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Il cinema italiano

racconta il vino

Le vigne e le tavole,
la produzione e il consumo consapevole
di Massimiliano Coviello
© Enoteca Italiana, Siena 2012

Coordinamento editoriale
Silvana Lilli

Grafica
Cooprint - Industria Grafica Soc. Coop., Siena

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Cooprint - Industria Grafica Soc. Coop., Siena

In copertina
Fotogramma tratto da Rupi del vino di Ermanno Olmi, 2009
Rivendico il diritto (se non addirittura il dovere) di continuare ad essere mondani,
cioè vicini al mondo, vigili su quel che il mondo ci offre. Nonché il diritto (e di
nuovo il dovere) di esemplificare i caratteri della disciplina nel modo più lieve, dida-
scalico, ironico e autoironico che sia possibile. L’intellettuale che pensa solo e soltanto
ai Grandi Valori secondo me non è un intellettuale: non essendo capace di pensare
in termini disincantati, divertiti, banali; non essendo capace di trascorrere dall’astratto al
quotidiano; non essendo capace di vivere la vita comune, allora costui non serve.
I Grandi Valori non hanno senso, se non si vestono da tutti i giorni.

Omar Calabrese
Serio Ludere (Sette serissimi scherzi semiotici), Palermo, Flaccovio, 1993
Indice
Premessa
di Rosa Bianco Finocchiaro 7

Presentazione
di Claudio Galletti 9

Introduzione
di Omar Calabrese 11

Il cinema italiano racconta il vino


di Massimiliano Coviello 15

0. Introduzione
Riflessi di vino sullo schermo 17

1. Brindisi e tavole imbandite nel cinema italiano 23

1.1 Sguardi attorno alla tavola 23


1.2 Una passeggiata nel neorealismo: Ladri di biciclette di Vittorio de Sica 27
1.3 La commedia all’italiana si consuma a tavola: C’eravamo tanto amati di Ettore Scola 32
1.4 La passione nasce dopo un brindisi: Il Casanova di Federico Fellini 37
1.5 Il pranzo di Ferragosto secondo Gianni Di Gregorio 41

2. I vitigni, le tradizioni, le nuove frontiere: i documentari italiani sul vino 45



2.1 Un precedente letterario. Il taccuino dei “viaggi d’assaggio” tra le vigne d’Italia:
Vino al vino di Mario Soldati. 45
2.2 I primi passi del documentario enogastronomico 53
2.3. Un precedente cinematografico.
Storie del vino “globalizzato”: Mondovino di Jonathan Nossiter 55

2.4. Le vigne delle donne:
Senza Trucco. Le donne del vino naturale di Giulia Graglia 59

2.5 Alla scoperta dei vitigni della Valtellina: Rupi del vino di Ermanno Olmi 64
3. Il mondo del vino incontra il cinema:
alcuni esperimenti di produzione cinematografica 71

3.1 Le nuove frontiere dell’“eno-cinematografia” 71

3.2 “Vini d’Italia”: un atlante audiovisivo per raccontare la produzione vinicola


delle regioni italiane 75

3.3 “Reason Wine: idee per bere con gusto!”: il concorso del progetto “Vino e Giovani “ 77

Conclusioni 87

Bibliografia 89

Filmografia 93

Programmi televisivi 94

Sitografia 94

Indice delle figure 95


Il cinema italiano
racconta il vino 7

Premessa
di Rosa Bianco Finocchiaro, Coordinatrice Programma
“Cultura che nutre”

“Art de vivre” per sviluppare un comportamento sano ed


equilibrato, come elemento del vivere sano, come espres-
sione di socialità tra i popoli, come connubio tra sé, la
propria storia e la ricerca delle proprie radici: queste sono
le finalità del progetto “Vino e Giovani”.
Il vino deve essere piacere, gioia, convivialità, sobrietà,
quindi un modo per addentrarsi nel mondo complesso
della socialità, nei significati profondi del vivere e dell’im-
maginario collettivo che coinvolge sia il nostro essere
individuale sia il sociale. Pertanto, il rapporto con il vino è
complesso, intimo, quotidiano, denso di significati simbolici
e psicologici, richiama le radici del piacere e dell’identità, si
definisce all’interno di una cultura, muove il senso dell’ap-
partenenza, ha a che fare con l’immagine di sé e si misura
con una ricca offerta di prodotti.
Il progetto “Vino e Giovani” ha la precisa finalità di
comunicare il vino ai giovani, nell’ottica di un’educazione
sistemica con una comunicazione integrata tra cultura ali-
mentare e valorizzazione storica delle tradizioni.
Il vino rappresenta in tutte le civiltà un inno alla vita,
all’amore, alla voglia di vivere ed è elemento importante
nella vita dell’uomo; esso è presente in molti avvenimenti
storici.
La cultura del vino è legata alla storia dell’agricoltura.
Il progetto “Vino e Giovani”, voluto dal Ministero delle
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e realizzato
dall’Enoteca Italiana è ricco e molto articolato.
Parte da indagini conoscitive per giungere ad azioni sul
territorio nazionale, ad eventi culturali di grande significato.
Si è cercato in questo progetto a tutto campo di eviden-
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racconta il vino

ziare: le qualità alimentari del vino; il piacere di degustare i


vini di qualità; di cogliere il legame tra produzione vinicola,
storia, tradizione e cultura del territorio; di facilitare il rap-
porto diretto tra produttori e giovani.
Le ricerche, le indagini e le relazioni che vi presentiamo
forniscono elementi significativi per promuovere progetti
efficaci al fine di comunicare il vino ai giovani, per decodi-
ficare il linguaggio del vino, per leggere il rapporto che le
nuove generazioni hanno con il vino.
Questa è la finalità fondamentale del progetto che si
rivolge a produttori, consumatori, rappresentanti delle
istituzioni e a tutti coloro che hanno occasione di educare
i giovani nell’ambito dell’alimentazione corretta e dell’uso
consapevole del vino.
Tutti costoro troveranno nel progetto molte idee e tanti
suggerimenti per costruire itinerari didattici sul tema del
vino; suggerimenti e idee capaci di mettere in atto le
potenzialità culturali.
Di questo va dato atto all’Enoteca Italiana che con
la sua esperienza ha realizzato un progetto nazionale
molto apprezzato, ma anche al Ministero delle Politiche
Agricole, Alimentari e Forestali, che con la lungimiranza ne
ha consentito la realizzazione in una prospettiva culturale
di crescita e di rinnovato impegno nel settore dell’educa-
zione alimentare e in particolare, dell’uso corretto del vino
nelle nuove generazioni.
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Presentazione
di Claudio Galletti, Presidente Enoteca Italiana

“VINO E GIOVANI”. Un progetto di grande spessore


culturale ed educativo, affidato ancora all’Enoteca Italiana.
Sicuramente difficile nel linguaggio e nella sua dimensione
educativo-informativa: promuovere nei giovani una cultura
del bere consapevole.
Un progetto che fa parte della grande campagna comu-
nicativa europea “Wine in Moderation. Art de Vivre”,
campagna del bere bene per vivere bene.
L’ultima edizione ha visto coinvolte ancora Regioni ed
Università, testimonial del mondo dello spettacolo e,
soprattutto, ha visto protagonisti migliaia di giovani coin-
volti attraverso i moderni strumenti della comunicazione.
La campagna di sensibilizzazione realizzata nel corso di
questi ultimi tre anni di lavoro, sicuramente apprezzata
dai giovani, ha dimostrato ulteriormente che è possibile
trasferire alle nuove generazioni il patrimonio di storia e di
cultura che il vino rappresenta nel nostro Paese, la consa-
pevolezza che esso sia parte di uno stile di vita e anche
un moderno veicolo della qualità della vita, che conoscere
ed apprezzare il vino, saperlo bere con moderazione, può
rappresentare uno status culturale, un momento di convi-
vialità e di meditazione.
Il messaggio forte è proprio questo.
Far conoscere gli aspetti culturali, economici, storici ed
identitari che il vino rappresenta. Un prodotto straordina-
rio della nostra agricoltura, una delle punte più avanzate
del made in Italy nel mondo.
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla
riuscita di questo lavoro e tutti i giovani che hanno parte-
cipato alle innumerevoli iniziative realizzate.
La stessa gratitudine che, come Presidente dell’Enoteca
Italiana, desidero esprimere a quanti con lungimiranza han-
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racconta il vino

no sostenuto questo progetto, in primis il Ministero delle


Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e le Regioni, il
Movimento del Turismo del Vino, l’Associazione dei
Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani, tutti quelli che ci
hanno creduto e hanno offerto appoggio e collaborazione
nel corso di questo esaltante percorso.
Un ringraziamento particolare va all’Università degli Studi
di Siena, al Dipartimento di Scienze della Comunicazione,
che con questo lavoro di ricerca, il sesto sin qui realizzato,
pone l’attenzione sul rapporto tra il cinema italiano e il
vino, il vino “attore” di un testo narrativo particolare quale
è quello cinematografico ed interprete al suo interno di
valori importanti per la nostra società.
Un lavoro questo che si pone come una sorta di com-
pletamento e di naturale epilogo al percorso comunica-
zionale messo in atto nel 2011 con la realizzazione del
concorso “Reason Wine. Idee per bere con gusto!”,
lanciato grazie all’importante sostegno dell’attore Beppe
Fiorello e del Sindacato Nazionale dei Giornalisti e Critici
Cinematografici.
Un lavoro questo che ha ricevuto una significativa spinta
dal professor Omar Calabrese, scomparso prematuramente
alcuni giorni dopo aver scritto le pagine che seguono e
che ben riassumono il valore della ricerca realizzata da
Massimiliano Coviello.
A lui va un pensiero particolare.
La sua collaborazione con l’Enoteca Italiana, il suo sostegno
da sempre al Progetto “Vino e Giovani” sono stati sempre
preziosi e disinteressati. Il suo alto spessore culturale è stato
sempre foriero di grandi idee e di importanti suggerimenti.
Lo ringrazio ancora e lo ricordo in maniera accorata.
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Introduzione
di Omar Calabrese, Università degli Studi di Siena

Negli ultimi anni i lettori hanno visto crescere nelle librerie, tra
gli scaffali dedicati all’enologia e all’enogastronomia, il numero
di libri che trattano della presenza del vino nel cinema.
Questi volumi citano i brindisi più celebri nella storia della
settima arte, elencano le bottiglie più amate e apprezzate
dalle star, consigliano il lettore sui vini più appropriati da
abbinare all’ultimo film appena uscito in dvd o al classico
intramontabile, utilizzando come criteri discriminati il genere,
gli attori o le sensazioni che potrebbero essere richiamate
dalla trama. Dall’altra parte dello scaffale, o addirittura in un
altro settore, si collocano invece quei saggi che, utilizzando
un criterio storiografico, hanno investigato la storia del cinema
e le sue diverse declinazioni nazionali per ricostruire una
cronologia dei rapporti tra il mezzo cinematografico e il vino.
La ricerca di Massimiliano Coviello si allontana dai territori
promozionali cavalcati dall’editoria a caccia di mode passeg-
gere e foraggiatrici di istant book e, pur non adottando un
criterio rigorosamente cronologico, affronta i rapporti tra vino
e cultura ingaggiando un’analisi serrata di alcuni testi audiovisi-
vi prodotti in Italia. Piuttosto che le epoche, gli stili e i generi
del cinema, il lavoro che qui è presentato individua alcuni
momenti della narrazione filmica (come il brindisi, il pasto, la
vendemmia, le festività) che forniscono chiavi di lettura per la
comprensione delle funzioni culturali e sociali del vino. In altre
parole, il vino può assumere diverse tipologie di significato
quando diventa “attore” di un testo narrativo quale per l’ap-
punto è un film. Prenderlo in considerazione come un attore
che collabora allo sviluppo del film e della sua trama, facendo
compiere determinate azioni ai protagonisti o ostacolandone
altre, diventa una delle strategie più adeguate per individuar-
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racconta il vino

ne le funzioni e l’efficacia simbolica. Infatti, il vino è un ogget-


to simbolico capace di contenere, esemplificandoli material-
mente, valori astratti più generali, e anzi fondamentali per una
cultura. In altri termini: esso è capace di manifestare, con la
sua semplice apparizione, un condensato assiologico o ide-
ologico (assiologico: valori potenziali, come il bene e il male
o il vero e il falso, ma non ancora attribuiti; ideologico: valori
di cui si afferma la natura, ad esempio che la povertà è bene
e la ricchezza è male, o il loro contrario). Gli oggetti simbo-
lici – nella storia delle culture – non sono molto numerosi, e
non potrebbe essere altrimenti. Soltanto poche cose devono
essere capaci di presentare con immediatezza una visione del
mondo, altrimenti non sarebbero durevoli né memorizzabili.
La loro rarità, tuttavia, offre loro un vantaggio, e cioè quello
della loro efficacia, anche questa simbolica. In antropologia,
per “efficacia simbolica” si intende la capacità che un oggetto
o un evento ha di produrre delle risposte prevedibili e ripe-
tute (anche se non sempre identiche) da parte di chi vi entra
in contatto. Ebbene, il lettore di queste pagine troverà, forse
con sorpresa, che il vino può entrare a pieno diritto nella
lista degli oggetti simbolici della nostra cultura occidentale, e
che il cinema ha saputo pienamente diffonderne i significati
e l’efficacia. Proprio il cinema che da più di un secolo è uno
degli strumenti principali attraverso il quale si costruiscono
rappresentazioni e, inevitabilmente, riflessioni sui desideri e
le frustrazioni, sui traguardi e i fallimenti di una società in
un dato momento storico. L’originalità di questa ricerca, del
resto, sta proprio nell’osservazione di come il vino sia di
volta in volta interprete di valori fondamentali per le nostre
società. Ad esempio, del sentimento del piacere, oppure
quello della devianza e dell’eccesso, o ancora della passione
amorosa o della gioia che accompagna i momenti di incontro
tra gli amici. Il lavoro qui esposto, che possiede una struttura
tripartita, prende avvio da alcuni esempi estrapolati dalla
Il cinema italiano
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storia del cinema italiano degli ultimi sessant’anni: gli incontri e
i racconti da osteria nel cinema neorealista e nella commedia
all’italiana, le grandi abbuffate e le cene appassionate nelle
opere di Federico Fellini, i brindisi intergenerazionali nel film
di un regista contemporaneo come Gianni De Gregorio. Nel
secondo capitolo si individua una genealogia e si definiscono
le peculiarità del “documentario enogastronomico”, in cui il
legame con le tradizioni e il rispetto per il territorio viene rac-
contato dagli attori sociali che, dalla Sicilia sino alla Valtellina,
lavorano nel settore della viticoltura. Nell’ultima parte sono
descritti e analizzati i primi esperimenti che alcune istituzioni
legate alla tutela e alla promozione del vino stanno compien-
do nel mondo dell’immagine in movimento. Si realizza così
una felice sinergia tra “I Fogli di Bacco”, la collana che ospita
questo studio promosso dall’Enoteca Italiana (e finanziato
con borse di studio presso l’Università di Siena) e “Vino
e Giovani”, la campagna di educazione e comunicazione
alimentare promossa dal Ministero delle Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali e dalla stessa Enoteca Italiana. Nel
2011 è stato lanciato il concorso “Reason Wine: idee per
bere con gusto!”, dedicato a giovani registi per trasmettere
i valori del consumo consapevole. I quattro cortometraggi
vincitori del concorso vengono analizzati nella parte finale
della ricerca proprio perché in essi si trovano esemplificati i
legami principali tra il linguaggio audiovisivo e il patrimonio
culturale, identitario e alimentare racchiuso nel vino.
Facendo dialogare le forme e i generi del linguaggio
audiovisivo, questa ricerca stimolerà la curiosità del lettore
e offrirà agli studi sul visivo una serie di spunti metodologici
e di oggetti d’analisi utili ad una riflessione sulla rappresen-
tazione del vino e del suo consumo.
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Il cinema italiano racconta il vino


Le vigne e le tavole, la produzione e il consumo consapevole
di Massimiliano Coviello
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0. Introduzione:
Riflessi di vino sullo schermo
Il cinema è stato per tutto il Novecento e continua ad
esserlo tutt’ora, seppur fruito attraverso una miriade di spa-
zi alternativi alla sala cinematografica, dall’home theatre a
YouTube, sino alla visione in movimento consentita dagli
smartphone, un potente strumento di comunicazione, di
propaganda, di intrattenimento e soprattutto di costruzio-
ne e diffusione dell’immaginario sociale. Sullo schermo, in
ogni singolo film, si edifica un mondo con il quale lo spet-
tatore intrattiene un dialogo a distanza fatto di confronti,
scontri, espressioni compiaciute, gesti di disapprovazione.
Ogni volta si crea un sistema di attese e di smentite. Ma
quali sono i poli tra quali si intrattiene questo dialogo?
Se immaginiamo come appare a chi siede in sala ciò che avviene
sullo schermo, a quanto pare la domanda principale che si pone
immancabilmente lo spettatore sarà la seguente: assomiglia alla
vita oppure no? Qui, chissà perché, noi supponiamo di sapere
“cos’è la vita” e di conseguenza, che sia molto semplice para-
gonare lo schermo con la vita. Lo schermo si trova a ricoprire il
ruolo di imputato, di cui valutiamo il comportamento dal punto
di vista di un codice noto in partenza. Avanziamo nei confronti
dello schermo richieste a priori, ed esso è obbligato, con qualche
imbarazzo, a rispondere a tali richieste (LOTMAN – TSIVIAN
1994: 14 tr. it.).

