[LP1.]
AD UXOREM
Tertulliano
Prof. Victor Saxer
INTRODUZIONE GENERALE
Questa opera è databile tra il 197 ed il 206, oltre alla quale non si può andare; quindi l’arco
cronologico è abbastanza ampio, sul quale i diversi autori fanno diverse ipotesi sulla
datazione dell’opera medesima: ad esempio, Braun René passa in rassegna tutte le opinioni
circa questa datazione e lui stesso propone un arco che va dal 200 al 206. Alcuni la mettono
più vicino al 200, mentre altri la pongono più prossima al 206.
Questo trattato, il cui contenuto ci permetterà di precisare l’occasione di questo scritto, è
composto da:
1° LIBRO, dove Tertulliano esorta la moglie di non risposarsi nel caso diventasse vedova. Se
si volesse risposare nuovamente deve (è consigliabile) sposare solo un cristiano. Siamo in
un’epoca in cui ancora i cristiani costituiscono una piccola minoranza nella popolazione di
questa grande città, Cartagine. Non si può dire esattamente di quanti abitanti fosse
composta perché le cifre proposte sono puramente ipotetiche (alcuni parlano di 300-
400.000 abitanti: si tratta di una cifra cospicua per una città così antica come Cartagine).
2° LIBRO, dove viene posto il problema delle seconde nozze, se siano poco opportune o
lecite e la questione dei matrimoni misti tra cristiani e pagani.
Mentre nella maggior parte dei trattati il loro titolo esprime già il loro contenuto, per
esempio, Ad martyras indica i martiri, l’Apologeticum indica la difesa del cristianesimo,
mentre nell’Ad uxorem, invece, l’argomento trattato è indicato in modo solo generico. Ma, se
confrontiamo questo titolo Ad uxorem (alla moglie) con i titoli di altri trattati filosofici, per
esempio, Ut ad amicum, si può notare che Tertulliano ha scelto deliberatamente la forma
epistolare, che nel caso potrebbe sembrare una lettera postuma perché accennerebbe la
possibilità della sua morte, ma ci troviamo in un’epoca dove i cristiani rischiavano la vita per
le ricorrenti persecuzioni. Questa ipotesi, dunque, non è così campata per aria. Questa cornice
della lettera è abbastanza ampia che permette all’autore di affrontare l’argomento in modo
molto libero, però davanti alla previsione della morte, certi dati ci permettono di ricercare
cose più precise; sappiamo, del resto, che Tertulliano aveva fatto un primo saggio sul
matrimonio con il titolo Ad amicum con un sottotitolo, Ad amicum philosophum (cfr. Ad
uxorem, cap. 8). Tertulliano fa una critica per esporre e mettere in risalto gli inconvenienti del
matrimonio (cfr. Girolamo Ep 22,20; Adv. Iovin. I,13). Così questa lettera Ad uxorem non è
una di queste ad familiarem, come scriveva Cicerone, ma è un trattato vero e proprio il cui
punto di partenza è una situazione particolare dello stesso Tertulliano con sua moglie. Questa
lettera si trova tra la realtà e la finzione; quando la scrisse pensava certamente di pubblicarla.
Quindi, sin dal principio egli formula il voto che le sue raccomandazioni alla sua consorte
trovino un’accoglienza molto più ampia; effettivamente dimostra che il pubblico al quale si
indirizzava non era soltanto la moglie, ma tutte le donne cristiane sposate, cioè tutte le donne
che appartengono a Dio, per far capire a loro l’interesse che avevano di rimanere nella casta
vedovanza se il consorte fosse morto prima di loro. Non sappiamo, però, effettivamente a
quale pubblico Tertulliano si rivolga, se ad una cerchia ristretta di persone o, invece, a tutta la
comunità cristiana di Cartagine; dunque, in modo particolare, non sappiamo se questa
consolatio ad uxorem abbia fatto l’oggetto di una recitatio publica, cioè una lettura
pubblica, sia durante un’adunanza comunitaria, sia in un’altra occasione al di fuori della
Ad uxorem -2-
comunità cristiana. Perché, dunque, non possiamo rispondere esattamente a questa domanda?
Perché non si conoscono le possibilità di celebrazioni extra o paraliturgiche. Normalmente le
adunanze erano liturgiche, o almeno di interesse comunitario i problemi comuni a tutta la
comunità, ma, evidentemente, le riunioni normali erano quelle liturgiche.
Una cosa che sembra abbastanza chiara consiste nel fatto che il 2° Libro ha seguito presto
il primo: non vi è un spazio fra la redazioni di questi due libri; anzi, sotto certi aspetti questo
2° libro è una sorta di retractatio o ritrattazione del 1° Libro. Effettivamente nel 1°
Tertulliano si mostra molto liberale e contempla la possibilità di un 2° matrimonio, mentre
nel 2° è molto più rigido e sconsiglia apertamente di sposarsi una seconda volta. Quali sono i
motivi di questa retractatio? Può darsi che la pubblicazione del 1° libro abbia avuto
un’accoglienza non molto favorevole ed abbia fatto sorgere delle critiche al liberalismo
apparente di Tertulliano. Dobbiamo pensare che la comunità di Cartagine abbia raggiunto una
certa importanza per il numero delle persone che la componevano, anche se non si conosce la
cifra esatta del numero dei cristiani (ci sono cifre puramente ipotetiche). Però possiamo fare
un confronto con la situazione romana, una cinquantina di anni dopo, al tempo di Cornelio: la
comunità romana contava 46 presbiteri, 7 diaconi, altrettanti suddiaconi, 42 accoliti e chierici
di rango inferiore; inoltre, secondo Cornelio, sono molti i poveri e le vedove ad essere
presenti a Roma. Alcuni studiosi hanno ipotizzato una comunità di 50.000 persone, tra il 200
e il 252. Se partiamo da questa base, per la città di Roma, si può dire che è vero che
Cartagine poteva contare circa 300.000 persone, ma la comunità cristiana poteva essere di
soltanto di 10.000 adepti.
Tutto questo per dire che in seno alla comunità cristiana, le tendenze, le opzioni
filosofiche, potevano essere diverse (es., cristiani più austeri o più liberali). Ad ogni modo,
quando Tertulliano scrisse il 2° Libro, affermò che non poté resistere alla voglia di
completare quello che aveva scritto in un primo tempo, perché il suo intento era quello di
approfondire meglio il problema; effettivamente, in questa comunità già abbastanza
diversificata, aveva davanti agli occhi degli esempi di vedove e di vedovi che si erano
risposati e, molti di questi, si sono sposati con i non cristiani; se così non fosse non si
potrebbe capire come nel 2° Libro Tertulliano senta il bisogno di escludere decisamente
queste seconde nozze. Non è, quindi, questa un’ipotesi campata in aria, ma una situazione
reale, concreta; inoltre, in questa società cristiana ci potevano essere anche dei casi di
divorziati - secondo la legge romana che vedeva in questa procedura un fatto molto normale -
e di divorziati che si sono convertiti al cristianesimo molto dopo il loro divorzio. In questo
senso, non dobbiamo necessariamente pensare che questi divorzi si siano verificati tra
cristiani, ma possiamo escluderlo del tutto? Non lo si può dire del tutto perché a quel tempo
non vi era ancora una precisa legislazione canonica (il Diritto Canonico cristiano). Su questo
argomento interverranno i Concili del IV secolo, ma certamente non prima. Questo fa si che
per i periodi anteriori si possano fare delle ipotesi più o meno fondate.
Dunque, Tertulliano vede nel suo ambiente donne giovani rimaste vedove: per loro
risposarsi era una fatto normale, mentre per lo stesso Tertulliano non era un fatto auspicabile.
Egli riferisce le parole dell’apostolo Paolo, che probabilmente erano state interpretate da
alcuni in modo più morbido, mentre, come dice Paolo alla 1Cor 7,12-16, i matrimoni misti
dovevano essere evitati; questo passo di Paolo è completato da un altro passo della stessa
lettera, nello stesso capitolo, vv. dal 39-40. Così, la situazione di Tertulliano, dinanzi a questi
problemi, non fu del tutto facile perché le parole dell’apostolo si potevano interpretare in un
senso o nell’altro. Non c’è ancora, a questo proposito una linea fissa di interpretazione. Non
ci troviamo ancora davanti ad una tradizione definita sul matrimonio.
Allora, possiamo chiederci se la reazione decisa e dura di Tertulliano non si spieghi dal
fatto che egli nel 1° Libro non abbia incontrato delle critiche molto dure; in questo senso si
Ad uxorem -3-
potrebbe capire la sua risposta energica, lui che godeva già una certa fama di scrittore
cristiano. Dunque, poteva essere che alcuni cristiani abbiano rimproverato a Tertulliano che il
1° Libro Ad uxorem era o meno una messa in dubbio dell’istituzione matrimoniale; questa
ulteriore posizione non è giustificabile perché l’istituzione matrimoniale nella Bibbia è
contemplata sin dall’origine. Pur esaltando l’ideale della continenza nella vedovanza,
dall’altro lato Tertulliano non poteva e non doveva disprezzare l’istituzione matrimoniale.
Questa è forse la difficoltà maggiore, cioè esaltando la continenza rischia di disprezzare il
matrimonio e viceversa. Quindi si deve trovare una giusta via media tra questi due
atteggiamenti, tanto più che vi era il rischio di confondere il consiglio con il precetto:
effettivamente nella sua lettera ai Corinti Paolo dà dei consigli alle vedove o ai vedovi, ma
non in modo precettivo. Questa è una delle difficoltà che Tertulliano incontrerà di continuo a
tal punto che si manifesta la tendenza a trasformare il consiglio in obbligo. Allora il 2° Libro
dell’Ad Uxorem, confrontato con il primo, non è solo una retractatio, ma è quasi un’antitesi,
perché dice esattamente il contrario. Tertulliano ha provato il bisogno di mostrarsi conforme
alla dottrina evangelica e alla posizione della Chiesa ufficiale, così da provare il bisogno di
ritornare sull’argomento. Effettivamente quest’opera nel 2° Libro costituisce una delle più
belle pagine della letteratura cristiana antica, quando soprattutto cerca di dare una
ridefinizione del matrimonio cristiano, anche se lo fa al modo di un ripensamento.
Discernere la volontà di Dio, secondo l’apostolo, difendere la fede e la virtù dei cristiani in
un mondo pagano, incoraggiare i cristiani a nessun compromesso con i pagani è per
Tertulliano l’unico modo di rigettare le ipocrisie con il quale si deve essere sempre pronti a
difendere, contro chiunque, la speranza della salvezza. Questa conclusione la troviamo
nell’Ad uxorem al cap. 7, 2. Può darsi pure che le difficoltà che Tertulliano abbia incontrato
siano sorte in seno alla sua famiglia, con sua moglie. Anche qui ci troviamo nel campo delle
ipotesi. Bisogna, tra l’altro notare, come Tertulliano chiama la sua consorte, dilectissima in
Domino conserva.
L’Ad uxorem è stato, poi, seguito da altri due trattati tertullianei; essi hanno il titolo di De
exortatione castitatis e il De monogamia; il primo è stato scritto in un’epoca in cui
Tertulliano inclinava fortemente verso il montanismo (non era ancora un montanista
dichiarato, ma le sue posizioni divennero sempre più severe). Effettivamente il suo
atteggiamento dinanzi ad ogni matrimonio, non soltanto di fronte alle seconde nozze, può
essere visto in un contesto più ampio. Già Atenagora, un’apologista cristiano ateniese
(ca.125-130), aveva definito il matrimonio un adulterio decente nella sua Supplica, cap. 33.
Tertulliano dirà molto più brutalmente che il matrimonio è una specie di libertinaggio (cfr.
De Exortatione castitatis 9,1), ma non si ferma lì perché è obbligato a far notare la differenza
tra il matrimonio e la fornicazione che consiste nel fatto che le leggi umane contemplano
queste due situazioni in modo diverso. Le due situazioni hanno il medesimo oggetto, cioè le
relazioni sessuali tra l’uomo e la donna. Quindi Tertulliano non ne fa più differenza di fondo,
sostanziale tra il matrimonio e libertinaggio: ciò lo giustifica dicendo che il Signore stesso lo
ha assimilato ad un adulterio il semplice fatto di desiderare una donna senza ancora passare
all’atto (cfr. De exortatione castitatis 3). Con questa dichiarazione Tertulliano dimostra già di
essere montanista: nell’Ad uxorem Tertulliano riconosce alla vedova il diritto di risposarsi (1ª
constatazione) purché sia con uno sposo cristiano; questa posizione la troviamo già nel
Contra Marcionem, dove aggiunge una nuova condizione, cioè «esiste una regola per il
matrimonio, regola della quale si fa garante il Paraclito» per la quale fornisce una
giustificazione spirituale che consiste nel fatto di un solo matrimonio cristiano prescritto nella
fede. Ora, questa giustificazione non è propriamente cristiana, ma è propria alla Bibbia e alla
stessa condizione umana; è la situazione normale dell’uomo. In altri termini, un cristiano è
normalmente sposato, ma per impedire un secondo matrimonio, Tertulliano assume un
atteggiamento con il quale dare una spiegazione molto tendenziosa verso i testi scritturistici,
Ad uxorem -4-
cioè a stornarli dal loro senso ovvio e dai loro passi che consentono il 2° matrimonio. Allora,
Tertulliano arriverà a distinguere diverse categorie di cristiani: psichici e noetici (spirituali); i
carnali sono quelli che leggono la scrittura nel suo senso letterale, mentre i noetici sono quelli
che interpretano la Scrittura nel senso spirituale (c’è opposizione tra carne e spirito); invece
gli psichici sono esclusi parimenti, insieme ai carnali, da Tertulliano quando è montanista
professo, per ritenere l’unica posizione spirituale. Per i montanisti, dunque, sono fedeli allo
spirito, sono fedeli al Paraclito, coloro che, pur ammettendo un solo matrimonio conforme
alla legge del Creatore, nello stesso modo in cui confessano un solo Dio, escludono la
possibilità di un secondo matrimonio.
In questo modo Tertulliano non solo ignora quei testi della Sacra Scrittura che dicono il
contrario, ma cerca di interpretarli secondo il suo senso.
Quando Tertulliano scrisse l’Ad uxorem era ancora perfettamente ortodosso. Abbiamo,
così, potuto vedere diversi passaggi dove Tertulliano modificherà la sua posizione dottrinale
sino all’estremismo montanista. Tertulliano insiste sul dovere non tanto sulla perfezione:
questa posizione è un po’ forte che provocò la reazione degli altri cristiani che lo costrinse a
ritornare sull’argomento del matrimonio, ma questo si verificò quando ancora non era
montanista.
