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Volume 137 2009, fascicolo 3-4

2009
LOESCHER EDITORE
TORINO
OSSERVAZIONI SULLA
DATA DRAMMATICA DEL
DIALOGUS DE ORATORIBUS DI TACITO

Abstract: Among the numerous problems posed by Tacitus’ Dialo-


gus de oratoribus, one of the most debated concerns the dramatic
date of the work. Scholars are divided between two possible dates of
74/75 or 77/78; but consideration of the role played in the plot of the
dialogue by the author himself enables us to fix the dramatic date
in the years 74/75, when Tacitus was 18 and was following his
tirocinium fori. That corresponds to the author’s desire to present
himself as an old-fashioned orator, formed according to the tradi-
tional training system.

Keywords: Dialogus de oratoribus; dramatic date; tirocinium fori.

Fra i numerosi problemi posti dal Dialogus de oratoribus di


Tacito, uno assai dibattuto, anche se forse non fra i piú rilevan-
ti, riguarda la data drammatica, ovvero la data in cui si imma-
gina essersi tenuto il dialogo (fittizio) riferito nell’opera. In tem-
pi recenti la discussione è stata riaperta da alcuni contributi che
prendono posizione contro quella che è l’opinione vulgata; non
sarà pertanto inutile procedere a un riesame complessivo della
questione, che consentirà di pervenire ad alcune conclusioni di
portata più generale per l’interpretazione dell’operetta tacitiana.

1. Composto verso la fine del I sec. d. C. o l’inizio del succes-


sivo1, il Dialogus de oratoribus mette in scena un dibattito sul
tema del declino dell’eloquenza, a cui prendono parte quattro fra
i più famosi oratori dell’epoca (Curiazio Materno, Marco Apro,

1
L’esatta data di composizione del Dialogus non è nota, e costitui-
sce un’altra vexata quaestio; l’opinione prevalente è che essa sia da fis-
sare in un anno fra il 96 e il 102 d. C. È stata invece ormai accanto-
nata l’idea, che aveva goduto in passato di un certo credito, del Dialo-
gus come opera giovanile di Tacito (da datare intorno all’80 d. C.): fra
i principali argomenti che vanno contro questa ipotesi, è la distanza
troppo ridotta che vi sarebbe cosí fra data drammatica e data di com-
posizione. Per una rassegna delle posizioni sul problema e delle diver-
se date proposte cfr. C. O. Brink, Can Tacitus’ Dialogus be dated? Evi-
dence and historical conclusions, «HSCPh» 96, 1994, 251-280.
RFIC 137, 2009, 424-443
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 425

Giulio Secondo e Vipstano Messalla), e al quale l’autore, secon-


do quanto egli afferma nel capitolo proemiale, si sarebbe trova-
to ad assistere diversi anni prima, quando era iuvenis admodum
(dial. 1, 2). Tale indicazione generica si precisa piú avanti nel
Dialogus nell’intervento di uno degli interlocutori, Marco Apro:
questi, cui nell’opera è affidato il ruolo di difensore dell’elo-
quenza moderna, allo scopo di dimostrare che gli oratori con-
temporanei non sono cronologicamente cosí distanti dall’età di
Cicerone, ma appartengono anzi di fatto alla stessa generazione,
si impegna a fare il computo degli anni trascorsi dalla morte del-
l’Arpinate fino al momento presente (dial. 17, 2-3):

Nam ut de Cicerone ipso loquar, Hirtio nempe et Pansa consulibus, ut


Tiro libertus eius scripsit, VII idus <Decembres> occisus est2, quo
anno divus Augustus in locum Pansae et Hirti se et Q. Pedium consu-
les suffecit. Statue sex et quinquaginta annos, quibus mox divus Au-
gustus rem publicam rexit; adice Tiberi tres et viginti, et prope qua-
driennium Gai, ac bis quaternos denos Claudi et Neronis annos, atque
illum Galbae et Othonis et Vitelli longum et unum annum, ac sextam
iam felicis huius principatus stationem, qua Vespasianus rem publicam
fovet: centum et viginti anni ab interitu Ciceronis in hunc diem colli-
guntur, unius hominis aetas.

Il problema posto da questo passo, che è all’origine di tutte


le discussioni, risiede nel fatto che il totale indicato alla fine (120
anni)3 non corrisponde alla somma degli addendi degli anni di
regno dei singoli principes, elencati da Apro subito prima: se in-
fatti ai 56 anni di Augusto (calcolati esattamente a partire dal-
l’assunzione del suo primo consolato il 19 agosto del 43 a. C. –
lo stesso anno della morte di Cicerone –, fino al decesso avve-
nuto ancora il 19 agosto del 14 d. C.)4 si sommano i 23 di Tibe-

2
Il giorno esatto della morte di Cicerone, il 7 dicembre del 43 a. C.,
è noto soltanto da questo passo; Decembres è sicura integrazione di Giu-
sto Lipsio, giustificata dal fatto che, come sappiamo da altre fonti, Ci-
cerone fu inserito nelle liste di proscrizione alla fine di novembre.
3
In realtà la quasi totalità della tradizione manoscritta del Dialo-
gus legge centum et decem anni, mentre un solo codice (C C) riporta la
lezione centum et XX; ma che quest’ultima sia la lezione corretta è ga-
rantito dal confronto con dial. 24, 3, dove Curiazio Materno, nel ri-
prendere quasi alla lettera le parole di Apro, fornisce la cifra di 120
(… cum praesertim centum et viginti annos ab interitu Ciceronis in
hunc diem effici ratio temporum collegerit).
4
Nel passo di Tacito sex et quinquaginta è una necessaria correzio-
ne del Lipsio per il tràdito novem et quinquaginta (da considerare for-
426 EMANUELE BERTI

rio, i 4 di Caligola (Gaio Cesare), i 14 ciascuno di Claudio e Ne-


rone, il longus annus del 68-69 d. C., in cui si succedettero sul
trono Galba, Otone e Vitellio, e per finire 6 anni trascorsi dal-
l’inizio del principato di Vespasiano (sextam iam felicis huius
principatus stationem, qua Vespasianus rem publicam fovet: ma
sull’interpretazione di questa frase dovremo tornare), si ottiene
un totale di 117 (o 118) anni5. Quindi, mentre il numero di 120
anni dalla morte di Cicerone e dall’ascesa al potere di Augusto
(43 a. C.) porta alla data del 77 d. C. (o 78, se si calcola l’esatto
compiersi del centoventesimo anno), l’altra indicazione del sesto
anno del regno di Vespasiano – divenuto imperatore nel 69 d. C.
– pone invece la data drammatica del Dialogus nel 74-75 d. C.6

