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Antonio Montanari

Rimini ieri 1940

Edizione informatica 2011

Giugno 1940. La gente pensa alle vacanze. Lo spettro


della guerra si avvicina sempre più. «I borghesi
benestanti scelgono Rimini, palestra delle pose
statuarie dei gerarchi e passerella delle dive
autarchiche, oppure Riccione, di gran moda perché
l'ha lanciata Mussolini, che arriva a sorpresa su un
idrovolante bianco tra gli sguardi curiosi dei presenti
e nuota vigorosamente nell' "amarissimo Adriatico",
circondato dai fotografi in pattino. A Milano
Marittima si ha il privilegio di vedere i Balbo e i
Grandi…». (1)
Il 31 maggio nel teatro Vittorio Emanuele di piazza
Cavour a Rimini, si è tenuta una manifestazione
patriottica del regime. Piero Pedrazza, un corsivista
del Resto del Carlino, noto con il soprannome di
"Camicia nera", ha parlato agli universitari sul tema
«Vigilia d'armi».
«Il popolo scalpita»

Il suo è uno dei soliti discorsi infiammati del Ventennio, con in più la
prospettiva del conflitto: «Tuonando contro le potenze
demoplutogiudaiche», l'oratore ha esclamato anche che il popolo
italiano «bramoso di scendere in campo, "scalpitava come polledra di
sangue generoso"». (2)
Il loggione aveva battuto le mani, anche se in modo eccessivamente
vivace e sospetto: gli universitari fascisti scherzavano col fuoco.
Quegli applausi «troppo scroscianti e insistenti» erano stati attribuiti
«alla forte fede e all'esuberanza di quei figli di Mussolini i quali fra
poco avrebbero impartita una sonora lezione a coloro che ci tenevano
prigionieri del nostro mare». (3)
Tra gli universitari, tira aria di fronda. E' già successo altre volte. Ad
esempio, alle Idi di Marzo del 1939, quando il ritmo militare della
sfilata era stato inframmezzato da «impercettibili passi di danza» sul
motivo della «Danza delle ore» di Ponchielli, proprio sotto il palco delle
autorità e davanti alla statua di Giulio Cesare, dono del duce a Rimini.
«Ad un campione italiano dei medioleggeri, che era sul palco - Benito
Totti - … non erano però sfuggiti quei passi insoliti e diversi. E, sceso
dal palco, quel campione aveva cercato di raggiungere i camerati (tra
i quali Luigi [Titta] Benzi, Guido Nozzoli, ecc.) che si erano dati alla
fuga. Era riuscito, comunque, ad affibbiare un cazzotto ad uno di essi
rimasto in coda, Ennio Macina, figlio di un ex sindacalista che negli
anni Venti aveva conosciuto il "santo manganel"». (4)

«L'edificio in briciole»

La fronda nascosta diventerà lentamente opposizione vera, in molti di


questi giovani. Le goliardate cederanno il passo ad un impegno serio e
drammatico. «Cominciò ad incrinarsi in noi qualcosa di quel fragile
edificio in cui avevamo vissuto il periodo avventuroso e struggente
della giovinezza. E in breve tempo l'edificio, data la sua scarsa
consistenza, andò in briciole», racconta Nozzoli. (5)
Arriva il 10 giugno, lunedì, una giornata molto calda anche sotto il
profilo meteorologico. L'Italia dichiara guerra alla Francia e
all'Inghilterra. Dalle prime ore del mattino viene annunciato per le
strade il discorso del duce al popolo italiano. Renato Rascel (che il
regime ha costretto a chiamarsi Rascele), scrive un motivetto che
recita in una sua rivista : «E' arrivata la bufera». Chi vuol capire,
capisca.
Sui tavoli dei caffè, gira la Gazzetta dello Sport che racconta in prima
pagina: «Il coscritto Fausto Coppi è il vincitore del 28° Giro d'Italia
che, nel doppio segno della giovinezza e della tradizione, ha recato
alle folle sportive d'Italia la testimonianza della gagliardia e della
serenità della Patria in armi». Tutti i Salmi finiscono in Gloria. Il foglio
sportivo è l'unica cosa rosea di quel giorno.
Alle 18, Mussolini si affaccia al balcone di Palazzo Venezia a Roma,
per parlare alla nazione: «Scendiamo in campo contro le democrazie
plutocratiche e reazionarie dell'Occidente».
La radio trasmette il discorso del duce (settecento parole), in tutte le
piazze del Paese e davanti alle sedi del partito fascista. Donna Rachele
è da una settimana al mare a Riccione, con i figli piccoli. Bruno è
militare, Vittorio non ha dato notizie di sé.
Ciano annota nel suo «Diario»: «La notizia della guerra non sorprende
nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. L'avventura comincia. Che
Dio assista l'Italia». (6)
Molta gente piange: chi ricorda il '15-'18, sa che cosa significhi guerra.