Ora seguiamo il testo SChr Vol. 273 (vedi il testo latino):
CAPITOLO
-I-
Nella eventualità che la sua morte preceda quella della moglie, Tertulliano intende
prevenire la sposa e porgerle dei consigli a modo di testamento spirituale. Il primo consiglio è
proprio quello di non pensare a risposarsi, poiché la prima sua preoccupazione dovrà essere
quella di assicurarsi i beni terni. Ed è appunto in vista di questa preoccupazione che egli
intende darle opportuni consigli. Anche il Signore aveva ricordato che, dopo la morte e nella
risurrezione finale, gli uomini non avranno da pensare a nozze di sorta, ma si troveranno in
una condizione simile a quella degli angeli. Quello che ora dunque preoccupa lo scrittore non
è la previsione di una sua prossima fine, ma il pensiero che la moglie possa passare a seconde
nozze. Ed è proprio questo che egli vorrebbe fosse evitato.
Testamento spirituale.
AD UXOREM ALLA CONSORTE
1) Dignum duxi, dilectissime mihi in 1) Ho stimato conveniente carissima mia
Domino conserva, quid tibi sectandum sit compagna nel servizio del signore di
post discessum de saeculo meum, si prior te prevedere già adesso cosa dovrai seguire
fuero vocatus, iam hinc providere, observes, dopo la mia morte (dopo che io sia partito da
mandare fidei tuae. questo secolo) se nel caso che io parta prima
di te e di affidarlo alla tua fede.
1) Ho creduto conveniente carissima mia compagna del servizio del Signore (conserva =
compagna di servitù: evidentemente c’è in italiano la possibilità di mantenere l’espres.
conserva; forse è meglio definire in che cosa consista questa espres. compagna di servitù o
compagna nel servizio del Signore; letteralmente diciamo carissima mia compagna di servitù
Ad uxorem -5-
nel Signore; la traduzione più fluente potrebbe essere carissima mia compagna del servizio
del Signore; il duxi annuncia una congiuntiva infinitiva; la costruzione della frase rimanda al
verbo annunciato da duxi, cioè mandare fidei) di affidare alla tua fede cosa dovrai seguire
(cosa dovrà essere seguito da te) dopo la mia partenza da questo mondo (cosa dovrai
osservare dopo la mia morte) se sarò chiamato prima di te (Ho stimato convenientemente
quello che dovrai fare dopo la mia morte se sarò chiamato prima di te, già adesso affinché tu
osservi quello che è previsto e “mandare” - manca qui un elemento di coordinazione [c’è qui
una congiunzione paratattica quando gli elementi si giustappongono l’uno dopo l’altro, cioè
providere e mandare, il prevedere]) il prevedere già adesso e di affidarlo alla tua fede. La
costruzione è classica escluso il caso in cui troviamo la paratassi tra il verbo providere e
mandare.
de divinis...) perché (qui c’è un congiuntivo condizionale così da tradurre perché non
dovremmo...) guardare su (è il prospicere, composto da pro e spicere dove si indica uno
sguardo verso l’avvenire, mentre per uno sguardo normale si dovrebbe dire pre-spicere)
perché non dovremmo preoccuparci o prevedere molto di più sulle cose divine e celesti per i
nostri posteri (qui c’è un dativo di interesse) et prelegare (lasciare il lascito = pagare in
anticipo; questo lascito consiste nella ad cognitionem et demostrationem che indica un
carattere spirituale e lasciare quoddamodo in qualche modo una esortazione e una
dimostrazione delle disposizioni normali di un testamento) e lasciare quelle cose che
destinate (deputantur) sotto i beni dei posteri (sui beni immortali per quanto riguarda
l’eredità dei beni). L’opposizione fondamentale è chiara: da una parte ci sono le
preoccupazioni del mondo secolare di questa vita, mentre dall’altra quelle per il futuro
dell’aldilà. E’ importante sapere in cosa consistono questi interessi divini e celesti, perché
nella frase sono indicate in modo molto generico; quindi, per il momento non sappiamo
ancora in che cosa consistono; si sa solo che si tratta di interessi soprannaturali.
3) Tu modo ut solidum capere possis hoc 3) Dio faccia che tu possa prendere in
meae admonitionis fideicommissum Deus possesso interamente questa cosa affidata
faciat, cui sit honor, gloria, claritas, dignitas, della mia esortazione (Dio ti renda capace
et potestas et nunc et in saecula saeculorum. di entrare in possesso interamente del
fideicom-missum della mia esortazione), al
quale sia l’onore, la gloria, la gioia, la
dignità e la
potestà e adesso e nei secoli dei secoli.
3) Qui si trova quasi una formula biblica: qual’è il verbo principale? è Deus faciat (prop.
principale); ut solidum capere possis è la prop. subordinata che dipende dal verbo faciat;
fideicommissum è una disposizione con la quale si affida a qualcuno un bene, non
necessariamente il bene stesso, la cosa stessa, ma la gestione della medesima. Il fatto che
Tertulliano concluda questa introduzione in modo così solenne, con una dossologia, lascia
capire l’importanza che lui dà a questa disposizione perché ne affida la realizzazione a Dio
che è il solo capace di attuarla. Noi possiamo prendere delle disposizioni testamentarie anche
se non siamo sicuri che non saranno osservate. La volontà dell’uomo è limitata alla sua vita.
cioè potes excessum nostrum renunties nuptiis che esprime il contenuto del comandamento,
dove si trova continentia un ablativo di mezzo (per mezzo di ...). Collatura è un participio
che è apposizione al renunties: la persona alla quale si riferisce questa espres. (collatura) è la
vedova; vuol dire che la vedova darà al marito isto nomine (che designa la continentia) senza
che nisi quod tibi proderis, lui ne tragga alcun vantaggio se non quello che egli stessa ne
trarrà. Tutto questo è per dire che il marito morto non trae alcun vantaggio, mentre la vedova,
rimasta viva ne trarrà vantaggio. Qui si tratta di un’apposizione molto sottile tra la sua
situazione futura di (Tertulliano) morto e quella della moglie che sarà vedova continente.
Dunque, già all’inizio Tertulliano insiste sui vantaggi della continenza della continenza dopo
la morte del consorte. Il non risposarsi della vedova sarà per lei un vantaggio anche se
Tertulliano stesso non specifica i contenuti di questi vantaggi. Egli gli annunzia
semplicemente. Translatis è opposto a Christianis: nel giorno della resurrezione essi non
avranno più bisogno di matrimonio; la loro condizione spirituale non comporta più le nozze
che rende chiaro il pensiero di Tertulliano. Del resto, è anche un pensiero evangelico, dove il
Signore afferma che nella risurrezione dei morti non ci saranno più le spose, né gli sposi, ma
essi saranno simili agli angeli. Proseguendo, l’espres. de carnis zelo letteralmente indica la
gelosia, il desiderio della carne, ma per il fatto che questa carne non esiste più, l’inquietudine
da essa provocata non ci sarà più: qui Tertulliano incontra una prima obiezione tratta dal
Vangelo in Mt 22, dove si parla della vedova che sarà presa in sposa dai sette fratelli; questa
situazione si spiega dalla legge di Mosé, secondo la quale il fratello del defunto sposato, che
non ha figli, deve prendere la sposa del defunto per costituire al fratello defunto una
discendenza. Nessuno di questi sette fratelli gli darà dei figli. Ma di chi sarà, allora, questa
donna? Di nessuno dei sette fratelli, perché quello che gli avrebbe fatti sarebbe stato
veramente lo sposo della vedova; qui c’è una forte insistenza sulla finalità del matrimonio,
cioè la procreazione dei figli. Non c’è alcun testo più forte di questo che indichi lo scopo del
dare una discendenza. Evidentemente questa parabola evoca un problema legato alle scuole
rabbiniche del tempo, per insistere sullo scopo primario del matrimonio, cioè assicurare la
discendenza alla stirpe di Abramo.
Ad uxorem -8-
[LP2.]
AD UXOREM
Il consiglio di non risposarsi non dipende da motivi personali, di gelosia.
6) Ne me putes propter carnis tuae integri- 6) Non pensare che io trovi il pretesto di
tatem mihi reservandam de contumeliae essere offeso se tu ti risposi per riservare a
dolore suspectum insinuare iam hinc tibi me l’integrità del tuo corpo io ti consiglio di
consilium viduitatis. Nihil tunc inter nos rimanere vedova. Allora dopo la mia morte
dedecoris voluptuosi resumetur. Non enim credo che non sia ripreso nulla di una
tam frivola, tam spurca Deus suis pollicetur. disonesta volontà tra di noi. Effettivamente
Sed an tibi vel cuicumque alii feminae ad Dio non promette ai suoi i piaceri frivoli (le
Deum pertinenti proficiat quod suademus, passioni) e degradanti. Il nostro consiglio si
licet retractare. proficuo per te e per chiunque altra donna
che appartiene al Signore, adesso lo
vogliamo trattare (esaminare).
6) Tertulliano insinua che il matrimonio implichi una fedeltà duratura allo sposo, anche
dopo morto. Contumeliae dolore suspectum (sospettare letteralmente di avere provocato il
dolore contumeliae del disprezzo, cioè avrei dolore di essere disprezzato nel caso del tuo
secondo matrimonio). Non c’è un motivo egoista, né un motivo preciso: egli consiglia alla
vedova di non risposarsi, non per consilium iniquitatis. Nihil governa il genitivo che segue,
cioè dedecoris voluptuosi: si tratta di un genitivo partitivo. E’ bene notare che l’espres.
dedecoris voluptuosi è stata tradotta, in realtà, facendo dell’aggettivo un sostantivo e del
sostantivo un aggettivo, perché corrisponde meglio al senso, altrimenti dovrebbe essere una
disonesta voluttuosa, anziché volontà disonesta. La questione, probabilmente, riguarda le
relazioni sessuali. Nella frase sed an tibi vel... il verbo principale è infinitivo cioè licet
retractare. An introduce una domanda: ma sapere se quello che consigliamo sia proficuo o a
te o a chiunque altra donna che appartiene al Signore (pertinenti) Perché ogni altra donna
appartiene al Signore? Evidentemente Tertulliano, in questo caso, si indirizza alle donne
cristiane sposate, per il motivo che appartengono a Dio. Qui ci avviciniamo al problema di
fondo, cioè sapere se convenga alla vedova cristiana risposarsi, oppure no. Sembra che le
obiezioni fatte alle sue tesi siano state diverse, alle quali ne segue una nuova, come vediamo
nel II capitolo.
CAPITOLO
- II -
Questo capitolo suppone alcune obiezioni nei confronti del matrimonio, già ricorrenti nel II
secolo. Si sa, infatti, che le soluzioni proposte erano contrassegnate da varie correnti. Ciò che
ora importa notare è che tali soluzioni non tenevano presenti questioni dottrinali, quanto
piuttosto problemi di ordine principalmente morale, disciplinare e pratico. Ed è certo che
simili tendenze miravano, in non pochi degli stessi Padri del I secolo, più al rigorismo che
all’indulgenza: se non contro il matrimonio in se stesso, essi erano contrari, in modo
particolare, alle seconde nozze.
1) La nuova obiezione è quella del matrimonio istituito da Dio: se lo è non può essere
possibile un secondo matrimonio dopo la morte del congiunto. Quidem fa sentire subito
l’obiezione. L’espres. seminarium si rifà al significato di campo seminato del genere umano;
poi abbiamo due finalità che, secondo Tertulliano, riguardano il matrimonio (sono innate in
esso), cioè riempire l’universo e costruire il mondo. Con questa condizione restrittiva unam
tamen, Tertulliano insiste sulla sua tesi, cioè l’unicità del matrimonio e la non sua ripetibilità.
Tertulliano allude al secondo racconto della creazione nel libro della Genesi, secondo il quale
Dio prese dall’uomo addormentato una costola per creare la donna. E’ un modo forse
simbolico per insistere sulla unità di origine della prima coppia umana. Oltre a questo
racconto c’è un primo racconto, dove Dio prese l’argilla per plasmarla (come fa il vasaio)
nella forma umana e soffiargli l’alito della vita per farne un uomo vivente, però non c’è
differenza tra i due sessi. Si tratta di una coppia ugualmente formata, mentre nel secondo
racconto si insiste molto di più sull’unità genetica di questa coppia, poiché la donna procede
dall’uomo. Forse c’è un detto filosofico, sotto questi due racconti: è un’ipotesi interpretativa.
Cioè nel primo racconto l’uomo e la donna sono formati ugualmente, senza che l’autore
specificasse chi fu di loro il primo ad essere creato; nel secondo, invece, si insiste, da una
parte, su una certa primazia dell’uomo e sull’ordine cronologico per suggerire meglio l’unità
fondamentale della coppia. Si dà, così, l’immagine di questa origine unica (uomo e donna). Il
fatto che Tertulliano abbia scelto deliberatamente il secondo racconto della creazione
dell’uomo, indica chiaramente, da parte sua, una idea precisa; non solo è evidente questa
predominanza dell’uomo sulla donna, ma anche questa dipendenza originaria della donna
dall’uomo.
2) Qui abbiamo un’altra obiezione, che parte proprio dalla storia dei Patriarchi.
Plurifariam indica un avverbio: generalmente nell’epistola agli Ebrei abbiamo l’avverbio
multifariam che è praticamente la stessa cosa. Qui non si tratta solo di matrimoni successivi,
ma anche di matrimoni simultanei (vedi le concubine di Davide e Salomone).
mox legi succedere habebat Dei sermo, Patriarchi c’è il tempo della legge: infatti
circum-cisionem inducens spiritalem. era necessario che antivenissero le cause
dell’adempimento della legge; presto alla
legge doveva seguire la parola di Dio,
introducendo una circoncisione spirituale.
3) Sed licet è concessivo al quale corrisponde tamen; qui si nota l’opposizione dei due
termini. Questa opposizione tra figuraliter e simpliciter potrebbe richiamare ad una esegesi
simbolica o allegorica, nonché l’interpretazione letterale. I due termini della proposizione
sono subordinati a necessarium fuit instituere. Nella frase superventura enim lex erat...
abbiamo tutto un contesto dell’economia divina, come dicono i greci, cioè un concetto dello
sviluppo cronologico e storico del piano di Dio, perché con la legge mosaica, al tempo dei
Patriarchi era possibile la poligamia. Ci sarà superventura uno sviluppo più ampio della legge
divina che supererà la legge di Mosè. La costruzione succedere habebat è relativa al latino
volgare, non più classico, dove il futuro è espresso in modo composto, cioè habebat
preceduto dall’infinitivo succedere, come in italiano si dice abbiamo fatto per il passato,
abbiamo da fare per il futuro. In certi casi il futuro è composto dall’infinitivo al quale segue
un presente. E’ un’evoluzione caratteristica che va dal latino classico, dove c’è una forma
specifica del futuro, al latino volgare, dove per esprimere il futuro si usano due forme verbali
congiunte, ma non unite e fuse in una sola parola; si tratta di due forme giustapposte. Circa
l’espressione circumcisionem inducens spiritalem, Paolo parla del cuore incirconciso degli
Ebrei, sicché il tema della circoncisione del cuore diventerà un tema patristico.
CAPITOLO
- III -
Una volta dimostrata la liceità del matrimonio, inteso come monogamia, Tertulliano sente
la necessità di allargare la questione: dopo tutto, può esservi una soluzione ancora migliore?
