agli utensili
ARMANI GIORGIO 6.600.000.000 da cucina. Ha detto ai suoi 10.500 dipendenti:
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 5.700.000.000 «Se cresciamo è merito vostro», e ha distribuito
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 4.400.000.000 loro 11 milioni di euro. Su un patrimonio di
DE’LONGHI GIUSEPPE 3.800.000.000 qualche miliardo.
BERTELLI PATRIZIO 3.200.000.000
FERRERO GIOVANNI 23.000.000.000
DEL VECCHIO LEONARDO 21.200.000.000 GIOVANNI FERRERO
PESSINA STEFANO 11.800.000.000 Studia in Belgio e Stati uniti. Poi rientra in
ARMANI GIORGIO 8.900.000.000 Europa per occuparsi dell’azienda familiare,

2018
BERLUSCONI SILVIO 8.000.000.000 colosso del cioccolato e dei dolciumi fondato
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 7.900.000.000 da suo padre. Nel 1997 diventa amministratore
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 6.600.000.000 delegato della holding di famiglia. Ha detto:
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 4.900.000.000 «Senza arroganza mi definisco un operatore
DE’LONGHI GIUSEPPE 4.300.000.000 sociale nel campo economico».
ROSSO RENZO 4.100.000.000

FERRERO GIOVANNI 22.400.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 19.800.000.000 GARAVOGLIA LUCA
PESSINA STEFANO 12.400.000.000 Eredita a 25 anni il gruppo Campari da suo padre
ARMANI GIORGIO 8.500.000.000 Domenico. A quel punto si beve anche Cinzano,

2019
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 7.400.000.000 Crodino, Biancosarti, Lemonsoda e Oransoda. Ha
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 6.500.000.000 ancora sete, e in un secondo giro di acquisizioni
BERLUSCONI SILVIO 6.300.000.000 si scola Aperol, il whiskey Glen Grant e la tequila
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 4.100.000.000 Cabo Wabo. Ha detto: «Il libero mercato è la via
DE’LONGHI GIUSEPPE 3.800.000.000 per massimizzare la produzione di ricchezza».
GARAVOGLIA LUCA 3.500.000.000

FERRERO GIOVANNI 24.500.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 16.100.000.000 GUSTAVO DENEGRI
PESSINA STEFANO 10.200.000.000 Presiede DiaSorin, multinazionale attiva nel
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 6.600.000.000 settore della diagnostica e delle biotecnologie

2020
ARMANI GIORGIO 5.400.000.000 che ha avuto grandi spazi di manovra nel corso
BERLUSCONI SILVIO 5.300.000.000 della pandemia. Ha detto: «Abbiamo completato
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 4.100.000.000 gli studi medici per un nuovo kit di test rapidi per
ROCCA PAOLO E GIANFELICE MARIO 3.200.000.000 il Covid-19». E subito le azioni della sua azienda
DENEGRI GUSTAVO 3.100.000.000 sono salite del 18%.
DE’LONGHI GIUSEPPE 3.000.000.000

FERRERO GIOVANNI 35.100.000.000


DEL VECCHIO LEONARDO 25.800.000.000 Questi dati sono tratti dalle classifiche annuali
STEFANO PESSINA 9.700.000.000 della ricchezza stilate dalla rivista statunitense

2021
LANDINI ALEOTTI MASSIMILIANA 9.100.000.000 Forbes. Secondo la quale l’anno della pandemia
ARMANI GIORGIO 7.700.000.000 ha generato un nuovo miliardario ogni 17 ore.
BERLUSCONI SILVIO 7.600.000.000
PERFETTI AUGUSTO E GIORGIO 5.800.000.000
DE’LONGHI GIUSEPPE 5.200.000.000
DENEGRI GUSTAVO 5.100.000.000
BERTELLI PATRIZIO 4.600.000.000

61 IL NEMICO INVISIBILE
I manipolatori
POTERE

occulti
Gli «esperti» che commentano i fatti di attualità sui grandi
media spesso sono espressione di Think Tank neoliberisti.
Cercano di far passare per asettico ciò che è ideologico.
Una strategia che dagli Usa sta arrivando anche in Italia

N
el libro Dominio (Feltrinelli 2020), Marco D’Eramo racconta come
la Olin Foundation sia stata la prima Fondazione, agli inizi degli
anni Settanta, a dedicare le sue laute risorse non alla beneficenza
ma alle cause del liberismo estremo. Sulla scia di questo evento,
alla fine del decennio, gli Stati uniti hanno assistito al proliferare
Giuliana Freschi di ciò che Alberto Parmigiani sulla rivista Il Mulino definisce un
Demetrio Guzzardi «network culturale di Fondazioni e Think Tank» che orientano
l’opinione pubblica e ampliano la loro
sfera di influenza politica.
Si tratta di gruppi di potere che condividono l’ideologia libe- Giuliana Freschi
rista, contrari all’intervento dello stato nell’economia e sosteni- è dottoranda in
tori del libero mercato. Influenzano l’opinione politica perché economia alla Scuola
gli esponenti di questi Think Tank e Fondazioni sono ospiti Superiore Sant’Anna.
nei talk show televisivi, chiamati a parlare alla luce della loro Si occupa di storia
presunta imparzialità. Il loro raggio d’influenza non si limita al economica italiana, in
pubblico televisivo, ma raggiunge la classe dominante repub- particolare di mobilità
blicana tramite contributi finanziari e donazioni. intergenerazionale e
Alla fine degli anni Settanta questo network inizia a diven- tematiche di genere.
ESTATE 2021

tare più strutturato e potente. Nel 1977 viene fondato il centro Demetrio Guzzardi,
di ricerca neoliberale Cato Institute, oggi organizzazione plu- dottorando in
rimiliardaria di fama mondiale che vede tra i suoi fellow molti economia alla Scuola
Superiore Sant’Anna,
N. 11

si interessa di
macroeconomia,
distribuzione dei
redditi, disuguaglianze
e politiche fiscali.
62
personaggi centrali della scena politica statunitense, sia a livello di governo federale
che locale. Alcuni esempi noti sono Mark Anthony Calabria, capo economista del vice-
presidente Mike Pence durante il mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, o Andrey
Illarionov che ha lavorato come policy advisor per il presidente russo Vladimir Putin.
Intanto i fratelli Koch, proprietari dell’omonimo colosso industriale, hanno creato tre
Fondazioni con l’obiettivo di definire l’agenda politica nel medio-lungo termine. Tra
queste, il Mercatus Center presso la George Mason University, cui i Koch a metà degli
anni Ottanta donarono 30 milioni, che ha matrice accademica e un rapporto diretto
con il Congresso americano. All’inizio degli anni 2000 il network si è evoluto con l’isti-
tuzione dei Koch seminars, riunioni di finanziatori di estrema destra. Nel 1981, nacque
l’Atlas Economic Research Foundations (oggi Atlas Network), Fondazione ombrello che
raccoglie e finanzia gruppi liberisti e per il libero mercato.
Lo scenario nostrano è, a prima vista, diverso. Sebbene non esista un Think Tank pa-
ragonabile a quelli citati per dimensioni o notorietà, esiste tuttavia una rete iperconnes-
sa. È un gruppo che sta ampliando la propria influenza sia nei principali media italiani
che in ruoli di vertice della politica nazionale, e che risulta particolarmente visibile su
Twitter. Esempi sono l’Istituto Bruno Leoni (Ibl), la Fondazione Luigi Einaudi di Roma,
l’Adam Smith Society e l’Istituto Liberale. Nomi forse poco noti, al contrario però dei
loro esponenti più di spicco.
Il presidente di Ibl, Franco Debenedetti, vanta una carriera da senatore dal 2001 al
2013. Sebbene sia sempre stato senatore di partiti di centrosinistra (come del resto il suo
predecessore, l’ex deputato di Ds e Pd Nicola Rossi, con lui nel Cda), alle elezioni politiche
del 2013 ha sostenuto il partito Fare per Fermare il Declino insieme a molti altri perso-
naggi dello stesso ambiente. Non è l’unico «aggancio» di Ibl con la politica: il direttore
Ricerche e Studi, Carlo Stagnaro, ha ricoperto vari incarichi sul tema energia al Ministe-
ro dello sviluppo economico durante i Governi Renzi e Gentiloni. Più recentemente, l’8
febbraio 2021, è stato invitato insieme a Serena Sileoni in audizione alla camera per una
riunione della commissione finanze presieduta da Luigi Marattin. Ormai praticamente
staff aggiunto a Il Foglio, collabora anche con altri giornali come Il Sole 24 Ore, Huffington
post, e Lavoce.info. Sileoni, anche lei editorialista per Il Mattino e per Il Foglio, e membro
del comitato scientifico della Scuola di politiche fondata da Enrico Letta, a marzo 2021
è stata nominata dal capo di Gabinetto del presidente Mario Draghi tra i tre esperti che
dovranno occuparsi delle emergenze economiche e sociali del paese. Da allora è fellow
onoraria di Ibl, ma a dicembre, da vicedirettore generale, aveva lanciato la campagna di
«sportello legale» gratuito per le «vittime della decretite acuta» del governo. Non meno
esposto il direttore generale di Ibl, Alberto Mingardi, che quotidianamente collabora con
Il Sole 24 Ore, Il Foglio, e La Stampa e, da giugno 2020, anche con l’inserto economico del
Corriere della Sera. Anche il research fellow Francesco Ramella, che dal 2018 al 2019 ha
fatto parte del gruppo di lavoro «Grandi Opere», istituito presso lo stesso Ministero, scrive
regolarmente per il quotidiano Domani.
Nella più piccola Adam Smith Society cercano di non essere da meno. Il presidente
Alessandro De Nicola scrive regolarmente su Il Foglio, La Stampa (dove, insieme a Carlo
IL NEMICO INVISIBILE
63
Cottarelli e Giampaolo Galli commenta vicende politiche ed economiche nei video della
serie Economia in quark), ma anche su La Repubblica e l’Espresso. Tra i membri del comi-
tato scientifico vale la pena menzionare gli economisti Alessandro Penati, che scrive an-
che lui per Domani e La Repubblica, a riprova della passione della stampa «di sinistra» per
i liberisti de noantri, e Veronica De Romanis frequentemente ospite nei programmi Tv di
attualità di La7. Ma anche Francesco Giavazzi, attualmente influente consulente di Mario
Draghi; Elsa Fornero, già ministra del lavoro e delle pari opportunità col governo Monti;
Antonio Martino, parlamentare per ventiquattro anni fino al 2018 e ministro per gli affari
esteri nel governo Berlusconi; i citati Cottarelli e Galli (ora animatori di un Osservatorio
Conti Pubblici), Debenedetti e Rossi; Ugo Arrigo ascoltato in audizione alla camera sul
tema Alitalia nel 2019; l’ex membro del board della Bce Lorenzo Bini-Smaghi; il sociologo
Luca Ricolfi, assurto a opinion-maker a 360 gradi con il suo La società signorile di massa.
Da parte sua, la Fondazione Luigi Einaudi vede coinvolti personaggi come Sergio Bocca-
dutri, parlamentare Pd, e Giorgio Calabrese, che ha ricoperto incarichi come Consulente
scientifico delle commissioni del ministero dell’agricoltura.
A queste potremmo aggiungere la giovane rivista Liberi oltre le illusioni, che dal nucleo
di economisti «amerikani» come Michele Boldrin che avevano lanciato la sfortunata lista
Fare, sembra stia aggregando parte di questo mondo (tra i redattori, figurano gli «Ibl» Car-
lo Amenta, Sileoni, Stagnaro, oltre al giornalista de Il Foglio Luciano Capone).
A differenza delle Fondazioni e istituti statunitensi da cui traggono ispirazione (e a cui
talvolta sono anche formalmente associate), non è tuttavia altrettanto semplice capire
quali interessi economici prima che politici stiano sotto quella che a volte è una sem-
plice attività di divulgazione di idee liberali, altre un vero lobbying politico. Il mercato
statunitense infatti rende trasparente come le Fondazioni dell’Atlas Network (di cui sono
ufficialmente «partner» Ibl e Istituto Liberale) ricevano l’endorsement (e il finanziamento)
da multinazionali come la petrolifera ExxonMobil, o Philip Morris; allo stesso tempo, la
notorietà della famiglia Koch rende ben chiaro l’orientamento politico-economico die-
tro le loro iniziative. Non è lo stesso quando, sui nostri quotidiani, nei talk televisivi o in
programmi di approfondimento radiofonico, si chiamano a commentare le vicende eco-
nomiche i membri di questi istituti, presentati al pubblico italiano asetticamente come
«esperti», membri di istituti di ricerca slegati da precise ideologie o interessi.
Per la legge 124/2017 è però necessario rendere pubbliche entro il 28 febbraio di ogni
anno le sovvenzioni ricevute da enti e società a enti non profit. Nonostante l’ostilità
nei confronti dello stato evidente fin dalle loro autopresentazioni (ad esempio, sul sito
dell’Istituto liberale si può leggere come il loro obiettivo sia «Incoraggiare l’emancipa-
zione dell’Individuo da agenti esterni, come lo stato»), scopriamo che se l’Adam Smith
Society e l’Istituto Liberale non prendono alcun contributo pubblico così non è invece
per la Fondazione Einaudi e Ibl. Per quest’ultimo, la faccenda da ossimorica assume
tratti pittoreschi: l’incauto visitatore del loro sito web, infatti, viene accolto da un futu-
ESTATE 2021

ristico contatore del debito pubblico, perennemente in aggiornamento, evidentemente


volto a sottolineare come la spesa pubblica sia sempre e comunque negativa. Eppure,
tale spesa non sembra un problema quando i finanziamenti pubblici arrivano a loro.
N. 11
64
Ibl, come la Fondazione Einaudi, ha ricevuto contributi dalla Pubblica Amministrazio-
ne anche nel 2020; per Ibl si tratta del Ministero dell’istruzione, ministero dell’univer-
sità e della ricerca, per la Fondazione Einaudi il ministero dell’economia e finanze e il
ministero della cultura.
Sui nomi degli altri finanziatori, invece, si sa ben poco. Nel caso di Ibl, sappiamo
quanta parte dei loro finanziamenti viene da quale settore (ad esempio: energia, finan-
za, farmaceutico, assicurazioni, sanità). Ed ecco il secondo paradosso: non è contro-in-
tuitivo che un’associazione che promuove le idee per il libero mercato che si fondano
sul diritto a un’informazione perfetta, libera e accessibile, non persegua la trasparenza
come fine ultimo? Benché fornisca informazioni sufficienti a soddisfare i requisiti di
legge, citare nomi e cognomi dei finanziatori permetterebbe ai fruitori della loro disin-
teressata ricerca e divulgazione di conoscere eventuali conflitti di interesse. Una cu-
riosità che cresce per settori come energia e infrastrutture dove, come abbiamo visto,
Stagnaro e Ramella hanno ricoperto ruoli di responsabilità pubblica e che rappresenta-
no complessivamente quasi il 6% del bilancio della Fondazione cui appartengono. Nei
casi in cui queste informazioni trapelano il quadro che emerge non è incoraggiante. In
un tweet dello scorso ottobre, Ibl ringraziava l’American Institute for Economic Rese-
arch (Aier) per il supporto a una pubblicazione dell’istituto. Se la natura del supporto
non è meglio definita, ciò che è innegabile è che l’Aier è stata promotrice di petizioni
anti-lockdown; sebbene si tratti di una lobby per il libero merca-
to e non un’istituzione medica, pubblica frequentemente articoli
sull’inutilità e sui danni derivanti dall’uso della mascherina, per PUÒ SEMBRARE SOLO
non parlare delle sue posizioni su quella che definiscono «isteria UNA RETE OPACA, MA È UN
climatica». Anche da noi, del resto, al loro core business – diffonde- TASSELLO DELLA CLASSE
re, per dirla con Ibl, «idee per il libero mercato» o, in parole povere, DOMINANTE, IN GRADO
un armamentario di ideologia economica che è spesso alla destra DI LANCIARE CAMPAGNE
persino del dibattito americano e di organizzazioni come il Fondo PER INFLUENZARE
monetario internazionale – questi gruppi affiancano sempre di più L’OPINIONE PUBBLICA
divulgazione di dubbia scientificità su temi cruciali come la salute e
il cambiamento climatico. Anche una breve ricostruzione permette
di rendersi conto della loro pervasività: quella che può sembrare soltanto una rete opa-
ca, rappresenta un tassello importante della classe dominante del nostro paese, in gra-
do di lanciare vere e proprie campagne per influenzare l’opinione pubblica, coprendo
l’intero «arco parlamentare» dell’informazione.
Ad esempio, il 27 marzo scorso – quando l’Italia era sulla soglia dei 24.000 nuovi po-
sitivi al Covid-19 e contava 380 nuovi morti – il sito di Ibl ospitava un articolo sulle
riaperture: una riflessione sul concetto di rischio, e sulla necessità di comprendere che
qualsiasi scelta, sia quelle di «fare» adottate dal governo (leggi: chiudere) sia quelle di
«non fare» comportano costi. Il «paternalismo pubblico» si esplica, dunque, in «una
demagogia abile a fare leva su una diffusa ipocondria». Lo stesso autore dell’articolo,
Carlo Lottieri, è meno moderato in un articolo di alcuni giorni dopo, pubblicato su Il
Giornale: lì, il «paternalismo» diventa il «totalitarismo sanitario» che ha «sequestrato»,
IL NEMICO INVISIBILE
65
attraverso leggi e atti amministrativi, i nostri diritti fondamentali. Posizioni simili sono
sostenute negli articoli a quattro mani da Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi su Il
Foglio, e da Mingardi sul Corriere.
Sempre a marzo, mentre si discuteva l’importanza di sospendere i brevetti sui vaccini,
e Joe Biden ne riconosceva l’immediata necessità per consentirne l’accesso ai paesi in via
di sviluppo, la Fondazione Einaudi e l’Ibl ne chiedevano la privatizzazione, assieme alla
massima libertà tanto per le aziende quanto, e soprattutto, per i pazienti, condannando
il «centralismo statalista» nella gestione. In un articolo sull’inserto economico del Cor-
riere della Sera, lo scorso 8 marzo, ancora Mingardi proponeva la decentralizzazione dei
vaccini, prendendo come esempio gli Stati uniti, primi al mondo nella somministrazione,
per l’accordo pubblico-privato sia nella produzione che nella distribuzione. Una simile
rassegna la si potrebbe condurre sul cambiamento climatico. Ma ciò che è qui impor-
tante rilevare non è tanto il dettaglio delle loro posizioni ma come queste organizzazioni
siano in grado di penetrare in profondità il dibattito italiano – cosa che rende ancor più
necessario che siano trasparenti le motivazioni sottostanti la loro instancabile attività.
Sorge spontaneo chiedersi, infatti, quanto le dotte opinioni dei membri di questi Think
Tank siano frutto di un personale, disinteressato e legittimo punto di vista; o se invece,
siano dettati dalla necessità di venire incontro agli interessi delle donazioni provenienti
dal settore farmaceutico – nel caso dell’Ibl, sappiamo che nel 2020 complessivamente
questo settore pesava per oltre il 7% del bilancio. Crediamo che, oltre
a noi, dovrebbero esserne consapevoli anche i direttori dei quotidia-
NEGLI STATI UNITI SONO ni e dei programmi che li invitano a intervenire in qualità di esperti.
I PETROLIERI A FINANZIARE Se questo è vero per i contributi privati, dovrebbe esserlo ancora di
IL NEGAZIONISMO più quando si tratta di soldi pubblici: per dirla con Gennaro Caro-
CLIMATICO, tenuto, è paradossale che se negli Usa sono i petrolieri a finanziare
È PARADOSSALE CHE IN il negazionismo climatico, in Italia possa essere lo stato a farlo. Nel
ITALIA POSSA ESSERE suo blog, Carotenuto analizza infatti il caso, per certi versi assimila-
LO STATO A FARLO bile, de Il Foglio: un quotidiano di ideologia liberal-capitalista che ha
beneficiato per anni di contributi pubblici, poiché non in grado, lui
per primo, di stare in quel mercato su cui, dalle sue pagine, chiama
quotidianamente a pontificare molti degli autori citati in questo articolo.
In ogni caso, questa breve ricostruzione, basata sulle poche fonti disponibili, rende
chiaro come da questi Think Tank interconnessi emergano commentatori influenti nel
dibattito pubblico e nella scena politica anche in Italia. Anche se meno importanti e in-
fluenti dei loro corrispettivi statunitensi, gli epigoni italiani riescono a essere presenti su
tutti i media nazionali (spesso, anche quelli che dovrebbero parlare al pubblico di «sini-
stra»). Anzi, è forse proprio la loro scarsa notorietà a permettere loro di entrare nel dibat-
tito pubblico in qualità di esperti super partes, invece che di membri di un gruppo ideolo-
gicamente ben riconoscibile e schierato, spesso più a destra del mainstream economico
ESTATE 2021

internazionale o addirittura con posizioni negazioniste – come emerge quando si parla


di cambiamento climatico. E la mancata trasparenza su chi siano i finanziatori di questi
Think Tank rende impossibile individuare possibili conflitti di interesse.
N. 11
66
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per fare u iente qui esto Col sa che ha vinto il Premio
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di George a detto Jean n ’a rm st oo Assia Petricelli
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N. 11
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68
69
Tu invece devi spiegare che la forza motrice della
Caro compagno... storia dell’uomo è l’economia, e mettere in evidenza
i due modi in cui una società può essere governata e
organizzata: da una parte ci sono i metodi autoritari
di vario genere, rappresentati in sfumature diverse
dagli ordinamenti capitalisti e fascisti; dall’altra
Pensano di non avere bisogno di c’è il metodo egualitario, che è governo di popolo, Il 21 agosto 1971, nel carcere di San Quentin, George Jackson muore, colpito alle spalle da un agente in
Il 13 gennaio 1970, nel
ideologia, di strategia, di economia di popolo, socialismo dialettico e Ci sono forse altri modi di circostanze poco chiare. Il suo corpo viene rimosso dal cortile solo molte ore dopo. Una settimana prima
governare una società? carcere di Soledad, era riuscito a far uscire dal carcere, con le indicazioni per la pubblicazione, “Con il sangue agli occhi”.
tattiche; pensano sia più che materialista.
sufficiente essere pronti alla O ci sono gerarchie, o c’è durante una rissa, una
battaglia. l’eliminazione delle guardia spara dalla
gerarchie. torretta senza
avvertimento, uccidendo
tre neri. Quando arriva il
verdetto di assoluzione
per legittima difesa, un
secondino è ritrovato
morto. Dell’omicidio è
Geo
accusato George, insieme
a John Cluchette e
Fleeta Drumgo, senza
prove, con la sola
motivazione che “era
l’unico che poteva averlo
fatto”. Diventeranno i
“fratelli di Soledad”.

Alcuni mesi dopo il fratello


diciassettenne di George, Jonathan,
entra armato in un’aula di tribunale
A dover morire siamo sempre stati di San Rafael, libera i detenuti sotto
noi, e lo siamo ancora oggi: noi,
processo e prende in ostaggio il Lasciate da parte i litigi, mettetevi insieme, cercate di capire la realtà della nostra condizione,
che dobbiamo morire per stare al cercate di capire che il fascismo c’è già, che il popolo sta già morendo e può essere salvato, che
giudice e alcune giurate.
gioco, per il menefreghismo della Un uomo nato da una morte prematura,
società, per combattere le guerre servo della gleba, operaio con un
altre generazioni ancora moriranno, o vivranno una vita a metà macellate dalla miseria, se voi non
degli Stati Uniti in terra salario di pura sussistenza, un uomo riuscirete ad agire. Fate quel che c’è da fare, scoprite nella rivoluzione la vostra umanità e il
straniera. che oggi lavora e domani chissà, vostro amore. Trasmettete il segnale di fuoco. Unitevi a noi, e la vostra vita datela
il lavacessi, l’uomo prostrato, al popolo.
catturato, senza riscatto:
quello sono io,
la vittima del colonialismo.
New York 2011
Occupy Wall Street

La repressione ha accompagnato ogni


momento della mia vita, una repressione
così spaventosa che ogni mio movimento
può essere solo un sollievo, una piccola
vittoria, una liberazione. In ogni reale
significato del termine, io sono uno
Per lo schiavo la rivoluzione è un
schiavo della e per la proprietà.
imperativo, un atto cosciente di
disperazione dettato dall’ amore.
È aggressiva, non è fatta con cautela
o distacco. È audace, sfacciata, Poco dopo rapitore e ostaggi sono
violenta, è un’espressione di gelido falcidiati da una scarica di pallottole
e sprezzante odio! sul furgone usato per la fuga.
Dell’ accaduto viene accusata
anche Angela Davis: le armi usate
per il rapimento risultano
intestate a lei.

Non ho versato una lacrima,


sono troppo fiero per farlo.

