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City of Fallen Angel



Capitolo 1
Il maestro

Traduzione
a
cura
di
valetherebel

Revisione
Hypa

www.shadowhunters‐italia.com

Originale
http://mortalinstruments.com/excerpt‐angels.php

È vietato riprodurre il contenuto senza consenso.




“Solo un caffè, per favore”. La cameriera alzò le


sopracciglia a matita. “Non vuoi nient'altro da mangiare?” gli chiese. Il suo
accento era robusto, il suo atteggiamento contrariato.
Simon Lewis non poteva incolparla; probabilmente aveva sperato in
una mancia migliore di quella che avrebbe ricevuto da uno che avrebbe
preso una singola tazza di caffè. Ma non era colpa sua se i vampiri non
mangiavano.
A volte, nei ristoranti, ordinava comunque cibo, solo per preservare
l'apparente normalità, ma il martedì in tarda serata, quando il “Veselka”
era quasi pieno di clienti, non gli dava poi tanto fastidio.
“Solo il caffè”. La cameriera scrollò le spalle e prese il suo menù
laminato appuntando l’ordine. Simon sedette di nuovo sulla dura plastica
della sedia e si guardò intorno.
Veselka, un ristorantino all' angolo della nona strada e della seconda
avenue, era uno dei suoi posti preferiti della Lower East Side – un
vecchio quartiere-ristorante tappezzato da murales in bianco e nero, dove
ti permettono di stare tutto il giorno fintanto che ordini caffè ad intervalli
di mezzora. Inoltre vi servivano quello che una volta era stato il suo piatto
preferito: spinaci e zuppa vegetariana, ma quei giorni erano andati ormai.
Era metà ottobre, ed avevano appena appeso le decorazioni di
halloween – una traballante scritta recitava: dolcetto o zuppa! Ed un finto
cartone ritagliato a forma di vampiro soprannominato conte Blintzula.
Una volta Simon e Clary trovavano divertenti le scadenti decorazioni
festive, ma il conte, con le sue zanne finte e la mantella nera, non gli
sembrava più così divertente. Simon lanciò uno sguardo alla finestra.
Era una notte vivace, ed il vento, soffiava via le foglie lungo la
seconda avenue come una manciata di coriandoli gettati. C'era una
ragazza che camminava lungo la strada, una ragazza che indossava un
trench aderente con la cintura, con lunghi capelli neri che volavano al
vento.
La gente si voltava a guardarla come se camminasse all' indietro.
Simon aveva guardato ragazze come lei tante volte, in passato,
pigramente, chiedendosi dove andassero, chi dovessero incontrare. Non
ragazzi come lui, ovviamente. Eccetto questa.
Il campanello sulla porta principale suonò quando la porta si aprì, ed
Isabelle Lightwood entrò. Sorrise quando vide Simon, e gli andò incontro,
scrollando il proprio cappotto e appendendolo dietro la sedia, prima di
sedersi. Sotto il cappotto indossava quelli che Clary avrebbe definito “i
tipici abiti di Isabelle”.
Un vestito corto e aderente di velluto, calze a rete, e stivali. C’era un
pugnale infilato in cima al suo stivale sinistro, di cui Simon era a
conoscenza solo perché poteva vederlo. Ancora tutti nel ristorante la
stavano guardando mentre si accomodava, lanciandosi indietro i capelli. In
qualunque modo si vestisse, Isabelle catturava l'attenzione come un fuoco
d'artificio. La bellissima Isabelle Lightwood.
Quando l'aveva incontrata, aveva creduto che una come lei non
avrebbe trovato tempo per uno come lui. Aveva scoperto di avere in gran
parte ragione.
Ad Isabelle piacevano i ragazzi che i propri genitori avrebbero
disapprovato, e nel suo universo che significava Nascosti - fate, licantropi
e vampiri – infatti gli appuntamenti che si erano dati uno o due mesi
prima, l’avevano stupito, anche se la loro relazione era limitata per lo più
a rari incontri come questo.
E non poteva fare a meno di chiedersi: se non fosse mai stato
trasformato in vampiro, se tutta la sua vita non fosse cambiata fino a quel
momento, sarebbero potuti uscire insieme? Isabelle si spostò una ciocca di
capelli dietro l'orecchio, il suo sorriso brillava.
“Ti trovo in forma”. Simon lanciò un' occhiata a se stesso riflessa sulla
superficie della finestra del locale. L'influenza di Isabelle era chiara nei
cambiamenti nel suo aspetto, da quando uscivano insieme.
Lo avevo costretto ad abbandonare le sue felpe con cappuccio in favore
di giacche di pelle, e le sue scarpe da ginnastica sostituite da stivali
elaborati. I quali, casualmente, costavano trecento dollari al paio. Aveva
ancora indosso le sue caratteristiche magliette con le scritte - questa
diceva: gli esistenzialisti lo fanno inutilmente - ma i suoi jeans non
avevano più buchi alle ginocchia e tasche strappate.
Si era inoltre fatto crescere i capelli, lunghi in modo che gli cadessero
sugli occhi, coprendogli la fronte, ma era stata più una necessità di
Isabelle. Clary lo prendeva in giro per il suo nuovo look; ma, insomma,
Clary trovava tutto della sua doppia vita amorosa divertente.
Non poteva credere che stesse uscendo in modo serio con Isabelle. E
non poteva credere che stesse facendo lo stesso Maya Roberts, una loro
amica a cui succedeva di diventare un lupo mannaro, in un modo
altrettanto serio. E non poteva credere veramente che Simon non avesse
ancora detto a nessuna delle due dell'esistenza dell'altra.
Simon non era veramente sicuro di cosa fosse successo. A Maya
piaceva andare a casa sua ed usare la sua xbox - non ne avevano una alla
stazione di polizia abbandonata dove il branco di lupi mannari viveva - e
dopo la terza o la quarta volta che ci andava, si era chinata e gli aveva
dato il bacio della buonanotte prima di lasciarlo.
Era stato contento, e poi aveva chiamato Clary chiedendole se fosse
necessario dirlo ad Isabelle. “Capisci cosa sta succedendo tra te e Isabelle”
gli disse “e poi diglielo”.
Questo si era rivelato essere un cattivo consiglio. Era passato un
mese, e non era ancora sicuro di cosa ci fosse tra loro due, quindi non
aveva detto niente. E più il temo passava, più la scomoda idea di dire
qualcosa era cresciuta. Finora aveva fatto così. Isabelle e Maya non erano
veramente amiche, e raramente si vedevano. Sfortunatamente per lui,
c'era stato un cambiamento.
La mamma di Clary ed il suo amico di vecchia data, Luke, si
sarebbero sposati tra pochi giorni, ed entrambe erano state invitate al
matrimonio, una prospettiva che Simon aveva trovato più terrificante dell'
idea di essere inseguito per le strade di New York da una folla inferocita ci
cacciatori di vampiri.