Egli non esita a rispondere affermativamente: ogni vedova può attenersi al proposito di non
risposarsi, perseverando nella continenza, persuasa così di avere scelto un bene superiore al
matrimonio.
1) Che Tertulliano dichiari che il matrimonio sia un bene, sembra essere una concessione
che gli sia stata strappata quasi per forza, perché nel resto del suo trattato dà l’impressione
che non lo consideri affatto buono. Egli cercherà, poi, di attuare questa evidenza. Egli
giocherà sul bene e sul migliore. Ci sono due ablativi assoluti che si contrappongono:
l’apostolo, da una parte, permette il matrimonio, mentre dall’altra preferisce l’astinenza.
Effettivamente anche in Paolo c’è questa prospettiva della Parusia imminente del Signore,
che come prospettiva ricorre spesso. Tertulliano, per parte sua, ritorna su questo argomento
per il motivo delle persecuzioni, per lui come per gli altri del suo tempo. Le persecuzioni
sono il segno imminente della Parusia, nella misura in cui le interpreta come segni precursori,
cioè come segni della presenza dell’anticristo che precede il ritorno del Signore.
Effettivamente questo concetto non è solo presente nei discorsi escatologici dei vangeli, come
ad esempio in Matteo, ma anche nei Padri. E’ dunque meglio prepararsi alla seconda venuta
del Signore astenendosi dal matrimonio: ecco in quale prospettiva storica si colloca questo
modo di interpretare l’istituzione divina del matrimonio ed il suo uso o non uso negli ultimi
Ad uxorem - 12 -
tempi. Tertulliano parla dei tempi ultimi che trascorrono: in questo senso l’espressione
paolina ha un senso universale.
3) Qui non solo Tertulliano fa vedere una parte del suo pensiero, ma fa precise
affermazioni. C’è un ablativo anche qui con l’espres. inspecta, che rimane come punto di
partenza del ragionamento di Tertulliano che lo collega ai tempi. L’opposizione tra il meglio
e il peggio la si nota nella frase è meglio sposarsi che bruciare. Qual’è dunque è questo bene
che raccomanda il controllo con il male. Cosa Tertulliano, qui, intende nella parola cui?
Sembra che nel suo periodo cattolico, il cui deve essere preso anche nel senso presente anche
nell’apostolo Paolo, cioè bruciare dalla concupiscenza.
4) Qui si nota una terza possibilità, migliore delle due precedenti. C’è un’angoscia
morale di quello che vuole sposarsi e non si potrebbe sposare. C’è anche un confronto con
un’altra possibilità che si presenta al cristiano in tempo di persecuzione, cioè fuggire, oppure
esporsi al martirio. Circa il permesso si riferisce probabilmente a quello che il Vangelo
concede. Il cristiano incarcerato comprehensum potrebbe essere torturato con l’intento di
farlo abiurare, cioè il negare di essere cristiano. Questo è un vero pericolo, per cui è meglio
fuggire. E’ interessante notare che Tertulliano, in questo trattato, conceda questa possibilità,
Ad uxorem - 13 -
mentre nel periodo montanista, quando scriverà altri trattati, rifiuterà anche questa possibilità.
L’espres. qui valent beata testimonii confessione excedere letterariamente si può tradurre
nella concessione beata della testimonianza. I martiri sono più felici di quelli che hanno
evitato il martirio per paura di abiurare. Successivamente Tertulliano fa un’affermazione
morale di fondamentale importanza, cioè che il permesso non è buono, ma se Dio permette un
qualcosa non permetterà mai una cosa cattiva. Quello che viene concesso da Dio può essere
un bene minore, ma resta pur sempre un bene, mentre il bene maggiore non è quello
comandato, ma è quello consigliato; in questo senso ci troviamo dinanzi a concetti di morale
(quello che è permesso, vietato, comandato) secondo diversi gradi della possibilità di scelta.
Entro questi limiti ci sono i diversi gradi del bene: essi sono infiniti, almeno nella misura
dell’uomo; essi variano anche da persona a persona. Per quanto ci troviamo in questa nostra
situazione umana e terrena, tutto è relativo, in base alle disposizioni e alle doti di ciascuno.
Sicché il Signore nella parabola dei talenti parla di uno che ha ricevuto 10, l’altro 5 e l’ultimo
1, i doni divini sono concessi in misura diversa. Perciò anche i gradi della perfezione sono
adattabili alla disposizione della persona. Tertulliano, da come risulta proprio da questo
paragrafo, si è messo nella prospettiva del cristiano durante la persecuzione. La supposizione
Quod si timeo non lascia alcuna risposta; inoltre, con l’espres. sincerus e sinceritate, abbiamo
un significato etimologico dei termini, cioè sine-ciela; un lavoro sincero è un lavoro perfetto,
senza miscuglio di cose inferiori.
5) L’espres. propterea è una specie di antecedente alla proposizione causale che segue ed
inizia con quia: sono due termini che si corrispondono grammaticalmente. Tertulliano usa un
modo molto difficile che provi la sua dimostrazione. Dire che quando c’è una scelta possibile
tra due realtà buone, anche se c’è una differenza di grado, in realtà Tertulliano non la pensa
così. Quando c’è una scelta essa avviene tra una cosa non buona e quella buona: egli non
contesta la possibilità di scegliere tra i beni più o meno buoni, ma per lui la scelta unicamente
è tra il buono e il non buono. La preferenza per le cose superiori equivale al disprezzo per le
cose inferiori. Ma, anche in questo ambito, Tertulliano rimane sul generico: piuttosto rimane
evidente una certa visione dualistica dell’essere umano; la parte inferiore è la parte corporea,
mentre quella superiore è la parte spirituale. E’ un manicheismo appena velato, però si forma,
in un certo senso, anche la visione platonica, un’antropologia platonica, dove si trova appunto
questo dualismo. Dunque, bisogna scegliere quello che è un bene positivo, piuttosto che
scegliere un bene che non è negativo: si tratta di una distinzione molto sottile che non è facile
da realizzarsi, dove c’è sempre il pericolo di cadere.
Ad uxorem - 14 -
6) Ad primum enim locum... tradotto letteralmente si dovrebbe dire: la ricerca del primo
posto è propria ad ogni competizione. Quod si apostolo auscultamus... tradotto letteralmente
si dice: Se ascoltiamo all’apostolo; si tratta, infatti, di un dativo. ...Obliti posteriorum et
extendamur in priora... il percorso già fatto è lasciato, mentre lo sforzo è quello di andare
avanti cercando di raggiungere traguardi migliori. Tertulliano si mette nella mente del
competitore che sta svolgendo il suo percorso. La dimostrazione che Tertulliano vuol fare è
difficile, dove soprattutto intende dimostrare il paradosso: è il suo modo di fare, dove il
paradosso lo presenta come un fatto ordinario e normale. Quello che è contro alle apparenze,
in un certo senso è anche quello che è contro la verità.
[LP 3.]
CAPITOLO
- IV -
1) Ora inizia la dimostrazione della tesi secondo cui è migliore la continenza rispetto al
matrimonio, anche se è lecito: in primo luogo Tertulliano si oppone alle obiezioni che cerca
di risolvere. La prima obiezione è quella che viene fatta dalla Scrittura: se la carne è debole lo
spirito è forte! Con l’espres., probabilmente allude al falso evangelico (cfr. 1Cor 7,7-10).
L’espres., in uno sensu ha un significato molto vicino alla sentenza. Tertulliano continua, poi,
ad indagare sul significato di questi temi della carne e dello spirito, continuando a riferirsi
alla 1Cor 15,47. Spesso Tertulliano usa il verbo semplice, anziché quello composto.
Tertulliano nell’espres., fortia non tuemur vuol dire guardare le cose in faccia. Invece,
nell’ultima espres., Cur caelestibus...Tertulliano sottolinea la precedenza delle cose celesti e
la sottomissione a queste ultime di quelle terrene.
2) Tertulliano parte dalla constatazione della carne debole e dello spirito forte:
generosior è un aggettivo derivato da genus, quindi indica una qualità insita nell’uomo sin
dalla nascita. Invece nelle lingue romanze questo termine ha acquisito un significato
prettamente morale (es., la generosità è un fatto di carattere), ma in Tertulliano è ancora una
caratteristica della natura, cioè per natura lo spirito è superiore alla carne. In questo senso
ragiona come un qualcuno che ragiona davanti ad una scelta tra due possibilità, l’una migliore
e l’altra peggiore, che sono della stessa natura e si trovano sullo stesso piano. Ma, nel nostro
caso, lo spirito e la materia non sono sul medesimo piano. Lo spirito è migliore e più nobile
della carne per natura.
Con il termine disiunctis si indicano le donne separate dal matrimonio (liberate dal
matrimonio) per la morte del proprio congiunto, ma ci può riferire anche ai maschi separati
dal matrimonio per la morte della propria consorte (è una visione molto pessimistica e
disprezzati-va del matrimonio). Circa le due specie ci si domanda quali siano: Tertulliano le
specifica appoggiandosi su di un testo della Scrittura, precisamente dalla 1Gv 2,16 - dove
l’apostolo distingue le tre categorie di concupiscenza cioè quella della carne, quella del secolo
e quella dell’ambizione. La prima è la più forte ed è quella che viene dalla carne; la seconda
(nel senso etimologico deriva da sequi, sequendus che si pronunciava nel latino arcaico: tali
arcaismi li possiamo trovare in testi come le 12 tavole, un codice religioso morale che risale
al tempo dei primi re di Roma o al massimo nei primi tempi della repubblica) è relativa al
secolo, che vedremo in seguito.
Con il verbo renuntiamus Tertulliano fa evidentemente allusione alla rinuncia pre-
battesimale, quella che il catecumeno fa prima di ricevere il battesimo: “Rinuncio a te
Satana, alla tua gloria, ai tuoi angeli” (è la trilogia che può essere più o meno ampia a
secondo delle usanze religiose locali). I due termini, lussuria e ambizione, non si trovano
espressamente nella rinuncia battesimale, ma Tertulliano esplicita il senso di tale rinuncia
applicandola al suo preciso proposito. Dunque, si può notare come Tertulliano usi abilmente
tutte le occasioni che la Tradizione ecclesiastica gli fornisce.
3) Tertulliano con l’espres., aetatis officia, in base ad una traduzione più obiettiva, si rifà
probabilmente alle funzioni sessuali, di cui ne parla anche nel II libro Ad uxorem, cap. 3 v. 6.
Si potrebbe trattare anche di funzioni legate all’età, come quelle sociali o professionali.
Questi officia aetatis, in questo secondo senso possono riferirsi alla 1Cor 7,36. Una terza
possibilità, invece, potrebbe riguardare le funzioni che corrispondono all’età, in un senso più
Ad uxorem - 17 -
generale: infatti, possiamo avvicinare a questo senso la 2Tm nella quale l’autore raccomanda
alle giovani vedove di risposarsi, perché per loro sarebbe troppo difficile l’osservanza della
continenza. Del resto, per gli anziani l’età adulta, considerata il fiore stesso dell’età, andava
per le donne dal 20° al 40° anno. Dunque, si tratta di giovani vedove, per cui si può meglio
comprendere l’espres. aetatis officia come gli obblighi dell’età che possono essere intesi in un
modo ampio e sfumato (dai doveri che vengono dalla natura a quelli sociali). Dicit virum...
sono gli argomenti avanzati in favore delle seconde nozze: la parola sexui ha il senso
generico, anche senza aggettivo, che designa la donna nei confronti dell’uomo. L’espres., vel
auctoritatis et solatii causa, mostra un obiezione che presenta, secondo il diritto romano, la
donna giuridicamente minore, rispetto all’uomo, essendo che non poteva presentarsi in
tribunale per difendere i suoi diritti; aveva sempre bisogno di qualcuno che intervenisse a suo
nome, nello stesso modo che un ragazzo non poteva stare in giudizio, ma doveva essere
tutelato dal padre o rappresentato da un tutore. Ma è anche vero che nella storia antica
abbiamo alcuni casi, che sono delle eccezioni, circa questa norma del diritto romano,
soprattutto le donne di alto rango, le quali potevano godere di una certa autonomia, potevano
essere matrone (padrone di casa), anche se non potevano presentarsi in giudizio. In certi altri
ambienti, al di fuori di quello giuridico, certe diminutio del diritto delle donne era
praticamente ignorato. Per esempio, ci sono molte donne che si danno al commercio, secondo
anche le testimonianze del NT (vedi le figure di Aquila e Priscilla che viaggiano da Roma a
Corinto e viceversa: in questo caso era la donna l’elemento motore, non l’uomo, perché
probabilmente era lei che procurava la ricchezza al marito). D’altronde abbiamo anche altri
esempi del mondo profano e pagano, perché del II sec d.C. abbiamo un’iscrizione, scoperta
dopo l’ultima guerra, a metà strada fra Roma e Palestina, dove si parla di una donna fondava
una società religiosa in onore di un dio orientale e istituiva un collegio e ne regolava l’attività
e la disciplina. Questo ultimo esempio fa comprendere come l’auctoritas che spettava
all’uomo, in certi casi la esercitava direttamente la donna.
Passando oltre, quando Tertulliano si riferisce all’esempio delle sorelle, vuol indicare quelle
donne cristiane che non si sono risposate, che rimangono continenti: l’espres., quarum
nomina penes Dominum, si trova anche nel NT in Fil 4,5 che è un espediente per tacere i
nomi di queste donne, probabilmente per motivi di discrezionalità (per non mettere le persone
in imbarazzo). L’espressione successiva, permissis maritis è un ablativo assoluto: essa, in
realtà, spiega che queste donne, volendo, potrebbero risposarsi nuovamente, soprattutto se
sono ancora giovani ed avvenenti. Questa ulteriore interpretazione è sicuramente più vicina
allo sviluppo del pensiero di Tertulliano in questo contesto. Se alcuni codici portano la
dicitura premissis maritis, allora l’argomentazione è leggermente diversa perché “premettere
il marito” significa che è morto: questo secondo senso lo troviamo nella letteratura profana,
poiché Seneca, nell’Ep 99, riporta la frase, “Quello che tu pensi essere perduto in realtà è
stato mandato avanti prima di te” (vedi il t. premissum), che si ritrova in Cipriano nel suo De
unitate, quando raccomanda al cristiano di non piangere i morti perché essi non sono perduti,
ma semplicemente lo precedono nel Signore (ripete le parole di Seneca senza citarlo).
Dunque, Tertulliano mette in avanti l’esempio delle giovani vedove che non si sono sposate,
ma che conducono una bella vita cristiana.
4) Malunt enim Deo nubere. Deo 4) Preferiscono infatti essere sposate con
speciosae, Deo sunt puellae. Cum illo vivunt, Dio. Belle per Dio, sono le ragazze di Dio.
cum illo sermocinantur, illum diebus et Vivono con Lui, conversano con Lui, si
noctibus tractant. Orationes suas velut dotes occupano di Lui giorno e notte. Le loro
Domino assignant, ab eodem dignationem preghiere, come la dote del matrimonio, le
velut munera maritalia, quotienscumque consegnano al Signore e da Lui ottengono il
desiderant, conse-quuntur. Sic aeternum sibi favore come se fossero dei doni di
bonum, donum Domini, occupaverunt, ac iam matrimonio ogni volta che lo desiderano.