«La parola d'ordine»

«La parola d'ordine: Vincere!», tuona Mussolini. «Dalla folla si alza un


immenso grido», commenta il Corriere della Sera che intitola a nove
colonne: «Folgorante annunzio del Duce», sotto l'occhiello che riporta
la parola d'ordine di Mussolini: «Popolo italiano corri alle armi».
«Rimini non andò incontro alla guerra. Fu questa che le venne
addosso. Rimini non vi pensava. Si svolgeva lontana e, allora, perché
preoccuparsene? E che cosa, d'altra parte, avrebbe potuto fare»,
scriverà Oreste Cavallari. (7)
Anche Rimini, come tutte le città, era stata mobilitata quel
pomeriggio: «Il 'campanone' aveva mandato lugubri rintocchi, a cui
avevano fatto eco quelli di tutte le altre campane». (8)
L'ordine era arrivato da Roma, tramite le prefetture: per l'adunata
non si dovevano usare le sirene, che dal 6 giugno erano state adottate
come segnale per gli allarmi aerei, ma soltanto campane, trombe e
tamburi. (9)
«Dalla sede di via Cairoli, drappelli di balilla tamburini, si erano
diramati per strade e quartieri del centro e della periferia a suscitare
suspense con il rullo dei loro tamburi». (10)
Dovunque, erano apparsi i tricolori.

Applausi dei fedelissimi

Il discorso di Mussolini trasmesso per radio si conclude con applausi e


grida della gente a piazza Venezia. A Rimini, scrive Faenza, "la voce
del duce era piovuta sulle teste dagli altoparlanti di piazza Cavour e di
piazza Giulio Cesare. Applausi e invocazioni erano partiti da nuclei di
fedelissimi in orbace o in camicia nera. Poi c'era stato l'oscuramento e
anche un iniziale pattugliamento notturno di questurini integrati da
avanguardisti della GIL». (11)
Leggiamo la testimonianza di Cavallari: «Il 10 giugno del 1940 non ci
fu qui alcun entusiasmo. Ero in piazza Cavour per sentire il discorso.
Qualcuno parlò ad un gruppo di studenti. Quando gli studenti mi
passarono davanti - io ero appoggiato al muro del caffè Commercio -
lessi i cartelli. Irridevano alla Francia e all'Inghilterra. Nel complesso
fu una cosa miserella». (12)
Rimini rispecchiava l'Italia: tutto il Paese era ben lontano «dagli
entusiasmi, sia pure contrastati, del maggio del '15 e dell'ottobre del
'35. Forse intuimmo che ci eravamo cacciati in un gioco più grande di
noi?». (13)

Radio Londra proibita

Aggiunge Faenza: «Non erano corsi cantici di gloria, di gloria, di gloria


per l'infinito azzurro, come aveva esclamato il gufino Girolamo
Zanzani dalla scalinata dell'Arengo nel marzo 1939 quando era
caduta Madrid. Né era parso maturo quel tempo della vittoria "solare,
latina, mediterranea, oceanica", invocato l'anno precedente dall'
"azzurro" Tonini nell'aula magna (un corridoio) del "Valturio" quando
era morto D'Annunzio. Si era così andato diffondendo, con cautele,
l'ascolto di Radio Londra». (14)
D'ora in poi, chi ascolta l'emittente britannica è passibile di gravi
sanzioni. «Dio stramaledica gli inglesi» è l'invocazione che la liturgia
fascista cerca di imporre tra le idee correnti.
Mentre si combatte, alcuni studenti riminesi tentano di far nascere
un giornalino umoristico, che nel titolo (H2O!) doveva parodiare l'Eia,
eia delle adunate fasciste. Diffidente il direttore dell'Ufficio stampa del
partito, Lamberto Delavigne, insegnante di chimica al "Valturio", il
foglio non vedrà mai la luce : «Il clima bellico non consentiva iniziative
semiserie. Imponeva austerità in tutti i settori della vita cittadina».
(15)
La gente ha sete di notizie. Quelle dalla Germania, giungono «qualche
volta in città per tramite di operai italiani, ingaggiati nei battaglioni
del lavoro, che rimpatriavano per un periodo di licenza. Regime di
capi incorruttibili, quello di lassù, e non di ladri come in Italia». (16)

