Sei sulla pagina 1di 38

Antonella Bazzoli

VERA DEUM FACIES


A proposito delle iscrizioni greche
del tempio di Sant’Angelo in Perugia

Premessa

Argomento principale di questo lavoro di ricerca è l’interpreta-


zione delle iscrizioni del tempio di Sant’Angelo in Perugia, la chiesa
paleocristiana che si erge sulla sommità del colle a nord della città.
Si tratta di otto epigrafi, incise in lettere greche nelle gole degli aba-
chi di quattro capitelli corinzi (due per abaco) e ripassate con vernice
nera. I quattro capitelli recanti iscrizioni, reimpiegati come spolia al
momento della costruzione della chiesa, risalirebbero al II secolo 1.
Ritenute fino ad oggi firme di artigiani o marchi di fabbrica
di età tardo adrianea, le sigle sono invece, a parere di chi scrive,
iscrizioni cristiane dal contenuto escatologico di salvezza, databili al
periodo altomedievale, al momento cioè dell’edificazione del tempio.
Nel 1792 l’erudito Baldassarre Orsini segnalò per primo la pre-
senza delle misteriose epigrafi, ipotizzando che esse potessero indi-
care il nome dell’artefice che aveva realizzato i capitelli 2.
Quarant’anni dopo, interpretando la sigla ǾȇȦ (che è la più
ricorrente tra le iscrizioni del tempio) come abbreviazione del ter-

Nota al titolo. L’espressione utilizzata è tratta da un verso di Marziano Capella


riportato più avanti (v. all’altezza della nota 83). In esso, l’apparente accusativo deum
va inteso come genitivo plurale sincopato per motivi metrici.
1
Secondo Luana Cenciaioli, i capitelli recanti iscrizioni « sono riconducibili tipo-
logicamente al corinzio canonico urbano di età adrianea » Cenciaioli 1977/78, p. 161.
2
« Quattro di questi capitelli hanno buone forme greche e nell’abaco ci sono lettere
scolpite in due fronti (...) A me sembra che possano indicare il nome dell’artefice »
scriveva l’erudito nella sua Dissertazione sull’antico Tempio di Sant’Angelo. Orsini 1792,
p. 33.

Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CIX (2012), fasc. I-II
464 ANTONELLA BAZZOLI

mine greco Ǿȇȍ21 che significa « sepolcro », lo studioso ottocentesco


Giovanni Battista Vermiglioli ipotizzò che i capitelli con iscrizioni e
le rispettive colonne fossero appartenuti ad un’antica tomba monu-
mentale 3.
Venendo a tempi più recenti, nel 1978 tornò sulla questione
Luana Cenciaioli, interpretando le iscrizioni del tempio come sigle
lasciate « da una squadra di lavoratori, tre per la precisione, che
eseguivano ogni pezzo, poi ponevano le iniziali per facilitare il paga-
mento e forse, visto il gran numero di officine, per non confondere
le destinazioni » 4. Secondo la studiosa l’uso delle lettere greche si
spiegherebbe con « la presenza, nelle botteghe di produzione, di scal-
pellini orientali, fenomeno conosciuto per Roma fin dal I sec. d.C. » 5.
Recentissimo, infine, è un intervento di Stefano Borghini 6, secon-
do il quale la presenza di caratteri “rubricati”, ossia ripassati con
vernice, farebbe escludere che le iscrizioni incise sui capitelli siano
« sigle di cantiere degli scalpellini, perché in tal caso non sarebbe
stato necessario (e forse anche deprecabile) ripassare i monogrammi
a vernice per evidenziarli » 7.
A questa argomentazione ne va aggiunta un’altra: rarissimi sono
gli elementi architettonici sui quali venivano apposte le firme dei
marmorari che li avevano eseguiti, e sui pochi pezzi che risultano
firmati non si leggono abbreviazioni di nomi propri, ma soltanto la
designazione ex oficina 8.
Ce n’è a sufficienza per non condividere l’opinione che le epigrafi
rappresentino sigle lasciate da artigiani di origine greca del II secolo.
La mia ipotesi è invece che le iscrizioni del tempio di Sant’Ange-
lo siano sigle paleocristiane, incise negli abachi in concomitanza con
la realizzazione del peristilio anulare, avvenuta com’è noto attraverso
il reimpiego di colonne, basi e capitelli, già appartenuti a edifici
preesistenti 9.

3
Vermiglioli 1833, pp. 567-568.
4
Cenciaioli 1977/78, p. 89.
5
Ivi, p. 92.
6
Borghini 2009, pp. 293-302. Ringrazio Manuel Vaquero Piñeiro per la segnala-
zione.
7
Ivi, p. 296.
8
De Maria 1981, p. 602.
9
A proposito del reimpiego del materiale d’età romana nel tempio cristiano di
Sant’Angelo, mi piace ricordare, per l’antichità e la suggestione del testo, il commento
di Giovanni Battista Caporali del 1536, così come lo riporta Vermiglioli nella sua opera
dedicata alla città umbro etrusca di Arna: « Gio. Battista Caporali nella sua versione
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 465

La committenza di tali sigle, così come quella della costruzione


del tempio che le contiene, andrebbe a mio avviso ricercata nel ri-
stretto ambito di una élite di provenienza greco orientale, formata
verosimilmente da alti funzionari dell’amministrazione romea, residen-
ti nella Perugia bizantina e legati agli ambienti militari e burocratici
della corte esarcale.
Prima di entrare nel vivo della questione epigrafica, ritengo però
necessario soffermarmi su alcuni aspetti storici e architettonici dell’edi-
ficio, che si riveleranno utili per una migliore comprensione della mia
ipotesi interpretativa.

I
Il tempio e le sue scritte

1. Quando Perugia guardava a Oriente

Pur non esistendo fonti dirette che ci permettano di ricostruire


con certezza la cronologia del tempio di Sant’Angelo, la critica più
recente, per merito soprattutto di Donatella Scortecci, tende a collo-
care la sua costruzione agli inizi del VII secolo 10. Si sposta quindi in
avanti di uno o due secoli la tradizionale ipotesi cronologica, secondo
cui il monumento – soprattutto sulla base dei confronti con quello
che sarebbe stato il suo modello romano, il Santo Stefano Rotondo –
andrebbe datato al V o VI secolo d.C.
Grazie allo studio effettuato nel 1910 da Dante Viviani, è sta-
ta definitivamente superata la precedente tradizione storiografica
locale, secondo cui la chiesa sarebbe sorta sulle fondamenta di un
preesistente tempio pagano 11. Al Viviani si deve anche la puntuale
ricostruzione della forma originaria della chiesa altomedievale 12, la

dei primi cinque libri di Vitruvio così scrive di questo Tempio, favellando di quello di
S. Angelo: Questi Capitelli con le colonne loro, e di bei mischj, e di altre varie pietre
di pregio dure, le quali abbiamo, che tutte erano ad un tempio dedicato alla Dea Flora
lontano dalla nostra Città di Perugia cinque miglia, che si dice oggi il nome di Castello
Civitella d’Arno. Questo Tempio fu guasto e portate le spoglie dentro di Perugia là dove
alla porta della region settentrionale ne fu ornata una Chiesa ottagona chiamata al presente
Sant’Angelo » (Vermiglioli 1800, pp. 141-142).
10
Scortecci 1991, p. 428.
11
Viviani, pp. 875-876.
12
Ivi, pp. 888-891.
466 ANTONELLA BAZZOLI

cui struttura primitiva è ancora parzialmente visibile, nonostante le


alterazioni subite dall’edificio nel corso dei secoli.
L’architettura del tempio era caratterizzata da pianta centrale impo-
stata su croce greca. Quattro cappelle radiali, perfettamente orientate
secondo i punti cardinali, si aprivano in corrispondenza dei bracci della
croce, costituendo quasi dei corpi a sé stanti (Fig. 1).

Fig. 1

Ciò ha fatto pensare a una loro specifica funzione liturgica, te-


nendo anche conto che si accedeva agli ambienti periferici, disposti
a nord, a sud e a ovest, oltre che dall’interno attraverso i rispettivi
triforia 13, anche dall’esterno attraverso due ingressi laterali 14. Secondo

13
Così si chiamano le aperture a tre fornici, di cui il centrale maggiore dei due late-
rali, che parzialmente sono ancora riconoscibili lungo la parete circolare dell’ambulacro,
in particolare in corrispondenza del corpo radiale orientale e di quello settentrionale.
14
I tre ambienti radiali orientati a nord, sud e ovest erano caratterizzati da pianta
rettangolare ed erano dotati di due ingressi laterali ciascuno. Il vano orientale, invece,
era l’unico senza ingressi esterni (cfr. Viviani 1911, p. 887). Inoltre, a quanto riferisce
l’Orsini, sopra le arcate maggiori dei triforia posti a nord, sud e ovest, erano dipinte
tre croci, mentre sopra l’arcata maggiore orientata a est, si vedeva dipinta una mano
benedicente (cfr. Orsini 1792).
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 467

il Viviani « le cappelle rettangolari facevano verosimilmente l’ufficio di


matronei, poiché, avendo separati accessi dall’esterno, davano modo
di tener divise le donne dagli uomini come era prescritto dal rito » 15.
A una partizione interna degli spazi funzionale alla liturgia pra-
ticata nel tempio fa riferimento anche la Scortecci, quando sostiene
che « il presbiterio è da identificare con il vano orientale absidato
e poligonale all’esterno, unico fra i quattro ambienti radiali a non
aprirsi direttamente verso l’esterno » 16.
Purtroppo i quattro vani periferici che costituivano i bracci della
croce non si sono conservati integri fino a noi. È invece originale il
peristilio che fa da divisorio tra le due navate concentriche dell’am-
bulacro e del vano centrale. Dotate di basi, capitelli e pulvini, le
sedici colonne sostengono, tramite altrettante arcate, il tamburo
centrale sopraelevato. In quest’ultimo, che in origine doveva essere
più alto dell’attuale, si conservano le dodici finestre originali ad arco:
disposte in quattro gruppi da tre, esse sono orientate secondo i punti
cardinali, in perfetta corrispondenza con i sottostanti triforia (Fig. 2).

Fig. 2

 Viviani 1911, p. 887.


15

 Scortecci 1991, pp. 423-424.


16
468 ANTONELLA BAZZOLI

La presenza delle dodici finestre nel tamburo centrale e di altret-


tante aperture (i triforia) nel muro perimetrale interno, è indubbia-
mente simbolica e fa riferimento, sempre a mio avviso, al numero
delle porte e degli angeli della Gerusalemme Celeste, così come la
descrive Giovanni nel libro dell’Apocalisse: « La città è cinta da un
grande e alto muro con dodici porte, sopra queste porte stanno
dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle 12 tribù dei figli d’Israele.
A  oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte,
e a occidente tre porte » (Ap 21, 9-13).
I raggi del sole, che penetrano dall’alto attraverso le dodici aper-
ture, illuminano i marmi policromi e il granito grigio delle sedici
colonne, creando tra le due navate concentriche uno straordinario
contrasto di luce e ombra (Fig. 3).