Ho amato Jonathan, ma la sua morte ha


Mettere in atto un cambiamento rivoluzionario significa prendere tutto ciò che è solo rafforzato la mia volontà di lottare.
in possesso dell’ 1 per cento e trasferirlo nelle mani del rimanente 99 per cento. Per essere fiero mi basta sapere che era
carne della mia carne e sangue del mio
sangue.
(In)sensibili

RICCHEZZA
al potere
Il lavoro di Alberto Nerazzini ha un filo conduttore:
studiare l’intreccio tra ricchezza e criminalità organizzata.
Temi che un sistema informativo spesso legato ai potenti
si rifiuta anche di prendere in considerazione

A
lberto Nerazzini è uno dei più brillanti documentaristi e giorna-
listi investigativi Italiani. Noto per le sue inchieste sui paradisi
fiscali, sul riciclaggio, sulla criminalità organizzata e sul siste-
ma clientelare che governa la previdenza, il fisco, la giustizia e
Francesca Coin la sanità, Nerazzini ha lavorato a lungo in Rai a Sciuscià, Anno
intervista Zero e Report. Oggi lavora con la sua casa di produzione indipen-
Alberto Nerazzini dente, la Dersu, ed è vicepresidente dell’associazione Dig che
celebra il giornalismo investigativo e difende la libertà di infor-
mazione. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come funziona il potere in Italia e quale
sia il prezzo da pagare per la propria libertà di espressione, in una fase storica in cui il
potere si serve dell’informazione per legittimarsi, arrivando spesso a difendersi proprio
da quei giornalisti coraggiosi dal cui lavoro dipende la salute
della democrazia.
Alberto Nerazzini ha
Sei uno dei giornalisti più amati e temuti d’Italia, oltre a lavorato in Rai con
essere uno degli autori che più negli anni è riuscito a mettere Sciuscià, AnnoZero
a nudo il modo in cui qui opera il potere. Vorrei che ci aiutas- e Report. Collabora
si a capire la relazione tra informazione e potere in Italia a con svariate testate
partire dalle tue inchieste. Partiamo da Il grande bluff, do- straniere di inchiesta.
cumentario uscito su Rai Tre nel 2015 nel quale ci conduci Ha fondato la società
in un viaggio nel mondo sommerso dell’evasione e del rici- Dersu che produce
documentari e
IL NEMICO INVISIBILE

podcast ma anche
investigazioni
finanziarie e
giornalistiche.
75
claggio. Il documentario si apre con le parole di Ronen Palan della City University di
Londra, che ricorda come la crisi del debito del 2015 fosse l’altra faccia dei 30 mila
miliardi che all’epoca erano depositati offshore e come la stessa crisi greca potesse es-
sere rapidamente risolta con due sole succursali della Banca Hsbc. Ne Il grande bluff
tu intervisti alcuni tra i personaggi più ricchi d’Italia, dal fondatore di Geox Moretti
Polegato all’ex patron del Napoli Corrado Ferlaino, sino a Marcella Bella, accusata e
infine prosciolta nell’ambito di una grande inchiesta per la quale è stato condannato
il marito Mario Merello. Cosa significa occuparsi di offshore e riciclaggio in italia?
Il grande bluff doveva essere la prima puntata di una serie prodotta da Rai Tre e de-
dicata all’oscuro mondo dell’offshore. Purtroppo, il progetto fu ucciso nella culla e Il
grande bluff è rimasto l’unica puntata della serie, oltre a essere una delle poche produ-
zioni Rai che non si trova su Raiplay e che è stata cancellata anche da YouTube. In Italia
occuparsi di offshore significa immortalare l’intollerabile consapevolezza di impunità
dei potenti, forti di milioni di euro raccolti praticando l’inganno, e una macchina giudi-
ziaria che spesso è contraddittoria e alcune volte complice.
Il Grande Bluff parte dalla lista trovata nel computer del fiduciario svizzero Fabrizio
Pessina, arrestato all’aeroporto di Milano al ritorno da un torneo di golf in Spagna. Era
una storia giudiziariamente chiusa che fece molto clamore e che aveva almeno due ano-
malie. La prima è che, nonostante fosse un’inchiesta chiusa, la procura di Milano ha ri-
fiutato la mia richiesta di accesso agli atti. La seconda è che di liste
Pessina in circolazione ce n’erano almeno tre, tutte diverse. L’unico
OCCUPARSI DI FINANZA modo per verificarle era prendere i nomi dei clienti accusati di eva-
OFFSHORE SIGNIFICA sione e andarli a cercare uno per uno, il metodo vecchia scuola che
IMMORTALARE ho seguito. La cosa importante è che l’evasione fiscale è un inizio di
L’INTOLLERABILE narrazione. È il reato più classico, ma il vero scandalo è che nella
CONSAPEVOLEZZA maggior parte dei casi l’evasione fiscale è l’anticamera del riciclag-
DI IMPUNITÀ gio. La frode fiscale è un reato gravissimo, nei confronti del quale la
DEI POTENTI macchina della giustizia si mostra spesso debole, ed è uno dei reati
presupposto del riciclaggio, che è il punto cruciale, il reato «princi-
pe» delle criminalità organizzate, davvero troppo ignorato dall’atti-
vità inquirente. Un po’ di dati allarmano e rendono l’idea: in Italia abbiamo un’evasione
che è superiore al gettito fiscale annuale, quindi senza evasione saremmo ricchi il dop-
pio. A causa della loro famigerata segretezza non è semplice fotografare la montagna di
denaro custodita nelle giurisdizioni offshore, ma si stimano 30-40 mila miliardi di dol-
lari. Infine, in tutto il mondo le forze dell’ordine intercettano solo l’1% del riciclaggio.

Perché hai deciso di dedicarti a temi così complessi già da giovanissimo?


Mi ha sempre interessato il potere. Anche le oltre 13 ore di 121269, il podcast che ho
dedicato lo scorso anno alla strage di Piazza Fontana, rappresentano una lunga indagi-
ESTATE 2021

ne sul potere.
I. F. Stone, scrittore e autore americano nato nel 1907 e punto di riferimento per i
giornalisti investigativi, negli anni Settanta diceva «All governments lie», tutti i governi
N. 11
76
mentono. Ti faceva capire che il giornalista deve sempre mettere in discussione la po-
sizione ufficiale, si tratti di un governo, di una multinazionale o del potente di turno. In
Italia questa regola base non è sempre rispettata. I.F. Stone diceva anche: «Se qualcosa
va storto con il governo, una stampa libera lo scoprirà e lo sistemerà. Ma se qualcosa va
storto con la stampa libera, il paese andrà dritto all’inferno».
Sono equazioni semplici. Ma in Italia ci sono alcune grandi bugie. La prima riguarda il
mito dell’oggettività del giornalismo. Un’altra patologia del nostro giornalismo è che dalle
nostre parti la tesi nasce prima dello studio e prima della ricerca dei fatti che devono es-
sere verificati. Il vero giornalismo è fatto di tesi e di punti di vista figli di mesi di ricerca, di
incroci di dati, di fonti diverse. Un’altra cosa che mi manda fuori di testa è la contrattazio-
ne, la prassi per cui la materia giornalistica diventa materia di contrattazione. Su questo
ne faccio proprio una questione di principio, perché nel momento in cui il contenuto del
tuo lavoro diventa oggetto di contrattazione, e diventa legittimo negoziare cosa tenere e
cosa tagliare, è già la fine. Questo mi ha portato a rompere dei rapporti di lavoro.

Tra le tue inchieste più note ci sono quelle sulla sanità. Già nel 2005 con La mafia è
bianca tu e Stefano Bianchi mettevate in evidenza come la sanità fosse uno dei settori
più remunerativi per la criminalità organizzata. Rivedendole ora queste tue inchie-
ste, risulta paradossale come quando si parla di sanità in Lombardia l’unica cosa che
non si nomina è la salute.
La sanità è uno dei temi su cui ho lavorato di più ed è un altro tema di potere. Perché
fare il lavoro del giornalista vuol dire aiutare il tuo potenziale spettatore o lettore a capi-
re le cause di una diseguaglianza che a volte non è nemmeno recepita. Invece la sanità è
un luogo di potere, un luogo di riciclaggio e spesso un luogo di accumulazione indebita.
L’Italia teorizza in maniera solenne il diritto alla salute nella Costituzione e ha un Servi-
zio Sanitario Nazionale tra i più avanzati del mondo. Quindi faccio fatica a capire come
possa esserci qualcuno che fa profitti forsennati nella sanità.
Tutto era nato quando ho fatto l’inchiesta sull’ex senatore e presidente della Regione
Sicilia Totò Cuffaro, La mafia è bianca, dove gli interessi della politica e della mafia si in-
contravano e si intrecciavano proprio sulla sanità. Già a fine degli anni Ottanta c’erano
sulla scrivania di Giovanni Falcone delle informative dove si documentava come la ma-
fia siciliana da tempo avesse deciso di investire e riciclare nella sanità, partendo da un
principio molto semplice: la droga genera grandi profitti, ma perché rischiare solo con
la droga quando si possono generare altrettanti profitti senza sporcarsi troppo le mani,
anzi facendo qualcosa di importante ed encomiabile, come una bella clinica?
Il sistema lombardo è l’avanguardia di tutto questo. Io credo che ancora non abbia-
mo capito bene le conseguenze di quanto accaduto negli anni Novanta, quando a livel-
lo legislativo si è creata l’istituzione dell’accreditamento e dell’incontro fra pubblico e
privato nella sanità. L’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni è andato oltre
perché ha messo privato e pubblico direttamente in competizione tra loro. Adesso cre-
do che si cominci a capirlo, ma ormai è tardi. Nel frattempo il pubblico si è indebolito
mentre i privati hanno realizzato utili clamorosi.
IL NEMICO INVISIBILE
77
Dopo La Mafia è Bianca ti sei occupato a lungo della sanità in Lombardia, con La
Cura e La Convenzione (2009), La Prestazione (2010), La Divina Provvidenza (2011),
lavorando su questo tema con una decina di anni di anticipo rispetto ad altri.
La sanità è interessante anche perché nasconde una delle tante responsabilità di
noi giornalisti: non aver spiegato bene com’è cambiata la corruzione in questi anni.
Stiamo semplificando, ma nella Prima Repubblica il modello della corruzione preve-
deva una gestione sistemica e centralizzata delle tangenti, che doveva necessariamen-
te passare attraverso i vertici delle strutture di partito. Dopo Tangentopoli, la corru-
zione si è rapidamente «evoluta» attraverso modelli di frammentazione organizzata.
Ecco, i miliardi del Fondo Sanitario Nazionale hanno sempre fatto gola a tanti, alle
lobby e agli interessi più spregiudicati – che saccheggiavano, riciclavano, compravano
consensi e scalavano anche i partiti – ma le funzioni e le risorse in materia sanitaria
passate alle Regioni hanno in qualche modo anticipato il modello della frammenta-
zione: con il Fondo Sanitario Regionale non c’è bisogno di andare a Roma. Il sistema
Formigoni è un esempio di questo modello di corruzione.
La Divina Provvidenza, l’inchiesta su Don Luigi Verzè, il fondatore del San Raffaele,
ha battuto ogni record d’ascolto perché conteneva tutti gli elementi, c’era la politica,
con Berlusconi che volteggiava su tutta la storia, e c’era la sanità privata, considerata
il simbolo dell’eccellenza lombarda. Eppure la nascita del San Raffaele ha più del cri-
minogeno che del sanitario.
Del resto, l’origine degli imperi economici in Italia è spesso oscura, non sappiamo
da dove arrivano i soldi, pensiamo alla parabola di Berlusconi o all’impero degli Ange-
lucci, tutto costruito dentro la sanità, dove i soldi però li hanno fatti in tanti, da Ciar-
rapico a Rocca dell’Humanitas, passando dallo stesso De Benedetti che ha occupato
il settore delle Rsa, un business enorme che durante la pandemia ha mostrato tutte le
sue intollerabili debolezze.

Veniamo a Cassa Continua, trasmesso da Report nel 2014. In questa inchiesta


guardi alle casse previdenziali, che in tutto rappresentavano all’epoca un patrimo-
nio di 61 milioni. Stiamo parlando dei contributi previdenziali di medici, psicolo-
gi o giornalisti. In quel servizio metti in luce un complesso intreccio tra finanza e
politica, che parte dalla Bocconi per mostrare come questi fondi vengano gestiti
a danno dei contribuenti e a beneficio di privati e grandi banche d’investimento.
Guardando i tuoi servizi insieme verrebbe da pensare che ciò che chiamiamo welfa-
re, la previdenza la sanità l’istruzione, sia di fatto un bottino.
È una sintesi forte ma per certi versi è stato utilizzato da moltissime lobby come un
bottino. Non era la prima volta, ma ricordo che Milena Gabanelli fece davvero di tutto
per convincermi a non fare quell’inchiesta, che per me era invece necessaria perché
avevo una fonte importante e c’era un problema abbastanza evidente che riguardava
ESTATE 2021

un miliardo di euro sparito dentro la sola Enasarco, la cassa degli agenti e rappre-
sentanti di commercio. L’impressione da giornalista era che quello delle Casse fosse
veramente un po’ l’ultimo bottino da saccheggiare. Dentro alle casse potevi trovare
N. 11
78
di tutto: il Vaticano, la criminalità organizzata, gli interessi dei partiti e della finanza
più «creativa». Sono riuscito a mandarla in onda ma subito dopo ho deciso di lascia-
re Report per la prima volta, perché avevo avuto la prova di quello di cui parlavamo
prima, di come un’inchiesta possa diventare materia di contrattazione, e lo trovavo
insopportabile.

Qual è il costo politico della libertà di espressione? So che hai ricevuto decine di
querele con richieste per milioni e milioni di euro. Sembra di vivere in un sistema
di corruzione strutturale che attraverso il giornalismo si legittima, al punto che i
giornalisti più lucidi vengono percepiti come pericolosi. È cambiato il giornalismo
o cosa?
Non credo che il giornalismo sia cambiato. Certo, in Italia non ci sono editori puri
e non ci sono esperienze come Mediapart in Francia, ProPublica o The Intercept negli
Stati uniti, che ratificano l’indipendenza nel giornalismo. In Italia invece l’inchiesta
è lasciata quasi esclusivamente nelle mani dei freelance, che sono i meno protetti e
garantiti. La patologia si è sicuramente cronicizzata, però, se abbiamo bisogno di un
Fedez per smascherare la schifosa ipocrisia del contemporaneo, dove non c’è nem-
meno più bisogno di censurare, al «sistema» basta parlare di «inopportunità». Che
lessico agghiacciante. Eppure è così che funziona, tutti i giorni dell’anno, non solo
il primo maggio, e riguarda tutti. Anche nell’unica isola felice del
giornalismo d’inchiesta, a Report, esiste l’«opportunità», e diventa
conveniente occuparsi di temi non sensibili, perché il tuo lavoro L’ORIGINE DEGLI IMPERI
è valorizzato allo stesso modo dal punto di vista del budget se ti ECONOMICI IN ITALIA
occupi dei fondi neri dell’Eni o di cose molto più leggere, anche se È SPESSO OSCURA,
ovviamente le competenze e i rischi in gioco non sono nemmeno NON SAPPIAMO
paragonabili. DA DOVE ARRIVANO
Poi altri pezzi importanti di complessità e di rispetto delle re- I SOLDI, COME NEL CASO
gole giornalistiche si sono persi per strada nella rincorsa dell’au- DI BERLUSCONI
dience, a cui da noi, a suon di spettacolarizzazioni mostruose,
partecipano tutti, anche programmi come Report.

Chi te lo fa fare di fare il giornalista d’inchiesta in Italia?


Quando ho cominciato l’accusa che mi veniva rivolta da colleghi era di essere un
anarchico. Io non credo di essere anarchico però lo prendevo come un grandissimo
complimento. Mi viene in mente Pier Paolo Pasolini, che in un’intervista rilasciata nel
1975 sul set di Salò o le 120 giornate di Sodoma diceva: «Nulla è più anarchico del po-
tere. Il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente
arbitrario o dettato da necessità di carattere economico, che sfuggono alle logiche
razionali». Per l’ennesima volta Pasolini aveva ragione. «Nulla è più anarchico del po-
tere», è esattamente così. Per questo se si vuole sfidare il potere un buon giornalista
un po’ anarchico deve esserlo. Diciamo che almeno 8, 10 ore al giorno bisogna essere
anarchici.
IL NEMICO INVISIBILE
79
Il grande
RICCHEZZA

furto
Ogni anno le multinazionali evitano di
pagare tra i 250 e i 600 miliardi di dollari
di tasse, grazie ai sistemi chiamati di
accomodamento fiscale. È anche per

legalizzato
questo motivo che il reddito globale si è
spostato dal lavoro al capitale

I
n principio fu Silvio Berlusconi. Era il 17 febbraio 2004, dodice-
simo anniversario dell’inizio di Tangentopoli: se lo stato chiede
troppo, diceva in conferenza stampa, «mi sento moralmente au-
torizzato a evadere, per quanto posso, le tasse». L’imprenditore
diventato politico confessava il senso di giusto sollievo che pro-
voca – in certa classe imprenditoriale – fregare il fisco, che sia con
Lorenzo Bagnoli l’elusione o con l’evasione fiscale. Donald Trump, altro uomo d’af-
fari che condivide con Berlusconi l’amore per il nero, durante la
campagna elettorale del 2016 ha risposto alle accuse di «non
aver pagato neanche un centesimo di imposte federali sul red-
dito» con: «Già, perché sono furbo». Nemmeno Ronald Reagan, Lorenzo Bagnoli è
il presidente secondo cui «lo stato (o, parafrasando, l’esattore giornalista di IrpiMedia,
delle tasse) non è la soluzione, ma parte del problema» era mai Investigative reporting
arrivato a tanto. project Italy. Ha
Imprenditori della stessa pasta di Trump o Berlusconi, gli realizzato con
ESTATE 2021

oligarchi russi, i principi sauditi, i cleptocrati africani, i colossi Alessia Cerantola un


industriali con fatturati che doppiano il Pil di molti paesi sono episodio sulla Lega
coloro che godono di quello che gli economisti Gabriel Zucman di Matteo Salvini per
ed Emmanuel Saez chiamano in un loro libro Il trionfo dell’ingiu- Democracy Undone:
N. 11

stizia (Einaudi 2020). È il sistema che consolida la distribuzione The Authoritarian’s


della ricchezza mondiale. A partire dagli anni Ottanta, intorno a Playbook, serie
esso si è costituita l’industria «dell’ottimizzazione fiscale», ovvero podcast realizzata
l’accomodamento della dichiarazione dei redditi propria e delle dalla testata
proprie aziende nelle più disparate giurisdizioni allo scopo di ri- statunitense The
durre al minimo o addirittura a zero l’imponibile fiscale. Groundtruth Project.
80
70.000
Le segnalazioni di infrazione ricevute 5 novembre 2017
60.000 dall’autorità antiriciclaggio del Lussemburgo Paradise Papers

50.000
Le segnalazioni ricevute aumentano
in concomitanza con l’uscita di grosse 1 novembre 2014 3 aprile 2016
inchieste giornalistiche LuxLeaks Panama Papers
40.000

30.000

Fonte: Rapport annuel 2019, Cellule de renseignement financier.


20.000

10.000

0
2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019
Il sistema è illegale solo se gli inquirenti del paese che subisce il furto del gettito rie-
scono a dimostrare che lo schema fiscale ha prodotto un guadagno illecito. Però a quel
punto ci si deve accordare non solo con l’impresa da sanzionare, ma anche con il paese
che l’ha protetta, che non sempre è disposto a rinunciare a quanto incassa, anche se è
meno di quanto dovrebbe. È così che negli ultimi cinquant’anni stati più o meno pic-
coli – da Panama a Malta, dalle isole caraibiche ai Paesi Bassi o al Lussemburgo – sono
diventati patrie delle società «bucalettere», ovvero aziende che esistono solo per nome e
indirizzo, oltre le quali, però, non esistono dipendenti, ma solo flussi di cassa. La geopo-
litica delle tasse ha creato una concorrenza al ribasso tra i paesi di tutto il mondo. Con il
risultato che gruppi imprenditoriali abbastanza grossi sono in grado di condizionare con
il loro gettito fiscale, seppur «scontato», i bilanci di alcuni stati che fanno dell’attrattività
verso le imprese la loro principale risorsa, visto che scarseggiano di altro.

UN SISTEMA ROTTO

Il Fondo monetario internazionale e l’Ong Tax Justice Network stimano che ogni anno
le multinazionali non pagano tra i 250 e i 600 miliardi di dollari grazie agli schemi di acco-
modamento fiscale. Dal 2013 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Econo-
mico (Ocse), organizzazione internazionale nata nel 1960 allo scopo di promuovere poli-
IL NEMICO INVISIBILE

tiche più inclusive a livello internazionale, ha lanciato il progetto Beps (Base erosion and
profit shifting). In pratica, è una strategia mondiale per recuperare almeno 100 miliardi
di questo tesoretto. Dopo anni di traccheggiamenti, la crisi economica indotta dall’emer-
genza sanitaria ha spinto il presidente degli Stati uniti Joe Biden a proporre un’aliquota
minima mondiale per le imprese al 21% e ad alzare quella degli Usa dal 21 al 28%. Para-
dossale che a proporre questi cambiamenti sia un presidente che è stato per anni sena-
81
tore del Delaware, il paradiso fiscale per eccellenza negli Usa, dove i beni immateriali
– come brevetti, strumenti finanziari o brand – non sono minimamente tassati. È il segno
di quanto sia necessaria una riforma fiscale globale. La segretaria del Tesoro Janet Yellen
in un editoriale sul Wall Street Journal del 7 aprile ha definito «un sistema rotto» la con-
correnza tra stati per gli sconti fiscali. Ha poi preso di mira il Tax Cut and Jobs Act voluto
da Trump nel 2017, una riforma che ha ridotto l’aliquota fiscale alle imprese dal 35 al 21%
e ha permesso di far rientrare i soldi offshore negli Stati uniti pagando il 10,5% di tasse.
L’attenzione ai gettiti fiscali per l’amministrazione Biden è legata al piano di investimenti
pubblici da duemila miliardi per finanziare la ripresa post-pandemia. Queste esigenze
combaciano con una fase storica in cui in Europa alcuni paesi tassano i giganti del web
come Google, Amazon e Microsoft, i più difficili tra i contribuenti dai quali battere cassa.
Ecco perché oggi accade l’impensabile e si parla anche in ambienti fortemente liberisti di
limitare il grande furto del gettito fiscale.

PRIVILEGI AD HOC

Spostare bilanci e accomodare gettiti è il mestiere di circa 250 mila tra contabili e av-
vocati di tutto il mondo. Le soluzioni che studiano, nei casi delle aziende più importanti,
diventano accordi ad hoc con le autorità tributarie di un certo paese. Per esempio, in Ir-
landa Apple ha sottoscritto due accordi del genere nel 1991 e nel 2007
per tassare i profitti di due divisioni europee tra l’1% lo 0,005%. Nel
CON 10 MILIONI DI INGLESI 2016 la Commissione europea ha definito l’accordo «un aiuto di stato
ABBONATI, NETFLIX NON illegale», condannando l’azienda a restituire al fisco irlandese 13 mi-
HA MAI PAGATO UN liardi di euro di tasse arretrate e 1,3 miliardi di interessi. Il Tribunale
CENTESIMO DI TASSE dell’Unione europea nel giugno del 2020 ha però annullato l’ingiun-
ALLA GRAN BRETAGNA. zione perché non ci sono prove per dimostrare che lo sconto fisca-
ALL’ITALIA HA VERSATO le è un aiuto di stato. La lista dei privilegi, soprattutto delle aziende
SOLO 6 MILA EURO che operano online, è lunga. L’Ong britannica TaxWatch, sempre nel
2020, ha svelato lo schema attraverso cui Netflix, nonostante 10 mi-
lioni di abbonati in Gran Bretagna, non abbia versato un centesimo
di gettito a Sua Maestà. Da una ricerca del Centro Studi Mediobanca del 2020, è emerso
che in Italia, alla fine, la piattaforma di streaming ha pagato seimila euro. A fine 2019 la
procura di Milano ha aperto un fascicolo d’inchiesta perché in Italia, nonostante avesse
all’epoca 1,4 milioni di abbonati, registrasse attraverso altre società i suoi dipendenti, oc-
cultando di fatto possibili fonti di gettito. L’indagine è ancora in corso, mentre scriviamo.

CINQUE ANNI DI SEGRETI SVELATI

È evidente che per poter funzionare al meglio ed evitare impicci giudiziari il sistema
ESTATE 2021

dell’«ottimizzazione fiscale» ha bisogno di discrezione. Cinque anni fa, però, uno dei
più prestigiosi studi panamensi, Mossack & Fonseca, è finito al centro dei Panama Pa-
pers: 11,5 milioni di file riguardanti 214 mila società registrate a Panama e fino a quel
N. 11

184.087.359.433
dollari

il danno fiscale causato al resto del mondo per la presenza di paradisi fiscali in Europa
Fonte: The state of tax justice, 2020.
82
momento totalmente anonime in termini di proprietari e bilanci. A Panama le società
con un reddito annuo sopra gli 1,5 milioni di dollari pagano il 4,6% di tasse, le altre
il 25%. Il «battito d’ali» della pubblicazione dei documenti riservati ha provocato l’au-
mento delle segnalazioni di operazioni sospette fatte da banche e altri professionisti
alle unità delle banche centrali anche in altri paradisi fiscali, come il Lussemburgo (vedi
infografica). La violazione del segreto ha creato allarme. E non solo alle multinazionali
che cercano di massimizzare i profitti, ma anche ai criminali che riciclano denaro spor-
co o che nascondono i loro introiti in fondi neri. Le società anonime sono funzionali
a movimentare denaro senza che l’operazione sia riconducibile a una persona fiscale
reale. Schemi di questo genere sono utilizzati per riciclare denaro sporco. I proventi di
un reato iniziale vengono immessi sul circuito finanziario lecito attraverso società di cui
non si conosce il proprietario. Ecco perché, insieme alle aliquote basse, i paradisi fiscali
offrono sempre riservatezza.

