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Suonare News 0 2002

'O MAESTRO!
di Umberto Garberini

Riservato per natura, il maestro napoletano Massimo Bertucci si schermisce di fronte a una carriera di
insegnante costellata di successi e riconoscimenti, non ultima la nomination l’anno scorso per il “Tasto d’oro”
organizzato da Suonare news. Da oltre quarant’anni si dedica con passione all’insegnamento nel “suo”
Conservatorio, il San Pietro a Majella di Napoli, proseguendo il magistero del grande Vincenzo Vitale.
Sessantacinque anni, splendidamente portati, da trentasette è sposato con la signora Silvana, dalla quale ha
avuto cinque figli, anch’essi musicisti: Stefania, docente di pianoforte al Conservatorio di Vibo Valentia, Aurelio,
violoncellista dell’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, Rossella, violinista del quartetto “Alberto Savinio” con
il quale ha appena vinto un importante concorso internazionale a Caltanissetta, Floriana, violista della Nuova
Orchestra Scarlatti di Napoli, e Riccardo, che sta per diplomarsi in pianoforte. «Non li ho mai forzati nello studio
della musica – assicura il maestro –, certo sono orgoglioso di loro e penso che il nostro sia fra i rari casi di una
famiglia tutta di musicisti». La musica è sempre stata di casa nella vostra famiglia? Sì, mia madre, Teresa
Napolitano, è stata allieva di Sigismondo Cesi, la cui arte risaliva, attraverso il padre Beniamino, direttamente a
Sigismund Thalberg, il leggendario rivale di Liszt, che si ritirò proprio a Napoli, a Posillipo, gettando le
fondamenta della scuola pianistica napoletana. Fu mia madre che mi affidò tredicenne al maestro Vitale, suo
coetaneo e collega di studi alla scuola di Cesi. Che cosa ha rappresentato per lei Vincenzo Vitale? Un grande
maestro, geniale come didatta, generoso sul piano umano. La sua è stata una rivoluzione nel campo della
tecnica e della didattica. Rappresenta un punto fermo. Partendo dalla Dinamica pianistica di Attilio Brugnoli,
pubblicata nel 1926, Vitale ha affrontato per la prima volta in modo razionale e scientifico gli aspetti
dell’esecuzione pianistica: tutto è tecnica, anche la soluzione di un problema espressivo vede coinvolti i muscoli
delle dita, della mano, il concetto di peso. Brugnoli per primo ne offrì una minuziosa descrizione e analisi
anatomica, che Vitale riprese e rielaborò in modo personale, fondando una rivoluzionaria concezione didattica
basata sulla consapevolezza dei problemi tecnici da superare. Quali sono le caratteristiche di questa didattica
rivoluzionaria? Innanzi tutto il presupposto razionale, oggettivo, di ogni problema pianistico, per il quale trovare
altrettanto razionalmente la soluzione da adottare. Però non in maniera isolata e casuale, bensì attraverso una
vera e propria metodologia dello studio del pianoforte, con appositi esercizi, come quelli sulle cinque e sulle
quattro dita, questi ultimi per me assolutamente indispensabili. Ma gli esercizi sulle cinque e sulle quattro dita
non li usano tutte le scuole pianistiche? Fu Brugnoli il primo a illustrarli, ma Vitale fornì la prima applicazione
pratica, sperimentando i risultati sugli stessi allievi che facevano quasi da “cavie”. E visti gli esiti straordinari che
otteneva, tanti altri insegnanti finirono per imitarlo e i suoi esercizi si diffusero un po’ dovunque, tanto che
Laura De Fusco scherzosamente li definisce una sorta di “inno nazionale”! Quanto ha influito l’opera di Vitale
sulle altre scuole pianistiche? Ripeto, il suo insegnamento rappresenta un punto fermo, ma fare bene questi
esercizi non è cosa semplice. Tanti finirono per scimmiottarlo, presentandosi come suoi discepoli anche se lo
incontrarono solo poche volte, magari in un seminario, o per averlo sentito una o due volte al telefono. Rispetto
alla tradizione pianistica napoletana inaugurata proprio dai Cesi e proseguita dai vari Rossomandi, Longo,
Finizio, quali innovazioni introdusse Vitale? Vitale finì per mettere in discussione la stessa tradizione pianistica
napoletana da cui proveniva, visto che i suoi predecessori non erano razionali per niente. Infatti, i loro prontuari
tecnici partivano da esercizi complessi come quelli con note tenute e articolate insieme, che invece
rappresentano uno stadio successivo del progresso tecnico, visto che sono la somma di due opposti meccanismi,
