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3 marzo 2022 - 06:03 > Versione online

Pier Paolo Pasolini e Carlo Bo :


un'amicizia inusuale

Il rettore di Urbino con Contini, De Robertis e Alfredo Schiaffini testimoniarono a difesa


del poeta friulano I punti chiave
Tanto diversi, quanto complementari
Il processo a Ragazzi di vita
Carlo Bo : tra angoscia e ricerca di verità
Una vita non troppo violenta
La voce di Pasolini
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4' di lettura
Il giorno del centenario della sua nascita, Pier Paolo Pasolini, poeta eretico e martire, è
ricordato nell'odissea di una società perduta, che l'ha trascinato nel fango per poi
attendere la sua resurrezione. I suoi versi, le sue immagini, le sue parole risuonano
come punto da cui partire per disinnescare l'illusione di un presente annegato
inesorabilmente. Nel turbinio della sua tormentata vita, lo celebriamo assieme a Carlo
Bo , critico e letterato di straordinaria fama, il quale ha saputo convertire i peccati del
poeta in una colorata confessione d'amore.
«A Carlo Bo , il suo affezionato (affezio-|nato anche se non corrisposto)|Pier Paolo
Pasolini|Firenze 29 luglio 1954», scriveva Pasolini a Carlo Bo . Questa frase, sigillata
ne La meglio gioventù: poesie friulane (Sansoni, 1954), è l'emblema di un rapporto tra i
due scrittori non troppo lineare, a giudicare dalla dedica a tratti canzonatoria.
Tanto diversi, quanto complementari
Da un lato Pasolini, poeta, romanziere, pedagogo, figura controversa e scomoda;
dall'altra Carlo Bo , rettore dell'università di Urbino, cattolico, esponente della
Democrazia Cristiana. Tanto diversi, quanto complementari.
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Il processo a Ragazzi di vita

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3 marzo 2022 - 06:03 > Versione online

È il 21 aprile del 1955 quando la casa editrice Garzanti pubblica il romanzo Ragazzi di
vita di Pier Paolo Pasolini; esattamente tre mesi dopo, il libro è segnalato alla Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con l'accusa di contenere argomento
osceno e pornografico. Aldo Garzanti e Pasolini sono convocati a prima udienza nel
gennaio del 1956, il 18 aprile in seconda udienza e il 4 maggio in terza. In tale occasione
è proprio Carlo Bo , assieme a Contini, De Robertis e Alfredo Schiaffini, a difendere il
poeta friulano dalle numerose accuse. «Il libro ha un grande valore religioso perché
spinge alla pietà verso i poveri e diseredati. Non ho trovato alcunché di osceno nel
romanzo. I dialoghi sono dialoghi di ragazzi i quali non si esprimono bene; e l'autore ha
sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà», dichiara il rettore in sede di
processo.
Il 4 luglio dello stesso anno, il Tribunale Civile e Penale di Milano pronuncia l'assoluzione
dell'imputato. «Orbene […] i “ragazzi” sono contraddistinti, di massima, da quella stessa
apatia morale, immobilità, indifferenza, incapacità di perdersi coscientemente e di
coscientemente risorgere, di sublimarsi, di anelare, che li accomuna a tutti gli altri,
ragazzi, o no, che fittamente popolano le manifestazioni artistico-letterarie dei nostri
tempi», cita la sentenza.
Carlo Bo : tra angoscia e ricerca di verità
Carlo Bo è l'intellettuale cattolico che non biasima per nulla la modernità, anzi, disegna
una critica stringente verso la difesa ancestrale di modelli passati, propria di un
cattolicesimo europeo ancorato alla tradizione. Il suo cristianesimo si modella sulle
lezioni di Pascal, Kierkegaard e Manzoni: una religione intrisa di dolore e angoscia,
costretta a dipanarsi tra le sofferenze della realtà. Con la difesa di Pasolini e altri, fu in
grado di consolidare il legame tra l'impegno civile e letterario (come suggerisce il titolo
Letteratura come vita, saggio pubblicato da Bo nel 1938 sulla rivista «Il Frontespizio»), in
quanto la letteratura è e sarà sempre costante ricerca di verità.
Nel 1959, in una dedica posta in epigrafe all'opera Una vita violenta (Milano, Garzanti,
1959), Pasolini scrive «A Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti, miei testimoni nel processo
contro Ragazzi di vita». Sarà lo stesso rettore, il 9 luglio dello stesso anno, a pubblicare
su «La Stampa» una recensione al romanzo: «Immagino che molti lettori avranno già
letto il libro e si saranno quindi fatta la loro buona opinione. Meglio così, tanto più che il
libro si presta a un discorso di carattere generale sui confini della letteratura. Uno
scrittore deve dire tutto oppure deve rispettare dei limiti? Non è la prima volta che
Pasolini si sente fare domande del genere: quando cinque anni fa pubblicò “Ragazzi di
vita”, la questione finì addirittura in Tribunale e, per conto mio, non ebbi paura di
testimoniare in suo favore».
Quando il 2 novembre 1975 Carlo Bo seppe della scomparsa del regista e amico,
scrisse all'interno della rivista «La nuova antologia» un articolo intitolato La voce di
Pasolini che pronunciava le seguenti parole: «da questo punto di vista è stato un
autentico innovatore, nel senso che ha saputo strapparsi materialmente dal contesto
normale e andare al di fuori della lunga codificazione poetica del Novecento. […] Col
tempo si comprenderà meglio il significato del suo lavoro e il timbro della sua parola,
oggi possiamo dire soltanto che la sua vita non è stata mai un giuoco e che una morte
ha dato un altro spessore al suo discorso poetico».
29 luglio 1954», scriveva Pasolini a Carlo Bo . Questa frase, sigillata ne La meglio
gioventù: poesie friulane (Sansoni, 1954), è l'emblema di un rapporto tra i due scrittori
non troppo lineare, a giudicare dalla dedica a tratti canzonatoria. Da un lato Pasolini,
poeta, romanziere, pedagogo, figura controversa e scomoda; dall'altra Carlo Bo ,
rettore dell'università di Urbino, cattolico, esponente della Democrazia Cristiana. Tanto
diversi, quanto complementari.

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