STORIE DI TANGENTI IN LUSSEMBURGO

L’ultima inchiesta internazionale sui paradisi fiscali si chiama OpenLux ed è stata co-
ordinata da Le Monde insieme al network internazionale di giornalisti investigativi Oc-
crp. Per l’Italia è stata seguita da IrpiMedia. Il database di partenza è stato il registro dei
beneficiari ultimi delle società lussem-
burghesi che sulla carta è un archivio
pubblico dei proprietari reali delle so- go aveva una sua fiduciaria, la Silvio Berlusconi Sa, che
cietà lussemburghesi, spesso anonime, secondo i risultati dell’indagine All Iberian funzionava
ma nei fatti è utilizzabile solo per ricer- da veicolo attraverso cui distribuire in altri paesi offshore
che per nome di società ed è incomple- tangenti destinate a Bettino Craxi e al Partito socialista.
to. Per quanto con l’introduzione del Nel 2000 si è prescritto il reato di finanziamento illecito
registro nel 2020 sia diventato obbliga- ai partiti per cui Sua Emittenza – come lo chiamavano i
torio in Lussemburgo indicare il bene- giornali allora – è finito a processo. Secondo la procura
ficiario ultimo, dall’analisi di OpenLux di Genova, in un fondo d’investimento del Lussemburgo
emerge che oltre la metà delle società si troverebbero anche 10 dei 49 milioni di euro indebita-
non lo esplicita e le sanzioni per chi non mente percepiti come aiuto pubblico ai partiti che la Lega
si adegua sono in media di poche mi- avrebbe nascosto alla giustizia italiana. Sempre nel Gran-
gliaia di euro. Questo registro è il primo ducato, nel lontano 1975, quando a magheggiare offshore
del genere nell’Unione europea quindi erano in pochi, il banchiere Roberto Calvi ha costituito la
se implementato malamente rischia di società-madre del Banco Ambrosiano attraverso cui poi
segnare uno standard al ribasso della ha gestito i soldi dello Ior in operazioni spregiudicate.
trasparenza societaria in Europa. Ancor È molto nutrita la schiera di veri o sedicenti broker
più di Panama, il Lussemburgo è una che operano dal Lussemburgo finiti in qualche indagine
meta particolarmente gettonata dai mi- giudiziaria per reati di truffe, corruzione, riciclaggio o di
liardari europei, italiani compresi. Silvio natura fiscale. Tuttavia, paradossalmente, la loro presen-
Berlusconi, l’uomo al principio dell’o- za è sempre meno un segnale d’allarme vista l’enormità
dio politico per le tasse, in Lussembur- di professionisti che operano in modo legale offshore, in
Lussemburgo come in qualunque altro paradiso fisca-
IL NEMICO INVISIBILE

le. Questa migrazione di massa dei professionisti della


contabilità è coincisa con il fenomeno epocale per cui il
reddito, oggi, si è spostato sul capitale (sulle rendite e i
patrimoni) invece che sul lavoro. Perché è da allora che
è diventato necessario trovare strumenti per occultare la
ricchezza dalle mani del fisco.
83
Il lavoro
POTERE

sporco I consulenti di McKinsey confezionano modelli


e danno forma al capitalismo da decenni, dispensando
strategie aziendali e indirizzando corporation e stati
alla ricerca del profitto. Con ogni mezzo necessario
ESTATE 2021
N. 11

Illustrazione
di Mariapaola Bossini
per Mimaster illustrazione
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magazi
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e
da jac
N
el 1935, la mastodontica catena di grandi magazzini Marshall Field’s
stava perdendo fiumi di denaro. Il consiglio di amministrazione del-
la società decise allora di portare in squadra un uomo che aveva la
nomea di guru del rinnovamento aziendale: James O. McKinsey.
McKinsey, sfoggiando la sua miscela unica di esperienza conta-
bile, legale e manageriale, studiò i registri della Marshall Field’s per
Nichole M. Aschoff alcuni mesi, consigliando infine di liquidare la divisione di vendite
all’ingrosso, chiudere i negozi con i profitti più bassi e tagliare 1200
posti di lavoro. Ansioso di accertarsi che la trasformazione fosse un successo, McKinsey
assunse lui stesso il comando per portare a compimento la ristrutturazione aziendale che
divenne famosa come «la purga McKinsey».
«Mac» non sopravvisse alla sua prima incursione nei vertici di un’azienda vera e pro-
pria, e nel 1937 morì di polmonite. Ma il potere di The Firm («lo Studio», come lo chia-
mano gli addetti ai lavori della McKinsey) di modellare le aziende e i governi è aumentato
a dismisura nei circa cento anni che ci separano dalla sua fondazione. Oggi McKinsey &
Company è una potenza globale che conta circa trentamila consulenti in sessantacinque
paesi e vanta ex-studenti ai vertici di oltre settecento aziende Standard & Poor 500. I suoi
clienti includono nove tra le dieci aziende più grandi del mondo, e gode dell’attenzione
costante di politici, reali e demagoghi di tutto il globo.
McKinsey è famoso soprattutto per aiutare le istituzioni – dalle aziende far-
maceutiche alle agenzie governative – ad acquisire valore, spesso attraverso
una riduzione dei costi. Come sostiene Duff McDonald, autore del libro The Nicole M. Aschoff fa
Firm: The Story of McKinsey and Its Secret Influence on American Business, parte dell’editorial
«McKinsey ha provocato da solo più licenziamenti di qualsiasi altra entità in board di Jacobin Mag.
tutta la storia delle aziende». Ha scritto The New
Tuttavia The Firm è molto più di un mero distruttore di posti di lavoro. Prophets of Capital
Come ha scritto C. Wright Mills in The power élite, «l’élite al potere non è fatta (Verso 2015) e The
da sovrani solitari. Spesso i fautori dei pensieri e delle decisioni più importanti Smartphone Society:
sono i consiglieri e i consulenti, i portavoce e gli opinionisti». McKinsey è un Technology, Power,
fabbricante di idee, che si insinua in governi e aziende spacciando la propria and Resistance in
visione di come dovrebbero funzionare le cose. the New Gilded Age
Si tende a trascurare il ruolo che ricoprono le idee nel sistema capitalista. I (Beacin Press 2020).
comportamenti, le strategie, le priorità e i presupposti dei leader d’azienda sono La traduzione
visti frequentemente come sottoprodotti razionali dell’impulso a fare profitto – è di Gaia Benzi.
«buone pratiche» che sorgono in risposta a segnali di mercato. C’è ovviamente
un fondo di verità in tutto ciò. Ma istituzioni come le imprese e le agenzie gover-
native sono, nel bene e nel male, anche fortemente influenzate dallo Zeitgeist capitalista,
uno Zeitgeist in cui McKinsey ha giocato un ruolo fondamentale per decenni.
Nei vent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il keynesismo e la Guerra
fredda sono stati fattori cruciali per definire l’identità aziendale. I dirigenti davano va-
lore alla sicurezza, alla predicibilità e all’espansione delle quote di mercato, e credevano
di poterle ottenere più facilmente assumendo persone a tempo indeterminato, evitando
rischiosi investimenti finanziari e reinvestendo i profitti nell’acquisire e ampliare le pro-
IL NEMICO INVISIBILE

prietà immobiliari. In quegli anni, le aziende statunitensi sono cresciute fino a diventare
imprese di massa, sollevando il problema di come potessero essere gestite al meglio.
McKinsey era pronto a rispondere a questa domanda, vendendo un modello organiz-
zativo – la struttura multidivisionale decentralizzata, o M-Form – che aiutasse aziende
come la Chrysler, la Raytheon e la General Food a gestire il proprio impero. McKinsey
cominciò anche a esportare il proprio sapere vendendolo alle aziende europee che, come
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scrive McDonald, da un lato erano terrorizzate da un’invasione americana, dall’altro cer-
cavano disperatamente di occupare la propria fetta di mercato. La Siemens, l’Hitachi, la
Bank of England, la Royal Dutch Shell e la Renault vennero tutte «McKinseyzzate».
Ma, negli anni Sessanta, man mano che la competizione cresceva e le contraddizio-
ni del modello Bretton Woods aumentavano, i profitti aziendali rimanevano stagnanti, e
il modello conglomerato statunitense cominciò a destare sospetti. Le grandi compagnie
sembravano improvvisamente lente e prive di attrattiva. Futuristi come Alvin Toffler e
Warren Bennis andavano propagandando una nuova visione dell’azienda – più piccola,
agile e flessibile – che McKinsey rese possibile.
Come sostiene Louis Hyman in Temp: How American Work, American Business, and
the American Dream Became Temporary, i consulenti giocarono un ruolo cruciale nella
drammatica ristrutturazione aziendale degli anni Ottanta. I consulenti, i rapporti e i li-
bri di McKinsey incitavano le aziende a tagliare i costi, eliminando i quadri aziendali e
rimpiazzando gli impieghi a tempo indeterminato con l’esternalizzazione, i contratti a
progetto e il lavoro interinale. Le strategie di minimizzazione del rischio passarono dalla
riduzione del turn-over e dal reinvestimento di capitali alle politiche di licenziamento e
alla massimizzazione del valore a beneficio degli azionisti. Anziché identificarsi con la
propria industria, McKinsey incoraggiava gli amministratori delegati a far coincidere i
propri obiettivi solo e soltanto col profitto.
Ma per qualche ragione la politica di taglio dei costi non era mai
applicabile ai consulenti. Hyman sostiene che «negli anni Ottanta,
NEGLI ANNI OTTANTA le aziende statunitensi più potenti avevano di norma un set fisso di
GLI STRATEGHI AZIENDALI consulenti che le consigliavano sulle questioni di strategia azienda-
DELLE IMPRESE le… Gli strateghi aziendali delle imprese erano i consulenti, non più
NON ERANO PIÙ i leader anziani delle imprese stesse».
I DIRIGENTI ANZIANI In questi giorni, lo Zeitgeist dei capitalisti sta cambiando ancora.
DELLE IMPRESE STESSE: Il credo che massimizzare il valore per gli azionisti porterà maggiori
ERANO I CONSULENTI ricompense anche per i singoli e le comunità ha perso il suo smalto
dopo la crisi finanziaria del 2008. Ma McKinsey guarda già avanti,
alle meraviglie del data analysis e dell’intelligenza artificiale. Il suo
sito enfatizza l’esperienza di The Firm nella «traduzione dei dati», che aiuta le aziende a
usare gli algoritmi e il machine learning per incrementare i ricavi e la crescita.
Anche se McKinsey è spesso associato alle aziende, sin dagli albori i suoi consigli sono
stati alacremente richiesti anche dai leader politici. Nello stesso periodo in cui aiutava i
dirigenti a gestire le sottoaziende della struttura multidivisionale degli anni Cinquanta
e Sessanta, sviluppava anche proficui rapporti con le agenzie governative. Il presidente
Dwight D. Eisenhower, per esempio, assunse la società di consulenza nel 1952 per farsi
consigliare su chi piazzare in alcuni rami del governo. Decine di agenzie governative, dal
Dipartimento della difesa alla Nasa, hanno assunto consulenti McKinsey per ottimizzare
ESTATE 2021

il flusso di lavoro e sviluppare la propria organizzazione.


In realtà, l’influenza politica globale raggiunta oggi da McKinsey si era consolidata già
negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. L’Inghilterra e la Germania fecero un
uso estensivo dei suoi consulenti. E così fece anche Julius Nyerere, il presidente socialista
N. 11

della Tanzania. Agli inizi degli anni Settanta, Nyerere aveva un team di consulenti McKin-
sey che lavoravano per lui sullo sviluppo di progetti per la transizione postcoloniale.
Oggi, le consulenze al settore pubblico in Nord America rappresentano un’industria dal
valore di 9 miliardi di dollari. Solo negli ultimi anni McKinsey ha ottenuto ben 20 milioni di
dollari dall’agenzia Immigrazione e Dogane (Ice, Immigration and Customs Enforcement)
degli Stati uniti. L’ex-presidente Barack Obama ha assunto McKinsey per aiutare l’Ice con
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il flusso di deportazioni, e Donald Trump ha rinnovato il contratto, includendo tra le sue
mansioni quella di trovare modi per tagliare i costi nella lotta all’immigrazione illegale. Se-
condo un’indagine di ProPublica, le raccomandazioni di McKinsey all’Ice includevano lo
spendere meno soldi per cibo, assistenza sanitaria e supervisione per i detenuti.
Ma qual è l’ingrediente segreto di McKinsey? Perché le aziende e i paesi sono così an-
siosi di affidarsi a lui? McDonald sostiene che il successo di The Firm non risiede nell’o-
riginalità delle sue idee e dei suoi consigli. «Il grande segreto di Pulcinella del modello
aziendale di McKinsey – dice – è che la gran parte del suo successo deriva dall’aver ri-
venduto le intuizioni di altri». Per esempio, «per diversi decenni, il prodotto principale
venduto da McKinsey non era nient’altro che una versione personalizzata della struttura
organizzativa decentralizzata e multidivisionale già messa a punto da pionieri come Du-
pont [primo esempio di azienda passata a una struttura divisionale in grado di sostenere
il processo di diversificazione, Ndt]».
Lungi dall’essere una ricetta infallibile per il successo, il prestigio di McKinsey, inami-
dato dalla sua sequela di laureati provenienti dalla Harvard Business School e da altre
istituzioni d’élite, dà alle compagnie la copertura necessaria a implementare piani di ri-
strutturazione drastici. Rivolgersi a McKinsey premette ai dirigenti di prendere decisioni
impopolari, come fece l’Ibm con i licenziamenti di massa e l’eliminazione dei contratti
a tempo indeterminato che devastarono la comunità dello stato di New York nei pressi
dell’azienda.
In realtà McKinsey ha dato un sacco
di cattivi consigli nel corso degli anni. stato il suo ruolo nella scandalosa cattiva gestione e nell’a-
Nel caso della Tanzania, per esempio, vidità mostrate da Skilling e dai suoi compari. Questa
Brian Van Arkadie cita «le proposte difficoltà deriva in parte dal fatto che McKinsey è estre-
esterne mal congegnate di riforme am- mamente riservato sulle proprie attività. La società non è
ministrative» di McKinsey come un fat- quotata in borsa, non rende pubblico il guadagno dei suoi
tore chiave dell’incapacità del paese di partner e non dice chi sono i suoi clienti. La trasparenza è
sviluppare una burocrazia competente. ottenuta solo grazie alle inchieste, che spesso portano alla
AT&T, General Motors e Swissair sono luce scenari inquietanti.
fallite dopo aver assunto i consulenti del- Tra le inchieste c’è quella di ProPublica. Ha investigato
lo studio, e come dimenticare la Enron? sulla propaganda di McKinsey relativa al programma di al-
L’amministratore delegato Jeffrey Skil- loggi di «restart» di Rikers Island, che avrebbero abbassato
ling, ex-consulente McKinsey, ha coin- il tasso di violenza nel complesso carcerario del 50%. An-
volto la società di consulenza in maniera thony Shorris, vice del sindaco [di New York] Bill De Blasio,
continuativa negli anni immediatamente aveva assunto McKinsey nel 2014 in seguito a un’ondata di
precedenti al collasso madornale dell’a- attenzione da parte dei media sulla brutalità della vita al
zienda nel 2001 e alla condanna a dodi- Rikers, dove le risse, gli accoltellamenti e le aggressioni per
ci anni di Skilling per diciannove capi di mano delle guardie erano all’ordine del giorno. La città di
imputazione per frode fiscale, insider tra- New York ha pagato McKinsey, che non aveva alcuna espe-
ding e associazione a delinquere. rienza di ristrutturazioni di carceri o prigioni, 27,5 milioni
The Firm nega qualsiasi illecito nel di dollari in tre anni per mettere alla prova la nuova stra-
caso Enron, ma è difficile dire quale sia tegia anti-violenza.
McKinsey sostiene che il suo programma di «restart» è
IL NEMICO INVISIBILE

stato un grande successo. Ma l’inchiesta di ProPublica ha


rivelato che le statistiche sui miglioramenti sono state pi-
lotate. McKinsey e gli amministratori della prigione hanno
riempito le case di «restart» con i prigionieri meno violenti
del Rickers. Per di più, anziché trovare modi per placare
la violenza crescente all’interno della prigione, McKinsey
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ha incoraggiato le guardie a utilizzare più spesso i taser, le
armi da fuoco e i cani da guardia K9.
La società non si limita a mentire sull’efficacia delle
proprie ricette. Mente anche sul suo ruolo di «esperto di-
sinteressato» – promette di mantenere un alto muro di se-
parazione tra il lavoro di consulenza che svolge per i suoi
clienti e il ritorno finanziario che le deriva dall’aver inve-
stito in quelle stesse aziende. La prima volta che McKinsey di ristrutturazione in seguito alla banca-
ha rotto questo muro è stato negli anni Novanta, quando i rotta per, tra le altre cose, capire quanto
più alti dirigenti della McKinsey furono sorpresi a fare in- le sarebbe costato ripagare i creditori. Il
sider trading. McKinsey fu travolto dallo scandalo e giurò problema è che McKinsey, attraverso il
che in futuro avrebbe vigilato. Ma, in seguito, una serie di fondo di investimento Mio, era proprio
indagini rivelarono che il conflitto di interessi era ancora uno di questi creditori, in un conflitto di
più che presente. interessi abbastanza grande da far ordi-
Il fondo di investimenti segreto di McKinsey sembra nare a un giudice federale la riapertura
avere in questi casi un ruolo centrale. Il McKinsey In- del caso.
vestment Office, o Mio Partners, gestisce circa 25 miliar- Un problema simile c’è stato a Porto-
di di dollari per gli impiegati, i pupilli e i pensionati della rico. McKinsey è stato assunto da Porto-
McKinsey attraverso una serie di fondi di investimento più rico (finora ricevendo un compenso di
piccoli, e una location offshore nell’isola di Guernsey nel 50 milioni di dollari) per aiutare il terri-
Canale della Manica dove custodisce gran parte delle sue torio a immaginare un exit strategy per il
proprietà. Tuttavia, non si sa molto della Mio Partners e suo debito paralizzante e cominciare un
dei suoi investimenti. Né è chiara la relazione tra la Mio e percorso di crescita e sviluppo. Purtrop-
McKinsey. Ma quello che si sa non promette bene. po per Portorico, McKinsey aveva un
Recenti rivelazioni dimostrano che McKinsey ha tenu- interesse materiale nel far sì che l’isola
to il piede in due staffe nei casi di fallimento. Un’azienda ripagasse i creditori – e cioè era uno di
di carbone della Virginia, l’Alpha Natural Resources, aveva quei creditori, con almeno 20 milioni di
assunto McKinsey per essere aiutata a delineare un piano dollari investiti in titoli portoricani.
Secondo il New York Times, il piano
che McKinsey ha venduto a Portorico
«era sorprendentemente generoso verso i proprietari dei bond delle imposte sulle vendi-
te. A questi proprietari sono stati offerti dei nuovi bond, che sarebbero stati valutati o al
93% o al 56% del valore dei precedenti, a seconda dei termini dei vecchi bond». Dopo che
l’affare si è concluso, sembrerebbe che il fondo di investimenti di McKinsey (attraverso le
sue società controllate) abbia raddoppiato il suo investimento originario in bond portori-
cani, mentre l’isola e i suoi abitanti continuano ad annaspare.
La frequenza dei conflitti di interesse di McKinsey nelle consulenze sui fallimenti ha
raggiunto il punto in cui, nel 2019, la società è stata costretta a siglare un accordo con il
Dipartimento di giustizia degli Stati uniti in cui acconsentiva a pagare 15 milioni di dollari
ESTATE 2021

per risolvere le situazioni pendenti. Tuttavia, l’accordo copre solo una parte delle com-
missioni incassate da McKinsey, per non parlare dei soldi che il suo fondo di investimenti
ha guadagnato grazie ai piani di ristrutturazione.
A volte, si presenta il problema opposto: McKinsey si «disinteressa» quando chiara-
N. 11

mente non dovrebbe. Nel 2015, l’Arabia Saudita ha assunto la compagnia per valutare
come le politiche di austerità economica che il governo stava mettendo in campo in quel
periodo erano percepite dal pubblico. McKinsey produsse un rapporto in cui figuravano
i nomi di tre individui che avevano criticato il regime su Twitter. Poco dopo, una della
persone nominate è stata arrestata, mentre un’altra ha detto che i suoi fratelli erano stati
imprigionati e il suo telefono hackerato.
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The Firm ha espresso «orrore» per il fatto che il suo rapporto potesse essere stato usato
per scopi malvagi. Ma un orrore non abbastanza intenso, si direbbe, da impedirgli di parte-
cipare a una grossa conferenza sugli investimenti in Arabia Saudita poco dopo il coinvolgi-
mento del governo saudita nell’omicidio e nello smembramento del corpo del giornalista
Jamal Khashoggi nel 2018. Il governo saudita è uno dei principali clienti di McKinsey.
McKinsey accetterebbe soldi da più o meno chiunque. Il miliardario ucraino Rinat
Akhmetov aveva assunto la compagnia per esaltare le virtù di Viktor Yanukovych davanti
al popolo ucraino e al mondo. E McKinsey lo ha fatto, organizzando incontri a New York
e a Washington su come Yanukovych avrebbe modernizzato e fatto crescere l’economia
ucraina. Invece, Yanukovych ha derubato un intero paese ed è fuggito in Russia. Nessun
problema. McKinsey ha semplicemente assunto sé stesso per rimpiazzarlo.
Quando all’ex candidato democratico alle presidenziali e allievo di McKinsey Pete But-
tigieg è stato chiesto delle potenziali implicazioni sul piano etico insite nel lavorare con
alcuni tra i più malfamati clienti di McKinsey, ha risposto: «Non ho mai lavorato su un
progetto che fosse in contrasto con i miei valori, e se mi chiedessero di farlo lascerei lo
studio anziché partecipare». McKinsey apparentemente non obbliga i suoi dipendenti a
fare da consulenti per clienti che suscitano scrupoli morali.
Ma sembrerebbero essere molti i consulenti di McKinsey che non hanno problemi a lavo-
rare con aziende e politici che mettono i soldi e il potere sopra a tutto – e che McKinsey aiuta a
ottenere sempre più soldi e potere. Basta guardare alle rivelazioni sui le-
gami di The Firm con la Purdue Pharma, fabbricante di OxyContin. Una
recente causa legale del Massachussets ha sostenuto che McKinsey aves- SECONDO UNA RECENTE
se giocato un ruolo chiave nell’epidemia da oppioidi che ha colpito lo CAUSA LEGALE
stato, istruendo la Purdue su «come ‘potenziare’ le vendite di OxyContin, MCKINSEY HA GIOCATO
[e] su come contrastare gli sforzi degli agenti dell’antidroga per ridurre UN RUOLO CHIAVE
l’uso di oppioidi». McKinsey è stata anche, secondo la causa legale, «par- NELL’EPIDEMIA DA
te del team che ha indagato come ‘contrastare i messaggi emozionali OPPIOIDI CHE HA COLPITO
delle madri ai figli che avevano avuto un’overdose’ del farmaco». IL MASSACHUSSETS
McKinsey si è rifiutata di dichiararsi colpevole nei suoi affari con
la Purdue e con altre aziende farmaceutiche, ma a febbraio ha accet-
tato un accordo di 574 milioni di dollari con i procuratori generali di tutti gli stati degli Usa
a eccezione del Nevada per finanziare i programmi di recupero e riabilitazione dagli op-
pioidi. Il contributo di The Firm a un’epidemia che ha ucciso circa un quarto di milione di
statunitensi non ha tuttavia impedito ai governi di tutto il mondo di richiedere il suo aiuto
per gestire la pandemia di Coronavirus. Nei soli Stati uniti, lo stato e le agenzie federali
hanno premiato la compagnia con più di 100 milioni di dollari in contratti Covid-19. La
classe dirigente statunitense può esprimere disprezzo, a volte, per le malefatte di McKin-
sey, ma alla fine la crescente lista di crimini e reati minori commessa dalla società di con-
sulenza suscita poco più di qualche titolo in prima pagina e qualche gesto simbolico. In
realtà, come ha dichiarato vantandosi l’ex socio dirigente Kevin Sneader, che a inizio anno
è stato estromesso dai soci anziani della società per la sua eccessiva foga di riforme: per la
McKinsey il 2020 è stata «la migliore stagione di reclutamento di sempre».
IL NEMICO INVISIBILE
89
Gli
POTERE

intoccabili
C’è una filiera di potere pubblico che non risponde
al voto e sopravvive ai cambi di maggioranza. È un governo
inscalfibile e permanente, che garantisce la continuità
delle politiche e impedisce rivolgimenti profondi

