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Di Solstizi e Apocalissi: di Saturno e

dell’Età dell’Oro

Annotazioni solstiziali e “apocalittiche” sulla


celebrazione del Natale e sulla fine dell’Anno, sulla
dottrina arcaica delle “porte” del Cosmo e dell’Anno e
sull’escatologia dell’antica Religione Siderale,
passando dalla tradizione greco-romana a quella
induista a quella cristiana.
di Beatrice Udai Nath
Originariamente pubblicato sul blog dell’autrice, Visionaire. Copertina: Mandala
cosmologico tibetano del XVI secolo.

Avadhūt, con il silenzio Maya scompare.


Osservando l’azione dei Navagraha si perviene
al di là del merito e del demerito. L’umana è la
potenza dell’unione di Shiva e Shakti. [Gorakh
Bodh, verso 56]

La Religione Siderale
In un tempo non lontano i proto-filosofi, sacerdoti e poeti, avevano
osservato le stelle per discernere un disegno e una presenza divina nel
loro ciclico e regolare accadere. Un dialogo platonico, probabilmente
apocrifo, l’Epinomide, raccoglie le tesi per cui gli astri, con il loro
incedere sarebbero immagine diretta della volontà divina, proprio per il
loro moto regolare, differente da quello degli animali e degli uomini e
perciò più vicino al vero.

Innanzitutto, volgiamo il pensiero al fatto che,


come stiamo dicendo, queste due specie di
esseri viventi — ripetiamolo — sono entrambe
visibili, l’una, così sembrerebbe, è interamente
fatta di fuoco, l’altra, invece, di terra; e, mentre
l’elemento terrestre si muove disordinatamente,
quello igneo si muove secondo un ordine
rigoroso. Ora, quel che si muove senza un
ordine, cosa che, per lo più, fanno gli esseri
viventi del nostro mondo, va ritenuto privo di
ragione, quello, invece, che si muove con
ordine, seguendo la via del cielo, deve
considerarsi prova dell’esistenza di una forma di
intelligenza. L’essere costantemente animati
dallo stesso moto e dalla stessa velocità,
l’essere sottoposti sempre alle medesime
forze ed esercitare sempre i medesimi
influssi, basta a dimostrare che c’è una vita
improntata a ragione. Per gli uomini, dunque,
avrebbe dovuto essere prova del fatto che gli
astri e l’intero loro moto di rivoluzione siano retti
da intelligenza, la constatazione che essi hanno
sempre un comportamento regolare, poiché
percorrono, da un tempo straordinariamente
lungo, un tragitto fissato fin dalla notte dei tempi,
senza deviare né verso il basso, né verso l’alto,
né mutare di comportamento da una volta
all’altra, sì da vagare impazziti uscendo
dall’orbita. Per molti di noi questo fenomeno,
cioè il fatto che gli astri si muovano e si
comportino sempre allo stesso modo, è
sembrato indicare l’esatto contrario: gli astri
sono privi di anima. Così la moltitudine si mise al
seguito di questi dissennati, al punto da ritenere
il genere umano dotato di ragione e di vita solo
perché si muove liberamente; quello divino,
invece, privo di ragione perché animato da un
moto sempre identico; eppure l’uomo,
elevandosi a quanto c’è di più bello, nobile
e prezioso, avrebbe dovuto capire che è
necessario attribuire intelligenza a ciò che
sempre agisce allo stesso modo, con
regolarità e per le stesse cause: cioè alla
natura degli astri, la più bella a vedersi, che
produce quanto serve a tutti gli esseri
viventi, in una danza che, quanto ad
andamenti e movenze, supera in bellezza
ed eleganza tutte le altre danze.

Questo libro tardo e apocrifo è modello della “religione degli astri”,


quell’osservazione capace da sola di regolare la vita degli uomini
sull’intelligenza celeste, rendendoli semplici ed esemplari come Dei essi
stessi, beati e illuminati, conoscitori del Vero: «A tale vista, il fortunato
spettatore dapprima è colto da meraviglia; poi viene spinto dal desiderio di
apprendere quanto alla natura umana è possibile, nella convinzione che
solo così potrà vivere la vita più nobile e felice in assoluto e, una volta
morto, andarsene verso i luoghi propri della virtù. Proprio come un uomo
iniziato ai misteri, in sé unitario e partecipe di un solo sapere, trascorre il
resto del tempo come spettatore delle realtà più belle che la vista può
offrire».

Perciò, a differenza di noi, gli antichi riconoscevano negli astri una divinità
lampante, che sotto gli occhi di tutti dettava la volontà divina, prima che
gli uomini attribuissero nomi e prerogative agli dei antropomorfi. Così, i
Solstizi, fenomeni che a quegli osservatori apparvero macroscopici e
carichi di significato, aprivano due volte l’anno uno spazio numinoso e
fermo, in mezzo al divenire delle stagioni, rivolgendone il corso in
senso ascendente e discendente. Non perché questo influenzasse una
mente ingenua e naturalistica, ma invece, proprio nel fenomeno
astronomico, piuttosto si inserivano spazi soprannaturali, indipendenti,
che sembravano svelare non la naturalità dei cicli terrestri, ma il presente
eterno che li sosteneva dal suo profondo imperscrutabile.