Fig. 3
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 469

E proprio riferendosi alla complessa distribuzione degli spazi in-


terni, all’autonomia conferita ai vani periferici e alla perizia costruttiva
degli architetti del tempio, la Scortecci evidenzia giustamente come
l’edificio si caratterizzi per essere « l’esito di un linguaggio artistico
complesso, che si è avvalso di stilemi sia orientali che occidentali,
elaborati secondo un gusto che mostra precisi rapporti con i centri
di maggior interesse dell’Impero d’Occidente: Roma e Ravenna » 17.
La presenza di tanti aspetti architettonici che sembrano ap-
partenere più alla tradizione bizantina che a quella dell’Occidente
cristiano, può essere facilmente spiegata con la posizione strategica
del tempio, sorto sulla sommità di un colle poco al di fuori di Porta
Pulchra 18, lungo il tracciato dell’antica via Amerina che, uscendo da
Perugia, si diramava in direzione di Gubbio per poi ricongiungersi,
più a nord, con la consolare Flaminia.
Il trovarsi in età bizantina lungo l’importante diverticolo della
Cassia 19 che, oltre ad aver avuto un ruolo primario nella diffusione
del cristianesimo, aveva finito per rappresentare dal VI secolo la
principale via di comunicazione tra Roma e Ravenna (il cosiddetto
“corridoio bizantino”), consentì al territorio di Perugia di acquisire
una certa autonomia politica e amministrativa, sia nei confronti del
pontefice che in quelli dell’esarca di Costantinopoli. È quanto ipotiz-
za la Scortecci, secondo cui la città in età bizantina si sarebbe confi-
gurata « come un ducato autonomo, con a capo un magister militum
dal potere non solo militare ma anche civile, oltre che di mediazione
religiosa tra il pontefice e il clero locale » 20. Pare che già alla fine del
VI secolo il territorio di Perugia vantasse appunto la presenza di un

17
Ivi, p. 417.
18
Così era chiamata nel VII secolo la porta settentrionale della cinta muraria etrusca,
oggi conosciuta come Arco di Augusto, da cui usciva il cardo cittadino in direzione
nord.
19
Attraverso la Cassia il cristianesimo raggiunse anche Firenze dove, all’inizio del
V secolo, sorge la basilica cimiteriale di Santa Felicita, in un’area a sud dell’Arno utiliz-
zata come necropoli fin dall’età romana. Presso questa basilica suburbana è documentata
nel VI secolo la presenza di una vivace comunità di lingua greca, legata alla presenza di
truppe bizantine a Firenze, e formata in prevalenza da siriani, come testimoniano i nomi
e i toponimi di origine siriaca rinvenuti sulle lapidi sepolcrali ubicate all’interno della
chiesa. Tra le sepolture risultano sia personaggi di spicco della Firenze del VI secolo,
sia stranieri di provenienza orientale, tra cui milites e loro familiari, ben integrati nella
società fiorentina ma parlanti lingua greca (cfr. Costantini 2010, p. 180-182).
20
Scortecci 1991, p. 420. La consistenza del ducato bizantino di Perugia è confer-
mata da Menestò 1999, pp. 73-79.
470 ANTONELLA BAZZOLI

magister militum 21, la cui carica di alto comandante di guarnigione lo


poneva alle dirette dipendenze dell’esarca. È pertanto ipotizzabile che
intorno al magister militum residente a Perugia si sia costituita una
comunità di origine greco orientale (formata dai milites e dalle loro
famiglie), che in età bizantina potrebbe essersi insediata stabilmente
proprio fuori Porta Pulchra, nel quartiere settentrionale della città
che si andava sviluppando extra moenia lungo l’importante tracciato
dell’Amerina 22.
Seguendo tale ipotesi si può immaginare che il tempio dedicato
all’arcangelo Michele abbia rappresentato il luogo di culto ufficiale
del magister militum e del gruppo di lingua greca che lo attorniava.
Ipotesi che, sempre secondo la Scortecci, sarebbe confermata anche
dalla somiglianza del tempio perugino con la chiesa palatina di San
Vitale a Ravenna, attestata come luogo di culto ufficiale dell’impera-
tore e della sua corte 23.
Una cosa è certa: la Perugia di età bizantina dovette seguire
molto da vicino le sorti dell’Oriente cristiano e, tranne che per brevi
periodi, dovette restare sempre sotto l’influenza greca, fedele al papa
e all’esarca, ma al tempo stesso guidata da un dux Perusinorum che
garantiva al suo ducato una relativa autonomia 24.
L’Impero d’Oriente rappresentò dunque un importante modello
di riferimento per il territorio perugino, non solo in campo politi-
co e amministrativo ma anche architettonico. E la chiesa intitolata
all’arcangelo Michele è l’esempio più evidente di come in quegli anni
travagliati, caratterizzati dalla costante pressione militare longobarda,
la città di Perugia seppe rinnovarsi con edifici ispirati ai prototipi
dell’Oriente cristiano, primo fra tutti il Santo Sepolcro di Gerusa-
lemme, la cui Anastasis fu eretta da Costantino con una struttura
circolare, formata da tre anelli concentrici, per custodire al centro
la cavità sacra in cui era stato sepolto Gesù 25.

21
Il magister militum, generalissimo dell’esercito bizantino, investito del comando
delle truppe d’Occidente, divenne – a partire dal V secolo – un vero e proprio sovrano,
dotato di relativa autonomia e libertà d’azione.
22
Scortecci 1991, p. 423.
23
« In modulo certamente ridotto e appiattito su un solo piano – vista anche la
diversità di rango del destinatario, l’imperatore nell’uno e il magister nell’altro – il
Sant’Angelo ricorda, anche nella singolare distribuzione degli spazi interni, la chiesa
palatina di San Vitale a Ravenna, riconosciuta come edificio adibito alle cerimonie
religiose riservate alla corte ». Ivi, p. 425.
24
Cfr. Bonazzi 1875, pp. 120-137.
25
Fabio Palombaro sostiene addirittura che il tempio di Sant’Angelo « nasce con
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 471

Non deve stupire che l’edificio sorto sul luogo della sepoltura e
della resurrezione di Cristo abbia costituito il prototipo architettonico
per tante chiese paleocristiane costruite in Occidente: il monumento
più importante della cristianità rappresentava la vittoria di Cristo
sulla morte terrena, e quindi una speranza di salvezza e di vita eterna
in suo nome. Si tratta ancora oggi del più grande messaggio della
Chiesa d’Oriente, come spiega molto bene Henry Grégoire in un suo
articolo sulla chiesa bizantina 26:
« Se si vuole andare al nocciolo del cristianesimo orientale bisogna assi-
stere alla celebrazione della liturgia della Pasqua: tutti gli altri riti non sono
che riflessi o simboli di questa liturgia: Le tre parole del troparion, – l’inno
pasquale – ripetute migliaia di volte in toni sempre più trionfanti, ripetute
fino all’estasi e a una traboccante gioia mistica: șĮȞĮIJȦ șĮȞĮIJȠȞ ʌĮIJȘıĮȢ
“con la sua morte egli ha calpestato la morte sotto i suoi piedi”: qui è il
grande messaggio della Chiesa d’Oriente ».

2. Geometria sacra nel tempio


Osservando le sedici colonne che formano il peristilio del tem-
pio di Sant’Angelo, si nota che esse furono sapientemente disposte
dall’architetto medievale, secondo un disegno preciso dall’evidente
significato simbolico. Baldassarre Orsini intuì per primo che la di-
sposizione delle colonne non poteva essere casuale: « L’architetto che
le pose ebbe senno di ordinarle con qualche simmetria », scriveva lo
studioso alla fine del XVIII secolo 27.
Venendo a ricerche più recenti, va segnalato l’intervento di Paolo
Belardi, il cui rilievo architettonico ha evidenziato « la rigorosità geo-
metrica di un impianto che, nonostante la disomogeneità delle singole
componenti, è comunque straordinariamente unitario » 28.

una comparabilità al Santo Sepolcro, addirittura superiore a quella del Santo Stefano
Rotondo di Roma ». Egli peraltro ritiene che la chiesa dedicata all’arcangelo Michele sia
del V secolo e che Perugia già da allora abbia guardato con attenzione a ciò che avve-
niva a Roma e a Gerusalemme, come dimostrerebbe anche la somiglianza del tempio
perugino con il Santo Stefano romano. Secondo lo studioso il Santo Sepolcro di Geru-
salemme sarebbe stato il modello architettonico di riferimento sia per la chiesa di Santo
Stefano Rotondo che per il tempio di Sant’Angelo in Perugia (Palombaro 2007, p. 122).
26
Grégoire 1961, p. 172.
27
Orsini 1792, p. 30.
28
Belardi 2008, p. 131. Il rilievo architettonico del tempio di Sant’Angelo è stato
eseguito, sotto la guida dell’autore, dall’Università degli Studi di Perugia (Sezione In-
terdisciplinare di Disegno e Architettura del Dipartimento di Ingegneria Civile e Am-
472 ANTONELLA BAZZOLI

L’esistenza di un criterio ordinatore dello spazio architettonico


interno è confermata anche dall’interessante contributo di Stefano Bor-
ghini, che tende a dimostrare come i costruttori del tempio abbiano
voluto organizzare gerarchicamente gli elementi di riuso, per differen-
ziare e orientare lo spazio attraverso un criterio di specularità. Tale
criterio, che l’autore chiama anche “logica della coppia”, è evidente
soprattutto nel rigoroso e simmetrico ritmo binato che caratterizza i
sostegni del peristilio 29.
Per percepire al meglio l’aspetto unitario dell’architettura interna
del tempio e per verificare la straordinaria rigorosità geometrica del suo
peristilio, è sufficiente porsi al centro dell’edificio e guardarsi intorno.
Si noterà subito che le sedici colonne di spoglio sono disposte a coppie,
e che le due colonne di ciascuna coppia sono omogenee per materiale e
per dimensioni. Focalizzando l’attenzione sulle otto coppie dei sostegni,
anziché sui singoli elementi di spoglio, si scoprirà inoltre che ciascuna
coppia è tutt’uno con l’arco che la sovrasta. Quasi che l’architetto me-
dievale abbia voluto indicare, tramite l’orientamento e la disposizione a
coppie del colonnato, le otto porte simboliche che si aprono nelle otto
direzioni dello spazio, come in un’immaginaria rosa dei venti.
Si tratta di una tipologia architettonica che nasconde un complesso
simbolismo teologico. Oggi, purtroppo, i significati allegorici presenti
nelle architetture degli edifici sacri dell’antichità sfuggono ai nostri oc-
chi, abituati più che altro a riconoscere e ad apprezzare le qualità este-
tiche e funzionali dei manufatti del passato. Eppure sappiamo che in
età tardo antica e altomedievale i costruttori di chiese si tramandavano
conoscenze simboliche, utilizzate per rappresentare concetti teologici e
cosmologici sotto forma architettonica. Tale consuetudine è particolar-
mente evidente nel tempio perugino, dove la spazialità interna unisce
motivi innovativi ad altri più tradizionali, di età costantiniana e tardo
antica, già sperimentati in Oriente e nei territori d’influenza greca.

bientale), mentre il modello elettronico tridimensionale è stato realizzato da Borghini


e Carlani dell’Università degli Studi di Roma « La Sapienza » (Dipartimento di Storia
dell’Architettura, Restauro e Conservazione dei Beni Architettonici).
29
« I materiali dei fusti sono rigorosamente abbinati all’interno di una logica serrata
(...). La logica della coppia qui si applica su assi di simmetria, che sono i raggi dell’im-
pianto circolare. Tale evidenza (...) esalta chiaramente l’intenzione di sottolineare l’impianto
cruciforme. Tale attenzione per la diversità materica dei marmi, per il rapporto tra i colori
e per il pregio delle singole tipologie delle pietre, richiama un gusto maturo e prettamente
bizantino, confrontabile ad esempio con il tipo di reimpiego della basilica di Sant’Agnese
fuori le mura a Roma, realizzata sotto Onorio I tra il 625 e il 638, forse suggestionata
dalla ricchezza materica della Santa Sofia costantinopolitana ». Borghini 2009, p. 295.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 473

Colpisce in particolar modo la disposizione delle quattro coppie


di colonne, orientate rispettivamente a nord, sud, est e ovest, cioè in
esatta corrispondenza con i bracci della croce greca: si tratta di otto
elementi di reimpiego di colore grigio, che si distinguono nettamente
dai restanti otto del peristilio in marmi policromi, non solo per il
diverso materiale, ma anche per la differente altezza e per un interco-
lumnio leggermente più ampio 30.
Colpisce inoltre che le otto epigrafi, oggetto del presente studio,
siano state incise solo negli abachi dei quattro capitelli corinzi, che
sormontano le due coppie di colonne in granito grigio, poste a nord
e a sud del peristilio anulare. Sembrerebbe che attraverso l’uso degli
spolia, i costruttori del tempio abbiano voluto evidenziare non solo
l’impianto cruciforme, ma anche quello che doveva rappresentare il
braccio principale della croce, ovvero l’asse nord sud, qui individuato
dalle colonne contrassegnate nella Fig. 1 dai numeri 1, 2, 3 e 4.
È possibile che si tratti di una scelta dettata dal caso che le epigrafi
siano state incise soltanto su quattro dei sedici capitelli del peristilio,
e cioè in corrispondenza delle arcate nord e sud? O non è forse più
verosimile che tale scelta abbia voluto indicare quelle che, nella tradi-
zione religiosa ed esoterica antica, erano conosciute come porte solsti-
ziali? « Porta degli dèi » era chiamata quella corrispondente al solstizio
invernale (quando cioè il sole si trova a sud dell’equatore celeste) e
« porta degli uomini » quella corrispondente al solstizio estivo (quando
il sole si trova a nord dell’equatore celeste) 31. Si tratta ovviamente di
due attraversamenti simbolici, che rappresentavano allegoricamente i
luoghi della luce e delle tenebre, della vita e della morte, dell’alpha e
dell’omega.
L’ipotesi che le due arcate, sorrette dalle quattro colonne in gra-
nito grigio recanti iscrizioni, possano aver voluto indicare al cristiano
le vie di accesso alle simboliche porte solstiziali, resta tuttavia non