L
a classe dominante non è composta solamente da chi detiene i
mezzi di produzione. Sta anche dentro le istituzioni. Un passaggio
del Manifesto comunista di Marx e Engels ricorda che la borghesia
si è «conquistata il dominio politico esclusivo dello stato rappresen-
tativo moderno, [che ha reso] il potere statale moderno un comita-
to che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese». Se
Carla Ricci nell’epoca della rivoluzione industriale, agli albori del capitalismo,
i mezzi di produzione coincidevano con chi deteneva la forma più
alta di potere oggi non è più soltanto così. I mezzi di produzione, il capitale, rimangono
la forma più visibile del potere. Ma c’è un luogo in cui il potere sguscia via, inafferrabile e
sfumato tra volti quasi sconosciuti al grande pubblico, eppure conosciutissimi tra i corridoi
romani. Oggi chi governa davvero sfugge al controllo popolare, chi scrive le leggi, inserisce
gli emendamenti, decide le strade che percorriamo, quante tasse paghiamo e quanti asili
abbiamo nella nostra città, chi decide quali banche far saltare e quali tenere, non dipende
più tanto dal voto, dalla democrazia.
Esiste un substrato di istituzioni e uffici, corridoi e cariche che sfuggono all’opinione
pubblica, attraversando i cicli politici con le proprie posizioni di potere rigorosamente in-
tatte. Sono uomini e donne, anzi quasi tutti uomini, che permeano le istituzioni italiane,
ESTATE 2021

che le hanno plasmate e trasformate. La tecnocrazia ideologiz-


zata e potentissima che tiene le fila del nostro paese non attira i
riflettori – se non raramente – non vuole brillare di luce propria Carla Ricci è lo
né riflessa. Esiste e comanda, e questo basta. Basta per continua- pseudonimo scelto
N. 11

re a perpetuare gli stessi principi, la stessa ideologia neoliberi- dall’autrice di questo


sta che da decenni ripete la necessità di avere meno stato e più testo, che lavora
mercato, che la finanziarizzazione e la globalizzazione sono una nella pubblica
conseguenza inevitabile, there is no alternative! Non c’è alterna- amministrazione e ha
tiva all’austerità legittimata da trattati che non hanno nulla di vissuto da vicino le
democratico, come non c’è alle collettività che si frammentano, cose che qui racconta.
90
individui persi e dispersi senza più nessuno che li rappresenta. Quest’ideologia vince in
Italia come altrove – ma in Italia in modo preponderante – e diventa l’assetto naturale di
coloro che decidono.
Dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) alla Ragioneria dello stato, ai capi di
gabinetto, ai direttori generali, alle società di consulenza. Tutto è retto da un equilibrio sot-
tile ma consolidato per perpetuare gli interessi protettissimi di pochi (non) eletti. Quando
questo equilibrio sembra rompersi arriva qualche salvatore, sempre dallo stesso posto – la
Banca d’Italia – che si sacrifica per salvare la patria. È successo con Carlo Azeglio Ciampi
(1993), poi con Lamberto Dini (1995), ora con Mario Draghi. Garanti dell’ordine esisten-
te, di una distribuzione di potere nella società che continua a vedere loro, gli affidabili, ai
vertici. Sono i competenti, figura di primo piano nel dibattito nazionale, quelli che in Ra-
dical Choc (Einaudi 2020) lo scrittore Raffaele Alberto Ventura chiama la «classe professio-
nale-manageriale»; una classe che sopravvive nel vortice della burocrazia perché, come ha
scritto recensendo il libro Alessandro Aresu, «alla legge ferrea dell’oligarchia si sostituisce
la legge ancora più rigida della burocratizzazione». I pochi che ci mettono la faccia conta-
no meno di chi non ce la mette. Ad esempio, i ministri spesso hanno meno peso dei loro
direttori generali. Una volta questi ultimi «cadevano» assieme al loro ministro, e venivano
unilateralmente sostituiti dal nuovo incaricato. Poi la nota sentenza 233/2006 della Corte
costituzionale rese questo cosiddetto spoil system illegittimo, per ragioni legate all’impar-
zialità della funzione amministrativa (ex art. 97 della Costituzione) – dicono alcuni – per
salvaguardare equilibri di potere – dicono altri. I direttori generali sono dei potenti e quasi
intoccabili, conoscono la macchina dello stato più del ministro – perché c’erano prima del
suo arrivo e ci saranno dopo. Sono i depositari esclusivi di un sapere inaccessibile, raccolto
in cassetti pieni di dossier da tirare fuori al momento giusto. Ma non sono tutti uguali, al-
cuni sono più potenti di altri. Ad esempio, il direttore generale del Tesoro che resta in carica
svariati anni diventa una fonte preziosissima di sapere e segreti su qualsiasi cosa che conta:
banche, società partecipate, assicurazioni, società quotate, titoli di stato. Tutto passa per
questo Dipartimento, tutto.
Un potere straordinario, quello della Direzione generale del Tesoro, garante di interessi
precostituiti e in grado di mantenerli intatti. È uno dei quattro pilastri del Mef, luogo di arrivo
e partenza, vetrina prestigiosa, spesso trampolino di lancio verso l’alta finanza, altro ingre-
diente fondamentale della nostra tecnocrazia. Ad esempio, Vincenzo La Via, dopo aver guida-
to il Tesoro per sei anni (confermato dai ministri Siniscalco, Padoa-Schioppa e Tremonti) si è
dato alla finanza internazionale con la consulenza al Promontory Financial Group – società
del gruppo Ibm. Ancora, Vittorio Grilli, al Mef dal 2002 al 2011 – ragioniere e direttore del
Tesoro, poi addirittura ministro del governo Monti – nel 2014 viene chiamato da J.P. Morgan.
Traiettoria simile quella di Domenico Siniscalco, direttore generale, ministro e – per finire in
bellezza – finito nella banca d’affari Morgan Stanley. Un continuo intreccio tra finanza, con-
sulenza, politica, e… Banca d’Italia, il tassello che tutto – o meglio tutti – congiunge.
Per ben quattro volte l’Italia – unico paese in Europa dal dopoguerra ad averne avuto
necessità – ha chiamato i tecnici a «salvarla». Due volte per voce di Oscar Luigi Scalfaro
(Ciampi – che di fatto mise fine alla prima Repubblica – e poi Dini), una volta di Giorgio
Napolitano con Mario Monti all’indomani della crisi finanziaria, e adesso di Sergio Matta-
IL NEMICO INVISIBILE

rella con Draghi. Tutti – eccetto Monti – provenienti dalle fila della Banca d’Italia (Ciampi
e Draghi ex governatori, Dini ex direttore generale). Anche al Quirinale ben due presidenti
provengono dagli uffici di via Nazionale, sempre Ciampi – potere tentacolare per almeno
tre decadi – e prima di lui Luigi Einaudi. Ciampi è una figura avvolta da un alone di rispetto
bipartisan, un santino slegato da conflitti politici che, in una decade cruciale della storia
del paese cui sono seguiti anni di crisi economica, sociale e politica, ha girato tutti i ruoli
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di potere (governatore, ministro, presidente del Consiglio e della Repubblica) e ha giocato
un ruolo in passaggi chiave come il divorzio tra Banca centrale e Tesoro, il decreto di San
Valentino (che mise mano alla scala mobile, ossia all’adeguamento dei salari all’inflazione)
e, naturalmente, il trattato di Maastricht.
Ma il valzer tra la Banca d’Italia e la politica non si ferma qui: come ha mostrato a inizio
febbraio una precisa ricostruzione di OpenPolis, l’«intreccio con la politica» dei dirigenti di
Banca d’Italia riguarda uno stuolo di ministeri, naturalmente nei posti più influenti. Le radici
storiche contano su un precedente di tutto rispetto: Guido Carli – governatore per quindici
anni dal 1960 e curiosamente, dal 1976 al 1980, presidente di Confindustria – è ormai anziano
nel 1989 quando diventa ministro del Tesoro. Può sembrare strano oggi, che è diventata la
norma ma Carli fu il primo «non politico» a occupare questa carica dopo mezzo secolo – addi-
rittura dai tempi del governo De Gasperi IV (1947-1948). Da questa posizione, Carli orchestrò
la legge bancaria del 1990, che ha privatizzato le banche pubbliche, ha negoziato il trattato
di Maastricht, ha nominato Mario Draghi direttore generale del Tesoro. Il ruolo dei «tecnici»
con il Ministero del Tesoro (e il Mef più in generale) non è dovuto solo alla materia di cui si
occupano, ma è un vero e proprio filo diretto, volto a proteggere determinati interessi.
Con il governo Conte II, Palazzo Chigi e il Dipartimento per gli affari europei retto da Vin-
cenzo Amendola avevano il ruolo di coordinare l’avvio dei lavori sul Recovery Plan; la cosa
non piaceva molto al Mef di Alessandro Rivera. Con Draghi la squadra rimane la stessa, solo
che al posto del ministro Roberto Gualtieri si va a sedere Daniele Franco
– anche lui proveniente dalla Banca d’Italia, naturalmente, dopo esser
L’«INTRECCIO stato, come vedremo, anche alla Ragioneria dello stato. Oltre a riportare
CON LA POLITICA» dopo la parentesi di Gualtieri un tecnico a via XX Settembre (le tradi-
DEI DIRIGENTI DI BANCA zioni sono importanti!), è nelle sapienti mani di Franco che si deposita
D’ITALIA RIGUARDA la regia di un piano che nei fatti diviene ancora più blindato non solo
MOLTI MINISTERI, all’interlocuzione dei partiti, ma della stessa società civile, che ne riceve
NATURALMENTE le bozze a fine aprile, senza margini ragionevoli di discussione e inter-
NEI POSTI PIÙ INFLUENTI vento. I burocrati sostituiscono la democrazia, ci passano attraverso, ne
solcano il mare in tempesta e stanno a galla.
Oltre al Mef, o meglio al suo interno, siede la Ragioneria generale
dello stato, uno dei quattro dipartimenti del Ministero insieme a Tesoro, Finanze e Ammi-
nistrazione generale, del personale e dei servizi. Il Ragioniere dello stato è il più importante,
l’unico depositario della garanzia sulla copertura finanziaria di ogni provvedimento. Se dice
no, il provvedimento non passa. Questo «strapotere» è oggi in mano a Biagio Mazzotta, en-
trato nella Ragioneria dello stato nel 1989 (32 anni fa!), a capo di questa dal 2019. Allora, pre-
se il posto proprio dell’attuale ministro Franco, che ha ricoperto la carica per ben quattro
governi. Intrecci e porte girevoli, sempre sulle stesse poltrone, sempre delle stesse persone.
Lo schema è strutturale e ne fanno parte anche i capi di gabinetto, meno potenti forse
ma fondamentali figure da faccendieri che orchestrano la tecnostruttura. Roberto Garofoli
ESTATE 2021

è stato capo di gabinetto dei ministri Padoan e Tria, si è dimesso proprio per contrasti con
il M5S, e ora è tornato come sottosegretario alla presidenza del consiglio. Si tratta insomma
di figure che, a differenza dei direttori generali, cambiano con i ministri, ma sarebbe più
corretto dire che ruotano, a turno. Si tratta infatti di un circolo ristretto e chiuso, dominato
N. 11

da consiglieri di stato (è da qui che è partita la carriera di Garofoli) e avvocatura dello stato,
più recentemente anche da consiglieri parlamentari. Sono figure che tendono a perpetuare
il loro potere, si definiscono – in un recente libro – la «cinghia di trasmissione tra decisione
politica ed esecuzione amministrativa». Si tratta del libro Io Sono il Potere. Confessioni di un
capo di gabinetto, uscito anonimo per Feltrinelli nel marzo 2020, che riporta come «tra il
1979 e il 1995 i dieci gabinettisti più assidui hanno ottenuto 89 incarichi su 343, oltre il 25%
92
del totale. Fino al record di Alfonso Maria Rossi Brigante, magistrato della Corte dei Conti,
che ha collezionato incarichi in tredici ministeri». Vi è poi il «capo di gabinetto al cubo», il
segretario generale del Quirinale, che ne ha in mano uffici e attività. Anche in questo caso la
perpetuazione del potere ha radici solide e volti conosciuti. Gaetano Gifuni ha mantenuto
la posizione per ben quattordici anni consecutivi con i presidenti Scalfaro e Ciampi. Oggi la
carica è ricoperta da Ugo Zampetti, che ha avuto un ruolo non secondario nella formazione
dell’attuale governo Draghi. È uno degli uomini più potenti d’Italia anche se, come si legge
sempre in Io sono il Potere, «quando cammina per le strade di Roma passa inosservato come
un professore in pensione. Zampetti è il ponte tra il vecchio e il nuovo mondo. Una vita da
funzionario parlamentare a tutti i livelli, per quindici anni segretario generale della Camera,
[…] con presidenti di destra e di sinistra. E pochi ma selezionati nemici».
L’intreccio con il mondo della finanza non si ferma ai ministeri e ai loro dipartimenti.
Le società partecipate dallo stato, che ancora esistono e costituiscono alcuni fra i pilastri
portanti dell’economia italiana, sono attraversate da forti dinamiche di potere e di prestigio
personale. Il sistema politico della Seconda Repubblica – e di questa non meglio definita
Terza – è paradossalmente più invischiato con gli interessi del mondo finanziario e con le
carriere di spregiudicati manager di quanto non lo fosse il vecchio modello delle Parteci-
pazioni statali della Prima Repubblica. Nel sistema attuale, i consigli di amministrazione
e i ruoli di amministratore delegato e di presidente diventano una spartizione di nomine
che non ha nessun legame con un sano
processo democratico di responsabilità
politica da parte di queste grandi realtà di interesse pubblico generale quando essi approdano ai
industriali. In questo modo, gli strapagati vertici delle società partecipate. Persino Cdp, che con la sua
amministratori di società come Eni, Enel, trasformazione da Direzione generale del Tesoro a Società
Leonardo (ex Finmeccanica) – il cui Chief per Azioni ha cambiato natura e funzioni, oggi rappresenta
Technology e Innovation Officer, Roberto un centro di potere economico i cui vertici sono schermati
Cingolani, è appena diventato ministro da ogni considerazione proveniente dal dibattito pubblico.
per la transizione ecologica – si sentono Una classe dominante che prescinde dallo stato, che in
un potere dello stato, o pensano di essere parte lo compone, ma che raramente lo rappresenta. Una
in larga misura al di sopra di esso, che pur classe dominante, che non pianifica e non organizza, per-
formalmente li controlla in quanto azio- ché non ne è in grado, ma soprattutto non ha l’interesse a
nista di maggioranza. Spesso provengo- farlo. Lo status quo diventa così impenetrabile, tanto che
no dai mondi delle banche d’affari e della nessun partito è riuscito a stravolgere quest’ordine. Quan-
consulenza – Fabrizio Palermo, ammini- do, nel corso di questa legislatura, alcuni incauti esponenti
stratore delegato di Cassa Depositi e Pre- del Movimento 5 Stelle hanno provato a scalfirlo, si sono
stiti (Cdp) li ha percorsi entrambi, come dovuti ben presto ritirare, pagandone le conseguenze, e
Alessandro Profumo, ora alla testa di non solo per l’inesperienza che gli viene rinfacciata dai me-
Leonardo, per più di un decennio a capo dia nostrani. D’altronde, cosa può «l’incompetenza penta-
di Unicredit, a seguito della sua privatiz- stellata» – che ricordiamo è stata votata da oltre il 30% della
zazione – portandosi dietro legami pro- popolazione nelle ultime elezioni – dinnanzi alla compe-
fessionali e un’impostazione finanziaria tenza e affidabilità di chi ha in mano il paese da almeno
che lascia poco spazio a considerazioni vent’anni senza mai aver preso un voto?
Una volta, in un corridoio di qualche palazzo romano
IL NEMICO INVISIBILE

qualcuno disse che c’era bisogno di fare tutto da capo, per-


ché cambiare un pezzo di una struttura così abile ad autori-
generarsi non può funzionare. La parte cambiata viene in-
fatti presto risucchiata dal tutto, perché come scrive Montale
«la storia […] lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondi-
gli». Qualcuno vince, gli altri – forse – sopravvivono.
93
magazi
bin n
o

e
da jac

Il potere
POTERE

di veto
delle classi dominanti
Per raggiungere i loro scopi i capitalisti non hanno bisogno
di governare direttamente o di essere organizzati come
se dovessero farlo. Ecco perché nessun governo di sinistra
è mai riuscito a praticare «la via elettorale al socialismo»
ESTATE 2021
N. 11
94

Illustrazione di Maddalena Carrai


95 IL NEMICO INVISIBILE
N
egli anni Settanta, con la stagnazione economica e il conflitto di
classe crescente, la sinistra tornò a riflettere su un problema che
l’aveva tormentata a lungo: il ruolo dello stato nella società capi-
talista. L’articolo di Fred Block del 1977, The Ruling Class Does Not
Rule, pubblicato inizialmente su Socialist Revolution, è forse la di-
samina più chiara di un approccio strutturalista al problema.
Jonah Birch Il saggio è stato scritto in un periodo in cui la socialdemocrazia
era ancora all’apice della forza e si radicalizzava a ogni crisi del ca-
pitalismo. Il successo elettorale dei partiti di sinistra rianimava i vecchi dibattiti sui gover-
ni riformisti, se fosse possibile cioè utilizzare il potere statale per emanare leggi radicali e
sfidare l’influenza delle grandi imprese.
Per molti marxisti, l’idea che lo «stato borghese» potesse essere usato per portare
avanti un’agenda simile era inconcepibile. Sin dal diciannovesimo secolo, la gran par-
te della sinistra socialista aveva interpretato lo stato sotto il capitalismo non come un
corpo neutro, ma come una delle facce del dominio capitalista. È un’idea che si basava
sulla convinzione che, per dirla con le parole dell’economista Paul Sweezy, lo stato è
«uno strumento nelle mani della classe dominante per conservare e garantire la stabili-
tà della struttura di classe».
Durante il ventesimo secolo, tuttavia, questa convinzione fu complicata dalla crescita
della democrazia politica. Man mano che i lavoratori, una nazione dopo l’altra, ottenevano
il diritto di voto, molti si chiesero se i partiti socialisti non potessero utilizzare le elezioni
per prendere il controllo dello stato attraverso il parlamento. Per la verità, dopo la Seconda
guerra mondiale i partiti riformisti, in alleanza con i sindacati, fecero proprio questo – in
Svezia, il partito dei lavoratori governò per quasi mezzo secolo, dal 1932 al 1976.
Agli inizi degli anni Sessanta, l’esperienza di questi governi spronò una serie di socia-
listi a sfidare l’approccio «strumentale» nei confronti dello stato offerto da Sweezy e da
altri. Guidati da teorici influenti come Ralph Miliband, Claus Offe e Nicos Poulantzas,
questi pensatori iniziarono a immaginare la possibilità di instaurare rapporti differenti
con lo stato, considerato «relativamente autonomo» rispetto al mondo degli affari. Sot-
tolineavano come le persone alla guida dello stato moderno spesso non provenissero dai
ranghi dell’élite economica; un fatto particolarmente evidente nelle nazioni dove i partiti
socialdemocratici forti, strettamente legati a sindacati potenti, erano riusciti a vincere le
elezioni. Come notò Poulantzas, «la partecipazione diretta dei membri della classe capi-
talista negli apparati statali e nel governo, anche dove esiste, non è l’aspetto più rilevante
del problema».
Durante gli anni Settanta, i nodi del dibattito vennero al pettine in seguito alle cre-
scenti crisi del capitalismo e all’adozione di programmi eco-
nomici sempre più radicali da parte dei partiti di sinistra.
Eppure nessun governo riformista riuscì a mantenere le pro- Jonah Birch è
ESTATE 2021

messe fatte su «una via elettorale al socialismo». In The Ruling collaboratore


Class Does Not Rule, Block prova a identificare i meccanismi di Jacobin Mag
strutturali che stanno alla base di questo fallimento. Il punto e visiting assistant
professor in sociologia
N. 11

alla Appalachian
State University.
La traduzione
è di Gaia Benzi.
96
chiave è che i vincoli imposti a un governo radicale non dipendono dall’intervento
attivo dei capitalisti «consapevoli della loro classe». Per esercitare influenza, i magnati
dell’industria non hanno bisogno di essere particolarmente organizzati o lungimiranti.
Al contrario, l’importanza degli investimenti privati in una società capitalista fa sì che
i loro interessi vengano comunque protetti, anche se al potere ci sono dei socialisti
dichiarati.
Come per Poulantzas, il punto di partenza di Block è l’inadeguatezza della visione
«strumentale». Questo approccio, sostiene, soffre di due errori di fondo: primo, ignora la
funzione ideologica cruciale ricoperta dall’indipendenza dello stato nel mantenere una
patina di neutralità. Secondo, fraintende il ruolo dello stato nell’assicurare le condizioni
del dominio di classe. Per agire negli interessi del capitalismo a lungo termine, sottolinea
Block, lo stato non può essere soggetto agli interessi a breve termine dei singoli capitali-
sti, le cui motivazioni sono, di necessità, strettamente egoistiche. Critica il «riduzionismo
personalistico» che presume che, se lo stato ha un pregiudizio di classe, dev’essere perché
è occupato da potenti gruppi di capitalisti.
Questo non significa che i singoli capitalisti non possano esercitare un’influenza sul-
lo stato, attraverso le lobby, i finanziamenti elettorali o occupando personalmente ruoli
chiave nel governo. Ma, sostiene Block, «anche se gli strumentalisti sostengono che que-
sto tipo di influenza rappresenti il cuore del controllo che la classe dominante esercita
sullo stato, nella realtà è più simile alla glassa che ricopre la torta del
dominio di classe».
Il problema, suggerisce Block, è che i teorici marxisti dello stato, in- LO STATO DIPENDE
clusi molti dei teorici dell’«autonomia relativa», rimangono legati all’i- DALLA «FIDUCIA
dea che, in qualche modo, esista una classe dominante consapevole di DELLE IMPRESE»
sé, che condivide «un certo livello di coesione politica, la consapevo- COSÌ COME IL CAPITALISMO
lezza del proprio interesse generale, e un alto grado di sofisticazione TRAE DALLA LOTTA
politica». Ma questa convinzione è sbagliata. In realtà, nella gran parte DI CLASSE LA SPINTA
delle società odierne, c’è una «divisione del lavoro tra coloro che accu- AD AUTORIFORMARSI
mulano capitale e coloro che gestiscono l’apparato statale».
Secondo Block, i singoli che governano lo stato costituiscono un
gruppo indipendente di burocrati ed eletti, che chiama i «manager di stato». A vincolare
questi manager non sono le manipolazioni degli scaltri capitalisti che tirano segreta-
mente le fila del governo, ma la stessa dipendenza statale dall’accumulazione di capi-
tale per sopravvivere. Portare avanti riforme socialdemocratiche richiede un’economia
in grado di generare posti di lavoro e gettito fiscale. Come sostiene l’economista e po-
litico svedese Ernst Wigforss: «Dal momento che la socialdemocrazia si batte per una
più equa distribuzione di profitti e proprietà, non deve mai dimenticare che bisogna
produrre qualcosa prima di poterla distribuire».
Detta semplicemente, l’economia capitalista richiede che le aziende continuino a in-
vestire, il che richiede governi capaci di creare un clima che incoraggi gli investimenti. Ma
questo pone un problema agli eletti di sinistra – un programma di riforme troppo radicale
può portare i capitalisti a fermare il flusso di investimenti.
IL NEMICO INVISIBILE
97
Block sostiene che la decisione di investire riflette il calcolo capitalistico sulla proba-
bilità di guadagnare un profitto, ma anche sulla sicurezza e la stabilità dell’investimento:
«La somma di tutte queste valutazioni per tutta l’economia nazionale può essere definita
come il livello di fiducia delle imprese. Se la fiducia delle imprese diminuisce, lo stesso
faranno gli investimenti».
Quando i capitalisti smettono di investire, il risultato è una crisi economica, con di-
soccupazione crescente e/o inflazione – insieme ad altri problemi macroeconomici, la
diminuzione delle entrate fiscali e, di solito, un crollo verticale del sostegno al governo.
Il controllo degli investimenti fa sì che i capitalisti possano disciplinare lo stato senza
organizzarsi o partecipare in alcun modo alle attività statali. Ma questo non vuol dire
che ovunque la sinistra abbia governato lo stato capitalista l’abbia fatto con il sostegno
dei capitalisti. In tutti i suoi anni al potere, ad esempio, la socialdemocrazia svedese ha
incontrato un’opposizione politica quasi costante dalle principali associazioni di impre-
sa. Malgrado le resistenze, la sinistra è riuscita a costruire un welfare state espansivo e ha
ampliato notevolmente il raggio d’azione di lavoratori e lavoratrici. È stato cruciale, tut-
tavia, che l’opposizione capitalista non sia mai arrivata al punto di interrompere il flusso
di investimenti.
Per dimostrare cosa avrebbe voluto dire nella pratica, Block tratteggia uno scenario
in cui un governo riformista si spinge oltre i limiti di ciò che le imprese sono disposte ad
accettare, scatenando risposte a cascata da parte degli investitori. La
prima manifestazione ostile delle imprese, dice, è spesso un attacco
LA SOCIALDEMOCRAZIA speculativo alla moneta sui mercati finanziari globali. Questo fa cre-
SCANDINAVA EVIDENZIÒ scere i timori di un’inflazione interna e costringe il governo o a fare
CHE UN PROGRAMMA marcia indietro o a rischiare l’isolamento compiendo altri passi an-
ECONOMICO DI SINISTRA cora più radicali (come l’introduzione di controlli rigidi al movimen-
DOVEVA FAVORIRE to di capitali). Alla fine, il governo si troverebbe intrappolato: isolato,
ANCHE L’ACCUMULAZIONE di fronte a una crisi economica e politica sempre più grave, iniziereb-
DI CAPITALE be a perdere sempre più la presa, fino ad arrendersi o a cadere.
Al tempo in cui The Ruling Class Does Not Rule fu pubblicato,
qualcosa di simile a questo scenario si era già verificato in diverse
nazioni, soprattutto nel Cile del governo socialista radicale di Salvador Allende.
Il rovescio della medaglia della dipendenza dello stato dalla «fiducia delle imprese»
per la sopravvivenza è la dipendenza del capitalismo dalla lotta di classe per avere una
spinta ad autoriformarsi. Dal momento che i capitalisti devono dare priorità agli interessi
a breve termine rispetto alle necessità a lungo termine dell’economia capitalista nel suo
complesso, sostiene Block, lasciati a loro stessi sono incapaci di razionalizzare il sistema.
«Con ‘razionalizzazione’... mi riferisco principalmente all’uso dello stato in modi innova-
tivi per superare le contraddizioni economiche e facilitare l’integrazione della working
class», spiega.
ESTATE 2021