Secondo Jurij Lotman e Yuri Tsivian, rispettivamente semi-


ologo della cultura e teorico del cinema, ciò che rende così
vicini, a volte indistinguibili, il polo della vita e quello dello
schermo è il sistema di convenzioni culturali proprie del
linguaggio cinematografico il quale, sorretto da una serie di
mediatori tecnologici, garantisce da un lato l’illusione del
18 Il cinema italiano
racconta il vino

movimento e dall’altro gli effetti di realtà che possono arri-


vare a confermare le attese di chi desidera che tra l’oggetto
e la sua rappresentazione ci sia un’adesione incondizionata.
Al di là delle differenze dei generi e degli stili, come dei
modi di fruizione, il cinema erige simulacri sempre più vicini
al reale. Così quello che dovrebbe essere un riflesso, una ri-
produzione di eventi ed esistenti inquadrati dall’obiettivo
e “rinchiusi” nello spazio dell’inquadratura, finisce per di-
ventare un’indistinguibile amalgama tra la rappresentazione
e il rappresentato, tra l’immagine e la realtà, tra lo schermo
e la vita.
Seppur attraverso una semplificazione, quanto detto nelle
righe precedenti possiede dei risvolti importanti. Piuttosto
che soffermarsi sulle capacità mimetiche del cinema o di
altri sistemi di riproduzione e rappresentazione, si tratta di
valutare l’efficacia che le immagini possiedono quando alle-
stiscono un ambiente propizio per analizzare i fenomeni, le
costanti e i mutamenti che attraversano le società e le loro
culture. Il film è concepibile come una struttura, un mon-
taggio di immagini e di suoni, capace di esporre, riflettere
e costruire uno spazio socio-culturale in cui gli spettatori
possono immedesimarsi o meno, ma soprattutto dove è
possibile rintracciare le somiglianze e gli scarti tra le rappre-
sentazioni e i discorsi sociali.
Questi ultimi, avvolgendo e inglobando il soggetto, pos-
sono diventare meno opachi se osservati da una distanza
di sicurezza, all’interno di un racconto, attraverso la me-
diazione di uno schermo. Il testo audiovisivo, al pari di un
romanzo o di un quadro, costruisce un punto di vista dal
quale è possibile comprendere ed articolare l’insieme delle
pratiche, dei bisogni, dei desideri, dei discorsi con cui una
società, in un dato periodo storico, si autorappresenta e si
confronta con l’esterno, con l’alterità.
Nella sua riflessione sui rapporti che si sono stabiliti tra
cinema e cultura in Italia, considerando il neorealismo come
momento strategico sia per tornare indietro, alla produzio-
Il cinema italiano
racconta il vino 19
ne filmica degli anni Trenta (il cinema dei “telefoni bian-
chi”), sia per spingersi oltre, sino alla commedia degli anni
Cinquanta, Maurizio Grande introduce il concetto di
“testualizzazione del reale”, attraverso il quale è possibile
articolare le strategie che consentono di «condensare, de-
lineare, esporre e costruire il reale nelle dimensioni che una
cultura consente e stabilisce, e che […] entra nel discorso
e nella messa in scena cinematografica o d’altro genere»
(GRANDE 2003: 13). È il testo cinematografico che co-
struisce ciò che più o meno consapevolmente viene posto
sotto l’appellativo di “realtà”. Sono quindi i linguaggi, visivi
o verbali, che, piuttosto che assomigliare agli oggetti del
mondo, garantiscono i gradi di cattura e di comprensibilità
dello spazio culturale da parte dei soggetti.
Questa ricerca ha come obiettivo quello di inaugura-
re un’indagine sulle modalità con cui il vino, oggetto di
consumo con un elevato valore simbolico e culturale, è
stato rappresentato sia nel cinema italiano, sia di fiction che
documentario, sia all’interno del più ampio panorama del
linguaggio audiovisivo. Un campo di ricerca molto vasto,
del quale si offrirà una panoramica che non ha pretese di
esaustività, che va dal film di fiction al documentario, sino
al cortometraggio. Non è stata solo la presenza del vino, la
citazione di una bottiglia famosa e di pregio, a determinare
la scelta di un film piuttosto che di un altro. Nel definire
il corpus della ricerca si è cercato di individuare, all’interno
dei generi che hanno caratterizzato la storia del cinema ita-
liano sino alle recenti produzioni documentaristiche, alcuni
film esemplari. Film che, all’interno del loro tessuto figurativo
e narrativo, sono in grado di esplicitare le dinamiche e le
funzioni culturali, gli usi e i contesti sociali in cui si sprigio-
nano le qualità del vino.
Dai classici del neorealismo alla commedia all’italiana, dal
cinema d’autore a quello contemporaneo: nel primo capi-
tolo il vino è stato considerato come un “attore”, un perso-
naggio centrale nell’universo del racconto filmico che, con
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la sua presenza, ha la capacità di ridefinire le coordinate, i


sistemi di valori e i modi della relazione intersoggettiva. Si è
prestata particolare attenzione alle sequenze in cui l’azione
inquadrata dalla macchina da presa si svolge attorno alla
tavola, uno spazio che intrattiene precisi rapporti con il
resto degli ambienti domestici (la cucina ad esempio), che
si relaziona a momenti molto ritualizzati della giornata (i
pasti), attorno al quale si intrecciano diversi piani narrativi,
dalla sequenza delle portate e delle bevande alle norme
che regolano la gestualità, dal gusto alla concatenazione dei
sensi, dai discorsi dei commensali sino alle passioni che si
rivelano attraverso gli sguardi.
Il secondo capitolo è dedicato al documentario “enoga-
stronomico”, un genere di cui si tracciano le caratteristiche
fondamentali e vengono analizzati alcuni esempi. Negli ul-
timi anni, la produzione di documentari che indagano la
produzione vitivinicola sul territorio italiano, intervistando i
suoi protagonisti, mostrando il suo legame con la tradizione
e il rispetto degli ecosistemi, ha raggiunto una visibilità e
una diffusione ampia e ciò in virtù di almeno tre fattori. Il
primo è connesso al progresso tecnologico che permette di
abbattere i costi sia durante la fase delle riprese che du-
rante il montaggio. All’abbassamento dei costi economici
si aggiunge la crescita del numero dei festival e delle fiere
dedicate ai temi dell’enologia, alla produzione biologica e
alla sostenibilità ambientale, con un corrispettivo aumen-
to della sensibilità di produttori e consumatori a questi
temi. Il terzo fattore riguarda il successo di pubblico del
documentario Mondovino (2004). È proprio per la sua
capacità di aver stimolato e amplificato il dibattito, sia nel
mondo cinematografico che in quello dell’enologia, che il
film di Jonathan Nossiter è stato inserito in questa ricerca
dedicata al cinema italiano. Inoltre, nel capitolo, il reportage
letterario di Mario Soldati Vino al vino. Viaggio alla ricerca
dei vini genuini funge da apripista ai quei documentari che
a molti anni di distanza ritornano tra le vigne d’Italia.
Il cinema italiano
racconta il vino 21
L’ultima parte della ricerca è dedicata ai primi passi, i primi
esperimenti che il mondo della tutela, della promozione
e del consumo consapevole del vino sta compiendo nel
mondo dei linguaggi audiovisivi. Negli ultimi anni, diversi
enti hanno utilizzato le potenzialità comunicative del cine-
ma per promuovere, soprattutto tra i giovani, le loro cam-
pagne di sensibilizzazione. Due sono i casi studio analizzati:
“Vini d’Italia”, un ciclo di quindici documentari, curati da
Vittorio Storaro e Luca Maroni, sulle produzioni vitivinico-
le delle regioni italiane e “Reason Wine: idee per bere con
gusto!”, il concorso di cortometraggi per giovani registi rea-
lizzato dall’Enoteca italiana con il contributo del Ministero
delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Desidero ringraziare Claudio Galletti e Fabio Carlesi, Presidente e Segretario Generale


dell’Enoteca Italiana, e Rosa Bianco Finocchiaro, consulente del progetto “Vino e
Giovani”.
Un grazie affettuoso a Silvana Lilli, coordinatrice del progetto “Vino e Giovani”, per
i consigli e la cura con cui ha seguito questa ricerca e a Chiara Supplizi per l’accurato
lavoro di rilettura del testo.
Durante la stesura di questo lavoro, Omar Calabrese è venuto a mancare. Alla memoria
del suo insegnamento sono dedicate queste pagine.
Il cinema italiano
racconta il vino 23

1. Brindisi e tavole imbandite


nel cinema italiano
1.1 Sguardi attorno alla tavola
La macchina da presa percorre il perimetro della tavola
imbandita, gira attorno ad essa, sosta per qualche istante a
fianco di ciascun commensale e, terminato il suo aggraziato
girotondo, si arresta per “accomodarsi” su uno dei posti
apparecchiati per la cena. Da un campo medio che mostra
l’interno dell’intera sala da pranzo in cui si sta consumando
il pasto, si passa a un lento e graduale zoom verso il centro
della tavola. Poi, l’inquadratura da impersonale e oggettiva
diventa soggettiva: lo spettatore, che segue i movimenti
della macchina da presa e la trasformazione del punto di
vista, si immedesima in uno degli invitati alla cena offerta dal
padrone di casa. Mentre la mano del personaggio si avvici-
na educatamente alla tavola, anche l’obiettivo della macchi-
na da presa stringe la sua focale per “concentrarsi” sempre
di più su un elemento della messa in scena. Bastano pochi
attimi e la mano, insieme allo sguardo dell’ospite-spettatore,
afferra il bicchiere di vino per sollevarlo e brindare insieme
a tutti gli altri invitati.
Ecco una scena che abbiamo visto tante volte, una sequen-
za che appartiene a molti film, girata in tanti modi diversi,
ma sempre con la stessa finalità: quando al cinema si sceglie
di mettere in scena un pasto non può mancare l’ospite
fisso, un buon bicchiere di vino. Ed è proprio il vino ad
essere un elemento di coesione tra la visione spettatoriale e
la scena inquadrata. Proprio il vino sostiene quel processo
di immedesimazione tra chi guarda e la scena rappresenta-
ta, facendoci sentire partecipi del momento di convivialità,
piuttosto che voyeur indiscreti.
Roland Barthes, nelle sue analisi sulle mitologie del con-
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racconta il vino

1. La sintassi narrativa
temporaneo, sottolinea lo spazio conviviale, lo scenario
descritta riguarda la conversazionale in cui il vino si colloca e che contribuisce a
presenza di attanti ov- costruire: «Il vino è socializzato perché fonda non solo una
vero di funzioni logiche morale ma anche uno scenario […] dallo spuntino […]
virtuali e non di attori,
che invece si collocano a al festino, dalla conversazione d’osteria al discorso di ban-
livello della manifestazio- chetto» (BARTHES 1957: 68-69 tr. it.). Sempre Barthes,
ne. All’interno di questa definisce il vino come «sostanza di conversione» capace di
sintassi, l’attore “vino”
ricoprirebbe il ruolo at- influenzare le competenze di chi ne fa uso, di trasformarne
tanziale di /aiutante/ che l’umore e gli stati passionali (BARTHES 1957: 67 tr. it.).
fornisce all’attante /sog- In un film, come nelle occasioni quotidiane, il vino può
getto/ delle competenze
per superare una serie di alterare – in senso positivo o negativo – le competenze dei
prove sino a raggiungere personaggi. Il bicchiere di vino sorseggiato a tavola diventa
/l’oggetto di valore/ ed uno strumento che permette al meccanismo narrativo di
ottenere così una sanzio-
ne positiva (GREIMAS
evolversi, producendo delle svolte inattese, dotando i per-
1983: 45-62 tr. it.). sonaggi che ne fanno uso di capacità inedite, dando sfogo
a pensieri e affetti nascosti fino al momento del brindisi. Il
2. L’efficacia simbolica è
stata introdotta dall’an-
vino non è soltanto un elemento scenografico: la bottiglia
tropologo Claude Lévi- di vino che decora i diversi cerimoniali sociali è anche un
Strauss nello studio sugli “attore” narrativo, un “aiutante”, capace di modificare le
effetti dei rituali sciama-
nici tra la popolazione
competenze di chi ne fa uso, di far progredire lo sviluppo
Cuna (LÉVI-STRAUSS della trama, addirittura di ribaltare le situazioni narrative,
1958: 210-230 tr. it.). Il istruendo, al contempo, la visione dello spettatore 1 .
concetto è stato ampia-
mente ripreso negli studi
Nelle storie raccontate dai film, il vino mette in gioco la sua
sociosemiotici sugli effetti efficacia, manipola il sapere dei personaggi, le loro azioni,
dei discorsi sociali e me- favorisce l’emergere di stati passionali, ne modula l’intensità
diatici (MARRONE e ne influenza la dimensione somatica, qualificandosi come
2001: XXX-XXXVI).
oggetto simbolico capace di rendere pertinenti alcuni dei
3. Sui rapporti tra cine-
ma e gusto si veda lo stu-
valori astratti che fondano un sistema sociale, come il pia-
dio di Lorenzo Bianciar- cere e l’eleganza o, al contrario, la devianza e l’eccesso 2 .
di dedicato all’analisi del La tavola sulla quale si consuma il pasto può essere consi-
film di Ang Lee Man- derata come un “banco di montaggio” delle qualità con le
giare bere uomo donna
(Yin shi nan nu, 1994). quali il gusto coinvolge a pieno la sensorialità dei commen-
Nel primo capitolo si sali e cerca di trasmetterla anche allo spettatore 3.
trova una rassegna critica
delle teorie filosofiche
Gli aspetti sensibili e quelli sensoriali, si mescolano nella
classiche, dell’approccio rappresentazione di una pratica sociale come quella del
semiotico e di quello fe- mangiare in compagnia, sviluppando così le possibilità di
Il cinema italiano
racconta il vino 25
interdipendenza e stimolazione reciproca tra i sensi che
sono alla base dei processi sinestesici 4.
La tavola imbandita di bevande e pietanze è un’architet-
tura del gusto in cui i sensi si concatenano in modo preciso
secondo i gesti inquadrati dalla macchina da presa. In un
lavoro dedicato al coinvolgimento sensoriale e alle forme
di manifestazione del senso in cucina e attorno alla tavola,
Gianfranco Marrone scrive:
Il senso della cucina passa da una cucina del senso. Ma è la ta-
vola a costituire sempre e comunque il luogo – fisico e simbolico
al contempo – in cui il corpo di ciascuno di noi, senza perdere
le proprie specifiche istanze, si fa essere sociale, elemento costi-
tutivo di una qualche forma di intersoggettività: i nostri processi
sensoriali, superando le anguste vie del bisogno alimentare, ac-
cedono senza soluzione di continuità verso i più ampi lidi del nomenologico ai temi del
piacere del palato e della multiforme patina di significazione che, gusto e della sinestesia. Il
fondandolo, ne deriva. Dai sensi si accede così al senso, ai valori secondo capitolo è inve-
ce dedicato alle strategie
sociali e culturali, in un via vai ininterrotto dove la dimensione che il cinema adotta per
somatica e quella collettiva finiscono per rivelare la loro comune chiamare in causa ed
derivazione semiotica e, perciò, il loro essere un’unica, troppo evocare l’intero apparato
sensoriale dello spetta-
umana realtà (MARRONE – GIANNITRAPANI 2012: 8). tore (BIANCIARDI
2011).
Allo stesso modo, anche la degustazione del vino si svolge
4. Fisiologia del gusto di
seguendo una precisa concatenazione di gesti che prende Jean Anthelme Brillat-
in considerazione le caratteristiche della bevanda, da quelle Savarin, pubblicato per
cromatiche a quelle gustative, e si relaziona ai sensi del la prima volta nel 1825,
è uno dei testi classici sul
degustatore, la vista, poi l’olfatto e infine il gusto. tema. Il lavoro di Brillat-
Savarin ha avuto diverse
La descrizione dell’aspetto visivo del vino è, secondo tradizione, riletture, tra cui quella
la prima ad essere svolta, seguita da quella della dimensione di Barthes (1984) e di
Gianfranco Marrone
olfattiva, per concludersi con quella del gusto vero e proprio (2000) che hanno rile-
e, infine, del retrogusto. Questo ordine assume una dimensione vato il “funzionamento”
rituale, in quanto non è mai messo in discussione e rispecchia semiotico del gusto e il
suo rapporto con gli altri
una gerarchia degli ordini sensoriali che sono disposti in strati sensi e, più in generale,
di profondità a seconda della distanza che separa il soggetto con la corporeità.
26 Il cinema italiano
racconta il vino

dall’oggetto sottoposto a indagine sensoriale. In questo tipo di


gerarchizzazione si può forse vedere il riflesso di un processo
di progressiva congiunzione del soggetto con l’oggetto (GRI-
GNAFFINI 2000: 218-219).

Avvicinare il bicchiere alla bocca è un rituale in cui il bere


(soddisfazione di un bisogno fisiologico) è solo la tappa
finale di un processo complesso seppur breve. Nel gesto
di bere si sprigionano tutti gli elementi di una sintassi nar-
rativa che coinvolge il tatto (la consistenza del bicchiere,
le sue qualità materiali), la vista (la trasparenza del cristallo,
attraverso il quale il bevitore osserva i cromatismi del vino,
le lacrime e gli archetti lasciati dalla bevanda sulle pareti
del calice), l’olfatto (i sentori emanati dal vino) e infine
il sapore che si sprigiona a contatto con la bocca e nella
quale il gusto di un singolo componente entra in sintonia
con quelli già mangiati (GALOFARO 2006: 162-166).
Nel cinema, il susseguirsi delle azioni che fanno parte della
degustazione come dello stare a tavola si trasformano in
un’avventura dello sguardo spettatoriale che, attraverso la
mediazione della macchina da presa, segue le fasi di questo
rito, in attesa dei suoi risvolti sul racconto (GALLINGA-
NI 1998: 944).
Il percorso di analisi investigherà, in questo primo capitolo,
le modalità con le quali il vino, il cibo e più in generale il
gusto che si produce e si manifesta attorno alla tavola, co-
stituiscono un elemento centrale non solo della costruzione
scenografica del film ma anche della sua trama. Mantenen-
do una distanza mobile, che di volta in volta sappia indivi-
duare la taglia del suo oggetto di indagine (dall’intero film,
a una sequenza, fino alla singola inquadratura), si proverà
ad esercitare uno sguardo che attraversi i generi e la storia
del cinema italiano per rinvenire alcune componenti essen-
ziali nella messa in scena delle relazioni e dei comportamenti
sociali legati al pasto, tra una portata e l’altra, in compagnia
di un buon bicchiere di vino.
Il cinema italiano
racconta il vino 27
1.2 Una passeggiata nel neorealismo:
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica

Un uomo in cerca della sua bicicletta si aggira per le strade


in compagnia di suo figlio, un ragazzino che, a dispetto
della giovane età, già lavora come garzone in una pompa
di benzina. La madre in pena li attende a casa, speranzosa
che i due ritornino con l’oggetto rubato, da cui dipende
il sostentamento dell’intera famiglia. La macchina da presa
pedina padre e figlio, li accompagna e li insegue per le vie
e i quartieri di Roma, affannandosi a mostrare, ogni volta
che si apre una possibile soluzione al dramma della perdita,
il gioco di sguardi, di attese, desideri e disillusioni che i due
intrattengono. Il girovagare domenicale di padre e figlio,
seppur motivato da un obiettivo, si realizza nell’incapacità
di individuare una destinazione, nell’impossibilità di definire
un tragitto che porti i due protagonisti della storia a risol-
levare le loro sorti.
In Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica si ripete
il movimento meccanico, spesso privo di scopi, che lega
l’esistenza e le possibilità lavorative del borgataro romano
Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani) alla sua bicicletta:
prima data in pegno per racimolare del denaro, poi “ri-
conquistata” perché necessaria per compiere il suo lavoro
di attacchinaggio e infine rubata. La ricerca della bicicletta
porterà lui e suo figlio Bruno (Enzo Staiola) ad attraversare
la capitale: dai mercati di strada, tra i ricettatori, alle case di
ospitalità per i poveri, dai quartieri di periferia alle rive del
Tevere. Tragico destino quello che accompagna i due pro-
tagonisti: la loro erranza è spinta dalla ricerca di un mezzo
di locomozione. Bruno trotterella accanto al padre, a volte,
per stargli dietro, inciampa e cade, bagnandosi e sporcan-
dosi i vestiti; altre volte è al suo fianco, mano nella mano,
con lo sguardo alla ricerca del volto paterno. Nella scena
finale, il padre, che aveva tentato di rubare a sua volta una
28 Il cinema italiano
racconta il vino

bicicletta, piange di vergogna non tanto e non solo per il


giudizio dei passanti che si scaglia su di lui, ma soprattutto
per la presenza del figlio, che nonostante tutto torna a strin-
gergli la mano per condividere la stessa drammatica condi-
zione. Queste “gesta”, piuttosto che descrivere un’epopea
del proletariato, sono riprese per scomporre al dettaglio il
paesaggio urbano e soprattutto le qualità umane di un so-
strato sociale: l’umanità dei volti, i gesti familiari, il linguaggio
e i dialoghi di strada, i riti quotidiani, le angherie minute
e triviali. Gli accadimenti, nella loro casualità, prendono il
sopravvento sulla messa in scena; inoltre il film è quasi inte-
ramente girato in esterni e con attori non professionisti, nel
pieno rispetto dei canoni del neorealismo cinematografico.
Pur nella centralità dei contenuti sociali che caratterizzano
il cinema neorealista tra la Seconda Guerra Mondiale e
l’immediato dopoguerra, sono gli elementi formali – il pe-
dinamento da parte della macchina da presa nei confronti
dell’uomo di strada, teorizzato da Cesare Zavattini, come
il motto di Roberto Rosselini «La realtà è là. Perché mani-
polarla?» – che, introducendo importanti trasformazioni nel
linguaggio cinematografico, accrescono il portato politico
di questa corrente cinematografica. L’impegno politico e
culturale di autori come Visconti, Rossellini, Zavattini, De
Sica, Lattuada, De Santis, Zampa, si affianca ad una tra-
sformazione delle lo- giche narrative che non si conformano
più al rispetto della linearità e della consequenzialità della
trama (l’aderenza ai canoni del cinema hollywoodiano)
ma, attraverso una simbiosi tra i personaggi inquadrati e la
5. Per un approfondi- macchina da presa, riproducono sullo schermo il vagabon-
mento storico e critico daggio, la deambulazione e lo spaesamento dei soggetti tra
sul neorealismo, tra i le macerie e la desolazione delle periferie urbane sul finire
molti contributi, si veda-
no le raccolte curate da della Seconda Guerra Mondiale 5. Nel definire i tratti
Lino Micciché (1999) dell’estetica neorealista e delle caratteristiche che portano
e da Alberto Farassino
(1989), e il volume di
all’affermazione di un’“immagine-fatto”, in cui i confini tra
Gian Piero Brunetta vedere e mostrare, tra la cattura passiva da parte di un
(2006: 22-109). occhio meccanico e la creatività che da questo processo
Il cinema italiano
racconta il vino 29
può generarsi, tendono a confondersi e a sovrapporsi, il
teorico e critico del cinema André Bazin scrive a proposito
del capolavoro di De Sica:
Alla scomparsa della nozione di attore, nella trasparenza di una
perfezione apparentemente naturale come la vita stessa, rispon-
de la scomparsa della messa in scena. […]. Come la scomparsa
dell’attore è il risultato di un superamento dello stile dell’inter-
pretazione, la scomparsa della messa in scena è ugualmente il
frutto di un progresso dialettico nello stile del racconto. Se l’av-
venimento basta a se stesso senza che il regista abbia bisogno
di rischiararlo per mezzo delle angolazioni della macchina da
presa, è perché è appunto arrivato a quella perfetta luminosità
che consente all’arte di smascherare una natura che finalmente le
somiglia. Per questo l’impressione che ci lascia Ladri di biciclette
è costante quella della verità (BAZIN 1958-1962: 314-315 tr. it.).