30
Le coppie di colonne a est, nord e sud sono in granito grigio, quella a ovest è
in marmo proconnesio; le coppie a nordest e a nordovest, a sudest e a sudovest, sono
invece in marmi policromi: nero antico, bigio venato e cipollino. Borghini fa notare
come il ritmo binato del colonnato si ripercuota anche nella disposizione dei capitelli
che «replicano quasi perfettamente la logica della coppia. Capitelli corinzi a foglie
lisce si corrispondono specularmente tra di loro, così come corinzi asiatici (ad acanto
spinoso), corinzi con fiori d’abaco figurati (...). Il criterio di specularità risponde ad
un principio corrente dell’architettura paleocristiana e bizantina, che già caratterizzava
gli impianti costantiniani del San Pietro e della basilica lateranense» (ivi, pp. 295-296).
31
Guénon 1975, pp. 201-206.
474 ANTONELLA BAZZOLI

dimostrabile. Ciò che invece è possibile dimostrare è che le epigrafi


incise sui capitelli del tempio costituiscono sigle cristiane riferibili
al nome di Gesù, il cui simbolismo si ricollega al mistero della sua
resurrezione, rivelando al fedele il salvifico messaggio della vittoria
di Cristo sulla morte terrena.

3. I caratteri materiali e grafici


Osservando attentamente le epigrafi, appare chiaro che il loro in-
cisore doveva conoscere bene il proprio mestiere: la tecnica è accurata
e sembra corrispondere a quella comunemente usata dai lapicidi in età
altomedievale. Gli abachi dei capitelli dovettero sembrare la superfi-
cie più adatta per ospitare le epigrafi. Le incisioni, ottenute con una
punta dura, sono caratterizzate da solchi regolari, a sezione rotonda,
riempiti poi con del colore nero. Secondo l’epigrafista Testini, il nero
e il minio erano i colori più usati per ripassare le epigrafi in età pa-
leocristiana, e solo raramente veniva utilizzato l’oro 32.
L’altezza delle lettere incise varia da 2,1 a 3,5 cm, a seconda dei
rispettivi disegni, mentre la larghezza varia tra 1,2 e 3,7 cm 33. Da un
punto di vista paleografico la qualità delle lettere appare elevata, e i
confronti con altre iscrizioni di età bizantina mostrano che i caratteri
greci del tempio di Sant’Angelo corrispondono a quelli comunemente
utilizzati tra VII e IX secolo 34.
Delle otto iscrizioni, sette sono formate da tre lettere greche
(per questo d’ora in poi le chiameremo anche trigrammi), mentre una
è costituita da un unico carattere, un eta (Ǿ). Un’anomalia, però volu-
ta. In questo capitello il lapicida incise consapevolmente un solo sim-
bolo alfabetico, a differenza che negli altri sette capitelli (cfr. Fig. 5) 35.

32
Testini, 1980, p. 345.
33
Cenciaioli 1977/78, p. 88.
34
Cfr. Fiori 2008, pp. 69-316.
35
Sicuramente, infatti, è da escludere che anche questa lettera in origine abbia fatto
parte di un trigramma, che cioè i due caratteri mancanti siano andati perduti in seguito
al danneggiamento dello spigolo dell’abaco. Infatti, senza dire che lo spazio a sinistra della
lettera è relativamente largo e non lascia intravedere alcun segno, la lesione dell’angolo
dell’abaco è minima: se anche il campo epigrafico in direzione della voluta esterna si fosse
integralmente conservato, esso non sarebbe stato comunque sufficientemente ampio per
ospitare altre due lettere. Gli altri eta in trigramma, inoltre, sono sempre incisi verso lo
spigolo dell’abaco, in posizione opposta al fiore centrale del capitello: se questo avesse
fatto parte di un trigramma, avrebbe occupato il terzo posto, contrariamente a quanto
avviene in tutti gli altri trigrammi, in cui il segno H è sempre in prima posizione.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 475

Sette trigrammi e un monogramma fanno un totale di 22 segni


incisi. Ma le lettere dell’alfabeto greco presenti nelle incisioni sono
soltanto cinque. Le enumeriamo in ordine di frequenza: in tutte le
8 incisioni è presente il carattere eta (Ǿ); in 7 l’omega, sei volte nella
forma Ȧ e una volta nella forma W; in 5 il rho, tre volte nella forma
regolare ȇ e due volte nella forma retroversa ȇ ; una volta, infine,
compaiono lo iota (ǿ) e un apparente lambda (ȁ) che discuteremo
più avanti e intenderemo come un alpha privo di traversa. Ciascuna
delle lettere ha sempre la stessa forma maiuscola; fa eccezione, come
si è visto, l’omega, scritto preferibilmente nella forma minuscola ro-
tonda (Ȧ) e una volta, invece, nella forma diritta (W). Escluso che
la variante si debba all’intervento di una seconda mano, il perché
di essa non è chiaro: pare di capire che la forma ‘intenzionale’ sia
la minuscola rotonda, da cui discenderebbe che quella angolare sia
esito di una scelta di carattere estetico da parte del lapicida. Nota-
bili, infine, i due disegni del rho, ȇ e ȇ , l’unica lettera tra quelle qui
attestate di forma non ‘simmetrica’; fatto utile a corroborare quanto
si dirà subito circa l’andamento delle scritte.
Ognuno dei quattro capitelli porta due iscrizioni, su due lati
distinti dell’abaco; solo in un capitello (quello designato col il n. 4)
i due lati sono contrapposti; negli altri tre, invece, sono contigui
(Fig. 4). Anche la posizione dei singoli caratteri all’interno delle
iscrizioni con tre lettere (sette su otto, si è detto) è significativa:

Fig. 4
476 ANTONELLA BAZZOLI

l’Ȧ (omega), presente in tutti i trigrammi, risulta sempre inciso verso


il centro dell’abaco, cioè in prossimità del fiore centrale del capitello.
In posizione opposta, cioè verso l’angolo dell’abaco, troviamo invece
sempre incisa la lettera H (eta). Ciò lascia intuire che le sigle vadano
lette in senso convergente verso il fiore centrale del capitello: ossia, i
trigrammi posti alla sinistra del lato dell’abaco vanno letti da sinistra
verso destra; da destra verso sinistra, invece, quelli incisi alla destra
dell’abaco. Così si spiegano le due rotazioni della lettera rho ( ȇ ), che
si hanno appunto in trigrammi posti a destra del rispettivo abaco.
Dunque i sette trigrammi mantengono invariate le due lettere
esterne, l’eta (H) in prima posizione e l’omega (Ȧ o W) in terza; la
lettera centrale è in cinque casi il rho (P), in un caso lo iota (ǿ),
in un caso quell’apparente lambda ovvero alpha (ȁ). La primarietà
dell’eta (H) è sancita dall’unica iscrizione monogrammatica, consisten-
te appunto in un H.
Detto questo, come i manuali di epigrafia insegnano, prima di
definire cristiana un’iscrizione occorre dimostrare che il concetto in
essa espresso sia in qualche modo riconducibile al nascente pensiero
teologico dei primi secoli. Vediamo allora di analizzare le singole
iscrizioni, tentando di interpretare il loro contenuto.

4. Tre cristogrammi dal contenuto salvifico


In prossimità dell’attuale ingresso, sopra il capitello n. 2, troviamo
un’iscrizione costituita da un solo simbolo alfabetico. Si tratta di un
H (eta) maiuscolo, inciso sul lato dell’abaco orientato a nord (Fig. 5).
Questa lettera isolata rappresenta a mio avviso un carattere
chiave, un simbolo alfabetico che in un certo senso riassume in sé
il significato di tutte le altre iscrizioni della chiesa paleocristiana.
Considerata sacra già dai primi padri della chiesa, la lettera H (eta)
costituiva uno tra i più antichi monogrammi di Cristo, derivato
dall’abbreviazione per contrazione 36 del nome greco di Gesù IHSOYS 37.

36
È bene precisare che le abbreviazioni in epigrafia possono ottenersi per sospen-
sione (scrivendo solo le prime lettere di una parola e omettendo le rimanenti), oppure
per contrazione (abbreviando una parola attraverso la soppressione di una o più lettere).
Quest’ultima forma, che è peraltro la più ricorrente nel linguaggio epigrafico, è anche
quella più usata, in latino come in greco, per rappresentare i cosiddetti nomina sacra
(Testini 1980, p. 350).
37
« Il nome del Redentore si esprime con sigle di carattere puramente alfabetico
che derivano per abbreviazione e con sospensione da ǿȘıȠȣı e da ȋȡȚıIJȩı » scrive
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 477

Fig. 5a Fig. 5b

È utile precisare che esistono molte varianti di cristogrammi che


fanno riferimento al nome del Salvatore, e che tali simboli possono
presentarsi isolati, come in questo caso, oppure affiancati da altri
caratteri, come nel caso delle lettere escatologiche alpha e omega 38.

L’altra iscrizione sul capitello n. 2 sta sul lato dell’abaco orientato


a ovest (Fig. 6), che era quello immediatamente visibile a chi, entrato
dall’ingresso principale della chiesa (che in origine era a sud ovest),
si fosse diretto verso il vano centrale e verso la cappella orientale con

Fig. 6a Fig. 6b

Margherita Guarducci, elencando vari monogrammi cristologici tra cui quello dello I (iota)
inserito nell’H (eta), sigla che deriva dalle prime due lettere del nome greco di Gesù e
che risulta tra i più antichi monogrammi utilizzati in Oriente (Guarducci 1978, p. 310).
38
Testini 1980, pp. 354-357.
478 ANTONELLA BAZZOLI

funzione di presbiterio. L’iscrizione che vi è incisa parrebbe a prima


vista la più enigmatica e oscura tra le epigrafi del tempio.
Si tratta della sigla +āȁā:, che per la sua posizione nell’abaco va
letta da sinistra verso destra. A differenza di tutti gli altri trigrammi,
qui si hanno due elementi specifici: l’omega di tipo schematico, a
guisa di W, mentre tutti gli altri omega, come si è detto, hanno curve
arrotondate e piuttosto larghe; e i due punti tondi che intervallano
le lettere, posti a metà altezza tra di esse 39.
Il segno centrale del trigramma ha l’aspetto di un triangolo pri-
vo di base e pertanto sembra corrispondere a un lambda maiuscolo
(ȁ). Tuttavia ritengo che possa trattarsi di una variante per la lettera
alpha (ǹ), in questo caso privata della traversa orizzontale. Se la
mia interpretazione non è errata, la sigla si scioglie facilmente come
cristogramma formato da un H (il segno di Cristo) e dalle lettere
apocalittiche alpha e omega. Si tratta anche in questo caso di una
sigla cristiana dal contenuto salvifico.