se l’intervento di qualche copista o lettore desideroso di far tornare i


conti). Il computo di 56 anni per la durata del regno di Augusto è tra-
dizionale e ricorre anche in altre fonti (cfr. p. es. Suet. Aug. 8, 7; Eu-
trop. 7, 8, 3; ps. Aur. Vict. epit. 1, 30, ecc.); e lo stesso Tacito mostra
di conoscere e accettare questo calcolo, quando in ann. 1, 9, 1 nota la
coincidenza fra il giorno della morte di Augusto e quello in cui, tanti
anni prima, egli aveva preso il potere (appunto, il 19 agosto). Del tut-
to infondata è l’ipotesi di L. Koenen, Eine Berechnung der Regie-
rungsjahre des Augustus vom Tode Caesars. Zur Datierung der
Gesprächssituation von Tacitus’ Dialogus (17, 3), «ZPE» 13, 1974, 238-
244, che vorrebbe emendare in octo et quinquaginta (cosí leggono pe-
raltro anche alcuni codici deteriores), ipotizzando che Tacito faccia de-
correre l’inizio del regno di Augusto a partire dalla morte di Cesare,
nel 44 a. C. (nei 58 anni sarebbero contati sia l’anno iniziale che quel-
lo finale): a smentita basti osservare che Apro pone come punto di par-
tenza del suo calcolo la morte di Cicerone, avvenuta nell’anno 43 a. C.
5
La durata del regno dei singoli imperatori della dinastia giulio-
claudia, a parte il caso di Augusto che come si è visto tenne il potere
per 56 anni esatti, è sempre arrotondata per eccesso: cosí Tiberio regnò
effettivamente per circa 22 anni e 7 mesi (dall’agosto del 14 al marzo
del 37 d. C.), Caligola per 3 anni e 10 mesi (dal marzo del 37 al gen-
naio del 41 d. C.), Claudio per 13 anni e 9 mesi (dal gennaio del 41 al-
l’ottobre del 54 d. C.), Nerone per 13 anni e 8 mesi (dall’ottobre del 54
al giugno del 68 d. C.). Questo comporta che, nel sommare gli anni di
regno indicati da Tacito, si ottenga alla fine un risultato superiore di
un anno rispetto alla realtà, il che introduce di per sé un fattore di im-
precisione e approssimazione nel calcolo.
6
Come punto di inizio del principato di Vespasiano bisogna con tut-
ta probabilità considerare la data del 1° luglio del 69 d. C., giorno in
cui egli fu proclamato imperatore dalle legioni orientali, e a partire dal
quale fece retroattivamente datare la sua prima tribunicia potestas (cfr.
Tac. hist. 2, 79 isque primus principatus dies in posterum celebratus);
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 427

La soluzione tradizionale di questa aporia, accolta dalla mag-


gior parte degli esegeti e commentatori del Dialogus (e che, per
anticipare subito le conclusioni, anche a mio parere deve essere
ritenuta quella corretta), è che il totale di 120 anni costituisca
una cifra tonda e approssimata. Ciò che infatti interessa ad Apro
nel contesto del suo discorso non è tanto determinare con preci-
sione matematica gli anni passati dalla morte di Cicerone, quan-
to piuttosto dimostrare che non più di una generazione è inter-
corsa fra l’età ‘aurea’ dell’eloquenza romana – incarnata da Ci-
cerone e dagli altri oratori suoi contemporanei – e l’epoca at-
tuale (unius hominis aetas); e 120 anni è appunto l’età indicata
da diverse fonti come durata massima della vita umana, il co-
siddetto saeculum naturale7. Le parole di Apro sembrano dun-
que di per se stesse implicare che 120 sia da intendere come un
numero simbolico8; mentre l’indicazione da prendere per buona
per il calcolo della data in cui si svolge il Dialogus è solo quel-
la, offerta in precedenza, del sesto anno del principato vespa-
sianeo.
Questa spiegazione è respinta da quanti non sono disposti ad
ammettere che Tacito abbia dato delle indicazioni imprecise o
addirittura contraddittorie9. Fu per primo Eduard Norden che,

in tal caso il suo sesto anno sarà compreso fra il luglio del 74 e il giu-
gno del 75 d. C. Secondo altri la durata del regno di Vespasiano an-
drebbe calcolata a partire dal 21 dicembre del 69, quando egli venne
riconosciuto ufficialmente dal senato come unico princeps, oppure di-
rettamente dal 70 d. C., il primo degli anni interi del nuovo principa-
to (cfr. R. Syme, Tacitus, Oxford 1958, II 670); ma anche in questo caso
il sesto anno di regno non cade oltre il 75 d. C.
7
La durata del saeculum naturale era variamente fissata a seconda
delle diverse fonti e tradizioni (cfr. Cens. 17, 2 sgg.); l’età di 120 anni
è però una delle piú ricorrenti, ed è indicata da numerosi autori: cfr.
soprattutto Cic. Cato 69, e gli altri passi raccolti da A. Gudeman, P.
Cornelii Taciti Dialogus de oratoribus, mit prolegomena, Text und ad-
notatio critica, exegetischem und kritischem Kommentar, Biblio-
graphie und index nominum et rerum, Leipzig-Berlin 19142, 59 sg. e
n. 4 (in generale 55 sgg. per la discussione del problema della data
drammatica).
8
A sostegno di questa conclusione può essere anche addotta la cir-
costanza che quando Vipstano Messalla ribatte nel seguito dell’opera
alle argomentazioni di Apro, approssima ulteriormente, parlando, an-
ziché di 120, di 100 anni (dial. 25, 1 …tamquam parum proprie anti-
qui vocarentur quos satis constat ante centum annos fuisse).
9
Cfr. anche D. Bo, Le principali problematiche del Dialogus de
oratoribus. Panoramica storico-critica dal 1426 al 1990, Hildesheim-
428 EMANUELE BERTI

per risolvere il problema, pensò di intendere diversamente la fra-


se sextam iam felicis huius principatus stationem, qua Vespa-
sianus rem publicam fovet, negando che con essa si volesse in-
dicare, come abbiamo dato finora per scontato, il numero degli
anni del principato di Vespasiano10. L’espressione usata da Ta-
cito è senza dubbio un po’ inconsueta, ma non così peregrina:
statio è propriamente termine tecnico del linguaggio militare,
che oltre ad avere il significato di ‘posto di guardia’, può assu-
mere una sfumatura temporale nell’indicare il ‘turno di guar-
dia’ ricoperto da un soldato; nel nostro passo esso dovrebbe de-
signare un ‘anno di regno’ dell’imperatore, metaforicamente as-
similato a un turno di guardia, un’accezione che può essersi svi-
luppata a partire da quei contesti in cui statio è riferito al go-
verno stesso del princeps, visto nel ruolo di ‘sentinella’ o ‘presi-
dio’ dello stato11. Invece a parere di Norden, e di quanti poi han-
no ripreso e precisato la sua interpretazione, statio manterrebbe
anche nel nostro passo questa accezione traslata di regnum (con
felicis huius principatus genitivo epesegetico), mentre sextam
avrebbe valore predicativo, a significare che la statio di Vespa-
siano è la sesta da aggiungere al computo, dopo le cinque sta-
tiones prima elencate da Apro: Augusto, Tiberio, Caligola, Ne-
rone e Claudio (da intendere come unica statio), e infine Galba,
Otone e Vitellio (pure da intendere come un’unica statio). La
frase tacitiana si limiterebbe dunque a indicare il regno di Ve-
spasiano nel suo complesso; a questo punto per stabilire l’anno
esatto in cui il Dialogus è ambientato si dovrebbe fare unica-
mente riferimento al totale dei 120 anni, cosí da arrivare al 77-
78 d. C. Questa spiegazione ha avuto in seguito un certo suc-
cesso, ed è stata infine ripresa da Marcus Beck, l’ultimo studioso
a occuparsi specificamente della questione12; ma se essa consen-