Sulla scia delle riflessioni di Bazin, anche Gilles Deleuze,


sostiene la centralità delle innovazioni formali, piuttosto che
contenutistiche, introdotte dal neorealismo:
Contro coloro che definivano il neorealismo italiano a partire
dal suo contenuto sociale, Bazin invocava la necessità di criteri
formali estetici. […] Il reale non è più rappresentato o ripro-
dotto, ma “mostrato”. Invece di mostrare un reale già decifrato,
il neorealismo mostrava un reale ancora da decifrare, ambiguo
(DELEUZE 1985: 11 tr. it.).

Per il filosofo francese, il cinema neorealista costruisce e ri-


flette su una realtà dispersiva, ellittica, errabonda, che ope-
ra per blocchi, con eventi fluttuanti, situazioni spesso prive
di una finalità narrativa e in cui i legami senso-motori che
connettono il personaggio all’azione sono deliberatamente
deboli. I personaggi non agiscono in base a degli scopi,
non reagiscono in base a situazioni. Il personaggio diventa
una specie di spettatore:
30 Il cinema italiano
racconta il vino

Ha un bel muoversi, correre, agitarsi, la situazione nella quale si


trova supera da ogni parte le sue capacità motorie e gli fa vedere
e sentire quel che non può più essere teoricamente giustificato
da una risposta o da un’azione. Più che reagire, il personaggio
registra (DELEUZE 1985: 13).

I due protagonisti di Ladri di biciclette, nel loro affannoso


e vano errare di una domenica mattina, si concedono un
pasto fuori, uno strappo alla regola viste le ristrettezze eco-
nomiche e il futuro lavorativo incerto.
Arrivano così in trattoria, dove la desolazione degli am-
bienti urbani e le disavventure accumulate fino a quel mo-
mento lasciano il posto all’allegria e al chiacchiericcio tra i
tavoli, al via vai dei camerieri, alle note di un gruppo di
musicisti.
Nella sequenza – un’oasi drammatica la definisce Bazin
nella sua analisi del film (BAZIN 1958-1962: 311 tr. it.)
– Antonio e Bruno sono seduti attorno a un tavolo appa-
recchiato mentre tutto intorno a loro si agita e si trasforma:
le portate, i gesti della piccola orchestra, gli appetiti e le
espressioni dei commensali.
Se le capacità motorie, rispetto alla camminata, sono limita-
te, i protagonisti continuano la loro attività di registrazione
dell’ambiente circostante che li avvolge, pur non includen-
doli completamente. Attraverso una serie di campi e con-
trocampi, il personaggio-spettatore, in perfetta simbiosi con
la macchina da presa, registra e mostra ciò che accade nello
spazio della trattoria (Figg. 1-4).

Figura 1 Figura 2
Il cinema italiano
racconta il vino 31

Figura 3 Figura 4

l vino è la sostanza che favorisce nel personaggio la con-


versione passionale, il passaggio da uno stato disforico,
connesso ai risultati negativi della sua ricerca, ad uno stato
euforico. Varcata la soglia della trattoria, Mario prova ad al-
lontanare i pensieri che lo affliggono per consumare il pranzo
in spensieratezza. Dopo il primo bicchiere, il suo sguardo si
rivolge all’orchestra disposta a lato del suo tavolo, venendo
prontamente ricambiato dal cantante (Figg. 1-2). Al secondo
bicchiere il protagonista, imitando il figlio, alza lo sguardo
per fissare l’abbondanza dei piatti e delle bevande con cui
i camerieri sembrano “decorare” la tavola della famiglia posta
di fronte a loro (Figg. 3-4). Alla vista di quella scena, gli
affanni e le incertezze tornano ad adombrare il suo volto:
allontana da sé il piatto ancora pieno per prendere un tova-
gliolo sul quale fare i conti dello stipendio che il lavoro da
attacchino gli potrebbe garantire. La necessità di riprendere
la ricerca della bicicletta torna a essere impellente. Il padre
passa il tovagliolo al figlio per far scrivere a lui le cifre mentre
la macchina da presa, lentamente, si avvicina al volto dell’uo-
mo per esasperarne ancor di più l’espressione e i sentimenti.
Il frugale pranzo in trattoria, in compagnia del vino, è stato
una breve parentesi di gioia nell’affannata ricerca domenicale.
Forse l’aiuto divino, già invocato dalla moglie, può produrre
una svolta nelle ricerche; probabilmente si tratta solo di un
altro inconcludente vagabondaggio.
32 Il cinema italiano
racconta il vino

1.3 La commedia all’italiana si consuma a tavola:


C’eravamo tanto amati di Ettore Scola

Attorno ai tavoli di un’altra trattoria romana si consumano


i brindisi e si rievocano i ricordi di un gruppo di amici
durante tutto l’arco della loro vita. Gianni (Vittorio Gas-
sman), rampante avvocato originario di Pavia, Antonio
(Nino Manfredi), portantino all’ospedale San Camillo di
Roma, Nicola (Stefano Satta Flores), maestro di ginnasio
a Nocera Inferiore e poi intellettuale squattrinato e critico
cinematografico, spesso in compagnia di Lucia (Stefania
Sandrelli), aspirante attrice della provincia udinese, si ri-
trovano periodicamente, spesso per caso, “Dal Re della
Mezza Porzione”.
Nella sala del ristorante, tra le tavole affollate, i tre amici
ricordano le loro vicissitudini e così facendo ricostruiscono
le tappe fondamentali della storia e della cultura italiana:
dalla Resistenza alla nascita della Repubblica, dal cinema
neorealista all’intrattenimento televisivo, dalla ripresa econo-
mica al referendum sull’aborto.
Come in un film nel film, le immagini e i simboli che co-
stellano la memoria collettiva italiana – i cinegiornali del
dopoguerra, la storia del cinema italiano con i suoi grandi
registi (De Sica, Fellini, Antonioni) e interpreti (Mastroian-
ni), Mike Bongiorno e il suo quiz Lascia o raddoppia? –
scorrono dinanzi agli occhi dei personaggi e del pubblico.
Il commento fuoricampo, in cui si alternano le voci dei tre
protagonisti, ritrova sempre i corpi degli attori che, facendo
il loro ingresso nell’inquadratura, indicano allo spettatore le
connessioni tra la cronologia degli eventi e le piccole storie,
tra i mutamenti culturali, i litigi quotidiani e le ipocrisie
individuali.
C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola può esse-
re considerato un’antologia della commedia all’italiana: la
sceneggiatura porta le firme di Age e Scarpelli, al secolo
Il cinema italiano
racconta il vino 33
Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, che in coppia hanno
firmato molti dei copioni del cinema italiano a partire dalla
fine degli anni Quaranta, gli attori – tra i quali bisogna ag-
giungere anche Aldo Fabrizi – hanno costruito, attraverso
i loro volti, le maschere della commedia nazionale e infine
la costruzione dei personaggi, una galleria dei “tipi”, delle
caricature e degli atteggiamenti esasperati di questo genere
cinematografico, che ben presto si sono cristallizzati nell’im-
maginario degli spettatori.
Ecco come Maurizio Grande, semiologo dello spettacolo
che ha dedicato diversi studi teorici al cinema italiano e alle
sue trasformazioni, definisce le capacità di rappresentazione
e di costruzione della società da parte della commedia e
dei suoi personaggi:
La commedia come “trama comica” (e farsesca e grottesca) del
banale-quotidiano “anonimo” e “qualunque” si esprime nel pic-
colo costante conflitto fra le attese del soggetto e la pressione
sociale, la quale ha il compito di “istruire” l’ingresso del soggetto
nella società e di “manovrare” le dinamiche del suo adattamento.
In questo senso, la commedia espone la condizione di personag-
gi costretti alla flessibilità psicologica, morale, comportamentale;
personaggi mai definitivamente “compiuti” e costretti di continuo
a mutare parametri di valutazione e “maschere di prestazione”
per trovare una collocazione nella società, per aderire il più pos-
sibile ad una società che detta le norme della vita collettiva
(GRANDE 2003: 41) 6.

Il continuo rimando alla messa in forma della realtà e alle


capacità di interpretare le trasformazioni sociali da parte
del cinema è una consapevolezza che non appartiene solo
alla critica. Infatti, sono gli stessi registi e sceneggiatori che, 6. Nelle pagine succes-
attraverso le capacità costruttive del loro mezzo espressivo, sive, lo studioso italiano
colgono gli umori, i dissapori e le trasformazioni in atto. esplicita i caratteri della
commedia all’italiana
Nel fare un bilancio della sua attività e del legame di (GRANDE 2003: 42-
quest’ultima con la commedia all’italiana, Scola scrive: 46).
34 Il cinema italiano
racconta il vino

La commedia italiana è stata un ginepraio in cui è difficile di-


stricarsi, una specie di mercato delle pulci dove c’è stato di
tutto. Perché Fellini ha fatto commedia italiana; Pasolini l’ha fatta,
Franchi e Ingrassia l’hanno fatta, Corbucci, Monicelli, io e altri
ancora. […] La commedia italiana è stata figlia un po’ degene-
re del neorealismo, una sorta di reazione un po’ reazionaria, in
quanto nata come pacificatoria, “testimone” di un’Italia consola-
ta, grassoccia e paesana, dai pochi riferimenti con la realtà. Un
cinema di fantascienza (o di fantacoscienza). Poi la commedia
italiana è cresciuta, è entrata in maggior contatto con la realtà, ha
scavato di più. Si è fatta più inquietante, da consolatoria che era
è diventata provocatoria.
È in questa direzione che credo di aver lavorato: verso una
commedia italiana nella quale, dietro l’eredità del neorealismo e
le “magie” della satira, traspariva l’apologo civile (ELLERO 1995:
7. Il concetto di “interte-
stualità” è utilizzato per
7-8).
descrivere le relazioni (il
plagio, la parodia, la ri- Come nella dichiarazione di Scola, anche in C’eravamo
scrittura, ecc.) che legano
un testo ad altri (GE-
tanto amati si trova condensato gran parte del percorso
NETTE 1981). Sui fe- della commedia italiana dagli anni Cinquanta fino agli anni
nomeni di intertestualità Settanta. Le citazioni e i rimandi cinematografici a Ladri di
e citazione connessi alle
pratiche cinematografi-
biciclette e a L’eclisse di Antonioni, la ricostruzione dei
che come il remake o il set de La dolce vita di Fellini e di Lascia o raddoppia?, le
serial si vedano, tra i molti immagini di repertorio dei cinegiornali, come altre che do-
testi pubblicati, il lavoro
di Nicola Dusi e Lucio
cumentano un intervento pubblico di De Sica, sono alcuni
Spaziante (2006) e la degli espedienti che il film, facendo interferire la storia con
raccolta di saggi curata le sue rappresentazioni mediatiche, utilizzando le strategie
da Francesco Casetti dell’intertestualità e dell’intermedialità, adotta per costruire
(1984). La “rimediazio-
ne” riguarda qui feno- una sorta di mappatura delle coordinate e dei riferimenti
meni in cui: «un medium culturali a cui la commedia ha attinto e che ha rielaborato,
si appropria di tecniche,
forme e significati sociali
spesso nel segno dell’esagerazione caricaturale, della farsa e
di altri media e cerca di del dramma 7 .
competere con loro o La trattoria romana, con i suoi brindisi e la sua caotica con-
di rimodellarli in nome
del reale» (BOLTER –
vivialità, è lo spazio di azione in cui i personaggi si ritrovano
GRUSING 1999: 93 per recuperare le tracce del passato e rinsaldare per brevi
tr. it.). momenti l’amicizia che li lega, sempre in bilico tra memoria
Il cinema italiano
racconta il vino 35
individuale e collettiva, riti collettivi e drammi privati.

Figura 5 Figura 6

Figura 7 Figura 8

È nella trattoria che Antonio, in compagnia della sua amata


Luciana, ritrova l’amico Giovanni (Fig. 5).
Dopo l’esperienza partigiana, le cui immagini si ripetono
diverse volte all’interno del film, i due si erano separati,
ognuno diretto verso la propria città d’origine. Ma mentre
Antonio brinda all’amico e alle imminenti elezioni politiche,
Gianni e Luciana si scambiano fuggevoli sguardi che pre-
annunciano il loro amore e la rottura dell’amicizia tra i due
uomini.
Luciana e Antonio si ritroveranno, qualche tempo dopo,
sempre in trattoria. Nicola, giunto a Roma per coltivare il
suo impegno da intellettuale e la sua passione per il cinema,
è insieme a loro (Fig. 6).
Gli anni passano – il film marca lo scorrere del tempo e
l’evoluzione dei costumi sociali anche attraverso il passag-
gio dal bianco e nero al colore – e al “Re della Mezza
Porzione” fa il suo ingresso lo schermo televisivo: tutti i
commensali, Antonio compreso, hanno lo sguardo rivolto
alle immagini di Lascia o raddoppia? (Fig. 7). Nello studio
36 Il cinema italiano
racconta il vino

televisivo, Mike Bongiorno rivolge a Nicola la domanda


che potrebbe raddoppiare il suo già ricco montepremi.
La carriera da giornalista e critico cinematografico non gli
ha reso grossi guadagni, i suoi libri non vengono pubblicati
e allora non resta che rivolgersi al sogno di massa: il primo
quiz a premi della televisione italiana diventa l’unica op-
portunità di riscatto, economico e sociale. Ma, anche in
questo caso, il fallimento non tarderà ad arrivare. Il concor-
rente non risponde correttamente alla domanda su Ladri di
biciclette e così, nonostante la sua ira e la minaccia di fare
ricorso, dovrà accontentarsi del premio di consolazione,
una Fiat 600.
Nell’ultima parte del film, i tre amici sono di nuovo insieme.
Nonostante l’età, i litigi e gli anni trascorsi, gli abbracci e i
sorrisi non mancano e il loro rincontro viene coronato con
un brindisi di vino bianco (Fig. 8). Con una dissolvenza, si
passa dalle immagini della Resistenza – quando i tre parti-
giani gioiscono per l’annuncio della fine del conflitto – alla
trattoria dove tutto sembra non essersi mai trasformato (il
locale, le pietanze, le battute dell’oste) e il tempo si “riav-
volge” per essere rivisitato e raccontato attorno alla tavola.
Gianni è diventato un ricco e importante avvocato che ha
dovuto compromettere i suoi ideali con il potere, Nicola
non ha più rivisto la sua famiglia, Antonio si è sposato
con Luciana: l’amarezza per le scelte fatte, i compromessi
accettati e le novità possono rivelarsi solo all’uscita dal ri-
storante quando, nella notte, dopo l’ennesimo alterco e la
successiva riappacificazione, ciascuno proverà a confidarsi.
Il film si chiude dove era incominciato: con il fermo-imma-
gine di Gianni che sta per tuffarsi nella piscina della sua
villa all’Olgiata. Il flashback che apriva il film può termina-
re con l’immagine a rallentatore del tuffo mentre gli amici,
dall’esterno della villa, hanno ormai scoperto l’opulenza
borghese che l’avvocato Perego non aveva avuto il co-
raggio di rivelare loro. Ancora una volta il montaggio può
contravvenire alla linearità della storia e far ricominciare il
Il cinema italiano
racconta il vino 37
racconto. D’altronde, Nicola troverà sempre qualche spet-
tatore pronto a seguire una storia incominciata trent’anni
fa e a lui si accompagneranno le parole e i punti di vista,
di Antonio, di Gianni e di Luciana. E forse questa storia
rinizierà tra i tavoli della trattoria romana, per un altro in-
contro, per brindare di nuovo in memoria dei ricordi e delle
avventure passate.

1.4 La passione nasce dopo un brindisi:


Il Casanova di Federico Fellini

Elemento scenografico e narrativo, la tavola imbandita è una co-


stante nel cinema di Federico Fellini. Dalla varietà delle pietanze
e delle bevande alle voci dei convitati che si sovrappongo pro-
ducendo il chiasso della festa: la rappresentazione della tavola
ben si accorda con la tendenza del cinema felliniano a costruire
quel racconto ad episodi con cui è scandita la narrazione filmica,
dei sipari corali sovraccarichi di personaggi dai caratteri comici e
grotteschi, dove abbondano gli elementi scenografici e i dettagli.
Gli esempi sono molti: le esagerazioni verbali e alimentari della
cena di Trimalcione nel Fellini-Satyricon (1969), i tavoli affolla-
ti, disposti lungo strada di fronte alle osterie, in Roma (1972)
dove le carrellate della macchina da presa offrono alla spettatore
l’abbondanza delle pietanze, la loro varietà, il goffo agitarsi dei
camerieri sempre indaffarati, le grida in romanesco che caratteriz-
zano il dialogo tra i commensali. E ancora: il pranzo di famiglia in
Amarcord (1973), in cui l’occhio vigile, l’espressione contratta e
il tono di voce irato del capofamiglia alimentano e gestiscono il
succedersi dei litigi e delle azioni altrui.
Le scene dei pasti diventano, al pari di una strada affollata o
di uno spettacolo di cabaret, una galleria volutamente mal orga-
nizzata, un accumulo di oggetti e soggetti in cui si cristallizzano
diverse storie e temporalità. È questo secondo Fellini lo spetta-
38 Il cinema italiano
racconta il vino

colo in continua crescita (DELEUZE 1985: 104 tr. it.): in esso


lo spettatore è in balia dei movimenti erranti della macchina da
presa che attraversano e frammentano l’inquadratura in miriadi di
entrate e di uscite, vagando tra un personaggio e l’altro mentre,
nella colonna sonora, i dialoghi si confondono con il rumore del-
le posate, dei bicchieri, dei passanti e la musica delle orchestre.
Che cosa succede quando il pasto diventa il luogo per adescare
le prede amorose? Quando Casanova è ospite di salotti e ban-
chetti, lo spettacolo felliniano sfrutta il suo estro per mettere in
mostra il rituale della seduzione. Dagli sfarzi e dagli oscuri presagi
della notte di carnevale sul Canal Grande di Venezia alle rive
buie dell’isolotto di San Bartolo, dai salotti parigini, custodi di
pratiche occulte e laboratori magici, ai bassifondi nebbiosi di
Londra dove si può intravedere la donna più grande e forte del
mondo e si può entrare nel ventre ancora caldo della Mona,
la balena femmina; dalle orge romane, sino alla festa alla cor-
te di Württemberg: le avventure amorose e i pellegrinaggi per
l’Europa di Giacomo Casanova raccontati nel film Il Casanova
di Federico Fellini (1976) sono incorniciate da scene di feste e
banchetti. Sono proprio i banchetti ad essere l’anticamera che
precede le fatiche amorose del seduttore veneziano: è attorno
alla tavola, nel gioco degli sguardi, restituiti attraverso campi e
controcampi dalla macchina da presa, che l’arte seduttiva di Ca-
sanova trova il suo spazio d’azione ideale. Quando il Casanova,
interpretato da Donald Sutherland, fugge dalle fredde prigioni
dei Piombi, porta con sé soltanto lo scrigno che contiene l’uc-
cello amoroso: un pennuto meccanico che con i suoi movimenti
e la musica di carillon composta, come tutta la colonna sonora
del film, da Nino Rota, determina i gesti e il ritmo delle sue
scene amorose. Approda poi a Parigi, dove trova ospitalità pres-
so il salotto dell’anziana nobildonna madame d’Urfé. Maghi,
sensitivi, veggenti, occultisti e una bambina dalla sorprendente
intelligenza, capace di contraddire le tesi di Sant’Agostino sul
concepimento della Vergine Maria, siedono attorno alla tavola
sulla quale troneggia la statua di un gufo (Fig. 9).
È in questo scenario esoterico che Casanova dà sfoggio delle
sue doti di conquistatore. Dopo aver assistito a un episodio di
Il cinema italiano
racconta il vino 39

Figura 9

possessione e aver contraddetto le posizioni di alcuni dei com-


mensali sulle caratteristiche dell’anima femminile, il suo sguardo e
quello dell’anziana nobildonna si incrociano.
Mentre le voci scemano un po’ alla volta, anche la luce che fa
risaltare le figure e gli oggetti scompare, gettando nell’ombra i
piatti, i cibi, i calici e i personaggi, sino a far dissolvere anche
questi ultimi dalla scena.
I due amanti sono ormai soli e la nobildonna si solleva dalla
sua sedia per accompagnare il Casanova nel suo laboratorio
magico, dove sono conservati oggetti antichi dotati di poteri
sovrannaturali.
Il trasformismo amoroso dell’avventuriero veneziano e la creativi-
tà del regista riminese, sorretta dalle capacità di Danilo Donati,
vincitore del premio Oscar per i costumi, e di molti altri tecnici,
macchinisti, truccatori e architetti, si incontrano nello sfarzo ba-
rocco del Settecento. Infatti, il mondo barocco in cui è am-
bientata la Storia della mia vita, biografia firmata da Giacomo
Casanova, viene palesemente ricostruito e rivisitato, per ciascuno
degli episodi del film, negli studi cinematografici di Cinecittà.
Prima del concerto organizzato dal gobbo conte Du Bois presso
la sua casa nel Ducato di Parma, Casanova si ritrova nuovamente
ad esercitare il suo sguardo e le sue doti dialettiche per ingraziarsi
i favori della sua nuova amante Henriette, giovane francese dal
passato misterioso. A tavola, divisa fra nobili francesi e spagnoli
40 Il cinema italiano
racconta il vino

che si contendono il dominio sul Ducato, il protagonista ingag-


gia un duello verbale contro il padrone di casa (Fig. 10).

