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2 FATA MORGANA
SOMMARIO
INCIDENZE
FOCUS
FATA MORGANA 3
RIFRAZIONI
4 FATA MORGANA
Sokurov: l’autoritratto, le Elegie,
il mito personale
Arianna Salatino
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Gruppo di film a sé stante rispetto al resto dell’opera, le Elegie sono, per Sokurov, memorie
di ciò che è stato e che non tornerà. Se l’ambiguità dell’elegos, nell’antica Grecia, risiedeva in un
contenuto a metà tra il lamento funebre e l’esortazione politica, anche in questi film, dove si dissolve
completamente la differenza tra realismo e finzione, la componente documentaristica di partenza
viene spesso attenuata da un forte carico di lirismo e poesia. Ogni Elegia, sia essa dedicata a un
viaggio, una persona scomparsa, un personaggio politico o un amico, è sempre incentrata sui grandi
temi della nostalgia, dell’abbandono e del ritorno. Le Elegie di Sokurov (cento e poi venticinque nel
progetto iniziale) sono: Maria. Elegia contadina (1978), Elegia (1986), Elegia moscovita (1987),
Elegia pietroburghese (1989), Elegia sovietica (1989), Elegia semplice (1990), Elegia dalla Russia
(1992), Elegia orientale (1996), Elegia del viaggio (2001), Elegia della vita (2006).
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C. Mauron, Dalle metafore ossessive al mito personale. Introduzione alla psicocritica, tr.
it., Il Saggiatore, Milano 1966, p. 210.
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D. Brotto, Osservare l’incanto. Il cinema e l’arte di Aleksandr Sokurov, Fondazione Ente
dello Spettacolo, Roma 2009, pp. 35-36.
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Mauron ricorreva all’analisi del vissuto dell’autore soltanto quando, una volta terminato
lo studio approfondito delle opere, ricercava nella biografia una conferma o una smentita del
mito personale rilevato. Intendeva così arginare il rischio costante di un’assimilazione facile e
indistinta tra la psicologia dell’autore e il contenuto dell’opera.
5
R. Barthes, Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, tr. it., Einaudi, Torino
1999.
6
P. Lejeune, Il patto autobiografico, tr. it., Il Mulino, Bologna 1986.
7
Ivi, p. 223.
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Sokurov: l’autoritratto, le Elegie, il mito personale
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R. Bellour, Fra le immagini. Fotografia, video, cinema, tr. it., Mondadori, Milano 2002,
p. 317.
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S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 2010, p. 470.
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10
Cfr. M. Beaujour, Miroirs d’encre: rhétorique de l’autoportrait, Seuil, Pa-
ris 1980, citato in R. Bellour, Fra le immagini. Fotografia, cinema, video, cit., p. 308.
11
Ibidem.
12
D. Brotto, Osservare l’incanto, cit., p. 208.
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Sokurov: l’autoritratto, le Elegie, il mito personale
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Brotto definisce le opere di Sokurov delle vere e proprie sinfonie; ivi, pp. 271-272.
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Nota a questo proposito Alberto Boatto che Van Gogh, inversamente, quando nei suoi
numerosissimi autoritratti si rappresenta senza i propri strumenti – tavolozza e pennelli – è perché
rinuncia a qualificarsi come pittore mostrandosi nella sua spoliazione di uomo; così in Sokurov,
la varietà dei modi in cui si rappresenta di volta in volta, fino alla quasi dissoluzione della mac-
china da presa in Elegia del viaggio, è chiaro indizio di un’identità incerta, brutale conferma
della scissione della coscienza. «Van Gogh ha smarrito la propria identità nel momento stesso
in cui ha ritratto il proprio volto»; cfr. A. Boatto, Narciso infranto. L’autoritratto moderno da
Goya a Warhol, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 61-62. Anche Bellour del resto si vede costretto
ad ammettere che al cinema, ogni autobiografia, diventa inevitabilmente «frammentaria, limi-
tata, dissociata, incerta, ossessionata da questa forma superiore di dissociazione che nasce dai
travestimenti della finzione»; R. Bellour, Fra le immagini, cit., p. 307.
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Sokurov: l’autoritratto, le Elegie, il mito personale
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P. Lejeune, Il patto autobiografico, cit., p. 42.
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Si tenga presente che un anno dopo il regista girerà Arca russa (2002), magistrale tentativo
di un film composto da un unico piano-sequenza.
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In Sagesse de l’eau (Robert Laffont, Marseille, 1945) Mauron analizza estesamente la
densissima simbologia associata all’acqua, sottolineandone il legame con il corpo femminile,
«desiderabile e fecondo» (Afrodite proviene dal mare) ed enumerando anche i miti che la
uniscono, al contrario, all’idea di morte (i viaggi verso l’inferno, che prevedono generalmente
l’attraversamento di un fiume o l’immersione nell’oceano; ivi, pp. 134-135).