Spostandoci ad esaminare il capitello n. 4, troviamo sul lato


dell’abaco orientato ad ovest (Fig. 7) la sigla ȦǿǾ. Il trigramma è
formato dalle lettere greche omega, iota 40 ed eta, e va letto da destra

Fig. 7a Fig. 7b

39
I punti tondi tra le lettere sono tra i segni divisori più utilizzati in epigrafia greca.
Da un punto di vista cronologico sembra che il loro uso sia successivo a quello dei
punti triangolari e quadrati (ivi, p. 362); si tratta in ogni caso di segni d’interpunzione
coerenti con l’uso della punteggiatura in età altomedievale.
40
Il segno I è interpretato in maniera diversa da Cenciaioli, la quale ritiene che
« quello che sembrava uno I risulta essere un P non profondamente inciso e con l’oc-
chiello non ripassato da vernice » (Cenciaioli, 1980, p. 88).
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 479

verso sinistra, come suggerisce la sua posizione sull’abaco, con l’Ȧ


verso il centro e l’Ǿ in prossimità della voluta esterna.
Trascurando per un momento l’omega, mi sembra possa trattarsi
anche in questo caso di una variante del noto cristogramma formato
dalle lettere greche I e H, a rappresentare evidentemente le prime
due lettere del nome greco di Gesù: IHSOYS.
L’andamento destrorso della sigla, che invita a leggere +,Ȧ anzi-
ché Ȧ,+, può destare confusione per l’inversione delle lettere iota e
eta. In realtà siamo di fronte a un trigramma caratterizzato da sche-
ma speculare, come nel caso della sigla ȦP + (cfr. Figg. 11 e 12) di
cui parleremo più avanti. Si tratta di uno schema epigrafico, attestato
soprattutto in Oriente e utilizzato anche dai primi cristiani, in cui ciò
che conta non è tanto il senso di lettura delle sigle, quanto piuttosto
la posizione, l’orientamento e la direzione nello spazio dei caratteri
alfabetici (unitamente al loro simbolismo numerico che analizzeremo
nei paragrafi successivi).
La sigla Ȧ,+ rappresenterebbe dunque un cristogramma, la cui
origine si può rintracciare nella tradizione teologica giudaica, secondo
cui il Signore YHWH (ʩʤʥʤ) avrebbe creato attraverso la yod (ʩ) e la he
(ʤ), prime due lettere del suo nome 41. Le due iniziali subirono un
processo di grecizzazione nell’ambiente giudaico cristiano dei primi
secoli, portando alla nascita dell’antico simbolo monogrammato, for-
mato da uno iota intrecciato con un eta, ampiamente utilizzato dai
primi cristiani per siglare il nome del Redentore e destinato succes-
sivamente a grande fortuna in contesto latino 42.
Quanto all’omega (Ȧ), ultima lettera dell’alfabeto greco, ricor-
diamo che esso trova il suo riferimento teologico nell’Apocalisse di

41
Loconsole 2005, p. 19.
42
Dopo il IV secolo, seguendo il processo discendente della lingua greca, l’eta greco
si trasformò in acca latina e il monogramma si latinizzò, portando alla nascita del noto
e diffusissimo trigramma IHS, che tanta fortuna continuò ad avere nel XV secolo e anche
oltre. Il trigramma, da solo o insieme a XPS (anch’esso fatto di lettere greche ‘latinizzate’)
si ritrova in moltissime scritture di ogni tipo e, ad esempio, nell’iconografia del crocefis-
so. Si tratta delle abbreviazioni dei due nomi greci del Messia ǿȘıȠȣı ȋȡȚıIJȩı: il secondo
nome, che significa l’unto, l’eletto, era comunemente indicato attraverso il monogramma
che, secondo la leggenda, Costantino avrebbe inserito sul labaro delle proprie legioni.
Il trigramma IHS, trasformatosi nel XV secolo nel noto simbolo bernardiniano, si trova
ancora oggi inciso su architravi di porte e facciate, dimostrando di aver mantenuto nei
secoli la sua valenza sacra, ma anche simbolica e profilattica. Anche nel borgo medievale
di Porta Sant’Angelo, che prende il nome dal tempio sorto sulla sommità del colle, il
simbolo IHS si trova inciso, con diverse varianti, su alcuni architravi di edifici privati.
480 ANTONELLA BAZZOLI

Giovanni: ਥȖઅ IJઁ ਙȜijĮ țĮ੿ IJઁ ੯, ੒ ʌȡ૵IJȠȢ țĮ੿ ੒ ਩ıȤĮIJȠȢ, ਲ ਕȡȤ੽ țĮ੿ IJઁ


IJȑȜȠȢ, « io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la
fine » (Ap 22, 13) 43.
Sappiamo che per i primi cristiani l’omega rappresentava un sim-
bolo di superamento della morte, poiché indicava il passaggio dalla
fine della vita terrena all’inizio di una nuova vita eterna in Cristo. Non
a caso, in alcuni graffiti e iscrizioni dei primi secoli, l’omega si trova
spesso invertito con l’alpha 44, se non addirittura privato di essa 45. Ciò
è particolarmente vero nel caso di epigrafi funerarie, dove il simbolo
va interpretato nel senso di rinascita dopo la morte, come spiega molto
bene la Guarducci: « la formula alpha omega che nell’Apocalisse gio-
vannea esprime Dio (o Cristo) signore dell’Universo, diviene, invertita
e applicata al cristiano, simbolo del passaggio dalla fine (morte) al
principio, cioè alla vita eterna che può anche identificarsi con Cristo » 46.
Si scioglie in tal senso, a mio avviso, la presenza dell’omega in
tutti i trigrammi del tempio: come lettera apocalittica il segno voleva
indicare un attributo del Redentore, ma da un punto di vista sim-
bolico essa rappresentava, per il cristiano, il messaggio escatologico
e salvifico della vittoria di Cristo sulla morte terrena.

5. Un trigramma a schema speculare, ripetuto cinque volte


Resta da interpretare un ultimo trigramma, che è peraltro il più
ricorrente tra le iscrizioni del tempio. Si tratta della sigla ǾȇȦ che

43
Mi sembra importante evidenziare che a pronunciare la formula alpha – omega
nel Libro dell’Apocalisse, sia un Angelo mandato da Dio. Dopo essersi presentato come
« Colui che viene per rendere a ciascuno secondo le proprie opere » (Ap 22, 12), l’An-
gelo conclude: « beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita
e potranno entrare per le porte nella città » (Ap 22, 14). Le porte di cui parla l’Angelo
sono quelle della Gerusalemme Celeste e non è un caso, a mio avviso, che le iscrizioni
si trovino proprio in una chiesa dedicata al Sant’Angelo. Allo stesso modo non credo sia
casuale che le epigrafi si trovino in corrispondenza delle arcate sud e nord che, come
abbiamo visto, nella tradizione esoterica antica rappresentavano porte simboliche, legate
al passaggio dalla vita terrena a quella celeste.
44
Un confronto epigrafico utile è dato dalla lapide sepolcrale del III o IV secolo,
conservata nel Museo Bizantino di Atene (cfr. Guarducci 1978, pp. 319-321).
45
Un esempio in tal senso potrebbe essere dato dall’iscrizione dedicatoria latina,
proveniente dalla chiesa di San Pietro in Spoleto e datata al V secolo, che si chiude
con una croce monogrammata seguita da un omega privato di alpha. Chi ha studiato
l’iscrizione ritiene tuttavia che nella parte iniziale del testo, purtroppo andata perduta,
possa essere stato presente un alpha iniziale (cfr. Binazzi 1989, p. 95).
46
Cfr. Guarducci 1978, p. 311 e p. 321.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 481

si legge da sinistra a destra su entrambi i lati est e nord del capitello


n. 1 (Figg. 8 e 9) e sul lato est del capitello n. 4 (Fig. 10); da destra
verso sinistra, invece, data la posizione, sia sul lato est che sul lato
nord del capitello n. 3 (Figg. 11 e 12). In queste due ultime iscri-
zioni, la lettura sinistrorsa è confermata dalla rotazione della centrale
lettera P (rho): ȦP Ǿ. In tutte e cinque le sigle, insomma, il caratte-
re H è inciso in prossimità della voluta esterna, il carattere Ȧ è posi-
zionato verso il fiore centrale, la lettera P è al centro. Trascurando la
distanza che separa la colonna n. 1 dalla n. 3, appare evidente che si
tratta di un solo trigramma, ripetuto con il medesimo orientamento
est e nord e caratterizzato dal seguente schema di tipo speculare:
ǾȇȦ   ȦP Ǿ

Fig. 8a Fig. 8b

Fig. 9a Fig. 9b
482 ANTONELLA BAZZOLI

Fig. 10a Fig. 10b

Fig. 11a Fig. 11b

Fig. 12a Fig. 12b


LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 483

L’architetto del tempio perugino e il lapicida che con lui collabo-


rò, dovevano conoscere bene il valore simbolico di un simile schema
speculare, pluridirezionale e convergente. Esso era usato per ripro-
durre simmetricamente frasi o parole che di solito venivano espresse,
sotto forma di abbreviazioni, tramite simboli alfabetici. Quest’uso
è documentato in epigrafia da numerose iscrizioni cristiane, prove-
nienti soprattutto dalle regioni dell’Oriente. Ne proponiamo un’esem-
plificazione, che si giova soprattutto del vasto repertorio di lucerne
bizantine studiate dall’epigrafista Stanislao Loffreda.
Tra le tante lucerne fittili cristiane di area palestinese e in particolare
tra quelle provenienti dagli scavi di Cafarnao, databili intorno al VII seco-
lo, alcune presentano scritte caratterizzate da un segno centrale (che può
essere omega o iota) verso cui convergono altri segni, posti in maniera
simmetrica a destra e a sinistra di esso. Non si tratta di marchi di fabbrica,
né tantomeno di segni puramente decorativi, ma piuttosto di abbreviazioni
dall’evidente contenuto cristiano criptato 47.
Alcune di queste lucerne presentano trigrammi a schema speculare,
interpretati dagli epigrafisti come invocazioni al nome sacro di Gesù, in
senso salvifico e profilattico. È il caso di un lychnarion proveniente da
Gerusalemme, che mostra due trigrammi identici, bidirezionali e conver-
genti, costituiti da due omega e due iota che procedono simmetricamente
da destra a sinistra e da sinistra a destra, verso un segno centrale comune
di difficile interpretazione 48.
A schema speculare troviamo anche un’iscrizione caratterizzata da due
trigrammi convergenti. Sulla lucernetta si legge da destra a sinistra: kappa
alpha omega (ȀAȦ) e, specularmente: omega alpha kappa (ȦA Ȁ). Si noti che
la consonante kappa è rovesciata nel trigramma speculare, proprio come
accade per il rho centrale inciso sul capitello n. 3 del tempio perugino.
L’iscrizione di Gerusalemme è stata interpretata come Kurios alpha omega,
cioè come invocazione al Signore, principio e fine 49.
Troviamo ancora, nel vasto repertorio di lucerne bizantine studiate
dall’epigrafista Loffreda, un lychnarion proveniente da Gerusalemme, data-
bile al V secolo 50. Vi si distinguono due trigrammi, sovrapposti a forma di
croce, la cui esecuzione nitida permette di leggere in senso orizzontale phi
omega sigma (ijȦı), ossia ‘luce’, e in senso verticale zeta omega eta (ȗȦȘ),
ovvero ‘vita’ 51. La disposizione a croce delle due parole, con l’omega centrale

47
Loffreda 2003, pp. 147-153.
48
Id., 1994, pp. 604-607.
49
Id., 1994, pp. 323-324.
50
Id., 1992, pp. 313-314.
51
Il riferimento teologico si trova nel prologo del vangelo di Giovanni: « In lui
484 ANTONELLA BAZZOLI

in comune, rappresenta una sigla cristiana piuttosto diffusa, documentata


tra l’altro in Siria, nella regione di Apamea, dove essa doveva rivestire un
evidente valore salutare e profilattico, essendo stata incisa sull’architrave
della porta di un’antica fortezza, intrecciata con il nome del costruttore
– un certo Thomàs – accanto alla data del 559 52.

