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La 

Ballata, infatti, inizia in modo assolutamente realistico, con versi legati specialmente alla percezione
visiva; numerose sono le descrizioni, che si concentrano soprattutto sul tempo atmosferico, sulla
posizione della nave e sulle terre natali del marinaio.[1] È solo dopo la morte dell'albatro che il poema si
carica di elementi magici e soprannaturali, quali:

 l'albatro, uccello sacro in molte religioni, è il simbolo del patto d'amore che lega l'uomo e la natura.
Uccidendo il volatile, considerato dai bestiari medievali un essere intoccabile e dai marinai
addirittura un simbolo di buon auspicio, il marinaio compie un atto paragonabile alla violazione di
un tabù sacro, macchiandosi dell'efferato crimine di aver offeso valori umani come l'amicizia e
l'ospitalità: l'albatro rappresenta una vittima innocente ed è paragonato all'uccisione di Cristo in
croce. Quando il marinaio lo uccide è come se avesse ucciso la natura;
 la presenza di creature ultraterrene, quali spiriti, mostri marini, angeli;
 lo stesso marinaio, obbligato da una forza misteriosa a raccontare continuamente la sua storia,
costringendo gli interlocutori ad ascoltarlo con un occhio scintillante (glittering eye) che esercita un
potere quasi ipnotico;
 la nave, animata da forze misteriose che la sospingono verso il Polo Sud.
Con questa ballata suggestiva ed inquietante, dunque, Coleridge intende parlarci della colpa, della
sofferenza e della redenzione umana, caricando questi temi di segrete reminiscenze religiose. Secondo
diverse interpretazioni, infatti, l'assassinio dell'albatro rappresenta un peccato contro la natura e,
pertanto, contro Dio. Per questo motivo il marinaio, divorato dall'angoscia e dalla solitudine, è costretto
a scontare le proprie colpe con uno stato temporaneo di espiazione e pena, in rappresentanza del
fuoco del Purgatorio. Questa redenzione si conclude nella quarta parte del poema nella quale il
marinaio ammira i serpenti marini che circondano la nave in quanto parte della creazione divina; il
maleficio così si spezza e l'albatro, prima appeso al suo collo, sprofonda negli abissi.[1]
Su un piano più strettamente letterario, invece, l'albatro allude alla condizione dell'artista e alla
creazione poetica, diventando così una metafora assai pregnante che verrà apprezzata anche
da Charles Baudelaire, autore per l'appunto della poesia L'Albatros. Oppresso da una deludente realtà,
il poeta andrebbe alla ricerca della verità nel suo livello più elevato e intelligibile, sopportando
sofferenze ed esperienze fuori dall'ordinario, per poi raggiungere un mondo ideale con il potere
dell'immaginazione. Così come il marinaio comprende che il suo destino è quello di raccontare le
proprie vicende esistenziali, quindi, l'artista ha il compito di divulgare il proprio sapere.[1]

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