“Quindi” disse Isabelle, facendolo uscire dal suo sogno ad occhi aperti,
“Perchè qui e non da Taki? Ti avrebbero servito del sangue!”. Simon
trasalì a causa del suo tono alto. Isabelle era tutto tranne che discreta.
Fortunatamente, nessuno sembrava che li stesse ascoltando, nemmeno la
cameriera che era tornata, sbattendo di fronte e Simon una tazza di caffè.
Guardò Izzi, e se ne andò prendendo il suo ordine.
“Mi piace qui!” disse Simon “Clary ed io solitamente venivamo qui
quando lei tornava dalle sue lezioni alla Tisch. Hanno una favolosa zuppa
e frittelle - sono come gnocchi di formaggio dolce - in più è aperto tutta la
notte”. Isabelle però lo stava ignorando perché stava guardando oltre la
sua spalla “Cosa è quello?”
Simon seguì il suo sguardo “è il conte Blintzula”.
“Il conte Blintzula?” Simon si strinse nelle spalle “È una decorazione
di halloween. Il conte Blintzula è per i bambini. È come il conte Chocula o
il conte di Sesame Street” sogghignò al suo sguardo vuoto “sai, insegna ai
bambini a contare”. Isabelle scosse lentamente la testa “C'è uno show
televisivo dove i ragazzi imparano a contare da un vampiro?”
“Avrebbe avuto più senso se lo avessi visto” mormorò Simon.
“C’è qualche fondamento mitologico per tale costruzione” disse
Isabelle, inoltrandosi in una lezione tipica da Shadowhunter, “alcune
leggende affermano che i vampiri erano ossessionati col contare, e che se
tu spargi chicchi di riso di fronte a loro, smetteranno di fare ciò che
facevano e li conteranno uno ad uno. Non c’è verità in essa, ovviamente,
non più della faccenda dell'aglio”
“Grazie” disse Simon “è uno scherzo, Isabelle. Lui è il conte. A lui
piace contare. Tipo. 'cosa ha mangiato oggi il conte, ragazzi? Un pezzo di
biscotto al cioccolato, due pezzi di biscotto al cioccolato, tre pezzi di
biscotto al cioccolato...”
Una sferzata d'aria fredda arrivò nella loro direzione, appena la porta
del ristorante si aprì, lasciando entrare un altro cliente. Isabelle rabbrividì
e toccò la sua sciarpa di seta nera. “Non è realistico”.
“Cosa avresti preferito: ‘cosa ha mangiato oggi il conte, ragazzi? Un
indifeso cittadino, due indifesi cittadini, tre indifesi cittadini’ ”
“Shh” Isabelle finì di annodarsi la sciarpa attorno alla gola e si sporse
in avanti poggiando la propria mano sul polso di Simon. I suoi grandi occhi
scuri erano improvvisamente vivaci, nel modo in cui prendono vita solo e
quando o cacciava demoni o stava pensando di cacciare demoni.
“Guarda laggiù” Simon seguì il suo sguardo. Vi erano due uomini che
stavano in piedi su un lato della cassa dove vi era un espositore in vetro
che conteneva prodotti da cucina: torte fittamente glassate, piatti di
Rugelach e danesi alla crema. Nessuno degli uomini lo guardava come se
fossero interessati al cibo, pensò.
Entrambi erano bassi e angosciosamente scarni, tanto che i loro
zigomi sporgevano dalle loro facce bianche come coltelli. Entrambi
avevano sottili capelli grigi e pallidi occhi grigi, ed indossavano cappotti
con cinture color ardesia che toccavano il pavimento.
“Ora” riprese Isabelle “Cosa credi che siano?” Simon strizzò gli occhi
su di loro. Entrambi lo stavano fissando. I loro occhi senza ciglia come
buchi vuoti. “Sembrano una specie di gnomi da giardino maligni”
“Sono degli schiavi umani, soggiogati” sibilò Isabelle “appartengono ai
vampiri”.
“Appartengono come..?”
Fece un rumore impaziente “Ma per l' Angelo, non sai niente della tua
specie, non è vero? Non sai veramente come nascono i vampiri?”
“Beh, quando una mamma vampira ed un papà vampiro si amano
moltissimo...” Isabelle gli fece una smorfia “allora, sai che i vampiri non
hanno bisogno di rapporti sessuali per riprodursi, ma scommetto che non
sai come funziona davvero”.
“Lo so eccome!” disse Simon “sono un vampiro perché ho bevuto un po'
del sangue di Raphael prima di morire. Bere sangue, più morire uguale
vampiro”.
“Non esattamente” disse Isabelle. “Sei un vampiro perché hai bevuto
un po' del sangue di Raphael, e poi sei stato morso da altri vampiri, e dopo
sei morto. Hai bisogno di essere morso ad un certo punto durante il
processo”.
“Perché?”
“La saliva vampirica ha... delle proprietà. Proprietà trasformative.”
“Accidenti” rispose Simon.
“Non dirmi accidenti! Sei tu quello con lo sputo magico. I vampiri
mantengono gli umani e se ne nutrono quando sono a corto di sangue -
come distributori di merendine ambulanti.” Izzi parlò con disgusto. “Si
potrebbe pensare che fossero deboli per la perdita continua di sangue, ma
la saliva vampirica ha effettivamente proprietà curative e aumenta il loro
numero di globuli rossi, rendendoli più forti e più sani, e permettendogli di
vivere più a lungo.
È per questo che non è contro la legge per un vampiro nutrirsi di
esseri umani. Non gli fanno veramente male. Naturalmente ogni tanto il
vampiro può decidere di volere più di uno spuntino, vuole uno schiavo ed
allora inizierà l'alimentazione dell' umano con piccole quantità di sangue
vampiro, solo per mantenerlo docile, per farlo rimanere legato al suo
maestro.
Gli schiavi adorano i propri maestro, ed amano servirli. Tutto ciò che
vogliono è star loro vicini. Come te, quando sei tornato al Dumont. Sei
stato attirato dal vampiro di cui avevi bevuto il sangue.”
“Raphael” disse Simon, la sua voce fredda “ma non sento il bisogno
ardente di essere con lui in questi giorni, lascia che te lo dica.”
“No la sensazione sparisce quando diventi completamente un
vampiro. Solo gli schiavi amano i propri padri e non possono disobbedirgli.
Non ricordi? Quando sei tornato al Dumont, il clan di Raphael ti ha
dissanguato, e tu sei morto, e dopo sei diventato un vampiro. Ma se non ti
avessero morso, se non ti avessero dato subito altro sangue vampiro,
saresti potuto diventare col tempo un soggiogato.”
“È molto interessante” disse Simon “ma non spiega perché quei due ci
stanno guardando.”
Isabelle si voltò verso di loro. “Guardano te. Forse il loro maestro è
morto e stanno cercando un altro vampiro a cui appartenere. Potresti
avere dei cuccioli!” sogghignò.
“Oh” disse Simon “forse sono qui per il polpettone.”