Zürich-New York 1991, 125 sgg., dove si potrà trovare tracciata la sto-
ria della questione.
10
Cfr. E. Norden, Die Antike Kunstprosa vom VI Jahrh. v. Chr.
bis in die Zeit der Renaissance, Stuttgart 19585, I 325 sg. e n. 2 (trad.
it. La prosa d’arte antica dal VI sec. a. C. all’età della Rinascenza,
Roma 1986, I 336 e n. 38).
11
Si tratta in particolare di Ov. Arist. 2, 219 sg. scilicet imperii prin-
ceps statione relicta / imparibus legeres carmina facta modis?; Vell. 2,
124, 2 una tamen veluti luctatio civitatis fuit, pugnantis cum Caesa-
re senatus populique Romani ut stationi paternae succederet; 2, 131,
2; Lucan. 1, 45, ecc.; questi e altri esempi citati da E. Köstermann, Sta-
tio principis, «Philologus» 87, 1932, 358-368, 430-444: 359 sgg.; cfr. an-
che Gudeman, Taciti Dialogus cit., 59 e nn. 1-2.
12
M. Beck, Das dramatische Datum des Dialogus de oratoribus.
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 429

te di eliminare dal passo ogni contraddizione numerica, apre da


parte sua altre difficoltà. In primo luogo, se può avere un sen-
so raggruppare sotto una sola statio i regni di Galba, Otone e
Vitellio, che coprono insieme la durata di poco più di un anno,
non si comprende però perché la stessa cosa dovrebbe valere per
i due lunghi principati di Claudio e Nerone, anche se citati in-
sieme da Apro13; da aggiungere che, dopo aver precisamente in-
dicato gli anni di regno dei singoli imperatori da Augusto in
poi, sembra difficile pensare che Tacito rinunci a definire con
esattezza l’ultimo ‘addendo’, e che sextam debba essere inter-
pretato in maniera diversa rispetto alle cifre elencate in prece-
denza14. Il fatto che il termine statio non sia altrove attestato nel
significato di ‘anno di regno’ non crea una difficoltà insormon-
tabile, in quanto si tratta di un passaggio metonimico abba-
stanza semplice e, nel contesto di tutto il passo, facilmente com-
prensibile15.
Una spiegazione piú complessa è stata tentata da Cesare Let-
ta16, secondo cui tutti i dati forniti da Apro nel cap. 17 possono
trovare conciliazione fissando la data fittizia del Dialogus al 7
dicembre del 76 d. C. Letta pensa innanzi tutto che la frase sex-

Überlegungen zu einer in Vergessenheit geratenen Streitfrage, «RhM»


144, 2001, 159-171.
13
Tanto è vero che Köstermann (Statio principis cit., 363 sg., n. 17)
ipotizzava di correggere sextam in nonam, in modo che ognuno dei
principes antecedenti a Vespasiano potesse contare per uno. Su questo
punto insoddisfacente è il tentativo di spiegazione di Beck (Das dra-
matische Datum cit., 168), che si pone il problema, ma conclude di fat-
to con un non liquet (nulla più che una suggestione senza alcun solido
fondamento è l’idea che sulla designazione del principato di Vespasia-
no come sexta statio possa avere influito la concezione del 6 come nu-
mero perfetto).
14
L’uso dell’ordinale sextam in luogo del numero cardinale non pone
grossi problemi dal punto di vista linguistico, ed era anzi in qualche
modo una scelta obbligata, dato che il principato di Vespasiano (e in
particolare il suo sesto anno) era ancora in corso, e non già concluso
come nel caso dei suoi predecessori; poco fondate mi sembrano anche
in questo caso le obiezioni di Beck, Das dramatische Datum cit., 165.
15
Non mi pare necessario ipotizzare, come fanno alcuni, che statio
faccia riferimento, anziché agli anni di regno, ai consolati ricoperti dal
princeps; in ogni caso, come è stato notato, il sesto consolato di Vespa-
siano cade esattamente nel 75 d. C., e rimanda dunque ancora alla me-
desima data (cfr. p. es. Syme, Tacitus cit., II 670 sg.).
16
C. Letta, La data fittizia del Dialogus de oratoribus, in Scritti P.
Treves, Roma 1985, 103-109.
430 EMANUELE BERTI

tam iam felicis huius principatus stationem debba essere inte-


sa nel senso che il sesto anno del principato vespasianeo si è già
concluso17, e siamo adesso nel corso del settimo (il quale, fissato
il dies imperii di Vespasiano al 21 dicembre del 69 d. C., an-
drebbe dal 21 dicembre del 75 al 20 dicembre del 76 d. C.)18;
quanto all’altra indicazione centum et viginti anni ab interitu
Ciceronis in hunc diem colliguntur, essa starebbe a significare
il giorno in cui si compie il 119° anno dalla morte di Cicerone
e inizia il 120°19: ma per poter fissare questo giorno nel 7 di-
cembre del 76 d. C., Letta deve contare come primo anno il 43
a. C., o meglio la parte di quell’anno che precede il giorno del-
la morte di Cicerone20. Appare evidente che si tratta di una spie-
gazione assai artificiosa, ottenuta a prezzo di una duplice for-
zatura dei dati offerti nel passo, e che lascia comunque aperto
il problema della discrepanza fra la somma degli addendi e il
totale di 120 anni.
Entrambe le interpretazioni alternative proposte per dial. 17,
2-3 si rivelano dunque per diversi motivi insoddisfacenti, crean-
do più problemi di quanti ne risolvano, e non riescono in ulti-
ma analisi a scalzare la spiegazione tradizionale, secondo cui il

17
Tale interpretazione comporta peraltro la necessità di emendare il
tràdito qua … fovet in quo … fovet: se si considera infatti la sexta sta-
tio come conclusa, la relativa con il verbo al presente fovet non può ri-
ferirsi a quest’ultimo termine, ma solo a principatus.
18
Come tuttavia abbiamo già osservato (vd. sopra, 426-427 n. 6), il
confronto con hist. 2, 79 induce piuttosto a pensare che Tacito consi-
derasse come dies imperii di Vespasiano il 1° luglio.
19
Letta, come già altri prima di lui, dà alla locuzione in hunc diem
colliguntur un significato pregnante, come se essa stesse a significare
che l’azione del Dialogus si tiene esattamente nel giorno anniversario
della morte di Cicerone; ma l’espressione avrà piú probabilmente un
significato generico (‘ad oggi, al presente’), come anche in altri passi
di Tacito (sicuramente in hist. 4, 64, 1 e ann. 12, 42, 2, e cosí forse an-
che in Agr. 30, 3 e hist. 1, 30, 2).
20
Sarà utile, per chiarezza, riportare le parole dello stesso Letta (La
data fittizia cit., 106): «se, considerando correttamente come termine fi-
nale il 76, calcoliamo il primo anno solo dal 1° gennaio (entrata in ca-
rica dei consoli Irzio e Pansa) al 7 dicembre del 43 a. C. (data esatta
della morte di Cicerone), il secondo dal 7 dicembre del 43 al 6 dicem-
bre del 42 e così via, vediamo che il 6 dicembre del 76 d. C. segna la
fine del 119° anno e il 7 dicembre l’inizio del 120°, cioè che il 120°
anno da quello della morte di Cicerone comincia 15 giorni prima del
21 dicembre del 76 e quindi prima che sia terminato il 7° anno di re-
gno di Vespasiano».
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 431

120 vale come cifra arrotondata, e sextam … stationem indica il


sesto anno del principato di Vespasiano, fra il 74 e il 75 d. C.21

2. Tutti i contributi specifici fin qui dedicati alla questione


della data fittizia del Dialogus partono dal presupposto, non del
tutto corretto, mi pare, sul piano metodologico, di fondarsi uni-
camente sul passo di dial. 17, 2-3, come se esso fosse espressa-
mente finalizzato alla determinazione della data drammatica
dell’opera. In realtà, come si accennava più sopra, il calcolo svol-
to da Apro non ha per scopo primario quello di fornire al let-
tore precisi ragguagli cronologici, ma è funzionale in primo luo-
go all’argomentazione, paradossale e in un certo senso anche pro-
vocatoria, portata avanti da questo personaggio nel suo discor-
so; esso può tutt’al piú servire come conferma di un dato che in
qualche modo doveva essere già noto. Credo allora che per dare
una definitiva soluzione al nostro quesito sia piú utile e pro-
duttivo seguire una strada diversa, e scindendo il problema del-
l’interpretazione di questo passo da quello piú generale della
data drammatica, cercare se all’interno del Dialogus non vi sia-