In viaggio di nozze

Ma la gente ha anche fame. «La prima reazione è l'assalto ai negozi di


generi alimentari. Mussolini ha parlato alle 18 del 10 giugno e alle 7
del mattino del giorno dopo si formano già le cose davanti alle
salumerie, alle drogherie… Nessuno crede ad una guerra breve. C'è
una gran paura della fame e una gran corsa a procurarsi delle scorte».
(17)
Sognava giorni diversi la signora Luisa Sacchi, che allora aveva 31
anni. Si era infatti sposata domenica mattina 9 giugno. In viaggio di
nozze arriva a Roma verso la mezzanotte. Il 10, mentre stava
pranzando, «nella sala del ristorante si vedevano le facce stralunate
della gente: girava la voce che il duce avrebbe parlato alle 18. A
questa notizia ci rattristammo molto. Andammo a piazza Venezia: era
piena di gente. Il silenzio e la tristezza dominavano l'atmosfera.
Apparve il duce e disse che da quel momento l'Italia era entrata in
guerra. Tornammo in albergo, ed iniziò subito l'oscuramento.
Decidemmo di ripartire il più presto possibile, dopo i primi allarmi.
Dalle stazioni ferroviarie, si vedevano partire gli scaglioni di soldati
per il fronte. C'erano sposine e ragazze che piangevano. Una ragazza
che si era sposata nella mia stessa chiesa, alla messa dopo la mia,
perdette subito il marito». (18)

In 'vacanza' per 5 anni

La guerra: quando essa «si affacciò all'orizzonte, il distacco tra regime


e popolo si allargò sempre di più», rammenta l'avv. Veniero Accreman.
(19)
«Quando ho cominciato a vivere i primi giorni della vita militare, a
diciannove anni e mezzo» spiega il prof. Sergio Ceccarelli, «rimasi
orribilmente scioccato dal constatare come non ci fosse nessun amore
di patria in quei giovani che erano stati chiamati a vestire il
grigioverde, e che venivano da una preparazione di anni e anni di
adunate fasciste, di indottrinamento, di manifestazioni». (20)
Nel suo diario, Giuseppe Bottai, sotto la data del 10 giugno, annota a
proposito del discordo del duce: «La piazza si gremisce d'una folla ora
silenziosa ora tumultuante. Si avverte la fatica dei pochi nuclei
volitivi a indirizzare gridi e acclamazioni». (21)
Alle 20 dello stesso giorno 10, il ministro della Cultura popolare,
Alessandro Pavolini, impartisce le direttive ai quotidiani: scrivere che
si tratta di una guerra «proletaria»!
In quelle ore, una nostra nave stava trasportando dalla Libia verso
l'Italia un folto gruppo di bambini dai 6 ai 12 anni, figli di residenti in
Africa. Dovevano trascorrere le vacanze in varie colonie marine, tra
cui quelle di Rimini e Riccione. La guerra prolungherà a cinque anni
un soggiorno in varie peregrinazioni, che agli occhi di quei ragazzini
avrà il sapore amaro di un' inattesa ed inspiegabile prigioni. (22)