“Gli schiavi umani non mangiano cibo. Vivono di un miscuglio tra
sangue vampiro e animale. Li mantengono in uno stato di vivacità
condizionata. Non sono immortali, ma invecchiano molto lentamente.”
“Triste” concluse Simon fissandoli, “non sembrano riuscire a
mantenere il loro aspetto.”
Isabelle si raddrizzò “e ci stanno raggiungendo! Immagino che stiamo
per scoprire cosa vogliono.
I soggiogati si mossero come se erano su delle ruote. Non sembravano
fare passi ma anzi, scivolare in avanti silenziosamente. Gli erano bastati
pochi secondi per attraversare il ristorante; mentre si avvicinavano al
tavolo di Simon, Isabelle aveva tirato fuori lo stilo affilato come un
pugnale dall’alto dei suoi stivali. Era dall' altra parte del tavolo,
scintillando nelle luci fluorescenti del locale. Era scuro, di argento
pesante, con croci bruciate su entrambi i lati del manico. La maggior parte
delle armi-vampiro sembrava portare delle croci, sul presupposto, pensò
Simon, che molti vampiri fossero cristiani. Chi avrebbe pensato che
seguire una minoranza religiosa sarebbe stato così vantaggioso?
“E abbastanza vicino” disse Isabelle, appena i due schiavi si
fermarono al tavolo, le dita a pochi centimetri dal pugnale. “Dichiarate le
vostre intenzioni voi due!”
“Shadowhunter” la creatura sulla sinistra parlò in un sussurro
sibilante. “Non ero informato della tua presenza in questa situazione”
Isabelle sollevò un sopracciglio delicatamente “e di quale situazione si
tratterebbe?”
Il secondo schiavo puntò un lungo dito grigio verso Simon. L'unghia in
cima ad esso era ingiallita e tagliente. “Dobbiamo conferire con il diurno.”
“No, non potete” disse Simon “Non ho idea di chi siate. Mai visti
prima.”
“Io sono il Signor Walker” disse la prima creatura “accanto a me c'è il
Signor Archer. Serviamo il più potente vampiro della città di New York. Il
capo del più grande clan di Manhattan.”
“Raphael Santiago” disse Isabelle “in quel caso dovreste sapere che
Simon non fa parte di nessun clan. È un rappresentante libero.”
Il signor Walker sorrise, un sorriso sottile “il mio maestro sperava
questo potesse essere cambiato.” Simon incontrò gli occhi di Isabelle
all'altro capo del tavolo. L’osservò mentre si strinse nelle spalle. “Raphael
non ti aveva detto che ti voleva lontano dal clan?”
“Forse ha cambiato idea” suggerì Simon “sai com'è. L’unico. Volubile”
“Non saprei, non l'ho più visto da quella volta in cui mi sono trattenuta
dall' ucciderlo con un candelabro. La prese bene, comunque. Non si tirò
indietro.”
“Fantastico” disse Simon.
I due schiavi lo fissavano. I loro occhi erano di un pallido color grigio
biancastro, come la neve sporca. “Se Raphael mi vuole nel clan, è perché
vuole qualcosa da me. Potreste anche dirmi di cosa si tratta.”
“Non siamo al corrente dei piani del nostro maestro” disse il signor
Archer in tono altezzoso.
“Niente da fare, allora” disse Simon “non ci andrò.”
“Se non desideri venire con noi, siamo autorizzati a prenderti con la
forza.”
Il pugnale sembrò saltare nella mano di Isabelle, e subito lo aveva in
mano. Lo roteò leggermente, “non lo farei se fosse in voi.”
Il signor Archer mostrò i suoi denti.
“Da quando i figli dell' Angelo sono diventati le guardie del corpo dei
Nascosti? Pensavo che foste superiori a questo tipo di questioni, Isabelle
Lightwood.”
“Non sono la sua guardia del corpo” disse Isabelle “Sono la sua
ragazza. Ciò mi permette di prendere a calci il vostro culo se lo infastidite.
È così che funziona.”
Ragazza? Simon trasalì abbastanza da sembrare sorpreso, ma lei
fissava verso il basso i due schiavi, i suoi occhi scuri lampeggiavano. Da un
lato pensava che Isabelle non avesse mai fatto riferimento a sé stessa
come la sua ragazza prima. Dall'altra era significativo di come strana
fosse diventata la sua vita. Quella era la cosa che lo aveva sorpreso di più
quella sera, piuttosto il fatto che era appena stato convocato ad un
incontro con il più potente vampiro di New York.
“Il mio maestro” disse Walker, in quello che probabilmente pensava
fosse un tono lanciato “Ha una proposta da fare al diurno.”
“Il suo nome è Simon. Simon Lewis.”
“Da fare al Signor Lewis. Ti posso promettere che il signor Lewis la
troverà molto vantaggiosa se è disposto ad essere accompagnato da noi e
ad ascoltare il mio maestro. Ho giurato sull'onore del mio maestro, che
nessun danno ti sarà recato, diurno, e che se dovessi rifiutare l'offerta del
mio maestro, avrai la libera scelta di farlo.”
Il mio maestro il mio maestro. Walker pronunciò le parole con un
misto di adorazione e timore. Simon rabbrividì un po' dentro. Come deve
essere terribile essere vincolati a qualcun' altro e non avere una volontà
reale. Isabelle stava scuotendo la testa; mimò un “no” a Simon.
Probabilmente aveva ragione, pensò.
Isabelle era un' eccellente Shadowhunter. Cacciava i demoni ed i
nascosti fuorilegge – vampiri delinquenti, licantropi che vivevano selvaggi
e mangiavano umani – da quando aveva 12 anni, e probabilmente meglio
di quanto avesse mai fatto uno Shadowhunter alla sua età, con l' eccezione
di suo fratello Jace. E c'era stato Sebastian, pensò Simon, che era stato
migliore di entrambi. Ma era morto. “Ok” disse “verrò.” Gli occhi di
Isabelle ruotarono “Simon!”
Entrambi i soggiogati strofinarono le mani insieme, come i cattivi in
un fumetto. Il gesto in sé non era davvero da brividi; fu che lo fecero
esattamente nello stesso momento e nello stesso modo, come se fossero
stati dei burattini le cui corde fossero state strattonate all'unisono.
“Eccellente” disse Archer.
Isabelle batté il pugnale sul tavolo con fragore, e si sporse in avanti.
I suoi capelli scuri lucenti spazzolarono la superficie del tavolo.
“Simon” disse in un sussurro insistente “non fare lo stupido. Non c'è
motivo per cui tu debba andare con loro. È una provocazione di Raphael.”
“Raphael è un maestro vampiro” disse Simon “il suo sangue mi ha fatto
vampiro. Ed è il mio... come diavolo lo chiamano.”
“Padre, creatore, generatore... ci sono milioni di nomi per quello che
ha fatto” disse Isabelle distrattamente. “E forse il suo sangue ti ha
trasformato in vampiro, ma non è ciò che ti ha reso un diurno.” I suoi occhi
incontrarono i suoi attraverso il tavolo.