Le tesi di Block al riguardo potrebbe sembrare in qualche modo antiquata ai lettori


contemporanei, dopo decenni di declino sindacale e con sempre meno scioperi all’attivo.
Ma erano tesi perfettamente sensate all’epoca in cui l’articolo è stato scritto – per il capi-
N. 11
98
talismo occidentale, gli anni dopo la Seconda guerra mondiale furono caratterizzati da
una rapida crescita economica e da un’occupazione pressoché totale, ma furono anche
segnati da alti livelli di conflitto di classe.
In queste circostanze, i governi del mondo occidentale furono costretti a fare conces-
sioni su temi come la salute pubblica e l’istruzione, e istituirono misure di welfare sempre
più generose. Ma la natura di questi sistemi variava profondamente. Paradossalmente,
fu proprio la socialdemocrazia scandinava – all’epoca in una sorta di «Età dell’oro» po-
stbellica – a dimostrare con chiarezza che, per poter andare a beneficio di lavoratori e
lavoratrici, un programma economico di sinistra doveva anche favorire l’accumulazione
di capitale.
In Svezia, la strategia economica postbellica dei socialdemocratici provò a prendere
due piccioni con una fava, creando un welfare state ampio e generoso mentre compri-
meva i salari attraverso una contrattazione nazionale centralizzata. Il modello postbel-
lico produsse una dinamica di crescita economica. Gli accordi salariali centralizzati di
quest’epoca furono efficaci nel comprimere i salari più alti e più bassi spingendoli verso
il mezzo, cosa che facilitò l’organizzazione e la solidarietà della classe lavoratrice. In cam-
bio della compressione salariale in cima alla catena di distribuzione dei guadagni e di
garanzie per la proprietà privata dei capitalisti, la classe operaia svedese ottenne la piena
occupazione (persino nel luglio 1989, il tasso di disoccupazione era dell’1,3%).
Ma questi accordi garantirono anche vantaggi significativi alle imprese. I datori di la-
voro, per dirne una, ottennero la pace sociale: dopo la Seconda guerra mondiale, per de-
cenni il tasso di scioperi fu il più basso di tutto il continente europeo. Soprattutto, questo
modello favorì le aziende più produttive e orientate al capitale, che tendevano a pagare
salari più alti e dunque beneficiavano della pressione al ribasso sulle retribuzioni per i
lavoratori più remunerati, a spese delle aziende meno efficienti e orientate al lavoro, che
soffrivano per il costo elevato dei salari.
Un accordo del genere non venne raggiunto in nessun’altra parte del mondo, ma in
altre nazioni sviluppate abbiamo assistito a schemi simili nel periodo postbellico. Questo,
ovviamente, non è più vero oggi – come nota Block, le aziende, lasciate senza freni, non
sono disposte ad accettare questo genere di riforme razionalizzanti. Gli ultimi quattro
decenni di ridimensionamento neoliberista ne sono la prova.
Tuttavia, Block segnala anche in quali circostanze il potere di veto delle imprese sullo
stato si indebolisce, come ad esempio durante le guerre, le depressioni e i periodi di ri-
costruzione economica. Questi momenti di crisi, in cui lo stato assume una funzione di
guida dello sviluppo economico, permettono ai governi riformisti di andare all’attacco
– al posto della normale dipendenza dagli investitori privati, offrono ai manager di stato
l’opportunità di affermare il loro potere.
In un recente post scriptum, Block suggerisce che potremmo essere entrati in un pe-
riodo del genere. Presto potremmo avere l’opportunità di far approvare riforme cruciali
superando l’opposizione delle imprese. Ma sul lungo periodo, se vogliamo davvero appli-
care il nostro programma socialista, dobbiamo trovare il modo di abolire il diritto di veto
delle imprese una volta per tutte.
IL NEMICO INVISIBILE
99
L’epoca del
RICCHEZZA

filantrocapitalismo
Avete presente Fedez che a bordo della sua Lamborghini
distribuisce mazzette da migliaia di euro ai bisognosi?
È il simbolo di un modello globale di controllo
e sfruttamento che si nutre di buoni sentimenti

Illustrazione di Luciop
ESTATE 2021
N. 11
100
101 IL NEMICO INVISIBILE
«I
n questa intervista parlerò molto di visione, di visionarietà. Un vi-
sionario come lei è un esempio, una persona che dà speranza non
solo per il successo ottenuto ma per quello che fa vedere» con que-
ste parole lo zerbino di casa Rai Fabio Fazio introduceva lo scorso
febbraio l’intervista con Bill Gates, in occasione della promozione
del libro di quest’ultimo sul cambiamento climatico.
Piero Maestri Ѐ lo stesso Bill Gates nel corso dell’intervista a sottolineare chi si-
ano i nemici di questa visionarietà: «La pandemia è come il clima, i
nostri governi non ci hanno preparati, non hanno guardato avanti. Non hanno fatto le cose
che avrebbero fatto sì che la pandemia potesse essere un evento di importanza secondaria...».
Il suo approccio però non ha nulla a che vedere con la partecipazione e l’ascolto dei soggetti
vittime di malattie e povertà ma esattamente il contrario: solo chi possiede visione, tecnica e
denaro può affrontare i grandi problemi del mondo «insegnando nuove buone idee agli altri»
(ancora Gates da Fazio), compresi governi e istituzioni pubbliche nazionali e internazionali.
La storia della Fondazione Bill e Melinda Gates (e di altre analoghe, come quelle facenti
riferimento a Ted Turner, Bill Clinton e così via) è raccontata in maniera approfondita e pun-
tuale da Nicoletta Dentico nel libro Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo
(edizioni Emi 2020). In questa analisi, ricca di dati sulla realtà delle Fondazioni benefiche
dei grandi capitalisti, mette in luce in particolare tre aspetti specifici del filantrocapitalismo.
In primo luogo la scomparsa dall’orizzonte del possibile della giustizia sociale, sostituita
dal primato della tecnica e della logica aziendale, supportate dalla grande potenza di inve-
stimento economico.
In secondo luogo lo spostamento dell’attenzione politica dall’investimento sul welfare
pubblico per attivare partnership pubblico-private nel quale quest’ultimo definisce il peri-
metro e le regole di funzionamento. È importante sottolineare, come fa Dentico, che questo
spostamento avviene anche – o soprattutto – grazie alle strategie e agevolazioni fiscali conces-
se alle Fondazioni «benefiche». Si calcola che aziende che hanno una loro Fondazione, come
quelle di Gates o Zuckerberg, riescono ad avere almeno un terzo dei proventi totalmente de-
fiscalizzati.
In terzo luogo il lavoro delle Fondazioni filantrocapitaliste produce uno stravolgimento e
un ridisegno dei poteri materiali a livello planetario, sia rispetto alla «colonizzazione» delle
agenzie Onu – attraverso Fondazioni come quelle di Ted Turner che «garantiscono» la rac-
colta finanziaria per queste agenzie e la partecipazione diretta alle loro decisioni – sia im-
ponendo una propria logica che, presentandosi come tecnico-scientifica e neutrale, mette
all’angolo governi e società civile.
Come scrive l’autrice, «grazie alle loro donazioni, i filantrocapitalisti sono riusciti a porta-
re avanti il progetto di riforma dell’Onu e la creazione del 1999 del Global Compact, il patto
globale stipulato dall’allora segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan con un con-
sistente numero di imprese transnazionali. Il patto ha aperto agli attori economici privati le
ESTATE 2021

stanze del Palazzo di Vetro, istituzionalizzando la presenza del settore corporate all’interno
dei suoi processi diplomatici, con la speranza che potessero contribuire al sostegno finan-
ziario delle sue agenzie». Si può oggi parlare di un «Davos con-
sensus»: è il World economic forum che si riunisce annualmente in
N. 11

quella cittadina che nel 2010 aveva lanciato il «ridisegno globale» Piero Maestri, attivista,
e che lo scorso anno ha rilanciato il Great reset: «Aprendosi una è stato redattore
finestra unica di opportunità per dare forma alla ripresa, questa di Guerra&Pace
iniziativa offrirà spunti per aiutare a informare tutti coloro che de- ed è coautore
terminano lo stato futuro delle relazioni globali, la direzione delle tra l’altro di #GeziPark
economie nazionali, le priorità delle società, la natura dei modelli (Alegre 2013).
102
di business e la gestione di un bene comune globale. Attingendo alla visione e alla vasta espe-
rienza dei leader impegnati nelle comunità del Forum, l’iniziativa Great Reset ha una serie di di-
mensioni per costruire un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano».
Dobbiamo stare molto attenti a questo processo di promozione e governo della «beneficen-
za» da parte delle grandi Fondazioni capitaliste e dei capitalisti d’assalto perché ci troviamo
di fronte a un progetto in fase avanzata: mettere definitivamente al centro il capitale e i suoi
apostoli come unico possibile strumento di salvezza per l’umanità e di promozione di «so-
stenibilità». Per far vivere questo progetto le Fondazioni filantrocapitaliste utilizzano il loro
capitale economico e relazionale, e la logica stessa dell’impresa capitalista, per promuovere
gli interessi dei loro soci e del capitalismo in generale e per garantire che nessuno esca da
questo sistema e legame di primazia del privato.
La ricerca, il controllo, la distribuzione di vaccini, gli aiuti sanitari e l’innovazione tecno-
logica in campo agricolo sono potenti strumenti per legare definitivamente l’intera umani-
tà – popolazioni e governi – a chi li possiede e controlla e quindi definisce cosa sia giusto e
ingiusto, innovativo ed eredità del passato, quali i problemi e quali le soluzioni. In questo
modo si lubrificano i sistemi di commercializzazione di beni necessari, si stabiliscono rela-
zioni economiche, si costruiscono gerarchie di potere materiale – con un «flusso tridimen-
sionale»: «donare capitale (investire), creare politiche nelle quali investire, estrarre profitto
economico dalla donazione».
Come scrive Manlio Masucci: «Il fi-
lantropo, che accresce le sue ricchezze
nelle stesse piaghe di un sistema a lui Naturalmente la promozione diretta degli interessi del
funzionale e vitale, si erge, oggi più che capitale si accompagna sempre a una produzione ideologi-
mai, a paladino dell’umanità, autopro- ca, una narrazione secondo la quale le Fondazioni filantro-
clamandosi unica alternativa plausibile capitaliste sarebbero la prova definitiva che il capitalismo
ai governi democratici lenti, macchino- non solo non è la causa dei problemi dell’umanità, ma è
si e inefficienti. Una figura decisionista, parte fondamentale della loro soluzione, anzi l’unico stru-
portatrice e venditrice di storie di suc- mento di salvezza, perché chi ce l’ha fatta può insegnare
cesso, ammaliatrice e scarsamente in- come farcela e chi ha mezzi, strumenti e relazioni uniche
cline alle critiche convinta, soprattutto, per agire sono i grandi capitalisti di successo.
che i poveri del mondo abbiano mag- La diffusione di questa narrazione è facilitata dalle stesse
gior bisogno della sua carità piuttosto Fondazioni, che tra le loro azioni non trascurano program-
che di giustizia economica e sociale […] mi di sostegno e formazione di giornalisti in tutto il piane-
Il filantropo costituisce allora un ingra- ta. Come scrivono Laura Freschi e Alanna Shaikh, citate nel
naggio essenziale nella polimorfe mac- libro di Nicoletta Dentico, «Potremmo trovarci un giorno
china della globalizzazione, una colonna a leggere una storia su un progetto sanitario finanziato da
portante dello stesso sistema capitalista Gates, scritto in un giornale che ottiene la sua copertura sa-
che incarica entità private di utilizzare nitaria sottoscritta da Gates, riportato da un giornalista che
parte delle ricchezze accumulate ai dan- ha frequentato un programma di formazione giornalistica
ni dei poveri del pianeta per allestire una finanziato da Gates, citando dati raccolti e analizzati da
facciata attraente, quasi accettabile ed scienziati finanziati dalle sovvenzioni di Gates».
eticamente spendibile». Se i casi di Bill Gates, Ted Turner, Bill Clinton e così via
sono quelli predominanti a livello planetario, per potenza di
IL NEMICO INVISIBILE

fuoco e capacità economica e politica, sono tanti gli esempi


della relazione tossica tra impresa capitalista e beneficenza.
Per esempio quello di Amazon, che promuove il volontaria-
to aziendale dei propri dipendenti per «sostenere la comu-
nità». La stessa società che impedisce l’ingresso al sindacato
nelle sedi aziendali (emblematico il caso del referendum in
103
Alabama), vuole usare «la nostra capacità di innovare rapidamente per rafforzare le comuni-
tà di tutto il mondo in cui i nostri dipendenti vivono e lavorano. La cultura di Amazon è co-
struita intorno alla soluzione di problemi impossibili, ed è per questo che siamo in grado di
adottare un approccio diverso e più pratico rispetto alla maggior parte degli altri». La stessa
logica che porta i dipendenti della Fondazione Gates ad avere uno screensaver dove tra le al-
tre scorre la frase: «Questa è una Fondazione familiare guidata dagli interessi e dalla passione
della famiglia Gates» (siamo una grande famiglia, ma qualcuno è più famiglia di altri...).
Il caso italiano è, come spesso succede, particolare. Tra gli effetti – neanche troppo col-
laterali – della pandemia possiamo segnalare il fiorire di iniziative benefiche di Fondazioni
filantropiche private o semi pubbliche. E forse anche più il fiorire di comunicazioni isti-
tuzionali e non che hanno diffuso queste iniziative. Fin dai primi giorni del marzo 2020
sono state lanciate raccolte di fondi per ospedali – soprattutto privati – e per iniziative per
combattere il virus.
Una delle più eclatanti, per i nomi in gioco e per il suo fallimento annunciato, è stato
quello del Reparto Covid da costruire all’interno della Fiera di Milano. Operazione voluta
dalla Fondazione Fiera Milano con l’immediato sostegno di Silvio Ber-
lusconi e l’affidamento al solito Guido Bertolaso. Un inutile spreco di
IL FILANTROPO, soldi con l’obiettivo di riaffermare come anche i ricchi fossero solidali e
CHE ACCRESCE LE SUE in prima fila nel chiedere a tutte e a tutti di contribuire.
RICCHEZZE NELLE STESSE Ma non possiamo dimenticare i campioni della beneficenza ad
PIAGHE DI UN SISTEMA alta visibilità e mediaticità. Lo scorso dicembre abbiamo assistito
A LUI FUNZIONALE, all’operazione 5.000 euro di Fedez che con la sua Lamborghini e l’in-
SI ERGE, OGGI PIÙ CHE MAI, separabile telecamera ha consegnato cinque pacchetti, ognuno con-
A PALADINO DELL’UMANITÀ tenente 1.000 euro in contanti a cinque rappresentanti di categorie
svantaggiate scelte dai suoi followers: una cassiera di un fast food,
una senzatetto, una soccorritrice, un artista di strada e un fattorino
di una società di delivery. Nella desolazione di risposte politiche a tutto campo, Fedez e
Ferragni hanno capito che un’operazione di marketing a basso costo avrebbe avuto un
forte impatto e un miglioramento sensibile della loro «marketability».
Questa logica risulta vincente anche con la sponda offerta dalla politica. La nostra cop-
pia di benefattori meneghini ha infatti avuto l’Ambrogino d’oro (riconoscimento di bene-
merenza dell’Amministrazione comunale) con questa motivazione: «Con altruismo unito
a senso pratico, hanno lanciato una raccolta fondi per l’ampliamento in tempi record del
reparto di terapia intensiva dell’Ospedale San Raffaele. A questo risultato straordinario si
aggiunge l’impegno come volontari dell’iniziativa Milano Aiuta. Preparando la spesa e pe-
dalando per la città per consegnare cibo alle famiglie in difficoltà, hanno mostrato quanto
sia importante, anche con gesti semplici, porgere la mano ai più fragili nel segno di un au-
tentico spirito ambrosiano».
Nella città che ha visto il protagonismo di migliaia di giovani e giovanissime impegnate
ESTATE 2021

in attività mutualistiche e solidali, il premio ai Ferragnez è il segno preciso di come – anche


al livello più basso – le storie del successo di chi ce l’ha fatta sono la narrazione che supporta
l’abdicazione della politica alla filantropia dei ricchi solidali.
N. 11
104
Corsia

PRIVILEGIO
privilegiata
La tendenza è chiara: i più ricchi puntano a sganciarsi
dal Servizio sanitario nazionale per garantirsi cure
preferenziali e lasciare i più poveri al loro destino.
E sempre più ospedali hanno posti riservati ai paganti

C
asse mutue e assicurazioni private provano a spingere con sempre
maggior forza il settore della salute nel mercato. L’obiettivo, come
esplicitato in numerosi rapporti, è accaparrarsi circa 35-40 miliardi di
euro, ossia un terzo del Fondo sanitario nazionale, che corrisponde al
volume attuale di spesa sanitaria non intermediata od out of pocket.
Tale dinamica sta portando a una crescente pressione delle fasce più
Lorenzo Paglione ricche della popolazione per sganciarsi dal meccanismo solidaristico
del Servizio sanitario nazionale, fondato sulla progressività della tassa-
zione, per garantirsi corsie preferenziali nell’accesso alle cure, pagandole direttamente.
Ciò significa che oggi intere fasce di popolazione si curano da sole, ovvero al di fuori del
perimetro del finanziamento pubblico del Fondo sanitario nazionale. Sempre più ospedali
hanno parti o interi reparti dedicati ai solventi o ai paganti, cioè a persone che pagano la
prestazione tramite assicurazione privata o sociale, o direttamente. Si tratta di un fenome-
no in espansione che mostra una strategia win-win per chi lo mette in atto: gli ospedali
ottengono liquidità immediata al di fuori del rimborso tramite Drg (il sistema di pagamento
in vigore nelle Aziende sanitarie e ospedaliere, pubbliche e private accreditate) e il solvente
o il pagante ottiene un trattamento di favore in camere singole curate nei servizi e con una
maggiore attenzione da parte del personale, lo stesso personale
che cura anche gli altri pazienti del reparto assistiti tramite il Ser-
vizio sanitario nazionale. Ma c’è chi perde in questa dinamica: la Lorenzo Paglione
salute pubblica e l’equità nelle cure, garantita dalla Costituzione. è medico di sanità
Per ora il fenomeno è limitato ai grandi ospedali privati accre- pubblica, ha militato
ditati o alle piccole strutture private non accreditate. Nonostante nel Coordinamento
le crescenti pressioni lobbistiche da parte dei grandi colossi as- Chi si Cura di Te?, per
sicurativi nazionali e internazionali, questa opzione per ora non la sindacalizzazione
della componente
IL NEMICO INVISIBILE

precaria e in
formazione dei
professionisti della
salute. Attualmente
lavora in una Asl
del centro Italia.
105
sembra decollare, ma non esistono dati aggiornati sui numeri di queste attività e, più in
generale, non ci sono agenzie o enti nazionali che seguono l’evoluzione del fenomeno.
I reparti solventi hanno però funzionato molto bene anche durante la pandemia. Chi
poteva pagare di tasca propria la presa in carico ospedaliera, anche chi aveva manifestato
urbi et orbi il proprio scetticismo sulla gravità della malattia, ha prontamente avuto accesso
alle migliori cure ospedaliere (sacrosante, come dovrebbe essere garantito a tutte e tutti in
caso di bisogno), senza dover aspettare ore l’arrivo dell’ambulanza a domicilio. O ancora, ha
potuto avere direttamente nella propria abitazione staff assistenziale o macchinari pronti
all’uso, in un momento in cui vi erano problemi di approvvigionamento e di accesso nei
grandi poli adibiti alla cura del Covid. È chiaro come non sia possibile, né particolarmente
utile vista la natura sistemica del problema, puntare il dito contro questa o quella perso-
na; ma le continue notizie di ricchi o Vip ricoverati in grandi ospedali privati hanno reso
ancor più visibile un processo che ha radici più lontane. Eppure, ancora una volta, non è
stata posta la minima attenzione da parte dei media mainstream nello spiegare all’opinione
pubblica il perché di alcuni ricoveri eccellenti, e di come questi potessero avvenire durante
le fasi più acute della pandemia, quando le ambulanze facevano la coda fuori dai servizi di
pronto soccorso.
In generale, possiamo dire che questi fenomeni di «corsa alle cure» hanno subito un’ac-
celerazione durante la pandemia di Sars-CoV-2? È probabile, ma non abbiamo ancora dati
disponibili per affermare che ci sia stata un’accelerazione dei mecca-
nismi assicurativi o di accesso diretto alle prestazioni sanitarie private
LA PANDEMIA HA RESO non intermediate. Al di fuori delle cure per il Covid, un ruolo lo ha gio-
PALESE UN ASSUNTO: cato la grande paura dovuta al blocco, in molte Regioni durato mesi,
CHI PUÒ PERMETTERSELO delle prestazioni ordinarie. In parole povere, improvvisamente, a cau-
HA UNA PROBABILITÀ sa del sovraffollamento degli ospedali e della chiusura degli ambulato-
MAGGIORE DI GESTIRE ri, intere fasce di popolazione non hanno più avuto accesso alle cure,
LA MALATTIA, EVITARE alle prestazioni diagnostiche (basti pensare a quanto sono importanti
IL CONTAGIO, CURARSI queste ultime, per esempio, per trovare precocemente le malattie neo-
plastiche), alle terapie in regime ospedaliero o ambulatoriale.
Sicuramente ciò ha comportato, per chi poteva permetterselo, una
sorta di si salvi chi può tramite un ricorso alla spesa diretta per visite private e un aumento
della platea degli assicurati. Cosa comporterà tutto ciò in termini di salute della popolazio-
ne lo potremo sapere solo tra qualche anno, trattandosi di processi che si articolano sul me-
dio-lungo periodo. Tuttavia, qualora questa ipotesi fosse dimostrata, comporterebbe una
perdita enorme in termini di salute pubblica.
Già oggi – secondo il rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) dell’Istat – il Covid
ha riportato indietro l’aspettativa di vita di circa due anni, con grandi differenze a oggi ascri-
vibili più che altro alla circolazione virale tra le regioni. È lecito supporre come questa perdi-
ta di anni nell’aspettativa di vita non sia avvenuta trasversalmente su tutta la popolazione,
ESTATE 2021

ma segua un gradiente basato sulle disuguaglianze socioeconomiche: in base al livello di


istruzione, all’attività lavorativa o al reddito, in base a una differente esposizione al contagio
tra le classi sociali in ragione del lavoro svolto.
La pandemia ha inoltre reso palese un semplice assunto: chi può permetterselo ha una
N. 11

probabilità maggiore di gestire la malattia, evitare il contagio dei propri familiari e, in ul-
tima analisi, di curarsi. Possiamo facilmente immaginare la differenza nel portare avanti
quarantene o isolamenti in case piccole, magari affollate e con un solo bagno, aumentando
a dismisura le possibilità di contagiare i propri conviventi, rispetto a chi ha a disposizione
grandi spazi o seconde e terze case. Per non parlare della disponibilità di spazi esterni, che
hanno permesso sicuramente un utile sfogo, migliorando sensibilmente la qualità di vita di
106
chi poteva fruirne. Ricchezza è però anche avere a disposizione una rete di supporto che,
per esempio, può garantire senza troppi problemi il continuo approvvigionamento di far-
maci, dispositivi di protezione individuale, alimenti e tutto ciò che servirebbe a chiunque
per gestire una così difficile prova.
Interessante è inoltre il discorso a proposito delle vaccinazioni. A seguito di un articolo
del Financial Times è emerso il fenomeno dei viaggi di grandi manager d’azienda o di ricchi
e facoltosi personaggi verso le monarchie del Golfo Persico. Parrebbe infatti che, avendo a
disposizione una certa somma da spendere e potendosi spostare liberamente in giro per il
mondo nonostante i blocchi alla circolazione (che, evidentemente, sembrano riguardare
solo alcune persone), sia possibile acquistare dosi di vaccini, in particolare quelli di pro-
duzione statunitense, al di fuori dei canali «nazionali» nei quali sono stati ingabbiati i piani
vaccinali.
Lo stesso fenomeno, ancora una volta seguito con un certo interesse dalla stampa liberale
italiana mainstream, ha riguardato la Serbia: l’ambasciata italiana ha addirittura pubbliciz-
zato questi viaggi per la vaccinazione invitando chi poteva a usufruire di questo «servizio».
I Think Tank liberali hanno immediatamente battuto su questo tasto, invitando ancora una
volta a «superare le ideologie» in nome del «pragmatismo», dimenticando completamente
che ogni programma vaccinale funziona solo in termini di popolazione, perché nessun far-
maco o vaccino garantisce una copertura del 100% e non esiste la possibilità di salvarsi da
soli durante una pandemia globale.
Questo turismo vaccinale dimostra
come le aziende produttrici abbiano ri- di fatto precettando ogni fiala disponibile, pagandola fino
servato una certa quota della produzio- a tre volte il prezzo concordato tra Ue e case farmaceu-
ne (finanziata in larga parte con contri- tiche. A livello nazionale, si replica il meccanismo del si
buti pubblici) per esigenze «di mercato», salvi chi può. L’Ue sta quindi subendo esattamente quelle
mettendo quindi in vendita un numero dinamiche predatorie capitaliste che subiscono i paesi più
imprecisato di dosi al di fuori dei mec- poveri, per i quali l’accesso ai vaccini anti-Covid è ancora
canismi di acquisto statale, riservandoli più problematico.
fondamentalmente al miglior offerente. Se quindi alcuni meccanismi relativi al modo in cui i
Questo sistema rende conto anche delle ricchi accedono alle cure riguardano aspetti tecnici, legati
dichiarazioni di Boris Johnson che, in- soprattutto ai canali di finanziamento e pagamento dei ser-
tervistato a proposito del successo della vizi, la pandemia ha messo in luce come esistano dei «veri
campagna vaccinale nel Regno Unito, ricchi», spesso ben meno visibili. Stiamo parlando di una
ha risposto prontamente attribuendo quota di popolazione molto spesso del tutto anonima, che
tale successo a Capitalismo e Avidità. anzi evita i riflettori, ma che ha la possibilità di pagare di-
Mentre l’Unione europea arrancava rettamente di tasca propria qualsiasi tipo di cura. Queste
(nonostante qualche variazione, i dati persone, approfittando del clima generale di sfiducia e di
sulle vaccinazioni in Italia sono stati individualismo nei confronti dei servizi pubblici, a sua vol-
fondamentalmente come quelli di Spa- ta alimentato ad arte da campagne comunicative pungenti
gna, Francia e Germania, a riprova del e da dichiarazioni mirate di persone in vista, sono capaci di
fatto che la causa principale è stata la garantirsi dei percorsi differenti, un accesso diretto a cure e
mancanza di vaccini), altri paesi stanno terapie, e in ultima analisi una vita migliore.
Le possibili soluzioni non possono riguardare il contra-
IL NEMICO INVISIBILE

sto ideologico dei fenomeni in atto, quanto la redistribu-


zione della ricchezza attraverso una tassazione realmente
progressiva e uno sviluppo trasversale dei servizi capace di
garantire equità. Perché, stando a quanto scritto nella Co-
stituzione, «La Repubblica tutela la salute come fondamen-
tale diritto dell’individuo e interesse della collettività».
107
Un
affare
PRIVILEGIO

di
fami
glia
L’accesso alla proprietà della casa, indice di appartenenza
al ceto medio e benefit che sempre più spesso si eredita,
ESTATE 2021

è difficile per migranti e lavoratori di seconda generazione.