A questo punto, per parlare del Solstizio si devono riportare le classiche


citazioni di Omero e Porfirio che elucidano, partecipi della religione degli
astri, sul significato dei solstizi, o i passaggi che si aprono nel corso
annuale del Sole. Le splendide eccezioni, nel moto regolare quotidiano.
Omero descriveva nell’Odissea (XIII, 109-112) il misterioso antro nell’isola
di Itaca, nel quale si aprivano due porte: «L’antro ha due porte, una da
Borea, accessibile agli uomini; l’altra, dal Noto, è dei numi e per quella
non passano uomini, degli immortali è la via». Porfirio dà spiegazione
questi versi oscuri ne L’antro delle ninfe dove espone il transito
sull’eclittica del sole secondo la cosmogonia antica:

Dato che l’antro costituisce l’immagine e il


simbolo del mondo, Numenio e Cronio suo
compagno dicono che due sono nel cielo le
estremità, delle quali una non è più meridionale
del tropico invernale, e l’altra non è più
settentrionale di quello estivo. Quello estivo poi è
nel Cancro, mentre quello invernale è nel
Capricorno. Ed essendo per noi vicinissimo
alla terra il Cancro, a buona ragione (il suo
segno) è attribuito alla Luna che è prossima
alla terra. Mentre il Capricorno, essendo
invisibile più del polo meridionale, è
attribuito a quello che di gran lunga è il più
lontano e alto di tutti (gli astri) vaganti, cioè
a Kronos. […] Coloro dunque che parlano delle
cose divine ponevano essere due (il numero) di
questi ingressi: Cancro e Capricorno; e Platone
parla di due bocche. Di queste, il Cancro è
quella per cui le anime discendono, ed il
Capricorno quella per cui ascendono. Ma il
Cancro è settentrionale e atto alla discesa,
mentre il Capricorno è meridionale e atto
all’ascesa. E le parti di Settentrione sono proprie
alle anime che discendono verso la generazione.
E rettamente gli ingressi dell’antro volti a Borea
discendono per gli uomini, mentre le parti di
Meridione non sono proprie agli dèi, ma a coloro
che ascendono agli dèi. Per questa ragione (il
poeta) dice via non propria agli dèi, ma agli
immortali, comune anche alle anime che sono
per sé o per essenza immortali.

Bisogna farsi una ragione, a questo punto, che il momento solstiziale


dell’inverno non fu inventato da una religione concepita dall’uomo o
rivelata da dio, ma si dava da sé, sotto gli occhi di tutti, nella natura del
cielo. Ciò che chiamiamo Natale fu stabilito in epoca romana, sotto
l’influenza dei culti segreti di Mitra, che erano, come accade oggi, spiati
e conosciuti anche dai non iniziati e diventati inopinatamente popolari, per
cui si decise che la data del 25 dicembre, e più precisamente VIII Kalendas
Januaris, fosse il dies N. Invicti, il dies Natalis Sol Invicti.
Colui che naviga su una barca (il sole) fa vedere
la signoria che governa il cosmo. Come il pilota
presiede al timone restando distinto dalla
nave, così il sole presiede al timone di tutto
il cosmo restandone separato. E come
dall’alto della prua il pilota dirige tutto, dando
con un suo lieve movimento il principio primo del
corso, così, su un piano di gran lunga superiore,
il dio dall’alto dei principi di natura genera
indivisibilmente le cause primordiali dei
movimenti. [Misteri Egiziani]

Il Natale veniva quindi fissato dall’imperatore Aureliano il 25 dicembre,


quando dalla sosta apparente che si verifica a partire dal giorno 21, l’astro
solare è risalito visibilmente sull’orizzonte, riprendendo il suo ciclo. La
Chiesa romana, ignorando completamente quale fosse la vera data di
nascita di Gesù, accettò questa stessa ricorrenza, assumendo la Sua
figura a quella del Vero Sole, quella Luce preannunciata dalle Scritture.
Lucas Cranach il Vecchio, l’Età dell’Oro, 1530

L’Età dell’Oro
Ma ben prima che quei culti stranieri arrivassero a rimettere nuovi nomi
alle cose perenni, il periodo dell’anno era stato stabilito sacro e celebrato
da tempi remoti, con altri fondatori. Accadeva che Saturno giungesse nel
Lazio in esilio, dopo che Giove l’aveva vinto ed esautorato, e trovasse asilo
presso il re Giano. Restò con lui, a governare nel periodo che si chiamò
l’Età dell’Oro, in cui non esistevano diseguaglianze né conflitti sociali e
ovunque erano abbondanza e pace. Un’opera di divulgazione
ottocentesca riassume le vicende che legano Saturno a Giano e all’Età
dell’Oro:

Saturno, perduto il cielo e l’impero, si rifugiò in


quella parte d’Italia ove poi fu eretta Roma, e che
ebbe il nome di Lazio dal latino vocabolo Latere,
forse perché Saturno vi si celò cercando un
asilo. Giano, originario della Tessaglia, e
divenuto re del Lazio, accolse amorevolmente
l’esule Nume, e se lo fece compagno nel
supremo potere. Saturno, per gratitudine
dell’ospitalità generosa, lo dotò di così raro
intelletto e di tanta prudenza, che non
dimenticava mai il passato, e prevedeva il futuro;
laonde è stato detto che Giano aveva due teste
o due volti per conoscere tanto l’ uno che
l’altro, ed ebbe perciò il soprannome di bifronte.
Il regno di Saturno e di Giano in Italia fu chiamato
Età dell’Oro, ossia regno degli Dei e prima età
del mondo, perché sotto il loro savio governo gli
uomini vissero semplicemente e naturalmente
buoni, virtuosi, in pace, godendosi i beni della
terra, spontaneamente da essa prodotti. Ma le
età successive travagliate da nuovi bisogni, per
soddisfare ai quali nacquero le faticose arti,
furono denominate dall’argento, dal rame e dal
ferro, per significare il successivo traviamento
del genere umano. [da Corso di mitologia, o,
Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo:
Per la spiegazione dei classici e dei monumenti
di belle arti di François-Joseph-Michel Noël,
Charles-Pierre Chapsal, Pietro Thouar, 1861].
Giano diventa, per grazia di Saturno, la misteriosa figura divina a cui è
dedicato il mese di gennaio, che apre e chiude le porte (ianuae) del
ciclo annuale:

Tutto ciò che tu ti vedi attorno, il cielo, il mare, le


nubi, le terre, tutto è dalla mia mano chiuso e
aperto a piacere. Io ho la padronanza dell’intero
immenso mondo, a me solo è dato di
sconvolgerne i cardini. […] Nume dalla doppia e,
talvolta, anche quadrupla faccia, Giano era
invocato con numerosi appellativi: Patulcius
“che tutto apre” e Clusius “che tutto
chiude”, Geminus “duplice” e Bifrons
“bifronte”. Con queste caratteristiche Giano
estendeva il suo dominio sulla duplice sfera delle
entrate e delle uscite, in eterna conciliazione
degli opposti: passato e futuro, avanti e indietro,
interno e esterno, ecc. Giano esprime
nettamente quel preciso momento di
passaggio in cui passato e futuro
coesistono nel presente; è dunque […]
anche un dio del tempo, un dio del sole che
sorge e tramonta e che è quindi cosciente
contemporaneamente – grazie alle sue due
facce – della notte che si lascia alle spalle e
del giorno a cui va incontro. [Ovidio, Fasti]
Giano quindi è beneficiato del “dono” di Saturno, della divinazione del
tempo, cioè di stare al centro delle due direttrici, ascendete e
discendente, che segnano il volgersi degli eventi, quelli che scompaiono
infine anche dalla memoria e quelli che emergono sconosciuti per rivelarsi
in futuro. Giano sembra abitare il “vuoto”, avere in dono il discernimento
yogico, per cui con il distacco, che è il dono spirituale di Saturno, la sua
visione si situa al di là del tempo, dove gli eventi temporali sono
contenuti seminalmente, quando ancora o per sempre sono sconosciuti
ai comuni mortali. Dalla felice associazione del saggio Giano con il potente
e spodestato Saturno, il tempo del loro regno, dettato dal distacco e dalla
veggenza, sarà definito Età dell’Oro, quando gli uomini vissero per un
periodo in piena felicità. Nelle descrizioni che li vogliono cibarsi dei frutti
spontanei della terra, essi sembrano vivere come gli Yogi del respiro
stesso della natura. Nella tradizione romana, però, è Saturno, come
Osiride in Egitto, a insegnare agli italici l’arte dell’agricoltura, con cui il
respiro della natura si unisce proficuamente all’opera umana. Saturno
infatti secondo Varrone e Macrobio derivava dal verbo serere (seminare).

La toponomastica di Roma ancora ricorda il mitico doppio regno: Giano,


dalla sua dimora sul Mons Ianiculus, e quella del suo benevolo ospite
Saturno, Mons Saturnius, e che in futuro sarebbe stato conosciuto col
nome di Campidoglio. Nella pittura rinascimentale, il topos dell’Età
dell’Oro è rappresentato come un giardino in cui uomini e donne nudi
danzano attorno alla fonte della giovinezza eterna, la fonte
dell’ambrosia, che tutti nutre senza diseguaglianze e liberi da
malattie. Forse memori di questo, la pantomima della felicità – ormai
lontana – era celebrata con i Saturnalia che si svolgevano a Roma dal 17
dicembre per alcuni giorni, presumibilmente fino al solstizio, in cui i ruoli
sociali erano invertiti o aboliti, come un breve e fugace assaggio dell’età
felice forse, ma anche come uno scherzo irrimediabilmente malinconico
dell’ebbrezza, in cui un servo poteva per un giorno diventare “re”, e poi
ogni cosa sarebbe ritornata al suo posto. Il tempio di Saturno, dove era
custodito il prezioso erario dello stato, si richiudeva, e la statua, cosparsa
d’olio, veniva avvolta in strette bende di lana, perché non potesse oltre
manifestare quella liberalità che gli era concessa solo nei periodi a lui
dedicati. E le sue porte si chiudevano fino all’anno venturo.

L’Epimonide, di cui citavamo il passo in apertura, sembra però segnalare la


facoltà del pianeta Saturno quando si decide chi sarebbero coloro che
meglio di altri, come Giano, possono discernere la volontà dei cieli e degli
astri, un primo ritratto del “nato sotto Saturno”, colui che “nasce con
grande fatica”, come legislatore saggio, che avrebbe avuto alterne fortune
di mago e di profeta, o di artista e di sacerdote, anche per molto tempo a
venire:

Nessuno potrà mai convincerci che esiste, per il


genere mortale, virtù più grande della devozione
agli dèi: va detto, purtroppo, che essa non ha
potuto attecchire nelle nature più nobili, per via
di una profonda ignoranza. Le nature migliori
sono quelle che nascono con grande fatica,
ma, una volta formate, sono davvero
preziose. In effetti, quando un’anima
accoglie in sé, con moderazione e
gradatamente, movimenti lenti e di
carattere opposto, avrà un buon carattere:
ammirerà il coraggio, sarà incline alla
temperanza e, cosa più importante fra queste
doti naturali, avrà la capacità di apprendere e di
ricordare; potrà, insomma, godere a pieno di
queste cose, tanto da diventare amante della
scienza. Non è impresa facile, per queste
nature, venire generate, ma, una volta nate e
favorite da un’educazione e da una formazione
adeguate, avranno il potere di dominare, nel
migliore dei modi, la massa di chi è inferiore a
loro, grazie alla forza del loro pensiero, alle loro
azioni e alla loro capacità di parlare degli dèi nel
modo e al momento giusti, facendo riferimento
ai sacrifici e ai riti di purificazione che riguardano
dèi e uomini, senza ricorrere ad atteggiamenti
subdoli, ma onorando davvero la virtù:
quest’ultimo, fra tutti, è l’aspetto più importante
per il bene della città intera.
Vincenzo Cartari, Saturno, da Le Imagini delli Dei degl’Antichi, XVI secolo