Jace ti ha trasformato in diurno. Ma non l'avrebbe mai detto ad alta
voce; solo pochi di loro conoscevano la verità, l'intera storia di ciò che Jace
era, e cosa fosse Simon per quello. “Non devi fare quello che dice!”
“Certo che no” disse Simon, abbassando la voce “ ma se rifiuto di andare,
pensi che Raphael lascerà perdere? Non lo farà. Continuerà a venirmi
dietro.” Lanciò un'occhiata di soppiatto agli schiavi, lo guardavano come se
fossero d’accordo, anche se lo avrebbe potuto immaginare.
“Mi spieranno ovunque. Quando sarò fuori, a scuola, da Clary.”
“E cosa? Clary non sa cavarsela?” Isabelle alzò le mani “bene, almeno
fammi venire con te.”
“Certo che no” si intromise Archer. “Non è affare degli
shadowhunters. È una faccenda dei figli della notte.”
“Non potete.”
“La legge ci da il diritto di condurre i nostri affari in privato”
Walker parlò rigidamente “con i nostri simili.”
Simon li guardò “dateci un momento, per favore” disse. “Voglio
parlare con Isabelle.”
Ci fu un momento di silenzio. Attorno a loro la vita del ristorante
andava avanti. Il posto riceveva il suo flusso di tarda serata come il
cinema verso la fine dell' isolato, e le cameriere si affrettavano, portando
piatti fumanti di cibo ai clienti; le coppie ridevano e chiacchieravano ai
tavoli vicini; i cuochi gridavano gli ordini agli altri dietro i balconi.
Nessuno li guardava o aveva riconosciuto che stava succedendo
qualcosa di strano. Simon era abituato agli incantesimi, ormai, ma non
poteva evitare la sensazione, a volte, quando era con Isabelle, che fosse in
trappola tra un invisibile muro di vetro, tagliato fuori dal resto
dell'umanità e dalla quotidianità dei suoi affari.
“Molto bene “ disse Walker, facendo un passo indietro, “ma al mio
maestro non piace aspettare.”
Si ritirarono verso la porta, apparentemente non influenzati dalle
raffiche d'aria fredda ogni volta che qualcuno entrava o usciva, e rimasero
là come statue.
Simon si voltò verso Isabelle “va tutto bene” disse “non vogliono
farmi del male, non possono farmene. Raphael sa tutto riguardo...” indicò
a disagio la sua fronte “questo”.
Isabelle lo raggiunse appoggiandosi al tavolo e gli spinse indietro i
capelli, il suo tocco più clinico che gentile. Era accigliata. Simon aveva
guardato il marchio un numero sufficiente di volte, allo specchio, per
esaminarlo. Era come se qualcuno avesse dato una sottile pennellata e
disegnato un semplice motivo sulla sua fronte, appena al di sopra ed al
centro dei suoi occhi.
La sua forma sembrava cambiare qualche volta, come le immagini
in movimento che si trovano tra le nuvole, ma era sempre stato nitido e
nero ed in qualche modo pericoloso da guardare, come un segnale di
avvertimento scarabocchiato in un' altra lingua.
“Funziona... davvero?”
“Raphael pensa di sì” disse Simon “e non ho ragioni per credere il
contrario”. Afferrò il suo polso e lo tirò via dalla sua faccia “andrà tutto
bene Isabelle.”
Lei sospirò “ogni cosa del mio addestramento mi dice che non è una
buona idea”.
Simon le strinse le dita “ andiamo. Sei curiosa riguardo quello che
vuole Raphael, non è vero?
Isabelle accarezzò la sua mano e si risedette “Raccontami tutto
quando torni. Chiamami per prima.”
“lo farò” Simon si alzò chiudendosi la giacca “ e mi farai un favore,
vero? Due favori veramente.”
Lei lo guardò con celato divertimento “cosa?”
“Clary aveva detto che si sarebbe fermata all' istituto stasera. Se la
vedi non dirle dove sono. Si preoccuperebbe senza motivo”.
Isabelle ruotò gli occhi, “okay, bene. Il secondo favore?”
Simon si sporse e la baciò sulla guancia “prova la zuppa prima di
andartene. È fantastica.”
Walker ed Archer non erano i compagni più loquaci. Guidarono
Simon silenziosamente per le strade della Lower East Side, mantenendo
diversi passi di distanza da lui con il loro strano ritmo scivoloso. Si stava
facendo tardi, ma i marciapiedi della città erano colmi di persone – sempre
in ritardo da lavoro, correvano a casa a cena, a testa bassa, con i colletti
alzati contro il rigido vento gelido.
In piazza San Marco c'erano bancarelle allestite lungo il
marciapiede, vendendo di tutto, da calze a buon prezzo a schizzi a matita
di New York a profumato incenso al sandalo. Le foglie tintinnavano per
terra come ossa secche. L'aria puzzava dello scarico delle auto mescolato al
sandalo, e sotto quello, l'odore di essere umano - pelle e sangue. Lo
stomaco di Simon si strinse.
Aveva provato a farsi bastare le bottiglie di sangue animale in
camera sua - aveva un piccolo frigo dietro il suo armadio, dove sua madre
non poteva vederlo - per guardarsi sempre dall' avere fame. Il sangue era
disgustoso. Aveva pensato che ci avrebbe fatto l'abitudine, anche iniziare a
volerlo, ma a pensarlo respingeva i morsi della fame.
Non c'era niente che gli sarebbe piaciuto come gli piacevano una
volta la cioccolata o i burritos vegetariani, o il gelato al caffè. Rimaneva il
sangue. Ma essendo affamato era peggio. Avere fame significava dover
sentire odori che non voleva sentire – sale sulla pelle, il troppo maturo,
dolce odore di sangue trasudato dai pori degli sconosciuti. Lo faceva
sentire affamato ed assetato e completamente sbagliato.
Svoltando oltre, strinse i pugni nelle tasche della giacca e cercò di
respirare con la bocca.. svoltarono a destra verso la terza avenue, e si
fermarono di fronte ad un ristorante la cui insegna recitava “Chiostro
Cafè”. Un giardino aperto tutto l' anno.
Simon sbatté la palpebre sull' insegna. “Cosa ci facciamo qui?”
“Questo è il luogo d'incontro scelto dal nostro maestro” il tono di
Walker era blando.
“Huh” Simon era perplesso. “Credevo che lo stile di Raphael fosse
più, come dire, organizzare incontri in cima ad una cattedrale sconsacrata
o in una cripta piena di ossa. Non mi aveva mai fatto pensare al tipo da
ristorante trendy”.
Entrambi gli schiavi lo fissarono “è un problema, diurno?” chiese
alla fine Archer.
Simon sentì il rimprovero oscuro “No. Nessun problema.”
L' interno del ristorante era scuro, con il bancone di un bar che
percorreva tutta la parete. Nessun personale di servizio si avvicinò a loro,
mentre si facevano strada attraverso la stanza verso una porta sul retro, e
per la porta in un giardino.