Antonio Montanari

Note

(1) Marco Innocenti, L'Italia nel 1940, Mursia, Milano, 1990, pp. 90-
91.
(2) Liliano Faenza, Fascismo e gioventù, in "Storia e storie", n. 5,
1981, p. 11.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Guido Nozzoli, Dalla Gil sono usciti tutti, in «Autobiografia di una
generazione, Fascismo e gioventù a Rimini», collana di «Storie e
storia», Maggioli, Rimini, 1983.
(6) Galeazzo Ciano, Diario 1935-1944, Rizzoli, Milano, 1982, p. 412.
(7) Oreste Cavallari, Rimini imperiale!, Rimini, 1979, p. 80.
(8) L. Faenza, cit., p. 29.
(9) Cfr. i telegrammi prefettizi, pubblicati a p. 7 de Il mio 10 giugno
1940, supplemento a «Famiglia Cristiana» del 13. 6. 1990.
(10) L. Faenza, cit., p. 29.
(11) Ibidem, pp. 28-29.
(12) Cavallari, cit., p. 80
(13) Ibidem.
(14) L. Faenza, cit., p. 29.
(15) L. Faenza, cit., p. 8
(16) L. Faenza, cit., p. 12.
(17) Silvio Bertoldi, La chiamavano patria, Mondadori, 1989, p. 185.
(18) Testimonianza inedita.
(19) Intervento di V. Accreman in «Autobiografia di una
generazione…», cit. , p. 35.
(20) S. Ceccarelli, ibidem, p. 72.
(21) Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, Rizzoli, Milano, 1989, p.
193.
(22) L'argomento è stato affrontato con testimonianze dirette, in una
recente trasmissione di Rai3 (La mia guerra), a cura di Leo Benvenuti
ed Enza Sampò; ed è trattato nel cit. Il mio 10 giugno 1940, con
dichiarazioni dei protagonisti.

Appendice
Amarcord riminesi del 1940.
Turismo: «Nel novembre 1939 al Podestà ing. G. Mattioli successe, in
qualità di Commissario Prefettizio, l'avv. Eugenio Bianchini…» che
guidò, come prevedeva la legge del tempo, anche l'«Azienda balneare».
Leggiamo dal libro di Luigi Silvestrini Un secolo di vita balneare al
lido di Rimini, edito nel 1945: «Compito arduo e talora ingrato quelli
della Reggenza Comunale in tempo di guerra! (…) Più delicata ancora
si presentava la direzione dell'Industria balneare: seguire il crescente
sviluppo dell'Azienda fra le ristrettezze e le difficoltà del momento, ed
offrire alla colonia bagnante il maggior conforto possibile, ed anche
quegli svaghi compatibili colla gravità delle circostanze». (P. 201).
Aggiunge Flavio Lombardini: «Quando nel marzo 1940 cominciarono
a circolare le prime voci su di un possibile intervento dell'Italia in
guerra…, a Rimini sorsero le prime preoccupazioni ed i primi timori
circa l'andamento della stagione balneare in fase di avanzata
preparazione… Il 10 giugno, a stagione iniziata, la drammatica
decisione del Sovrano… I riminesi accusano il colpo».
L'arrivo delle prime notizie sulle difficoltà e sugli insuccessi militari,
spinge «la folla dei bagnanti… a fare sollecitamente le valigie», per
tornarsene a casa. «A metà luglio sono pochi gli ospiti che indugiano
ancora sulla spiaggia a godersi un sole splendido di piena estate, ma
quando le sirene cominciano a urlare il loro grido d'allarme, anche i
più restii se ne vanno e i riminesi restano soli con la loro tristezza e le
loro preoccupazioni, a meditare sulle prime conseguenze di una
guerra che sarà per loro disastrosa». (Rimini secolo XX, Garattoni,
Rimini, 1968, pp. 48-49).

Federico Fellini se ne è andato dalla nostra città agli inizi del '39, si
trova adesso a Roma, redattore del Marc'Aurelio, bisettimanale
umoristico.
«Il direttore del periodico è un uomo di fede: alle 13, quando la radio
trasmette il bollettino delle operazioni, tutti in piedi, e sull'attenti»,
scrive Enzo Biagi nel suo fresco Noi c'eravamo (ed. Mondadori, pp.
184-185): il 10 giugno «Federico è solo in sede, via Regina Elena, 68.
Ha un lavoro da terminare, ed è un pomeriggio afoso. Dal cortile sale
la voce di un altoparlante: "Sentii" ricorda "lui che parlava dal balcone,
ma non pensai a niente. Scesi, e vidi nel cortile la portiera che stava
occupandosi di una gattina che aveva partorito in una scatola di
cartone. Mi avviai verso piazza Barberini, uno in bicletta urlava: 'C'è
la guerra'. Entrai in un caffè, e chiesi un Aperol: 'Lo vuole con la
buccia di limone?' mi domandò il barista. Poi commentò: 'Accidenti,
che casino'"».