21
Come decisiva riprova in favore di questa data, Gudeman (Taciti
Dialogus cit., 56 sg.) adduceva il passo di dial. 37, 2, dove si parla di
Licinio Muciano come ancora vivo; poiché in un passo della Naturalis
historia (dedicata a Tito nel 77 d. C.) Plinio il Vecchio si riferisce allo
stesso personaggio con un verbo al perfetto (Plin. nat. 32, 62), Gude-
man ne inferiva che nel 77 Muciano era morto, e che dunque l’azione
del Dialogus doveva di necessità essere anteriore a quell’anno: ma que-
sto argomento si basa su presupposti assai tenui, e condivisibili sono in
questo caso le riserve di Letta (La data fittizia cit., 109 n. 23) e Beck
(Das dramatische Datum cit., 168 sgg.). Piú interessante è forse l’in-
dicazione cronologica, pur assai vaga, che si ricava da dial. 5, 7 (parla
Apro) quid aliud infestis patribus nuper Eprius Marcellus quam elo-
quentiam suam opposuit, qua accinctus et minax disertam quidem,
sed inexercitatam et eius modi certaminum rudem Helvidi sapientiam
elusit? Si fa qui riferimento a uno scontro fra Elvidio Prisco e Eprio
Marcello, un noto delatore che con le sue false accuse aveva causato nel
66 d. C. la condanna a morte di Trasea Peto, suocero di Prisco, e l’e-
silio dello stesso Prisco; rientrato a Roma dopo la morte di Nerone, que-
sti attaccò senza successo il suo avversario in senato in almeno tre oc-
casioni fra il 69 e il 70 d. C. (cfr. Tac. hist. 4, 6-8 e 43; poco importa
ai nostri fini stabilire a quale episodio preciso si alluda qui): l’uso in
questo contesto dell’avverbio nuper sconsiglia di porre una distanza ec-
cessiva fra questi avvenimenti e la data drammatica del Dialogus, e
può costituire un ulteriore piccolo argomento a conferma della data del
74-75 d. C.
432 EMANUELE BERTI

no altre indicazioni rilevanti per la fissazione di quest’ultima,


ma soprattutto chiedersi perché Tacito abbia scelto di ambien-
tare l’opera nel 74-75 piuttosto che nel 77-78 o in un altro anno
ancora; è quanto si domandava anche Letta, quando osservava
che «se si ammette che egli [Tacito] si sia trovato costretto ad ar-
rotondare il 117 o 118 in 120, non si capisce come mai, potendo
fissare a suo piacimento una data fittizia per un dialogo sicu-
ramente immaginario, non ne abbia scelta direttamente una che
consentisse il calcolo in cifra tonda»22.
Ora, se è vero che il dialogo riferito da Tacito è senza dubbio
frutto della sua fantasia, realistica e assai attentamente costruita
è però la cornice entro la quale esso è iscritto, come reali sono i
personaggi che vi prendono parte: nei capitoli proemiali dell’o-
pera – che sono il luogo naturalmente deputato alla presenta-
zione di tutti i dati relativi all’ambientazione e alla mise en scè-
ne – sono così inseriti alcuni riferimenti cronologici che a noi
non dicono niente, ma che per un lettore antico potevano essere
immediatamente significativi. L’intero Dialogus si svolge nella
casa dell’oratore e poeta Curiazio Materno il giorno successivo a
quello in cui egli aveva dato pubblica lettura della sua tragedia
Cato (dial. 2, 1), e prende anzi le mosse proprio da questa reci-
tatio e dai rumores a cui essa aveva dato adito. Nel dramma di
Materno erano state infatti riconosciute allusioni ostili contro al-
cuni potentes, e ciò sembrava aver messo a rischio l’incolumità
stessa dell’autore; all’inizio del Dialogus Apro e Giulio Secondo
si recano dunque a far visita all’amico nel tentativo di indurlo
alla prudenza e di convincerlo a lasciare da parte la poesia tra-
gica per tornare a dedicarsi a tempo pieno alla sua professione
di oratore (dial. 3, 2-4): e questo fornisce lo spunto al dibattito
fra Apro e Materno nella prima parte dell’opera, in cui si di-
scute dei meriti relativi dell’oratoria e della poesia23. Della bio-
grafia di Materno noi non conosciamo niente piú di quello che
ci dice Tacito24, e non siamo quindi in grado di situare cronolo-

22
La data fittizia cit., 103.
23
Sulla stretta relazione fra l’ambientazione del Dialogus a ridosso
della recitatio del Cato di Materno e il contenuto dell’opera tacitiana,
soprattutto nell’ottica della riflessione sul rapporto fra eloquenza e po-
tere, insiste adesso A. Gallia, Potentes and potentia in Tacitus’s Dia-
logus de oratoribus, «TAPhA» 136, 2009, 169-206 (che a proposito del-
la specifica questione della data drammatica sembra peraltro inclina-
re per la soluzione sostenuta fra gli altri da Beck, cioè quella del 77
d. C.: cfr. 177 sg. e n. 23).
24
Sulla figura di Materno e sul suo ruolo nel Dialogus cfr. G. Ma-
nuwald, Der Dichter Curiatius Maternus in Tacitus’ Dialogus de ora-
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 433

gicamente le informazioni offerte nel proemio del Dialogus, né


di valutare appieno il significato della scelta di questo preciso
momento per ambientare il dialogo: ma i lettori del tempo di Ta-
cito potevano già da questo, ben prima del cap. 17, ricavare ele-
menti sufficienti per stabilire con esattezza il momento in cui si
immagina che l’incontro abbia avuto luogo, inquadrandolo nel
relativo contesto storico25.

toribus, «GFA» 4, 2001, 1-20. Alcuni studiosi hanno voluto identificare


il Curiazio Materno di Tacito con il che secondo Cas-
sio Dione (67, 12, 5) fu messo a morte da Domiziano nel 91 d. C. per
aver declamato contro la tirannide (cfr. p. es. K. Matthiessen, Der Dia-
logus des Tacitus und Cassius Dio 67,12, «AC» 39, 1970, 168-177); que-
sto anche in virtú del parallelo strutturale offerto da dialoghi cicero-
niani come il De oratore o il De re publica (vd. anche qui sotto, 434
sg.), che, come è noto, sono ambientati in prossimità della morte di uno
dei protagonisti (rispettivamente Crasso e Scipione Emiliano). Ma nel
nostro caso vi sarebbero almeno 15 anni di distanza fra la data dram-
matica del Dialogus e la morte di Materno nel 91 d. C.: per cui c’è sta-
to anche chi ha pensato che questa debba essere anticipata al 75-76
d. C. (cosí p. es. A. Cameron, Tacitus and the Date of Curiatius Mater-
nus’ Death, «CR» 17, 1967, 258-261). In ogni caso tutte queste specula-
zioni, in mancanza di notizie biografiche sicure su Materno, non ci aiu-
tano in alcun modo per la risoluzione del nostro problema.
25
A questo proposito va segnalata l’ipotesi, sostenuta in particolare
da S. Bartsch, Actors in the audience. Theatricality and doublespeak
from Nero to Hadrian, Cambridge (Mass.)-London 1994, 109 sg. (ma
cfr. già Syme, Tacitus cit., II 671; G. Williams, Change and decline.
Roman literature in the early empire, Berkeley-Los Angeles-London
1978, 34, e adesso Gallia, Potentes and potentia cit., 198 sg.), secondo
cui il personaggio di Materno e la sua tragedia Cato sarebbero da por-
re in relazione con la figura di Elvidio Prisco. Questi, considerato il
Catone moderno (cfr. Tac. hist. 4, 8, 3), pagò la sua intransigenza mo-
rale, che gli aveva infine provocato l’ostilità degli ambienti di corte,
con l’esilio e poi con la morte, decretata da Vespasiano, secondo l’ipo-
tesi piú accreditata, negli anni intorno al 74-75 d. C. (ma su tale data
sussiste piú di un’incertezza). Si è allora ipotizzato che il Cato potesse
essere una sorta di commemorazione, in forma di tragedia storica, del-
la figura di Elvidio; e il rischio corso da Materno con la lettura e pub-
blicazione del suo dramma rifletterebbe in qualche modo la sorte toc-
cata allo stesso Elvidio (anche se deve essere senz’altro respinto il so-
spetto, avanzato dalla Bartsch, che Materno sia solo un personaggio fit-
tizio, inventato e modellato da Tacito secondo i suoi scopi). Da qui la
scelta della data drammatica del 74-75 d. C.: la concomitanza con la
rovina di Elvidio Prisco conferirebbe un significato piú pregnante a
434 EMANUELE BERTI

