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Canto gregoriano

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Il cantico del Magnificat preceduto dall'antifona

L'Introito Domine ne longe del codice Angelica

Il canto gregoriano è un canto liturgico, solitamente interpretato da un coro di voci maschili, da un


solista chiamato cantore (cantor) o spesso dallo stesso celebrante con la partecipazione di tutta
l'assemblea liturgica ed è finalizzato a sostenere il testo liturgico in latino.

Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché ogni
armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa armonizzazione [senza  fonte].

Si tratta di un canto omofono, più propriamente monodico, è una musica cioè che esclude la
simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta all'unisono.

Dal punto di vista del sistema melodico, il canto gregoriano è di tipo modale e diatonico. I
cromatismi vi sono generalmente esclusi, così come le modulazioni e l'utilizzo della sensibile. Le
diverse scale impiegate con i loro gradi e i loro modi, sono chiamati modi ecclesiastici, scale
modali o modi antichi, in opposizione alle scale utilizzate in seguito nella musica classica tonale.

Il suo ritmo è molto vario, contrariamente alla cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che
nel canto gregoriano riveste un ruolo complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando le
due logiche.[non  chiaro] Nei passaggi salmodici o sillabici, il ritmo proviene principalmente dalle
parole. Nei passaggi neumatici o melismatici, è la melodia che diventa preponderante. Queste due
componenti sono costantemente presenti.

È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende origine dal testo sacro e che
favorisce la meditazione e l'interiorizzazione (ruminatio) delle parole cantate[2]. Il canto gregoriano
non è un elemento ornamentale o spettacolare che si aggiunge alla preghiera di una comunità
orante, ma è parte integrante ed efficace della stessa lode ordinato al servizio e alla comprensione
della Parola di Dio[3]. È questo il significato più profondo e intimo di questo genere musicale.

Origini del nome


Il nome deriva dal papa benedettino Gregorio I Magno. Secondo la tradizione, egli raccolse e ordinò
i canti sacri in un volume detto Antiphonarius Cento (legato con una catenina d'oro all'altare della
Chiesa di San Pietro), la cui copia originale andò persa durante le invasioni barbariche. Secondo
una variante tradizionale di tale versione, egli dettò il codice a un monaco, mentre era nascosto
dietro un velo: il monaco, accorgendosi che Gregorio faceva lunghe pause nel corso della dettatura,
sollevò il velo e vide una colomba (segno della presenza dello Spirito Santo) che sussurrava
all'orecchio del papa. Il codice gregoriano sarebbe quindi di derivazione divina.

Più di recente, si è messa in dubbio non solo l'origine miracolosa dell'antifonario, ma la stessa
derivazione da Gregorio. Dalla carenza di testimonianze autografe dell'interesse di Gregorio per
quello che riguarda l'impianto dell'uso della musica nel rito della messa, tranne una lettera generica
in cui si parla del rito britannico, sono derivate altre ipotesi. Fra queste, vi è quella secondo cui
l'antifonario (e la storia della sua origine) sarebbero entrambi di origine carolingia (quindi databili
quasi due secoli dopo la morte di Gregorio) e farebbero parte dello sforzo di unificazione del
nascente Sacro Romano Impero: esistono infatti documenti che attestano i tentativi degli imperatori
carolingi di unificare i riti franco e romano. Secondo questa ipotesi, attribuire la riforma a un
miracolo che coinvolgeva un papa di grande fama come Gregorio sarebbe servito quale espediente
per garantirne l'accettazione universale e incondizionata.

Storia
A Gregorio Magno fu attribuita, dal suo biografo Giovanni Diacono (scomparso nell'anno 880) la
prima compilazione di canti per la messa: Giovanni, infatti, riferisce che Gregorio "antiphonarium
centonem compilavit", cioè raccolse da più parti e ordinò un antifonario (libro di canti per la
messa), che sarebbe poi passato alla tradizione come Antiphonarius cento. Prima ancora di
comprendere come avvenne tale opera di revisione e collazione e quale ruolo effettivo vi ebbe
Gregorio, occorre indagare sul materiale preesistente. Tuttavia, se è opinione generale che esistesse
all'epoca un insieme di canti per la liturgia, nulla di preciso si conosce al riguardo per quanto attiene
agli autori e alle epoche di composizione. Si tenga presente che fino al 700 non vi fu scrittura
musicale ma sui testi si apposero dei convenzionali segni mnemonici per aiutare il cantore. Si
ipotizza che nei tre secoli anteriori a Gregorio fosse diffusa la figura dell'autore-cantore, che ricorda
il rapsodo dei tempi omerici: il canto veniva tramandato ed eseguito con l'aggiunta di varianti o con
vere e proprie improvvisazioni.