Il 19 marzo 1940, a Rimini, è nato il Circolo Filatelico. Lo presiede


l'avv. Pietro Ricci, i soci sono Napoleone Bellini, Fabio Ceredi,
Giuseppe Galvani, Pasquale Ghinelli, Pietro Ginanni Fantuzzi,
Giuseppe Grilli, Acreonte Lucchi, Severino e Svenio Massari, Tristano
Melagranati, Ercole Menotti, Gerardo Ottaviani, Lodovico Rastelli ed
Ilvio Tonini.
Leggiamo da 30 anni di vita di un Circolo filatelico edito nel 1970 da
Severino Massari, ultimo cronista della filatelia riminese, le pagine
relative a quegli anni: «Le prime, timide riunioni si svolgevano ora in
casa di un socio ora in quella di un altro, in attesa di poter dare inizio
ad una vera e propria attività. Nel contempo, però, si era dato vita ad
un comitato per studiare la possibilità di organizzare una
manifestazione di propaganda filatelica, con il preciso scopo di
aumentare il numero dei soci e gettare così le basi per rassegne di più
grande impegno… La guerra rese molto più difficile l'attuazione del
programma». Infatti, quella prima manifestazione poté tenersi
soltanto nell'estate del '42: il 3 agosto, ci fu la «Giornata filatelica
Rimini-San Marino», con l'emissione di un francobollo celebrativo da
parte delle Poste del Titano. (Pp. 13-14).

Il 1940 nelle pagine di uno storico cittadino, Amedeo Montemaggi:


«In quell'estate vidi Mussolini, che villeggiava a Riccione, mentre
stava tornando dal bagno. Un poliziotto in borghese trattenne me ed
altri presenti all'imboccatura di un vialetto di marina. Non sapevo che
cosa stesse succedendo ma la cosa fu subito chiara quando nel
vialetto antistante apparve 'lui', in bicicletta, con calzoncini 'bermuda'
e berretto da marinaio-gelataio. Pedalava lentamente e sorrideva
bonariamente a tutti». (Da Rimini 1943-1944, a dispense sul Ponte
dal 18.12.1977, pag. 3).

Nota bibliografica

Questo testo è stato pubblicato nel 1990. Le precedenti parti di


Rimini ieri, 50 anni fa sono state pubblicate sul Ponte il 10. 9. 1989
(L'ultima estate di pace), il 24. 9. 1989 ("Chi dei due" è Mat) ed il 1.
10. 1989 (Il Comune se ne fregia).
I dieci capitoli di Rimini ieri, Cronache dalla città sul 1945 e 1946,
sono apparsi prima sul Ponte tra ottobre 1988 e maggio 1989, e poi
raccolti nel volume Rimini ieri, Dalla caduta del fascismo alla
Repubblica, 1943-1946, edito dal Ponte nel novembre 1989.
Un inedito esclusivo su fatti del 1945, è stato pubblicato dal Ponte del
29. 10. 1989, con il titolo «Così arrestai Tacchi a Padova»: si tratta di
un'intervista al gen. Carlo Capanna.
Al periodo settembre 1943-settembre 1944, è dedicata la serie di
Rimini ieri intitolata I giorni dell'ira. La prima parte è apparsa il 3 e
17 dicembre 1989 ed il 7 gennaio 1990, con le tre puntate sul delitto
Paolini, intitolate rispettivamente: «Papà mio, dove lo portate», La
caccia all'uomo, e L'agosto di passione. Poi sono stati pubblicati sei
servizi sulle vicende politiche a San Marino: 28 luglio 1943, San
Marino volta pagina (4. 3. 1990), Chi minaccia San Marino (18. 3.
1990), L'attentato a Casali (1. 4. 1990), La prof. che faceva la spia
(29. 4. 1990), Tra saluti romani e bombe alleate (20. 5. 1990), e
Fascisti alla sbarra (con documenti inediti in esclusiva sul processo ai
repubblichini, scritti dal prof. Giovanni Franciosi, 10. 6. 1990).

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