II
Lettere, numeri, simboli

6. Sigle salutari e numerologia


Prima di procedere con l’analisi delle iscrizioni del tempio, è
bene aprire una parentesi circa la valenza salutare e profilattica che
sigle, monogrammi, acrostici, simboli e acclamazioni rivestirono in
epigrafia, soprattutto in ambito funerario e dedicatorio.
La potenza da sempre attribuita all’alfabeto, le cui lettere erano
ritenute capaci di allontanare il male e di propiziare il bene 53, non
venne meno con il diffondersi del cristianesimo e continuò anzi a
sopravvivere nell’immaginario collettivo, manifestandosi attraverso
l’uso di segni e sigle dalla valenza salvifica, espressi sotto forma di
caratteri alfabetici.
Accanto a un utilizzo di tipo magico e apotropaico, vòlto cioè a
tenere lontani dai cimiteri profanatori di tombe e demoni maligni,
tali sigle furono usate dai primi cristiani anche per rappresentare
misteri e concetti teologici del proprio credo di appartenenza.
È il caso ad esempio del noto acrostico ǿȋĬȊ& 54 e del dibattuto
trigramma ;0ī 55, due sigle attestate in epigrafia sia in Oriente che
in Occidente.

era vita e la vita era la luce degli uomini » (Gv 1,4). Il concetto è ripetuto in un passo
successivo: « Di nuovo Gesù parlò loro: - Io sono la luce del mondo, chi segue me non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita - » (Gv 8,12). Luce e vita erano
dunque due attributi di Gesù.
52
Guarducci 1978, p. 439.
53
Ivi, p. 283.
54
L’acrostico, di provenienza siro-anatolica, è formato dalle iniziali del termine
greco ǿȋĬȊ&, che significa pesce, e che corrisponde alle iniziali della frase: « ૅǿȘıȠઁȢ
ȋȡȚıIJઁȢ ĬİȠ૨ ȣੂઁȢ ȈȦIJȒȡ », ovvero « Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore ». Con molta
probabilità la sigla diede origine alla mistica immagine di Cristo raffigurato come pesce
(Guarducci 1978, pp. 489-490).
55
Testini 1980, p. 149 e pp. 359-361.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 485

Il trigramma ;0ī, in particolare, rappresenta una sigla dal carattere


augurale e profilattico di provenienza orientale, che ebbe successo anche tra
i cristiani d’Occidente e che è documentata sia da testi funerari che dedi-
catori. C’è chi ha sostenuto che la sigla rappresenti un’invocazione a Cristo
(ȋ) e ai due arcangeli Michele (Ȃ) e Gabriele (ī); ma altri studiosi hanno
preferito sciogliere il significato del trigramma in chiave cristologica, come
allusione al dogma di Cristo unigenito, nato da Maria: ȋ(ȡȚıIJȩQ) Ȃ(ĮȡȚĮ)
ī(İȞȞĮ) 56. Si tratterebbe dunque di un’abbreviazione per « Maria genera
Cristo », usata per annunciare la vera natura umana di Gesù, generato da
Maria. Una lettura, questa, che ben si colloca nel clima dei primi secoli
del cristianesimo, caratterizzato da dispute teologiche sulla vera natura del
Cristo: alludendo alla nascita di Cristo da Maria, la sigla sarebbe servita
a dimostrare ai monofisiti la duplice natura umana e divina del Salvatore.
Rinvenuto anche nei sotterranei del battistero lateranense e databile al IV
secolo, oltre che a Mesembria nell’attuale Bulgaria e a Mir’âyé in Siria, il
trigramma ;0ī 57 si trova spesso nelle epigrafi accanto all’acrostico ǿȋĬȊ&,
nell’intento ancor più evidente di associare la natura umana di Cristo, figlio
di Maria, a quella divina come figlio di Dio. Anche a Edessa, in un testo del
V-VI secolo, il trigramma ;0ī è attestato accanto all’acrostico ǿȋĬȊ& e alle
lettere alpha e omega. La presenza delle lettere escatologiche non farebbe
che accentuare ulteriormente il significato dell’iscrizione, rivelando che Cri-
sto è al tempo stesso figlio di Maria e di Dio, Salvatore, principio e fine 58.

Un altro esempio di utilizzo dell’alfabeto a scopo magico e sal-


vifico è documentato da un testo gnostico, scritto in lingua copta
e conosciuto come Vangelo degli Egiziani. Qui il nome segreto
e ineffabile di Gesù è rivelato, in forma ermetica, attraverso un
« mistero nascosto e invisibile » costituito dalle sette vocali greche
LȘȠȣİĮȦ 59. Il documento, che risale al II o III secolo, è particolar-
mente interessante poiché rappresenterebbe una rielaborazione in
senso cristiano di un testo gnostico preesistente, il cui tema fonda-
mentale è la salvezza 60.

56
Guarducci 1978, pp. 549-551.
57
Al trigramma ȋȂī è stato attribuito anche un significato psefico, basandosi
sul valore numerico delle lettere greche che lo costituiscono. Esso corrisponderebbe
a 643 e troverebbe un’equivalenza con la frase ĮȖȚȠı ȩ Ĭİȩı, il cui valore isopsefico
è appunto 643.
58
Ivi, p. 311.
59
Ciascuna delle 7 vocali dell’alfabeto greco è ripetuta nel testo 22 volte, tante
quante sono le consonanti dell’alfabeto ebraico. Gli studiosi Böhlig e Wisse hanno pro-
posto la lettura: « ߻ǿȘȠȣ İıIJȚȞ ਙȜijĮ țĮ੿ IJઁ ੯ » ovvero « Gesù è l’alfa e l’omega » (v. Moraldi
2008, p. 282).
60
Ivi, p. 275.
486 ANTONELLA BAZZOLI

In età paleocristiana, la consuetudine di utilizzare i simboli


alfabetici a scopo salutare e salvifico, continuò ad essere caratteriz-
zata da quella tendenza verso il mistero e l’arcano già appartenuta
al mondo pagano 61. Ecco perché molte sigle rinvenute in contesti
cristiani appaiono oscure e artificiose; ciò nonostante è possibile
comprenderle conoscendo quelle scienze, quei saperi specialistici che
si fondavano specialmente sul rapporto tra lettere e numeri.
Tali sono la psefia e l’isopsefia. La psefia consiste in questo: a
ciascuna delle 24 lettere dell’alfabeto greco corrispondeva un nume-
ro 62, in modo tale che l’alfabeto, oltre che per comporre fonemi,
poteva essere usato per esprimere quantità numeriche; saper leg-
gere il simbolismo di questi numeri significava comprendere verità
rivelate. L’isopsefia è una conseguenza, un corollario della psefia:
sommando i valori numerici di una sigla a più lettere, si otteneva il
numero simbolico a essa associato; altre parole con lo stesso valore
numerico avevano lo stesso significato 63. Analoga all’isopsefia è poi
la gematria, che è di derivazione ebraica (essa è utilizzata anche
nella Qabbalah), un metodo di calcolo che consente di stabilire
un’equivalenza tra più parole o frasi, associando loro uno stesso
numero, ottenuto dalla somma dei valori numerici di ogni singola
lettera che le compone.
Si tratta di ambiti della numerologia che oggi possono far sor-
ridere, apparendo inutili elucubrazioni sul significato simbolico dei
numeri. Eppure sappiamo che quelle consuetudini, già attestate in
età ellenistica, furono ampiamente utilizzate anche dai Giudei e dai
cristiani d’Oriente, così come dagli stessi padri della chiesa, primo
fra tutti Agostino d’Ippona, che spesso ricorsero in esegesi al sim-
bolismo numerico 64.

61
Guarducci 1978, pp. 310-315.
62
I valori numerici corrispondenti alle lettere dell’alfabeto greco sono i se-
guenti: Į = 1 ȕ = 2 Ȗ = 3 į = 4 İ = 5 ȗ = 7 Ș = 8 ș = 9 Ț = 10 ț = 20 Ȝ = 30 ȝ = 40 Ȟ = 50
ȟ = 60 Ƞ = 70 ʌ = 80 ȡ = 100 ı = 200 IJ = 300 ȣ = 400 ij = 500 Ȥ = 600 ȥ = 700 Ȧ = 800.
Le lettere digamma, qoppa e sampi, corrispondenti ai valori 6, 90 e 900, scomparvero
con l’assunzione dell’alfabeto ionico.
63
Il gusto per l’isopsefia nel mondo greco di età imperiale è ben documentato
da un’epigrafe rinvenuta a Philai, in Egitto, sopra una parete del tempio di Iside poi
trasformato in luogo cristiano. L’iscrizione di tarda età imperiale recitava: ȚȢ ȥȘijȠȢ ࢡİȠȢ
ĮȖȚȠȢ ĮȖĮࢡȠȢ ıʌį, ovvero: « Un solo numero: dio santo buono 284 ». Sommando i va-
lori psefici delle tre parole ࢡİȠȢ ĮȖȚȠȢ ĮȖĮࢡȠȢ il risultato è infatti sempre lo stesso: 284
(Guarducci 1978, p. 469).
64
Farinella 2004, pp. 145-147.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 487

La psefia e l’isopsefia (nonché la gematria), si è detto, consisteva-


no nell’attribuire un valore numerico a ciascuna lettera dell’alfabeto
e, rispettivamente, a più lettere formanti una parola o una sigla.
I numeri così ottenuti celavano messaggi criptati il cui significato era
comprensibile solo a pochi iniziati, quali potevano essere i membri
di gruppi gnostici, o comunque comunità appartenenti a minoranze,
dotate di conoscenze numerologiche e teologiche specifiche.

7. Dies octavus
Il simbolismo che si cela nelle iscrizioni del tempio di Sant’An-
gelo è davvero sorprendente. Secondo la psefia è otto (8) il valore
numerico corrispondente alla lettera eta 65. Si tratta indubbiamente di
un numero sacro che ricorre spesso in senso messianico nel Vecchio
Testamento 66, ma che solo con l’avvento del cristianesimo acquisisce
il significato di una nuova prospettiva di salvezza. Secondo Paolo
Farinella l’ottavo giorno, il primo che segue il sabato ebraico, rap-
presenterebbe « quasi uno stendardo che distingue ormai i giudeo-
cristiani dagli Ebrei e dai pagani e conferisce loro una nuova identi-
tà » 67. Per gli Ebrei, infatti, il settimo e ultimo giorno della settimana
è il sabato che, come si legge nel libro della Genesi, Dio benedisse e
consacrò, poiché fu nel settimo giorno che il Signore portò a termine
il creato e cessò il suo lavoro (Gen 2, 1-4).
Il dies octavus, corrispondente alla domenica cristiana, è nel Nuo-
vo Testamento il giorno della resurrezione di Cristo 68. Ottenuto dalla

65
Già nell’antica numerazione greca precristiana la lettera eta con apice in alto a
destra simboleggiava il numero 8, mentre con apice in basso a sinistra rappresentava
il numero 8000.
66
Il numero 8 nel Vecchio Testamento ritorna varie volte, sempre collegato a
concetti di consacrazione o di attesa messianica: Davide è l’ottavo figlio di Jesse; la
purificazione del Tempio avviene all’ottavo giorno, dura otto giorni e termina al sedi-
cesimo; la circoncisione ordinata da Dio ad Abramo è prescritta per gli Ebrei all’ottavo
giorno dalla nascita.
67
Farinella 2004, p. 148. Il tema complessivo è trattato dall’autore alle pp. 121-179.
68
Al primo giorno dopo il sabato, come giorno in cui Cristo resuscitò, fa riferimen-
to l’evangelista Luca: « Nel primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono
al sepolcro portando con sé gli aromi che avevano preparato » (Lc 24, 1). Troviamo il
simbolismo del numero 8 anche in un altro passo di Luca, particolarmente significati-
vo, a mio avviso, poiché si lega alla figura dell’Angelo che diede nome Gesù al figlio
di Maria: « Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione gli fu
messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel
grembo della madre » (Lc 2, 21).
488 ANTONELLA BAZZOLI

somma di 1 + 7, il numero 8 divenne quindi simbolo di superamento


e distinzione rispetto al numero 7 della cultura giudaica. L’ottavo
giorno, simboleggiando una promessa di vita eterna oltre la morte,
finì per rappresentare un nuovo inizio oltre la fine, un alpha che,
anziché precedere, segue l’omega finale.
Tale simbolismo di rinascita e salvezza fa comprendere meglio il
significato che la lettera eta e il suo corrispondente valore numerico
8, potevano rivestire per i primi cristiani. Non è un caso, ad esem-
pio, che la tradizionale pianta dei battisteri sia ottagonale. La valenza
salvifica attribuita dai primi cristiani al giorno ottavo si chiarisce
soprattutto alla luce della lettera che Agostino scrisse, all’inizio del
V secolo, in risposta ai quesiti di Gennaro:

« Dies tamen dominicus non Iudaeis, sed Christianis resurrectione Do-


mini declaratus est, et ex illo habere coepit festivitatem suam. (...) Talem
quippe actionem significat dies octavus, qui et primus, quia non aufert
illam requiem, sed glorificat. (...) Quapropter ante resurrectionem Domini,
quamvis sanctos patres plenos prophetico spiritu octavi sacramentum
nequaquam lateret, quo significatur resurrectio (nam et pro octavo psal-
mus inscribitur, et octavo die circumcidebantur infantes, et in Ecclesiaste
ad duorum Testamentorum significationem dicitur: Da illis septem, et illis
octo); reservatum est tamen et occultatum, et solum celebrandum sabbatum
traditum est: quia erat antea requies mortuorum; resurrectio autem nullius
erat, qui resurgens ex mortuis, iam non moreretur, et mors illi ultra non
dominaretur; ut postquam facta est talis resurrectio in corpore Domini
(...), iam etiam dies dominicus, id est octavus, qui et primus, inciperet
celebrari » 69.