appunto il tenuto e l’articolazione. Che cosa pensa dei programmi di pianoforte dei conservatori italiani? Sono
superati, risalgono ai primi del Novecento, per questo considerano Brahms un moderno e Debussy e Ravel dei
contemporanei! Trovo ridicola all’esame di diploma la prova con orchestra con l’accenno di poche pagine, una
prova che poi non ha neanche voto. O la si elimina del tutto oppure si richiede un’esecuzione integrale, con il
secondo pianoforte. È necessario al più presto un aggiornamento dei programmi. Quindi è favorevole alla
riforma degli studi musicali che dividerebbe il ciclo di studi fra liceo e conservatorio? Non in questi termini, ciò
significherebbe cambiare insegnante e metodi nel passaggio dal liceo al conservatorio. La didattica per me è un
percorso continuo, dai primi esercizi fino al diploma, un costruire giorno per giorno. Quanti allievi ha diplomato
nella sua carriera? Negli ultimi vent'anni di insegnamento 55 pianisti, di cui 28 con dieci e lode e gli altri con una
media fra il nove e cinquanta e il dieci. Quali requisiti deve avere un giovane che vuole intraprendere lo studio
del pianoforte? Innanzi tutto un senso ritmico spiccato, orecchio musicale, propensione tattile verso la tastiera.
Ma soprattutto il senso ritmico è un elemento che fa la differenza, penso sia una qualità quasi innata che,
naturalmente, va coltivata nel corso degli studi. Per questo ritengo il solfeggio, spesso così bistrattato, una
materia fondamentale, formativa. E il senso melodico, cioè l’orecchio? È importante senz’altro, ma si può
imparare ed educare più facilmente. Quanto è utile la musica da camera nella formazione pianistica? Secondo
me è fondamentale, anzi introdurrei un esame obbligatorio. Peccato che molti strumentisti ad arco e a fiato
considerino il pianoforte uno strumento accessorio, per esempio nel duo violino e pianoforte e simili. E’ un
atteggiamento presuntuoso ed è smentito dalle partiture, che spesso richiedono alla tastiera un impegno
notevole. Per essere un bravo pianista serve avere una buona cultura? A differenza di un tempo, oggi penso sia
importante. E quanto conta studiare su un buono strumento? È fondamentale. Qui a Napoli c’è un’antica
tradizione di strumenti di qualità che prosegue ancora oggi nella famiglia di Alberto Napolitano, titolare della
ditta ProgettoPiano, a cui sono legato da una profonda amicizia. Quindi non condivide l’uso dei pianoforti
digitali? Possono funzionare per motivi pratici, come lo studio in cuffia a qualunque ora del giorno, ma non credo
possano sostituire gli acustici. Un bravo insegnante deve essere anche interprete? È importante suonare in
pubblico, provare in prima persona le emozioni di un concerto. È un’esperienza che solo se vissuta può essere
comunicata efficacemente agli allievi. Io, fra l’altro, suono molto a lezione, esemplifico passaggi e tecniche che a
volte aiutano l’allievo più di tante parole. Ma portare avanti contemporaneamente la carriera concertistica e
quella di insegnante credo sia impossibile per motivi di tempo. Fare i concerti significa studiare tante ore al
giorno, essere concentrati totalmente su stessi e sulla propria musica. Per quanto mi riguarda, ho dovuto fare
una scelta, perché mi sentivo in colpa nei confronti degli allievi. Non se ne è mai pentito? L’insegnamento è
quello che volevo fare, la mia strada, e mi ha pienamente ricompensato sul piano professionale, e, se avessi
voluto, anche su quello economico, ma un discorso del genere l’ho sempre rifiutato. Quanto conta oggi vincere
un concorso pianistico? I concorsi hanno il vantaggio di offrire una visibilità, ma garantire oggi una carriera è
difficile. Forse ne devi vincere più di uno e puoi sperare, ma il settore è inflazionato. Un tempo non era così. Che
cosa pensa del Concorso “Casella” di Napoli? Quest’anno era in commissione? No, quest’anno non c’ero. Ho
partecipato a cinque o sei edizioni negli anni scorsi, direi che può bastare. Il “Casella” è una competizione
storica che ha lanciato pianisti come Oppitz, Campanella, Cominati. Oggi penso stia vivendo un momento di
crisi, ma stimo molto il suo presidente, Aldo Ciccolini. Conosce il vincitore dell’ultima edizione, il palermitano
Giuseppe Andaloro? Certo, è bravissimo, non poteva che vincere lui. Mi piace ricordare la sua radice napoletana,
visto che ha avuto fra gli insegnanti Paolo Pollice, un mio allievo. Andaloro ha studiato anche con Fiorentino...