Se dunque i limiti nelle nostre conoscenze non ci consentono


di interpretare l’indicazione temporale contenuta nell’accenno
alla recitatio del Cato di Materno, una piú certa risposta alla
domanda che ci siamo posti (perché il Dialogus è ambientato pro-
prio nel 74-75 d. C.?) può venire dall’osservazione della sceneg-
giatura dell’opera e del ruolo che all’interno di essa svolge il per-
sonaggio dello stesso Tacito. Per quanto riguarda gli aspetti for-
mali della messa in scena e della costruzione della cornice, il
Dialogus si ispira principalmente al modello di alcuni dialoghi
retorici e filosofici di Cicerone, come il De oratore, il De re pu-
blica e il Laelius de amicitia26. Nella loro sceneggiatura le tre
opere citate si differenziano dal modello prevalente negli altri
dialoghi ciceroniani, dove è l’autore stesso che svolge di solito il
ruolo principale nella discussione, per il fatto che in esse il dia-
logo è ambientato in un passato piú o meno lontano, e Cicerone
non figura fra gli interlocutori; per questo l’autore si premura
non solo di fornire puntuali indicazioni cronologiche che serva-
no a determinare la data fittizia dell’opera27, ma anche, nel ri-
spetto della verosimiglianza della finzione scenica, di dare con-

tutta la prima parte del Dialogus, in special modo all’attacco di Ma-


terno contro la lucrosa et sanguinans eloquentia (dial. 12, 2) dei dela-
tores come Eprio Marcello e Vibio Crispo, che con l’eliminazione del
loro avversario piú irriducibile avevano toccato l’apice della loro in-
fluenza e del loro potere (il primo fu console per la seconda volta pro-
prio nel 74 d. C.; cfr. anche le parole di Apro in dial. 8, 1-3). Questa
ipotesi, per quanto attraente, non sembra però essere suffragata da suf-
ficienti elementi di prova; notiamo peraltro che dall’unico accenno a
Elvidio e al suo precedente scontro con Eprio Marcello in dial. 5, 7
(vd. sopra, 431 n. 21) non si può ricavare neppure l’indicazione se, al
momento dell’azione rappresentata nel Dialogus, egli è immaginato es-
sere ancora vivo oppure no.
26
Sul debito di Tacito nei confronti dei dialoghi ciceroniani, e in ge-
nerale sui rapporti del Dialogus con le convenzioni del genere dialogi-
co, soprattutto per quanto concerne la tecnica drammatica e la messa
in scena, si veda l’approfondita analisi di U. Hass-von Reitzenstein,
Beiträge zur gattungsgeschichtlichen Interpretation des Dialogus de
oratoribus, diss. Köln 1970, in part. 10 sgg.; cfr. anche Gudeman, Ta-
citi Dialogus cit., 81 sgg.
27
Così il De oratore è precisamente ambientato al tempo del conso-
lato di L. Marcio Filippo e del tribunato di M. Livio Druso, cioè nel
91 a. C. (de orat. 1, 24), il De re publica nell’anno del consolato di Sem-
pronio Tuditano e Manio Aquilio, il 129 a. C. (rep. 1, 14); e in questo
medesimo anno, pochi giorni dopo la morte di Scipione Emiliano, cade
anche la data drammatica del Laelius (Lael. 3).
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 435

to della maniera in cui sarebbe venuto a conoscenza di una con-


versazione alla quale non era stato presente (e che poteva addi-
rittura risalire a prima della sua nascita). Così nel De oratore e
nel De re publica egli si richiama rispettivamente alle testimo-
nianze di Gaio Aurelio Cotta e Publio Rutilio Rufo, che in en-
trambi i casi sarebbero stati presenti al dialogo, e i cui ricordi
sarebbero stati in seguito raccolti dall’autore (cfr. de orat. 1, 26;
29; 3, 16; rep. 1, 13; 17); simile è la situazione del Laelius, nel
cui proemio Cicerone rievoca la sua giovanile frequentazione con
il grande giurista Quinto Muzio Scevola l’Augure (a cui egli era
stato affidato dal padre per essere guidato nei suoi studi), ri-
cordando di avere una volta udito dalla sua voce il racconto del-
la conversazione tenuta da Gaio Lelio, suocero dell’Augure, sul
tema dell’amicizia (Lael. 1-3; anche se poi, nei capitoli successi-
vi, il dialogo è presentato sostanzialmente come una finzione nar-
rativa: cfr. Lael. 4-5).
Riprendendo nel suo Dialogus tale tipologia strutturale, Ta-
cito vi apporta però una variazione: il dibattito sulle cause del
declino dell’eloquenza riferito nell’opera è infatti sí ambientato
nel passato, al tempo della giovinezza dell’autore, ma al contra-
rio di quanto accade nei succitati esempi ciceroniani, Tacito im-
magina di avervi assistito in prima persona (dial. 1, 2 disertis-
simorum … hominum sermo … quos eandem hanc quaestionem
pertractantes iuvenis admodum audivi)28, e di attingere pertan-
to a un ricordo personale (dial. 1, 3 ita non ingenio, sed me-
moria et recordatione opus est, ut quae a praestantissimis viris
et excogitata subtiliter et dicta graviter accepi, … iisdem nunc
numeris iisdemque rationibus persequar)29; anche se, dopo il pro-

28
Come osserva Hass-von Reitzenstein, Beiträge cit., 96 sgg., Tacito
poteva in realtà trovare un precedente diretto per questa finzione sce-
nica in un altro dialogo ciceroniano, il De natura deorum: esso è am-
bientato nel passato (la data drammatica non è in questo caso definita
con esattezza, ma si deve collocare fra il 77 e il 75 a. C.; la composi-
zione del dialogo risale invece al 45 a. C.), ma annovera fra i suoi per-
sonaggi lo stesso Cicerone, che si limita ad assistere in qualità di au-
ditor (nat. deor. 1, 17) al dibattito fra Cotta, Velleio e Balbo, senza
prendervi parte attiva. Tuttavia il ruolo rivestito da Cicerone nel De
natura deorum non è paragonabile a quello di Tacito nel Dialogus, in
quanto l’autore vi figura non come un giovane studente, ma come un
uomo maturo ed esperto, a cui beneficio si tiene il dibattito fra gli al-
tri presenti.
29
Si confronti Cic. de orat. 1, 23 repetam non ab incunabulis no-
strae veteris puerilisque doctrinae quendam ordinem praeceptorum,
sed ea quae quondam accepi in nostrorum hominum eloquentissimo-
436 EMANUELE BERTI

logo, egli scompare di scena rimanendo in disparte e in silenzio


per tutta l’opera, e la sua partecipazione all’incontro viene in
pratica dimenticata fino alle battute finali del Dialogus, addi-
rittura fino all’ultima parola, quando, nel momento del conge-
do, l’uso di un verbo alla prima persona plurale (dial. 42, 2 cum
adrisissent, discessimus) ricorda come fra i presenti vi fosse an-
che il giovane Tacito30. Per spiegare questa sua presenza muta,
nel ruolo di ascoltatore totalmente passivo, l’autore escogita una
giustificazione tanto semplice quanto verosimile: come si narra
nel cap. 2, egli si sarebbe recato in visita a Materno al seguito
di Apro e Secondo, in qualità di sectator e discepolo di questi
ultimi31 (dial. 2, 1):