Le Apocalissi
Nel Cristianesimo il ricordo onomastico di San Giovanni Battista e San
Giovanni Evangelista contrassegna i due solstizi, servendosi
dell’assonanza tra i nomi di Giano e Giovanni. Il loro Nome dà inizio al
tempo del Solstizio, quando la linea temporale dell’anno per un attimo è
fermata, arrestata e aperta, perché possa essere osservata e compresa.
Ad alcuni veggenti dell’antichità questo passaggio era stato rivelato
in visione come una apocalisse, o la rivelazione di cose nascoste: il
momento in cui il tempo si ferma ed è come se il cosmo aprisse il velo
per lasciare scorgere il suo funzionamento interno. Così sono la
visione di Er e la visione di Empedontimo, o il sogno di Scipione — e
quindi l’Apocalisse per definizione, quella di Giovanni, il veggente che
appunto è celebrato in questa data –, esempi di questo funzionamento
“apocalittico” del tempo: dove la dimensione temporale è come se
velasse un meccanismo sottostante, di rotazione, che informa i cicli
cosmici, il transito delle anime tra la vita e la morte, e in egual misura
le stagioni.

Quello che nella visione apocalittica si dispiega in forma cosmica è il


transitus animae, la visione della circolazione dei soffi vitali, se si potesse
vedere in essi trascorrere gli dei e i trapassati, i nascituri e i cicli stagionali,
nel corpo dello yogi divinizzato in universale. In sostanza, lo yogi
potrebbe osservare questo Solstizio cosmico se fermasse la propria
mente e il respiro come il sole “ferma” il suo corso, per rinascere nel
suo ciclo ascendente. Questo arresto è per lo yogi l’Età dell’Oro,
l’apertura del pozzo del nettare, da cui discende la beatitudine
dell’estasi, la felicità che si dispenserebbe a tutti i canali vitali, come
ai vivi, ai morti e ai cieli. Cosa realizzerebbe lo Yogi che ha veduto il
cosmo ruotare sul proprio asse, nello spazio del proprio corpo, sostenuto
dai soffi vitali? Realizzerebbe l’Unico Essere, in cui tutto il cosmo e i suoi
cicli sono contenuti, che trascende tutti questi elementi, singolarità e
traiettorie, come una coscienza trascende la somma degli organi e delle
funzioni che sostengono il corpo. Egli è (tutto) ciò che è, la forma sottile
dell’esistente, la forma del soffio di tutte le manifestazioni, che compaiono
sullo scenario del vivente come dinamica ascendente-discendente.
Così si mostra Krisna ad Arjuna nella Bhagavad Gita, di fatto in una scena
apocalittica. Nel corpo cosmico divino tutti gli esseri, passati presenti
e futuri, stanno facendo ritorno, divorati dal Tempo e allo stesso
tempo riemergono alla vita, secondo la linea ascendente o
discendente delle loro azioni. Così come il cosmo, allo stesso modo,
ha un moto di manifestazione, o di espansione, simile al giorno, e un
moto contrario, notturno, di riassorbimento e di latenza. Al termine
della fase di latenza, come al risveglio, viventi, demoni e creature celesti,
riprendono il loro posto e ricominciano il ciclo. Ma al fondo di tutto questo,
Dio, l’Essere Supremo, resta inalterato, come esistenza pura, nella fase
diurna e in quella notturna, nella manifestazione come nel riassorbimento,
nella luce e nel buio, oltre le dualità. Chi conosce Dio conosce questo
fondamento immutabile, che abita allo stesso modo la coscienza, come
testimone del cambiamento degli stati, e non è coinvolto nelle fasi di
espressione e di riassorbimento del mondo, non è più soggetto al divenire,
vive nell’eternità.

Il ciclo della vita e della morte avviene attraverso lo stesso corpo cosmico
divino, come onda del suo respiro, descritto nelle forme che si
dinamizzano attraverso la sua persona. Come una apocalisse, la visione
dispiegata da Krisna mostra il destino delle anime e l’avvicendarsi dei
tempi. La visione ha lo scopo di mostrare il tempo dei mortali e il tempo
eterno, nella loro reciproca relazione. Krishna è l’Eterno, dove ogni
modificazione, che nel tempo è frammentata, avviene simultaneamente.
Vanno e ritornano dalla vita alla morte e di nuovo alla vita, coloro che con il
sacrificio agli antenati hanno versato le offerte scarificali, che rientrano
come il seme attraverso la pioggia. Chi ha colto la spinta ascensionale
all’Uno, invece, vedendolo attraverso il cielo fermo della rivelazione
divina, va verso l’immortalità. In Occidente, gli antichi veggenti
compresero questo duplice passaggio che informa la Natura della Grazia,
con la visione dei Solstizi: da un lato dell’anno solare è posta la porta degli
uomini, dall’altra la porta degli dei:

[Empedotimo] si ritrovò improvvisamente solo, a


mezzogiorno, in un luogo deserto e disse di
essere stato testimone (in quel momento e in
quel luogo) di un’epifania di Plutone e
Persefone, che lo illuminò su come la luce ruoti
ciclicamente intorno alle due divinità, e che con
ciò realizzò l’intera verità a proposito delle
(nostre) anime, in forma di visioni che osservò
direttamente. [Proclo, fr. 93]

Il movimento verticale, quello che da sud volge a nord, che viene indicato
nello yoga come la via dei Siddha, ed è quello che il Sole si appresta a
compiere nel solstizio di inverno, perciò detto la Via degli Dei. Direzione
presieduta da Saturno, il vecchio Cronos, colui che divorava i suoi figli,
o il dio agricolo, che conserva i semi nel sottosuolo, come custodisce i
tributi dei cittadini nell’erario. Divora perché, al momento opportuno, il
seme possa dare frutto. Dissecca, perché il seme, per dare frutto,
deve prima morire, sepolto.

Il sacro è il luogo in cui la logica della causa e dell’effetto deve sortire


un paradosso, un luogo di assoluta alterità, di non causalità – in
questo periodo, in cui il sole entra nel regno di Saturno, nasce il
Bambino immortale, il moto ascendente, verso l’eterno, l’atemporale:
ciò che Saturno non può divorare, che resta Puer Aeternus, mai
sottoposto al tempo. Il 25 dicembre, con la ripresa del moto regolare del
sole, in senso ascendente, si celebra perciò il dischiudimento verticale,
l’inizio e l’epifania di questa Rivelazione. Il Sole, invitto, ritorna a illuminare
la terra. Partendo dal luogo più oscuro, di minore visibilità, dunque di
contrizione e di limitazione, o di esilio: la grotta, la pietra, il luogo in cui
l’Atman è nascosto nel cuore dell’uomo, seme divino. È dunque questo il
Puer-Senex, che certe raffigurazioni medievali del Bambino Gesù
descrivono come un neonato il cui volto è di anziano. Perché egli è
l’Eterno, il non nato.
Fermo è il cielo della Nascita del Sole, si fermano il cielo e la terra
nella notte di Natale, secondo il racconto del Protovangelo di Giacomo.
Giuseppe si aggira per le campagne in cerca di una levatrice, ci sono
pastori accampati in giro che vegliano le greggi, è periodo sicuramente
non invernale, ma il suo significato è immutato. È mezzanotte, quando il
ciclo del giorno raggiunge un culmine che segna il nuovo inizio, come un
solstizio. «E io Giuseppe stavo camminando, ed ecco che non
camminavo più. Guardai per aria e vidi che l’aria stava come attonita,
guardai la volta del cielo e la vidi immobile, e gli uccelli del cielo erano
fermi. Guardai a terra e vidi una scodella e alcuni operai sdraiati attorno,
con le mani nella scodella: e quelli che stavano masticando non
masticavano più, e quelli che stavano portando alla bocca non portavano
più, ma i visi di tutti erano rivolti in alto. Ed ecco delle pecore erano
condotte al pascolo e non camminavano, ma stavano ferme, e il pastore
alzava la mano per percuoterle col bastone, e la sua mano restava per
aria. Guardai alla corrente del fiume e vidi che i capretti tenevano il muso
appoggiato e non bevevano; e insomma tutte le cose, in un momento,
furono distolte dal loro corso». I pastori, il cui mestiere è sorvegliare e
vegliare, assistono dunque al prodigio, che nel cielo buio di allora si
manifesta in tutta la sua potenza.
Girolamo Olgiati, incisione dal Rilievo del Phanes di Modena, 1569

Aion, l’Eterno Pantocratore


Nelle celebrazioni di Mitra, la prima esponeva la nascita dalla Pietra, che
coincideva con il Solstizio invernale, mentre una seconda celebrazione,
dodici giorni dopo (come dopo un anno simbolico) accadeva il 6 gennaio,
nella ricorrenza della nascita di Aion. Queste due “nascite”
rappresentavano le due modalità in cui era concepito Mitra, quale Signore
del Tempo. Secondo alcuni autori, la prima nascita era intesa come il ciclo
temporale, riferito all’avvicendarsi dell’anno, e la seconda in riferimento al
Tempo Infinito. Oppure, per dirlo con le parole di Platone: «Il Tempo
(Cronos) era l’immagine in movimento dell’Eternità perfetta (Aion)».
Iconograficamente lo troviamo raffigurato come un ragazzo con la testa
leonina, con uno scettro, una chiave ed un fulmine tra le mani, avvolto da
un serpente che intorno al suo corpo compie sette giri e mezzo,
corrispondenti alle sfere celesti. Nel IV secolo, in Egitto, insieme alla
festività della nascita del Sole, celebrata al Solstizio invernale, Epifanio
descriveva la nascita di Aion celebrata il 6 Gennaio:

Ogni anno, presso il santuario (Koreion) si


teneva la festa per la nascita di Aion. I fedeli
trascorrevano la notte vegliando,
accompagnandosi con musiche sacre. Al primo
canto del gallo, alcuni di loro si spostavano,
reggendo le torce, verso la cappella sotterranea,
da cui prelevavano un idolo ligneo, seduto su
una sorta di lettiga, segnato con cinque sigilli a
forma di croce, uno sulla fronte, due sulle mani,
due sulle ginocchia. Questo idolo era portato in
processione, compiendo sette volte il giro della
cappella interna del tempio, salutato con suono
di flauti e tamburelli e con il canto degli inni.
Infine, l’immagine era riposta nella cripta. Alla
richiesta di una spiegazione del mistero, i fedeli
rispondevano: “In questo giorno e in questa
ora la Vergine (Kore/Atena/Iside) ha dato
alla luce Aion”.