Ad uxorem - 18 -
in terris, non nubendo, de familia angelica Così hanno ricevuto (o si sono impossessate)
deputantur. dei beni, dono del Signore, e sono conside-
rate già sulla terra, non sposandosi, della
famiglia degli angeli.
5) Humabis letteralmente vuol dire “seppellirai”. Anche in questo passo si nota questo
confronto tra i beni temporali e quelli spirituali (immortali): è certamente un gioco difficile
quello di scambiare quello che si possiede e si tocca con ciò che non si vede ed è soltanto
futura. Questa è la difficoltà principale più importante della dimostrazione che Tertulliano
vuole fare.
vedova si ritrova con la sua dote ridotta. Il termine subornat, nel suo senso etimologico,
significa presentare un’argomentazione con degli ornamenti, non troppo appariscenti,
secondo un modo di preparare l’interlocutore ad accettare certi ragionamenti. Tertulliano con
l’espres. beni celesti esplicita chiaramente questo gioco relativo alla rinuncia ad avere beni
tangibili in cambio di quelli intangibili (futuri). Il termine cultum è riferito alla toilette della
donna: è un fatto importante per una donna di mondo. L’espres. sumptum quem non sentias,
fa capire chiaramente che è il marito a sopportare le spese della donna, in una società in cui
generalmente non guadagna la sua vita, né esercita una professione. La donna risposandosi
può, dunque, acquisire determinati vantaggi, come lo stesso Tertulliano si preoccupa di
sottolineare. Per una donna che non si risposa rinuncia a questi vantaggi. Dunque, dobbiamo
sempre mettere questa discussione nel contesto della società antica. Qui abbiamo una
metafora che richiama al tema della scelta di Israele da parte di Dio: è come una sposa
giovane che viene condotta nel deserto per farla ritornare all’amore di prima. Questo contesto
lo possiamo vedere nel Cantico dei Cantici, che è un cantico d’amore. Di questi temi già
presenti al momento in cui l’era dell’AT sta per finire, è stata data un’interpretazione mistica,
circa le relazioni dell’anima con Dio (rapporto uomo-donna). In questo senso, sono stati fatti
degli studi interessanti da F. Ohly che ha scritto, tra l’altro, Studi sul Libro dei Cantici”, trad.
it. (in tedesco: Hohe-lied Studien, Wiesbanden, 1958). Effettivamente c’è una tradizione
esegetica del Cantico dei Cantici che inizia con Origene e si protrae sino a pieno Medioevo: il
primo che diede questa interpretazione mistica fu proprio Origene, che verrà poi applicata
nelle relazioni tra Dio e l’anima. E’ curioso come, prima di Origene, già Tertulliano abbia
conosciuto il tema, pur non facendo mai un commentario del Cantico dei Cantici. Tertulliano
ha, talvolta, delle espressioni molto realistiche per designare queste relazioni con Dio, quando
parla nel II libro del comportamento delle donne cristiane e della questione delle toilettes (il
vestito, l’aspetto della persona). Egli parla, tra l’altro, di Dio come amatore della verità, nel
senso più vero della parola, anche se si tratta di un senso trasposto. Ma le allusioni nella
relazione tra l’uomo (il marito) e la donna sono evidenti. Questo modo di esprimersi di
Tertulliano è molto abituale, perché applica le diverse situazioni e le realtà spirituali o divine
alla vita quotidiana e a quella sessuale.
7) Nisi si... questo condizionale è irreale, perché l’espressione è sempre ironica. Tertulliano,
in questo passo, va nei particolari, come ad esempio, quando si riferisce a questi sandaletti
Ad uxorem - 20 -
della Gallia - non Gallicos mulos - , per invitare le donne e gli uomini a non preoccuparsi
delle cose del secolo, perché soltanto Dio si preoccupa delle cose necessarie per l’uomo
stesso. Il particolare dei sandaletti richiama all’imperatore Caligola, nato a Lione, il cui
soprannome deriverebbe proprio dall’aver indossato questi sandali, ornati d’oro. Seguendo il
periodo si può notare un altro fatto: il ritmo e le rime della frase - monilium pondera, non
vestium taedia - evidenziano delle assonanze, come pure Gallicos mulos... Germanicos
baiulos, a motivo di una esortazione che Tertulliano indirizza ad una certa classe sociale, non
certo alla gente povera. Il concetto di sufficientiam è connesso intimamente alla modestia e
alla pudicizia. Tertulliano, infine, si richiama anche al concubinato che non è un vero
matrimonio, perché la donna concubina non può essere sposa, in base alla legge romana, per
la quale non può ereditare i beni dell’uomo: la medesima sorte la seguono i figli nati dalla
loro relazione. Questa considerazione, dunque, ci dà alcuni ragguagli sulla composizione
sociale della comunità di Cartagine all’epoca di Tertulliano. Le donne alle quali si rivolge con
l’Ad uxorem appartengono alla classe elevata. Diversamente non possiamo precisare il ceto
perché potrebbe trattarsi o della categoria dei senatores , oppure degli equites (cavalieri). Nel
III secolo ci saranno anche dei liberti (schiavi ai quali il padrone ha dato la libertà), e non
sono pochi, che si troveranno in una condizione economica piuttosto agiata: eccezionalmente
questo fatto si verificò già nel primo secolo con i liberti di Nerone, specialmente la sua
amante che gli fungeva anche da ministro. In questo contesto dobbiamo collocare il trattato
Ad uxorem, il che ha il suo riflesso sulla persona di Tertulliano e di sua moglie. Si pensa che
Tertulliano fosse della classe equestre, perché suo padre aveva svolto la funzione di
proconsole. Probabilmente, è anche per questo motivo, che Tertulliano ha potuto permettersi
di fare delle critiche molto violenti contro i rappresentanti dello Stato romano, come pure S.
Cipriano con il proconsole che gli chiede, non gli impone, se vuole andare in esilio, in quanto
si tratta di persone appartenenti ad un medesimo rango. Dunque, non dobbiamo immaginarci
che, al tempo di Tertulliano, la Chiesa di Cartagine fosse una comunità povera, anche se vi
erano dei poveri.
8) Praesume, oro te, nihil tibi opus esse, si 8) Sin d’ora puoi essere sicura, ti prego
Domino appareas, immo omnia habere, si che tu non hai bisogno di nulla, quando ti
habeas Dominum, cuius omnia. Caelestia presenti al Signore, anzi di avere tutto se
recogita, et terrena despicies. Nihil viduitati (quando) hai il Signore, a cui appartengono
apud Deum subsignatae necessarium est quam tutte le cose. Mediti sui pegni celesti e
perseverare. disprezzerai quelli terreni. Nulla è
necessario alla vedova consacrata a Dio se
non quello di perseverare.
CAPITOLO
-V-
Siamo giunti ad una delle pagine più singolari del pensiero di Tertulliano: se è vero che il
primo fine del matrimonio è la procreazione dei figli, è proprio questo che egli, in questa
pagina, tende ad escludere. Il motivo è la previsione della fine del mondo ormai prossima; e
allora, perché desiderare i figli, se siamo ormai destinati ad una sorte di sofferenza e ad una
fine non lontana da quella che riguardò Sodoma e Gomorra? La pagina è molto significativa,
anche perché prelude già all’accettazione dei principi del montanismo, da parte di Tertulliano.
1) In questo nuovo capitolo Tertulliano fa un’altra considerazione non più legata alle
passioni della giovane età, ma alla preoccupazione di una posterità per l’uomo e la donna.
Con l’uso dei termini amarissima voluptate si nota una forzatura che indica da una parte la
gioia di avere dei figli, ma anche il tormento che essi comportano, fonte di nuove
preoccupazioni. Qui Tertulliano fa un forte richiamo a quello che costituirà la prossima fine
dei tempi e al ritorno prossimo del Signore, speranza della parusia. E’ abbastanza interessante
notare che questa preoccupazione sia piuttosto viva proprio al tempo di Tertulliano: perché
fare i figli quando la fine dei tempi è vicina? Questa argomentazione la troviamo già in S.
Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi, ma con una differenza tra l’escatologia paolina e quella
di Tertulliano: effettivamente Paolo sembra essere stato convinto del prossimo ritorno del
Signore: si tratta di una prospettiva sempre viva ma che con il passare del tempo è stata
ampliata, per il motivo delle persecuzioni sempre possibili che teoricamente erano viste come
preludio, poiché il cristiano era sempre esposto al martirio. In questo senso si può
ampiamente giustificare la viva preoccupazione al tempo di Tertulliano circa la seconda
venuta del Signore.
[LP 4.]
2) Nimirum necessaria suboles servo Dei. 2)Non c’è da stupirsi che sia necessaria
Satis enim de salute nostra securi sumus, ut una progenitura al servo di Dio. Siamo
liberis vacemus. Quaerenda nobis onera sunt, abbastanza sicuri della nostra salvezza per
quae etiam a gentilium plerisque vitantur, poterci occupare dei figli. Dobbiamo quindi
quae legibus coguntur, quae parricidiis expu- cercare degli incarichi (dei pesi), che sono
gnantur, nobis demum plurimum importuna, evitati anche dai pagani nella maggior parte
quantum fidei periculosa. Cur enim Dominus: dei casi, che debbono essere imposti dalle
Vae praegnantibus et nutricantibus, cecinit, leggi, i quali si sbarazzano con dei delitti, e
nisi quia filiorum impedimenta testatur in illa che per noi sono appunto molto importuni,
die expeditionis incommodum futura? Ea tanto quanto sono pericolosi per la fede.
utique nuptiis imputantur, istud autem ad Perché dunque il Signore (ha cantato) ha
viduas non pertinebit. predetto: “Guai alle donne incinte e nutrono
i bambini, se non perché il Signore attesta
l’impedimento dei figli che diventeranno uno
svantaggio in quel giorno della partenza
definitiva. Questi inconvenienti sono eviden-
temente attribuibili alle nozze, mentre questo
impedimento non riguarderà le vedove.
2) Tertulliano vuole dimostrare perché non sono consigliate le seconde nozze, adducendo
ad alcuni esempi dell’attività umana. Ci sono, però delle obiezioni tratte dalla Scrittura:
l’argomentazione di Tertulliano è abbastanza complessa. Tertulliano fa anche riferimento alla
legge romana che impone l’obbligo al cittadino di sposarsi, ma che può essere avvallato con
la morte o con l’uccisione della persona. Iniziando con delle affermazioni che sembrano
accettabili per tutti, Tertulliano subito inizia con una serie di proposizioni relative di cui
ognuna indica una difficoltà che viene dal matrimonio, che sono evitate dai pagani (ci vuole
solo la forza della legge perché sia osservato l’obbligo del matrimonio): l’omicidio, attraverso
i quali essi evitano tale obbligo vengono perpetrati su di un membro della propria famiglia,
sia che si tratta del padre, della madre, del fratello o del figlio (parricidiis che è sempre un
participio). Effettivamente per il cristiano i figli sono fonte di preoccupazioni, di pericoli e di
difficoltà. Il termine cecinit letteralmente si traduce “ha cantato” ed indica una parola di
origine divina, vat es cecinerunt (i profeti hanno profetizzato).Il termine impedimenta indica i
bagagli del soldato che possono, al momento della marcia e della battaglia, impedirlo
fisicamente. Il soldato deve essere expeditus. Questi impedimenta sono proprio i figli
(filiorum impedimenta): si tratta, dunque, dell’imbarazzo che un peso comporta, perché un
figlio, piccolo che sia, prende molto tempo alla madre, soprattutto, ed in un certo senso anche
al padre, in quanto il bambino deve crescere in un ambiente normale dove siano presenti la
figura paterna e quella materna. Tra l’altro, nel periodo che segue è interessante la scelta delle
parole: l’epres., filiorum impedimenta corrisponde il termine expeditionis, per indicare un
opposizione netta tra i due termini e per sottolineare i vantaggi della vedovanza. La
prospettiva contemplata da Tertulliano riguarda evidentemente delle donne vedove che sono
ancora in grado di avere dei figli, ma bisogna anche tener conto del fatto che al suo tempo il
tasso di mortalità era piuttosto alto, soprattutto nell’età giovanile. Dunque sulla prima
obiezione presentata dalla Scrittura, Vae pregnantibus et nutricantibus, in realtà non è
considerata nel suo contesto dallo stesso Tertulliano: nel Vangelo il Signore pronuncia questa
parola nel contesto della grande tribolazione di Gerusalemme (Mt 24,19ss.), che sarà
espugnata per cui guai a queste donne che non troveranno chi le soccorra. Egli dà, invece,
un’applicazione molto più generica. E’ vero che anche nel racconto evangelico, nel quale si
Ad uxorem - 23 -
dicit: Nubebant et emebant, insigniora ipsa commercio, ma quando dice: “Si sposavano
carnis et saeculi vitia denotat, quae a divinis e commerciavano”, denuncia i vizi più
disciplinis plurimum avocent, alterum per evidenti delle preoccupazioni della carne e
lasciviendi voluptatem, alterum per del secolo, i quali allontanano dai comanda-
adquirendi cupidi-tatem. Et tamen illa tunc menti divini, l’uno per la volontà del
caecitas longe a finibus saeculi habebatur. piacere, l’altro per il bramosia di avere. E
Quid ergo fiet, si quae olim detestabilia sunt tuttavia allora questa cecità era lontana
penes Deum?... Ab iis nunc nos arceat! dalla fine del mondo. Cosa succederà
Tempus, inquit, in collecto est, superest, ut dunque se questi vizi che una volta già erano
qui matrimonia habent tamquam non detestabili agli occhi di Dio (lo saranno
habentes agant. ancora di più oggi che siamo vicini alla fine
del mondo). Il Signore ci tenga lontani da
simili sciagure! Il tempo, dice, “è ristretto,
ci rimane dunque che quelli che hanno un
matrimonio si comportino come se non
l’avessero.
CAPITOLO
- VI -
La continenza viene spesso osservata, per accordo reciproco, anche tra sposati. Essa, dunque,
non dovrebbe costituire una grande difficoltà per una vedova, tanto più che perfino nel
servizio religioso presso i templi pagani vengono scelte solo delle vergini e delle donne
sposate che, in quel tempo, rinunciano alla vita coniugale e familiare.
1) Qui si nota una certa gradazione, cioè quelli che sono sposati ricevono il comandamento
di non usare il matrimonio (di comportarsi come se non fossero sposati), mentre quelli che
non sono sposati devono cercare di non sposarsi. Il verbo parentat significa, in primo luogo,
“libazione” e “banchetti funebri” che si fanno in memoria dei morti. Tertulliano
richiamandosi ai riti pagani si discosta da essi presentando una parentatio, cioè un’astinenza
non dai cibi, ma dal secondo matrimonio (è una forma più morale). Il termine parentare
sembra sia stato scelto bene in questo contesto dove si parla dell’usanza al riguardo dei morti.