Nam postero die quam Curiatius Maternus Catonem recitaverat … ve-


nerunt ad eum M. Aper et Iulius Secundus, celeberrima tum ingenia
fori nostri, quos ego utrosque non modo in iudiciis studiose audiebam,

rum et omni dignitate principum disputatione esse versata (cfr. anche


1, 4), oppure rep. 1, 13 nec vero nostra quaedam est instituenda nova
et a nobis inventa ratio, sed unius aetatis clarissimorum ac sapientis-
simorum nostrae civitatis virorum disputatio repetenda memoria est,
quae mihi tibique quondam adulescentulo est a P. Rutilio Rufo … ex-
posita (con la differenza che quelli di Cicerone sono ricordi, per così
dire, di ‘seconda mano’). Cfr. Hass-von Reitzenstein, Beiträge cit., 17
sgg.
30
La chiusa del Dialogus riprende cosí a cornice il cap. 3, all’inizio
del dialogo vero e proprio, in cui allo stesso modo la prima persona
plurale segnalava la presenza dell’autore (dial. 3, 1 igitur ut intravi-
mus cubiculum Materni, sedentem ipsum, quem pridie recitaverat li-
brum inter manus habentem deprehendimus); nel mezzo fra questi due
passi, alla persona di Tacito non si fa piú alcun cenno, neppure indi-
rettamente.
31
Sul ruolo di Tacito come cfr. Gudeman, Taciti Dia-
logus cit., 45, che cita anche un’epistola ad Attico, in cui Cicerone, par-
lando della sceneggiatura del De oratore, motiva similmente la sua
mancata inclusione fra gli interlocutori con la sua troppo giovane età
all’altezza della data fittizia del dialogo (Cic. Att. 13, 19, 4 puero me
hic sermo inducitur, ut nullae esse possent partes meae). La differen-
za sta ovviamente nel fatto che nel De oratore Cicerone non compare
tout-court come personaggio; e la posizione di Tacito nella trama del
Dialogus si avvicina semmai maggiormente a quella tenuta nello stes-
so dialogo ciceroniano da Cotta (la presunta ‘fonte’ di Cicerone), che
insieme a P. Sulpicio Rufo si trova al seguito del piú anziano Crasso
(cfr. de orat. 1, 25; anche se Cotta svolge un ruolo più attivo nella di-
scussione, e la sua presenza è piú volte ricordata nel corso dell’opera).
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 437

sed domi quoque et in publico adsectabar mira studiorum cupiditate


et quodam ardore iuvenili, ut fabulas quoque eorum et disputationes
et arcana semotae dictionis penitus exciperem.

Quello descritto in queste parole altro non è che il cosiddetto


tirocinium fori, che costituiva soprattutto in epoca repubblica-
na, ma ancora sotto l’impero, il tradizionale e piú diffuso me-
todo di formazione per i giovani romani avviati alla professione
forense o piú in generale alla carriera pubblica. Tale sistema pre-
vedeva che essi fossero affidati alle cure di qualche affermato
oratore o uomo politico, in modo che sotto la sua guida potesse-
ro completare il loro percorso educativo e, facendo esperienza di-
retta sul campo, acquisire tutte le conoscenze e la pratica ne-
cessaria per la loro futura attività; nel corso del suo tirocinium
il giovane discepolo seguiva il maestro non solo nei dibattiti pro-
cessuali e nelle occasioni pubbliche (non modo in iudiciis stu-
diose audiebam), ma anche era ammesso nella sua casa, e aveva
la possibilità di ascoltare le sue conversazioni e discussioni pri-
vate (fabulas quoque eorum et disputationes et arcana semotae
dictionis penitus exciperem). Per un romano delle classi elevate
(almeno nel periodo repubblicano, per il quale possediamo le te-
stimonianze piú chiare: ma anche in età imperiale le cose non
mutarono di molto) il tirocinium fori aveva inizio in concomi-
tanza con l’assunzione della toga virile, piú o meno intorno ai
17 anni di età (per concludersi poi nel momento dell’effettivo
esordio nel foro o nella vita pubblica): è quanto attesta per esem-
pio il già citato prologo del Laelius ciceroniano, in un passo si-
curamente tenuto presente da Tacito, dove l’autore fa riferi-
mento al proprio tirocinium con Scevola l’Augure, durante il
quale egli aveva avuto modo di assistere piú volte ai sermones
privati del maestro (ed è appunto in una di queste occasioni che
Cicerone avrebbe udito il racconto della conversazione di Lelio
sull’amicizia poi riprodotta nell’opera, come già detto)32: cfr. Cic.
Lael. 1-2 ego autem a patre ita eram deductus ad Scaevolam,
sumpta virili toga, ut, quoad possem et liceret, a senis latere
numquam discederem. Itaque multa ab eo prudenter disputa-
ta, multa etiam breviter et commode dicta memoriae manda-

32
Piú esattamente il racconto di Scevola risalirebbe, nella finzione
dell’autore, all’anno 88 a. C., come risulta dall’accenno di Lael. 2 al
tribunato di P. Sulpicio Rufo e al consolato di Q. Pompeo Rufo, che
cadono in quell’anno; Cicerone, nato nel 106 a. C., aveva dunque 18
anni. L’inizio della frequentazione con l’Augure doveva comunque ri-
salire almeno all’anno precedente, come si ricava da Brut. 306, dove
Cicerone torna a rievocare i suoi studi di diritto civile con Scevola.
438 EMANUELE BERTI

bam fierique studebam eius prudentia doctior. […] Cum saepe


multa, tum memini domi in hemicyclio sedentem, ut solebat,
cum et ego essem una et pauci admodum familiares, in eum
sermonem illum incidere qui tum fere multis erat in ore33.
Tutto questo ci consente di precisare l’età che l’autore imma-
gina di avere avuto all’altezza della data fittizia del Dialogus, e
che nel capitolo iniziale aveva indicato soltanto in termini ge-
nerici con l’espressione iuvenis admodum: quello descritto nel
cap. 2, impegnato nel suo tirocinium fori al seguito di Apro e
Secondo, poi spettatore silenzioso di una disputatio fra oratori
ben piú esperti di lui, sarà un Tacito all’incirca diciottenne34.
Ora, l’esatta data di nascita di Tacito non è nota, ma le sparse
notizie biografiche in nostro possesso, soprattutto quelle relati-
ve alla sua carriera politica e al cursus honorum, consentono di
fissarla con buona approssimazione nel 56 o 57 d. C.35 Quindi –