Figura 10

Mentre il conte esalta la lascivia dei costumi femminili, confron-


tandoli prima alla leggerezza di una piuma, poi a quella del
vento e infine alla cenere, Casanova, sempre con lo sguardo
rivolto alla sua amata, rimprovera gli abusi del genere maschile
nei confronti della grazia posseduta dalle donne. Se il duca
paragona i baci delle amanti ai bicchieri di vino, ai quali il be-
vitore insaziabile finisce per soccombere, per Casanova i baci
sono lo strumento in grado di rompere le barriere che separano
i corpi per renderli indistinguibili. Alle parole di quest’ultimo
Henrietta, sorridente e compiaciuta, solleva il suo bicchiere di
vino per brindare alla salute del suo amante che non esita, con
un gesto elegante, a ricambiare. Il brindisi diventa così il sigillo
con il quale saldare il nuovo sodalizio amoroso, anche se questo
avrà vita breve, costringendo il Casanova a peregrinare ancora,
alla ricerca di un’altra amante, in quel desiderio quasi meccanico
che, al pari dell’uccello amoroso, si attiva ad ogni incontro per
spegnersi subito dopo.
Il cinema italiano
racconta il vino 41
1.5 Il Pranzo di Ferragosto
secondo Gianni Di Gregorio
I gusti e le abitudini culinari si ripresentano puntualmente nelle
diverse stagioni del cinema italiano, fornendo così un riflesso
più ampio, a volte realistico altre volte comico o grottesco,
delle tendenze e delle trasformazioni culturali in atto nella
società. E così, il campo dei discorsi sociali trova il suo spa-
zio nello schermo cinematografico, il quale si dota di filtri, di
strumenti linguistici (la carrellata, lo sguardo in macchina, l’in-
serimento e il montaggio di prelievi provenienti da altri mezzi
di rappresentazione) e di generi (dal dramma alla commedia),
per poterlo “contenere” e al contempo offrirne una chiave
interpretativa.
Il percorso compiuto fin ora, seppur con poche e brevi tap-
pe, ha provato a seguire e comprendere alcune delle strategie
di messa in scena del pasto, con un’attenzione particolare alle
funzioni figurative e narrative del vino, in alcuni film italiani.
Ovviamente, un’incursione nel cinema contemporaneo non
poteva mancare, soprattutto se con essa si entra nel vivo di un
rituale sociale come quello del pranzo ferragostano.
Agli inizi degli anni Sessanta, Dino Risi faceva iniziare il suo
film Il sorpasso (1962) tra le vie deserte di Roma nel giorno
di Ferragosto. La trama è nota: l’impacciato studente Ro-
berto Mariani (Jean-Louis Trintignant) si lascia coinvolgere
dall’edonista Bruno Cortona (Vittorio Gassman) in una serie
di avventure lungo la via Aurelia, che termineranno con un
tragico incidente stradale. A più di quarant’anni di distanza,
con un altro stile e con personaggi molto differenti, il film
Pranzo di Ferragosto (2008) scritto, diretto e interpretato da
Gianni Di Gregorio, ritorna tra le vie assolate della capitale
per raccontare le vicende di chi è costretto a rimanere in città
nonostante la festività.
Dall’evasione tragica del film di Risi, all’immobilità cittadina del
Pranzo di Ferragosto, dove la corsa frenetica verso le spiagge,
42 Il cinema italiano
racconta il vino

il divertimento giovanile e gli incontri imprevisti sono solo un


miraggio lontano.
Qualche giorno prima della festività: Gianni – il regista è
anche il protagonista e nel film conserva il suo nome – si ag-
gira con le buste della spesa tra le vie deserte e i mercati del
centro di Roma. La sua occupazione quotidiana è quella di
badare all’anziana madre, nobile vedova decaduta. Entrambi
si trovano in ristrettezze economiche e sono costretti a pic-
coli espedenti per non pagare i loro debiti. Quando Gianni
entra nella sua vineria di fiducia, dopo essersi fatto versare un
bicchiere di Ribolla Gialla, compra due bottiglie di Chablis
che sorseggierà abbondantemente durante tutto il corso del
film (Fig. 11). Nel Pranzo di Ferragosto, Gianni non è solo in
compagnia dei suoi bicchieri di vino bianco e delle richieste
incessanti della madre. Durante le afose giornate estive, tre
anziane signore, abbandonate dai familiari in fuga verso lidi
marittimi, sono ospitate dal protagonista che, pur di racimolare
del denaro e ripagare parte dei suoi debiti, si improvvisa ba-
dante, cuoco e paziente confidente. La casa di famiglia, vuota
e decadente si rallegra di presenze femminili: Marina, donna
capricciosa e piena di irriverente vitalità, madre di Alfonso,
l’amministratore condominiale, zia Maria, regina della pasta al
forno, e Grazia, sottoposta ad una ferrea dieta dal figlio, il
medico Marcello, e che in sua assenza riuscirà ad apprezzare
nuovamente i piaceri della tavola.

Figura 11
Il cinema italiano
racconta il vino 43
Al pranzo di Ferragosto è dedicato il finale del film. Sedu-
te attorno alla tavola apparecchiata per le grandi occasioni,
vestite con gli abiti della festa, le anziane signore sorridono,
gioiscono e alzano i calici per brindare (Fig. 12).

Figura 12

Contente per una vacanza trascorsa tra le mura domestiche,


vorrebbero rendere interminabili i momenti di convivialità. Per
questo non esitano ad offrire al loro badante dell’altro denaro
affinché la piccola festa domestica, le chiacchierate e i brindisi
non si concludano con l’arrivo dei figli, pronti a separare la
loro unione. Gianni, sorridente, non può che accettare l’offer-
ta. Ma ad un patto: a cena solo un brodino vegetale. «Ma
con il parmigiano!», ribatte prontamente Grazia.
Il cinema italiano
racconta il vino 45

2. I vitigni, le tradizioni,
le nuove frontiere:
i documentari italiani sul vino
2.1 Un precedente letterario.
Il taccuino dei “viaggi d’assaggio”
tra le vigne d’Italia:
Vino al vino di Mario Soldati.

Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni


Settanta, lo scrittore, sceneggiatore e regista Mario Soldati
scrive Vino al vino. Viaggio alla ricerca dei vini genuini, una
raccolta di appunti, aneddoti, descrizioni e degustazioni
accumulate durante tre viaggi in giro per l’Italia. Nell’arco
di sette anni, Soldati attraversa gran parte delle province
italiane, da Nord a Sud, compresa la Sicilia e la Sarde-
gna, scegliendo sempre l’autunno come stagione per i suoi
spostamenti. Il diciassette novembre 1968 è la data d’ini-
zio del primo viaggio, che prende le mosse dalla Sicilia e
termina in Valle d’Aosta. Dalla vetta dell’Etna a quella del
Monte Bianco, Soldati non compie dei viaggi sistematici
e, come lui stesso ribadisce più volte, non ha un metodo
di valutazione dei vini rigido e stabilito a priori: l’inesper-
to amatore dei vini, con in tasca la Guida Touring dalla
copertina rossa, è sempre disponibile a delle deviazioni in
corso d’opera, agli imprevisti e alle sorprese. Per questo i
viaggi non sono dei tour organizzati: si tratta piuttosto di
avventure alla scoperta di luoghi da annotare e descrivere
con dovizia sia per il gusto del vino assaggiato, sia per i
personaggi che producono un particolare vino oppure lo
hanno consigliato e offerto. Il secondo viaggio è datato
46 Il cinema italiano
racconta il vino

1970 e i vini degustati appartengono alle regioni del Tren-


tino Alto Adige, del Veneto, del Friuli Venezia Giulia,
dell’Emilia Romagna, delle Marche e della Puglia. L’ultimo
viaggio si svolge nel 1975 e tocca la Sardegna, la Calabria,
la Basilicata, l’Abruzzo – con un ritorno nella provincia di
Chieti, già visitata durante il secondo viaggio –, il Molise, il
Lazio, l’Umbria, la Liguria, per terminare in Piemonte.
I viaggi compaiono, sotto forma di inchieste a puntate, sul
settimanale «Grazia» (il primo e il secondo viaggio) e su
«Epoca» (il terzo). Nel 1977, l’editore Mondadori li rac-
coglie in un’edizione integrale e li pubblica nella collana “I
libri illustrati Mondadori”. Al di là delle vicende editoriali,
Vino al vino è una raccolta di testi dal carattere ibrido, che
coniuga il genere romanzesco dai toni realistici, al saggio
divulgativo e al reportage 8. Inoltre, il testo di Soldati è
corredato da un ampio apparato fotografico. Nel primo e
nel secondo viaggio, Soldati è accompagnato dall’enolo-
go Ignazio Boccoli e da suo figlio Wolfango, autore degli
scatti; mentre i compagni del terzo viaggio sono il fotografo
professionista Giorgio Lotti e la moglie Jucci Kellerman,
anch’essa autrice di alcune delle fotografie scattate durante
8. Per un’accurata rico-
la tappa piemontese 9.
struzione delle vicende Con la sua penna e il suo taccuino, Soldati conduce il let-
editoriali di Vino al tore in viaggio – dei «viaggi d’assaggio» li definisce l’autore
vino si veda la “Nota
al testo” di Stefano
nella prima pagina del libro – alla scoperta dei vigneti sparsi
Ghidinelli, contenuta nel nostro Bel Paese, dei personaggi “da osteria”, dei sapori
nell’introduzione al volu- che si palesano ad un amatore inesperto del vino.
me (SOLDATI 2006:
XLV-XLX).
Si tratta di uno dei primi “esperimenti” di reportage sulle
culture vinicole in Italia. Azzardando un po’, il libro di
9. Nelle riedizioni di Soldati si potrebbe annoverare tra i primi propulsori per
Vino al vino, prima la diffusione sociale di una cultura attenta al consumo del
all’interno della collana
“Oscar Manuali” e poi vino, alle sue molteplici storie, alla biodiversità e alle tradi-
negli “Oscar Grandi zioni alimentari.
Classici”, il corredo fo-
tografico sarà sostituito
Più che dare un giudizio di qualità sui vini, Soldati racconta
dai disegni di Francesco le storie e i personaggi che, al pari delle uve utilizzate, fanno
Tabusso. parte di un vino, ne detengono i segreti e, nell’economia
Il cinema italiano
racconta il vino 47
del racconto, sono necessari a descrivere i luoghi e le tradi-
zioni. Per l’autore-degustatore non si possono comprendere
e apprezzare i vini, soprattutto quelli genuini, se non se ne
conoscono i metodi di produzione e soprattutto se non si
entra in contatto con le persone che da anni lo producono
e lo assaggiano, se non si visita il territorio:
Che ci dice l’odorato, il palato, quando sorseggiamo un vino
prodotto in un luogo, in un paesaggio che non abbiamo mai
visto, da una terra in cui non abbiamo mai affondato il piede,
e da gente che non abbiamo mai guardato negli occhi, e alla
quale non abbiamo mai stretto la mano? Poco, molto poco
(SOLDATI 2006: 60).

Già nelle prime pagine, l’autore fornisce le coordinate fon-


damentali del suo metodo per avvicinarsi ai vini e compren-
derne la genuinità. Proprio all’inizio del suo primo viaggio,
Soldati lascia la parola alla voce solenne e cavernosa di
Don Vicienzo Triunfo, proprietario insieme al fratello Don
Antonio di un’antica bottiglieria a Napoli, nella Riviera di
Chiaia, che afferma: «Nun ce stanno cchiù e’ vini: so’ ri-
maste solo e’ nomme!» (SOLDATI 2006: 15). Questa
esclamazione in dialetto napoletano apre il campo a una
serie di considerazioni sulla produzione vitivinicola italiana
che, per essere compresa e raccontata, richiede conoscenze
geologiche, geografiche, storiche e socio-economiche del
luogo in cui si vendemmia e si imbottiglia un determinato
vino. Ma questa erudizione non è sufficiente, ad essa va
affiancata una conoscenza diretta di quei luoghi: per as-
saggiare l’Asprino di Aversa – uno dei vini prediletti da
Papa Paolo III Farnese e che Soldati credeva scomparso
da almeno quarant’anni –, il più secco di tutti i bianchi,
non c’è altro modo se non quello di recarsi proprio nella
bottega dei fratelli Triunfo, dove il bianco aversano veniva
«mesciuto gelato» (SOLDATI 2006: 43-45).
Le etichette, al pari delle bottiglie che contengono i vini,
48 Il cinema italiano
racconta il vino

sono spesso fuorvianti, quantomeno incomplete, per i be-


vitori attenti.
In un vino, il “nome” come la grandissima maggioranza dei con-
sumatori italiani lo intendono e lo conoscono, e cioè il semplice
nome di una parola sola (per esempio, Barbera) o tutt’al più
due (Barbera di Piemonte), il semplice nome conta molto poco
o quasi niente: vale tutt’al più come una segnalazione iniziale,
come un avvertimento generico e grossolano. Badate: questo
vino è dolce, è secco, è rosso, è bianco, è spumante, non lo
è. Ecco cosa dice, in Italia, il nome di un vino: niente di più.
Un vero nome di un vino dovrebbe, invece, specificare la ben
limitata località di origine (Barbera di Piemonte, Portacomaro),
o, meglio ancora, il podere dove sono piantati i vigneti da cui
provengono le uve (Barbera di Piemonte, Portacomaro, poder
San Gillio) o, addirittura, la cantina dove si è proceduto alla
vinificazione (Barbera di Piemonte, Portacomaro, podere San
Gillio, cantina Cerruti). Inoltre ogni bottiglia dovrebbe portare
due date: quella della vendemmia, e quella dell’imbottigliamento:
Barbera di Piemonte, Portacomaro, podere San Gillio, cantina
Cerruti, vendemmia 1964, imbottigliamento 1966 (SOLDATI
2006: 17-18).

Va reso merito all’autore di aver messo in pratica questa


dettagliata “anagrafe” dei vini italiani. Infatti, a conclusione
del volume si trova un “elenco dei vini descritti”, suddiviso
per viaggio e province, dove ogni vino ha il suo nome e la
sua minuziosa descrizione.
Se una parte delle dichiarazioni di Soldati può risultare,
per il lettore contemporaneo e soprattutto per l’esperto
enologo, obsoleta e il suo metodo criticabile, non bisogna
dimenticare di collocare questo lavoro nella cornice storica
e socioculturale nella quale è stato scritto e pubblicato.
Innanzitutto va ricordato che si tratta di uno dei primi
esperimenti di promozione del patrimonio enogastronomi-
co italiano, attraverso un linguaggio teso a preservarne e tra-
Il cinema italiano
racconta il vino 49
mandarne le radici, la ricchezza e le biodiversità. I primi due
viaggi nascono, infatti, da una collaborazione tra l’Istituto
Enologico Italiano e una rivista divulgativa e di costume
come «Grazia».
Nel ricostruire le fasi che hanno portato i resoconti dei
viaggi a diventare un libro, Ghidinelli scrive:
Il 17 novembre 1969, sul settimanale “Grazia” (n. 1448, pp. 68-
77), esce un ampio servizio dal titolo In Sicilia / Alla scoperta
dei vini genuini, firmato da Mario Soldati e corredato dalle
fotografie del figlio Wolfango. È l’avvio di un suggestivo repor-
tage enologico in sei tappe, condotto da Soldati per conto
della rivista e in collaborazione con l’Istituto Enologico Italiano.
«Il famoso scrittore – recita l’occhiello dell’articolo – ha girato
l’Italia per portare sulle tavole delle nostre lettrici il meglio della
produzione enologica: ecco la prima puntata di questa singola-
re “avventura”». La realizzazione dell’inchiesta è infatti legata a
una originale iniziativa commerciale. Soldati […] non si propone
soltanto di fare «sul serio la conoscenza» di alcuni vini genuini:
come spiega nel primo dei suoi resoconti […] tra gli obiettivi
dei «viaggi di assaggio» c’è la sperimentazione di una inedita
rete organizzativa, che salvaguardi la qualità «artigianale» del vino
«industrializzandone», per converso, i circuiti di approvvigiona-
mento e commercializzazione (SOLDATI 2006: XLV).

La diffusione commerciale su larga scala dei vini italiani non


deve corrompere i metodi di produzione e soprattutto
non deve cancellare il radicamento territoriale. In parte
questi propositi rimarranno un’utopia, in parte saranno di-
sattesi, ma siamo nel 1968 e gli intellettuali più attenti ai
cambiamenti in corso nella società italiana, dopo il boom
economico degli anni Cinquanta, si apprestano a riflettere
criticamente sulle conseguenze del consumismo e sull’avven-
to della cultura di massa: una “mutazione antropologica”
che disfa, almeno apparentemente, le differenze di classe,
omologando i bisogni e le tendenze culturali a svantaggio
50 Il cinema italiano
racconta il vino

delle varietà, dei microsistemi legati al mondo contadino 10.