69
Aurelius Augustinus Hipponensis, Epistolae, LV, 13 (ed Alimonti-Carrozzi 1992).
Traduzione in nota dal sito www.augustinus.it « La domenica invece è stata indicata
chiaramente come giorno sacro non per i Giudei, ma per i Cristiani per causa della
risurrezione del Signore e da allora si cominciò a celebrarla come giorno di festa. (...)
Di questa attività è simbolo l’ottavo giorno, ch’è pure il primo, poiché la risurrezione
non elimina, ma glorifica il riposo (... ) Prima della risurrezione del Signore ai santi
patriarchi pieni di spirito profetico non era certo nascosta l’allegoria dell’ottavo giorno
con cui viene significata la risurrezione; infatti qualche salmo è intitolato “per l’ottava” e
i bambini venivano circoncisi l’ottavo giorno dopo la nascita, e nell’Ecclesiaste, per sim-
boleggiare i due Testamenti, si dice: Da’ loro sette parti e a quelli otto. Tale significato
simbolico però rimane riservato e segreto e fu insegnato solo che si doveva celebrare
il sabato. Infatti i morti godevano già il riposo ma non v’era ancora la risurrezione di
nessuno fino a quando venisse chi risorgendo dai morti ormai non morisse mai più e
la morte non dominasse più su di lui. Solo dopo avvenuta la risurrezione del corpo del
Signore (...) si sarebbe cominciato a celebrare ormai la Domenica, ossia l’ottavo giorno,
che è pure il primo ».
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 489

Un simbolismo, quello dell’ottavo giorno, che spiega a mio avviso


la ricorrente presenza della lettera H (eta) e del corrispettivo numero
8 all’interno del tempio di Sant’Angelo. Non solo: sette volte in tri-
gramma e una volta da solo, gli eta di Perugia sembrano ripetere la
genesi dell’8 sacro: il numero 7 della cultura giudaica più 1, l’ottavo
giorno.
Otto sono le coppie di colonne, speculari tra loro e disposte ad
anello a sostenere il tamburo. Otto sono anche le colonne in granito
grigio, che individuano i due bracci ortogonali della croce, in corri-
spondenza delle aperture centrali dei quattro vani periferici. E otto
sono pure le iscrizioni del tempio, due per ciascuno dei quattro ca-
pitelli incisi, disposte su otto diversi lati degli abachi, con un preciso
orientamento di cui oggi sfugge il significato, ma che doveva essere
legato alla liturgia praticata nel tempio.

8. Una chiesa con funzione cimiteriale


La presenza simbolica di questo numero chiave si chiarisce ulte-
riormente se si considera la vocazione di tipo cimiteriale del sito in
cui sorge il tempio circolare. Nell’area limitrofa a Porta Sant’Angelo,
corrispondente alla zona extraurbana che si estende a nord di Peru-
gia, è attestata fin dall’età arcaica una necropoli etrusca 70. Tale de-
stinazione d’uso di tipo sepolcrale si mantenne verosimilmente anche
in età tardoantica e altomedievale. Lo stesso tempio di Sant’Angelo
potrebbe essere sorto con funzione cimiteriale, come sembra confer-
mare la presenza delle tre cappelle con ingressi autonomi (che ben
si adatterebbero a un uso sepolcrale) e la presenza di varie sepolture
tardomedievali, ancora visibili nelle zone sud e ovest dell’ambulacro.
Anche le processioni e le liturgie per la salvezza delle anime del
purgatorio, che sappiamo essersi svolte in questa chiesa durante l’età
moderna, contribuiscono a confermare la continuità in una destina-
zione d’uso di tipo cimiteriale attraverso i secoli. Altrettanto coerente
con la funzione sepolcrale del tempio mi sembra la notizia, riferita
dall’Orsini 71, secondo cui, nel XVIII secolo, fu qui trasportato dalla
cattedrale un grande quadro a tempera raffigurante Dio che comanda

70
Risale agli inizi del secolo scorso il ritrovamento dell’importante necropoli etrusca
detta « dello Sperandio », documentata come sepolcreto almeno fino all’età romana.
71
Orsini 1792, p. 70.
490 ANTONELLA BAZZOLI

al profeta Ezechiele di gridare alle ossa sepolte, affinché ascoltino la


parola divina (Ez 37, 1-14).
La stessa intitolazione della chiesa, infine, contribuirebbe a spie-
gare, sempre a parere di chi scrive, il simbolismo di tipo salvifico
che caratterizza l’architettura del tempio: chi, meglio dell’arcangelo
Michele – l’intermediario tra Dio e gli uomini – poteva accompa-
gnare il cristiano nel passaggio dalla morte terrena alla vita eterna
in Cristo? Chi, meglio dell’angelo psicopompo 72, poteva essere la
figura più indicata ad assistere e custodire i corpi e le anime dei
defunti?
Michele rivestiva anche altri ruoli, accanto a quello di accompa-
gnatore delle anime: praepositus paradisi, arconte dei cieli, mediatore
celeste, pesatore delle anime 73, custode dei corpi fino al giorno del
giudizio. Si tratta di prerogative che gli derivano soprattutto dalla
tradizione apocrifa del Vecchio Testamento, in particolare dall’Apoca-
lisse di Mosé 74, nel cui testo si legge che Michele avrebbe trasportato
il corpo di Adamo in paradiso, dopo la sua morte, per lasciarvelo in
attesa del giudizio finale 75. Dallo stesso testo apocrifo deriva anche
la tradizione secondo cui Michele avrebbe impartito agli uomini le
regole riguardanti gli onori funebri e la durata del lutto 76.

72
La funzione di psicopompo, colui che accompagna le anime nell’aldilà, deriva
all’arcangelo principalmente da alcuni manoscritti apocrifi, ma si può ricavare, seppure
indirettamente, anche dal vangelo canonico. Nella parabola del ricco epulone e del
povero Lazzaro si legge infatti: « Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel
seno di Abramo » (Lc 26, 22).
73
Il ruolo di Michele come pesatore delle anime è di origine copta. Presso i mono-
fisiti di Egitto l’arcangelo Michele avrebbe fatto proprie alcune caratteristiche dell’antico
dio egizio Toth, raffigurato nel Libro dei Morti nella cerimonia della psicostasia (pe-
satura delle anime), mentre con la mano velata in segno di rispetto regge la bilancia.
L’attributo della bilancia ritorna, pressoché identico, anche nella diffusissima iconografia
medievale e rinascimentale dell’arcangelo Michele che pesa le anime dei defunti.
74
Il testo narra la storia di Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso e fino
alla loro morte. L’edizione dell’Apocalisse di Mosè a cura di Sacchi, parte integrante
dell’opera citata nell’indice, fa riferimento all’editio princeps del Tischendorf (Apocalypses
Apocrypae, Lipsia, 1866) integrata con il manoscritto dell’Ambrosiana nell’edizione pub-
blicata dal Ceriani (Monumenta sacra et profana, Milano, 1868, pp. 19-24).
75
« (...) il Signore dell’Universo dal santo trono su cui era seduto stese le mani in
questo modo e sollevò Adamo per consegnarlo all’arcangelo Michele con queste parole:
- Portalo su nel paradiso fino al terzo cielo e lasciavelo fino a quel giorno grande e
terribile che riservo al mondo -. Allora Michele sollevò Adamo e lo lasciò dove Dio gli
aveva detto ». (Sacchi 2002, p. 603).
76
« Dopo tutto ciò l’arcangelo chiese riguardo agli onori funebri da rendere al ca-
davere; e Dio ordinò che tutti gli angeli si radunassero davanti a lui, ciascuno secondo
il suo grado (...) E allora parlò all’arcangelo Michele: - Va’ in paradiso e portami tre
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 491

Il suo ruolo di archistratega e principe degli angeli, gli deriva


invece dalle Sacre Scritture: dal Vecchio Testamento, dove Michele
è il condottiero dell’esercito celeste e il custode del popolo d’Israele
(Dn 10, 10-21; 12, 1-4); e dal Nuovo Testamento, dove l’arcangelo,
in veste di combattente, sconfigge il demonio sotto forma di drago
(Ap 12, 7-9). È facile immaginare come tali prerogative possano aver
facilitato la diffusione del culto micaelico negli ambienti gerarchici e
militari dell’Impero d’Oriente. Eppure non furono soltanto i soldati
dell’esercito bizantino a invocare come loro protettore l’arcangelo
guerriero; anche l’esercito nemico dei Longobardi prese a venerarlo
come capo supremo in battaglia, tanto che alcuni re longobardi arri-
varono ad attribuire le proprie vittorie sui Bizantini al suo intervento
miracoloso 77.
Se a tutto ciò si aggiunge la fama di Michele come angelo tau-
maturgo 78 si capisce perché il suo culto, così flessibile, poliedrico e
cangiante, si sia diffuso tanto rapidamente e capillarmente, prima
nelle regioni dell’Oriente e poi in quelle dell’Occidente cristiano 79.

9. Il valore simbolico del numero 17

Tornando al simbolismo numerico delle iscrizioni perugine, e


procedendo come si fa in gematria – continuando cioè a sommare i
valori numerici corrispondenti alle singole lettere che compongono

lenzuoli di lino di Siria -. E Dio disse a Michele, Gabriele, Uriele e Raffaele: - Stendete
i lenzuoli sul corpo di Adamo, portate l’olio profumato e versatevelo sopra -. E così
facendo resero al cadavere gli onori funebri (...) L’arcangelo Michele disse a Seth:
- Così onorerai chiunque muore fino al giorno della resurrezione -. Dopo aver dato
questa disposizione continuò: - Non osservate il lutto per più di sei giorni. Nel settimo
giorno sospendetelo e gioite, perché in esso gioisce Dio e gioiamo noi angeli insieme
con l’anima giusta che ha lasciato la terra - ». (Ivi, pp. 603-608).
77
Fu Grimoaldo I, duca di Benevento e poi re dei Longobardi, ad attribuire per
primo la sua vittoria dell’8 maggio 650 sull’esercito bizantino, al miracoloso intervento
di Michele. L’immagine dell’arcangelo fu poi coniata su alcune monete longobarde da
re Cuniperto, al posto di quella della Vittoria.
78
Il ruolo di angelo guaritore sembra derivargli, seppure indirettamente, dal passo
del vangelo in cui si narra che a Gerusalemme, presso la Porta delle Pecore dove si
radunavano ciechi e paralitici, « un angelo in certi momenti discendeva nella piscina
e agitava l’acqua, il primo a entrarvi guariva da qualsiasi malattia fosse affetto ».
(Gv 5, 1-4).
79
Per maggiori approfondimenti sulla diffusione del culto micaelico in Italia, si
veda il contributo di Mario Sensi sui santuari dell’Italia centrale intitolati all’arcangelo
(v. Sensi 2007, pp. 241-280).
492 ANTONELLA BAZZOLI