Eravamo molto amici e fra di noi c’era stima reciproca. Fiorentino possedeva una natura musicale straordinaria,
unica, era un artista affascinante e una persona di grande umanità. Ricordo che, quando eravamo insieme in
commissione d’esame e in giurie di concorsi, tra noi due c’era sempre sintonia nel metro di giudizio. La sua
indole schiva non l’ha aiutato nella carriera concertistica. E il modo di insegnare di Fiorentino come lo giudica?
Sicuramente all’opposto del mio concetto di scuola, ma il suo punto di forza era il suo carisma che gli
permetteva di entrare in contatto con gli allievi. Quanti giovani ho visto lasciare i loro insegnanti per andare a
studiare da Fiorentino! Tra i suoi colleghi della classe di Vincenzo Vitale, chi ricorda in modo particolare? Ho
diviso i miei anni di studio con Carlo Bruno, Renato Di Benedetto, poi arrivarono Riccardo Muti, Laura De Fusco,
Michele Campanella, Aldo Tramma. E ancora Francesco Nicolosi, Pina Buonomo, che insieme con il maestro
Vitale eseguì per la prima volta a Napoli, e forse in Italia, la Sonata per due pianoforti e percussioni di Bartòk.
Sono in contatto con tutti, fra l’altro mio figlio si chiama Riccardo proprio per l’amicizia che mi lega a Muti. Ci
parli di qualcuno dei suoi allievi. Sono tanti, non vorrei fare discriminazioni... Un nome per tutti... Recentemente
Francesco Caramiello sta portando a termine le integrali per pianoforte di Sgambati e Martucci per importanti
case discografiche, oltre ai suoi interessi per la musica americana, da Copland a Ives, a Carter. Ricordo ancora il
suo diploma in cui suonò le Variazioni su tema di Diabelli di Beethoven, che da sole durano quasi un’ora. Cosa
cambierebbe dei nostri conservatori? I programmi di pianoforte, che è urgente aggiornare. Ma fra le
incongruenze mi colpisce in modo particolare che le classi di strumenti ad arco e a fiato non abbiano il loro
pianista accompagnatore. Così succede che a ogni esame gli insegnanti di violino, di violoncello o di flauto
vadano letteralmente ad elemosinare in conservatorio un pianista di buona volontà. Si dovrebbe rimediare
subito, ogni classe di questi strumenti dovrebbeve avere per legge il suo pianista accompagnatore, come nelle
class di canto. Inoltre, ciò avrebbe un non irrilevante vantaggio occupazionale, se moltiplichi il tutto per gli oltre
60 conservatori italiani. Che cosa ha rappresentato per lei l’insegnamento? Tutto. È stata la mia vocazione, e
sono contento che mia figlia Stefania dimostri la stessa inclinazione. A che punto è il progetto di riordino della
biblioteca del Conservatorio di Napoli? È quasi in dirittura d’arrivo. Grazie a Roberto De Simone, il precedente
direttore del San Pietro a Majella, lo straordinario patrimonio della biblioteca sta trovando la sua definitiva
sistemazione con tanto di cataloghi e di sistemi informatici. Peraltro a De Simone si deve il merito di aver
riportato il Conservatorio al centro della produzione artistica e della cultura napoletana, con l’organizzazione di
concerti e gemellaggi con teatri ed enti di rilievo. Com'è la situazione oggi? L’attuale direttore Vincenzo De
Gregorio si dedica con grande sollecitudine agli stessi obiettivi. E i colleghi del Conservatorio sono in prima linea
per aiutare i nostri allievi. Hobby e passioni al di là del suo lavoro? Seguo il calcio e le sorti della squadra del
Napoli e da giovane giocavo nelle partite che organizzavamo fra studenti del Conservatorio. Incredibile, un lato
sconosciuto dell’imperturbabile maestro... Incalzano i figli Stefania e Floriana: «Dovreste vederlo la domenica,
quando non si stacca dalla radio per seguire i risultati, ma in famiglia tutti siamo grandi tifosi». «Sono fiducioso
– conclude il maestro –, penso proprio che presto ce la faremo a ritornare in serie A».

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