33
Cfr. ancora Cic. Cael. 9-11, passo da cui apprendiamo anche che la
durata del tirocinium fori era di regola fissata in un anno (anche se la
frequentazione con il maestro, o con i maestri, poteva protrarsi piú a
lungo). Per notizie piú dettagliate su questa pratica cfr. J. Regner,
s. v. tirocinium fori, in RE VIA.2 (1937), coll. 1450-1453, e inoltre S. F.
Bonner, Education in ancient Rome (from the Elder Cato to the
Younger Pliny), London 1977, 84 sg.; J.-M. David, Le patronage judi-
ciaire au dernier siècle de la République romaine, Rome 1992, 332 sgg.
34
La stessa locuzione iuvenis admodum, pur nella sua genericità,
può avvalorare questa conclusione: in Agr. 7, 2 essa è precisamente ap-
plicata a Domiziano diciottenne, al momento della presa del potere da
parte del padre Vespasiano nel 69 d. C. Altrove Tacito usa iuvenis ad-
modum per indicare genericamente un’età giovanile, in riferimento a
Vespasiano (hist. 2, 78, 2), Elvidio Prisco (hist. 4, 5, 1) e Aquilio Re-
golo (hist. 4, 42, 1; cfr. Syme, Tacitus cit., II 671; Bo, Le principali
problematiche cit., 153 n. 11). Semplicemente iuvenis, senza l’avverbio
admodum, Tacito definisce se stesso in Agr. 9, 6 in relazione all’anno
77 d. C. (data del consolato del suocero Agricola, che in quell’anno gli
concesse sua figlia in sposa).
35
Cfr. Syme, Tacitus cit., I 63 sgg. Tacito era di qualche anno piú an-
ziano rispetto a Plinio il Giovane (cfr. Plin. epist. 7, 20, 3-4), la cui data
di nascita si fissa con certezza al 61-62 d. C. Egli fu questore sotto Tito
(al piú tardi nell’81 d. C.), pretore nell’88 d. C. e consul suffectus nel 97
d. C.; le età minime richieste per queste magistrature, pur soggette a
oscillazioni, erano di 25 anni per la questura, 30 per la pretura, e 42 (al-
meno per gli homines novi) per il consolato (cfr. Syme, Tacitus cit., II
652 sgg.). Alla luce di questi dati, già un po’ troppo tarda sembra esse-
re la data del 58 d. C., sostenuta ultimamente da A. R. Birley, The life
and death of Cornelius Tacitus, «Historia» 49, 2000, 230-247: 236.
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 439

ecco infine la risposta che cercavamo – nel 74-75 d. C. egli avreb-


be avuto esattamente l’età richiesta di circa 18 anni, mentre nel
77 o 78 d. C. un Tacito come minimo ventenne sarebbe stato or-
mai troppo avanti con gli anni per la situazione rappresentata
nel Dialogus; ne risulta che, in virtú della peculiare costruzio-
ne scenica escogitata dall’autore, una data tra il 74 e il 75 d. C.
era l’unica possibile per l’ambientazione dell’opera.

3. Questi dettagli biografici, che giustificano la scelta della


data drammatica del 74-75 d. C., possono apparire marginali,
ma in realtà rivestono una funzione di una qualche importanza
nella trama del Dialogus. Nella seconda parte dell’opera, dopo
il discorso di Apro, prende la parola Vipstano Messalla, porta-
voce delle posizioni della corrente tradizionalista e ‘neo-cicero-
niana’; convinto assertore dell’attuale scadimento dell’arte ora-
toria, Messalla ne indica come causa principale l’abbandono del
modello pedagogico del passato, e in tale ottica si sofferma tra
l’altro a illustrare i pregi e i vantaggi del tradizionale sistema
del tirocinium fori (dial. 34, 1-2):

Ergo apud maiores nostros iuvenis ille qui foro et eloquentiae paraba-
tur, imbutus iam domestica disciplina, refertus honestis studiis, dedu-
cebatur a patre vel a propinquis ad eum oratorem qui principem in ci-
vitate locum obtinebat. Hunc sectari, hunc prosequi, huius omnibus
dictionibus interesse sive in iudiciis sive in contionibus adsuescebat, ita
ut altercationes quoque exciperet et iurgiis interesset utque sic dixerim
pugnare in proelio disceret.

Messalla prosegue osservando che grazie a questo sistema, che


consentiva agli aspiranti oratori di farsi le ossa direttamente sul
campo, in media luce … atque inter ipsa discrimina (dial. 34,
3), essi acquisivano da subito una grande esperienza, cosicché fin
da giovanissimi erano in grado di sostenere da soli ogni tipo di
causa nel foro; ma – lamenta ancora il nostro – tale uso è stato
adesso soppiantato dalla frequentazione delle scuole di retorica,
dove gli studenti imparano soltanto a svolgere futili e assurdi
esercizi come le suasoriae e le controversiae, che risultano esse-
re non solo inutili, ma perfino dannosi per la loro preparazione
(cap. 35).
Le parole di Messalla sopra citate richiamano in maniera ine-
quivocabile il modo in cui nel cap. 2 Tacito descriveva il proprio
tirocinium fori sotto la guida di Apro e Secondo36; anzi, come è

36
Si notino i numerosi echi verbali fra i due passi: adsectabar ∼ hunc
sectari (sector o adsector è verbo tecnico per designare il tirocinium fori
440 EMANUELE BERTI

stato osservato da alcuni, l’esperienza di Tacito come delineata


nelle battute iniziali dell’opera, e la sua stessa presenza al di-
battito inscenato nel Dialogus (che è anch’essa parte integrante
del tirocinium dell’autore), appaiono una sorta di preventiva
smentita delle osservazioni di Messalla, attestando che il sistema
da lui dato per morto era in realtà ancora vivo e vitale37. Non
v’è dubbio che Messalla, nella sua visione pessimistica e tutta ri-
volta al passato, stia in qualche misura esagerando; d’altronde
varie altre testimonianze coeve confermano come il tirocinium
fori non fosse affatto caduto totalmente in disuso ai tempi di
Tacito38. Ma piú che mettere in discussione in generale la vali-
dità delle affermazioni del suo personaggio, mi pare di poter
dire che Tacito, tramite lo stretto rapporto stabilito fra i due
passi del Dialogus, voglia smentirle in relazione proprio al suo
caso personale: raffigurandosi come un seguace del metodo tra-
dizionale, egli intende, in altre parole, presentare se stesso come
l’eccezione al quadro tracciato da Messalla, in modo da accredi-

al seguito di un oratore: cfr. dial. 20, 4; Plin. epist. 2, 14, 10; Gell. 13,
18, 3; 20, 6, 1, ecc.); non modo in iudiciis studiose audiebam ∼ sive in
iudiciis sive in contionibus; ut fabulas quoque eorum et disputationes
… penitus exciperem ∼ ut altercationes quoque exciperet.
37
Cfr. p. es. T. J. Luce, Reading and response in the Dialogus, in
T. J. Luce-A. J. Woodman (ed.), Tacitus and the Tacitean tradition,
Princeton 1993, 11-38: 21; M. Winterbottom, Returning to Tacitus’ Dia-
logus, in C. W. Wooten (ed.), The orator in action and theory in Gree-
ce and Rome, Leiden 2001, 137-155: 149; cfr. anche Williams, Change
and decline cit., 38 sg., 45, che tuttavia legge la rappresentazione del
cap. 2 del Dialogus soprattutto come un espediente letterario teso a giu-
stificare la presenza di Tacito al dibattito.
38
Cfr. p. es., sempre all’interno del Dialogus, le parole di Apro (20,
4), che accenna a quei iuvenes in ipsa studiorum incude positi, qui
profectus sui causa oratores sectantur. Anche Quintiliano consiglia di
attenersi a tale uso come ultima tappa del percorso formativo del fu-
turo oratore (cfr. inst. 10, 5, 19 quare iuvenis, qui rationem invenien-
di eloquendique a praeceptoribus diligenter acceperit, … exercitatio-
nem quoque modicam fuerit consecutus, oratorem sibi aliquem, quod
apud maiores fieri solebat, deligat quem sequatur, quem imitetur; iu-
diciis intersit quam plurimis, et sit certaminis cui destinatur frequens
spectator): interessante è tuttavia l’inciso quod apud maiores fieri so-
lebat, che sembra costituire un’almeno parziale conferma delle parole
di Messalla, e lascia intendere che anche Quintiliano guardava al tiro-
cinium fori come una pratica in buona parte appartenente al passato
(cfr. anche inst. 12, 11, 5-6).
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 441

tarsi come oratore della ‘vecchia scuola’, continuatore ed erede


legittimo dei grandi oratori del passato.
Fra questi vi è certamente in primo luogo Cicerone, al cui
esempio Tacito si richiama mediante l’allusione intertestuale al
passo del proemio del Laelius39, ma vi sono anche quei nomi che
lo stesso Messalla menziona alla fine del cap. 34: qui egli, per
provare l’efficacia del sistema del tirocinium fori, introduce l’e-
sempio di una serie di noti oratori, tutti appartenenti all’ultimo
periodo repubblicano, i quali, dopo essersi formati secondo il me-
todo appena descritto, si erano poi distinti per la loro precocità
oratoria (dial. 34, 6-7):