ciascuna sigla – si scopre un’ulteriore coincidenza che può forse


lasciare perplesso il lettore, ma che merita comunque di non essere
trascurata: per ciascun trigramma del tempio, il risultato ultimo delle
somme ottenute è sempre pari a 17.
Cominciamo dalla sigla Ȧ,+: sommando i valori numerici delle
lettere che formano il trigramma (800 + 10 + 8), abbiamo come ri-
sultato 818. Considerando ora le tre singole cifre che compongono
questo numero, e sommandole a loro volta (8 + 1 + 8), otteniamo il
numero 17.
Facciamo lo stesso con il trigramma +3Ȧ: dalla somma di
8 + 100 + 800 ricaviamo il numero 908. Sommando le singole cifre
che formano 908, cioè 9 + 0 + 8, ecco nuovamente il numero 17. Lo
stesso risultato si ottiene ovviamente con la sigla speculare Ȧȇ Ǿ.
Prendiamo infine in considerazione la sigla +āȁā:, il cui valore
psefico (secondo la lettura epigrafica data in precedenza, intendendo
cioè ȁ come alpha) è pari a 8 + 1 + 800, cioè 809. Dalla somma delle
tre singole cifre che formano questo numero (8 + 0 + 9), otteniamo
ancora una volta il numero 17.
È davvero difficile vedere in tutto ciò una serie di fortuite coin-
cidenze. Se poi proseguiamo a sommare le singole cifre che compon-
gono il 17, cioè l’1 ed il 7, ecco riapparire il numero 8, con tutto
il suo simbolismo cristologico analizzato in precedenza, a proposito
dell’ottavo giorno e del suo significato di tipo liturgico e salvifico.
La valenza simbolica del 17 si lega peraltro a quella del numero
153, che nel vangelo di Giovanni troviamo nell’episodio in cui Gesù,
dopo la sua resurrezione, apparve ai discepoli sul lago di Tiberiade,
riempendo miracolosamente le reti di centocinquantatré grossi pesci
(Gv 21, 6-11) 80.
Nella lettera in cui Agostino d’Ippona risponde ai quesiti di
Gennaro intorno al 400 d.C., il significato dei numeri 153 e 17 si
chiarisce come metafora di una nuova vita oltre la morte:
« Propterea quinquagenarius numerus ter multiplicatus, addito ad
eminentiam sacramenti ipso ternario, et in illis magnis piscibus invenitur,
quos iam Dominus post resurrectionem novam vitam demonstrans,
onstrans, a dex-
tera parte levari imperavit; nec retia rupta sunt, quia tunc haereticorum

80
Il numero dei 153 pesci che Gesù fece trovare ai suoi apostoli nelle reti, rap-
presenterebbe allegoricamente il numero di quanti saranno salvati da Cristo, nel giorno
del giudizio finale.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 493

inquietudo non erit. Tunc homo perfectus et quietus, purgatus in animo


et in corpore per eloquia Domini casta, argentum igne examinatum terrae,
purgatum septuplum, accipiet mercedem denarium, ut sint decem et sep-
tem. Nam et in hoc numero sicut in aliis multiplices figuras exhibentibus,
sacramentum mirabile reperitur. Nec immerito etiam psalmus septimus
decimus in Regnorum libris solus integer legitur; quia regnum illud signi-
ficat, ubi adversarium non habebimus. (...) Nam et ipse numerus septimus
decimus surgens in trigonum, centum quinquaginta trium summam complet.
Ab uno quippe usque ad decem et septem surgens, omnes medios adde,
et invenies: ad unum scilicet adde duo, fiunt utique tria; adde tria, fiunt
sex; adde quatuor, fiunt decem; adde quinque, fiunt quindecim; adde sex,
fiunt viginti unum; adde ita caeteros, et ipsum decimum septimum, fiunt
centum quinquaginta tria » 81.

Si può dunque ipotizzare che tutte e otto le epigrafi del tempio


di Perugia siano riconducibili allo stesso numero sacro: il simbo-
lico numero 8, ottenuto dalla somma di 1 + 7 che, rappresentando
il mistero della resurrezione della carne, rivelerebbe al cristiano il
messaggio escatologico e salvifico annunciato dal Nuovo Testamento.
Ritengo possibile che la comunità grecofona di provenienza orien-
tale, residente nella Perugia bizantina al seguito del magister militum,
fosse in grado di comprendere il significato simbolico delle sigle del
tempio. Credo anzi che la committenza e l’esecuzione delle epigrafi
incise negli abachi dei capitelli debbano essere ricercati proprio in
questa direzione. La presenza di lettere greche che richiamano sim-
bolicamente il concetto teologico della resurrezione (e attraverso di

81
Aurelius Augustinus Hipponensis, Epistolae, LV, 17 (cfr. nota 69): « Per questo
motivo il numero cinquanta moltiplicato per tre con l’aggiunta del numero tre, per
meglio esprimere l’eccellenza del simbolo, si trova pure in quei grossi pesci che già il
Signore ordinò di trarre su dal lato destro della barca dopo la risurrezione, per dimo-
strare la nuova vita; e le reti non si ruppero, per indicare che allora non ci sarà più
inquietudine da parte degli eretici. Allora l’uomo perfetto e quieto, purificato nell’anima
e nel corpo dalle parole di Dio caste come l’argento della terra purificato col fuoco,
purgato sette volte dalle scorie, riceverà per ricompensa un danaro affinché facciano
diciassette. Poiché pure in questo numero, come in altri che forniscono mutevoli sim-
bolismi, si trova un meraviglioso significato simbolico. Né senza un motivo nel Libro
dei Re si legge intero il solo salmo decimosettimo poiché è simbolo di quel regno in
cui non avremo l’avversario. (...) il numero diciassette elevato al quadrato di tre fa la
somma di centocinquantatré. Contando da uno a diciassette, addizionando tutti i nu-
meri intermedi, otterrai la somma suddetta; cioè a uno aggiungerai due e otterrai tre;
a tre aggiungerai tre e fa sei; aggiungi quattro, fa dieci; aggiungi cinque e fa quindici;
aggiungi sei, fa ventuno; di questo passo aggiungi tutti gli altri oltre a diciassette e fa
centocinquantatré ».
494 ANTONELLA BAZZOLI

essa il messaggio di superamento della morte terrena nel nome di


Cristo), permette di ipotizzare che le epigrafi del tempio di Sant’An-
gelo siano state incise per volontà di un alto dignitario – quale
poteva essere il magister militum – e della sua corte di provenienza
orientale residente a Perugia, per rappresentare abbreviazioni di no-
mina sacra riferibili alla persona di Gesù e come tali dotate di potere
salvifico e profilattico. Tale ipotesi è confermata anche dai confronti
con altre abbreviazioni – sempre di provenienza orientale e ugual-
mente formate da trigrammi a lettere greche – il cui simbolismo può
essere compreso attraverso le antiche scienze dei numeri.

10. Il sacro segno della Mente divina

Nell’opera De Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella,


il personaggio allegorico di Filologia – simbolo della ragione umana e
della conoscenza che con essa può essere acquisita – ascende al cielo
passando attraverso i circoli dei pianeti in cui risiedono gli dèi celesti.
Raggiunto il quarto cerchio, sede del Sole, Filologia si ferma a pre-
gare il dio che rappresenta la suprema immagine della Mente divina
e che tutti i popoli adorano, seppur venerandolo con nomi diversi
(lib. II, §§ 188-192) 82. Questo l’inizio della preghiera al Sole (§ 193):
Salve, vera deum facies vultusque paterne,
octo et sescentis numeris cui littera trina
conformat sacrum mentis cognomen et omen
da, pater, aetherios superum conscendere coetus
astrigerumque sacro sub nomine noscere caelum 83.

Marziano fa dire a Filologia che il vero volto degli dèi (vera deum
facies) e il sacro nome della Mente, sono rappresentati da tre lettere
sacre corrispondenti al numero 608.
Marziano preferisce non rivelare le tre misteriose lettere del
nome del Sole, ma attraverso l’uso della psefia si scopre un’equiva-
lenza numerica tra il numero 608 e la somma dei valori numerici

82
Ed. Ramelli 2004, pp. 100-101.
83
Ivi, p. 101. Traduzione in nota di Ilaria Ramelli: « Salve, o autentico aspetto dei
numi e volto del padre, cui, con il numero seicentootto, tre lettere formano il nome
sacro della mente e il suo segno. Concedi, o padre, di ascendere alle accolte celesti degli
dèi e sotto il sacro nome conoscere il cielo stellato ».
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 495

dei caratteri phi (500), rho (100), eta (8), che insieme formano il
trigramma ijȇǾ 84. Si tratta di un teonimo di origine egiziana, cor-
rispondente alla divinità solare Rê (o Râ) 85, attestato fra l’altro da
un’iscrizione intagliata su diaspro, conservata nel Museo Archeologico
Nazionale di Roma 86.
Le implicazioni di carattere linguistico, storico e filosofico della
preghiera al Sole di Marziano meriterebbero, a mio avviso, ricerche
e approfondimenti specifici. In questa sede basterà evidenziare alcuni
aspetti che potranno servire a stimolare future indagini sull’argomento.
Colpisce la sostanziale equivalenza tra i caratteri del trigramma
di Perugia ȦȇǾ (dove all’omega seguono il rho e l’eta), e quelli del
trigramma egiziano ijȇǾ (dove al phi, che funge da articolo, seguono
il rho e l’eta).
Si può ipotizzare che si tratti di un fenomeno di sincretismo
religioso, attraverso il quale il teonimo di antica tradizione egizia
sarebbe stato assorbito dal nuovo credo cristiano, passando forse
attraverso correnti di tipo gnostico o mitraico. Che i fenomeni di
sincretismo religioso si prestino facilmente a divergenti e incerte
interpretazioni, lo prova peraltro il tentativo, da parte di due tra
i più noti commentatori medievali di Marziano Capella, di svelare
il segreto del misterioso numero 608, dietro il quale si celerebbe il
nome del dio Sole. Secondo Remigio d’Auxerre il misterioso numero
della Mente divina si otterrebbe dalla somma dei valori di tau (300),
eta (8), tau (300), ovvero dalle tre lettere che formano il teonimo
T H T. Secondo Giovanni Scoto Eriugena, invece, la cifra sacra si ot-
terrebbe dalla somma dei valori numerici eta (8), ipsilon (400), sigma
(200), corrispondenti al teonimo +<& 87.
Nonostante la divergenza tra le due letture, va notato che entram-
bi i teonimi sono costituiti da tre lettere, sono tra loro isopsefici e si
riferiscono, proprio come la sigla ijȇ+, a divinità dal carattere solare
di antica tradizione egiziana.
L’uso dell’isopsefia per siglare il nome divino, attraverso simboli
alfabetici considerati sacri, non venne meno con l’affermarsi del cri-

84
Dal IV libro della Refutatio di Hippolytus si apprende che il trigramma ijȡȘ era
usato a scopo magico per designare un daimon. Cfr. Mastrocinque 2004, p. 106.
85
Ramelli 2004, note al libro II, p. 819. Si noti anche la corrispondenza tra il teo-
nimo ijȡȘ e il termine ijȡȘȞ, che in greco esprime il concetto di « mente ».
86
Mastrocinque 2004, p. 100
87
Ramelli 2004, note al libro II, p. 819.
496 ANTONELLA BAZZOLI

stianesimo, tanto è vero che lo ritroviamo documentato da diverse


sigle epigrafiche, tardo antiche e medievali, sia in Oriente che in
Occidente.
Da un’iscrizione cristiana rinvenuta a Filippopoli 88 di Tracia, ad esem-
pio, proviene un altro interessante confronto epigrafico: si tratta della sigla
ȦȆǾ 89, formata dalle tre lettere greche omega, pi e eta. Anche in questo
caso appare evidente la somiglianza del trigramma con la sigla ȦȇǾ, incisa
ripetutamente sui capitelli del tempio di Sant’Angelo. L’unica differenza
sta nel carattere centrale dei due trigrammi: un Ȇ (pi) greco nella sigla di
Filippopoli, un P (rho) in quelle di Perugia 90.
Utilizzato come asta verticale all’interno della croce monogrammata, e
intrecciato con il ȋ (chi) a formare il famoso monogramma costantiniano, il
ȇ (rho) greco è uno tra i più noti simboli alfabetici che fanno riferimento
al nome di Cristo. In epigrafia lo troviamo spesso in ambito sepolcrale, a
volte affiancato dalle lettere escatologiche alpha e omega. Si tratta anche in
questo caso di una lettera ritenuta sacra dai primi cristiani, il cui valore
psefico, pari a 100, assunse ben presto un significato di tipo salvifico. Nel
IV secolo, facendo uso dell’isopsefia, Efrem il Siro sommò i valori nume-
rici di ciascuna lettera del termine ȕȠȒșȚĮ, che in greco significa ‘aiuto’.
Il risultato così ottenuto, pari a 100, coincideva con quello attribuito dalla
psefia alla lettera ȇ (rho). Fu così che il famoso simbolo primitivo della
croce monogrammata finì per assumere anche il significato simbolico di
aiuto e salvezza 91.
Ma l’aspetto più sorprendente è scoprire che il simbolismo della sigla
ȦȆǾ di Filippopoli corrisponde a quello del nome di Cristo: sommando
infatti i valori psefici 800 (Ȧ) + 80 (ʌ) + 8 (Ș) ricaviamo il numero 888,
equivalente alla somma dei valori espressi dalle singole lettere che compon-
gono il nome ǿȘıȠȣı: I (10) + Ș (8) + ı (200) + Ƞ (70) + ȣ (400) + ı (200)
= 888. La sigla di Filippopoli rappresenterebbe dunque in forma criptata,
attraverso il calcolo isopsefico, il nome greco di Gesù 92.