L'ambiente presso il quale si formavano questi ignoti "artisti" è rappresentato dalla Schola
cantorum, luogo dove la Chiesa ha preparato i propri cantori fin dai primi tempi (all'epoca di papa
Damaso, morto nel 384, c'era già una distinta schiera di diaconi esclusivamente dedicata a questo
scopo). Similmente a quanto avveniva nelle scuole d'arte medievali, si può parlare di un continuo
lavoro collettivo, in cui si miscelavano qualità individuali e tradizione, stile personale e
caratteristiche comuni al gruppo. La vocazione religiosa che era al fondo di tale attività spiega
inoltre perché l'individuo scomparisse nel rendere un servizio alla comunità e a Dio, tanto che l'arte
attraverso la spiritualità si trasformava in preghiera: il nome di questi musicisti non è giunto a noi
perché essi non pensavano di lavorare per la propria fama ma per la gloria di Dio. Pertanto, rimane
un solo nome, quello di papa Gregorio, a designare questi canti, che egli per primo ha fatto
raccogliere e conservare, ma non sono suoi, così come non lo saranno quelli che verranno dopo di
lui ma che, ugualmente, si chiameranno gregoriani.

Il ruolo di Gregorio

Come avviene generalmente per ogni periodo della storia della Chiesa, il nome di un pontefice
riassume e contrassegna il lavoro di un'intera generazione. Ciò vale anche - e forse in misura
maggiore - per il periodo gregoriano, nel quale si riassume anche l'opera precedente e si dà il nome
a quanto avverrà anche nei tempi successivi. Il ruolo di Gregorio nei confronti del canto liturgico è
testimoniato dal diacono Giovanni (870) nella sua Vita di San Gregorio, scritta su incarico di
Gregorio VIII avvalendosi dei documenti dell'archivio pontificio. La compilazione di un libro di
canti per la messa (antifonario), di cui a noi non è pervenuto l'originale, è stata redatta insieme ai
maestri del tempo, ma - secondo il biografo - con un intervento diretto e competente dello stesso
Gregorio, che ci viene presentato come esperto in materia, maestro di canto e istruttore dei "pueri
cantores". Del resto, si deve a lui la restaurazione della "Schola cantorum" nella quale diede prova
del suo mecenatismo: anche in questo caso, non fu lui a fondarla ma la fornì dei mezzi necessari a
uno sviluppo sicuro. Il ruolo di Gregorio nell'ambito del canto liturgico fu consacrato da Leone IV
(847 - 855) che per la prima volta usò l'espressione "carmen gregorianum" e che minacciò di
scomunica chi mettesse in dubbio la tradizione gregoriana.

La "questione gregoriana"

Lo sviluppo del canto gregoriano avvenne in un'epoca posteriore nei confronti del cosiddetto canto
romano antico, e mostra una compiuta rielaborazione di vari elementi preesistenti, in modo tale da
creare una sintesi artistica di grande valore. Infatti il repertorio "gregoriano" ingloba delle melodie
romane anteriori adattate, ma anche caratteristiche melodiche che derivano dalla fusione con
repertori liturgici della Gallia. Tutto questo corpus melodico viene inquadrato nel sistema degli otto
modi (Octoechos), di derivazione greca e giunto in Europa occidentale attraverso Boezio. La
consapevolezza di questo "incontro" tra due tradizioni, però, non risolve una problematica storica
complessa.

Teoria tradizionale

Secondo la teoria tradizionale in ambito cattolico-romano, il canto gregoriano si sarebbe formato a


Roma, dopo l'adozione della lingua latina nella liturgia, in una lenta evoluzione, con diversi apporti
di papi. Il canto gregoriano sarebbe erede della tradizione ebraica sinagogale, e arricchito con
influssi derivati dal canto della Chiesa di Gerusalemme. La messa a punto spetterebbe a Gregorio
Magno e alla sua schola cantorum. Nel XIX secolo si pensò di avere individuato, nel codice di San
Gallo 359, una copia autentica dell'Antifonario di Gregorio: l'iconografia del papa e il prologo
Gregorius praesul, presente in vari manoscritti antichi, sembravano dare conferma irrefutabile a
questa tradizionale teoria, che conosceva poche voci discordanti. La moderna opera di restaurazione
gregoriana si svolse attorno a questa versione melodica, ritenuta come il vero canto della chiesa.