Alcuni ristoranti di New York avevano elle terrazze giardino; pochi
stavano aperti in quel periodo. Questo era in un cortile tra diversi edifici.
Il muro era dipinto con murales trompe l'oeil che mostravano giardini
italiani pieni di fiori.
Gli alberi, le cui foglie trasformavano la caduta in oro e ruggine, era
legati con catene di luci bianche e le lampade disperdevano calore tra i
tavoli emanando un bagliore rossastro. Una piccola fontana sciabordava
musicalmente al centro del cortile. Solo un tavolo era occupato, e non da
Raphael.
Una donna snella con un cappello a larghe falde era seduta ad un
tavolo vicino al muro. Nel momento in cui Simon la guardò perplesso, lei
alzò una mano e lo salutò.
Lui si voltò e guardò dietro di sé; non c era nessuno ovviamente.
Walker e Archer avevano cominciato a muoversi di nuovo; perplesso
Simon li seguì mentre attraversavano il cortile e si fermavano a pochi
metri da dove la donna era seduta. Walker fece un profondo inchino
“maestro” disse.
La donna sorrise “Walker” disse, “ed Archer. Molto bene. Grazie per
avermi portato Simon”.
“Aspetta un momento” Simon guardò dalla donna ai due servi
ripetutamente “non sei Raphael”.
“Povera me” la donna si tolse il cappello. Un'enorme quantità di
capelli biondi argentei, brillanti nelle luci natalizie, si rovesciarono sopra
le sue spalle. Il suo viso era liscio, bianco e ovale, molto bello, dominato da
enormi occhi verdi pallido. Indossava lunghi guanti neri, una camicetta
nera di seta ed una gonna, ed una sciarpa nera attorno alla gola.
Era impossibile indovinarne l'età - o almeno l' età che aveva avuto
quando era stata trasformata in vampiro.
“Sono Camille Belcourt. Incantata di conoscerti”. Tese una mano
guantata di nero.
“Mi era stato detto che avrei incontrato Raphael Santiago, qui”
disse Simon, non avvicinandosi a stringergliela. “Lavori per lui?”
Camille belcourt rise come l' increspatura di una fontana “Certo che no!
Anche se una volta lavorava lui per me”.
E Simon ricordò. Credevo che il capo dei vampiri fosse
qualcun'altro, aveva detto una volta a Raphael, a Idris, sembrava una via
fa. Camille non è ancora tornata, aveva replicato Raphael, faccio le sue
veci.
“Tu sei il capo dei vampiri” disse Simon “del clan di Manhattan” si
voltò verso i due servi “mi avete ingannato. Mi avevate detto che avrei
incontrato Raphael”.
“Ho detto che avresti incontrato il nostro maestro” disse Walker. I
suoi occhi erano vasti e vuoti, così vuoti che Simon si chiese se avessero
anche lo scopo di indurlo in errore, o se erano semplicemente programmati
come robot per dire qualsiasi cosa il loro maestro gli avesse detto di dire, e
non fossero a conoscenza delle deviazioni del copione.
“E qui c' è lei”.
“Infatti” Camille scoccò un brillante sorriso ai suoi schiavi “per
favore lasciateci, Walker, Archer. Ho bisogno di parlare con Simon da
sola”.
C'era qualcosa nel modo in cui lo disse - sia il suo nome che il “da
soli” - che sembrava una carezza segreta. Gli schiavi si inchinarono e si
ritirarono. Quando Archer si voltò allontanandosi, Simon vide un marchio
su un lato della sua gola, un livido profondo, così scuro da sembrare
disegnato, con due macchie più scure all' interno. Le macchie scure erano
punture con intorno secco, come carne cenciosa. Simon sentì un brivido
passargli dentro.
“Prego” disse Camille, accarezzando il posto accanto al suo “siediti.
Vuoi un po' di vino?”
Simon sedette, appollaiandosi scomodamente sul bordo della dura
sedia di metallo. “In realtà non bevo”.
“Certo” disse, tutta piacevole, “Appena un neonato, giusto? Non
preoccuparti troppo. Col tempo se ti allenerai sarai in grado di bere il vino
ed altre bevande. Alcuni tra i più vecchi della nostra specie riescono a
consumare cibo umano con pochissimi effetti negativi”.
Pochissimi effetti negativi? A Simon non piacque il suo tono “servirà
molto tempo?” chiese, guardando prontamente il proprio cellulare, che gli
mostrava che erano passate le dieci e mezzo “devo tornare a casa”.
Camille bevve un sorso di vino “devi? E perchè?”
Perchè mia mamma mi aspetta. Okay, non c' era motivo per cui
questa donna avesse bisogno di saperlo. “Hai interrotto il mio
appuntamento” disse infine. “Mi stavo chiedendo cosa ci fosse di così
importante”.
“Vivi ancora con tua madre vero?” chiese lei, posando il suo
bicchiere “non è piuttosto strano, non è vero, che un potente vampiro come
te si rifiuti di lasciare casa, per unirsi ad un clan?”
“Quindi hai interrotto il mio appuntamento per prendermi in giro
perché vivo ancora con i miei genitori. Non avresti potuto farlo una sera in
cui non avevo un appuntamento? Ci sono altre notti, nel caso in cui tu
fossi curiosa”.
“Non ti sto prendendo in giro, Simon” fece scorrere la lingua sul
labbro inferiore, come se assaggiasse il vino che aveva appena bevuto.
“Voglio sapere perché non sei entrato a far parte del clan di
Raphael”. Che è il tuo stesso clan, non è vero?
“Ho la forte sensazione che lui non mi voglia con sé” disse Simon “ha
più o meno detto che mi avrebbe lasciato in pace se lo avessi lasciato in
pace io. Quindi l'ho lasciato in pace”.
“L'hai fatto” i suoi occhi verdi splendevano.
“Non ho mai voluto essere un vampiro” disse Simon, chiedendosi in
parte perché stesse parlando di queste cose con questa donna stramba
“volevo una vita normale. Quando ho scoperto di essere un diurno, ho
pensato di poterne avere una. O perlomeno una che ci si avvicinasse. Posso
andare a scuola, vivere a casa, vedere mia mamma e mia sorella”
“Fintanto che non puoi mangiare di fronte a loro” disse Camille
“Fintanto che puoi nascondere il tuo bisogno di sangue; non ti sei mai
nutrito di qualcuno puramente umano, vero? Solo sangue impuro. Stantio.
Animale.” Camille arricciò il naso.
Simon pensò a Jace, e spinse via il pensiero in fretta. Jace non era
precisamente umano.
“No, non l' ho fatto”.
“Lo farai. E quando accadrà non potrai dimenticarlo”.
Si spinse in avanti, ed i suoi pallidi capelli gli spazzolarono la mano.
“Non puoi nascondere il tuo vero io per sempre”.
“Quale adolescente non mente ai propri genitori?” disse Simon
“Comunque non vedo perché tu te ne debba preoccupare. Infatti, non sono
ancora sicuro del perché io sia qui.”