3) In questo passo, dopo aver considerato il caso delle vedove cristiane, Tertulliano
considera quello delle vedove pagane. Egli ammette, però, la difficoltà di praticare la
continenza per amore di Dio, ma chiama “satana” gli dei del paganesimo, cioè le usanze
pagane (ne parla ancora meglio nel De spectaculis e nel De Corona). Il diavolo risiede nelle
statue e nei tempi del culto. Tertulliano, tra l’altro, si riferisce ad un certo tipo di sacerdozi
femminili che sono strettamente legati alla verginità e alla vedovanza. Le vestali o
sacerdotesse ne sono un esempio concreto. Il loro è un sacerdozio romano riservato a delle
donne scelte tra le vergini, le quali avevano il compito di mantenere sempre acceso un fuoco
nel tempio della dea Vesta. Anzi, quelle che mai avessero avuto un rapporto sessuale con un
uomo venivano seppellite vive, come punizione di non aver osservato la condizione del loro
sacerdozio. Dalle testimonianze archeologiche si può intuire che le statue raffiguranti le
vestali indicavano donne di alto rango che svolgevano la funzione di sacerdotessa per 30-40
anni, dopo di che erano libere di sposarsi o meno e avere dei figli. Certo, in età avanzata non
conveniva più sposarsi con le persone dello stesso rango se non per una ragione
esclusivamente economica.
Ora, questo fuoco che le vestali mantengono vivo nel tempio è l’immagine del fuoco eterno,
cioè l’inferno: si può notare così come Tertulliano esprima due concetti, cioè, in primo luogo,
mette in avanti l’esempio di queste donne che sono al servizio del fuoco della dea Vesta e, in
secondo luogo, acquisendo un valore storico, tale esempio, per lo stesso Tertulliano, ha anche
un valore religioso. Si tratta di una critica del tutto pagana, ma in modo del tutto accessorio,
come l’immagine del drago come simbolo visibile del diavolo.
4) Achaicae Iunioni indica l’equivalente greca della dea Giunone. Virgo sortitur, indica
che anche in Grecia, come a Roma, c’è l’usanza di scegliere delle sacerdotesse vergini.
Quae...insaniunt nubere nesciunt indica un disprezzo per l’attività che le sacerdotesse di Delfi
Ad uxorem - 27 -
hanno, cioè quella di profetizzare o annunziare eventi futuri o sconosciuti. Dopo aver
accennato a questi esempi, Tertulliano porta un altro esempio dal suo paese, dall’Africa: la
cenere africana è l’equivalente della dea di Cartagine, che ricorre in numerose iscrizioni
Cartaginesi. Entra poi a descrivere nei particolari questa nuova usanza pagana: egli fa queste
insinuazioni malevoli sulle usanze pagane, non soltanto nell’Ad Uxorem ma anche nel
capitolo 32 dell’Apologeticum (es., parla di una persona ricca che ha ceduto ad un amico la
moglie, perché non aveva più la sua; morto questo amico la moglie ritornò al marito), dove fa
capire che il matrimonio romano poteva essere sciolto come contratto e poteva essere sciolto
dal marito.
Tale disciplina, in uso presso i pagani, non può però essere altro che frutto di suggestioni.
5) Haec diabolus suis praecipit, et auditur. 5) Questi obblighi il diavolo li ordina ai
Provocat nimirum Dei servos continentia suoi e viene obbedito. Provoca senza dubbio
suorum quasi ex aequo: continent etiam i servi di Dio alla continenza come alla pari
gehennae sacerdotes. Nam invenit, quomodo dei suoi: praticano la continenza anche i
homines etiam in boni sectationibus perderet, sacerdoti della geenna. Infatti il diavolo
et nihil apud eum refert, alios luxuria alios trova come perdere gli uomini anche quando
continentia occidere. seguono il bene, e poco gli importa uccidere
gli uni con la lussuria e gli altri con la
continenza.
CAPITOLO
- VII-
Tertulliano vuole dimostrare che le seconde nozze sono un ostacolo in vista della santità
necessaria a chi, nella Chiesa, occupa uffici e particolari servizi divini. La conferma può
essere riscontrata nel fatto che la stessa esigenza è richiesta negli uffici dei templi pagani: là,
però, essa viene praticata unicamente per effetto di suggestioni derivate dal demonio,
imitatore, per disprezzo, della disciplina ecclesiastica.
quidem ex arbore sine Dei voluntate prego, che nessuno è condotto fuori di
delabitur. questo mondo se non per volontà di Dio, se è
vero che neppure una foglia cade dall’albero
senza la volontà di Dio.
1) In questo passo abbiamo una citazione molto sfumata della 1Corinti, dove Paolo parla
della futura incorruttibilità che rivestirà il nostro corpo corruttibile (si tratta della veste di
immortalità). Dunque, la continenza è presentata per i suoi vantaggi spirituali e futuri, nella
prospettiva della parusia. Qui si ritorna in modo esplicito ad uno dei temi ricorrenti dell’Ad
Uxorem, cioè inutili sono le nozze per coloro che aspettano il ritorno del Signore, che rimane
un tema fondamentale che viene da Paolo, abbondantemente citato, sia implicitamente che
esplicitamente (ad es., la 1Corinti). Se la volontà di Dio dirige le cose della natura, così dirige
le cose dell’uomo.
2) In questo passo, Tertulliano parla di Dio che incide nella nostra vita, poiché Egli stesso
è all’origine della vita e della morte dell’uomo: la vita dell’uomo inizia e finisce quando Dio
lo vuole. Si può qui fare, tra l’altro un’osservazione di natura etimologica sui termini
defuncto e defungere. Il defunto è colui che ha cessato le sue funzioni biologiche, per cui
cessa anche il matrimonio. E’ un ragionamento abbastanza semplice nel senso che si tratta di
un’attività umana che è coeva alla vita dell’uomo e non sussiste al di fuori della vita stessa.
Andando avanti nel paragrafo si nota l’opposizione dell’uomo alla volontà di Dio, attraverso i
termini restaures e finem...posuit: il tu restaures potrebbe essere tradotto come osi tu
ristabilire quello cui Dio ha posto fine?
[LP 5.]
La morte giunge per precisa disposizione di Dio.
2) La verginità è un dono di Dio: se il marito è morto per la volontà di Dio, anche il
matrimonio cessa di essere funzionale. Perché dunque tu ristabilisci quello a cui Dio ha posto
fine? E' una domanda che si richiama al contesto del matrimonio che non nasconde un senso
di disprezzo a chi dà poca importanza alla volontà divina: perché tu disprezzi la libertà che ti
è stata offerta con la servitù del matrimonio? Questa servitù consiste nei legami che si hanno
con il matrimonio che in un certo senso si oppone alla libertà della persona stessa. Dunque, la
vedovanza, per Tertulliano, è da vedere come una recuperata libertà, perché il matrimonio
impone degli obblighi che vincolano la libertà di chi è sposato: le parole che lui usa sono
molto vicine, dal punto di vista etimologico, al senso di legare, obbligare, con le quali si può
vedere come Tertulliano insista su questo aspetto negativo del matrimonio stesso. Infatti, egli
conclude questo paragrafo con queste parole: "Sei legato dal matrimonio, non cercare di
essere liberato o di romperne i legami. Se sei liberato dal matrimonio non cercare un altro
legame o altro obbligo matrimoniale". In base a questa prospettiva la libertà è intesa come
l'essere sganciato da ogni legame con una qualsiasi donna. A prima vista, sembra che
Tertulliano ragioni in maniera egoistica perché secondo il suo modo di ragionare un uomo
non può più essere libero quando è sposato: egli deve tenere conto dell'altra persona, non può
più prendere decisioni senza l'altro. Effettivamente le cose sono diverse perché, in primo
luogo, il concetto tertullianeo del matrimonio sembra rifarsi ad una situazione legislativa
comune del tempo, cioè secondo i costumi e in base al diritto romano. E' vero che in questa
legislazione romana, la condizione della donna sposata è inferiore rispetto a quella dell'uomo,
poiché, secondo tale legge la donna non può esercitare tutti i diritti politici e sociali che
spettano normalmente ad un qualsiasi cittadino romano di sesso maschile. In questo modo lei
dipende sempre dall'uomo che, al contrario, prende le sue veci, anche se quest'ultimo non ha
il diritto di disporre a suo piacimento della dote della moglie: infatti, è prevista la restituzione
della dote alla donna, che la riporta in casa paterna, in caso di scioglimento del matrimonio.
Si tratta di una situazione molto limitativa, anche se nella realtà può succedere che l'uomo
dissipi la dote stessa, malgrado il divieto assoluto posto dalla legge. Ad ogni modo, in linea di
massima, il marito è il padrone di casa, ma nella realtà è la donna ad esserlo perché l'uomo
impegnato professionalmente nelle diverse cariche pubbliche o sociali non sta mai a casa se
non per mangiare o dormire. Una donna che si dedicasse poco alla casa e si desse a dei
rapporti con altre persone esterne alla famiglia, verrebbe subito stimata di cattivi costumi,
anche se in alcuni casi la donna ha realmente acquisito una certa libertà. Questa situazione
giuridica spiega così l'atteggiamento di Tertulliano riguardo al matrimonio stesso. Questa
posizione teorica non viene modellata secondo il concetto cristiano di matrimonio . 1
3) Una delle obiezioni che Tertulliano fa parte dal fatto che non si fa peccato quando una
donna si risposa: il soggetto della frase è indicato dal termine "dicit" che indica, anche se in
maniera sottintesa, la Sacra Scrittura. Il termine "diligamus" esprime un congiuntivo di valore
ottativo. Si nota in questo paragrafo questo continuo scivolamento dal comandamento al
consiglio, dal consiglio al comandamento: quando Paolo parla del matrimonio dice che è
meglio sposarsi che bruciare a causa della carne (1Cor 7,27-28); egli consiglia la continenza,
ma non la pone come un obbligo. Tertulliano, invece, ha sempre la tentazione di passare dal
consiglio al precetto. E' vero che un consiglio, una volta accolto, divenga un obbligo che
indica, però, una situazione personale e singolare della persona e non un precetto che riguardi
tutti. Nell'espressione "... ut quod in matrimonio non valuimus, in viduitate sectemur" si
spiega che ciò che non si poteva osservare nel matrimonio, in realtà è possibile farlo nella
vedovanza: a rigore di logica si tratta proprio della continenza. Anche qui si nota che nel
concetto tertullianeo del matrimonio prevalgono gli obblighi, come se Tertulliano voglia
comunicare la sua esperienza personale del matrimonio: sembra che egli non si sia trovato a
suo agio, anche se, quando ne ha l'occasione, si rivolge alla moglie con molto affetto.
4) Tertulliano, nel contesto di questo paragrafo, entra nel merito della disciplina
ecclesiasti-ca secondo la quale gli uomini risposati non possono essere né presbiteri, né
episcopi. Effettivamente questa prescrizione si trova ripetuta nelle epistole pastorali nella
Ad uxorem - 31 -
1Tm e nella Lettera a Tito: nei due passi Paolo indica tali condizioni che riguardano coloro
che devono essere eletti episcopi, ma non riguardano soltanto il divieto di risposarsi una
seconda volta, cioè i candidati all'episcopato devono dimostrare di essere stati dei buoni
"Pater familias", cioè di aver cresciuto bene i propri figli e aver dato un buon esempio della
propria esperienza matrimoniale nell'ambito della fedeltà coniugale. A tutto questo l'apostolo
aggiunge l'obbligo dei buoni costumi morali. Ma la condizione più importante rimane proprio
quella di aver educato bene i propri figli perché, altrimenti chi non è stato in grado di
governare la propria famiglia come può governare la Chiesa? La condizione di un solo
matrimonio riguarda anche la donna e non soltanto l'uomo, da come risulta dalla 1Tm. Anche
per la donna vedova è richiesta la dimostrazione di aver vissuto una vita matrimoniale onesta
e secondo il buon costume. Per Tertulliano le vedove costituiscono, tra l'altro, una categoria
ben precisa di fedeli, con certi doveri e diritti che gli fanno occupare un posto preciso nelle
riunioni comunitarie, come pure i diaconi ed i presbiteri che dovevano svolgere compiti ben
definiti. Tertulliano qui non sembra fare ancora delle distinzioni ben precise tra la figura del
presbitero e quella del vescovo. Del resto tali categorie assomigliano agli "ordines" della
società civile nell'Africa del tempo, come ad esempio, il Consiglio municipale (Ordo
decuriorum) costituito generalmente da 10 membri scelti sotto certe condizioni legate alla
propria situazione economica e professionale. In questo modo si nota come di riflesso la
struttura gerarchica sociale del tempo influisca sulla formazione della struttura delle prime
comunità cristiane. Il concetto di "Ordo" diventa, quindi importante per la società del tempo
alla quale Tertulliano stesso. L'espressione "candida" richiama alla condizione che i candidati
devono osservare per essere iscritti nell'ordine della santità. Essi devono essere candidi e puri,
senza macchia. Ancora una volta vediamo come il pensiero di Tertulliano si sviluppi secondo
uno schema preciso dell'ordo a cui egli apparteneva senza rendersi esplicitamente conto del
fatto che lui esprime il dovere o il consiglio dell'apostolo in termini legati al suo tempo e al
suo rango sociale. Questo fa comprendere come potesse avvenire una certa influenza nel
presentare o interpretare la dottrina ecclesiastica, cioè secondo i costumi e le tradizioni del
tempo.
5) Per Tertulliano le usanze pagane, come ogni aspetto del paganesimo, sono da ritenersi
l'opera del diavolo. L'espres., "nefas est" indica ed esprime un divieto di natura religiosa:
effettivamente da ciò si spiega la figura di chi era capo di una comunità pagana, cioè colui
che oltre ad essere il sovrano legittimo era anche il sacerdote supremo. Qui Tertulliano fa un
esplicito riferimento all'Imperatore che ricopriva questa doppia funzione, cioè riuniva nelle
sue mani tutti i poteri civili, religiosi e giudiziari.
Ad uxorem - 32 -
CAPITOLO
- VIII -
Siamo all’ultimo capitolo di questo I Libro, che si conclude con il confronto fra una casta
vedovanza e la stessa verginità, con l’imprevista preminenza concessa alla vedovanza, non
certo in base al valore, quanto piuttosto in base al merito. La vedova infatti è consapevole di
quello, a cui ella rinuncia; non così la vergine. Segue la descrizione della condotta propria
delle donne oziose e ciarliere. Poi tutto si conclude con un affettuoso commiato.
La vedova e l’orfano sono protetti da Dio.
1) Nam de viduitatis honoribus apud 1) Infatti, a proposito degli onori della
Deum uno dicto eius per prophetam vedovanza nei riguardi di Dio è espresso
expeditum: Iuste facite viduae et pupillo, et dal profeta in una sola parola: "Fate
venite, dis-putemus, dicit Dominus. Duo ista giustizia alla vedova e all'orfano, poi venite
nomina, in quantum destituta auxilio e discutiamo dice il Signore". Queste due
humano, in tantum divinae misericordiae situazioni (la vedova e l'orfano), per
exposita, suscipit tueri pater omnium. Vide, quanto siano prive di aiuto umano, nella
quam ex aequo habetur qui viduae stessa misura sono oggetto della
benefecerit, quanti est vidua ipsa, cuius misericordia di Dio, e il padre di tutte le
assertor cum Domino disputabit. Non tantum cose riceve in protezione. Vedi dunque a
virginibus datum, opinor. quale punto sia uguale il benefattore alla
vedova e in quale misura la vedova stessa
(sia oggetto di onore) della quale il
difensore discuterà con il Signore. Un tale
onore credo non è stato concesso alle
vergini.