Il regista che, nel 1941, aveva portato sugli schermi cinema-
tografici il romanzo di Antonio Fogazzaro Piccolo mondo
10. Per un’introduzione antico, scritto sul finire dell’Ottocento, appartiene a que-
al concetto di “mutazio- sta schiera da diversi anni: nelle sue nostalgiche evocazioni
ne antropologica” e di
disfacimento del mondo
del passato, nella sua tenace difesa e riscoperta di que-
contadino si vedano gli oggetti culturali e anche alimentari legati alle tradizioni
gli articoli di Pier Paolo contadine, Soldati esprime le sue riserve nei confronti del
Pasolini raccolti in Scritti
corsari. In particolare
processo di industrializzazione e di conseguente massifica-
gli articoli “Studio sulla zione dei beni di consumo alimentari e, in particolare, verso
rivoluzione antropologia l’omogeneizzazione del sapore del vino che i grandi pro-
in Italia”, “Limitatezza duttori e consumatori moderni, a differenza degli amatori
della storia e immensità
del mondo contadino” e del vino e delle sue genuinità, vogliono stabile e immutabile
“Ampliamento del «boz- (SOLDATI 2006: 477). Al contrario, il vino resta qual-
zetto» sulla rivoluzione cosa che, al pari di un’opera d’arte o di artigianato (sono
antropologica in Italia”
(PASOLINI 1975: 46- similitudini utilizzate da Soldati), deve preservare la sua sin-
52, 60-65, 66-77). golarità: l’etichetta è solo una garanzia parziale della qualità
di una bottiglia di vino, la bontà del suo contenuto varia a
11. Per il narratologo
Gérard Genette, lo seconda delle annate, dei vitigni e dei viticoltori, ecc. A ciò
statuto del narratore si aggiungono le particolari sensazioni e i ricordi che quel
è definito mediante il bicchiere di vino ha prodotto nel suo assaggiatore: sapori
suo livello narrativo – la
prospettiva, il punto di
che non si possono scindere dai luoghi e dalle persone che
vista dal quale vengono hanno reso possibile quell’assaggio.
esposti i fatti (narratore In ogni pagina di Vino al vino il narratore è onnipresente:
extradiegetico o intradie-
getico) e si determinano
un “io” che, istallandosi nelle maglie del racconto, dichia-
i gradi di trasmissione ra di aver visitato i poderi e le cantine descritte, di aver
dell’informazione da assaggiato tutti i vini nominati, di aver conosciuto tutte le
parte del racconto (rac-
conto non focalizzato, a
persone a proposito delle quali sono riportati aneddoti e
focalizzazione esterna o abitudini alimentari 11. Questa presenza costante è la marca
interna) – e in relazione stilistica, la strategia testuale, con la quale l’io narrante si
alla sua distanza rispetto pone a garanzia dell’autenticità del racconto, istituendo un
alla storia – in questo
caso, un narratore può patto fiduciario con il lettore che si lascia guidare tra le
essere assente dalla storia province italiane e si adegua ai gusti enogastronomici del
(eterodiegetico) oppure
presente in essa (omo-
narratore “onniesperiente” (Soldati 2006: XV). Il re-
diegetico) (GENETTE soconto dei viaggi è un’autobiografia scandita dai vini e dai
1972: 208-258 tr. it.). paesi d’Italia: evitato consapevolmente il linguaggio tecnico
Il cinema italiano
racconta il vino 51
degli enologi, a Soldati non resta che sfruttare le sue doti
di affabulatore, disseminando il suo racconto con marche
di soggettività («ho fatto la prova», «mi sono ricreduto»,
«ho visto», «tra poco arriveremo», ma anche: «come ho già
detto e dimostrato», «vi assicuro che») per convincere il
lettore a seguirlo e a ripetere le sue esperienze 12.
Il valore antropologico di Vino al vino – un’imponente
documentazione sulle abitudini alimentari degli italiani – è
in qualche modo corrotto e, al contempo, esaltato dalla
presenza dell’autore che non si oscura dietro all’oggetto
studiato ma, raccontando in prima persona la sua espe-
rienza, non esita ad esprimere le sue preferenze in fatto
di cibi e bevande. Una seconda strategia adottata nella
costruzione del testo, riguarda la ripresa di un modello
didattico che trova i suoi primi esempi nei programmi te-
levisivi che Mario Soldati ideò e condusse a partire dalla
fine degli anni Cinquanta. La giovane televisione italiana,
che inizia le sue trasmissioni nel 1954, assume fin dall’inizio
quell’impronta pedagogica che diventerà l’obiettivo princi-
pale della programmazione televisiva con l’arrivo di Ettore
Bernabei, direttore della Rai dal 1961 al 1974, e la nascita 12. In questo modo
del secondo canale. Il progetto educativo della televisione, il soggetto dell’enun-
ciazione iscrive la sua
in cui la parte del maestro spettava al conduttore e quella presenza, il suo simula-
dell’alunno ai telespettatori, nasceva per formare negli italia- cro, all’interno del testo
ni una coscienza nazionale, per favorire l’acculturazione dei enunciato (GREIMAS
– COURTÉS 1979:
ceti meno abbienti e per garantire il consolidamento di uno “Enunciazione” ad vo-
standard linguistico fondato sull’apprendimento dell’ita- cem nella tr. it.). Nel te-
liano, ancora poco diffuso rispetto alle varietà dialettali. sto analizzato le marche
di soggettività fungono
Soldati realizza e conduce due programmi: Viaggio lungo da garanzia per la veri-
la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, andato in onda dicità delle esperienze
sul Programma Nazionale, l’unico canale televisivo allora d’assaggio raccontate,
istaurando così, all’inter-
esistente, tra il 1957 e il 1958, e Chi legge? Viaggio lungo no del discorso enuncia-
le rive del Tirreno, un’inchiesta sulle preferenze letterarie e to, un patto fiduciario tra
sul preoccupante stato di analfabetizzazione degli italiani, i simulacri dell’autore e
del lettore (Ibidem: “Fi-
ideata in collaborazione con Cesare Zavattini e trasmessa duciario”, “Veridizione”
nel 1960. Seguendo il corso del fiume Po, oppure riper- ad vocem nella tr. it.).
52 Il cinema italiano
racconta il vino

13. Soldati è un vero e correndo a ritroso la spedizione dei garibaldini da Quarto


proprio autore “mul- a Marsala, i due programmi sono uno strumento di inda-
timediale”, capace di gine sul campo per osservare da vicino la vita della gente
passare con disinvoltura
attraverso la letteratura, più umile, per conversare di letteratura, per documentare
il cinema e la televisione. tradizioni che, nella fase di passaggio dalla civiltà contadina
Analizzando Vino al
vino e i suoi programmi
all’economia industriale, rischiano di scomparire 13.
televisivi, si comprende Viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini è
come sia riuscito a “tra- il primo esempio italiano di giornalismo enogastronomico.
durre”, passando da un
medium all’altro, i suoi
L’inchiesta inizia nello studio televisivo, dove l’ombra di un
obiettivi didattici e il suo uomo si intravede dietro alla mappa del Piemonte. Subito
stile narrativo (MORRE- dopo, la figura emerge dal “sipario” e si palesa di fronte al
ALE 2009). telespettatore (Figg. 13-14).
14. Lo sguardo di Soldati,
rivolto verso la telecamera,
appartiene a configurazio-
ne specifica dell’inquadra-
tura, che nel linguaggio
audiovisivo viene definita
interpellazione: «L’imma-
gine presenta un perso-
naggio, un oggetto o una
soluzione espressiva la cui
funzione primaria è quella
di rivolgersi allo spettatore, Figura 13 Figura 14
chiamandolo direttamente
in causa: è il caso di voci È Mario Soldati che, posata la sua borsa su un tavolo
over, di didascalie, di
sguardi in macchina ecc., da studio e indossati gli occhiali, rivolge lo sguardo allo
la cui funzione è quella spettatore, lo interpella e gli domanda quale sia il modo
di rendere esplicite delle
“istruzioni” relative al pro- migliore per viaggiare 14.
getto comunicativo del Dopo aver utilizzato una penna d’oca per indicare sulla
film, e di renderle esplicite
a qualcuno che è suppo- cartina la zona di Pinerolo, dove si produce un vino bianco
sto seguire l’esposizione. secco, la risposta di Soldati ai suoi telespettatori non può
Questa configurazione
è detta interpellazione che essere un invito al viaggio per scoprire o riassaggiare
proprio a causa del gesto i cibi e le bevande. I viaggi d’assaggio alla scoperta dei
che la sostanzia, una sorta
di “ehi tu!” rivolto diret- vini genuini sono la prima tappa di quest’indagine che,
tamente allo spetta tore» attraverso i documentari sul vino realizzati negli ultimi dieci
(CASETTI – DI CHIO
1990: 246). anni, indagherà il modo con cui il cinema, anche sulla scorta
del lavoro di Mario Soldati, continua a documentare e
15. Un esempio dell’in-
fluenza che il lavoro di Sol- raccontare le realtà vitivinicole sparse nella penisola italiana,
dati possiede sul cinema i luoghi del gusto e del buon bere 15.
Il cinema italiano
racconta il vino 53
Negli ultimi anni si sta imponendo un vero e proprio ge-
nere cinematografico, il documentario enogastronomico che
mappa i territori del gusto alla scoperta delle tradizioni,
delle differenze geografiche e biologiche tra i diversi vitigni.

2.2 I primi passi


del documentario enogastronomico

Nel macro-genere del documentario, agli effetti di realtà –


per mezzo dei quali si dà allo spettatore l’impressione che gli
oggetti del mondo inquadrati dalla macchina da presa siano
riprodotti fedelmente sullo schermo – si aggiungono sempre
una serie di strategie tese a produrre una rappresentazione
– una ri-presentazione e quindi, inevitabilmente, una rico-
struzione – parziale del mondo, “orientata” ma coerente 16 .
Nel documentario, diversi sono gli elementi utilizzati per
garantire un effetto di realtà, ad esempio: la contempora- impegnato a rappresentare
i temi dell’enogastronomia
neità e la compresenza tra l’accadere dell’evento e la sua è il documentario di Gio-
registrazione; la compartecipazione del documentarista che vanni Penco Uomini e vino
(2009), che ripercorre, a
può manifestarsi all’interno della scena secondo diversi gradi quarant’anni di distanza,
– da attore e intervistatore in campo a voce narrante – le tappe e i luoghi visitati
dallo scrittore in Friuli Ve-
e garantirne così la veridicità; infine il coinvolgimento dello nezia Giulia.
spettatore, che viene sensibilizzato nei confronti dei temi e
delle problematiche raccontate. 16. Roland Barthes indi-
vidua nell’effetto di reale
A ciò si affiancano una serie di elementi che esplicitano quell’insieme di strategie
l’aspetto “costruito” della rappresentazione e che possono per mezzo delle quali,
essere elaborati lungo tutte le fasi che portano alla realiz- nei testi e nei discorsi,
si mette in scena la “re-
zazione del film: dalla sceneggiatura che individua, prima altà”. Secondo questa
delle riprese, alcune delle linee narrative, alla selezione delle prospettiva il reale sarà
inquadrature e dei punti di vista interni a ciascuna di esse, un effetto del discorso
e non un dato a priori
dalla scelta di determinati attori sociali (gli esperti del settore, (BARTHES 1988: 157-
i critici, la gente comune, ecc.) al montaggio che ricompone, 158 tr. it.).
54 Il cinema italiano
racconta il vino

nel tessuto del film, l’intreccio, il modo di organizzazione


e presentazione degli eventi, sino all’utilizzo, nella colonna
sonora, del commento del regista e della voice over che
spesso forniscono un’interpretazione alle immagini 17.
Oggi, leggere e versatili camere digitali si aggirano con de-
strezza tra i filari delle vigne per mostrare allo spettatore
nascita e destini del vino: la raccolta dell’uva, la spremitura,
l’imbottigliamento e infine l’arrivo a tavola.
Ormai si sta imponendo un vero e proprio genere cine-
matografico, il documentario enogastronomico, che aspira a
mappare i territori del gusto alla scoperta delle tradizioni,
delle differenze geografiche e biologiche tra i diversi vitigni,
raccontare il patrimonio culturale, identitario e alimentare rac-
chiuso nei vini e pronto a sprigionarsi durante ogni brindisi.
Questa recente produzione documentaria non si è con-
centrata solo sui luoghi della produzione, ma documenta
e racconta anche gli spazi del consumo del vino e i valori
sociali da essi trasmessi: la convivialità e il benessere oppure,
17. Sugli elementi formali al contrario, l’abuso e la devianza. Infine, il documentario è
e contenutistici che con- uno strumento di denuncia nei confronti dei fenomeni eco-
corrono ad una defini-
zione del documentario nomici di sfruttamento del territorio, di sovrapproduzione e
si veda, tra i molti con- di alterazione del gusto del vino, di falsificazione dei marchi.
tributi, quello del teorico
Bill Nichols (2001) e di
Purtroppo, in Italia, il documentario soffre ancora di una
Guy Gauthier (1995). scarsa diffusione nelle sale cinematografiche. I luoghi della
Sulla storia del docu- sua diffusione sono soprattutto i canali televisivi dedicati e
mentario in Italia si veda i festival. Un tentativo di diffusione è stato “Slow Food on
il lavoro di Marco Ber-
tozzi (2008). Film”, un festival internazionale di cinema e cibo promosso
dal movimento Slow Food in collaborazione con la Cine-
18. Un’accurata ricostruzio-
ne della genesi e dell’evo- teca di Bologna.
luzione di “Slow Food L’ultima edizione dello “Slow Food on Film” risale al
on Film” – dal festival di
cortometraggi “Corto in 2009 18. Nel novembre 2011, a Dogliani, paese in provincia
Bra”, in Piemonte, sino di Cuneo rinomato per la produzione del vino Dolcetto di
alle edizioni bologne-
si – si trova nella pagina Dogliani, si è svolta la rassegna “Dogliani, Dolcetto e Corti
web dedicata alla storia (Garantiti)” il cui acronimo DOCG ricalca quello del mar-
del festival: http://www.
slowfoodonfilm.it/ita/
chio italiano per la denominazione di origine controllata e
storia.lasso garantita. La rassegna ha raccolto al suo interno documentari,
Il cinema italiano
racconta il vino 55
film di fiction, cortometraggi e filmati d’epoca, questi ultimi
provenienti dall’Archivio storico dell’Istituto Luce, dedicati
al vino e per la maggior parte girati in Italia. Tra gli altri festi-
val e rassegne cinematografiche sparsi nel territorio italiano,
che coniugano i temi della sostenibilità ambientale a quelli
dell’enogastronomia, si possono menzionare: il “Sardinian
Sustainability Film Festival” (Concorso cinematografico sulla
sostenibilità), il festival di Trento “Tutti nello stesso piatto.
Festival Internazionale di Cinema, Cibo & Videodiversità”,
la rassegna bergamasca “P/assaggi di cinema… Rassegna del
film legato al cibo”, il “DOC” (Denominazione di Origine
Cinematografica) di Rieti, il “SiciliAmbiente Documentary
Film Festival” di San Vito Lo Capo, il “Festival CinemAm-
biente” di Torino 19.

2.3 Un precedente cinematografico.


Storie del vino “globalizzato”: 19. Oltre ai siti web di
ciascuna di queste ini-
Mondovino di Jonathan Nossiter ziative, si può consultare
il blog “Senza trucco”
(http://senzatrucco.wor-
Il 2004 è l’anno in cui Jonathan Nossiter porta sugli sche- dpress.com) dedicato
al film di Giulia Graglia
mi cinematografici Mondovino, un lungo documentario sui Senza Trucco. Le Don-
dissidi e le trasformazioni che da diversi anni scuotono il ne del Vino Naturale
mondo dei produttori di vino. (2011) che contiene di-
versi articoli, video e di-
Dopo la presentazione in concorso al cinquantasettesimo scussioni su questi festival
Festival di Cannes, il documentario viene proiettato nella come sui film proiettati.
sale cinematografiche di molti paesi e anche la versione in Per il DOCG 2011 la
Graglia è stata la cura-
dvd ottiene una buona diffusione. Nasce il caso cinema- trice della selezione dei
tografico: il film suscita accesi dibattiti, i suoi protagonisti ri- film italiani e dei mate-
lasciano interviste, i consumatori di vino più o meno esperti riali d’archivio dell’Istituto
Luce: http://senzatrucco.
ne parlano, sui blog e sulle riviste specializzate proliferano wordpress.com/tag/una-
gli articoli. vita-per-la-vite
56 Il cinema italiano
racconta il vino

Una complessa e articolata “battaglia” tra grandi marchi


quotati in borsa e piccoli produttori, tra enologi o critici
del settore, che con i loro articoli sulle riviste specializzate
stabiliscono la qualità di un vino, determinandone così il
valore economico, e viticoltori, proprietari di vitigni stori-
ci, che si oppongono all’omogeneizzazione del gusto, alla
globalizzazione dei metodi produttivi secondo standard
commerciali, rivendicando le biodiversità legate ai territori e
il loro spazio sul mercato. In Mondovino, il regista intervista
i principali attori, visita i luoghi sparsi per tutto il globo –
dal Brasile all’Argentina, dalla California alla Toscana, dalla
regione di Bordeaux alla Borgogna, fino alla Sardegna – e
assaggia i vini che sono l’oggetto di questa contesa.
Le riprese ricalcano lo stile amatoriale: telecamera digitale
a mano, inquadrature fuori fuoco o traballanti, zoomate,
stacchi bruschi. Il regista è spesso sulla scena e anche gli
strumenti del filmare, come la telecamera o gli apparecchi
utilizzati per registrare il suono in presa diretta, a volte com-
paiono ai margini dell’inquadratura. Questi elementi evi-
denziano la presenza del regista, la sua partecipazione agli
eventi ripresi. I filtri utilizzati di solito nel documentario per
costruire una distanza tra la regia e gli eventi rappresentati,
come il commento fuori campo o l’assenza dell’intervistato-
re e delle sue domande, sono eliminati a vantaggio dell’as-
similazione parziale del regista ad uno degli attori sociali in
campo. Quindi, la presenza dell’autore e il suo ruolo non
sono mai celati: di volta in volta investigatore, ricercatore,
accusatore, complice, provocatore. Nel definire le caratte-
ristiche del documentario partecipativo, Bill Nichols scrive:
Noi assistiamo al modo in cui il regista e il soggetto negoziano
una relazione, a come agiscono l’uno nei confronti dell’altro, a
che tipo di potere e di controllo entra in gioco, e osserviamo
quali gradi di rivelazioni o di rapporto nascono da questa forma
specifica di incontro. Se c’è una verità in questo caso, è quella di
una forma di interazione che non esisterebbe se non in funzione
Il cinema italiano
racconta il vino 57
della cinepresa (NICHOLS 2001: 124 tr. it.).

Quando Nossiter arriva in Argentina incontra due produt-


tori di vino. Prima visita la cantina San Pedro Yacochuya di
Arnaldo Etchart e figli e poi la piccola vigna di un produt-
tore locale, l’indios Antonio Cabezas, che a stento riesce
a sopravvivere con il suo lavoro. Nel primo caso si tratta
di una classica intervista, con i protagonisti seduti come a
formare un ritratto di famiglia, e l’intervistatore che, salvo
poche eccezioni, fa le sue domande fuoricampo. Invece,
l’incontro con Cabezas presenta caratteristiche opposte:
la struttura dell’intervista viene meno per lasciare il posto
ad un incontro informale, uno scambio di confidenze tra
amici. Mentre nel primo caso ad essere inquadrato con il
bicchiere di vino è il capofamiglia Arlando, nel secondo
Cabezas offre un bicchiere di vino al regista che ne loda il
profumo, lo assaggia e ne apprezza il gusto.
Quando il viticoltore regala una bottiglia del suo vino
bianco al regista e alla moglie Stephanie Pommez, opera-
trice, Nossiter mostra il suo imbarazzo voltandosi verso la
macchina da presa (Figg. 15-16).

Figura 15 Figura 16
Nossiter va ben oltre l’osservazione partecipata e costruisce
il suo documentario attraverso un sistema di opposizioni sul
quale si regge l’intera messa in scena e che serve a veicolare
la sua “tesi”. Una scelta “orientata”, mai celata ma nemme-
no reazionaria. In questo sistema, i vini “globalizzati”, come
L’Opus One e i Super Tuscans, si oppongono ai vini
naturali, come la Malvasia di Bosa; il marchio si oppone alla
58 Il cinema italiano
racconta il vino

denominazione di origine controllata; l’espansionismo alla


salvaguardia del “terroir” (l’insieme dei fattori legati a un cli-
ma, a una geologia, a una topografia e a un suolo); il gusto
vanigliato della quercia giovane al vino che ha bisogno di
tempi lunghi per poter essere apprezzato; la microossigena-
zione consigliata da Michel Rolland, “winemaker volante”,
enologo al servizio di aziende sparse in tutto il mondo, alla
lenta maturazione del vino in vecchie botti; le valutazioni
di Robert Parker, il più importante tra i critici, e le ricerche
di laboratorio ai viaggi in giro per il mondo dell’importatore
di vini Neal Rosenthal. Queste opposizioni si rivelano allo
spettatore attraverso un montaggio tra le diverse interviste
che costruisce una dialettica tra le parti e le loro differenti
ideologie. Non si tratta di individuare i “nemici” per de-
nunciane le malefatte, quanto piuttosto di ricostruire, per
mezzo del dialogo e del confronto garantito dal montaggio
filmico, la complessità del fenomeno raccontato e gli inte-
ressi che spingono le parti in gioco a compiere determinate
azioni. Ad esempio: la popolazione del paesino di Aniane
in Linguadoca ha bloccato, attraverso le elezioni comunali e
un cambio dei vertici politici, gli investimenti dei Mondavi
nel loro territorio, ma poi ha scelto di stringere accordi con
l’imprenditore Bernard Magrez e con Gérard Depardieu,
promotori del progetto Les clefs du terroir”. In entrambi
i casi, si tratta di potenti e ricchi investitori con obiettivi
espansionistici ma declinati secondo forme differenti e con
gradi diversi di rispetto e salvaguardia degli interessi della
popolazione locale, almeno nelle parole degli intervistati…
Se il mondo del vino si regge su un rapporto inalienabile
con la tradizione e con il territorio, gli sforzi per la co-
struzione di una produzione globalizzata conducono a un
livellamento delle caratteristiche dei vini e, a volte, ad una
alterazione delle loro caratteristiche pur di raggiungere il
gusto dei critici. Non si tratta di condannare le scelte fatte
da grandi e potenti famiglie come i californiani Mondavi,
i toscani Frescobaldi o gli Antinori. Piuttosto, nel docu-
Il cinema italiano
racconta il vino 59
mentario di Nossiter, traspare la necessità di mostrare al
pubblico i rischi e le derive di alcune scelte ma anche le
storie di quei vignaioli come la famiglia de Montille di Bor-
gogna che, proprio attraverso le personalità e le capacità di
ciascuno dei suoi membri, introduce importanti innovazioni
provando a mantenere un rapporto “etico” con le tradi-
zioni, rispettando le caratteristiche ambientali, climatiche e
geografiche del proprio vitigno.