Camille si sporse in avanti. Quando lo fece, la scollatura della sua
camicetta nera di seta si spaccò. Se Simon fosse stato ancora umano,
sarebbe arrossito. “Me lo faresti vedere?”
Simon si sentì strabuzzare completamente gli occhi “vedere cosa?”
Sorrise, “il marchio, sciocco ragazzo, il marchio di caino.”
Simon aprì la bocca e poi la richiuse. Come sapeva? Solo pochissime
persone sapevano del marchio che Clary gli aveva fatto a Idris.
Raphael l'aveva indicato come se fosse una questione di segreto
mortale, e Simon l' aveva trattata come tale. Ma gli occhi di Camille erano
molto verdi e attenti, e per qualche ragione lui voleva fare cose lei voleva
che facesse. C'era qualcosa nel modo in cui lo guardava, qualcosa nella sua
voce melodiosa. Si avvicinò e spinse indietro i propri capelli, scoprendo la
propria fronte per farsela ispezionare. Gli occhi di lei si spalancarono, le
sue labbra si schiusero. Lentamente si sfiorò la gola con le dita, come se
verificasse l' assenza di battito.
“Oh” disse “come sei fortunato, Simon. Che fortuna.”
“È una maledizione” disse lui “non un dono. Lo sai giusto?”
I suoi occhi si spalancarono “e Caino disse al signore 'la mia punizione è
grande più di quanto possa sopportarÈ. È più di quanto tu possa
sopportare Simon?
Simon si appoggio allo schienale, rimettendosi i capelli a posto.
“posso sopportarlo”.
“Ma non vuoi farlo.” Fece scorrere un dito guantato lungo il bordo
del suo bicchiere di vino, i suoi occhi fissi su di lui. “Cosa succederebbe se
potessi offrirti un modo per trasformare, quella che consideri una
maledizione in un vantaggio?”
Ti direi che mi stai dicendo il motivo per qui mi hai portato qui, che
è un inizio. “Sto ascoltando”.
“Hai riconosciuto il mio nome quando te l’ho detto” disse Camille.
“Raphael mi aveva già menzionato?” aveva un accento, molto debole, che
Simon non riusciva a considerare a posto.
“Disse che eri il capo del clan e che sarebbe stato il leader fino a
quando tu fossi tornata. Facendo le tue veci. Come un vicepresidente o
qualcosa del genere”.
“Ah” si morse dolcemente il labbro inferiore “ questo, in effetti, non
è del tutto vero. Vorrei dirti la verità Simon. Vorrei farti un' offerta. Ma
prima devo avere la tua parola su una cosa.”
“Sarebbe?”
“Che tutto ciò che varrà detto tra noi questa notte, qui, rimanga un
segreto. Nessuno può sapere. Nemmeno la tua piccola amica rossa Clary.
Nessuno delle tue due amichette. Nessuno dei Lightwood. Nessuno.”
Simon si appoggiò allo schienale “che cosa succede se non prometto?”
“Te ne potrai andare se vuoi” gli disse “ma allora non saprai mai
cosa ti avrei voluto dire. E potrebbe essere una perdita che potresti
rimpiangere”
“Sono curioso” disse Simon “ma non così tanto”.
I suoi occhi ebbero una piccola scintilla di sorpresa e divertimento e
dubbio, pensò Simon, unito ad un po' di rispetto. “Niente di ciò che ti ho
detto li riguarda. Non influirà sulla loro segretezza o sul loro benessere.
La segretezza è per la mia stessa protezione”.
Simon la guardò sospettosamente. Voleva dirlo? I vampiri non
erano come le fate, che non potevano mentire. Ma lui aveva ammesso di
essere curioso “Va bene. Manterrò il segreto a meno che non reputi che ciò
che mi stai dicendo potrebbe mettere in pericolo i miei amici. È la miglior
offerta”.
Il suo sorriso era gelido; avrebbe potuto dire che non le piacevano i
miscredenti.
“Molto bene” disse “Suppongo di avere poca scelta quando mi offri
così poco aiuto”. Si sporse in avanti, una mano sottile giocherellava con il
gambo del proprio bicchiere di vino. “Fino a poco tempo fa ho guidato il
clan di Manhattan, felicemente. Avevamo un bellissimo quartiere in un
vecchio edificio dell'anteguerra sull'upper east side, non quella topaia di
hotel dove Santiago tiene la mia gente adesso. Santiago - Raphael come lo
chiami tu - era mio secondo in comando. Il mio più fedele compagno. O
almeno lo pensavo. Una notte avevo scoperto che uccideva gli essere
umani, guidandoli al vecchio hotel nell'harlem spagnolo, e che beveva il
loro sangue per divertimento. Lasciava le loro ossa all’esterno di
Dumpster. Correre stupidi rischi, vuol dire rompere i patti con l’Alleanza”.
Prese un sorso di vino “quando andai a confortarlo, capii che aveva
detto al resto del clan che ero io l'assassina, la colpevole. Era stato tutto
programmato. Voleva uccidermi, in modo da poter accrescere il suo potere.
Sono fuggita, con solo Walker ed Archer a difendermi”.
“Ma per tutto il tempo ha affermato di essere il leader solo fino a
quando saresti tornata!”
Lei fece una smorfia. “Santiago è un esperto mentitore. Lui mi
augura di tornare, di sicuro – così può uccidermi, e diventare il capo del
clan sul serio.”
Simon non era sicuro di ciò che lei volesse sentire. Non era abituato
alle donne adulte che lo fissavano con grandi occhi pieni di lacrime, o alle
confessioni delle loro storie. “Mi dispiace” disse infine. Lei si strinse nelle
spalle, una scrollata di spalle espressiva che gli fece venire il dubbio che
forse il suo accento fosse francese.
“È passato” disse. “Ero nascosta a Londra per tutto questo tempo,
cercando degli alleati, aspettando il mio momento. Poi ho sentito di te”
alzò la sua mano “non posso dirti come; ho giurato di non dirlo. Ma in quel
momento, capii che tu eri quello che stavo aspettando”.
“Ero? Sono?”
Si sporse e toccò la sua mano “Raphael ha paura di te, Simon, come
mi aspettavo. Sei uno dei suoi, un vampiro, ma non puoi essere ferito o
ucciso; non può toccarti con un dito senza portare l'ira di Dio sulla sua
testa”.
Ci fu silenzio. Simon poteva sentire il leggero ronzio elettrico delle luci
natalizie sopra la sua testa, lo sciabordio dell'acqua sulle pietre della
fontana al centro del cortile, il brusio ed il ronzio della città. Quando parlò
la sua voce era bassa “tu l'hai detto.”
“Cosa,Simon?”
“Quella parola, l'ira di ….” la parole morse e bruciò la sua bocca,
proprio come ogni volta che ci provava, “sì, Dio” lei ritrasse la mano, ma i
suoi occhi si animarono.
“Ci sono molti segreti nella nostra specie, così tanti che non posso
dirti, mostrarti. Scoprirai di non essere dannato”.