Nella sua Dissertazione del 1792, Baldassarre Orsini riferiva di


aver visto iscrizioni simili a quelle del tempio di Sant’Angelo anche

88
La città di Filippopoli corrisponde all’attuale Plovdiv, in Bulgaria.
89
Testini, p. 358.
90
Da un punto di vista paleografico, la somiglianza tra il ȇ (rho) greco e il P (pi)
latino potrebbe far pensare che le epigrafi +3Ȧ ȦPH di Perugia siano varianti del tri-
gramma di Filippopoli ȦȆ+, con la lettera Ȇ (pi) che avrebbe subìto una trasformazione,
latinizzandosi in ȇ (pi).
91
Loconsole 2005.
92
L’epigrafe ȦȆ+, secondo il Grègoire, sarebbe una sigla gnostica (cfr. Grégoire,
La nouvelle Clio, 4, 1952, pp. 373-377).
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 497

nella chiesa di Sant’Angelo Magno ad Ascoli Piceno 93. Si tratta di


un ulteriore interessante confronto, non solo perché le due chiese
sono entrambe intitolate ad un « Santo Angelo », ma anche perché
l’iscrizione citata dall’Orsini ha molti aspetti in comune con quelle
del tempio perugino: collocata in prossimità dell’altare maggiore,
l’epigrafe di Ascoli si trova incisa sull’abaco di un capitello corinzio,
proprio al di sopra di una colonna in granito grigio 94.
La sigla citata dall’erudito è 1:ȜǾ, anche se egli la interpretò
come H Y M N, ritenendo che i caratteri fossero stati rovesciati. Seb-
bene non si tratti di un trigramma ma di un tetragramma, mi sembra
comunque evidente lo stretto collegamento tra questa iscrizione e
quelle del tempio di Sant’Angelo.
Quasi per gioco mi sono ritrovata a sommare i valori numerici
del tetragramma di Ascoli e, non senza mia sorpresa, mi sono accorta
che, anche in questo caso, si tratterebbe di una sigla isopsefica. Som-
mando i valori corrispondenti ai caratteri che compongono l’iscrizio-
ne 1:ȜǾ, cioè 50 (N) + 800 (W) + 30 (Ȝ) + 8 (Ǿ), si ottiene infatti
ancora una volta il numero 888, che come abbiamo visto corrisponde
esattamente al valore psefico del nome greco ǿȘıȠȣı. Anche il tetra-
gramma di Ascoli, così come quello di Filippopoli, sarebbe dunque
servito a rivelare, a chi fosse stato in grado di comprenderlo, il sacro
mistero del nome greco di Gesù.

Conclusione

Credo di aver dimostrato che le iscrizioni greche del tempio di


Sant’Angelo in Perugia rappresentano sigle paleocristiane di natura
isopsefica, le cui lettere, oltre a far riferimento in forma abbreviata
al nome di Cristo, servivano a trasmettere in forma criptata messaggi
dal contenuto salvifico sul destino ultimo dell’umanità. Il simbolismo
complesso di tali iscrizioni doveva peraltro essere comprensibile sol-
tanto a pochi iniziati, o comunque a gruppi ristretti di devoti, dotati

93
Orsini 1792, p. 79, nota 39.
94
Riferendosi alla chiesa di Ascoli intitolata all’Arcangelo Michele, l’Orsini osser-
vava che: « le ultime due arcate verso l’altar grande sono sostenute da due colonne
di granito bigio (...). Hanno esse i capitelli di marmo, d’ordine corintio, di bellezza
straordinaria, e nell’abaco di quello che è a sinistra vi sono a rovescio segnate queste
lettere HYMN » (cfr. Orsini 1790, pp. 171-173).
498 ANTONELLA BAZZOLI

di specifiche conoscenze numerologiche, indispensabili per poterle


decodificare.
Poteva essere una comunità di tal genere quella di provenienza
greco orientale, giunta a Perugia al seguito del magister militum,
insediatasi stabilmente in età bizantina nel ducato perugino, forse
proprio nel quartiere settentrionale della città che andava sviluppan-
dosi al di fuori di Porta Pulchra.
Mi auguro che il simbolismo delle epigrafi greche del tempio di
Sant’Angelo che ho qui provato a interpretare, possa essere d’aiuto
in futuro a comprendere meglio la genesi, la storia e la funzione di
un edificio altomedievale, il cui disegno architettonico riesce ancora
ad incantare il visitatore, nonostante le alterazioni e le trasformazioni
da esso subite nel corso dei secoli 95.

95
Ringrazio Attilio Bartoli Langeli per i suggerimenti e le indicazioni che mi ha
fornito, specialmente nella fase di stesura del testo.

INDICE DELLE OPERE CITATE

Alimonti-Carrozzi 1992 = Aurelii Augustinii Hipponensis Epistolae, I [ep. 1-70],


a cura di T. Alimonti e L. Carrozzi, Roma, Città Nuova, 1992.
Belardi 2008 = P. Belardi, La chiesa di S. Michele Arcangelo a Perugia, in
Rotonde d’Italia. Analisi tipologica della pianta centrale, a cura di V. Volta,
Milano, Jaca Book, 2008, pp. 129-135
Binazzi 1989 = G. Binazzi, Regio VI Umbria, in « Inscriptiones Christianae Ita-
liae, Septimo Saeculo Antiquiores », Bari, Edipuglia,1989.
Bonazzi 1875 = L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, Vol. I, Pe-
rugia, Tipografia Santucci, 1875.
Borghini 2009 = S. Borghini, Uso e caratteristiche del reimpiego nella chiesa di
Sant’Angelo a Perugia: gli spolia come criterio ordinatore dello spazio archi-
tettonico, in Il reimpiego in architettura. Recupero, trasformazione, uso, a
cura di J. F. Bernard, P. Bernardi e D. Esposito, Roma, École Française de
Rome, 2009 (Collection de l’École Française de Rome, 418), pp. 293-302.
Cenciaioli 1977/78 = L. Cenciaioli, I capitelli romani di Perugia, in « Annali
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia », XV, nuova
serie I, Perugia, 1977/78.
LE ISCRIZIONI GRECHE DI SANT’ANGELO IN PERUGIA 499

Costantini 2010 = A. Costantini, Topografia funeraria e ingresso delle sepolture


in urbe nella Toscana tardoantica. I casi di Firenze e Arezzo, in « Anales de
Arqueologia cordobesa », n. 21-22, (2010/2011), pp. 173-196.
De Maria 1981 = S. De Maria, Il problema del corinzio-italico in Italia setten-
trionale, in « Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité », 93 (1981),
pp. 565-616.
Farinella 2003 = P. Farinella, L’esaltazione della croce tra scrittura e gematrìa,
in « La Sapienza della Croce », n. 19 (2003), pp. 327-350.
Farinella 2004 = P. Farinella, Sulla corda ottava incontro al Messia. Simbolismo
cristologico del numero 8 nella Bibbia e nella tradizione giudaico cristiana,
in « La Sapienza della Croce », n. 19 (2004), pp. 129-171.
Fiori 2008 = F. Fiori, Epigrafi greche dell’Italia bizantina (VII-XI secolo), Bologna,
CLUEB, 2008.
Grégoire 1961 = H. Grégoire, La chiesa bizantina, in Eredità di Bisanzio, a cura
di N.H. Baynes e L.B. Moss, Milano, F. Vallardi (1961), pp. 119-172.
Guarducci 1978 = M. Guarducci, Epigrafia greca, vol. IV: Epigrafi sacre pagane
e cristiane, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1978.
Guénon 1975 = R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Milano, Adelphi, 1975.
Loconsole 2005 = M. Loconsole, Il simbolo della croce tra giudeo-cristianesimo
e tarda antichità: un elemento della translatio Hierosolymae, in « Liber An-
nuus » [Annual of the Studium Biblicum Franciscanum], 53 (2005), pp.
217-284.
Loffreda 1992 = S. Loffreda, Ancora sulle lucerne bizantine con iscrizioni, ibid.,
42 (1992), pp. 313-329.
Loffreda 1994 = S. Loffreda, Dieci lucerne con iscrizioni, ibid., 44 (1994),
pp. 595-607.
Loffreda 2003 = S. Loffreda, Alcune lucerne fittili di Cafarnao, in Nouveautés
Lychnologiques, Hauterive, Lychnoservices, 2003, pp. 147-153.
Mastrocinque 2004 = A. Mastrocinque, Sylloge Gemmarum Gnosticarum, Par-
te I, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2004 (monografie del
« Bollettino di numismatica »).
Mazzoleni 2004 = D. Mazzoleni, Considerazioni sulle iscrizioni paleocristiane
greche della regione di Sohag ed Akhim nel medio Egitto, in Progetto pilota
Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi, Convento Rosso, Roma, Università degli
Studi di Roma Tre, 2004.
Menestò 1999 = E. Menestò, Istituzioni e territorio dell’Umbria da Augusto
all’inizio della dominazione franca, in Il Corridoio bizantino e la via Ameri-
na in Umbria nell’alto medioevo, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto
medioevo, 1999 (Uomini e mondi medievali, 1), pp. 3-97.
Moraldi 1982 = L. Moraldi (a cura di), Testi gnostici, Torino, UTET Libreria,
2008.
500 ANTONELLA BAZZOLI

Orsini 1790 = B. Orsini, Descrizione dell’insigne città di Ascoli, Perugia, Tipo-


grafia Baduel, 1790.
Orsini 1792 = B. Orsini, Dissertazione sull’antico tempio di sant’Angelo situato
vicino alla porta della Città di Perugia a cui dà il nome, Perugia, Tipografia
Baduel, 1792.
Palombaro 2007 = F. Palombaro, Architettura nel primo millennio cristiano a
Perugia, Perugia, Quattroemme, 2007.
Ramelli 2004 = Martianus Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, a cura di
I. Ramelli, Milano, Bompiani, 2004.
Sacchi 2002 = Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, II, Ed. TEA,
2002.
Scortecci 1991 = D. Scortecci, Riflessioni sulla cronologia del tempio perugino di
San Michele Arcangelo, in « Rivista di Archeologia Cristiana », LXVII (1991),
2, pp. 405-428.
Sensi 2007 = M. Sensi, Santuari e culto di San Michele nell’Italia Centrale, in
Culto e santuari di San Michele nell’Europa medievale. Atti del congresso
internazionale di studi (Bari - Monte Sant’Angelo, 5-8 aprile 2006), Bari,
Edipuglia, 2007, pp. 241-280.
Testini 1980 = P. Testini, Archeologia cristiana; nozioni generali dalle origini
alla fine del secolo VI; propedeutica, topografia cimiteriale, epigrafia, edifici
di culto, Bari, Edipuglia, 1980.
Vermiglioli 1800 = G. B. Vermiglioli, Dell’antica città di Arna umbro-etrusca.
Comentario storico-critico, Perugia, Tipografia Baduel, 1800.
Vermiglioli 1834 = G. B. Vermiglioli, Antiche iscrizioni perugine. Raccolte di-
chiarate e pubblicate, volume secondo, Perugia, Tipografia Baduel, 1834.
Viviani 1911 = D. Viviani, Tempio di S. Angelo in Perugia. Studio di ripristino,
in « Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria », XVI (1911),
pp. 875-893.

Potrebbero piacerti anche