Plutarco che dice che Neith-Atena era identificata con Iside, il cui titolo
era Kore, tra i molti altri, e di cui scrive: «A Sais, nell’andito di Neith, che i
greci identificano con Atena, si trovava un’iscrizione in cui la Dea
esprimeva se stessa in questi termini: “Io sono tutto ciò che è stato e che
sarà, e nessun mortale ha sollevato la mia veste (cioè, ‘sono vergine’); il
frutto del mio grembo è il Sole”». Aion è una parola che mostra il midollo
vivo del mito e della teologia, Aion è il seme del vivente, di tutto ciò che
vive, il Protogonos, è padre e madre, abita il cosmo, lo emana senza
emanazione, lo è. Si trova nel “midollo”, come sede della vita, quindi “forza
vitale”, durata della vita umana, amplificata nella durata delle generazioni,
per raggiungere senza modificazioni al tempo illimitato, che scorre
incessante, l’eternità. È l’eternamente incarnato. Il luminoso invisibile
reggitore del vivente. Esiste nel manifestarsi, è pura manifestazione
di sé, avvolto nel serpente dello Zodiaco.

Energia luminosa, coscienza di essere, è detto Phanes, epifania, mostrarsi


di sé dell’essere, nudo, coperto di stelle, destino di cui è padrone e
signore, l’asse centrale del cosmo, che è un fanciullo, con la testa di leone,
solare. Ermafrodita, come lo sono gli uomini che abitano il mondo da lui
creato, l’età aurea. E tra Aion e Ianus sembra comune denominatore,
Vayu, il soffio che tutto attraversa, dio vedico dell’elemento vento e
respiro di ogni vivente, il Pneuma divino che si fa psiché. Il Prana, che
controllato e purificato, guida lo yogi all’incontro col Supremo, alla
realizzazione del Sé. Egli si svela essere il Sè, l’Assoluto che vive nel
cuore dei viventi, che dai viventi può essere veduto. Questa sembra
essere la Stella veduta dai Magi, che si incamminano per incontrarla
direttamente, per osservare di persona quale prodigio stia manifestando al
mondo: egli sarà un re, sarà l’inizio del nuovo Evo. Giungono alla grotta il 6
gennaio, per vedere comparire ai loro occhi l’Osiride/Aion nato dalla
Vergine.

A lui si chinano i Re Maghi, che conoscono il meccanismo celeste,


prima religione universale: la religione siderale da cui tutte le religioni
tradizionali prenderanno origine. Il primo, il Sole Invitto nel tempo, come
Prajapati sarà uno e molteplice, spezzato nella creazione, nell’anno, nei
mesi, nei giorni e nelle espressioni rituali, come sarà spezzato il Corpo
santo nell’eucarestia, e Zagreus nelle bocche dei Titani e quindi nascosto
nel cuore degli uomini; il secondo è inalterabile, l’origine invariata di tutto
ciò che si manifesta in molti, in vita e morte, in ciclo e rinascita, colui che
rinasce sempre nei molti che nascono. Colui che sta al centro delle
direttrici del tempo, a partire da lui, attorno a lui si avvolgono le spire
del tempo, il ciclo zodiacale, attraversato dal sole fisico. I due, il Sole
che si dipana e si sacrifica nell’anno e il Phanes pantocratore, sono
uno solo. Dunque il Mago, il Siddha, arrestando il tempo con il proprio
respiro, fissato il Sole al fondo oscuro del proprio essere temporale,
osserva accadere la Stella, il disvelarsi dell’Eterno nel cuore immoto
del tempo…

Il Calendario di Alfredo Cattabiani riporta numerose cronache e


leggende della Nascita e dell’Epifania, tra cui la Cronaca di Zuqnin. I Magi
videro qualcosa «simile a una colonna di luce ineffabile la quale scese e si
fermò sopra la caverna […] E al di sopra di essa una stella di luce tale da
non potersi descrivere: la sua luce era molto maggiore del sole, ed esso
non poteva competere con la luce dei suoi raggi; e come nei giorni di
nissan la luna è visibile di giorno e quando sorge il sole è inghiottita nella
luce di esso, così appariva il sole quando la stella sorse sopra di noi».

Appena la stella si fermò sopra la caverna «vedemmo», narrano i Magi,

ancora aprirsi il cielo come una grande


porta e uomini gloriosi portare sulle loro
mani la stella di luce; e scesero e si
fermarono sulla colonna di luce, e tutto il
monte fu pieno della sua luce ineffabile a
bocca umana. E vedemmo qualcosa simile a
una mano d’uomo, più piccola ai nostri occhi
della colonna e della stella, tale che non
potevamo guardarla, e ci rafforzammo e
vedemmo la stella che entrava nella Caverna dei
Tesori Occulti, e la caverna splendeva oltre
misura; e udimmo una voce umile e soave che ci
chiamò e disse: “Entrate dentro senza dubitare e
con amore, e vedrete una vista grande e
mirabile”. Ed entrammo timorosi […] E
obbedendo alla sua parola, gettammo i nostri
sguardi e vedemmo quella luce ineffabile a
bocca umana, che si era concentrata in sé e ci
apparve nella corporatura di un uomo piccolo e
umile, e ci disse: “Salute a voi, figli dei
Misteri Occulti”.