Il segnale di un sistema chiuso alla mobilità sociale
N. 11
108
«N
on so dirvi se questa storia insegni che non bisogna mai compra-
re una casa», è l’incipit di uno dei racconti di Proprietà, di Lionel
Shriver (66thand2nd 2021), una raccolta di racconti che esplora
il concetto di proprietà e possesso. «Sarebbe comunque una mo-
rale inutile in un paese che consacra la proprietà dell’abitazione
a sano proposito, tanto da rendere deducibili gli interessi del mu-
Nadeesha Uyangoda tuo», scrive Shriver. Suona terribilmente attuale, visto che il 75%
degli italiani vive in una casa di proprietà. Essere proprietari del-
la casa in cui si abita denota uno status e l’acquisto di un immobile – del primo immo-
bile – segna l’apertura dei cancelli al ceto medio. È la cosiddetta «property ownership
democracy», alla cui base si pone la democratizzazione del capitale e la crescente acces-
sibilità – per alcuni, almeno – ai crediti ipotecari. Da questo quadro sono rimasti esclusi
i gruppi marginalizzati: la giurista americana Cheryl Harris nella sua ricerca Bianchezza
come proprietà indaga proprio come la categoria della bianchezza si sia evoluta dal co-
lore alla razza, poi a uno status, fino alla proprietà.
Ma cos’è il ceto medio oggi? Ed è davvero il proprio lavoro, e quindi l’accesso al mu-
tuo, a garantire la tanto agognata proprietà? «La maggior parte degli autori e giornalisti
freelance a Milano riesce a vivere dei propri articoli perché qualcuno ha lasciato loro una
casa in eredità o perché i genitori li hanno aiutati a comprare casa» mi ha detto una gior-
nalista una volta. Ciò implica due conseguenze: in Italia l’opportunità di costruirsi una
carriera nel settore culturale (che di per sé è classista, non solo per l’incapacità di retribu-
ire adeguatamente) è un privilegio; l’accesso alla proprietà immobiliare per eredità infor-
ma quel privilegio. Sono dinamiche che escludono per forza di cose le persone di origine
straniera, per cui alla componente razziale, che di base influenza l’accesso alle risorse
e alle opportunità, si aggiunge l’assenza di legami familiari ed economici di lunga data.
Per molto tempo abbiamo pensato alla professione e allo
stipendio come agli elementi che determinano la classe so-
Nadeesha Uyangoda ciale. Ma oggi sembra essere la proprietà più che il lavoro a
è nata in Sri Lanka e definire le possibilità delle persone, tanto più che nelle grandi
vive in Brianza città il prezzo del mattone negli ultimi anni è cresciuto a un
da quando aveva ritmo più sostenuto del reddito medio: si stima che a Milano
sei anni. Si occupa e a Roma siano necessari circa dodici anni di stipendio per
di identità, razza e potersi permettere il rogito.
migrazioni. I suoi A questo bisogna aggiungere il fatto che di frequente la pa-
lavori sono stati rabola migratoria si realizza in una prospettiva intergenerazio-
pubblicati da Not, Al nale: è attraverso i figli che i genitori valutano il successo del
Jazeera, Vice Italia, proprio percorso migratorio. Da qui la duplice pressione sui
openDemocracy. ragazzi figli di genitori immigrati che crescono in un ambiente
È autrice di L’unica privo di una rete familiare e sociale estesa: quasi assente la
persona nera nella figura dei nonni, spesso si tratta di famiglie monoreddituali
stanza (66thand2nd o monogenitoriali. La pressione quindi è bidirezionale: arriva
2021). da una parte dalla società che riconosce i cittadini non-bian-
IL NEMICO INVISIBILE
109
chi in base al grado di utilità economica che apportano alla collettività, dall’altra dalla
famiglia che li spinge verso carriere più remunerative oppure a entrare prima nel mon-
do del lavoro. Nonostante questo, secondo un’indagine dell’Iref (Istituto ricerche edu-
cative e formative) il 63,8% dei ragazzi di seconda generazione, nati da genitori stranieri
e residenti in Italia, dichiara di essere inserito nel mercato del lavoro, ma il 65,8% ha un
lavoro precario (mentre il 71,6% dei coetanei italiani-italiani ha un impiego stabile).
Se i dati mostrano che la proprietà immobiliare in Italia è certamente diffusa, dicono
anche che il 59% del valore immobiliare è nelle mani del 20% delle famiglie più abbienti:
questo significa che sono pochi i proprietari che possiedono le case di maggior valore,
situate in zone centrali, che tradizionalmente offrono maggiori servizi e opportunità la-
vorative. Gli italiani di minoranza etnica crescono invece in quartieri dove la loro stessa
presenza ha un impatto sul mercato immobiliare, e benché sia difficile stabilire univo-
camente il nesso causale tra variazione di valori immobiliari e flussi
di immigrati, i prezzi degli immobili di alcuni quartieri di Milano
IL 63,8% DEI RAGAZZI DI (Via Padova, Giambellino) non aumentano di pari passo con quelli
SECONDA GENERAZIONE, dei quartieri residenziali caratterizzati da un minor tasso di resi-
NATI DA STRANIERI denti non-bianchi.
RESIDENTI IN ITALIA, Ci sono zone della città che gli agenti immobiliari descrivono
DICHIARA DI AVERE UN come «ben abitate». Qualche mese fa ero al telefono con un’agenzia
IMPIEGO, MA PER IL 65,8% a cui chiedevo informazioni su una casa nel quartiere Giambellino
È UN LAVORO PRECARIO e l’impiegata ha voluto accertarsi che sapessi che si trovava in un
quartiere «estremamente multietnico, che non tutti apprezzano». È
calato un silenzio imbarazzante quando a conferma dell’appunta-
mento ho dovuto fare lo spelling del mio cognome.
Più che il duro lavoro, i sacrifici o le aspirazioni, è avere una casa carina in un bel
quartiere il modo più facile per arrampicarsi lungo la scala sociale. In una metropoli
come Milano o Roma se hai uno stipendio nella media, o anche poco sopra la media,
è letteralmente impossibile avvicinarsi al mercato immobiliare – figuriamoci se fai un
lavoro creativo. L’inflazione dei prezzi degli immobili ha portato vantaggi solo a chi la
casa l’aveva già acquistata in tempi non sospetti, prima della gentrificazione, prima
dell’esistenza della bolla immobiliare. Basti pensare che il 40% dei proprietari di casa
oggi ha tra i quaranta e i settant’anni, e i più anziani possiedono gli immobili di maggior
pregio. Per questo è difficile ridurre il problema unicamente a una questione genera-
zionale: la proprietà degli immobili viene tramandata all’interno delle famiglie e ciò
che uno eredita sempre più va a incrementare l’asset delle possibilità di una persona, in
termini economici e qualitativi.
Gli italiani neri non possono permettersi di fare gli artisti o gli scrittori perché sono
professioni che difficilmente permettono l’accesso a un mutuo, e perché sono impieghi
che nel breve e medio termine sono incompatibili con i costi degli affitti e della vita nelle
ESTATE 2021

grandi città. Se nel 2016 i contribuenti extracomunitari erano il 24,58% in Lombardia,


N. 11
110
solo l’1,89% era proprietario di casa. A determinare questa sproporzione è anche la dif-
ficoltà di accesso al credito bancario per i soggetti di origine straniera, soprattutto se di
prima generazione. Nonostante mia madre abbia un’attività ben avviata con un aumento
del fatturato in piena pandemia, mi sono ritrovata a farle da garante per l’acquisto della
prima casa. Gli immigrati di prima generazione non di rado svolgono lavori non rego-
larizzati (pensiamo agli ambulanti, ai collaboratori domestici, alle donne impiegate nei
lavori di cura) – una condizione inconciliabile con la richiesta di un mutuo. Oltre a questo
quadro c’è il divario di status tra immigrati residenti nel settentrione e nel meridione:
il 95% dei cittadini extracomunitari proprietari di immobili si localizza nelle regioni del
centro-nord; la quasi totalità dei cittadini non comunitari residenti al sud non possiede
immobili.
In questi ultimi anni si continua a parlare di difficoltà dei giovani di accesso a deter-
minate professioni, alle industrie, alla proprietà, al credito bancario, al lavoro giusto,
all’indipendenza economica, all’affitto – e via dicendo – come se fossero una massa
informe di identità sociali tra i venti e i quarant’anni, indistinta, tutti vittime di un pre-
cariato diffuso. La realtà è invece che la ricchezza familiare, tanto culturale quanto so-
prattutto economica, è l’ago della bilancia che decide da che parte della barricata ti
trovi. «Sara era figlia di progressisti laureati a Bennington e in teoria approvava i principi
di distribuzione della ricchezza propri della socialdemocrazia europea», scrive Shriver
in un altro racconto, La coinquilina, ma «se mai fosse stata vessata in prima persona
dalle aliquote fiscali imposte sul continente agli scaglioni di reddito più elevati, le sue
posizioni politiche si sarebbero probabilmente allineate alle tendenze conservatrici che
mostrava nella vita privata, con quella coscienza americana che si riduce fondamen-
talmente a pararsi il culo». In altre parole, la solidarietà intra-generazionale non esiste.
Molti figli di badanti, babysitter e domestiche non hanno granché da ereditare dai
propri genitori che, avendo dato mensilmente fondo agli otto euro all’ora di paga per
coprire tutte le spese, raramente hanno avuto occasione di risparmiare qualcosa. Men-
tre uno studio dell’Institute of Fiscal Studies ha osservato che, nel Regno Unito, uno su
tre dei nati negli anni Ottanta erediterà dai propri genitori una ricchezza pari a dieci
volte il guadagno annuale dei propri coetanei.
La tendenza a classificare una generazione come parte di un precariato diffuso dà
l’idea che l’élite sia sempre composta da qualcun altro, sia un’entità lontana e fumosa.
Eppure, non sono solo i miliardi a fare la differenza, può farla anche qualcosa di molto
piccolo come un appartamento semicentrale ereditato da tua nonna. Nessuno di noi
può vincere in un gioco fallato in partenza, piuttosto, alcuni di noi vincono godendosi i
propri privilegi precisamente perché il gioco è truccato. Possono essere scrittori o artisti
solo coloro che possono permetterselo. In un articolo sul Guardian, la scrittrice Lynn
Steger Strong a proposito del problema di un canone letterario che ruota intorno ai
bianchi ricchi, commentava: chi altri ha lo spazio, il tempo e i soldi per scrivere un libro,
promuoverlo e pubblicizzarlo?
IL NEMICO INVISIBILE
111
magazi
bin n

e
da jac

Spettacolo
per pochi
PRIVILEGIO

eletti
Al tempo della diffusione digitale
si potrebbe pensare che la musica è
ormai una forma d’arte democratica.
Non è così. Tutti accediamo ai
rumori di fondo. Ma la musica come
esperienza è sempre più per le élites Illustrazione di Irene Rinaldi
ESTATE 2021
N. 11
112
S
empre più spesso ci immergiamo nella musica dove e come possia-
mo. La mattina, con gli auricolari mentre andiamo al lavoro; di sot-
tofondo, mentre puliamo o prepariamo la cena; alla scrivania, con
melodie dolci, per permettere alla nostra mente di staccare dal solito
tran tran. Una tendenza in netto contrasto con la musica intesa come
evento, celebrazione o catarsi, tutte modalità con cui abbiamo par-
Alexander Billet tecipato alle performance dal vivo per gran parte della storia umana.
Una privatizzazione solitaria di un medium per sua natura sociale.
Come per molte altre cose, anche la musica per i ricchi è un’esperienza in qualche
modo diversa. Pensate, ad esempio, all’esibizione di Elton John al matrimonio di Rush
Limbaugh dal costo di un milione di dollari. O al concerto privato di Beyoncé per il fi-
glio di Muammar Gaddafi. O al prezzo di due milioni di dollari pagato da Martin Shkreli
«Pharma Bro» per l’album prodotto in un’unica copia Once Upon a Time in Shaolin del
Wu-Tang Clan. Persino quell’ammasso di vergognosa incompetenza del Fyre Festival
era inteso, preme ricordarlo, come un raduno di glamour e privilegio, dove un biglietto
medio costava 1.200 dollari.
È questo l’aspetto profondamente antidemocratico che assume la cultura quando è
lasciata al mercato. Ma c’è di più. Prima del capi-
talismo e dell’ascesa della forma merce, l’arte
poteva essere esperita soprattutto all’inter-
no dei circoli dei ricchi. Appesi nei palazzi

Alexander Billet è scrittore, artista


e critico culturale, redattore di Locust
Review. La traduzione è di Gaia Benzi.

IL NEMICO INVISIBILE
113
dei monarchi o nei grandi luoghi di culto, i capolavori trasmettevano un senso di aura,
riverenza, diritto divino. L’avvento della fotografia ha cambiato tutto. Con la carta stam-
pata, la riproduzione meccanica dell’immagine le ha permesso di raggiungere lo spetta-
tore ovunque si trovasse. Potremmo dire la stessa cosa della musica nell’epoca digitale.
Oggi chiunque ha accesso a tutta la musica mai registrata in qualsiasi luogo del mondo
si trovi. Il suono arriva a te, ed è limitato solo dalla tua capacità di pagare per un servizio
di streaming e per l’accesso al Wi-Fi.
Ma c’è un problema, le cui radici affondano non nella tecnologia di riproduzione in
sé stessa, ma in chi la controlla.
Nel suo Modi di vedere, John Berger prende le mosse dalla teoria di Walter Benjamin,
lodando il potenziale democratico dell’arte riprodotta meccanicamente e sottoline-
ando come, agli albori del capitalismo (e prima dell’avvento della fotografia), la classe
mercantile in ascesa utilizzasse proprio i dipinti a olio come strumento per fare mo-
stra della propria ricchezza di terre e beni. Oggi, nell’epoca della riproducibilità digitale
dell’immagine, il nostro corollario a questa pratica è rappresentato dai «ragazzini ricchi
di Instagram», che si vantano dei loro elicotteri e delle casse di Dom Perignon in quello
che Adam Stoneman ha descritto diversi anni fa su Jacobin come «lo sfoggio di una
spacconeria che trasuda sprezzo dei soldi e gratificazione nel negare agli altri l’espe-
rienza della ricchezza anziché condividerla».
L’aura precapitalista, semi-religiosa dell’immagine d’arte è rimpiazzata non da una
fiorente creatività democratica, ma dall’eccesso e dal disprezzo meschino della up-
per-class. Gli oggetti riprodotti nell’immagine – le macchine di lusso, le piscine sfarzo-
se, le vacanze idilliache – sono soggetti alla legge dello scambio e, in teoria, potrebbero
appartenere a ciascuno di noi. Ma non appartengono a noi; appartengono a loro. E noi
non possiamo averli.
La musica, un medium totalmente differente, risponde a regole diverse. Quando sia
il suono registrato che l’immagine composta possono essere riprodotte all’infinito, en-
trambe entrano in conflitto con la nozione di autenticità e originalità. Chiunque può
ascoltare in streaming la musica di Beyoncé, ma quanti di noi possono vivere l’espe-
rienza unica di vederla cantare per i nostri più cari amici? I fan sfegatati del Wu-Tang
possono comprare tutte le rarità e i cd piratati che vogliono, andare a tutti i concerti
possibili, ma l’unico che può ascoltare Shaolin è colui che può pagare per comprarlo.
La musica come rumore di fondo è più accessibile che mai. La musica come espe-
rienza, invece, è una sorta di premio.
Ci sono, ovviamente, eccezioni alla regola. Anche se la maggior parte di noi non
può pagare una performance privata del proprio artista preferito, possiamo comun-
que andare ai festival musicali. Anche in questo caso, tuttavia, non possiamo ignorare
il costante incremento dei costi di partecipazione. Un pass di quattro giorni per Bon-
naroo, ad esempio, costa più di 350 dollari, e alloggio e parcheggio possono costarne
ESTATE 2021

centinaia d’altri. Aggiungendo il viaggio e il ricarico pressoché criminale su cibo e


acqua, il prezzo complessivo arriverà facilmente a segnare i 1.500 dollari. Per non dire
della divisione di classe che questi festival rendono evidente quando occupano uno
N. 11
114
spazio destinato all’uso pubblico o creano delle gabbie dorate per gli accessi Vip. A
Bonnaroo, chi voglia fare due chiacchiere con gli artisti in una tenda con l’aria condi-
zionata per un intero weekend, cibo e bevande inclusi, deve essere pronto a sborsare
4 mila dollari.
I festival musicali possono quindi essere visti come luoghi in cui le fratture tra pro-
dotto e monopolio nel mondo della musica diventano più minacciose, e sono costretti
a nasconderlo per non lasciare spazio a qualsiasi intepretazione più comunitaria. Ma
anche così possono cedere sotto il peso delle loro stesse contraddizioni.
Il Fyre Festival, il festival musicale «di lusso» il cui spettacolare collasso nella prima-
vera del 2017 ci ha regalato una salutare dose di schadenfreude [gioia per le disgrazie
altrui, Ndt], ne è l’esempio migliore. Ma non è raro vedere simili tensioni sorgere in
occasione di altri festival. Le condizioni terribili in cui è stato lasciato l’Humboldt Park
di Chicago dopo il Riot Fest del 2014 hanno provocato proteste nella comunità working
class del quartiere di Boricua. E la cancellazione di numerosi grandi festival musicali
a causa del Coronavirus porta a chiedersi se alcuni dei promoter e delle aziende che
dipendono da questi eventi sopravviveranno all’anno, per non parlare del prezzo che
potrebbero pagare i loro dipendenti per un simile collasso.
In altre parole, «la musica come prodotto» e «la musica come parco giochi dei ricchi»
vivono l’una dell’altra. Ci viene detto che le nostre vite saranno incomplete senza quei
suoni e quelle esperienze, ma solo coloro che possono permetter-
sele in forma pura potranno sperare di trarne piena soddisfazione.
La musica diventa così un canale del glamour, che, come sostiene AGLI ALBORI DEL
Berger, è il segno di «una società industriale che stava andando ver- CAPITALISMO (PRIMA
so la democrazia ma si è fermata a metà strada». DELLA FOTOGRAFIA),
Il potenziale radicalmente democratico della produzione di LA CLASSE MERCANTILE
massa di arte e musica non è soltanto sperperato: è stato rivoltato UTILIZZAVA I DIPINTI
contro sé stesso. Le pressioni al ribasso stanno già avendo degli A OLIO PER OSTENTARE
effetti a catena su come i lavoratori e le lavoratrici del settore si LA PROPRIA RICCHEZZA
rapportano alla musica. Questa relazione, sempre più privatizzata,
potrebbe portare alla nascita di un nuovo genere di musica. Nell’e-
poca di ciò che alcuni opinionisti hanno definito «Spotification», anche se gli artisti
vengono pagati solo pochi centesimi dai servizi di streaming, in molti sentono l’impel-
lenza di scrivere le loro canzoni in modo da conformarsi a un algoritmo, così che pos-
sano comparire in cima alla lista quando a un ascoltatore verrà chiesto: «Cosa vorresti
sentire dopo?».
Come tutto ciò si evolverà, ovviamente, è impossibile a dirsi. Ma l’attuale traiettoria
economica e culturale solleva la domanda se non si stia andando verso una sorta di
apartheid musicale di massa. Quando parliamo di due modi in cui il mondo della mu-
sica viene esperito, quanto può diventare letterale questa distinzione? Ci stiamo avvi-
cinando a un momento in cui gli artisti suoneranno versioni migliori e più interessanti
della loro musica solo per i ricchi? E, più nello specifico, quanto vogliamo andare vicino
a questa visione prima di cominciare a reagire?
IL NEMICO INVISIBILE
115
Ricchi
RICCHEZZA

di serie Dal signor Drummond che nel suo attico di Manhattan


strappa Arnold e Willis dai sobborghi di Harlem, fino
al property porn, il vouyerismo delle dimore da sogno.
La lotta di classe? Le storie in tv non la contemplano

I
l simpatico riccone dai modi affabili è sempre stato uno degli ele-
menti portanti dell’immaginario televisivo statunitense e, quindi,
globale. Siamo cresciuti ammaliati dalla liberalità di Mr Drum-
mond, possidente newyorkese che si prende in casa Arnold e
Willis, gli orfani della sua ex governante di colore, trapiantandoli
a Manhattan, lontani 45 minuti da Harlem (che avrebbe dovuto
Selene Pascarella essere il titolo della serie Different strokes, in Italia, Il mio Amico
Arnold). Prima di noi, una generazione di boomers ha seguito con
affetto le avventure del ricco Zio Bill e dei suoi tre nipoti, sognando di vivere in un lumi-
noso appartamento al numero 600 della 62esima strada, coccolati da un inappuntabile
maggiordomo barbuto di nome Signor French.
Certo, decadi di soap opera ci hanno mostrato il lato oscuro dei super ricchi privi di
scrupoli, uomini e donne con principesche dimore in zone residenziali, talmente annoiati
da avere come unico diversivo la persecuzione di personaggi belli e sfortunati della classe
operaia. Ma, in fondo al cuore, restava grande spazio, impareg-
giabile slancio, per l’uomo facoltoso, quel man of means cele-
ESTATE 2021

brato dalla sigla di Arnold, consapevole che servono different Selene Pascarella,
strokes per far muovere il mondo, superattico umano capace giornalista e
di alimentare la fede nell’ascensore sociale del sogno america- criminologa, unisce la
passione per il piccolo
N. 11

schermo a quella per


la cronaca. È autrice
di Tabloid Inferno
(Alegre Quinto Tipo
2016) e Pozzi (Alegre
Quinto Tipo 2019).
116
no. Dopotutto, uno dei due strokes, dall’altra
parte della scala di reddito, eravamo noi, e
questo contribuiva a farci sentire se non
cittadini di un mondo accettabile al-
meno non stranieri in un Upper East
Side in cui non avremmo mai mes-
so piede.

IL LAMENTO DEL BANKSTER

Purtroppo niente, nemmeno


Dallas, dura per sempre. «Una
volta la gente amava l’uomo
con la limousine» dichiara tra
l’amaro e il beffardo Bobby
«Axe» Axelrod, il bankster pro-
tagonista di Billions, «oggi gli
tira le uova». Bobby talvolta ap-
pare stremato dalla lotta con la
sua nemesi (il suo different stroke),
il non miliardario ma soltanto mol-
to, molto privilegiato procuratore
Chuck Rhoades. Sa che la distanza tra
«miliardario amato da tutti» e «riccone
detestabile» tende ad allargarsi e stringersi Il mio amico
secondo i capricci della sorte e le tempeste di
sterco dei social. Non importa con quanto impe-
Arnold
gno nasconde alla gente il chiavistello di insider tra- A man is born,
ding ed evasione fiscale con cui ha truccato l’ascensore, he’s a man of means.
quando un billionaire entra in una stanza «è come una Then along come two,
donna con due tette stupende, gambe perfette, sa esatta- they got nothing but their jeans.
But they got…
mente cosa guarda la gente e che cosa vuole».
diff’rent strokes it takes,
Decine e decine di prodotti televisivi seriali tra il secondo diff’rent strokes
e il terzo millennio hanno identificato tale oscuro deside- It takes, diff’rent
rio come una forma di vendetta di classe a basso voltaggio. strokes to move
I privilegiati hanno scheletri nell’armadio? Vogliamo sbirciare, the world.
ma prima, di grazia, fateci fare un giro con il cappottino di Prada
che penzola dalla gruccia. Los ricos también lloran? Non sono più gli
anni Ottanta, divideremo con loro una coppa Martini di salatissime la-
crime. Quando Brendon e Brenda Walsh lasciano il Minnesota per Beverly Hills
90210 scoprono che la bella società non è cattiva, ma che la disegnano così i più invidiosi.
La cerchia di ricchi ragazzini viziati del luogo ha vestiti migliori ma più o meno i medesimi
IL NEMICO INVISIBILE
117
problemi, virtù nascoste a parimerito. Rodeo
Drive in fondo resta a portata della middle
class, a distanza di qualche semestre di pro-
fitto ben assestato.
I ricchi non rendono il mondo un posto
migliore, ma pure loro non sono così malac-
cio, meglio farlo notare, se non altro per-
ché potremmo, un domani, entrare a far
parte della cricca. Solo tre anni dopo la
messa in soffitta delle avventure di Bren-
da, Kelly, Dylan e compagnia, la forbice
si deve essere allargata parecchio, per-
ché alla porta degli adolescenti con
mezzi di The OC non bussano fratelli
a modo, figli di un quadro dirigenziale,
ma il disagiato Ryan Atwood dalla pe-
renne canottiera tamarra nel quale no-
stro malgrado ci siamo riconosciuti tutti.