2.4 Le vigne delle donne:


Senza Trucco. Le donne del vino naturale
di Giulia Graglia

Se Mondovino ha contribuito a rilanciare il documentario


e a sensibilizzare gli spettatori sulle sorti del vino nel merca-
to globalizzato, anche in Italia è fiorita un’ampia produzio-
ne documentaristica legata a tematiche affini.
Giovani registi e autori affermati hanno scelto di racconta-
re le storie dei vini che costellano l’Italia, puntando i loro
obiettivi su quelle zone geografiche in cui è ancora forte
il legame con il passato, su quei produttori poco noti che
coniugano il rispetto della tradizione all’utilizzo di metodi
biologici. Senza Trucco. Le donne del vino naturale (2011)
di Giulia Graglia racconta il lavoro quotidiano di quattro
produttrici di vino biologico.
Dalla potatura agli accorgimenti necessari per la legatura,
dalla cura della vite alle molte attività da svolgere durante
l’estate, dalla pulizia delle botti sino alla vendemmia: nel
susseguirsi delle stagioni, le donne del vino naturale rac-
contano la passione per il loro prodotto, le difficoltà da
superare, l’amore per i luoghi e per le persone che le hanno
seguite e sostenute nel loro lavoro.
60 Il cinema italiano
racconta il vino

Ecco la sinossi del documentario, ripresa da uno degli ar-


ticoli pubblicati sul blog “Senza Trucco”, che documenta
tutte le fasi della lavorazione del film – dall’ideazione della
sceneggiatura alle riprese, sino all’uscita del DVD – e rac-
coglie i backstage, i reportage sui diversi festival cinemato-
grafici e rassegne enogastronomiche, le video-interviste ai
produttori e agli esperti di vino naturale in Italia e, infine, gli
altri documentari girati dalla Graglia:
Quattro donne, quattro stagioni, una vendemmia. Quattro pro-
duttrici di vino naturale che lavorano in vigna e lavorando rac-
contano le loro storie. Ognuna di loro è ripresa in una stagione
diversa e in un diverso periodo dei lavori annuali in vigna e in
cantina. Sono i momenti migliori per conoscerle da vicino, perché
sono spesso da sole, a tu per tu con la campagna, o con giusto
i figli e le persone più care a dar loro una mano. Poi, per tutte,
viene il momento della vendemmia: le corse in vigna per cogliere
i grappoli alla giusta maturazione; il va e vieni dei trattori e dei
lavoranti; l’odore dell’uva appena spremuta che già annuncia il
mosto e il vino che verrà. Per questo, pur essendo nominalmente
un documentario sul vino naturale, Senza Trucco appartiene di
diritto al genere del ritratto umano, dove i testimoni e i loro
racconti costituiscono il perno principale della narrazione 20.

In Mondovino, Nossiter è sempre molto presente sulla


scena per incalzare con le sue domande gli intervistati. In-
vece, Graglia sceglie uno stile di regia opposto: adotta
maggiore “discrezione”, compare poche volte nelle inqua-
drature, non incalza con le sue domande e lascia il campo
alle quattro donne “senza trucco” e ai loro vini naturali,
protagonisti indiscussi del documentario. Il film è suddiviso
in cinque episodi. I primi quattro portano il nome delle
20. L’articolo si può vignaiole protagoniste e sono ambientati nei rispettivi vi-
leggere alla pagina web gneti: Dora Forsoni nei Poderi Sanguineto a Montepulcia-
http://senzatrucco.wor-
dpress.com/2011/04/06/ no in Toscana, Nicoletta Bocca a San Fereolo (Dogliani)
in-partenza-per-verona in Piemonte, Elisabetta Foradori nella Piana Rotaliana in
Il cinema italiano
racconta il vino 61
Trentino e Arianna Occhipinti a Vittoria nel Ragusano.
Nell’ultimo episodio, intitolato “Vendemmia”, i gesti delle
protagoniste si intrecciano per rivelare in ciascuno dei loro
volti i sentimenti che accompagnano il momento verso il
quale convergono gli sforzi di un intero anno. Sforzi tesi a
rispettare un metodo di produzione “naturale”, con il quale
realizzare «un vino prodotto senza l’utilizzo di chimici e
sistemici in vigna e, senza l’aggiunta, in cantina, di lieviti o al-
tre sostanze, con un impiego limitato di anidride solforosa e
nuove tecnologie» 21 . A questi metodi si affianca, nel caso
del Teroldego prodotto da Elisabetta Foradori, l’agricoltura
biodinamica. Scrive Nicolas Joly, uno dei massimi esperti
della biodinamica in viticoltura ed enologia, produttore di
uno tra i vini bianchi più celebri al mondo, il Coulée de
Serrant:
L’agricoltura biodinamica si basa sull’idea della natura in equili-
brio. Bisogna mantenere equilibrato in modo naturale il terreno
con tutti i suoi organismi per ottenere – nel caso del vino – da
viti sane dell’uva di alta qualità. Nella biodinamica è fonda-
mentale la cura delle risorse naturali […]. Nella pratica questo
vuol dire che nell’agricoltura biodinamica non vengono utilizzati
– come neanche in quella biologica – prodotti di sintesi chimi-
ca (concimi, fitofarmaci, diserbanti) e organismi geneticamente
modificati. Si somministrano in dosi omeopatiche dei preparati
naturali ottenuti da processi fermentativi, decotti e minerali, come
polvere di quarzo, sempre tenendo conto delle fasi della luna
e del sole; si lavora il terreno secondo metodi tradizionali come 21. La definizione di
arare (con il cavallo, non con il trattore!) e letamare – tutto con “vino naturale” cita-
l’obiettivo di rigenerare e rivitalizzare il suolo. Così le viti riescono ta è di Tiziana Gallo,
a radicarsi bene e profondamente per sopportare periodi di organizzatrice di Vini
Naturali a Roma. Si
gran caldo o di pioggia. Come trattamento profilattico si spruz- veda l’intervista rilascia-
zano le piante con infusi di ortica, camomilla, finocchio, dente ta a Graglia in: http://
di leone, valeriana e corteccia […]. Il calendario lunare viene senzatrucco.wordpress.
com/2011/02/02/
seguito anche in cantina per i travasi e l’imbottigliamento. Di vini-naturali-a-roma-2011-
solito non vengono aggiunti dei lieviti – l’enologo elabora l’uva intervista-a-tiziana-gallo
62 Il cinema italiano
racconta il vino

sana e maturata bene e non ricorre ad interventi fisici o chimici, il


mosto fermenta sui propri lieviti autoctoni 22.

Durante le sue interviste davanti alla macchina da presa, Eli-


sabetta Foradori mostra i metodi biodinamici utilizzati nelle
sue vigne per rispettare e preservare l’energia delle piante
e le loro fasi di crescita: arrotola i tralci delle viti attorno al
filo più alto del suo impianto anziché utilizzare procedure
meccanizzate che “traumatizzano” lo sviluppo delle piante
come quella di tagliarne le cime più alte, raccoglie l’ortica
per farne delle tisane che aiutano a regolare la crescita della
vite, vinifica alcune varietà in ampie anfore di terracotta
(Fig. 17).

Figura 17

Il film ha una struttura narrativa compatta che, pur coniu-


22. Le dichiarazioni Ni-
gando sequenze girate in diverse zone d’Italia, dal Trentino
colas Joly sono tratte fino alla Sicilia, mantiene la sua unità proprio attraverso
da “Wine blog. Il vino si
racconta”: http://www.
il rispetto delle fasi lavorative che caratterizzano il ciclo
wineblog.it/?p=89 della vite. Pur non potendo conformarsi appieno alla scan-
sione temporale degli eventi, l’intreccio del film prova ad
23. I diversi rapporti tem-
porali che si producono
assecondarne il più possibile lo sviluppo. Si crea così l’im-
all’interno del racconto pressione che il tempo impiegato a raccontare, settantasei
sono stati analizzati da minuti, coincida con la durata temporale dei fatti raccontati:
Genette (1976). Sul
raffronto tra le tempora-
tra il tempo del raccontare e tempo del racconto, il film
lità iscritte nel racconto non smette di costruire delle sovrapposizioni, mentre lo
e il tipo di esperienza spettatore segue lo scorrere delle stagioni 23.
temporale prodotta nel La struttura lineare si “riavvolge”, mostrando il suo carattere
fruitore si vedano le ri-
flessioni del filosofo Paul ricorsivo, nell’inquadratura finale, che ha il suo corrispettivo
Ricœur (1984). in quella inziale. Infatti, entrambe le inquadrature sono gira-
Il cinema italiano
racconta il vino 63
te in inverno, momento inziale e finale del viaggio, quando
la neve ricopre la vigna e il terreno si gela (Figg. 18-19).

Figura 18 Figura 19
Una ciclicità che sembra rispettare un altro ciclo naturale,
quello del giorno e della notte: dal sorgere del sole al suo
splendere alto nel cielo, da un piano fisso ad una ripresa in
movimento, mentre l’automobile su cui si trova l’operatore
di macchina si allontana definitivamente dai luoghi del film.
Se i piani sequenza accompagnano con discrezione e cu-
riosità le protagoniste tra i filari e le cantine, mentre i piani
fissi sono spesso utilizzati per riprendere gli spazi domestici,
nell’ultima sequenza gli stacchi di montaggio fanno dialo-
gare gli attori, gli spazi e i tempi delle diverse vendemmie
(Figg. 20-21).

Figura 20 Figura 21
I documentari analizzati finora hanno mostrato lo stato attuale
della produzione vinicola nel mondo e in Italia, concentran-
dosi soprattutto sulla difesa delle diversità, dei vitigni dalle
piccole dimensioni e del vino biologico. Ma per entrare nelle
profondità del legame tra l’attività millenaria della vendemmia
e le tradizioni alimentari, rituali e culturali, l’attenzione dello
spettatore e dell’analista si dovranno rivolgere ad un altro
documentario, Rupi del vino (2009) di Ermanno Olmi.
64 Il cinema italiano
racconta il vino

2.5 Alla scoperta dei vitigni della Valtellina:


Rupi del vino di Ermanno Olmi

La viticoltura “eroica” nasce e si sviluppa in Valtellina, dove


le vigne sono coltivate con passione e fatica dagli abitanti 24.
Lungo le pareti impervie e rocciose delle Alpi Retiche nella
provincia di Sondrio, tra una miriade di muretti a secco, il
lavoro secolare degli uomini ha reso possibile lo sviluppo
di una viticultura terrazzata. Ogni anno, protette dal vento
e curate durante tutte le stagioni, prosperano ettari di vigne
dalle quali nasce uno dei vini italiani più pregiati e rinomati.
La macchina da presa, disposta sugli elicotteri utilizzati per
trasportare la terra dalle valli ai monti o per far discendere
i grappoli maturati nei punti più alti, sorvola con ampie pa-
noramiche e campi lunghi le vigne che tappezzano i fianchi
delle Alpi (Fig. 22) per poi “atterrare” lentamente tra i filari
e inquadrare, con dei primi piani, gli eroi della Valtellina.

24. L’appellativo “viti-


coltura eroica”, è pre- Figura 22
sente nel commento del
film, ed è poi ripreso Sono i giovani e anziani lavoratori che, di generazione
da Ermanno Olmi nel in generazione, si dedicano alla cura della vite e, così fa-
breve testo La Valtellina cendo, trasformano il paesaggio alpino senza deturparlo.
eroica che si trova all’in-
terno del libro allegato al L’equilibrio tra l’azione umana e quella della natura è retto
DVD del documentario. da regole di comportamento i cui prodromi risalgono alle
Si tratta di un termine
utilizzato per esaltare e
origini della cultura vitivinicola della Valtellina.
valorizzare la viticoltura Dalla civiltà rurale del bergamasco in L’albero degli zoccoli
terrazzata di montagna. (1978) fino a Terra Madre (2009) – documentario di
Il cinema italiano
racconta il vino 65
denuncia nei confronti del degrado ambientale e d’inchie-
sta sull’attuale mondo contadino, girato durante l’omonimo
forum mondiale dei “lavoratori del cibo” organizzato da
Slow Food – il cinema di Olmi ha sempre mantenuto
uno stretto legame con l’agricoltura, la storia contadina e
le tradizioni rupestri. Rupi del vino mantiene fede a que-
sto legame, anzi lo rinsalda perché alla documentazione
dei luoghi si affianca un’accurata ricostruzione storica degli
elementi costitutivi della cultura valtellinese. Sono infatti gli
elementi connessi alla tradizione e alla cultura locale che
il documentario mette in luce, costruendo connessioni tra
epoche storiche, figure intellettuali e saggezza popolare.
In altri termini: l’indagine di Olmi affianca mezzi e metodi
del documentario a quelli della ricerca storica sulle radici
culturali. È nell’interazione tra il commento sonoro e le im-
magini che si realizza il legame tra la descrizione visiva del
paesaggio vinicolo e la storia culturale. Sono le diverse voci
fuoricampo che compongono il commento, a “far parlare”
le immagini che, nell’organizzazione complessiva del film,
assumono una funzione didascalica rispetto alla colonna
sonora. Quest’ultima è l’elemento portante del montaggio
poiché permette la coesione tra la successione delle inqua-
drature e soprattutto ne determina la chiave interpretativa.
Nei titoli di testa del film compare una dedica a Mario
Soldati e al suo racconto steso in forma di diario L’avven-
tura in Valtellina (1986). Da dedica, il diario di Soldati
si trasforma, già a partire dalle prime sequenze, in parte
costitutiva del film. Una voce off, coadiuvata da alcune
didascalie, cita il passo del racconto in cui è descritto l’arri-
vo di Soldati in Valtellina, mentre le inquadrature ricalcano
il punto di vista soggettivo del narratore che, con minuzia
di particolari, si introduce nel paesaggio. Percorrendo la via
dal lago di Como, dal finestrino posteriore dell’automobile,
Soldati e con lui, attraverso l’adeguamento delle immagini al
commento, lo spettatore vedono, in un tardo pomeriggio
di settembre, il paesaggio alpino mentre il sole, ancora alto
66 Il cinema italiano
racconta il vino

nonostante si avvicini l’ora del tramonto, indica al viaggiatore


il percorso da compiere: dal letto dell’Adda ai vitigni, fino
alle vette montuose.
Alla voce fuoricampo che cita i passi de L’avventura in
Valtellina si alterna una seconda voce che riprende alcuni
passaggi dei ragionamenti dedicati all’agricoltura e alla cura
della vite del poliedrico Pietro Ligari, tra i maggiori pittori
del Seicento lombardo, architetto, ingegnere e agronomo.
Dopo aver mostrato il suo autoritratto – utilizzato come
una sorta di identikit che permette di ancorare la voce del
commentatore ad un volto (Fig. 23) –, il film cita e utilizza
i consigli contenuti nei suoi “famigliari raggionamenti”, sud-
divisi a seconda dei mesi dell’anno, per costruire la scansio-
ne temporale dell’intreccio. Infatti, come nel documentario
della Graglia, anche Rupi del vino segue le fasi stagionali
del lavoro in vigna.

Figura 23

Alle impressioni di viaggio di Soldati e ai consigli sulla cura


della vite di Ligari, sorta di manuale storico per la viticultura
terrazzata valtellinese, che si avvicendano nel commento
fuoricampo e nelle didascalie, si aggiungono citazioni di
giornalisti come Indro Montanelli ed Enzo Biagi, detti po-
polari, leggi forestali e stralci di statuti municipali che rego-
lavano nel passato l’agricoltura e la gestione delle cantine.
Tutti questi testi citati costituiscono una rete di relazioni
intertestuali, un sostrato a cui il film rimanda e del quale si
“nutre” per produrne una riscrittura che, rintracciando per-
Il cinema italiano
racconta il vino 67
tinenze inedite e connessioni celate, costruisce un sistema
di coerenze 25.
Questi riferimenti entrano a far parte del sincretismo di suo-
ni e immagini che compone il film attraverso un meccanismo 25. Sull’intertestualità si
traduttivo che, utilizzando il commento fuoricampo e le veda la nota 7 del primo
capitolo di questo lavoro.
didascalie, permette a diverse forme espressive di entrare
in dialogo 26. 26. Nel passaggio da un
sistema semiotico ad un
Come accennato in precedenza, il criterio di intellegibi- altro (dal testo pittorico
lità con il quale sono state montate le immagini dipende a quello cinematografi-
co, da quello musicale a
dall’insieme dei testi verbali che vengono recitati nel com- quello coreutico, ecc.), il
mento vocale. I rimandi e le traduzioni tra parole e immagini semiologo dell’arte Omar
Calabrese descrive la tra-
presentano allo spettatore l’universo culturale del vino, una duzione come relazione
“enosfera”, ossia il macro-sistema di testi dotti e popolari, tra specifiche occorrenze
testuali e non tra interi
delle forme d’arte e delle pratiche tramandate di genera- sistemi semiotici (CALA-
zione in generazione 27. È in questo sistema, nelle relazioni BRESE 2008: 10-13). Gli
esempi descritti apparten-
che si generano al suo interno e nei rilanci che esso produce gono al fenomeno della
rispetto alle sfide della modernità, che può essere indivi- “traduzione intersemio-
tica”, che per il linguista
duato il “mondo del vino”. Il film, oltre ad utilizzare le sue Roman Jakobson «consi-
capacità espressive per descrivere questo mondo, prova a ste nell’interpretazione dei
segni linguistici per mezzo
mostrarne le dinamiche interne. Il montaggio, il rapporto tra di sistemi di segni non lin-
la colonna sonora e le immagini, danno luogo a una sorta guistici» (JAKOBSON
di modellizzazione che descrive, semplificandoli, i diversi 1966: 57 tr. it.).