La scoperta del canto romano

Intorno al 1891, il benedettino André Mocquereau scoprì a Roma alcuni manoscritti dei secoli XI-
XIII, con una versione di canto fortemente diversa dal gregoriano: egli ritenne che le melodie ivi
contenute fossero una tardiva deformazione delle melodie gregoriane. Nel 1912, invece, un altro
benedettino, Raphaël Andoyer avanzò l'ipotesi che quei codici testimoniassero il canto liturgico a
Roma anteriore a Gregorio I, cioè quello non ancora elaborato da quel papa, e per questo motivo
quella versione di canto liturgico venne chiamata canto romano antico, o semplicemente canto
romano. La questione fu riproposta da Bruno Stäblein negli anni Cinquanta del XX secolo. Egli
ipotizzò che il canto romano fosse il vero canto di Gregorio I, mentre il canto gregoriano una
nuova versione, eseguita a Roma una cinquantina d'anni più tardi, sotto papa Vitaliano (657-672).
Ma le prove addotte per sostenere tale ipotesi presentano alcuni punti deboli: discutibilità dei
testimoni addotti, inverosimiglianza di un simile mutamento di tradizione e della coesistenza di una
duplice versione di melodie nella stessa città, etc.; più precisamente i critici notarono che a Roma,
prima del XII secolo, non v'è alcuna traccia di uso del canto gregoriano.

Il canto gregoriano: versione romano-franca

È la teoria che oggi sembra essere più condivisa. Fu elaborata a partire dal 1950 con l'apporto di
vari studiosi (Jacques Hourlier, Michel Huglo, Helmut Hucke, etc.), con l'intento di contestualizzare
il canto gregoriano in atti politico-liturgici ormai ben noti. In sintesi, il canto romano sarebbe stato
rimaneggiato, per giungere al canto gregoriano, non a Roma, ma nei paesi franchi, tra la Loira e il
Reno, quando la liturgia di Roma fu imposta in modo autoritario in tutto il regno franco, sotto
Pipino il Breve e Carlo Magno. In quel contesto avvenne un processo di assimilazione e di rilettura
creativa, iscritta nella vivace rinascita carolingia e sostenuta dalla politica unificatrice in vista del
Sacro Romano Impero. A ciò dovettero contribuire, in modo determinante, i grandi monasteri e le
scuole cattedrali. Il canto gregoriano, così come risultò da questo adattamento, era un canto assai
finemente collegato con il testo liturgico, ricco di formule, inquadrato nel sistema dell'Octoechos, in
comoda corrispondenza con otto toni fondamentali per la salmodia. Ciò suppone un impianto
teorico, una oculatezza tecnica, che si nota anche attraverso la novità di una varia notazione
neumatica a servizio degli stessi fenomeni espressivi. Questa scrittura musicale, infatti, nacque con
tutta probabilità nelle regioni soggette ai Franchi nel IX secolo. Dalle regioni franco-germaniche
provengono i più antichi e i migliori manoscritti neumatici.

Questione ancora aperta

I sostenitori della conversione del canto romano in canto gregoriano in ambito carolingio adducono
prove alquanto convincenti, ma non dissipano ogni ombra di dubbio. Gli studi continuano, con un
confronto sempre più affinato tra canto romano, canto gregoriano e canto ambrosiano, e con una
lettura sempre più attenta dei dati storico-liturgici. Non è comunque facile arrivare ad una soluzione
definitiva. Helmut Hucke ha fatto notare che l'avere messo in notazione il canto romano, nell'XI
secolo, può essere fatto rientrare nel tentativo di ripresa e di autocoscienza di Roma dopo secoli di
decadenza, anche contro l'avanzare, in Italia, della versione franca sotto la spinta della riforma
cluniacense. Nella versione più tardiva del canto romano (l'unica che conosciamo oggi, dato che è
l'unica scritta), però, sarebbe stata presente la redazione franca (il cosiddetto gregoriano), che
influenzava già il canto liturgico a Roma pur senza essere considerata "canonica". Alla luce di
questa considerazione, quindi, anche l'affermazione che il gregoriano che conosciamo noi sarebbe
nato da un incontro tra tradizione romana e tradizione franca viene posta in questione, perché di
fatto l'elemento "romano" che troviamo sia nel canto gregoriano sia nel canto romano dei codici
scritti potrebbe essere passato non dal romano al gregoriano, ma viceversa dal gregoriano franco al
romano tardivo già influenzato dalla tradizione di canto che arrivava da nord. Nonostante questa
fissazione su codici in neumi, comunque, anche a Roma nel Medioevo centrale il canto romano
cederà di fronte al canto gregoriano già affermato nella pratica del resto d'Europa.