Il Cristo che svela ai Magi la sua missione salvifica mostrandosi a ognuno


con un aspetto diverso: come bambino, come giovane, come uomo brutto
e afflitto, oppure crocifisso o mentre scende negli Inferi, a significare che
egli è l’Unità nel molteplice. Poi la stella li accompagna, provvedendo loro
viveri e rendendo il viaggio agevole, fino alla grotta di Betlemme dove i
Magi vedono «la colonna di luce scendere e fermarsi davanti alla caverna,
e scendere quella stella di luce e fermarsi sulla caverna, e angeli alla sua
destra e alla sua sinistra […] E la colonna, la stella e gli angeli entrarono
e avanzarono in quella caverna dov’era nato il mistero e la luce di
vita». Deposti i doni e ascoltato il Cristo, che rivela loro ancora una volta
la sua missione di Salvatore, i Magi ripartono per l’Oriente; e mentre
stanno riposando al termine della prima tappa, riappare «il segno della
luce» svelandosi:

Io sono in ogni luogo e non v’è luogo ove non


sono; io sono dove voi mi avete lasciato perché
io sono più del sole del quale non v’è luogo del
mondo che ne sia privo, pur essendo esso uno,
e se venisse meno al mondo, tutti i suoi abitanti
starebbero nella tenebra. Tanto più sono io che
sono il Signore del sole, e la mia luce e la mia
parola sono maggiori di quelle del sole.

Lucas Cranach il Vecchio, Adorazione del Bambin Gesù da parte di San Giovanni Battista, circa 1530-40

Considerazioni sulla Grande Congiunzione di


Giove e Saturno
Infine, concludo questo breve viaggio tra i misteri (alti e ridicoli, perché
perfettamente incomprensibili per chi non avesse pratica), con una nota
sulla congiunzione di Giove e Saturno che si apprezza nei cieli di questo
Solstizio e che appassiona i curiosi di astrologia. Giove è stato
effettivamente il Signore degli dei, prima che il cosmo eliocentrico lo
soppiantasse nella teologia ancora prima che nell’astronomia.
Eppure, quale Figlio e Padre, è egli stesso l’Aion. E come tale, la sua
nascita è minacciata, preceduta da una strage degli innocenti e
quindi nascosta in una grotta, dove attende di essere rivelata. È Zeus,
il padre degli esseri, prima che i suoi figli lo dimenticassero, come un
Prajapati abbandonato dagli armenti. È la sua una storia che si ripete, uno
dei volti del senza volto, il Fanciullo. Secondo alcuni, fu l’allineamento di
Giove e Saturno a essere visto dai Re Magi per divinare l’evento della
Nascita.

L’impero del mondo apparteneva a Titano,


perché era fratello maggiore di Saturno; ma ad
istanza di Cibele, Titano lo cedé al minore, a
condizione che questi non allevasse figliuoli
maschi. Saturno osservò i patti; ed essendo in
lui personificato il Tempo che distrugge tutto ciò
che egli stesso produce, la favola con bene
accomodata allegoria fingeva eh’ei divorasse i
figliuoli. Ma vedremo poi come le promesse
incaute, consigliate da sfrenata e crudele
ambizione, tornino a danno di chi le fa. Intanto
Cibele, sorella e moglie di Saturno, avuti due
figliuoli ad un parto, Giove cioè e Giunone, fece
veder solamente questa al marito, e gli tenne
celato Giove, offrendogli in sua vece una pietra
che da Saturno fu subito divorata. E ciò fece
anche quand’ebbe gli altri due figli Nettuno e
Plutone. Giove fu dato a educare alle Ninfe del
monte Ida nell’Isola di Creta ed ai sacerdoti di
Cibele, chiamati Cureti, Galli, Coribanti o Dattili;
e la capra Amaltea gli fu nutrice. Narrasi che le
Ninfe e i Coribanti, che furon poi anche
sacerdoti di Giove, per celar meglio a Saturno i
vagiti del Nume in fasce, si ponessero a ballare
suonando i cembali e battendo fra loro molti
scudi di bronzo. Finalmente questa cautela non
valse, e Titano scoprì la frode; laonde per non
vedere esclusi dal trono i Titani suoi figli, mosse
guerra a Saturno, lo vinse, e lo imprigionò con
Cibele in angusto carcere; ma poi Giove da buon
figliuolo venne a capo di liberarli ambedue […].
Poiché Saturno udì dal Destino che Giove gli
avrebbe usurpato il regno, appena fu libero, gli
mosse guerra; ma Giove lo vinse; e temendo
che il padre usasse un’altra volta a suo danno
della libertà che gli avea procurata, lo discacciò
dal Cielo. [da Corso di mitologia, o, Storia delle
divinità e degli eroi del paganesimo: Per la
spiegazione dei classici e dei monumenti di belle
arti di François-Joseph-Michel Noël, Charles-
Pierre Chapsal, Pietro Thouar, 1861]
Abbiamo già visto sopra come prosegue poi la storia di Saturno esiliato,
giunto in Lazio, presso Giano. Come si apprende dalle vicende
mitologiche, Saturno e Giove sono i due regnanti sovrani del destino.
Giove si potrebbe intenderlo come la via Maestra, dove si lavora e si regna
tanto quanto l’impegno è proporzionale; di questo eccellere si godono i
frutti, quindi si lasciano continuità di sé, come i numerosi figli di Giove.
Perciò Giove è espansione, conquista. Il beneficio che da Giove ci si
aspetta, in realtà, è subordinato alla volontà del sovrano, al suo favore.
Occorre che come una Leda si permetta al Signore olimpico di fecondare
il campo di suo interesse, e che assuma la forma e i modi che deciderà
appropriati al suo volere. Perciò Giove è benevolo, risolutore, fecondo,
abbondante, ma agisce ossessionato dall’incubo di essere divorato
dalla morte, che è l’antagonista della creazione, e di doversi perciò
riprodurre in mille forme, fuggendo così alla morte — come fece
Prajapati di cui è un multiplo tra i multipli, eponimo della molteplicità e
moltiplicatore — propagando la sua fecondità in quanto tale: brillare,
riflesso in mille forme e abilità, eccellere. Il suo nome sarà quello di tutto
ciò che eccelle, che attira a sé, che seduce, che conduce a rappresentarsi
e a farsi esemplare. Per ciò gli indiani lo chiamano il Maestro, perché il
vero seme è la conoscenza, il vero beneficio è risolvere gli enigmi che
decreteranno il Re, e gli ostacoli prima insormontabili, e il frutto migliore è
l’eccellenza in qualsiasi campo. Giove è ciò che dell’umano si sottrae
alla morte moltiplicandosi, che continua e su propaga, e che è di
guida e di beneficio per sé e per gli altri.