elementi dell’enosfera costitutiva della Valtellina, la memoria 27. Si sta riprendendo e


collettiva che si raccoglie attorno ad essa, i continui prestiti parafrasando il concetto
e contributi che nel tempo la arricchiscono o, al contrario, i di “semiosfera” – spazio
semiotico complesso e
processi che portano all’oblio e alla cancellazione di alcune organizzato all’interno
delle sue parti. del quale si realizzano i
Nei contenuti extra del DVD di Rupi del vino c’è una processi di significazione
– introdotto da Jurij
video-conversazione tra Maurizio Zaccaro ed Ermanno Michajlovic Lotman.
Olmi. La chiacchierata chiarisce il punto di vista dell’anzia- Nella semiosfera si veri-
no regista sulle funzioni culturali e sociali del vino. A partire ficano dei fenomeni di
traduzione che, agendo
dalle trasformazioni che si sono prodotte nella società ita- lungo i confini, garan-
liana, Olmi e Zaccaro riflettono sulle diverse valorizzazioni tiscono lo scambio e il
che il vino ha assunto. Se, provocatoriamente, nelle parole conflitto tra tesi, abitu-
dini culturali e pratiche
di Zaccaro il vino è diventato un oggetto del culto bor- sociali (LOTMAN
ghese e appartiene all’universo del lusso, per Olmi il vino è 1985).
68 Il cinema italiano
racconta il vino

espressione della tradizione, scandisce le fasi della vita


contadina e di quella operaia fino ai primi decenni del
Novecento.
C’è stato un momento in cui il vino svolgeva il suo compito,
prima di tutto come alimento. Quando dico alimento voglio
dire non un accompagnamento al cibo, ma proprio come va-
lore primario nutritivo. Posso dirti che mi ricordo delle osterie
di Milano, che infatti venivano chiamate “trani” nelle quali il
vino, per svolgere una funzione alimentare, doveva avere una
consistenza e una gradazione che fosse all’altezza della sua fun-
zione alimentare. Ricordo in queste osterie, per esempio, mura-
tori, operai… TI parlo degli anni ‘30. Sedevano a questi tavoli
di osteria, ordinavano mezzo litro, un litro, tiravano fuori o la
famosa “schiscetta”, la gavetta con dentro qualcosa che avevano
prelevato da casa, se no bastava un pezzetto di gorgonzola,
qualcosa da accompagnare al pane, una fetta di mortadella. E il
vino. Questo vino, di un rosso sangue, veniva più che bevuto,
mangiato. Dirai: “Ma come è possibile mangiare il vino?” Certo!
Prendevano queste famose forme di pane milanese. Non so se
le fanno ancora: a Milano c’è la “michetta” e la “banana”. […]
Queste “banane”, forme allungate di pane, si spezzavano in due
e si intingeva nel bicchiere la metà della “banana”. Dopodiché
in due bocconi se la mangiavano. Questo serviva a completare
quel pasto, perché il pezzetto di gorgonzola o la fetta di morta-
della non era sufficiente a sfamare giustamente chi lavorava con
la forza fisica oltre a quella dell’intelletto. Se noi andiamo a que-
sta origine del vino, come alimento, quindi mangiandolo, e poi
anche come godimento da assaporare, da gustare nel palato, al
punto che queste due cose, il gusto del vino come bevanda, la
qualità dell’alimento come vino da mangiare, hanno dato al vino,
inevitabilmente, un significato di trascendenza. È un significato
che emblematicamente significa la vita. Quindi il vino è vita. Chi
sa se anche per questo la vite si chiama “vite”. Le molte vite del
vino. Che diventano poi le molte viti sulle quali il frutto ha in sé
tutta questa potenzialità.
Il cinema italiano
racconta il vino 69
Da bevanda ad alimento, da accompagnamento a ele-
mento costitutivo del pasto quotidiano: attraverso il suo
apporto nutrizionale, il vino perde quelle connotazioni che
ingiustamente lo hanno relegato tra le bevande alcoliche
e si ricolloca in uno spazio semantico che gli restituisce i
valori sociali e simbolici che già in passato possedeva. Lo
spazio semantico del vino in quanto alimento, pur non
escludendo la qualità e il piacere – nel passo citato, Olmi
parla di «godimento da assaporare» – sottolinea gli aspetti
nutrizionali, la genuinità e il benessere che il frutto della vite
possiede. Ricordando gli usi e le funzioni alimentari che il
vino possedeva nel passato, Olmi dispensa consigli tanto a
chi si appresta ad assaggiare il vino, tanto a chi è interessato
a comunicarne e promuoverne il consumo consapevole. La
cura per tutto ciò che “riveste” il vino, come l’etichetta o la
bottiglia, non deve sottrare al contenuto quelle qualità che
la tradizione e il lavoro gli hanno attribuito.
Sulla scia dei viaggi d’assaggio di Mario Soldati, anche
per Olmi il vino è un amico che mostra la sua sincerità e
chiede lealtà, un compagno di avventure con cui riscoprire
tradizioni e coltivare la passione per le specificità locali.
Ad ogni assaggio una storia, una cultura, una memoria, un
ricordo di convivialità.
Il cinema italiano
racconta il vino 71

3. Il mondo del vino incontra il cinema:


alcuni esperimenti
di produzione cinematografica
3.1 Le nuove frontiere dell’“eno-cinematografia”

Nei capitoli precedenti sono state offerte al lettore del-


le incursioni in alcune tappe che hanno caratterizzato le
modalità di rappresentazione del vino nel cinema italiano
degli ultimi sessant’anni: da Ladri di biciclette al Pranzo di
Ferragosto, dai classici della commedia all’italiana al cinema
d’autore, sino al documentario.
Parafrasando il lavoro di Roland Barthes che ripercorreva i
frammenti del discorso amoroso rilevando i momenti salien-
ti, le “figure” (BARTHES 1979: 5-8), che esprimono tale
passione (l’attesa, l’angoscia, l’abbraccio, la dichiarazione, la
gelosia, il rimpianto, l’unione, ecc.), in questa ricerca è stato
indagato il campo figurativo costruito dal vino (il pasto, il
brindisi, la vigna, le festività, ecc.), attraverso le sue tematiz-
zazioni nella cinematografia del nostro paese.
Un viaggio alla ricerca di frammenti di un discorso sul vino
compiuto scegliendo, come compagni d’avventura, quei
film in cui l’analisi della dimensione narrativa e passionale
forniva chiavi di lettura per la comprensione delle funzioni
culturali e sociali del vino. Dalla nostra cinematografia, sem-
pre profondamente attratta dai fenomeni della vita civile, è
emersa così una geografia socio-culturale del vino: un attore
che non ha mai abbandonato lo schermo e che ancora oggi 28. L’espressione è ripre-
sa dall’introduzione di
è capace di portare sulla scena i costumi, gli umori e i de- Paolo Mereghetti al sag-
sideri di un popolo. In questo capitolo conclusivo il “viag- gio di Antonio Attore
gio eno-cinematografico” 28 proverà a percorrere una rotta sulle rappresentazioni del
cibo e del vino al cinema
molto recente: quella che dai luoghi di tutela e promozione (ATTORE 2007: 8).
72 Il cinema italiano
racconta il vino

del vino giunge sino alle forme di rappresentazione audio-


visiva. Da diversi anni si assiste alla diffusione sociale di una
cultura attenta al consumo del cibo e delle bevande, alla
biodiversità e alle tradizioni alimentari. Il miglioramento delle
condizioni di vita nella nostra contemporaneità non può
escludere l’alimentazione. Nel caso del vino, la promozione
di un consumo consapevole ha favorito la nascita e lo svi-
luppo di molti centri di ricerca, organizzazioni di consuma-
tori e festival enogastronomici, dedicati alla scoperta di un
piacere alimentare dotto, gourmand, ma anche sensibile alle
questioni del consumo etico e responsabile. Da Slow Food
al Gambero Rosso, dal “Salone del Gusto” a “Vinitaly”
(Salone internazionale del vino e dei distillati), senza trala-
sciare i gruppi di acquisto solidali (G.A.S.) che fondano i
criteri di selezione dei prodotti sui concetti di solidarietà e
responsabilità, promuovendo un consumo alimentare atten-
to alle biodiversità, critico e vigile nei confronti delle varie
fasi che portano il cibo e le bevande sulle nostre tavole 29.
Come integrare l’educazione alimentare, il consumo respon-
sabile e la valorizzazione storica delle realtà vitivinicole che
costellano le regioni italiane? Come trasmettere le qualità e
il gusto per il vino?
Le sintonie tra le possibilità espressive rese disponibili dal
mezzo cinematografico e la necessità da parte di enti, centri
di ricerca e festival legati all’enogastronomia di trovare le
modalità comunicative più adatte a promuovere le proprie
campagne di sensibilizzazione, spesso indirizzate ad un tar-
get giovanile, è un fenomeno in crescita esponenziale. Le
ricerche svolte dal 2003 all’interno del progetto “Vino e
Giovani”, realizzato dall’Ente Mostra Vini – Enoteca italia-
29. Un’ampia bibliogra-
na con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole,
fia sul consumo critico Alimentari e Forestali, sono una guida utile per indagare la
e le tematiche connesse complessità e comprendere gli elementi centrali del rap-
all’economia solidale è
reperibile sul sito web
porto tra il vino e le giovani generazioni. La sintesi che
della Rete Nazionale di segue riprende alcuni dei risultati emersi da queste ricerche
collegamento dei G.A.S. condotte dal Dipartimento di Scienze della Comunicazio-
Il cinema italiano
racconta il vino 73
ne dell’Università degli Studi di Siena, per rintracciare i
fondamenti di questo felice connubio e fornire così una
spiegazione all’interesse crescente che il mondo del vino sta
sviluppando nei confronti del cinema.
Bere del vino è ancora oggi un comportamento diffuso e,
aspetto ancor più rilevante, il suo consumo spesso si collo-
ca al di fuori della routine quotidiana. Il consumo del vino è
passato dal suo tradizionale radicamento nella dimensione
privata e casalinga ad una sempre maggiore diffusione nei
luoghi pubblici come le enoteche, i wine bar e i festival.
I principali consumatori al di fuori delle mura domestiche
sono i giovani. Infatti, i dati riportati da Angela Mengo-
ni nella sua ricerca Consumo e immaginario del vino tra
i giovani. Riflessioni intorno a un questionario on line e
fondati sull’analisi quantitativa e qualitativa del “questio- 30. Il questionario è visi-
bile ed ancora compilabile
nario Vino e Giovani” 30, diffuso on line sul sito web del – al fine di incrementare
progetto “Vino e Giovani”, sono molto chiari a questo il campione statistico ed
aggiornare gli sviluppi della
proposito: i giovani compresi tra i venticinque e i trent’anni ricerca – alla pagina web:
approfittano di appuntamenti mondani, come l’aperitivo o http://www.vinoegiovani.
it/w2d3/v3/view/vg10/
il dopo cena, per consumare vino (Mengoni 2005: questionario/questionario.
27). In questa diffusione, il vino mantiene il suo statuto di html
mediatore sociale (ciò che consente a determinati valori di 31. A questo proposito,
circolare all’interno di una comunità, preservandone così i si veda l’introduzione
legami) che favorisce la socializzazione, il consolidamento di Omar Calabrese alla
ricerca di Mengoni. Inol-
delle identità e il rafforzamento dei legami di gruppo 31. tre, nelle conclusioni alla
Questi ultimi aspetti emergono anche dall’indagine Etno- sua indagine, Mengoni
grafia del consumo del vino negli spazi pubblici, promossa riprende il concetto di
“capitale sociale” in-
da Enoteca Italiana e condotta da Luca Acquarelli nella trodotto dal sociologo
città di Bologna, all’interno dei luoghi pubblici di consumo Robert Putnam per
del vino (ACQUARELLI 2010). designare l’insieme delle
D’altra parte, il vino possiede anche un elevato capitale norme, formali e informali,
e dei mediatori sociali
simbolico legato all’universo culturale della tradizione: attra- che favoriscono e accre-
verso di esso – dall’etichetta al colore, sino al bouquet che scono il bagaglio delle
esso sprigiona – è possibile raccontare una storia legata al relazioni e delle forme
di cooperazione sociale
passato e radicata in un territorio. Nella contemporanei- (MENGONI 2005:
tà, l’incremento del capitale sociale – fondamentale in una 10-11, 61-69).
74 Il cinema italiano
racconta il vino

società per lo più fondata sulle relazioni informali e sulla


flessibilità dei ruoli – può e deve essere realizzato anche
attraverso la valorizzazione di quel “sedimento” comunita-
rio, quella capacità di vivacizzare e armonizzare le relazioni
interpersonali, che il vino possiede e che si riattualizza an-
che nelle forme di consumo non più connesse all’ambito
familiare.
Entrambe le ricerche menzionate hanno come obiettivo
principale quello di comprendere gli aspetti culturali e so-
ciali che caratterizzano il consumo di vino tra i giovani in
età compresa tra i diciotto e i trent’anni. Ma i due studi
forniscono anche degli spunti utili alla progettazione e alla
valorizzazione della comunicazione sul vino.
A questo proposito, scrive la Mengoni:
32. Sulla comunicazione la comunicazione sul vino può avere tra i possibili elementi-
massmediatica del vino, in
particolare attraverso tele- chiave il suo potere socializzante e la sua capacità di incarnare
visione, cellulare e radio, si un’identità, una storia ma deve anche ‘incarnare’ questi valori
veda la ricerca di Antonio
Catolfi Media, giovani astratti nell’universo sensibile dei corpi e delle storie biografiche
e vino. Elementi per uno che sono parte integrante del vino come oggetto culturale per-
studio sulla pianificazione
dei mezzi di comunicazio- cepito (Mengoni 2005: 56).
ne del vino verso i giovani,
svolta sempre all’interno
del progetto “Vino e Il vino è adatto a una comunicazione che sia intenzionata
Giovani” (CATOLFI a valorizzare gli aspetti culturali di una pratica – quella del
2005). Sul cinema, invece,
si veda lo studio di Mi- bere in compagnia con gusto e moderazione – intrisa di
chele Guerra Il linguaggio tradizioni e connessa ad un bacino simbolico che tutt’ora
del vino. Alcuni spunti di
analisi testuale, che utilizza continua ad essere valorizzato nelle relazioni sociali 32.
la semiotica per analizzare Il linguaggio cinematografico può essere uno strumento utile
le strategie di significazio-
ne del vino in alcuni testi a raccogliere la duplice sfida lanciata da una comunicazione
filmici come Il pranzo di sul vino: da una parte farsi carico e rilanciare le molteplici
Babette (1987) di Gabriel
Axel, La grande abbuffata storie che sono racchiuse nella tradizione e nella pratica
(1973) di Marco Ferreri, vitivinicola e dall’altra mettere in scena dei racconti in cui
La mia notte con Maud
(Ma nuit chez Maud; lo spazio delle relazioni sociali, degli incontri in compagnia
1969) e Racconto d’au- di un buon bicchiere di vino, diventano momenti esemplari
tunno (Conte d’automne;
1998) di Eric Rohmer della vita comunitaria. Nel panorama attuale delle comu-
(GUERRA 2005). nicazioni di massa, dominato dalla produzione e fruizione
Il cinema italiano
racconta il vino 75
mediante supporti digitali, le immagini influenzano in misura
crescente sia i processi di costruzione e condivisione cultu-
rale del senso che quelli di negoziazione sociale dell’espe-
rienza (spesso si sente parlare di esperienza mediata da
apparati tecnologici, da protesi, che si interpongono e tra-
sformano la relazione tra i soggetti e il mondo). È all’interno
di un sistema complesso e stratificato in cui le immagini
migrano da un media all’altro, si trasformano, interferiscono
con le convenzioni di un supporto, ibridano i linguaggi,
che le strategie utilizzare per raccontare le storie del vino
si avvalgono di quel sincretismo tra suoni e immagini in
movimento che continua ad affascinare gli spettatori ed
alimentarne l’immaginario.
Nel 2011, in Italia, sono stati lanciati due progetti legati alla
comunicazione del vino che hanno sfruttato le potenzialità
del linguaggio cinematografico. Si tratta di “Vini d’Italia” e
di “Reason Wine: idee per bere con gusto!”.

3.2 “Vini d’Italia”: un atlante audiovisivo


per raccontare la produzione vinicola
delle regioni italiane

Nel gennaio 2011, in occasione della sesta edizione della ras-


segna enologica “SensofWine”, organizzata a Roma dall’esper-
to di vini Luca Maroni, è stato presentato il progetto “Vini
d’Italia”: un ciclo di quindici documentari, della durata di
quaranta minuti ciascuno, sulle zone vinicole italiane suddivise
per regioni. La direzione cinematografica del progetto è stata
assegnata al pluripremiato direttore della fotografia Vittorio
Storaro, la direzione scientifica allo stesso Maroni, mentre la
produzione dei quindici DVD contenenti i documentari è
76 Il cinema italiano
racconta il vino

stata affidata alla Mithril Production.


Nell’idea degli autori, il progetto mira a costruire una map-
patura dei produttori italiani in cui le varietà vinicole, il loro
radicamento regionale, sarà utilizzato come fulcro narrativo a
partire dal quale raccontare il territorio, i costumi e le tradizioni
regionali. L’ampia gamma di sperimentazioni fotografiche resa
possibile dalla varietà paesaggistica ha catturato l’interesse di
Storaro, da sempre impegnato in una ricerca che lui stesso
definisce di “scrittura attraverso la luce”: «il mio vocabolario
visivo parla in termini di luce e ombra di colori e elementi
di sole e di luna e li ho sempre applicati al racconto di una
storia e quindi per la prima volta mi si apriva la possibilità di
applicare il mio vocabolario visivo alla natura». Maroni, che
sarà la voce narrante dei documentari, individua nel progetto
l’occasione per

poter rappresentare e divulgare l’Italia del Vino come fenomeno


e spettacolo naturalistico, luminoso, come esempio di bellissime
umanità virtuosamente applicate. Di avviare con questo strumen-
to comunicativo un Rinascimento Culturale Agricolo e Naturali-
stico per il nostro paese 33.

Ad oggi il progetto ha visto la presentazione, in uno sce-


nario allestito nel Palazzo dei Congressi dell’EUR che ri-
calcava i grandi festival cinematografici, del cortometraggio
di lancio Vinalia, con la regia e il montaggio di Lorenzo
Peluso e l’interpretazione di Vittoria Belvedere e Massimo
Foschi. Vinalia è stato pensato come promo per il primo
33. Si vedano le di- documentario che sarà dedicato ai vini della regione Lazio.
chiarazioni rilasciate da Per la realizzazione del cortometraggio, Storaro ha coinvol-
Storaro e Maroni nella to alcuni dei suoi ex allievi dell’Accademia dell’Immagine
cartella stampa della pre-
sentazione di “Vini d’Ita- de L’Aquila.
lia”, reperibile alla pagina Il Lazio e i suoi vini sono stati protagonisti della passata
web: http://ebook- edizione di “SensofWine” anche grazie alla piccola mostra
browse.com/20110120-
vittorio-storaro-vini-d-ita- fotografica composta di dodici scatti realizzati da Vittorio
lia-cs-pdf-d125118020 Storaro mediante doppie impressioni fotografiche, in modo
Il cinema italiano
racconta il vino 77
da costruire dinamicità e movimento anche nell’immagine
statica. Queste immagini, a metà strada tra la fissità della
posa fotografica e il dinamismo cinematografico, saranno
utilizzate nel libro che accompagnerà il DVD con il docu-
mentario Il Lazio: un racconto dei vini autoctoni, tra tradi-
zioni contadine, classici della letteratura, e nuove forme di
rappresentazione visiva.

3.3 “Reason Wine: idee per bere con gusto!”:


il concorso del progetto “Vino e Giovani”

“Reason Wine: idee per bere con gusto!” è il concorso


dedicato a giovani film maker, teso a trasmettere i valori
del “buon bere” e promosso per il 2011 all’interno del
progetto “Vino e Giovani”, con la collaborazione di Ibla
Film, del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici
Italiani (SNGCI) e della community web 242 MovieTv.
Nel brief del progetto, nella sezione dedicata agli obiettivi
della comunicazione, si legge:
Con il Concorso Video “Reason Wine: idee per bere con gu-
sto!” non siamo in cerca di uno spot commerciale ma di un cor-
tometraggio di taglio cinematografico (non spot pubblicitario)
che sappia trasmettere i valori del “buon bere” legati al Vino ita-
liano, espressione di una Nazione, di un Popolo e di valori legati
alla tradizione, alla storia e alla cultura. Insomma, vogliamo creare
una nuova strategia comunicativa che include la tua creatività
[…]. Focus della comunicazione sarà il Vino italiano raccontato
attraverso i seguenti linguaggi: fiction, animazione, mockumentary.
Il Vino italiano, dunque, declinato in tutte le sue utilizzazioni:
dalla coltura della vite all’utilizzo finale a tavola o per un aperi-
tivo in compagnia. Il Vino come strumento di socializzazione e
78 Il cinema italiano
racconta il vino

di diffusione della cultura. Bere sapendo cosa si beve e alla base


del bere con gusto e responsabilmente 34.