Le prime testimonianze scritte di canto gregoriano

Sono i tonari ad offrire le testimonianze più antiche del canto gregoriano. Il primo tonario
conosciuto si trova in un salterio carolingio del 799. Si tratta di liste di pezzi (incipit) classificati
secondo gli ambiti modali, affinché antifone e responsori possano essere collegati in modo chiaro
con gli appropriati toni salmodici. L'antifonario di Corbie, dei secoli IX-X, dona, marginalmente, le
"sigle" dei modi: AP - Protus autenticus, PP - Protus plagalis, AD - Deuterus autenticus, etc.). Nei
codici più antichi dell'antifonario (VIII secolo), si trovano soltanto i testi liturgici, senza note
musicali: le melodie vengono trasmesse oralmente. Tali codici sono stati raccolti sinotticamente e
studiati da René-Jean Hesbert nell'Antiphonale Missarum Sextuplex e raccolgono o i canti
interlezionali (graduale, tratto, Alleluia), o i brani eseguiti dalla Schola (introito, offertorio,
communio) così come erano stati fissati già nei secoli V-VI. I canti dell'ordinario, invece, non
saranno presenti nei codici notati se non dopo parecchi secoli: appartenevano all'assemblea,
venivano cantati con uno stile sillabico trasmesso solo oralmente.
Alcuni cenni sulle successive vicende del canto gregoriano

L'introito Gaudeamus omnes del Graduale Aboense (XIV secolo) in notazione quadrata

Nel XII secolo una riforma musicale in ambito cistercense, in nome della povertà evangelica,
rimaneggia le melodie ritenute troppo fiorite. Vengono sfrondati molti melismi ed è consentito al
massimo l'ambito decacordale. Antichi codici vengono distrutti.

Con il diffondersi della [polifonia] il canto gregoriano, ritmicamente e melodicamente


compromesso, continua tuttavia come canto "d'uso". L'espressione ha connotazioni negative nei
confronti della nuova musica "d'arte". Il gregoriano fornisce comunque un materiale connettivo al
tessuto polifonico, e vive come elemento di alternanza con la polifonia stessa. Ma tale uso
alternante appare a volte del tutto arbitrario, tanto da distruggere le forme liturgiche dei canti stessi.

In compenso, molti frammenti di gregoriano arricchiscono di fascino le composizioni di polifonia


vocale e di polifonia organistica. Rimangono un rilevante elemento simbolico di aggancio al
passato, di continuità nella tradizione.

Il concilio di Trento darà il colpo di grazia alla riproduzione e all'uso dei tropi e delle sequenze.
L'Edizione medicea del Graduale Romanum (1614-1615, dal nome della tipografia Medici di
Roma), è il frutto di una riforma melodica iniziata da papa Gregorio XIII alcuni decenni prima:
viene affidata, in un primo tempo, a Pierluigi da Palestrina e a Annibale Zoilo, e riprendendo
istanze ed esperienze umanistiche riduce il canto gregoriano ad uno stato "mostruoso": ritmica
mensuralistica, eliminazione dei melismi, gruppi neumatici spostati sulle sillabe toniche, ecc. Su
tale versione, che vanta una pretesa cattolicità e perciò viene largamente diffusa, si esercitano
numerosi teorici barocchi, che producono una nutrita letteratura di metodi per l'esecuzione e di
giustificazioni ideologiche.

È interessante, a questo proposito, una testimonianza di Felix Mendelssohn sul modo in cui veniva
eseguito il "canto gregoriano" a Roma nell'Ottocento:[4]:

«L'intonazione è affidata a un soprano solista, che lancia la prima nota con vigore, la carica di
appoggiature e termina l'ultima sillaba su un trillo prolungato. Alcuni soprani e tenori cantano la
melodia come è nel libro, o giù di lì, mentre contralti e bassi cantano alla terza. Il tutto è reso su un
ritmo saltellante.»
(F. Mendelssohn, 1830)

La stessa "Medicea", comunque, per quanto imposta d'autorità da Roma, si rivelerà insufficiente ed
insoddisfacente: una copiosa produzione neo-gregoriana o pseudo-gregoriana (per esempio Attende
Domine, o Rorate caeli) si fa strada soprattutto nelle regioni francofone. Appaiono così delle
melodie "moderne", alcune anche di tutto rispetto, che forniscono una base al repertorio popolare in
latino (Messe, antifone, etc.).