1) Tertulliano, citando il profeta, vuol far notare che chi compie la giustizia verso la
vedova e l'orfano è in grado di discutere con Dio. Evidentemente Tertulliano qui fa
un'interpretazione della Scrittura nel suo senso letterario. Qui si nota ancora una volta come
Tertulliano ponga la questione della vedovanza sotto l'aspetto di precetto, non seguendo il
pensiero dell'apostolo Paolo.
2) All'inizio di questo paragrafo si può notare una chiara allusione al discorso della montagna di Gesù, in
Mt 5 ed un riferimento a Mt 18,10: il riferimento esplicito sono i puri di cuore perché essi vedranno Dio.
Effettivamente Tertulliano vuole dimostrare che per la vedova è molto più difficile osservare la continenza
rispetto alla vergine che, non avendo provato alcun rapporto con un uomo (c'è probabilmente un'allusione di
natura sessuale), osserva con più facilità la propria condizione senza il desiderio della carne. L'inesperienza
della vergine è una certa salvaguardia dai pericoli della carne. Se la vedova rimane continente, la sua
continenza rimane più meritoria perché costa più fatica rispetto a quella della vergine.
3) In questo paragrafo Tertulliano pone in evidenza il confronto tra la figura della vergine
e quella della vedova continente, però sottolinea spesso i meriti della vedova che lui stesso
ritiene superiori a quelli della vergine per il fatto che con l'osservazione non facile, ma
costante della continenza arriva alla realizzazione piena della virtù.
4) Tertulliano disprezza molto questa categoria di donne il cui esempio è nemico della
virtù e conduce alla schiavitù del vizio. Se si legge attentamente questo paragrafo si nota con
quanta passione Tertulliano arriva a stigmatizzare tutte quelle donne che vivono secondo il
male e rifuggendo il bene. Pare che qui non si rivolga alla moglie perché il suo rapporto con
lei appare positivo, ma lui deve avere avuto una certa esperienza con le donne che lo hanno
indotto ad assumere un atteggiamento piuttosto risoluto e a fare delle conclusioni categoriche
che non lasciano spazio a vie intermedie nel senso che o si segue la virtù della castità, oppure
si rimane intrappolati nella carne che porta inevitabilmente ai vizi.
5) Qui Tertulliano fa riferimento al sesso, quando usa l'espres., "Ita et quae ventri
propinqua". Nella conclusione Tertulliano si rivolge con dolcezza a sua moglie raccomandan-
dogli di far tesoro di quello che lui gli ha detto circa la grandezza della continenza: egli
insiste sul fatto che proprio l'osservanza della castità porta la consolazione a coloro che
rimangono soli perché sarà la grazia di Dio a sostenerli. C'è una continuità con il § 4 dove,
enumerando esempi negativi, sottolinea l'importanza della continenza nella castità.
La prima domanda che Tertulliano pone è se una donna, o un uomo, si può sposare una
seconda volta: la sua risposta è negativa nel senso non che non si deve, ma che non si può. Si
tratta probabilmente di una possibilità morale giustificata dal fatto che Tertulliano avrebbe
incontrato degli oppositori.
In linea di massima ci potrebbe essere un secondo matrimonio anche perché la Bibbia
stessa lo ammette, anche se Tertulliano insiste sul fatto che è preferibile una vita casta dopo il
primo matrimonio. L'interrogativo se un secondo matrimonio sia o meno possibile lui non lo
vuole prendere in considerazione.
Le obiezioni sono le seguenti:
Ad uxorem - 35 -
tratta, infatti, di una posizione tipicamente maschilista. Questa argomentazione viene citata a
titolo di exempla: si tratta di esempi raccolti dall'esperienza comune.
Allora, dopo aver presentato gli argomenti negativi di un secondo matrimonio, Tertulliano
presenta quelli positivi della vedova che riguardano la prova della fede, la preparazione per il
giorno della parusia ed assumere totalmente la volontà di Dio. Al contrario le seconde nozze
portano l'uomo e la donna ad essere divisi nei riguardi Dio e nei riguardi dei doveri da
assumersi verso il matrimonio stesso.
Tertulliano poi fa riferimento ad altri due aspetti non tralasciando la situazione del suo
tempo: si tratta della disciplina ecclesiastica ed il paragone con le usanze pagane, per poi
passare al confronto tra la figura della vedova e quella della vergine e contrariamente alla
tradizione comune che pone la vergine sopra la vedova, lui pone sopra la vergine stessa la
vedova, come abbiamo potuto vedere nell'analisi di questa ultima parte del primo libro che
Tertulliano ha scritto sulla unicità delle nozze.
[LP 6.]
LIBRO
- II -
CAPITOLO
Ad uxorem - 37 -
-I-
Esaurito il motivo del I Libro, in cui si consigliava la moglie a rinunciare alle seconde
nozze, Tertulliano prende ora di mira le donne, le quali, a causa dell’umana debolezza, «dopo
il divorzio o la morte del marito», si decidono a passare a seconde nozze anche a costo di un
matrimonio contratto al di fuori del consiglio dell’Apostolo, e cioè «non nel Signore».
costumi e dalle leggi della società civile, ai quali venivano a sovrapporsi i principi cristiani
che non sempre armonizzavano con le usanze pagane. Questo spiega come questi disagi
potevano nascere per cui Tertulliano stesso ha deciso di affrontarle nell'ambito di questo
secondo libro. Egli stesso trova difficoltà nell'affron-tare tale questione perché gli rimane
difficile di mettersi nella situazione di queste donne che si risposano.
Difficoltà relative alle seconde nozze.
2) Itaque mihi confusus est animus, ne qui 2) Perciò il mio spirito si è trovato
nuper te ad univiratus et viduitatis per- confuso, poiché io che ti ho recentemente
severentiam hortatus sim, nunc mentione consigliato a perseverare nell'unico matri-
nuptiarum proclivium tibi labendi ab monio e della vedovanza, ora non sembri
altioribus faciam. Quod si integre sapis, certe farti menzione delle seconde nozze di farti
scis istud servandum tibi esse, quod sit scivolare dall'alto verso il pendio che ti fa
utilius. Quod vero difficile est et non sine cadere. Poiché se tu sai le cose interamente
necessitatibus hoc maxime propositum vitae (se tu ragioni correttamente), sai per certo
subresedi. che quella cosa deve essere osservata da te
perché ti sarà più utile. Poiché questa cosa
è difficile e non va senza difficoltà mi sono
fermato a considerare questo proposito di
vita.
2) L'immagine del pendio che Tertulliano usa è per indicare soprattutto il pericolo che si
può correre con le seconde nozze. Nel tradurre in termini reali, proclivium tibi labendi, si può
intendere correre il rischio di cadere dall'alto con la menzione di un secondo matrimonio.
Comunque, in questo paragrafo, Tertulliano rimane ancora nell'ambito del consiglio, perché
parla di cose utili e non di cose necessarie: egli normalmente è orientato a consigliare le cose
più utili. La difficoltà alla quale fa riferimento nasce soprattutto dal fatto che Tertulliano si
sente quasi costretto a ritrattare quello che ha detto in precedenza nel primo libro per
riconsiderare la questione delle uniche nozze sotto i suoi diversi aspetti.
3) Nec mihi de isto quoque referendi ad te 3) Non avrei avuto dei motivi di riferirti
causae fuissent, nisi graviorem in eas questo problema, se non avessi avuto
sollicitu-dinem comprehendissem. Nam preoccupazioni più pesanti verso queste
quanto grandis est continentia carnis, quae donne. Infatti quanto più grande è la
viduitati ministrat, tanto, si non sustineatur, continenza della carne, che è il servizio della
ignoscibilis videri potest. Difficilium enim vedovanza, tanto più, se non viene sop-
facilis est tunc venia. Quanto autem nubere in portata, può sembrare labile. Infatti nelle
Domino perpetrabile co-
est, uti nostrae potestatis, tanto culpabilius se difficili è più facile perdonare (scusare).
est non observare quod possis. Quanto è più (perpetrabile) facile sposarsi
nel Signore, perché è nella nostra possi-
bilità, tanto più è colpevole di non osservare
quello che possiamo.
Ad uxorem - 39 -
3) In questo paragrafo si richiama alle donne che in precedenza si erano risposate con dei
pagani. Tertulliano prosegue con un nuovo paragone tra l'osservanza della continenza e la
inopportunità delle seconde nozze: l'espres., ignoscibilis videri potest, va presa anche nel
senso di perdonare, di riconoscere e di scusare la vanità del secondo matrimonio (?).
Tertulliano prosegue, poi, sostenendo che se da una parte è legittimo quello che ci viene
permesso, dall'altra è cosa colpevole il non osservare quello che è nella nostra possibilità. Qui
si nota come ogni volta lo stesso Tertulliano dà al suo pensiero la tendenza a generalizzare,
partendo da casi particolari.
4) Tertulliano applica il pensiero di Paolo, in 1Cor 7,7, alle vedove e alle non sposate.
Invece, nel caso di coloro che si risposano nel Signore egli fa riferimento alla 1Cor 7,39,
rendendo l'espressione prescrittiva, nel senso che permette le nozze ad una sola condizione:
esse devono essere fatte unicamente nel Signore. La domanda che sorge spontanea da questo
nuovo passaggio è se il comandamento dato da Paolo sia effettivamente così restrittivo,
oppure sia frutto del pensiero di Tertulliano: è questo un esempio di esegesi limitativa da
parte dello stesso Tertulliano, perché non è una caratteristica di Paolo che, invece, rimane
sempre sul piano del consiglio. Il termine di "contumacia" è riferito al significato di disprezzo
generale della legge.
CAPITOLO
- II -
In questo capitolo ha inizio una delle questioni più dibattute: il confronto fra i vv. 12-14 ed
il v. 39 del cap. 7 della 1 Corinti. Per alcuni, nei primi vv., Paolo sembra approvare, in
genere, i matrimoni fra cristiani e pagani; invece nel v. 39 sembra ammettere soltanto quelli
Ad uxorem - 40 -
contratti «nel Signore», vale a dire, solo fra cristiani. Tertulliano, invece, ritiene che Paolo
distingua i matrimoni contratti prima e dopo la conversione. Nel caso che uno dei coniugi si
converta alla fede, il matrimonio conserva la sua validità. Non così, se un cristiano intenda
sposare chi non ha ancora la fede. Ed ecco allora sorgere un’ovvia obiezione: perché deve
esserci differenza fra chi è sposato e chi deve ancora sposarsi? La risposta sarà, dunque,
questa: lo sposato, incontrandosi con la fede, porta la salute anche ad altri; chi, invece, già
cristiano, si incontra, attraverso il matrimonio, con chi non ha la fede, non solo non produce
un effetto salutare, quanto piuttosto porta la conseguenza della morte.
1) Tertulliano si richiama ancora una volta a coloro che non solo hanno chiesto il consenso
alla Chiesa, ma che hanno interpretato in maniera lassista la dottrina della Chiesa, oppure
hanno prevaricato i loro consiglieri. Con la citazione della 1Corinti Tertulliano mostra una
doppia possibilità: da una parte abbiamo un matrimonio di un cristiano con una donna
pagana, mentre dall'altra abbiamo una donna cristiana sposata ad un pagano; in ambedue i
casi viene messo in evidenza il fatto che il matrimonio si fonda sul mutuo consenso, anzi non
si tratta solo di un consenso dato una volta per tutte, ma di un consenso per così dire
prolungato e rinnovato ogni giorno. Si tratta di una convivenza normale che istituisce questo
perpetrarsi del legame matrimoniale. Per scioglierlo occorre la decisione da parte dei due
coniugi. Il concetto che segue immediatamente, riguardante la santificazione di uno dei due
coniugi da parte dell'altro, se rimane difficile da realizzare, però nella nostra società
scristianizzata può benis-simo concretizzarsi. E' senz'altro un pensiero positivo quello di
Tertulliano che merita di essere approfondito da parte di quelli che si trovano in varie
situazioni. Tutta questa citazione è stata fatta per rendere più chiaro l'interrogativo: che cosa
succede effettivamente nei casi che in questo paragrafo sono stati menzionati? Tertulliano
Ad uxorem - 41 -
vuole sottintendere che gli sposi possono convivere, sino a condividere determinati valori,
solo quando tra di loro c'è un mutuo consenso. La futura condizione dei figli è legata alla
situazione dei genitori, ma non è una conseguenza necessaria il fatto che se i genitori stessi
non arrivano a concretizzare l'uno verso l'altro l'ideale che Tertulliano menziona, cioè la
santità, i figli rimangano immondi, perché anche loro, una volta adulti, hanno la facoltà di
scegliere o no di diventare cristiano.
gentiles, opinor, non fideles. Quodsi de fideli stessa conclusione conferma che questo
ante matrimo-nium pronuntiasset, absolute deve essere inteso così: "Nello stato che
permiserat san-ctis vulgo nubere. Si vero qualcuno è stato chiamato dal Signore, così
permiserat, num-quam tam diversam atque perseveri". Sono i pagani ad essere
contrariam permis-sui suo pronuntiationem chiamati, come penso, non quelli che sono
subdisset, dicens: Mulier defuncto viro libera già cristiani. Se qualche fedele prima del
est; cui vult nubat, tantum in Domino. matrimonio, avesse pronunciato (questa
sentenza) sarebbe stata concessa la
possibi-lità in assoluto ai santi di sposarsi.
Se l'avesse veramente permesso, mai
avrebbe aggiunto al suo permesso una
decisione così diversa e opposta quando
dice: "La moglie alla morte del suo
congiunto è libera; può risposarsi con chi
vuole purché sia nel Signore.
3) Qui si riscontra un concetto del matrimonio che presuppone la condivisione da parte dei
congiunti di condividere tutto: tale condivisione è facilitata proprio dall'uso del matrimonio.
Quindi il matrimonio non consiste soltanto nell'uso della sessualità, ma anche nella
condivisione di altri beni che suppone la comunione dei beni stessi, sia quelli materiali, sia
quelli spirituali. Tertulliano successivamente si richiama al concetto di vocazione di essere
cristiani per la prima volta da parte dei pagani che vengono "vocati" da Dio stesso. Questo lo
riferisce per sottolineare che spesso i cristiani non vivono la coscienza di essere stati chiamati
ad essere tali, così che viene meno l'esperienza esistenziale della vocazione che ha il suo
inizio sin dalla nascita. Invece, per i pagani, dal momento della conversione, diventa
un'esperienza autentica di vocazione. Certamente Tertulliano sviluppa questo ragionamento,
legato sempre alla questione del matrimonio, considerando il caso delle donne cristiane
risposate con dei pagani, che sono libere dal momento della morte del consorte. Dunque, per
la donna vedova, come ne parla l'apostolo Paolo, c'è questa possibilità di sposarsi o meno, ma
questo deve avvenire a quell'unica condizione, cioè nella grazia di Dio. Qui Tertulliano
ritorna a ribadire quello che nel § 4 del capitolo I, di questo secondo libro, si esprime come
obbligo.