“Signora...”
“Camille. Puoi chiamarmi Camille”.
“Continuo a non capire cosa vuoi da me”.
“Davvero?” scosse la propria testa ed i suoi capelli scintillanti
volarono attorno al suo viso “voglio che tu ti unisca a me, Simon unisciti e
me contro Santiago. Marceremo contro il suo Hotel infestato; nel momento
in cui i suoi seguaci ti vedranno con me, lo lasceranno e si uniranno a me.
Credo che mi saranno fedeli quando si renderanno conto che ha paura di
me. Quando ci vedranno insieme, la paura se ne andrà, e verranno dalla
nostra parte. Gli uomini non possono competere con il divino”.
“Non so” disse Simon “nella Bibbia Giacobbe lottò contro un angelo
e vinse”.

Camille lo guardò con le sue sopracciglia inarcate. Simon si strinse nelle


spalle “scuola ebrea”.
“ ‘E Giacobbe chiamò il nome del posto Peniel: perchè ho visto Dio
faccia a faccia'. Visto, non sei l' unico a conoscere le Sacre Scritture” il suo
sguardo meschino era sparito, e stava sorridendo “non puoi realizzarlo,
diurno, ma fintanto che porti il marchio, sei il braccio vendicatore di Dio.
Nessuno può superarti. Di certo non un vampiro”.
“Hai paura di me?” domandò Simon. Si pentì subito di averlo
chiesto. Gli occhi di lei oscurati come nuvole temporalesche.
“Io paura di te?” poi si riprese, la sua faccia si appianò, la sua
espressione si addolcì “certo che no” disse “sei un uomo intelligente. Sono
convinta che vedrai la saggezza nella mia proposta e che ti alleerai a me”.
“E quale sarebbe esattamente la tua proposta? Voglio dire, ho capito
la parte in cui facciamo capitolare Raphael, ma dopo? Non odio veramente
Raphael, non voglio sbarazzarmi di lui solo per liberarmene. Mi ha
lasciato in pace. È tutto ciò che ho sempre voluto”.
Lei piegò le mani insieme, di fronte a sé. Indossava un anello
d'argento con una pietra blu al centro, sul dito medio sinistro, sopra il
materiale del suo guanto. “Tu credi che sia ciò che vuoi, Simon. Credi che
Raphael ti abbia fatto un favore lasciandoti in pace, come dici tu. In realtà
ti sta esiliando. In questo momento credi di non aver bisogno di quelli
della tua specie. Sei felice con gli amici che hai - umani e Shadowhunters.
Sei felice di nutrirti del sangue in bottiglia nella tua camera e di mentire a
tua madre su ciò che sei.”
“Come fai..” lei andò avanti, ignorandolo “ma cosa succederà tra
dieci anni, quando dovresti averne ventisei? Tra venti? Tra trenta? Pensi
che nessuno noterà l'età o il cambiamento, eh?”
Simon non disse niente. Non voleva ammettere di non aver pensato così in
là. Che non voleva pensare così lontano.
“Raphael ti ha insegnato che gli altri vampiri sono il tuo veleno. Ma
non deve essere per forza così. L'eternità è lunga da passare da soli, senza
nessuno della tua specie. Altri che capiscano. Puoi aiutare gli
Shadowhunters ma non sarai mai uno di loro. Sarai sempre diverso ed
escluso. Con noi puoi appartenere a qualcuno.”
Quando si sporse in avanti, il suo anello sprigionò luce bianca,
pungendo gli occhi di Simon. “Abbiamo centinaia d’anni di conoscenza da
condividere con te, Simon. Puoi imparare a mantenere i tuoi segreti, a
bere e mangiare, a pronunciare il nome di Dio. Raphael ti ha crudelmente
nascosto queste informazioni, portandoti a credere che non esistono.
Esistono. Posso aiutarti.”
“Se ti offro il mio aiuto per primo” affermò Simon.
Lei sorrise, ed i suoi denti erano bianchi e affilati “ci aiuteremo a
vicenda”.
Simon si appoggiò alla sedia di ferro che era era dura e scomoda, e
si sentì improvvisamente stanco. Guardandosi la mano, poteva scorgervi le
vene scure, ramificate sul retro delle sue nocche. Aveva bisogno di sangue.
Bisogno di parlare con Clary. Di tempo per pensare.
“Ti ho sconvolto” gli disse “lo so. È tanto da apprendere tutto
insieme. Mi sarebbe piaciuto darti più tempo per far abituare la tua mente
a tutto questo, e a me. Ma non abbiamo molto tempo, Simon. Finché
rimango in questa città Raphael e la sua coorte sono un pericolo per me”.
“Coorte?” nonostante tutto, Simon sorrise leggermente.
Camille sembrava sconcertata “si?”
“Beh, è solo che...coorte. È come dire 'malfattori', o 'tirapiedi'”.
Lei lo fissò senza espressione. Simon sospirò. “Scusa. Probabilmente non
hai visto così tanti brutti film come me”.
Camille si accigliò appena, una linea sottilissima apparve fra le sue
sopracciglia “Mi era stato detto che potevi essere un po' particolare.
Probabilmente perché non conosco molti vampiri della tua generazione ma
potrebbe essere una buona cosa, credo, frequentare qualcuno così..
giovane”.
“Sangue fresco” disse Simon.
A quel punto lei si mise a ridere “Sei pronto allora? Accetti la mia
offerta? Lavoreremo insieme?”. Simon guardò il cielo. Gli archi di luci
sembravano cancellare le stelle.
“Senti” disse, “ho apprezzato la tua offerta. Davvero” cazzate, pensò.
Ci doveva essere un modo per dirlo senza che suonasse come se stesse
rifiutando l’appuntamento di un ballo. Sono molto, molto lusingato che tu
me l'abbia chiesto, ma.. Camille, come Raphael, parlava sempre
rigidamente, formalmente, come se fosse in una fiaba. Forse poteva
provarci pure lui.
Disse “devo chiedere un po' di tempo per prendere la mia decisione.
Sono certo che capirai”.
Molto delicatamente lei sorrise, mostrando solo la punta delle zanne
“Cinque giorni” disse “e non di più”. Gli porse la mano guantata.
Qualcosa luccicò nel suo palmo. Era una piccola fiala di vetro. La misura
avrebbe potuto contenere un campione di profumo, solo che sembrava
contenere una polvere bruna.
“Polvere di tomba” spiegò “distruggila ed io saprò che mi stai
convocando. Se non mi convocherai entro i cinque giorni, manderò Walker
per la tua risposta. Simon prese la fiala e la mise in tasca “e se la risposta
fosse no?”
“Allora sarei contrariata. Ma rimarremmo amici” spinse via il suo
bicchiere di vino. “Arrivederci Simon”.