Nonostante lo stato di decadenza, il canto gregoriano è sentito da alcuni spiriti come un'ancora di
salvezza del contesto liturgico, e come strumento di salvaguardia dei testi rituali. Ciò si comprende
tenendo conto della invasione del "bel canto", dell'operismo e del concertismo nei riti sacri.

La rinascita ottocentesca
Il secolo del Romanticismo e dell'affermarsi del senso della storia, il secolo dei grandi ritorni dello
spirito alle lontananze del passato, che nel campo della musica compì fra l'altro la "scoperta"
moderna di Palestrina e di Bach, si volse, negli ultimi decenni, anche al recupero del patrimonio
d'arte e di fede rappresentato dai canti della Chiesa dei primi secoli, canti anonimi, opera della voce
collettiva di tutta una civiltà.

L'operazione non era semplice: si trattava di una voce che solo la conoscenza dei simboli che la
esprimono graficamente, secondo un "cifrario" di cui si era persa la chiave, poteva far rivivere nella
sua realtà sonora. Infatti, il canto gregoriano era sì rimasto in vigore nei secoli, ma con una
tradizione contaminata che si era sempre più allontanata dall'originale: un vero "falso" era stato lo
stesso tentativo di riordinamento fatto nel 1614-1615 con la già citata "Edizione medicea", da
attribuirsi solo in parte a Palestrina, nata in un contesto (il barocco) lontanissimo dal gregoriano.

Abbazia di Solesmes

L'opera di restaurazione fu iniziata da Prosper Guéranger monaco dell'Abbazia di Solesmes. Sulla


base di rigorose verifiche filologiche venne creato il laboratorio di paleographie musicale per la
decifrazione degli antichi codici. Due specifiche svolte, quella semiologica e quella modale, legate
basicamente a due monaci dell'Abbazia di Solesmes, Eugène Cardine e Jean Claire, hanno fatto sì
che le cospicua eredità e la ricerca ricevessero potenzialità e connotati nuovi, e per certi versi
rivoluzionari.[5]

La restaurazione gregoriana portò alla pubblicazione del Graduale romanum del 1908 e del Liber
Usualis del 1903 fino al Graduale Triplex del 1979 ed alle ultime raccolte. Uno dei maggiori
studiosi e restauratori recenti del canto gregoriano fu il benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol
(1879-1946).

Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II riunì nel sesto capitolo della Costituzione Sacrosanctum Concilium del 4
dicembre 1963 le considerazioni e le disposizioni relative alla musica sacra e al suo rapporto con la
liturgia.

Le indicazioni generali dei paragrafi 114 e 115 (Si conservi e si incrementi con grande cura il
patrimonio della Musica sacra [...] Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari
[...] ai musicisti e ai cantori, e in primo luogo ai fanciulli, si dia anche una vera formazione
liturgica) sono suggellate dal paragrafo 116, intitolato specificamente Canto gregoriano e
polifonico. Il paragrafo recita alla lettera "a)":

La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò
nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.

Il paragrafo 117 invece afferma:

l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano [e una] edizione più critica dei libri già editi
dopo la riforma di S. Pio X. [Infine] un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso
delle chiese minori

Malgrado le chiare indicazioni conciliari, nella fase successiva al concilio le conferenze episcopali
privilegiarono un repertorio musicale quasi esclusivamente nelle lingue moderne e con forme vicino
al pop e alla musica leggera. Ciò mise rapidamente in secondo piano la cura del repertorio
gregoriano che, ritenuto tradizionalmente solido, finì invece per scomparire quasi completamente
dalla scena liturgica.

Il documento incoraggiava anche la diffusione di canti religiosi popolari (n. 118), al fine di favorire
la partecipazione alla preghiera da parte di un uditorio laico, ignaro della lingua latina, della
notazione quadrata, le cui abitudini musicali e senso estetico erano distanti dallo stile e ritmo di tale
genere.
La preferenza secolare della Chiesa per il canto gregoriano fu storicamente motivata dall'unità di
testo e suono, che rende questo stile unico per la capacità di trasmettere con la musica "il senso
della Parola di Dio proclamata nella liturgia"[6].

Edizioni critiche

Ne 1974 fu pubblicata l'auspicata nuova edizione del Graduale Romanum curata dai monaci
dell'Abbazia di Solesmes.