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Ivi, p. 142. Questa duplice valenza del mare è tra l’altro direttamente evocata in Elegia
del viaggio, che ha inizio con “un volo sull’acqua profonda e pericolosa, e io avevo paura di
caderci”, ma allo stesso tempo “sentii che il mare era buono e indulgente, forte e generoso. Non
gli costerebbe niente gettarmi giù dal ponte e portarmi via con sé”.
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Il mito del continente perduto traduce alla lettera la paura di un cataclisma imminente,
realizzando l’ipotesi agghiacciante, e forse non del tutto inverosimile se rapportata alla Russia
di Sokurov, di una civiltà che rischia di scomparire.
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Sokurov: l’autoritratto, le Elegie, il mito personale
siero assillante fisso: l’attesa della morte, che risulta avere in Sokurov un
carattere ossessivo permanente.
La fantasia originaria più ricorrente – l’immagine caotica e primordiale
che più aderisce al mito personale mettendolo in scena letteralmente – ri-
sulta quindi essere l’arca in balia delle onde, imprigionata tra riva e deriva,
tra la nostalgia rassicurante della costa e l’eterno pericolo del naufragio20.
«Spaccarsi in due si direbbe non sia un accidente, ma una potenza propria
della nave»21, scriveva significativamente Deleuze ne L’immagine-tempo.
L’immagine della nave, che compare un elevatissimo numero di volte in
Sokurov, funge da figura-matrice per tutte le altre associazioni rilevate lun-
go la catena dei significanti; è la scena mitica che meglio incarna lo stato
di precarietà storica cui si sente soggetto l’autore, questo presentimento
costante di un cataclisma globale. Riducendo ai minimi termini, l’attesa
della morte. Sokurov sonda lo spazio racchiuso tra Diluvio e Apocalisse,
uno spazio percorso dalle risonanze traumatiche del ricordo incessante di
un’unica, rinnovata paura; il suo cinema sembra svolgersi nell’intervallo
di tempo cruciale che separa la morte annunciata dalla morte compiuta. La
coscienza dell’ineluttabilità della morte è atroce, e Sokurov vuole scampar-
vi. Lo fa rendendo il tempo incommensurabile: la durata dell’inquadratura
eccede generalmente la durata dell’evento, imponendo allo sguardo dello
spettatore di adattarsi ad una lentezza necessaria, esasperata ed appagante a
un tempo. Sokurov sa bene che la realizzazione di un desiderio precede di
poco la sua disfatta, per questo prolunga indefinitamente il tempo dell’at-
tesa, congelando per sempre – nello stato simbolico della nave prima di
affondare – l’attimo che precede la catastrofe, così da ritardarne l’arrivo o,
quantomeno, scongiurarne il timore.
Il ricordo ancestrale di una disgrazia in mare, con la descrizione dell’im-
magine fatale del dopo la tempesta e dell’accumularsi dei cadaveri a riva,
ritorna ossessivamente in Sokurov, in tutte le situazioni di sgomento e
scampato pericolo che seguono naufragi reali o immaginari22.
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Viene istintivo pensare al grave senso di pericolo che ha accompagnato l’unica ripresa
dell’Arca russa, opera letteralmente irripetibile sulla Russia che naviga all’interno della propria
storia, dove lo svolgimento obbligato in tempo reale conferiva all’evento un’unicità inquietante
e spaventosa.
21
G. Deleuze, L’immagine-tempo, tr. it., Ubulibri, Milano 1989, p. 87.
22
Basti pensare, ancora, alle parole d’apertura di Arca russa (“Apro gli occhi e non vedo
niente, niente finestre, niente porte. Ricordo che è accaduta una disgrazia e che tutti fuggivano
per mettersi in salvo”), o al resoconto dello spettro di Elegia orientale sopravvissuto alla scia-
gura in mare, il quale raccontava delle teste dei morti che galleggiavano tra le onde dopo che la
nave era affondata. Questo ci avvicina ancora al mito classico di Orfeo, nel quale già Mauron
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aveva individuato il legame che unisce l’idea di creazione lirica a quella di morte e resurrezio-
ne, descrivendo l’immagine dell’eroe fatto a pezzi, mentre «la sua testa e la lira sopravvivono,
fluttuando sul mare, fino a raggiungere un’isola», C. Mauron, Dalle metafore ossessive al mito
personale, cit., p. 234.
23
Eclissi di cinema è anche il titolo del notevole volume prodotto nell’ambito del Torino
Film Festival del 2003 e curato da S. Francia Di Celle, A. Jankowski ed E. Ghezzi, Aleksandr
Sokurov. Eclissi di cinema, Associazione Cinema Giovani, Torino Film Festival, Torino 2003.
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24
M. Beaujour, Miroirs d’encre, cit., p. 110.
25
Ibidem.
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