L’ARTISTA ALLA CORTE DEI BILLIONAIRES

Nella stagione in cui Orange County passa


il timone della tv per ragazzi alla sfavillante New
York di Gossip Girl (un salto di altri quattro anni)

Dinasty la distanza tra la bella società e il resto del mondo si


è fatta talmente siderale da rendere necessario un
escamotage. Poiché l’ascensore è stato dismesso, la
«Quando ci sar classe media è triste e indebitata e quella lavora-
la rivoluzione, trice un po’ ripetitiva, l’unica via è puntare sulla fi-
la tua testa sarà gura dell’artista outsider. Hanno velleità artistiche i
la prima a cadere» membri della «povera» famiglia Humphrey, circon-
«Oh, passerò data da clan ingioiellati dai cognomi programmatici,
dal parrucchiere, tipo Archibald, van der Woodsen e Waldorf, e collo-
prima…» cata in una Brooklyn riqualificata e ammiccante, tut-
ta localini e gallerie d’arte. Il loro è un terzo stroke dove
risuona meno il beat di classe, ma la musica è comunque
diversa, esotica.
Nei cruciali anni Novanta di Little Fires Everywhere si fronteg-
giano la ricca giornalista per hobby Reese Witherspoon e la fotografa/cameriera part-ti-
ESTATE 2021

me Kerry Washington, ma la serie è del 2020, annus domini in cui negli Usa un ammi-
nistratore delegato guadagna 361 volte di più di un suo dipendente (erano venti volte
negli anni Cinquanta) e molte delle zone residenziali modello Shaker Heights (dove vive
N. 11
118
Reese) sono in declino. In The Undoing, ambientata nella Grande mela di oggi, la psico-
terapeuta di prestigiosa famiglia Grace (Nicole Kidman) ed Elena (Matilda De Angelis),
pittrice «proletaria» (con uno studio da paura nel Queens), danno vita a una poco cre-
dibile scaramuccia di classe.
Grace attraversa la parte alta della città indossando leggendari cappottini (subito oggetto
di venerazione sui social), abita stanze dove solo la carta da parati equivale al Pil del Molise.
Elena ha il cattivo gusto di farsi ammazzare e l’abitudine di parlare completamente nuda
alla moglie del suo amante (sempre Grace), uno stralunato e insopportabile Hugh Grant
che non ha la limousine, eppure fa subito mettere mano al cartone delle uova. L’equivalente
del signor Drummond di questa serie, il padre di Grace, Franklin Reinhard, non è interes-
sato a fingere che il mondo si muova grazie a due differenti ritmi. Non a caso ha il volto
aristocratico e facile alla smorfia di Donald Sutherland, un uomo nato per incarnare ricchi
bastardi a capo di dinastie di privilegio, vedi Patrick «Tripp» Darling III in Dirty Sexy Money
(2007) e John Paul Getty in Trust (2018).

L’ULTIMA CORSA DELLA LOTTA DI CLASSE

Ed è il successo delle serie tv sulle famiglie miliardarie problematiche a sancire il tra-


monto del modello dei different strokes. Succession, Riviera, persino il reboot di Dinasty,
affidano il ruolo del contraltare a comprimari, in un blando tentativo di salvare le ap-
parenze. Ci sono solo i ricchi, manca la lotta di classe, perché le altre classi, semplice-
mente, non sono pervenute. La separazione è rigida come nei «mille e uno vagoni» dello
Snowpiercer, con la differenza che non c’è nessun fondo pronto a dare l’assalto alle classi
di testa per trasformare una «roccaforte di diseguaglianza» in «un solo treno». E la morale
è che soltanto rinchiudendo ciò che resta della popolazione mondiale in un convoglio co-
stretto a percorrere in loop una terra ricoperta di ghiaccio si rischia di vedere i poverissimi
entrare in contatto e in scontro diretto con i super ricchi. Oppure ambientando la storia
in una scuola esclusiva ma pronta a contaminare i propri frutti puri con borsisti svantag-
giati e variando di volta in volta elementi superficiali del racconto, per esempio inserendo
la danza classica in Tiny Pretty Things, o scegliendo l’ambientazione madrilena di Élite,
produzione spagnola pensata da Netflix per il mercato globale.

LA RICCHEZZA È UNA CARTA DA PARATI PORNO

Nel dicembre 2020 Meredith Blake ha scritto sul Los Angeles Times che Undoing ha
poco da dire sulla questione di classe oltre che: «Guardate queste persone incredibilmen-
te ricche e le loro vite disordinate». Blake paragona la ricchezza nella serie di Susanne Bier
a uno sfondo, al pari delle sfavillanti carte da parati ostentate nelle location (tutte recen-
site in internet e ordinabili, portafogli permettendo). Un trend già visto in The Crown e
nel filone sulle grandi dinastie coronate del mondo usate come pretesto per la narrazione
luxury e quello che gli statunitensi chiamano property porn, ossia il voyerismo delle dimo-
re da sogno, dove i miliardari esistono ma, come si dice, noblesse oblige. «Tutti pensano
IL NEMICO INVISIBILE
119
che perché siamo nobili ci piaccia la cu-
cina raffinata – spiega il principe Filippo
alla regina Elisabetta – In realtà siamo sel-
vaggi adatti a cibo da mensa scolastica e
da ospedale». In un rovesciamento della
logica e della storiografia che non teme
il ridicolo, la voce narrante di Versailles,
novellizzazione della nascita dell’assolu-
tismo monarchico e dei suoi simboli, cin-
guetta che grazie alla reggia più costosa di
sempre «tutti coloro che osano sognare un
giorno potrebbero vivere come un re o una
regina». L’unica differenza tra la dimora del Re
Sole e la residenza a Long Island della Grace di
Undoing è che la prima non è disponibile su Airb-
nb (per ora).

OGNI MILIARDARIO È UN FALLIMENTO TELEVISIVO?

Riviera
Negli Usa si è aperto un dibattito serio sul tramonto del mito
del miliardario del popolo, l’amabile extra ricco dal volto uma-
no. Il 70% dei cittadini registrati per votare a gennaio 2019
«Noi trattiamo Picasso, (sondaggio Fox News) si è detto favorevole a una tassazione
Rembrandt, Degas, Duchamp, dei super ricchi, repubblicani compresi. Un quarto degli
li trattiamo come si trattano statunitensi ha sentimenti negativi nei confronti dei super
i mutui subprime: un giorno ricchi (Ricerca GOBankingRates) e la parola miliardario su-
svendiamo un Warhol, il
scita tanta antipatia che i billionaires del mondo reale hanno
successivo puntiamo su un
rispolverato per autodefinirsi il meno iconico men of means.
antico maestro. Ci sguazziamo
fintanto che non verrà Per dirla alla Alexandria Ocasio-Cortez, «ogni miliardario è un
regolamentato quest’angolo fallimento politico».
di Far West». Ciò non implica che i super ricchi abbiano perso spazio
nell’immaginario televisivo, anzi. Possiamo trovarli dove sono
sempre stati, siamo noi a guardarli da lontano. Se la ricchezza ci pare
uno sfondo è per effetto del punto di osservazione, non più mediato da
personaggi di modesta estrazione attraverso i quali affiancarli, avvicinarli.
Persino la scoperta, mai stata sconcertante in verità, dei loro segreti inconfessabi-
li, necessari per giudicarli e farci sentire migliori, ha sempre meno ragione di esistere. Un
tempo le serie sui terribili ricchi si chiudevano con un colpo di scena, dove spesso erano i
poveri a mostrare il loro lato feroce, guadagnando punti, dimostrandosi finalmente inseriti.
ESTATE 2021

Il finale di Undoing dimostra che l’aria è cambiata. Se pensi che il bastardo ricco accusa-
to nella prima puntata sia colpevole, in effetti… Ma non vi rovino la sorpresa. È l’unico lusso
che possiamo permetterci.
N. 11
120
PRIVILEGIO

PRI
V
DI C ILEGI
LAS
SE
ESTATE 2021
N. 11

Illustrazione
di Ginevra Rapisardi
per Mimaster
122
Ci sono scuole pensate per le élites che ormai non si
vergognano più di rivendicare esplicitamente la propria
natura separata e discriminante. In quelle aule si formano
i nuovi privilegiati. Un racconto dall’interno del fortino

A
ppena tornava la luce, nell’aula magna, centinaia di ragazzini si
guardavano elettrizzati. Dietro c’erano settimane di congetture,
speranze, tentativi di corruzione per intervenire sulle candidatu-
re. I cosiddetti Oscar del liceo Ennio Quirino Visconti di Roma, a
maggio, sostituivano l’ultima assemblea d’Istituto dell’anno e ini-
ziavano con quelle luci spente e poi accese, in una cerimonia che
Tommaso Giagni era un po’ show televisivo e un po’ festa di fine anno dell’high scho-
ol. Musica, presentatori con microfono, clip proiettate su teli per
annunciare ogni concorrente. Si votava una serie di categorie, ciascuna con la sua rosa di
nomination, e in massima parte per la carica di reucci e reginette di bellezza: si proclama-
vano la più bella e il più bello del ginnasio, la più bella delle coppie, e niente era parago-
nabile all’elezione dei più belli della scuola – Mister Visconti e Miss Visconti. A decretare i
vincitori erano, a seconda delle edizioni, una giuria o il calore del pubblico col cosiddetto
«applausometro». L’unico titolo che usciva da criteri estetici riguardava il freak, il diverso
perché autistico o perché eccentrico. Grandi risate, dalla platea, accompagnavano i goffi
e gli strambi che salivano a ritirare il premio.
Ho frequentato uno dei grandi licei pubblici italiani, e ho l’impressione che equivalga
ad averli frequentati tutti. A quanto sentivo allora e a quant’ho ricostruito poi, lo stesso
succedeva a Roma come a Milano, a Bologna come a Napoli. E nei licei-bene di provincia:
a Catania, mi hanno raccontato dieci anni fa, esisteva una premiazione identica a quella
degli Oscar del Visconti.
Sono le scuole dove i professori ammoniscono studenti e studentesse di prepararsi a
diventare la futura classe dirigente. Dove si invitano ospiti famosi a parlare in aula ma-
gna. Dove accorrono i giornalisti per le interviste prima dell’esame di maturità («Emozio-
nato?»). Le scuole che si contendono i posti di vertice nelle classifiche nazionali. Istituti
pubblici che sembrano privati, per aura esclusiva e caratteristiche escludenti.
Lo scorso autunno, il Manzoni di Milano ha annunciato che la scrematura delle iscrizioni
si sarebbe basata, tra gli altri, sul criterio della residenza in centro. Una scelta giustificata
con la situazione d’emergenza, effetto della pandemia, che comportava per l’istituto la de-
cisione «di sospendere la sua tradizionale apertura a tutti gli studenti». Di tradizionale c’è
il concetto che frequentare queste scuole sia un privilegio. Quand’ero uno studente del Vi-
sconti, l’iscrizione era strettamente legata alla residenza nell’al-
lora prima circoscrizione. Nel 2014 il Visconti ancora deliberava
che i criteri per le formazioni delle classi fossero: «residenza nel Tommaso Giagni
I Municipio; presenza nella scuola di fratelli frequentanti i corsi; (Roma, 1985) ha
possibilità di ammissione con sorteggio pubblico per coloro che pubblicato i romanzi
IL NEMICO INVISIBILE

provengono da altri distretti scolastici secondo i posti a disposi- I tuoni (Ponte alle
zione». In quel I Municipio ormai la nuova suddivisione ammi- Grazie 2021), Prima
nistrativa della città comprendeva, oltre al centro storico, anche di perderti (Einaudi
una zona (Prati) spazialmente distante, storicamente estranea 2016) e L’estraneo
ma socialmente omogenea. E per chi veniva da fuori non restava (Einaudi 2012). Scrive
che il sorteggio – la lotteria come per la green card in America. per L’Espresso.
123
I miei compagni di scuola che venivano da contesti sociali diversi si contavano. Si ri-
conoscevano tra loro ma non si univano. Venivano riconosciuti da chi apparteneva alla
maggioranza: una persona che oggi studia in un grande liceo pubblico mi ha spiegato che
a una sua compagna, appena arrivata dalla Sicilia, per mesi è stato cantato: «Sei venuta
col gommone». La differenziazione si generava e continua a generarsi pure all’interno
di quella maggioranza. Un fattore al Visconti dei miei anni era stare in una determinata
sezione delle sei esistenti, percepita come l’eccellenza dell’eccellenza, dove si diceva ser-
visse la raccomandazione per entrare.

***

Nelle mie ultime settimane al Visconti, a ridosso dell’esame di maturità, la scuola


venne affittata come location per Caterina va in città di Virzì. Nei bagni al pianterreno
dovevano girare, le aree erano delimitate e le lezioni cadenzate dalle voci degli attori e
della troupe. Vedendo poi il film mi sembrò depotenziato rispetto agli elementi che avevo
intorno, e che però – tangibilissimi – rischiavano di essere inverosimili. Per esempio le
riunioni mensili con un prete, in un appartamento di piazza Navona, a cui si accedeva per
invito ed era una via di mezzo tra una formazione spirituale e un rinserramento dei ranghi
dell’aristocrazia. O i quattordicenni che in quella primavera 2004 portavano grossi anelli
nobiliari. O ancora, le ragazzine nate negli anni Ottanta che si preparavano al ballo delle
debuttanti per l’ingresso in società.
Se capitava un’ora vuota o si usciva prima del previsto, qualcuno poteva proporre di
andare a casa sua. Era una comodità, per fumare senza nascondersi nei vicoli dietro scuo-
la, per giocare alla play o per creare un’intimità con una ragazza del gruppo. Non si scopri-
va dove fosse, la casa, finché non si entrava senza preavviso in uno dei grandi palazzi che
fino a quel momento avevo considerato una qualunque componente scenica del centro
storico. Gli ascensori privati si aprivano al piano, ci lasciavano nell’intimità domestica.
Camminavamo su pavimenti di legno, dalle finestre si vedeva il fiume. Una piccola ter-
razza aveva la ringhiera che finiva contro la scalinata di piazza di Spagna. Più di una volta
a decorare le pareti c’erano gli arazzi. Soprattutto, la quantità e la disposizione dei saloni:
uno dopo l’altro, magari tre o quattro stanze di seguito, praticamente identiche e perlopiù
inutilizzate. La casa dava l’impressione di essere vuota, spesso lo era e comunque si resta-
va col dubbio. I genitori non si palesavano o non c’erano, ai domestici nessuno badava e
finivano per avere poca consistenza. Se questi però comparivano, venivano trattati come
a scuola i bidelli: comandando richieste e azzittendo rimproveri con grande disinvoltura,
oppure stabilendo una specie di routine scherzosa che si fingeva alla pari.
I domestici erano anche l’unica presenza adulta nelle feste in casa del sabato sera. Da
loro si veniva accolti all’ingresso e a loro – che tenevano una stampella pronta in mano
per ciascun ospite – si porgevano giacche e giacconi senza uno scambio di parole, in una
ESTATE 2021

sequenza automatica. Quelle feste sembravano ricevimenti. La vita scolastica proseguiva


fuori dagli istituti, d’altronde, e uno degli elementi che muoveva le relazioni era lo scim-
miottamento delle abitudini di altre età.
N. 11
124
Intorno a grandi tavoli di legno, quindicenni discettavano di sigari durante partite di
poker che finivano in tempo per il coprifuoco dei genitori. Le feste dei diciott’anni alzava-
no il livello, indicavano gerarchie a seconda dei locali che le ospitavano e sull’invito c’era
la formula «Rsvp», che anche quando veniva sciolta rappresentava un codice per iniziati.
Le minicar da dodicimila euro parcheggiate intorno alle scuole pretendevano di essere
automobili vere. Qualcuno arrivava accompagnato dall’autista di famiglia. C’erano anche
esibizioni alternative: in molti avevano motorini sgangherati, una mia compagna di clas-
se stupì tutti presentandosi con un Apecar come se non vivesse ai piedi dei Parioli. A uno
degli amici più ricchi che ho avuto, quando si usciva insieme, bisognava sempre offrire le
birre perché girava senza portafogli.
Da adulti, le feste del sabato sera sono diventate aperitivi a pagamento. Nella stessa
casa con duecento metri quadri di terrazza che frequentavo a sedici anni, sono stato invi-
tato in cambio di una quota a ritrovare l’ambiente sociale di allora.

***

La mia esperienza diretta riguarda i cinque anni dal 1999 al 2004. Vent’anni non sono
pochi, e si potrebbe pensare che le cose siano cambiate. Il liceo che ho frequentato è nel
collegio romano che fu roccaforte dei gesuiti e imprigionò Galileo, nel cuore di Roma, a
duecento metri dall’abitazione del presidente del Consiglio dei miei anni scolastici. Un
contesto unico, e si potrebbe obiettare che quelle dinamiche siano irripetibili altrove.
Dal 2014 il liceo Kennedy, nel quartiere-bene di Monteverde Vecchio, adotta un me-
todo che in Italia viene considerato avanguardistico e nelle high school americane è la
norma: ogni insegnante ha la sua aula e sono gli studenti a ruotare. Si legge sul sito della
scuola: «Il modello Dada nasce dall’idea di valorizzare il buono del nostro sistema educa-
tivo, colmare il gap con i best performer europei».

Nel 2018 ancora andavano in scena gli Oscar del Visconti. Me ne sono informato nei
giorni in cui un articolo di Corrado Zunino, su la Repubblica, ha messo in fila una serie
di rapporti di autovalutazione con cui rinomati licei pubblici nazionali presentavano la
propria composizione. Mostrando come il compiacimento nella distanza dalla margina-
lità fosse ancora in ottima forma. Il Parini di Milano spiegava che «gli studenti del liceo
classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla
media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola». Il D’Oria di Genova so-
steneva che «il contesto socio-economico e culturale complessivamente di medio-alto
livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista
della provenienza culturale (come, ad esempio nomadi o studenti provenienti da zone
particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazio-
ne e al dialogo fra scuola e famiglia». E il rapporto dello stesso Visconti annunciava: «Tutti,
tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile.
La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente [...]
Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento».
IL NEMICO INVISIBILE
125
RICCHEZZA

odia
a di vita de l ceto che odia i poveri ma e lui.
La form sanno spendere bene com
pe rc hé no n
anche i ricchi, spressione consolidat
a
to rno a no i, so no l’e
Sono in ta
ta del rancore classis
e la versione aggiorna
ESTATE 2021
N. 11
126
I
l nuovo piccolo borghese è orgoglioso del suo gusto ma è disgu-
stato dai gusti degli altri e quindi odia

il nuovo piccolo borghese odia i poveri (ed era scontato che sono
tutti cafoni con la zappa e la terra) ma odia anche i ricchi che c’han-
no i soldi ma non sanno come spenderli bene come lui e magari si
Alberto Prunetti vestono da straccioni e diventano comunisti oppure i soldi li sper-
perano in teatro e concerti e non vanno la domenica all’outlet o
all’Ikea e non si comprano il Suv bianco come fa lui che è moderno e c’ha gusto per le cose
che compra ed è disgustato per i gusti degli altri

lui odia anche la classe media della generazione prima della sua che quando lui era povero
loro c’avevano già i soldi ma erano parsimoniosi e si indebitavano solo per la casa e com-
pravano solo le cose utili mentre lui compra quelle alla moda che non servono a un cazzo e
sono demodé dopo due mesi e lui le butta smaltendole abusivamente ma nel pieno rispetto
delle regole locali in una piazzola di una strada provinciale perché c’ha buon gusto ed è una
persona agiata che odia il disagio è un tipo moderno lui ama i confort e la wellness

il nuovo piccolo borghese condanna l’ascetismo della vecchia piccola borghesia consolidata

che credeva nel risparmio e nei doveri

lui è moderno Alberto Prunetti è


lui è per il piacere e per il consumo e non ha obblighi morali
autore di 108 metri.
The new working
lui è passato dal dovere al piacere class hero (Laterza
2018), Pcsp (Alegre
dal risparmio al consumo Quinto Tipo 2015) e
Amianto. Una storia
al piacere e al consumo necessari alla sua autostima e al suo status
operaia (Alegre 2012).
lui insomma è per il dovere del consumo coatto Per Alegre dirige la
collana di narrativa
e spende con piacere ma intanto odia Working Class.
lui odia i poveri perché puzzano e i ricchi perché gli fanno invidia

il nuovo piccolo borghese ha letto che bisogna investire di più in ricerca ma cosa caz-
zo ricerchi se tutti i tuoi amici che in zona sono quelli coi soldi e che corrono il rischio
dell’impresa hanno solo la terza media come certi proprietari o meglio concessionari di
stabilimenti balneari

il nuovo piccolo borghese ama le tradizioni locali dei territori e dice che bisognerebbe vivere
di turismo e gastronomia perché abbiamo un territorio di risorse locali meravigliose se solo
sapessimo (ma lui dice sapremmo) sfruttarle per bene dice pensando a quante cameriere
desindacalizzate da umiliare e sfruttare per bene allora avrebbe a disposizione nei ristoranti
dei suoi amici ristoratori vivendo di turismo e ristorazione e gastronomia locale nei territori
IL NEMICO INVISIBILE

lui crede molto alla bianchezza e per questo c’ha il Suv bianco e l’ha portato in carrozzeria
da un amico di suo cugino che gliel’ha riverniciato ma poi lui ci ha leticato perché quello
voleva fargli la fattura che oggi ci sono i controlli e lui al carrozziere stronzo che rovina
il sistema del libero mercato gli ha detto se mi fai il bianco io pago ma solo in nero e in
contanti che ne ho un po’ da smaltire
127
e c’è rimasto male che un amico di suo cugino si spaventi per i controlli della finanza per-
ché in genere gli amici di suo cugino sono tutti imprenditori a favore del rischio d’impresa
e del libero mercato

e poi è una cosa di principio lui il bianco lo paga sempre in nero

il piccolo borghese dei tempi nuovi lui sì lotta contro il sistema della burocrazia e delle
tasse e si impegna per il libero mercato e la concorrenza e la proprietà privata che priva
alcuni della proprietà ma non certo lui

lui ama la sanità privata perché lui è per la meritocrazia e il libero mercato però poi gli
tocca andare a curarsi nelle regioni rosse come la Toscana o l’Emilia perché negli ospedali
privati lombardi meritocratici costa troppo e dopo non gli restano i soldi per le vacanze

lui ha un amico che lavora al centro dell’impiego che ha la moglie che ha uno stabili-
mento balneare sulla spiaggia e questo suo amico fa i colloqui ai disoccupati al centro
per l’impiego e poi lui gli propone l’assunzione in nero nello stabilimento di sua moglie
e quando lei è proprio costretta a fargli la busta paga quel suo amico che lavora al centro
per l’impiego dal dipendente si fa restituire una parte delle trattenute che infatti gliele
trattiene lui meglio lui che lo stato

il piccolo borghese non capisce perché tanti di quei giovani lasciano questa bella terra
per andare all’estero che qui da noi si potrebbe vivere di turismo che potrebbe essere il
petrolio dell’Italia e in particolare di stabilimenti sulla spiaggia tanto più che la legge di
bilancio del 2018 ha prorogato le concessioni delle spiagge ai privati di altri 15 anni per
una miseria vergognosa di euro in contrasto con la direttiva europea sul commercio e per-
tanto per andare al mare non si trova più la spiaggia pubblica e tutti sono costretti a no-
leggiare gli ombrelloni dal gestore privato e se non li noleggi poi finisce che al parcheggio
qualcuno per caso ti fora il pneumatico di quella macchina scassata di seconda mano da
povero che c’hai così lo vedi cosa succede a montare i pneumatici cinesi al risparmio e/o
a non noleggiare gli ombrelloni a pagamento come fanno invece i suoi amici col Suv bian-
co che a loro non gli succede mai niente e di solito sono amici anche dei proprietari degli
stabilimenti balneari che hanno ottenuto le concessioni al ribasso di un bene pubblico e
per questo non se ne vanno all’estero come quegli sfigati dei giovani figli dei poveri che
c’hanno la laurea ma devono andarsene all’estero perché sono figlioli di nessuno mentre i
figlioli dei ricchi rimangono sulla spiaggia a godersi l’ombra degli ombrelloni nel belpaese

il piccolo borghese dei tempi nuovi odia i poveri perché puzzano di miseria e gli artisti
che sono troppo strani e effemminati e gli intellettuali che sono tutti professoroni comu-
nisti privilegiati con la casa ai Parioli

però ama gli avvocati e i chirurghi soprattutto quelli delle cliniche private e i notai soprat-
tutto se stanno ai Parioli
ESTATE 2021

che però non ricambiano il suo affetto e gli danno del parvenu

Il nuovo piccolo borghese ha fatto la grana e oggi è più ricco di venti anni fa ma la sua
N. 11

principale fonte di orgoglio è che i soldi non lo hanno cambiato infatti quando era povero
rompeva il cazzo al prossimo né più né meno che adesso lui sì che è rimasto coerente con
le proprie idee
128
Il piccolo borghese dei tempi nuovi disprezza i veri ricchi della borghesia alta di lignaggio
che i soldi li hanno ereditati e quindi non ostentano la ricchezza come fa lui in maniera
chiassosa che i soldi se li è guadagnati leccando il culo a chi conta e intessendo un capita-
le di relazioni a partire dal lavoro in nero nel garage del cugino