Nel 1975 fu fondata a Roma l'Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano su iniziativa
di Luigi Agustoni, con l'intento di proporre un testo critico del Graduale alla luce di uno studio
approfondito dei più antichi testimoni della tradizione testuale: il tentativo estremo di coniugare
rigore filologico (thesaurum gregorianum autenticum integre conservare) e nuovi intendimenti
pratici (Rubricae autem ampliorem facultatem praebent hauriendi e Communibus noviter
dispositis, ita ut necessitatibus quoque pastoralibus largius satisfiat): come risultato nel 1979 venne
pubblicata l'edizione tipica del Graduale Triplex, rappresentazione musicale in notazione quadrata
del Graduale Romanum con l'aggiunta della notazione sangallese e della notazione metense, alla
luce dello studio condotto dai monaci di Solesmes sui codici di Laon, San Gallo, Einsiedeln e
Bamberga.

Repertorio

L'Alleluia Laudate pueri del Graduale Triplex

Il repertorio del canto gregoriano è molto vasto e viene differenziato per epoca di composizione,
regione di provenienza, forma e stile.
Esso è costituito dai canti dell'Ufficio o "Liturgia delle Ore" e dai canti della Messa.

 Nei canti dell'Ufficio si riscontrano le seguenti forme liturgico-musicali: le Antifone, la


Salmodia che comprende il canto dei Salmi e dei Cantici, i Responsori (che possono essere
brevi o prolissi) e gli Inni.
 Nei canti della Messa si distinguono:
o i canti dell'Ordinario o Ordinarium Missæ. Sono i testi che non mutano mai: Kyrie,
Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei.
o E i canti del Proprio o Proprium Missæ. Sono i testi che variano secondo le diverse
festività: Introito, Graduale, Sequenza, Alleluia che è sostituito dal Tratto nel tempo
di Quaresima, Offertorio e Communio.

Una annotazione particolare meritano i canti paraliturgici di tradizione orale come quelli del coro
delle confraternite di Latera (VT), esempio antichissimo di incrocio di canto gregoriano e polifonia
unico nel suo genere.
Sia nei canti dell'Ufficio come in quelli della Messa si riscontrano tutti i generi-stili compositivi del
repertorio gregoriano; essi si possono classificare in tre grandi famiglie:

 I canti di genere salmodico, sillabico o accentus (quando ad ogni sillaba del testo
corrisponde solitamente una sola nota) come ad esempio la salmodia o le più semplici
antifone dell'Ufficio, le melodie semplici dell'Ordinario e i recitativi del Celebrante.
 I canti di genere neumatico o semiornato (quando ad ogni singola sillaba del testo
corrispondono piccoli gruppi di note) come ad esempio gli Introiti, gli Offertori e i
Communio della Messa o alcune antifone più ampie dell'Ufficio.
 I canti di genere melismatico, ornato o concentus (quando ogni sillaba del testo è fiorita da
molte note) come ad esempio i Graduali e gli Alleluia o i responsori prolissi dell'Ufficio.
Tipico di questo genere è la presenza dei melismi.

Elementi di semiografia gregoriana


Premessa sulla ritmica gregoriana

Prima di affrontare per sommi capi questo vastissimo argomento è bene precisare che nel canto
gregoriano il testo-preghiera è legato indissolubilmente ad una melodia e ne forma una completa
simbiosi. Il gregoriano è il canto della pienezza della parola; esso nasce per ornare, esaltare e dare
completezza espressiva ai testi della liturgia. Le melodie gregoriane esistono solo in funzione del
loro elemento primario, il testo, al punto da identificarsi con esso e assumerne le qualità. Pertanto,
la qualità ritmica del neuma si attinge dal testo e non dalle qualità fisiche del suono. La perfetta
simbiosi fra testo e melodia costituisce nel gregoriano il dato fondamentale per la soluzione del
problema del valore delle note.[7] Il Canto gregoriano non conosce mensuralismo e la sua
interpretazione è basata essenzialmente sul valore sillabico di ciascuna nota, caratterizzato da una
indefinibile elasticità di aumento e diminuzione.

L'anima del linguaggio parlato e musicale è costituita dal ritmo. Il ritmo, nel linguaggio parlato,
consiste in un succedersi coordinato di sillabe in una o più parole. È quindi un fenomeno di
relazione, che viene espresso dall'accento e dalla finale di una parola. La sillaba tonica rappresenta
il punto di partenza e di slancio del movimento, il polo di attrazione delle sillabe che precedono
l'accento e il polo di animazione delle sillabe che vanno verso la cadenza.[8]

Nel canto gregoriano la melodia è legata essenzialmente al testo, perché nasce e si sviluppa su un
determinato testo, dal quale prende le qualità ritmiche ed espressive. Il testo quindi costituisce
l'elemento prioritario e anteriore della composizione gregoriana. Gli elementi che concorrono a
formare un qualsiasi testo sono le sillabe, le parole e le frasi. La sillaba non forma un'entità
autonoma assoluta, ma è in funzione di un'entità maggiore, la parola, e ogni parola ha un accento
proprio che viene mantenuto nel contesto della frase rendendo possibile lo sviluppo di un ritmo del
verso.