Ille igitur apostolus sanctus, qui viduas et in- aggiunse "solo nel Signore", cioè è nel
nuptas integritati perseverare mavult, qui nos nome del Signore, che è senza dubbio con
ad exemplum sui hortatue, nullam aliam un cristiano. Dunque il santo apostolo che
formam repetundarum nuptiarum nisi in Do- preferisce che le vedove e le non sposate
mino praescribit, huic soli condicioni con- perseverino nella loro integrità, che ci
tinentiae detrimenta concedit. Tantum, esorta anche noi ad imitare il suo esempio,
inquit, in Domino: adiecit pondus legi suae. non prescrive nessun altra forma delle
seconde nozze se non nel Signore, concede
Ad uxorem - 43 -
4) Tertulliano, con l'espressione "id est in nomine Domini..." aggiunge alla citazione
scrittu-ristica la sua interpretazione, cioè risposarsi nel nome del Signore, il che significa,
senza dubbio, che il matrimonio deve avvenire con un cristiano. Il verbo “cecinit” indica una
dichiarazione solenne, fatta con grandissima autorità, come quelle delle sibille che parlavano
a nome di Dio. Allo stesso modo l’apostolo parla a nome di Dio. Non dimentichiamo che
Tertulliano sta commentando proprio la 1 Corinti 7,39. Questa interpretazione, presa
dal'espres., "quod est indubitate Christiano" è molto restrittiva perché molto precisa
nell'affermazione, ma nello stesso tempo fa notare un uso graduale del termine “tantum in
Domino” e lo precisa per dire cosa significa sposarsi “in Domino”. Qui si nota un
atteggiamento abituale di Tertulliano che si noterà sempre di più man mano che egli
progredirà nel montanismo: esso consiste nell’interpretare i testi della Scrittura in senso
limitativo. Tra l’espres., “Tantum, inquit, in Domino” e “adiecit pondus legi suae” vi è un
rapporto di paratassi e non si sintassi: si tratta di espressioni giustapposte. Su questo punto la
prassi attuale della Chiesa è molto diversa da quella preconizzata da Tertulliano che rivela
una certa rigidità dinanzi ad una tematica così ampia. In questo senso Tertulliano sostiene che
Paolo aggiunge un peso della sua autorità alla legge sottintendendo quella divina, come se
una decisione umana potesse aggiungere qualcosa alla legge divina. Generalmente la legge
umana si accontenta di precisare l'applicazione di quella divina, in casi determinati. Dunque,
tutto il ragionamento di Tertulliano si porta all'interpretazione sul "tantum in Domino",
perché solo nel Signore devono essere contratte le seconde nozze.
5) Qui abbiamo delle espressioni per consonanza che si riferiscono sempre all'interpreta-
zione del "tantum..." che indica un modo retorico e giuridico di esprimere il concetto. Il fatto
che l’autore usi termini come “et iubet et suadet et praecipit et hortatur...” accentua il
carattere imperativo del comandamento già espresso nel § 4. In questo paragrafo si nota bene
un'opposizione tra brevità e la facondia (facundia), sempre in un contesto retorico, per
indicare e sottolineare che la sentenza del Signore è stringata ed eloquente nella sua brevità.
Questo fa vedere che c'è un'opposizione tra la facondia retorica e la concisione del precetto.
[LP 7.]
6) Sic solet divina vox, ut statim intellegas, 6) Così suole esprimersi la voce divina, in
statim observes. Quis enim non intellegere modo che tu comprenda subito e subito la
possit multa pericula et vulnera fidei in osservi. Chi infatti non potrà capire che
huiusmodi nuptiis, quas prohibet, apostolum l’apostolo ha previsto che ci sono molti
providisse et primo quidem carnis sanctae in pericoli e ferite per la fede nelle nozze di tal
carne gentili inquinamentum praecavisse? genere che egli vieta (le seconde nozze) ed in
primo luogo infatti abbia fatto attenzione
Ad uxorem - 44 -
6) Tertulliano indica la brevità della Parola di Dio perché questa possa essere osservata e
praticata al medesimo tempo. In questo paragrafo Tertulliano espone i pericoli di un secondo
matrimonio, dove attraverso il rapporto sessuale tra il cristiano ed il pagano. In S. Paolo era
già stato rilevato che in un matrimonio misto la parte cristiana santificava quella pagana:
probabilmente Tertulliano ha in mente il pensiero di S. Paolo, ma con una obiezione, perché
la situazione che allude S. Paolo, circa la santificazione del coniuge pagano ad opera di quello
cristiano, prevede la possibilità del divorzio qualora la conversione di uno dei due coniugi,
dopo il matrimonio, non venga accolta benevolmente dall’altro. Si tratta del cosiddetto
privilegio paolino. Nelle seconde nozze il caso è leggermente diverso, poiché sono contratte
con un pagano dalla parte cristiana: in realtà o la parte cristiana si espone al pericolo di un
divorzio, oppure nasconde la sua fede, ma ciò non conviene ugualmente. Quindi per
Tertulliano la difficoltà è quella di rimanere coerenti con la dottrina paolina.
Perché deve esserci differenza fra chi deve sposarsi e chi è già sposato?
7) Hoc loco dicet aliquis: quid ergo refert 7) Qualcuno, però, potrebbe avanzare
inter eum, qui in matrimonio gentili a questa obiezione: dunque quale differenza
Domino allegitur, et olim id est ante nuptias c’è fra quello che mentre è sposato nel
fidelem, ut non proinde carni suae caveant, matrimonio pagano è chiamato dal Signore e
cum alter a nuptiis infidelis arceatur, alter in una persona che è fedele (al Signore) prima
eis persevera-re iubeatur? Cur, si a gentili delle nozze, poiché in seguito non hanno
inquinamur, non et ille diiungitur, riguardo al loro corpo, mentre uno infedele
quemadmodum iste non obligatur? è allontanato dalle nozze, l’altro è
raccoman-dato di rimanere nel matrimonio?
Perché se siamo contaminati dalla parte
pagana, non è quello divorziato, allo stesso
modo di questo che non viene legato
(obbligato) al matrimo-nio?
7) Il matrimonio misto di cui parla Tertulliano è il secondo matrimonio: il vero problema che
questo paragrafo espone è proprio quello di stabilire quale differenza ci sia tra chi, dopo il
matrimonio con una pagana, si converte alla fede cristiana, e chi pur essendo già cristiano
contrae le nozze pagane. Colui al quale è data la possibilità di sciogliere il matrimonio è il
pagano che non condivide la conversione dell’altro coniuge, mentre colui che è già cristiano e
decide di sposare una pagana, non può sciogliere il matrimonio. Però, Tertulliano, ponendo
questo quesito, insieme all’espressione “Cur, si a gentili inquinamur...”, capovolge la
situazione: mentre l’apostolo dice che la parte pagana è santificata da quella cristiana, lo
stesso Tertulliano dice, invece, che la parte pagana contamina quella cristiana. Ciò è tipico del
suo modo di pensare: egli vuole andare in fondo alla questione. Egli intende imporre la sua
posizione restrittiva.
hic porro etiam non nubendi potestatem. la continenza. Dunque, l’uno si trova nella
necessità di perseverare (nel matrimonio),
l’altro non ha neppure la possibilità di
sposarsi.
9) Tertulliano contempla perfino il caso dei cristiani che contraggono le seconde nozze con
i pagani. Con l’espres., “deprehenduntur” si dovrebbe tradurre “sono presi” per indicare,
secondo l’intenzione dell’autore, l’iniziativa divina nell’ambito della conversione di un
pagano al cristianesimo. La conversione, in primo luogo, non è una iniziativa umana, ma è un
dono di Dio: ecco perché Tertulliano usa l’espressione forte “sono presi dalla fede”. In
questo senso, Tertulliano, limitando al massimo la libertà della risposta umana, sottolinea la
“prepotenza” della grazia. In un matrimonio misto, dove uno dei coniugi diventa cristiano,
durante le nozze e non dopo, la parte pagana viene santificata dal quella cristiana. Al
contrario, quando uno, già cristiano, contrae le nozze con un pagano né lui né il pagano
saranno santificati, ma il cristiano rimane contaminato dal pagano. Con l’espres., “Ita quod
sanctificari non potuit, immundum est; quod immundum est, cum sancto non habet partem”,
si nota un progressivo sviluppo del ragionamento di Tertulliano che diventa sempre
restrittivo: si nota nel suo modo di pensare un maggiore rigorismo, come segno che sempre di
più si sta avvicinando al montanismo. Tertulliano alla fine del paragrafo usa una parola
piuttosto forte, “occidit”, per dire che bisogna distinguere i due casi sopra esposti.
Ad uxorem - 46 -
CAPITOLO
- III -
Il matrimonio dei cristiani con i pagani comporta una contaminazione del loro corpo, che è
membro di Cristo. Non c’è scusa per chi crede di non attenersi a questo preciso divieto. Del
resto, i danni di tali nozze diventeranno sempre più gravi, non solo per il corpo, ma anche per
lo spirito: a perderci di più non sarà il coniuge pagano, ma quello cristiano. Una moglie
cristiana, infatti, si voglia o non si voglia, dovrà sempre adattarsi ai voleri, anche illeciti, del
marito pagano.
1) Haec si ita sunt, fideles gentilium matri- 1) Se le cose stanno così, i fedeli che
monia subeuntes stupri reos constat esse et contraggono il matrimonio con i pagani è
arcendos ab omni communicatione fraternita- constatato che sono colpevoli di stupro e
tis, ex litteris apostoli dicentis cum eiusmodi sono da scartare da ogni comunicazione con
ne quidem sumendum. Aut numquid tabulas i fratelli, in modo conforme alle lettere
nuptiales die illo apud tribunal Domini dell’apostolo che dice “con gente di tal
proferemus et matrimonium rite contractum genere non si deve neppure prendere il
allagabimus, quod vetuit ipse? Non cibo”. In quel giorno davanti al tribunale
adulterium est, quod prohibitum est, non del Signore pronunceremo il contratto di
stuprum est? Extranei hominis admissio matrimonio e allegheremo di aver contratto
minus templum Dei violat? Minus membra un matrimonio secondo il rito, che il Signore
Christi cum membris adulterae commiscet? ha vietato? Non è dunque un adulterio
Quod sciam, non sumus nostri, sed pretio quello che è vietato, non è uno stupro? Una
empti. Empti? Et quali pretio? Sanguine Dei. relazione sessuale con un uomo pagano
Laedentes igitur carnem istam, eum laedimus violerà di meno il tempio di Dio? E’ forse da
de proximo. meno congiungere le membra di Cristo con
le membra di un’adultera? Per quanto
sappia, non apparteniamo a noi stessi, ma
siamo stati comprati a caro prezzo.
Comprati? E a quale prezzo? Con il sangue
di Dio. Se dunque, offendiamo questa carne,
noi offendiamo Dio da vicino.
extraconiugali. Tertulliano gioca sui diversi sensi della parola “admissio”, mentre il termine
“Extranei” designa, in primo luogo, una persona di religione diversa, il che gli permette di
assimilare un matrimonio misto a una profanazione, nel senso di violare il tempio di Dio che
è il cristiano stesso. In secondo luogo, il medesimo termine designa una persona estranea alla
famiglia o alla comunità, il che legittima l’accusa di adulterio. Ma si deve osservare che
proprio Paolo nella 1Cor 3,16-17 parla della prostituta, non di una donna che fa un mestiere:
Tertulliano in questo senso fa scivolare il suo ragionamento verso un maggiore rigore. Inoltre,
la parola “admissio” va precisata nel senso di admittere come il fatto di accoppiarsi. Non si
tratta semplicemente di relazioni sessuali normali, ma designa in modo preciso l’atto sessuale.
Poi, Tertulliano cita la 1Cor 6,19-20 per sottolineare che siamo stati pagati a caro prezzo non
con l’oro o con l’argento, ma con il sangue di Cristo. S. Paolo fa luce sulle usanze di allora
quando venivano acquistati gli schiavi che da un padrone passavano all’altro: di solito
l’acquisto avveniva con il pagamento di 12.000 sesterzi, equivalenti a molti milioni di oggi.
Questo paragone con il prezzo del sangue di Cristo rende chiara l’idea della preziosità del
gesto di Cristo, di offrire la sua vita per molti.
2) Qui si oppone in modo interrogativo una colpa meno grave a quella più grave compiuta
contro il Signore. Tertulliano prosegue nel sottolineare che rimane grave il peso di chi si
ostina nel peccato mentre ha la possibilità di riscattarsi evitandolo in circostanze future. In
questo paragrafo si notano diverse tappe, dove Tertulliano arriva a fare una conclusione
logica, però bisogna sempre tener conto del fatto che nel suo modo di pensare egli arriva ad
una situazione sempre più restrittiva. Per lui se si ammettono le premesse di una situazione
peccaminosa, diventa inevitabile la conclusione che fa in questi paragrafi.
3) Per Tertulliano il matrimonio non è solo la congiunzione carnale, ma, con il termine
“caro” che designa la persona, mira a far concepire in modo abbastanza materialistico la
creazione. Ma questo lo si nota in tutto il pensiero di Tertulliano che concepisce l’esistenza
materiale del corpo dell’uomo, nonché il concetto materiale del tempo. Tertulliano cita di
nuovo una massima della Scrittura contenuta nei Prov 15,3 e fa anche un richiamo a Eccl
34,19, per dimostrare la sua tesi.
Un marito pagano, per una moglie cristiana, sarà un impedimento al servizio di Dio.
4) Et quomodo potest duobus dominis 4) E come potrà servire a due padroni, il
servire, Domino et marito, adde gentili? Signore e il marito, anzi pagano? Infatti se
Gentilem enim observando gentilia exhibebit: obbedirà al marito pagano essa mostrerà
formam, extructionem, munditias saeculares, costumi pagani: bellezza, il trucco (l’accon-
blanditias turpiores; ipsa etiam matrimonii ciatura), le raffinatezze secolari, le carezze
secreta maculosa, non ut penes sanctos officia oscene; anche gli stessi segreti delle intimità
sexus cum honore ipsius necessitatis tamquam coniugali sono causa di inquinamento,
sub oculis Dei modeste et moderate poiché non saranno praticati modestamente
transiguntur. e moderatamente come conviene ai santi i
quali compiono i doveri del sesso con onore
per la stessa necessità e come sotto lo
sguardo di Dio.
[LP 8.]