Atque hercule sub eius modi praeceptoribus iuvenis ille de quo loqui-
mur, oratorum discipulus, fori auditor, sectator iudiciorum … sive ac-
cusationem susceperat sive defensionem, solus statim et unus cuicum-
que causae par erat. Nono decimo aetatis anno L. Crassus C. Carbo-
nem, uno et vicesimo Caesar Dolabellam, altero et vicesimo Asinius Pol-
lio C. Catonem, non multum aetate antecedens Calvus Vatinium iis ora-
tionibus insecuti sunt quas hodieque cum admiratione legimus.

Come i commentatori non hanno mancato di notare, questo


elenco contiene due inesattezze, relative all’età di Lucio Licinio
Crasso e di Giulio Cesare (ancora dei numeri sbagliati!): all’e-
poca dei processi contro Carbone (nel 119 a. C.) e contro Dola-
bella (nel 77 a. C.), Crasso e Cesare, nati rispettivamente nel 140
e nel 100 a. C., avevano infatti ventuno e ventritré anni; parti-
colarmente vistosa è l’imprecisione nel caso di Crasso, dato che
l’età di ventuno anni è chiaramente indicata da Cicerone nel De
oratore, in un passo che Tacito non poteva non avere presente40.

39
Il ricordo del passo del Laelius è presente non soltanto nel cap. 2
(vd. sopra, 437 sg.), ma anche in questo cap. 34 del Dialogus, come mo-
stra specialmente il parallelismo fra le due espressioni deducebatur a
patre (dial. 34, 1) e a patre … eram deductus (Lael. 1); cfr. K. A.
Neuhausen, Ciceros Vater, der Augur Scävola und der junge Cicero,
«WS» n. F. 13, 1979, 76-87: 85 sg.
40
Cfr. Cic. de orat. 3, 74 (parla lo stesso Crasso) … quippe qui om-
nium maturrime ad publicas causas accesserim annosque natus unum
et viginti nobilissimum hominem et eloquentissimum in iudicium vo-
carim. La possibilità di un guasto nella tradizione manoscritta del Dia-
logus è esclusa dall’osservazione che le età dei quattro oratori menzio-
nati da Messalla sono elencate in ordine crescente; Gudeman (Taciti
Dialogus cit., 457, ad l.) pensava che Tacito avesse seguito qui una qual-
che fonte retorica, dove era già contenuto l’errore.
442 EMANUELE BERTI

Tuttavia in questa occasione, piú che pensare a una svista da


parte dell’autore, si potrebbe avanzare l’ipotesi che si tratti di
un’imprecisione intenzionale: se ammettiamo cioè che Tacito ab-
bia voluto rispecchiarsi nell’esempio di questi oratori e delle loro
carriere, potrebbe essere che egli abbia abbassato di proposito
l’età dell’esordio nel foro di Crasso (e di Cesare), per farla cor-
rispondere a quella in cui egli stesso aveva fatto il suo debutto
come avvocato. Che anche Tacito fosse stato un oratore piutto-
sto precoce lo si ricava da una testimonianza di Plinio il Giova-
ne, che in una lettera indirizzata allo stesso Tacito (epist. 7, 20)
ricorda la sua ammirazione di adulescentulus per l’amico, che
pur di pochi anni più anziano, si era già guadagnato una fama
e una reputazione assai solide41. Questo passo del Dialogus po-
trebbe consentire di aggiungere un piccolo dettaglio biografico
sulla carriera di Tacito, aiutando a determinare l’età esatta del
suo esordio forense; e in ogni caso esso mi pare fornire un’ulte-
riore conferma che all’altezza della data fittizia del Dialogus Ta-
cito si immagina in età non superiore a 18 anni (proprio perché,
alla luce del precedente di Crasso, a 19 anni si era già troppo
anziani per poter essere ancora impegnati nel proprio tirocinium
fori).
Letta in questo modo, la presentazione che Tacito fa di se stes-
so nel cap. 2 del Dialogus come sectator di Apro e Secondo (per
la quale la scelta della data drammatica del 74-75 d. C. costi-
tuisce un elemento essenziale) cessa di essere un particolare ir-
rilevante, o poco più di un espediente per giustificare la pre-
senza dell’autore al dibattito (e quindi la possibilità di ripro-
durlo adesso, in risposta alla questione sottopostagli all’inizio
dell’opera dall’amico Fabio Giusto). Rievocando a 25 e piú anni
di distanza quella sua giovanile esperienza, Tacito, consapevole
di essere nel frattempo divenuto uno dei maggiori oratori – se
non il maggiore in assoluto – della sua generazione, sembra vo-
ler dire che già nel suo percorso di formazione, esemplato sul
modello tradizionale, vi erano tutte le premesse perché egli po-
tesse diventare un grande nel campo dell’eloquenza e raccoglie-

41
Cfr. Plin. epist. 7, 20, 4 equidem adulescentulus, cum iam tu fama
gloriaque floreres, te sequi, tibi ‘longo, sed proximus intervallo’ et esse
et haberi concupiscebam. Et erant multa clarissima ingenia; sed tu
mihi – ita similitudo naturae ferebat – maxime imitabilis, maxime imi-
tandus videbaris. Lo stesso Plinio il Giovane, la cui carriera per tanti
aspetti procede in parallelo rispetto a quella di Tacito, esordì come av-
vocato a 19 anni, come egli stesso ricorda in un’altra epistola a Titinio
Capitone (epist. 5, 8, 8).
LA DATA DRAMMATICA DEL DIALOGUS DE ORATORIBUS 443

re l’eredità di Cicerone e degli altri antiqui oratores, i parlato-


ri dell’epoca repubblicana, che per ammissione comune rappre-
sentavano i vertici dell’oratoria romana; e ciò gli consente qua-
si di porsi al di fuori di quel panorama di declino generalizza-
to che pure era stato ammesso all’inizio del Dialogus, e di ri-
vendicare per se stesso quel nome di oratore, che secondo Fabio
Giusto era negato a tutti i contemporanei (cfr. dial. 1, 1). Se no-
nostante tutto egli non ha oggettivamente potuto raggiungere lo
stesso livello e la stessa fama degli antichi, è perché, come Ma-
terno dimostrerà nel suo intervento finale, le condizioni storico-
politiche instauratesi con l’avvento del principato non consento-
no più la fioritura di una grande oratoria42.

EMANUELE BERTI

42
Mi associo qui all’opinione di quanti vedono in Curiazio Materno
non solo il principale portavoce delle idee di Tacito nel Dialogus (per
cui è nel suo ultimo discorso che va cercata la definitiva risposta al
quesito sollevato all’inizio dell’opera), ma anche una vera e propria ‘con-
trofigura’ dell’autore; le mie opinioni in proposito sono meglio preci-
sate nell’Introduzione a Tacito, Dialogo sull’oratoria, a cura di E. Ber-
ti, Milano 2009, XXXIX sgg.

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