La stessa cosa avviene nella melodia. Il neuma (di uno o più suoni sopra ad una sillaba) non è
autonomo, ma in funzione di un inciso melodico-verbale, che corrisponde ad una o più parole, a
seconda del genere compositivo. Nel genere sillabico, la parola non sempre è sufficiente a
determinare un'entità ritmica completa. Nel genere semiornato, dove ogni sillaba comporta più
suoni, di solito un inciso melodico-verbale è ben caratterizzato da una sola parola. Nel genere
ornato o melismatico (con fioritura di note sopra una sillaba), la parola viene esaltata al punto da
lasciare il posto alla melodia.
La sillaba del testo latino rappresenta il valore sillabico della nota cioè l'entità stessa del neuma ed è
da notare che la struttura del verso latino è determinata dalla rigida distinzione che il latino classico
opera fra sillabe lunghe e sillabe brevi. Ma con il latino volgare, a cui derivano le lingue romanze
(italiano, spagnolo, francese, portoghese, romeno, ecc.), questa differenza non si avvertì più, e
l'accento tonico della parola andò acquistando maggiore importanza.

Semiografia gregoriana

I neumi

Lo stesso argomento in dettaglio: Neuma.

Ciò che in musica moderna si chiama nota musicale, in gregoriano è detto neuma (dal greco
"segno") con la differenza che un neuma può significare una nota singola o un gruppo di note.

Nella trascrizione moderna del repertorio gregoriano si utilizzano note di forma quadrata
(contrariamente alla notazione di tutta l'altra musica) dette notazione quadrata; esse sono la naturale
evoluzione della scrittura presente negli antichi manoscritti. Bisogna infatti considerare il fatto che
la trasmissione del canto gregoriano è nata oralmente poi i notatori hanno cominciato a scrivere sui
testi da cantare dei segni che richiamassero gli accenti delle parole (notazione adiastematica cioè
senza rigo); l'evoluzione di questi segni ha prodotto la notazione gregoriana che conosciamo oggi
(notazione diastematica cioè sul rigo). La grafia fondamentale del gregoriano è data dal punctum e
dalla virga; dalla sua combinazione con altri neumi scaturiranno tutti gli altri segni nelle loro
infinite combinazioni (ad. es il pes, neuma di due note ascendenti, la clivis neuma di due note
discendenti, il torculus e il porrectus neuma di tre note ascendenti e discendenti, il climacus neuma
di tre o più note discendenti...).

Neumi monosonici:

Neumi plurisonici:
2 note 3 note

Il rigo

Il repertorio gregoriano può trovarsi nella sua forma originale sia in forma diastematica che
adiastematica, rispettivamente con oppure senza riferimenti spaziali. I brani diastematici vengono
trascritti su di un rigo detto tetragramma che legge in chiave di do e che consta di quattro linee
orizzontali con tre spazi all'interno; si leggono dal basso verso l'alto. Alcune volte si può aggiungere
una linea supplementare ma, spesso per melodie che oltrepassano l'estensione del rigo si preferisce
utilizzare il cambio di chiave. Generalmente i brani con la scrittura diastematica risalgono all'XI sec
d.C. poiché vennero inventati da Guido d'Arezzo.

Le chiavi
Nei manoscritti antichi per riconoscere precisamente l'altezza dei suoni furono utilizzate le lettere
alfabetiche. Due di queste C e F che corrispondono rispettivamente al Do e al Fa diventarono le
lettere chiave utilizzate nella trascrizione del repertorio. Nelle moderne edizioni la chiave di Do può
essere posta indifferentemente sulla quarta e sulla terza linea, raramente sulla seconda e mai sulla
prima linea, mentre la chiave di Fa si trova generalmente sulla seconda e sulla terza linea, raramente
sulla quarta, mai sulla prima.