Simon si alzò. La sedia emise un cigolio metallico come se fosse
stata trascinata sul terreno, con troppa forza. Si sentiva come se avesse
dovuto dire qualcos'altro, ma non aveva idea di cosa. Per il momento
pensò, sembrava fosse stato respinto. Decise che sembrava piuttosto uno
di quegli strani vampiri moderni, dai modi strani che rischiavano di farsi
trascinare di nuovo nella conversazione. Se ne andò senza dire nient' altro.
Sulla strada del ritorno per il ristorante, oltrepassò Walker ed
Archer, che se ne stavano davanti alla grande porta di legno del bar, le
loro spalle curve sotto i loro lunghi cappotti grigi. Sentiva la forza del loro
sguardo feroce su di sé, mentre camminando, muoveva le dita verso di loro
- un gesto più o meno tra un amichevole cenno ed il lancio di un bacio.
Archer mostrò i suoi denti - piatti denti umani - ed inseguendolo per
il giardino, Walker sulle sue ruote. Simon li guardò prendere posto sulle
sedie di fronte a Camille; lei non alzò lo sguardo, quando si sedettero, ma
le luci bianche che avevano illuminato il giardino, sparirono all'improvviso
- non una per una, ma tutte insieme - lasciando Simon stralunato in una
piazza scura disorientante, come se qualcuno avesse spento le stelle.
In quel momento il cameriere lo notò e si precipitò fuori per
risolvere il problema, inondando di nuovo duna pallida luce, Camille e i
suoi due schiavi erano svaniti.

Aveva detto a sua madre che era uscito a provare con Eric e gli altri
membri della band per un concerto di sabato. C'era stato un tempo in cui
lei gli avrebbe semplicemente creduto, e sarebbe stato così; Elaine Lewis
era sempre stata un genitore calmo, non imponendo mai un coprifuoco a
Simon o a sua sorella, o insistendo affinché fossero a casa presto nei
rientri da scuola.
Simon aveva sempre passato tutte le sue ore con Clary lasciandogli
la sua chiave e collassando a letto alle due di mattina, comportamento che
non faceva nascere problemi con sua madre. Le cose ora erano diverse.
Era stato a Idris per più di due settimane. Era sparito di casa, con
nessuna possibilità di inventare una scusa o una spiegazione. Lo stregone
Magnus Bane era intervenuto ed aveva fatto un incantesimo di memoria
sulla madre di Simon, così che adesso non ricordava più che era
scomparso. O almeno lo ricordava consciamente.
Il suo comportamento era diverso. Ora era sospettosa, agitata, lo
guardava di continuo, insistendo che fosse a casa ad una certa ora.
L'ultima volta che era tornato a casa da un' appuntamento con
Maya, aveva trovato Elaine nell'ingresso, seduta su una sedia di fronte
alla porta, le braccia incrociate sul petto ed una rabbia appena temperata
sul viso. Quella notte, era stato in grado di sentire il suo respiro come mai
prima d'ora. Ora sentiva il debole brusio della TV in salotto. Doveva averlo
aspettato sveglia, probabilmente guardando una maratona di quei film di
medicina che adorava.
Simon accompagnò la porta chiusa dietro di sé a si piegò verso di
essa, cercando di raccogliere energia per mentire. Era già abbastanza duro
non mangiare con la sua famiglia. Per fortuna sua madre andava a lavoro
presto e tornava tardi, e Rebecca, che era andata al college nel New Jersey
e tornava a casa solo per il bucato, non era abbastanza presente per notare
qualcosa di storto. Sua mamma di solito andava via la mattina quando lui
si alzava, la colazione ed il pranzo che adorava preparargli erano sul banco
della cucina.
Li gettava in un bidone lungo la strada per andare a scuola. La cena
era più dura. Lei la sera c'era, doveva spingere il cibo per il piatto,
pretendendo di non avere fame, o di voler cenare in camera sua così da
poter studiare nel frattempo. Una o due volte si sforzò di mandar giù cibo,
solo per farla contenta, e dopo aveva passato ore nel bagno sudando e
vomitando fino a che non ebbe espulso tutto dal suo organismo. Odiava
mentirle. Spesso inventava una piccola scusa su Clary, sulla sua piena
relazione con Jocelyn, il genitore più iperprotettivo che avesse mai
conosciuto.
Ora il piede era in un' altra scarpa. Dalla morte di Valentine, la
presa di Jocelyn su Clary si era allentata tanto che adesso era
praticamente un genitore normale. Nel frattempo, ogni volta che Simon
era in casa, sentiva il peso dello sguardo di sua madre, come un' accusa
ogni volta che se ne andava.
Drizzando le spalle, lasciò cadere la borsa per la porta diretto in
soggiorno verso la musica. La TV era accesa, il notiziario a tutto volume. Il
giornalista locale riferiva una storia interessante – un bambino trovato
abbandonato in un vicolo dietro un centro ospedaliero. Simon fu sorpreso:
sua madre odiava il notiziario. Lo trovava deprimente. Lanciò un' occhiata
al divano, e la sua sorpresa sbiadì. Sua madre si era addormentata, gli
occhiali sul tavolo accanto a lei, un bicchiere mezzo pieno a terra. Simon lo
annusò da lì – probabilmente whiskey. Gli venne uno spasmo. Sua madre
difficilmente si ubriacava.
Simon andò in camera di sua madre e tornò con una coperta di
maglia. Sua mamma stava ancora dormendo, il suo respiro lento e piatto.
Elaine Lewis era una donna minuta, con un aureola di ricci neri, striati di
grigio che si rifiutava di tingere. Lavorava tutto il giorno per
un'associazione ambientale senza scopo di lucro e molti suoi abiti avevano
motivi animali.
Adesso indossava un vestito decorato da delfini ed onde ed una
spilla che una volta era stata un pesce vivo, immerso nella resina. I suoi
occhi laccati sembrarono fissare Simon accusandolo, quando si chinò a
rimboccare le coperte sulle spalle. Si mosse, a scatti, girando la testa verso
di lui.
“Simon “ sussurrò “Simon dove sei?”
Colpito Simon lasciò la coperta e si alzò. Forse avrebbe potuto
svegliarla, così avrebbe saputo che stava bene. Ma c'erano domande a cui
non voleva rispondere e non poteva stare a guardare il dolore sul suo viso.
Si girò ed andò in camera sua. Si era gettato sotto le coperte e aveva
afferrato il telefono sul tavolo accanto, componendo il numero di Clary,
prima ancora di pensarci. Si fermò un momento, ascoltando il segnale di
linea. Non poteva dirle di Camille; aveva promesso di tenere l' offerta della
vampira segreta, e nonostante Simon non si sentisse in dovere con
Camille, se c' era una cosa che aveva imparato negli ultimi mesi, era che
infrangere una promessa fatta ad una creatura soprannaturale era una
cattiva idea.
Tuttavia voleva sentire la voce di Clary, come faceva sempre
quando aveva avuto una brutta giornata. Beh, si lamentava spesso con lei
della sua vita amorosa; sembrava che il suo divertimento non avesse fine.
Girandosi nel letto, tirò il cuscino sopra la sua testa e compose il numero
di Clary.

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