Il piccolo borghese è disgustato dai poveri che non hanno gusto

lui invece ha gusto perché essendo agiato ha l’agio di scegliere

invece i bisognosi che vivono secondo i bisogni la dura vita della necessità non possono
scegliere e quindi i loro gusti sono disgustosi per questo lui tiene le distanze dai poveri

quando va alle mostre d’arte nelle reggie o nei palazzi nobiliari il piccolo borghese si sente
un po’ come un cane in chiesa ma ci va per capire qualcosa della sicurezza dei ricchi e
della loro disinvoltura e familiarità col mondo dell’arte e del lusso e del buon gusto e si
lamenta di non aver studiato perché a lui manca postura accento e dizione ma ha capi-
tale di relazione con altri nuovi piccoli borghesi e un cugino che c’ha un garage che caca
i quattrini e quindi chi se ne frega dei ricchi d’un tempo che tanto son morti anche loro
tanto quanto i morti di fame di oggi…

il nuovo vecchio piccolo borghese è un termometro del paese reale

perché lui si è fatto da solo e non si mischia in politica

al massimo si fa da solo la sua politica

che è una cosa nuova e moderna contro la casta e i poteri forti

spontaneamente emersa dal popolo

cioè il veteromaschilismo senile

intrecciato col suprematismo bianco

(ma senza l’orbace perché il fascismo è troppo disciplinare

mentre lui è moderno ed edonista ossia è un paninaro invecchiato)

un pensiero

che poi i professoroni con la casa ai Parioli

o gli intellettuali francesi alla Bourdieu

che poi sono in realtà degli sfigati che scrivono su Jacobin

e che guadagnano poche centinaia di euro al mese

dicono
IL NEMICO INVISIBILE

che è l’espressione politica storicamente consolidata del rancore classista della solita e
immarcescibile piccola borghesia italiana di merda.
129
130 N. 11 ESTATE 2021 POTERE
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IL NEMICO INVISIBILE

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131
S
ono nato a Ginevra, in Svizzera, nel 1960. Mio padre era il capo
della Cia di stanza lì. Sono cresciuto negli anni Settanta, nel crepu-
scolo della Guerra fredda, a Washington, Dc, in una famiglia piena
di segreti.
I miei genitori erano persone socievoli, Wasp [acronimo di Whi-
te Anglo-Saxon Protestant, bianco di origine anglosassone e prote-
Ted Jessup stante, con cui vengono indicati i discendenti dei primi immigrati
considerati i rappresentanti della cultura egemone e del potere
realen Usa, Ndt] perfettamente integrati nell’élite del dopoguerra. La mia vita era fatta di
feste in casa, soggiorni in Medio Oriente, Southern rock e droghe. Ero immerso in un’at-
mosfera esotica, vicina ai centri del potere e della corruzione, intrisa di sensi di colpa.
Prima dell’incarico in Svizzera, mio padre era stato assegnato in Germania e avrebbe
continuato a lavorare sia alla Casa Bianca che oltreoceano in Medio Oriente. Era stato
reclutato dall’Agenzia dopo la Seconda guerra mondiale. Aveva fatto parte dei Servizi se-
greti della Marina e aveva prestato servizio su due portaerei, una chiamata «the Wasp» e
la seconda, profeticamente, «the Langley» [Langley è la sede del quartier generale della
Cia negli Stati uniti, Ndt]. Era un uomo di «un certo tipo» – nato sulla costa est, educato in
scuole private e con una genealogia che risaliva all’Esercito Continentale – e apparteneva
a una generazione che era stata il cuore dell’Agenzia subito prima dell’apice in termini
di influenza e potere. La maggior parte dei colleghi di mio padre erano intelligenti, gen-
tili e simpatici. Sembravano eccentrici intellettuali. Il suo socio, James Jesus Angleton, il
capo del controspionaggio della Cia, una volta si alzò in piedi nella nostra sala da pranzo
e, annoiato dall’aneddoto dello scrittore Robert St. John, recitò pezzi tratti da The Waste
Land di T. S. Eliot per venti minuti. Di Angleton si diceva che fosse coinvolto nell’omicidio
Kennedy. Decenni dopo, fu interpretato sul grande schermo da Matt Damon.
Mio padre non era quello che normalmente ci si aspetterebbe da una spia. Non era un
tipo losco, e nemmeno particolarmente serio. Era simpatico, stravagante e non convenzio-
nale. Amava il teatro e le persone pittoresche – più erano straniere ed esotiche, tanto meglio.
Era consigliere della Casa Bianca per gli incontri che riguardavano l’Iran, il Vietnam e molti
altri piani, interventi e azioni di guerra progettate da combattenti della Guerra fredda come
Dean Rusk e Walt Whitman Rostow. Ho un biglietto in cui John Foster Dulles identifica mio
padre come una «promessa» e «una giovane mente brillante da tenere d’occhio».

LICENZA DI MENTIRE

Avevo solo otto o nove anni quando mi venne detto che il lavoro di mio padre era un
segreto ed era importante che tenessi segreto anche questo. Ero autorizzato a mentire per
uno scopo più grande.
Molto presto interiorizzai l’idea che la scarica di adrenalina
ESTATE 2021

di un compito gravoso e i sensi di colpa e la paura che deri- Ted Jessup ha lavorato
vavano dall’essere coinvolto in un’impresa misteriosa, fatta di per più di trent’anni
segreti e bugie, erano uno scambio equo per poter stare vicino a come autore e
produttore televisivo.
N. 11

Per sette stagioni è


stato co-produttore
esecutivo della serie
animata I Griffin.
La traduzione
è di Gaia Benzi.
132
persone raffinate e importanti. Chiaramente, condurre un’esistenza alla moda richiedeva
che alcuni angoli venissero smussati. E io volevo essere cool.
Mio padre era considerato un esperto del Medio Oriente. Interrogava quelli che emi-
gravano in Israele dal Blocco orientale per ottenere informazioni utili sui Sovietici. Quan-
do era capo della Cia a Tel Aviv, i suoi soci più stretti erano il Mossad e i fondatori dello
Shin Bet [i servizi segreti israeliani, Ndt] arrivati in Palestina nel 1946 dopo l’Olocausto.
Tra loro c’era anche il famoso direttore dell’intelligence israeliana Amos Manor. Proveniva
da una dottissima famiglia ungherese. Mi pizzicava le guance e mi tirava su così. Un gior-
no mi disse che quando era arrivato in Israele era stata la prima volta che aveva incontrato
un ebreo «non intelligente».
Quando le mie sorelle e io chiedevamo a mio padre particolari su quello che faceva,
lui rispondeva affabilmente vago. «Valutiamo varie situazioni e proviamo a determinarne
altre secondo quella che potrebbe essere la modalità più sicura per avere una compren-
sione delle cose». Una volta trovai dentro la sua valigetta diversi passaporti con nomi dif-
ferenti, cosa che fu istantaneamente confinata in una zona bianca, un luogo inesplorato
della mia mappa mentale dove mettevo le cose incomprensibili.
Uno dei suoi migliori amici, E. J. Applewhite, era il vice-ispettore generale dell’Agenzia.
Ha scritto dei libri sulla storia di Washington e su Buckminster Fuller. Era anche la perso-
na incaricata di distruggere la credibilità della rivista di sinistra Rampant e di altri radicali.
Al country club di St. Albans giocavo a tennis con mio padre e il direttore della Cia Richard
Helms, infastidito dal fatto che mio padre fosse anche amico di Michael Straight – un libe-
ral erede dei Whitney e affiliato ai comunisti detti i Cinque di Cambridge [cinque agenti
segreti doppiogiochisti britannici che passavano informazioni all’Unione Sovietica, Ndt].
Era difficile far quadrare l’aspetto di questi gentlemen così raffinati e gentili con i fatti
oscuri in cui erano coinvolti.
Una volta, a Washington, dopo essere stati a pranzo insieme, io e mio padre ci fermam-
mo in una casa a Georgetown. C’era una bella donna. Mi fu ordinato di nuotare in piscina
mentre loro parlavano. Era autunno e non avevo il costume. Stetti a mollo in mutande in
una piscina fredda e piena di foglie per un’ora buona prima che mio padre tornasse. Era
chiaro che non avrei dovuto parlarne con nessuno. Solo quando uno strizzacervelli me
l’ha chiesto circa trent’anni dopo ho realizzato che mio padre stava o facendosi gli affari
suoi o portando a termine un lavoro. Io semplicemente non avevo mai messo in discus-
sione cose strane come questa.
Il senso di segretezza non si attenuò mai. Quando il direttore della Cia William Colby
venne in Israele, stette a casa nostra anziché in hotel – per sicurezza, suppongo. Qualche
giorno prima, vennero degli uomini e perquisirono la casa in cerca di cimici e telecamere.
Colby si prese la camera da letto dei miei genitori, mentre loro dormirono nella stanza
degli ospiti. Ricordo di aver pensato che fosse strano, ma di non aver fatto domande.
Una volta, aiutai mio padre a fare le valigie per un viaggio nell’Europa dell’est. In una
valigetta c’erano 50 mila dollari in contanti. All’inzio tentò di nasconderla, ma dopo si
rassegnò e mi ci fece giocare. Se di piccolo taglio sono un sacco di banconote. Non chiesi
mai a mio padre a cosa servissero.
IL NEMICO INVISIBILE
133
LA VITA ALL’ESTERO

Durante il nostro secondo viaggio Israele era un paese giovane. Per uno statunitense di
undici anni che ignorava cosa fosse un campo profughi palestinese, sembrava ancora uno
stato liberale che puntava a una coabitazione con gli arabi. Gerusalemme era la stessa di
mille anni prima. Greci, turchi, arabi, cattolici, anglicani e altro ancora camminavano per
le strade indossando abiti tradizionali, con asini e cani e scimmie e pecore e capre. Car-
casse insanguinate di animali fiancheggiavano le strade strette e acciottolate, e ai tavoli
sedevano uomini in fez e kefia, bevendo tè e giocando a shesh besh (backgammon). C’era
il miglior cibo che avessi mai mangiato.
A me e alle mie sorelle venne concesso di prendere un trenino traballante verso la Città
Vecchia e passare la notte in un antico monastero – una cosa oggi impensabile. Fummo
inseguiti da bambini di strada, comprammo hashish Red Lebanese per l’equivalente di 10
dollari e vagammo ridacchiando per strade vecchie di tremila anni.
Oltreoceano sono sempre stato mandato in scuole internazionali. Erano scuole private
per diplomatici e cittadini stranieri. C’erano bambini da centinaia di paesi. In Israele, a
scuola c’erano tedeschi, svedesi, thailandesi, francesi, marocchini, inglesi, australiani e
africani. Accogliemmo dei bambini vietnamiti rifugiati durante la caduta del Vietnam del
sud, inviati dall’amico di mio padre Tom Polgar, il capo della Cia di Saigon. In terza media
parlavo l’ebraico e l’arabo.
Israele ha combattuto quattro guerre in ventiquattr’anni. I pezzi di
HO FREQUENTATO SCUOLE armi erano ovunque. Trovavamo elmetti, radio e bossoli vuoti. Anda-
INTERNAZIONALI. ERANO vamo in bici fino ai fienili e agli hangar per aeroplani dove veniva te-
ISTITUTI PRIVATI nuta la roba migliore. Intrufolandoci nei magazzini militari riempiva-
PER DIPLOMATICI mo zaini e borsoni con aggeggi da combattimento molto fighi. Grazie
E CITTADINI STRANIERI. all’immunità diplomatica nessuno controllava mai i nostri zaini. Ho
C’ERANO BAMBINI DA portato su e giù in aereo da Washington ordigni inesplosi, una pistola
CENTINAIA DI PAESI e pezzi di aeroplano. Io e miei amici potevamo parlare fra noi tramite
radio russe alimentate a batteria risalenti alla guerra del ’57.
La Terra Santa era piena di reliquie del mondo antico. Nelle sco-
gliere vicino alla spiaggia scoprivamo pavimenti mosaicati vecchi di millenni. Cam-
minando sulla cima di un acquedotto romano riempivamo secchi di monete romane,
greche, fenice e assire, canaanite, filistee e abbissine. E ancora, vetri antichi e reperti in
argilla, lampade a olio, piedistalli, statue e anfore giganti. Raccattavamo sulla spiaggia
cose degne di un museo. I regali del sindaco di Gerusalemme Teddy Kollk e del Generale
Moshe Dayan erano i migliori.
Al personale più anziano dell’ambasciata venivano date case di lusso. In Israele aveva-
mo una grande casa in stile mediterraneo. A una novantina di metri da casa nostra c’erano
le dune, dove una volta trovai un campo di Beduini. Mi offrirono il tè, e una donna an-
ESTATE 2021

ziana piena di tatuaggi sul viso mi toccò i capelli. Mi dissero che aveva 120 anni. Avevano
ucciso un coyote attirandolo in una trappola e usando un agnello come esca.
Mia madre era una quacchera del Minnesota. Era carina e intelligente, e si era laureata
in psicologia. Dopo la guerra viveva a Barrow Street in una casa al Greenwich Village e
N. 11

lavorava come foto editor per la rivista Look. Lì conobbe mio padre, nel 1946, dopo il suo
congedo dalla Marina. Rimase imbrigliata nella vita da moglie di un ufficiale del corpo
diplomatico, una gloriosa padrona di casa per le feste dei diplomatici. Frequentò gli scavi
architettonici e insegnò in una scuola quacchera nella città palestinese di Ramallah, una
scelta che all’ambasciata fu giudicata controversa. Entrambi i miei genitori erano demo-
cratici liberal.
134
WASHINGTON, DC

Avevamo una casa a Chevy Chase, un ricco sobborgo del Maryland subito fuori Washin-
gton. Lì frequentai una combinazione di scuole pubbliche e private. I bambini con genitori
che ricoprivano importanti posizioni di governo, o appartenevano ai più prestigiosi studi di
avvocati di Washington, o erano redattori del Washington Post, o lavoravano in tv, apparte-
nevano agli stessi club, vivevano in un quartiere pieno di alberi e andavano a scuola negli
stessi posti.
Nel contesto della scena rock anni Settanta e degli ultimi singulti del movimento hippie,
il mondo fatto di segreti dei nostri genitori permeava tutto ciò che facevamo. Amplificava
l’aura di pretesa e privilegio, ma anche la sensazione di minaccia esterna che pervadeva
tutto. I marmocchi della Cia non si confidavano molto gli uni con gli altri.
A Washington, ogni domenica c’era una partita di football padre-figlio per impiegati del
governo. Lo staff della Casa Bianca, i membri del National Security Council, i padri della Cia
e i loro figli giocavano in un parco accanto a Connecticut Avenue. I bambini per lo più corre-
vano e bloccavano. Una volta assistetti a una rissa tra due diplomatici anziani. Si prendeva-
no a pugni. Li avevo sempre visti col papillon. Lungo la strada verso casa mio padre rideva,
ma mi disse di non raccontarlo. Mia madre avrebbe pensato che fosse un gioco assurdo.
La mia amica Marion usciva con Teddy Mondale, il figlio del vice presidente. Teddy dava
queste feste folli, giganti, nella villa del
padre, e dopo la vittoria di Ronald Reagan
su Jimmy Carter bruciò un vero e proprio Farmer quando un giovane Jack Kennedy provò a intromet-
fienile. A suo modo fu l’inizio della fine di tersi. Kennedy gli bussò sulla spalla e gli disse «Sparisci, JG».
un’era. Mio padre andò in pensione nel Intendeva dire «sottotenente comandante», il grado di mio
‘79. Lui e tutti i ragazzi Wasp della Cia del- padre. Mio padre se ne andò a fine serata con ancora sotto-
le origini erano invecchiati, sprofondati braccio la starlet. Era molto attraente e portò Talullah Ban-
nella disillusione o erano stati cacciati. La khead alle «feste in casa» di Hamilton, il suo piccolo college
prima fidanzata di mio padre alle supe- nel New England.
riori era una bella ragazza di nome Mary Un anno dopo l’assassinio di Kennedy, Mary fu uccisa
Pinchot. Veniva da un’importante e ricca lungo l’alzaia del canale C&O vicino la sua casa di Geor-
famiglia liberal. I suoi diari descrivono getown. In molti credettero che fosse un inside job, perché
gite folli nella campagna del New En- era diventata una minaccia per la sicurezza. Era arrabbiata
gland e a New York City. Più tardi, sposò per il rapporto Warren [il rapporto della commissione par-
un collega di mio padre alla Cia, Cord lamentare d’inchiesta, Ndt] che vedeva come un ostacolo
Meyer. Era una tipa mondana e una pit- a qualsiasi indagine seria. Mary aveva addirittura minac-
trice molto legata alla nostra famiglia, e ciato di andare al New York Times con quello che riteneva
fu l’ultima e più importante fidanzata del di sapere sugli illeciti della Cia sia dal suo matrimonio con
presidente Kennedy. Meyer che dalla sua relazione con Kennedy. Alcuni dissero
Ma non fu l’unica donna che mio pa- che Kennedy voleva abolire la Cia e creare un nuovo Dipar-
dre condivise con Kennedy. Una volta, timento, con più supervisione.
durante la guerra, mio padre stava bal- James Angleton ottenne i diari di Mary subito dopo il suo
lando con la sfortunata attrice Frances omicidio. La moglie di Angleton, Cicely, era una sua cara
amica. Altra sua amica era Anne Truitt, la scultrice, e sua so-
IL NEMICO INVISIBILE

rella, Tony, era la moglie del redattore del Washington Post


Ben Bradlee. I figli di tutte queste persone – vittime, idea-
tori del colpo, amici intimi, parenti, compagni di classe, la
stampa che raccontò la storia – si conoscevano tra di loro.
Una volta vidi sulla scrivania di mio padre una nota in-
dirizzata a Angleton. Diceva, «nessuna parola dal Giudice
135
Corcoran sull’omicidio di Mary Pinchot» e «la gente sta
chiedendo cosa è successo a Nosenko». Nosenko era un
disertore russo accusato ingiustamente di doppiogioco. Fu
imprigionato e «interrogato» per due anni prima di esse-
re rilasciato e di ricevere delle scuse e forse uno stipendio
per vivere a Bethesda. La nota diceva anche «il bere sta di-
ventando un problema tra gli agenti di Roma». Mio padre,
Angleton, e altri compari della Cia bevevano come spugne. «Come hai potuto fare una cosa simile?!».
Mi chiedo quanto dovesse bere una persona perché la cosa L’uomo spiegò: «Be’, signore, ha un corpo
potesse essere considerata un problema da loro. da urlo».
Mia nonna viveva a New York ed era in
UN PEDIGREE DA WASP combutta con i russi Bianchi nel periodo
tra le due guerre. Una volta eravamo da
Mio padre è cresciuto nella città di Ridgefield, Connecti- un sua amica, la Signora Simpson, nel
cut, negli anni Venti e Trenta. Suo padre, Theodore C. Jes- suo appartamento gigante nell’Upper
sup, era il preside di una scuola privata della città. Sua ma- East Side di Manhattan. Ci introdusse
dre abbandonò lui e sua sorella Cecily dopo essere rimasta l’altro suo ospite, Alexander Kerensky,
incinta in seguito a una storia extraconiugale con un tyco- all’epoca ottantenne e sordo. Era stato il
on di Wall Street. L’uomo si rivelò un sadico e perse tutto il primo presidente del governo provviso-
suo patrimonio, circa 20 milioni di dollari, durante il crollo rio russo dopo la Rivoluzione di Febbra-
della borsa. Mia nonna se ne pentì per sempre. io. Avevo sei anni.
Avevano un servitore giapponese che parlava male l’in- Il mio bis-bisnonno fu un famoso alie-
glese. Mio nonno una volta gli ordinò di «pulire» la stanza nista e un pioniere della psichiatria. Era a
dei giochi dei bambini. Interpretò male l’espressione «pu- capo del Dipartimento di psicologia della
lire», credo, perché più tardi mio padre e sua sorella guar- Columbia University e di una cosa chia-
darono in lacrime una grossa pila di loro giocattoli bruciare mata la Commissione dello stato di New
nel cortile di casa. Un altro servitore, un irlandese di nome York sulla Follia. Nel 1900 possedeva la più
Brady, mise incinta una cameriera. Mio nonno lo interrogò: vasta collezione di arte cinese della nazio-
ne e aveva fatto numerosi viaggi in Cina.
Parlava e scriveva in mandarino, e scrisse
molte poesie con titoli come «Sotto il salice del drago» usando il soprannome «Pai Ta-shun». Il
suo nome era Frederick Peterson. Mio padre ricordava una sera in cui era a cena nella villetta
a tre piani di proprietà dei nonni sull’86esima strada quando un ospite, un famoso pianista
della Filarmonica di New York chiamato Merwin Howe, iniziò a parlare da solo. Mio padre
pensò che fosse semplicemente eccentrico, ma gli venne ordinato di prendere lo chauffeur e
di portare Howe a Bellevue, dove il mio frastornato padre quattordicenne vide il povero uomo
venire rinchiuso. Fu esposto in giovane età al potere ingiusto del privilegio di classe.
La mia famiglia ha un legame antico con il Medio Oriente. Il mio bis-bis-bisnonno fu
missionario in Siria per sessant’anni e tra i fondatori dell’American University di Beirut.
ESTATE 2021

Era andato a Yale, come suo padre, William Jessup, un importante giudice della Pennsyl-
vania. Una volta aveva graziato Joseph Smith, il fondatore dei Mormoni, per aver truffato
le persone dichiarando di saper ritrovare tesori nascosti. A Smith, inseguito dalla folla che
voleva linciarlo, erano stati dati 50 dollari per lasciare lo stato. I Jessup erano arrivati in
N. 11

Pennsylvania da Southampton, Long Island, dove vivevano da sei generazioni. Erano stati
contadini e balenieri e infine, più avanti, avvocati e preti. Zebulon Jessup di Southampton
era stato capitano dell’Esercito Continentale. Credo che mio padre non considerasse il
suo ingresso nel mondo dello spionaggio una contraddizione coi valori missionari, ma
una sorta di «ottimo lavoro» – il deposito del ventesimo secolo per Wasp irrequieti di buo-
na famiglia come lui.
136
SESSO, DROGA E CIA

Quando tornammo a Washington da Israele, nel 1975, fui mandato in una scuola
quacchera progressista del Maryland. Era il genere di posto dove non ci sono voti e
puoi decidere tu che materie studiare. Un corso consisteva nel portare a scuola i pro-
pri libri d’infanzia preferiti e sospirare immersi nella nostalgia. Un sacco di cazzoni
ricchi di Washington sono andati lì. Tutti facevano uso di droga. Mi piaceva, ma ero
ossessionato da una ragazza che avevo visto nel mio quartiere e mi feci trasferire in
una scuola pubblica per stare vicino a lei – dissi ai miei genitori che ero «molto preoc-
cupato» per le droghe. Diventai suo partner nel laboratorio di biologia, e ci frequen-
tammo per due anni.
Le mie sorelle, più grandi, avevano sottoposto i miei a una notevole dose di stress
prima che arrivasse il mio turno. I ragazzi, le droghe, e più in generale il correre da una
parte all’altra li aveva ormai esauriti quando, nel 1975, entrai nell’adolescenza. Erano
molto rilassati. Non sono sicuro che sapessero esattamente che classe frequentavo. Una
delle loro regole libertine era «se la tua ragazza resta a dormire durante la settimana: a
letto per le 10 – in punto!». Una volta chiesi a mia madre informazioni sui preservativi
– se dovessi comprarli, dal momento che avevo una ragazza. Lei mi scoraggiò, dicendo
«sono roba da marinai in congedo». Déclassé.
Washington era una grossa scena del Southern country rock de-
gli anni Settanta. Era l’epoca di John Prine, degli Allman Brothers,
della Marshall Tucker Band, di Emmylou Harris, dei Grateful Dead, MIO PADRE NON ERA
di Danny Gatton, Little Feat e degli Eagles. Quando i miei erano fuo- UN TIPO LOSCO,
ri città per il weekend, a Martha’s Vineyard o nella sponda orientale E NEMMENO
del Maryland, davo delle feste pazzesche. Ospitavo una o a volte PARTICOLARMENTE
due band in diverse parti della casa, con tanto di batteria, pedal ste- SERIO. ERA SIMPATICO,
el e amplificatori sparati a tutto volume. Per domenica sera avevo STRAVAGANTE
ripulito tutto. Una volta, una ragazza vomitò sui documenti segreti E NON CONVENZIONALE
nello studio di mio padre. Aveva semplicemente aperto un casset-
to e dato di stomaco. Dopo aveva usato l’aspirapolvere per ripulire
tutto. Un mese dopo, mia sorella provò a usarlo, e dalla busta della polvere uscirono
fuori brandelli di documenti della Cia incrostati di vomito.
L’attore inglese di cinema e teatro Rex Harrison e la sua sesta moglie, Lady Mercia,
adoravano i miei genitori. Si erano conosciuti in Europa e Rex amava le storie di spio-
naggio. Ogni anno venivano a Washington per il giorno del Ringraziamento. Prima di
venire spedivano cesti di vino e champagne, così non avrebbero corso il rischio di bere
qualcosa di cattivo. Era ricco da così tanto tempo che era per certi versi disabituato
alle persone normali, e diceva cose del tipo: «Come fanno questi personaggi barboni a
entrare nel paese?». Conosceva un sacco di gossip divertenti su George Sanders e David
Niven e Robert Donat e l’età dell’oro.
Venne invitato alla Casa Bianca, e mi disse che tutto quello a cui era interessato quel
libertino di Ronald Reagan era «chi si scopava chi».
IL NEMICO INVISIBILE
137
Iscriversi al Club dei Giacobini che si costituì nella Francia
rivoluzionaria nel 1790 costava 36 lire.
Associarsi alla nostra avventura giacobina costa 36 euro.
Vi chiediamo di farlo da subito, di restare connessi
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