Alterazioni

Il gregoriano conosce solo l'alterazione del bemolle, il quale effetto viene eliminato con l'utilizzo
del bequadro. Il bemolle viene impiegato solamente per l'alterazione della nota Si: il termine deriva
dalla notazione musicale alfabetica nella quale la lettera b, corrispondente alla nota Si, quando
disegnata con il dorso arrotondato (b molle) indicava il Si bemolle mentre con il dorso spigoloso (b
quadro) indicava il Si naturale (cfr anche la teoria degli esacordi). Il bemolle usato nella notazione
vaticana (la notazione quadrata ancora in uso nelle stampe ufficiali), presenta in realtà il contorno
spigoloso, in ossequio alla forma quadrata di tutti gli altri segni utilizzati.

Il bemolle ha valore fino alla fine della parola alla quale è associato e, a differenza della notazione
attuale, veniva posto non necessariamente prima della nota interessata ma anche all'inizio della
parola o del gruppo di neumi che contenevano la nota da abbassare.

Stanghette

Le moderne trascrizioni di canto gregoriano fanno uso di alcune lineette di lunghezza variabile
poste verticalmente sul rigo musicale; esse hanno lo scopo di suddividere le frasi melodico-verbali
della composizione (come se fossero i segni di punteggiatura di un testo). - Il quarto di stanghetta
delimita un inciso melodico-verbale. - La mezza stanghetta delimita una parte di frase. - La
stanghetta intera delimita la fine della frase e molto spesso coincide con la conclusione del periodo
testuale. - La doppia stanghetta ha lo stesso significato di quella intera ma si usa al termine di un
brano oppure per evidenziare l'alternanza di esecutori.

Custos

È una nota più piccola che si traccia alla fine del rigo e ha lo scopo di indicare al cantore la nota che
comparirà all'inizio del rigo seguente.

Modalità
I modi

Lo stesso argomento in dettaglio: Octoechos.

Il Graduale Tu es Deus del Cantatorium Codex Sangallensis 359

Per quanto riguarda l'ambito dell'intero repertorio gregoriano ricordiamo che non si parla mai di
tonalità come la intendiamo noi in senso moderno ma di modalità. Lo scopo della scienza modale è
la ricerca della struttura compositiva di ciascun brano fino ad individuarne la forma originale dalla
quale deriva. Ciascuna composizione di gregoriano è il frutto di un substrato continuo di evoluzioni
che si sono protratte in secoli di storia liturgico-musicale.
Il gregoriano sviluppò nel tempo otto modi, che poi durante Rinascimento evolveranno nelle attuali
scale maggiori e minori della notazione musicale classica. Ogni melodia è legata ad un modo, che
solitamente viene indicato all'inizio dello spartito.

Ogni modo presenta una propria nota dominante (la nota sulla quale maggiormente insisterà la
melodia), una propria estensione (quale intervallo di note potrà sfruttare la melodia) e una propria
finale (la nota sulla quale terminerà il brano).

I modi vengono ulteriormente divisi in quattro categorie, ciascuna delle quali presenta un modo
autentico ed uno plagale (più grave di quattro note rispetto al proprio modo autentico), accomunati
dalla stessa estensione e nota finale. Le categorie sono: Protus, Deuterus, Tritus, Tetrardus. I
singoli modi vengono riconosciuti grazie ad un numero romano (pari per i plagali e dispari per gli
autentici).

Modo Categoria Tipo Estensione Repercussa Finalis


(DO)RE-RE(e
I Protus Autentico LA RE
oltre)
LA-SOL (se sale
oltre
II Protus Plagale FA RE
il sol diventa
autentico)
SI (nel repertorio profano),
DO(scivolamento del si)
III Deuterus Autentico MI-MI MI
o LA(dominante, ossia tenor o repercussio
del plagale)
IV Deuterus Plagale SI-SI LA MI
V Tritus Autentico FA-FA DO FA
VI Tritus Plagale DO-DO LA FA
VII Tetrardus Autentico SOL-SOL RE SOL
VIII Tetrardus Plagale RE-RE DO SOL

Interpretazioni modali

Esistono alcune interpretazioni che associano ciascun modo ad altre realtà con cui essi sarebbero
collegati. Si tratta, soprattutto, di associazioni etiche o simboliche[9] tra cui è divenuta famosa
quella, erroneamente attribuita a Guido d'Arezzo, e riportata in un trattato didattico del XVIII
secolo scritto dall'abate Léonard Poisson, come “qualità” dei modi: «Voici les qualités qu'ils leurs
attribueès»[10]: primus gravis, secundus: tristis, tertius: mysticus, quartus: harmonicus, quintus:
laetus, sextus: devotus, septimus: angelicus, octavus: perfectus (Il primo è grave, il secondo triste, il
terzo mistico, il quarto armonioso, il quinto allegro, il sesto devoto, il settimo angelico e l'ottavo
perfetto).

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