Saturno non è meno generoso, ma più anziano, anteriore, l’evento


uguale ma precedente, ormai fissato; la sua sfera di azione è il
controllo, la regola, il sigillo, e quel limite che segna è il luogo del
superamento, dove il vecchio trattiene il nuovo fino a maturazione. Il
suo compito è custodire i semi, finché non è giunto il tempo. Cronos
custodisce l’Aion, apparentemente lo frena e lo sacrifica. Senza il padre
Saturno, sembra suggerire la storia olimpica, non ci sarebbe Giove, ma
Giove c’è a dispetto di Saturno e delle sue minacce. Di fronte alla strage
degli innocenti, il neonato Giove, il seme del mondo, l’evo venturo (Aion)
deve restare nascosto nella grotta, accudito da una capra, circondato
dalle api. È per sottrarsi a Saturno che è imposta questa ascesi, che
nello stesso tempo è Saturno stesso, la restrizione, la frugalità,
l’attesa di una rivelazione regale che verrà e che stabilirà una nuova
stagione degli eventi. Giove corona, come un re, le vicende terrene
dell’essere umano, ma Saturno è lo stratega, che può proiettare la durata
e la portata del destino oltre il suo limite “naturale”. Maestro di Giano,
conosce il passato e il futuro, la chiave di volta di eventi che singolarmente
percepiamo discontinui, conosce la salita e la discesa delle anime, è il
giudice Tempo, il custode e la minaccia della nascita segreta di Aion. Oltre
la sfera di Saturno, o del tempo, si accede al superamento della
dimensione individuale, della vita minima e privata che appassiona le
persone comuni, ma le stringe nel Samsara. Saturno segna destini
grandi e tragici, a volte molto cupi, ma mai banali.

Perciò cosa succede quando si verifica la congiunzione? È un punto di


divinazione del senso del destino, della strategia superiore che guida le
nostre vite. Non potrebbe accadere in un momento più propizio del
Solstizio d’Inverno, la Kumbha di quattro unità, del Pranayama del cosmo.
Questo punto dell’anno è carico di semi ancora sepolti pronti a
ritornare alla vita, a rimettersi nel circolo delle esperienze. È altresì la
porta verticale, dove ciò che ha terminato il suo ciclo terreno, ben
sveglio, ascende a un livello superiore, alla via degli Dei.

Più che a noi, a cui siamo abituati a riferire tutto, si deve pensare che una
congiunzione interessa soprattutto coloro che stanno nascendo.
Riflettevo tra me che, nonostante la preoccupazione generale che si
proietta su questo evento, in sé non è paragonabile alla tensione
“esplosiva” di una congiunzione Urano-Saturno, ad esempio. E qualcosa
mi ha bisbigliato all’orecchio di verificare il tema natale di mio nonno
materno. Era del 1897. E lì trovo proprio la congiunzione Urano-Saturno
con cui facevo il paragone. Se l’anno in sé non presenta eventi particolari,
furono però proprio “i ragazzi del ’97” a partire per la Grande Guerra,
quelli nati sotto la congiunzione forse più pericolosa che si possa
identificare. Questo perché, di fronte ai grandi eventi, si deve spostare
l’attenzione al mondo più vasto attorno e dopo di noi, che è quello
strategicamente interessato ai fatti che si determinano in cielo. Noi
saremo certamente in cuor nostro chiamati a chiederci se abbiamo
fatto tutto quello che potevamo, e se abbiamo colto la voce del
destino-Saturno, e se l’abbiamo portata, nonostante debolezze e
ostilità, alla sua migliore espressione, proprio come Giove. Ma più di
questo non possiamo proiettare, perché il nostro futuro, di già nati, si trova
esattamente alle nostre spalle.

Infine ecco che tutto accade nell’Acquario, a rappresentare ciò che tutti
desideravano, l’Età dell’Acquario: adesso che ce l’abbiamo davanti non
sembra essere quello che si aspettava. Si presenta subito una stagione
fredda e solitaria, narcisistica e ipertecnologica, proprio come l’Acquario.
Opposta al calore leonino, dove ci si abbracciava felici, come animali
stretti nel proprio amorevole e feroce branco famigliare e locale — al
contrario l’Acquario come Ida e Pingala è il soffio freddo, intelligente, che
ama la distanza, tesse relazioni, ma non legami, conosce, studia, ma, non
poco, giudica, esclude, sceglie, discrimina. Ma questo è il respiro del
tempo, il flusso che scende e il soffio che sale. Noi siamo la “cosa”
che scende e che sale, il soffio immortale. Come semi da cui tutto
nasce e si espande.

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