Se il concorso precedente, “PerBacco”, invitava i giovani


a cimentarsi nell’ideazione di un messaggio pubblicitario,
mediante uno slogan, un’immagine o uno spot, per rivi-
talizzare la comunicazione e l’immagine del vino, “Reason
Wine: idee per bere con gusto!” sposta il focus da obiettivi
e forme legate alla comunicazione pubblicitaria a una pro-
mozione, attraverso il linguaggio cinematografico e alcune
delle sue forme di manifestazione (la fiction, l’animazione,
il mockumentary), che punti sulla creatività dei giovani re-
gisti per trasmettere e rendere compatibile con l’universo
giovanile il bagaglio simbolico e valoriale custodito nel vino.
Il cortometraggio è una forma breve della comunicazione
audiovisiva le cui caratteristiche strutturali e formali come la
durata ristretta, l’importanza della colonna sonora, l’accento
sul ritmo e sul montaggio, lo rendono uno strumento adatto
a costruire delle narrazioni ridotte dal punto di vista tem-
porale ma semanticamente dense, in cui alla promozione di
un bene di consumo si affianca la possibilità di edificare
ed alimentare un insieme più ampio di discorsi sociali che
sollecitano l’interazione tra i soggetti che utilizzano quel
bene e si riconoscono in esso. Basti pensare al videoclip,
strumento commerciale per diffondere la musica, un bene
di consumo effimero e immateriale, attraverso i canali televi-
sivi. La congiunzione tra la musica e il flusso di immagini è
svolta forzando i limiti temporali e le forme più consolidate
dell’audiovisivo: il montaggio tende alla frammentazione
piuttosto che alla costruzione di un’unità narrativa, si sfrutta
la ripetizione di alcune sequenze piuttosto che la conse-
quenzialità, vengono riqualificati in termini positivi elementi
34. Il brief è consultabile
alla pagina web: http://
imperfetti del suono o dell’immagine (l’immagine sgranata, le
www.vinoegiovani.it/ sonorità “sporche”) e si predilige la loro de-sincronizzazio-
vg10/allegati_reasonwin
e/18/20110615124256
ne (PEVERINI 2004: 11-12).
365.p df I cortometraggi che hanno partecipato al concorso po
Il cinema italiano
racconta il vino 79
vano essere realizzati con qualsiasi tecnologia, dal videofo-
nino alla telecamera professionale, e dovevano – si legge
sempre nel brief del bando – «raccontare in maniera accat-
tivante e coinvolgente le modalità del bere vino come mo-
mento culturale, di aggregazione e di piacere». Gli elementi
sollecitati nel bando riguardavano la dimensione conosci-
tiva del vino piuttosto che l’atto di bere vino o di abu-
sarne, le storie messe in scena non dovevano basarsi sulla
prevenzione (ad esempio la guida in stato di ubriachezza)
ma raccontare i momenti di convivialità e di accrescimento
culturale, privilegiando la dimensione visiva al dialogo.
Al bando di concorso hanno risposto molti giova-
ni registi inviando il loro cortometraggio al sito web
www.242movietv.com, la community dedicata ai profes-
sionisti di Cinema e Televisione e a tutti gli appassionati di
video, sitcom, web serial e cortometraggi. Ventisei corto-
metraggi, selezionati da Slup Tv e Ibla Film, hanno avuto
accesso alla fase finale della selezione e, dal quattordici
al ventinove luglio del 2011, sono stati visti e votati da-
gli iscritti alla community 242 Movie Tv. Il Premio della
Giuria, composta dal regista e documentarista Edoardo
Winspeare, da Omar Calabrese e da Rosa Bianco Finoc-
chiaro (consulenti del progetto “Vino e Giovani”) e dalla
dottoressa Silvana Lilli (coordinatrice del progetto “Vino e
Giovani”), è stato assegnato a 1979 di Michele Socci. La
menzione speciale assegnata da 242 Movie Tv è andata
al cortometraggio Un giorno d’autunno di Federica Wu.
Il cortometraggio più votato online è stato Adamant di
Giacomo Mantovani, seguito da Come un poeta seduto
in osteria di Nadia Salatin. La premiazione ufficiale è avve-
nuta il ventitré novembre 2011 nel Campus Universitario di
Coste Sant’Agostino a Teramo in occasione del talk show
“La comunicazione del vino: idee a confronto”, ma il cor-
tometraggio 1979 era già stato presentato in anteprima alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Quali sono le storie del vino raccontate nei cortometrag-
80 Il cinema italiano
racconta il vino

gi vincitori del concorso? Quali i personaggi, le situazioni


messe in scena e i ruoli ricoperti dal vino?
Il cortometraggio di Michele Socci, ventisettenne di Mila-
no, utilizza il vino come elemento che attiva un legame tra
i protagonisti e la loro memoria di eventi e luoghi appar-
tenenti passato: a partire da una bottiglia di vino, i ricordi
d’infanzia del protagonista riemergono e si materializzano
sulla scena. Il vino viene utilizzato come strumento per atti-
vare e coadiuvare l’azione della memoria. Quest’ultima non
consiste soltanto in una mera archiviazione, ma si sviluppa
soprattutto come un’attività di elaborazione e di ricostru-
zione. Sussiste uno scarto tra una memoria conservativa, la
riserva delle informazioni, e l’esercizio di memoria che regola
il legame del soggetto con il passato e con i significati in
esso trattenuti: da una parte il magazzino della memoria,
dall’altra un insieme di processi che alimentano e sfruttano
questa riserva, la rammemorazione. Al sopravvenire dei ri-
cordi, in quanto semplice affezione, spesso si sostituisce il
richiamo, la rammemorazione che considera il ricordo come
l’oggetto di una ricerca e la memoria come esercizio prag-
matico, un “fare”, che si esercita sulle tracce del passato. La
rammemorazione è quell’esercizio di memoria che restituisce
la distanza di ciò a cui ci riferiamo. Si congiungono così il
tempo e la memoria: se il ricordo si produce solo con il pas-
sare del tempo, il suo richiamo attivo, volto alla costruzione
della narrazione, avviene attraverso una ricerca nel tempo
– quella che Aristotele chiamava l’anamnesis (rammemo-
razione), distinta dalla menme, il sopravvenire involontario
del ricordo 35. La memoria, per funzionare come processo
rammemorante, deve sempre essere percorsa da un movi-
35. Il riferimento è al testo
di Aristotele De memoria mento che la attraversi in modo produttivo. È quest’attitu-
et reminiscentia, contenuto dine alla rammemorazione che va distinta dal processo di
nella raccolta denominata
Parva Naturalia e ripreso immagazzinamento.
da Ricœur in due studi La dimensione pragmatica della memoria, di cui abbiamo
dedicati ai rapporti tra
storia, memoria e oblio (RI- tracciato brevemente alcune delle premesse filosofiche, si
CŒUR 2003 e 2004). interessa alle tracce culturali nelle quali il ricordo è stato
Il cinema italiano
racconta il vino 81
fissato e oggettivato. L’attenzione si sposta dai processi
psichici connessi all’attività di rammemorazione del sogget-
to, ai mediatori del ricordo, in altre parole a quegli oggetti
e a quelle forme discorsive atte a conservare e trasmettere
la memoria culturale (ASSMANN 2002). Il vino, il suo
universo di figurativo, l’insieme delle pratiche sociali ad esso
legate, possono essere intese come mediatori del ricordo
e, a livello del testo filmico, come operatori narrativi che
attivano il “fare” del memoria.
In 1979, tutto incomincia con il rientro a casa del protago-
nista che, davanti all’uscio, trova un pacco postale. Il pacco
contiene un regalo: una bottiglia di vino e un biglietto.
La voce che si appresta a leggere il biglietto crea una frattu-
ra tra la componente sonora e quella visiva: mentre le labbra
del protagonista mimano le parole scritte, la voce femminile
che le pronuncia è dislocata fuoricampo. È quest’ultima a
recitare il testo del biglietto: «Il vero valore del ricordo sta
in questo: ci fa capire che nulla è mai passato». Attraverso
uno stacco di montaggio, il passato si palesa sullo schermo:
il primo piano del volto di una giovane ragazza, una partita
a pallone tra i vicoli di un borgo, il furto di una bottiglia
di vino in una cantina incustodita (si tratta di una delle
cantine storiche di Montepulciano), la contesa del tappo
di sughero, la corsa frenetica tra i filari di una vigna. Un
altro rapido stacco di montaggio e si rientra di nuovo nella
casa del protagonista, che sta stappando la bottiglia. La
successione di immagini in cui l’uomo versa il vino, inspira
con forza gli odori sprigionati dalla bevanda e avvicina il
bicchiere alla bocca, si alterna a quelle, luminose e ricche
di cromatismi, dell’uva e della vigna dove i due bambini si
rincorrevano. Poi una richiesta, una domanda che reca in sé
la promessa di un’amicizia eterna, al di là delle distanze ge-
ografiche e temporali. Ma la risposta che consolida quella
promessa passata arriva dal presente: è il protagonista ormai
adulto a dichiarare, questa volta con la sua voce, «Pro-
metto!». A suggellare il patto c’è il tappo della bottiglia,
82 Il cinema italiano
racconta il vino

elemento figurativo che garantisce le connessioni e i rimandi


tra il passato della promessa e il presente del racconto che
conferma quella stessa promessa (Figg. 24-25).

Figura 24 Figura 25

Il vino, attraverso le sue componenti olfattive e gustative,


stimola la memoria lasciando che i ricordi invadano il pre-
sente. Al contempo, attraverso il tappo di sughero, diventa
testimone del patto di amicizia e ne sanziona la validità nel
tempo. In Un giorno d’autunno, la regista Federica Wu,
trentaquattrenne di Cologno Monzese (in provincia di
Milano), mette in scena la pratica antica della vendemmia.
Il cortometraggio, privo di dialoghi, intreccia le vicissitudini
che coinvolgono tre diverse generazioni durante quella che
potrebbe essere una tipica giornata di vendemmia. Il rito
della vendemmia con le sue diverse fasi – dalla raccolta
alla spremitura, dalla fermentazione sino all’invecchiamento
nelle botti – si intreccia con le traversie e gli amori di tre
diverse generazioni: due bambini che giocano a rincorrersi
e assaggiano un grappolo d’uva bianca, due giovani che
scambiano sguardi affettuosi tra i filari della vigna e si ba-
ciano di nascosto nella cantina, un anziano vendemmiatore
che a sera si concede un brindisi con il frutto del suo lavoro
e balla abbracciato a sua moglie. Il tempo della vita, sociale
e biologica, è allora scandito dalle fasi della vendemmia. La
vigna, inquadrata in campo lungo, si dischiude davanti agli
occhi del bambino che, in soggettiva, prima oscura la sua
visione interponendo le mani tra il paesaggio e i suoi occhi
e poi lascia che lo scenario dei vitigni si renda disponibile
alla sua visione e a quella dello spettatore (Figg. 26-27).
Il cinema italiano
racconta il vino 83

Figura 26 Figura 27

Alla vendemmia segue, nel finale, un altro dei topos del-


la tradizione. Alla sera, terminato il lavoro quotidiano, la
famiglia si ritrova tutta unita attorno al tavolo apparec-
chiato nel cortile della casa di campagna. La sequenza
finale inizia con un’inquadratura dall’alto ma subito dopo
la macchina da presa si dispone al centro e intorno alla
tavola, tra i commensali. Mentre le immagini spesso sfocate
rafforzano la costruzione di un punto di vista ravvicinato,
la luce delle candele si riflette sui volti e illumina i sorrisi di
tutte le generazioni.
Sia in Adamant di Giacomo Mantovani, classe 1983, che
in Come un poeta seduto in osteria di Nadia Salatin,
nata nel 1974 a Motta di Livenza, il bicchiere di vino è
l’oggetto narrativo che permette agli altri attori di modifi-
care il proprio stato passionale o le proprie competenze
cognitive 36.
In Adamant è il brindisi a spezzare la routine quotidiana e
introdurre il discorso amoroso (Fig. 28). Un elegante wine
bar londinese è la scenografia in cui si realizza, in compa-
gnia del vino, la richiesta di matrimonio che il protagonista
rivolge alla donna amata.

36. Si veda la nota 1 del


Figura 28 primo capitolo.
84 Il cinema italiano
racconta il vino

Il discorso del giovane è anche un elogio al vino italiano


che accompagna importanti momenti sociali come il rito
religioso, la firma di un contratto, la passione amorosa. È
attraverso il vino che gli attori in scena e quelli evocati
dal protagonista arrivano alla congiunzione con determinati
valori (religiosi, politici, amorosi), poiché sono gli elementi
simbolici legati al vino e alla sua ritualità ad essere riattivati
ogni volta e a fornire una garanzia nei confronti di uno
specifico patto sociale.
Come un poeta in osteria è il breve racconto degli ostacoli
che impediscono al giovane protagonista di raggiungere
la sua meta. Un viaggio in vespa tra i vitigni con il mare
sullo sfondo, verso un pranzo e una tavola che un’attenta
signora sta imbandendo sin dal mattino. Ma il protagonista
del cortometraggio raggiunge la meta solo a sera, quando i
commensali hanno già consumato il loro pasto e solo alcuni
di loro siedono ancora attorno alla tavola. Una serie di
ostacoli (la mancanza di benzina nella vespa e di copertura
telefonica per il cellulare) hanno ritardato il raggiungimento
dell’obiettivo finale, il lauto pranzo. Solo nel finale, quando
ormai è scesa la sera, compare sulla tavola il vino. Il suo
intervento è di aiuto al protagonista che, nel sorseggiare
la bevanda, trova finalmente un aiutante per le sue azioni.
Ristorato dal vino versato dal più anziano dei commensali
e dal calore familiare, egli riesce a risolvere un piccolo indo-
vinello e a terminare la giornata in allegria (Fig. 29).

Figura 29
Il cinema italiano
racconta il vino 85
Ecco come le note di regia descrivono l’idea alla base del
cortometraggio e il suo plot, in cui i ricordi personali della
regista Nadia Salatin vengono rievocati e trasformati in un
racconto di finzione:
Trovata l’idea. Un bicchiere tintinna, accompagnando in sotto-
fondo il piacere di stare insieme, come la musica in un pianobar,
come un poeta seduto in un’osteria, scandendo dolcemente il
tempo, dalla bambina che rivedo guardare il mosto di settembre
ribollire nella cantina di mio padre, alla donna che ora gioca e
ride con gli amici in una fredda sera d’inverno, e risolve l’indo-
vinello.
Ho trasportato la mia storia fuori dal bar e dentro una famiglia,
aprendo lo sguardo sulla quotidianità del rapporto con il vino,
naturale come il suo maturare al sole, spontaneo e rituale come lo
scorrere dei giorni in un piccolo paese di campagna, un rapporto
di fiducia, perché non c’è un passo fondamentale nelle nostre
strade che non sia sigillato con un brindisi.

La Salatin riprende e descrive gli elementi che sono emersi


dall’analisi dei precedenti cortometraggi: la memoria per-
sonale che si attiva grazie al vino e produce una storia da
raccontare per immagini, le tradizioni legate al vino che pre-
servano i loro valori di coesione per la comunità, gli eventi
sociali che il vino consacra e sigilla. Tutti fattori che concor-
rono ad alimentare l’immaginario dei giovani spettatori e a
ricostruire la pratica del bere con gusto e responsabilmente.
Il cinema italiano
racconta il vino 87

Conclusioni
La panoramica attraverso le tavole messe in scena dal ci-
nema italiano, tra i vitigni esplorati dai documentari “eno-
gastronomici” e i progetti promossi dagli enti preposti alla
salvaguardia e alla promozione del patrimonio e della cul-
tura vitivinicola italiana è servita a ricostruire, senza prete-
se di esaustività, il campo dei rapporti che il linguaggio
audiovisivo ha costantemente instaurato con il mondo
del vino. Il cinema, sia di fiction che documentaristico, ha
utilizzato il vino, le sue modalità produttive e i luoghi del
suo consumo (dalla cena all’aperitivo, dalla degustazione
al brindisi) come strumenti per costruire delle storie che
descrivessero le trasformazioni culturali, il rapporto con le
tradizioni e il mutamento dei gusti enogastronomici della
società italiana. Questa tendenza possiede tuttora i suoi
risvolti positivi. Basta soffermarsi, ad esempio, sulla crescita
esponenziale dei documentari, dei festival e delle rasse-
gne cinematografie che sono dedicate al vino. Negli ultimi
anni si assiste allo sviluppo del fenomeno speculare rispetto
a quello descritto in precedenza. Concorsi dedicati alle
giovani generazioni, manifestazioni e fiere legate al vino
utilizzano le diverse forme del linguaggio audiovisivo per
ridefinire ed implementare i loro obiettivi di comunicazione
sociale. La promozione del consumo consapevole del vino
si abbevera allo sterminato bacino della rappresentazione
cinematografica per trovare in esso storie e modelli figurativi
da riproporre all’interno delle campagne di sensibilizzazio-
ne. Laddove non è preponderante l’aspetto commerciale
di un prodotto, il film, nelle sue diverse durate, diventa il
canale adeguato per informare lo spettatore, garantendogli
momenti di apprendimento e di crescita formativa. Capa-
cità che il cinema ha incrementato anche attraverso l’ibri-
dazione e il contatto con i nuovi mezzi di comunicazione:
dai videofonini di ultima generazione ai social network del
88 Il cinema italiano
racconta il vino

web 2.0, grazie ai quali è possibile creare e diffondere


filmati, condividere e commentare con il proprio gruppo di
amici i frammenti dei film visiti e amati.
Il vino irradia momenti di socialità e stimola le rotte della
conversazione lontano dai luoghi comuni del quotidiano
per rendere anche i momenti rilassanti della giornata delle
occasioni in cui imparare e gustare con piacevolezza. Alla
dimensione conviviale del consumo, in cui si rinsaldano i
legami e si alimenta il capitale sociale, si legano tutti quegli
elementi che permettono al vino di essere trattato come un
oggetto culturale e non una semplice bevanda: dalle tema-
tiche ambientaliste alla produzione biologica, dall’attenzio-
ne per la tradizione e la qualità all’affermazione del valori
comunitari. Il benessere prodotto dal consumo moderato
di vino diventa anch’esso una risorsa culturale.
Tutto sembra già “apparecchiato”, manca solo il primo ciak
per dare inizio alle riprese.
Il cinema italiano
racconta il vino 89

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Filmografia
Adamant, regia di Giacomo Mantovani, Inghilterra/Italia, 2011.
L’albero degli zoccoli, regia di Ermanno Olmi, Italia, 1978.
Amarcord, regia di Federico Fellini, Italia, 1973.
Il Casanova di Federico Fellini, regia di Federico Fellini, Italia, 1976.
C’eravamo tanto amati, regia di Ettore Scola, Italia, 1974.
Come un poeta seduto in osteria, regia di Nadia Salatin, Italia, 2011.
Fellini-Satyricon, regia di Federico Fellini, Italia, 1969.
94 Il cinema italiano
racconta il vino

La grande abbuffata, regia di Marco Ferreri, Francia/Italia, 1973.


Ladri di biciclette, regia di Vittorio De Sica, Italia, 1948.
Mangiare bere uomo donna (Yin shi nan nu), regia di Ang Lee, Taiwan/USA, 1994.
La mia notte con Maud (Ma nuit chez Maud), regia di Eric Rohmer, Francia, 1969.
Mondovino (Id.), regia di Jonathan Nossiter, Argentina/Francia/Italia/USA, 2004.
Piccolo mondo antico, regia di Mario Soldati, Italia, 1941.
Il pranzo di Babette (Babettes gæstebud), regia di Gabriel Axel, Danimarca, 1987.
Pranzo di Ferragosto, regia di Gianni Di Gregorio, Italia, 2008.
Racconto d’autunno (Conte d’automne), regia di Eric Rohmer, Francia, 1998.
Roma, regia di Federico Fellini, Italia/Francia, 1972.
Rupi del vino, regia di Ermanno Olmi, Italia, 2009.
Senza Trucco. Le donne del vino naturale, regia di Giulia Graglia, Italia, 2011.
Il sorpasso, regia di Dino Risi, Italia, 1963.
Vinalia, regia di Lorenzo Peluso, Italia, 2011.
Un giorno d’autunno, regia di Federica Wu, Italia, 2011.
Uomini e vino, regia di Giovanni Penco, Italia, 2009.
1979, regia di Michele Socci, Italia, 2011.

Programmi televisivi
Lascia o raddoppia?, con Mike Bongiorno, 1955.
Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno, di Mario Soldati e Cesare Zavattini, 1960.
Viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, di Mario Soldati, 1957.

Sitografia
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www.omarcalabrese.net
www.retegas.org
www.senzatrucco.wordpress.com
www.slowfoodonfilm.it
www.vinoegiovani.it
www.wineblog.it
www.242movietv.com
Il cinema italiano
racconta il vino 95

Indice delle figure


Capitolo 1
Figure 1, 2, 3, 4: Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica.
Figure 5, 6, 7, 8: C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola.
Figure 9 e 10: Il Casanova di Federico Fellini (1976) di Federico Fellini.
Figure 11 e 12: Pranzo di Ferragosto (2008) di Gianni Di Gregorio.

Capitolo 2
Figure 13 e 14: Mario Soldati durante il programma televisivo Viaggio lungo
la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini (1957).
Figure 15 e 16: Mondovino (2004) di Jonathan Nossiter.
Figure 17, 18, 19, 20, 21: Senza Trucco. Le donne del vino naturale (2011)
di Giulia Graglia.
Figure 22 e 23: Rupi del vino (2009) di Ermanno Olmi.

Capitolo 3
Figure 23 e 24: 1979 (2011) di Michele Socci.
Figure 25 e 26: Un giorno d’autunno (2011) di Federica Wu.
Figura 27: Adamant (2011) di Giacomo Mantovani.
Figura 28: Come un poeta seduto in osteria (2011) di Nadia Salatin.
Finito di stampare nel mese di giugno 2012

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