CAPITOLO
- IV -
Siamo dinanzi alla realtà della vita quotidiana, quale si presenta alla donna cristiana,
divenuta moglie di un marito pagano. E’ indubbio che gli impegni della fede saranno spesso
molto discordanti dalle esigenze della vita e di mondanità, a cui obbedisce il marito. Ed ecco
allora dall’altra parte, le consuetudini della vita cristiana, incompatibili con la mentalità tutta
propria del marito pagano.
Le esigenze del marito pagano in contrasto con le pratiche della vita cristiana.
Ad uxorem - 49 -
1) Sed viderit qualiter viro officia pendat, 1) Ma come avrai visto la donna cristiana
Domino certe non potest pro disciplina adempiere i suoi doveri verso il marito,
satisfacere, habens in latere diaboli servum, riguardo al Signore certamente non potrà
procuratorem domini sui ad impedienda soddisfare secondo la disciplina (cristiana)
fidelium studia et officia, ut si statio facienda ai suoi doveri verso il marito, poiché ha al
est, maritus de die condicat ad balneas, si suo fianco un servo del diavolo, cioè un
iciunia observanda sint, maritus eadem die procuratore del suo padrone ad impedire che
convivium exerceat, si procedendum erit, i fedeli osservino i loro doveri e i loro buoni
numquam magis familiae occupatio obveniat. propositi, di modo che se occorre dedicarsi
alla stazione, il marito proprio in questo
giorno dica che dovrà recarsi ai bagni, se
bisognerà osservare il digiuno, il marito
nello stesso giorno ha previsto un banchetto,
se c’è la necessità di uscire di casa, mai
doveri più urgenti di famiglia si presenteran-
no.
2) Quis autem sinat coniugem suam visi- 2) Chi dunque permetterebbe alla moglie
Ad uxorem - 50 -
tandorum fratrum gratia vicatim aliena et per il motivo di visitare i fratelli di passare
quidem pauperiora quaeque tuguria circuire? di rione in rione ed specialmente di entrare
Quis nocturnis conovocationibus, si ita nelle case più povere? Chi sopporterà
oportverit, a latere suo adimi libenter feret? volentieri che la moglie si allontani dal suo
Quis denique sollemnibus Paschae abnoctan- fianco per le convocazioni notturne? Chi
tem securus sustinebit? Quis ad convivium infine sopporterà tranquillamente che la sua
dominucum illud, quod infamant, sine sua moglie passi la notte intera lontana dal
suspicione dimittet? Quis in carcerem ad mari-to per le solennità di Pasqua? Chi la
osculanda vincula martyris reptare patietur? lascerà andare senza sospetto per andare a
questo convivio del Signore che proprio loro
(i pagani) infamano? Chi sopporterà che
ella vada per baciare le catene del martire?
2) Tertulliano fa presente che la moglie cristiana gira in città per visitare i poveri e portare
loro aiuto e conforto, ma le obiezioni andranno sempre più crescendo. Effettivamente in certe
occasioni prolungano le loro riunioni durante anche la notte: si tratta, infatti, di un prolunga-
mento della statio quando invece di essere celebrata di sera la riunione si protrae di notte e si
celebra la Messa all’aurora. Generalmente in questi casi, passata la mezzanotte, si poteva
celebrare l’eucaristia. Però, Tertulliano parla semplicemente di convocazioni notturne che
possono interessare una parte della notte. Effettivamente anche Minucio Felice menziona
queste riunioni notturne. Per quanto riguarda la solennità della Pasqua tali convocazioni
notturne si protraggono fino al mattino. Gli apologisti del II secolo, in merito a quello che
Tertulliano dice sull’atteggiamento dei pagani verso queste assemblee cristiane, insistono
sulle tre accuse legate proprio alla Cena del Signore, cioè l’ateismo, l’incesto e l’antropofagia
(mangiare le carni di un bambino). Tertulliano conclude questo paragrafo richiamandosi alla
condizione del martire imprigionato nella parte più squallida del carcere, per farci
comprendere che le sue espressioni non sono necessariamente un’esagerazione retorica;
inoltre anche la visita ai carcerati è un dovere cristiano raccomandato dalla Chiesa.
pagani rispetto a quelli cristiani. A quanto pare, sembra che questa differenza sia stata sentita
a quel tempo perché i cristiani compivano questi gesti di generosità senza pensare in alcun
modo ad una precisa ricompensa. Con ciò non si vuol dire che ogni gesto pagano fosse
interessato, ma si vuol evidenziare la diversità delle azioni dipendenti da un modo diverso di
pensare.
CAPITOLO
-V-
Tertulliano affronta le difficoltà che possono nel marito pagano di fronte agli impegni
della moglie cristiana, e ne offre una soluzione che per alcuni appare superficiale. Egli, di
fatto, più che risolverla, elimina la questione: lui, pagano, conosca o non conosca gli impegni
della moglie cristiana, costituisce, in tutti i due casi, la realtà di un estraneo, il quale, per di
più, tollera o compatisce o irride. I sospetti, però, su quanto la moglie compie nei suoi atti di
pietà religiosa e umana, renderanno più acuta la sua curiosità. L’esito, dunque, potrebbe
provocare risultati materialmente dannosi: certi mariti, per timore di dover subire rischi e
detrimenti da quei gesti misteriosi, finiscono per portare la moglie davanti ai giudici per
disfarsene e così appropriarsi della sua dote.
Anche nel caso di un marito comprensivo, si tratta sempre di un nemico del Dio dei
cristiani.
1) Sed aliquis sustinet nostra nec obstrepit. 1) Può succedere che qualcuno (dei
Hoc est igitur delictum, quod gentiles nostra pagani) accetti e non si opponga i nostri
noverunt, quod sub conscientiam inistiorum costumi. Questa è precisamente la colpa che
sumus, quod beneficium eorum, est, si quid i pagani (gentili) abbiano conoscenza delle
operamur. Non potest nescire qui sustinet, aut nostre usanze (i nostri misteri), che noi
si celatur, quia non sustinet, timetur. Cum siamo sottomessi al fatto che i pagani
autem scriptura utrumque mandet, et sine (inistiorum) sappiano le nostre cose, che
alterius conscientia et sine nostra pressura comunque è un beneficio loro, se facciamo
operari Domino, nihil interest in qua parte qualcosa di buono con il loro permesso.
delinquas, aut in conscientiam mariti, si sit Quello che sopporta (un tale atteggiamento
patiens, aut in conflictationem tui, dum della moglie) non può ignorare, o se la
vitatur impatiens. moglie agisce di nascosto nel caso che lui
non sopporti, allora sarà temuto. Siccome la
Scrittura comanda di lavorare per il Signore
due cose, cioè di non agire all’insaputa del
congiunto e senza l’angoscia da parte
nostra, poco importa in una maniera o
nell’altra tu sei colpevole, o che lo sappia il
marito, quando lo sopporta, (allora hai
tradito la legge dell’arcano), o in situazione
di difficoltà con il marito, quando il marito è
evitato come impaziente.
1) Tertulliano mostra, in questo paragrafo, un’obiezione nel senso che può accadere che
non tutti i pagani si oppongano e che addirittura accettino i costumi cristiani. Da questa
Ad uxorem - 52 -
obiezione Tertulliano sviluppa l’argomento per rinforzare la sua tesi, cioè del fatto che i
pagani sono a conoscenza della disciplina cristiana. Tertulliano poi si richiama alla legge
dell’arcano: i cristiani non devono rivelare ai pagani i loro propri riti che devono rimanere
segreti; questa legge vieta ai cristiani di rivelare a un non battezzato i misteri del sacramento.
Questo silenzio rafforza i sospetti dei pagani: la loro è una reazione normale. Su questa legge
dell’arcano, però, attraverso gli scritti del II secolo, si sa molto poco: ad esempio, con
Giustino nella sua apologia è descritta, senza alcuna difficoltà, la riunione eucaristica del
battesimo, da una parte, e la riunione domenicale, dall’altra. Questo dimostra che di questa
legge dell’arcano non se ne parla granché. Questa legge, allora, sarebbe stata formulata e
varata nella seconda metà del II secolo per cui l’apologia di Giustino sarebbe stata scritta
intorno al 150 d.C., mentre l’Ad Uxorem di Tertulliano sarebbe stato scritto nei primi anni
del III secolo. Poi, richiamandosi al pagano che non accetta quello che la moglie fa, anche di
nascosto, Tertulliano fa notare come il rapporto tra i due non sia più sereno ed armonioso;
anzi, sottolinea il fatto che la moglie tema il marito per dimostrare che il loro rapporto è privo
di ogni fiducia reciproca.
2) Nolite, inquit, margaritas vestras porcis 2) “Non gettate, dice il Signore, le vostre
iactare, ne conculcent eas et conversi vos perle ai porci, perché non le calpestino e poi
quoque evertant. Margaritae vestrae sunt si rivoltino per abbattere anche voi”. Le
etiam quotidianae conversationis insignia. Vostre perle sono anche i segni distintivi
Quanto curaveris ea occultare, tanto suspe- della vostra vita quotidiana. Più tu cercherai
ctiora feceris et magis captanda gentili curio- di nasconderle, più farai modo di renderle
sitati. sospette e desiderabili per la curiosità dei
pagani.
2) La vita quotidiana è fatta della testimonianza del cristiano che non deve temere i pagani.
Effettivamente i pagani si rendono conto che noi nascondiamo qualcosa: la curiosità nel senso
buono è l’inizio dell’ascesa; se nessuno dei nostri antenati non fosse stato curioso noi ci
troveremmo ancora ad essere primitivi.
Anche gli atti di pietà saranno visti dal marito pagano sempre con sospetto.
3) Latebisme tu, cum lectulum, cum corpu- 3)Potrai veramente nasconderti, quando
scolum tuum signas, cum aliquid immundum fai il segno di croce sul letto o sul tuo corpo,
flatu explodis, cum etiam per noctem exurgis quando tu puoi con un soffio cacciare via
oratum? Et non magiae aliquid videberis qualcosa d’impuro, come anche quando ti
operari? Non sciet maritus quid secreto ante alzi di notte per pregare?(E quando tu ti alzi
omnem cibum gustes? Et si sciverit panem, per pregare) non sembra che tu operi
non illum credet esse, qui dicitur? qualche atto di magia? Saprà il marito
qual’è questo cibo, prima di ogni altro? E
quando il marito sa che si tratta di pane, non
crederà che si tratta proprio di quel pane di
cui si parla?
3) La croce è il segno di distinzione del cristiano ed ha un’origine molto antica: molti testi
antichi ne parlano sovente come, ad esempio, gli Atti Apocrifi di Giovanni, che vengono
datati intorno al 125 o poco dopo e vengono situati, come luogo di origine, in Asia Minore,
dove la tradizione giovannea è rimasta viva. Già nella prima metà del II secolo c’è questa
usanza cristiana di farsi la croce o sugli oggetti o su se stessi. Secondo Tertulliano, verso la
fine del II secolo, il segno di croce indica un momento post-battesimale. Il segno della croce
lo troviamo pure attestato nella tradizione apostolica di Ippolito nel III secolo. L’autore
Ad uxorem - 53 -
Certe donne cristiane sono state defraudate perfino della loro dote.
4) Et haec ignorans quisque rationem simpli- 4) E nel caso che egli ignori tutto questo,
citer sustinebit sine gemitu, sine suspicione si accontenterà semplicemente di ascoltare
panis an veneni? Sustinent quidam, sed ut la ragione, senza lamentarsi, senza
inculcent, ut inludant huiusmodi feminis, sospettare se si tratti di pane o di veleno?
quarum arcana in periculum, quod credunt, Alcuni lo sopportano, ma per calpestarlo,
reservent, si forte laedantur sustinent (es), per prendere in giro donne di questo tipo,
quarum dotes obiectione nominis mercedem delle quali il segreto che credono in
silentii faciant, scilicet apud arbitrium pericolo, riserbano, nel caso che la loro
speculatorem litigaturi. Quod pleraquae non pazienza fosse dannosa per loro, delle cui
providentes aut re excru ciata aut fide perdita doti il fatto di essere cristiane fanno
recognoscere consuerunt. obiezione con il prezzo del silenzio, cioè
nell’intenzione di fare un processo davanti al
giudice che esaminerà il caso. La maggior
parte delle donne non prevede queste cose o
quando i loro pegni tolti loro con violenza
(morale) o quando avranno perduto la fede.
4) Per capire la mentalità del pagano che ha dinanzi a se un segreto per cui sospettare
fortemente, è bene mettersi nei suoi panni. Questo ci fa comprendere che le supposizioni di
Tertulliano sono molto malevoli nei riguardi del marito pagano: il silenzio della donna
potrebbe portare il pregiudizio al marito. Tertulliano pone poi l’accento sul ricatto del marito
verso la donna cristiana: secondo le usanze del tempo il marito, in caso di divorzio, ha
l’obbligo di restituire la dote alla moglie, ma per il fatto che la donna è cristiana pende su di
lei la minaccia che la dote stessa gli venga tolta. L’unico rimedio è il silenzio del pagano
come prezzo del ricatto in cambio della dote. Il fatto, poi, che il giudice sia chiamato ad
esaminare la questione potrebbe essere sufficiente per scoprire che la donna è cristiana. In
questo senso si può meglio comprendere il ricatto del marito, sicuro che prima o poi la donna
sarà condannata dal giudice per il fatto di essere cristiana. Tertulliano conclude il paragrafo
Ad uxorem - 54 -
portando la situazione agli estremi, dove si prevede o la perdita della fede o la perdita dei
beni di proprietà della moglie. Ecco il pericolo al quale si espone una cristiana quando sposa
un pagano.
CAPITOLO
- VI -
1) Il termine “turis” si richiama alla tradizione pagana di rendere culto alle divinità,
nonché all’imperatore, con l’incensazione. Tertulliano, poi, richiama l’attenzione all’antica
tradizione di fare i banchetti sdraiati sul letto nella sala da pranzo. Il senso del giudizio
anticipato della donna cristiana deriva dal fatto che ella non serve più i cristiani, ma i pagani.
Nelle rappresentazioni rinvenute nelle catacombe, tra l’altro, si scopre l’usanza di una coppa
comune che passava di mano in mano: è una testimonianza preziosa che ci dice come
realmente i banchetti si svolgevano, soprattutto tra i pagani. Generalmente erano le donne a
servire gli uomini, anzi, talvolta, era l’uomo a chiedere alla donna il servizio. I banchetti
venivano spesso accompagnati da canti e in particolari occasioni vi era anche l’orchestra al
completo, accompagnata da danzatrici e da cantrici o cantori.
gerium? Ubi divina benedictio? Omnia extra- citazioni della Scrittura? Dove il refrigerio
nea, omnia inimica, omnia damnata, adte- (conforto) dello Spirito? Dove la
rendae saluti a malo immissa. benedizione divina? Tutto è estraneo
(pagano), tutto è nemico, tutto è dannato,
inviato dal maligno per attentare la salvezza.
2) Tertulliano sviluppa una gradazione, partendo dall’ambiente del teatro, sino ad arrivare
all’inferno. Il rinfresco a cui l’autore si riferisce segue una tematica tutta spirituale prendendo
spunto dalle usanze antiche durante lo svolgimento dei banchetti, come, ad esempio, prendere
il vino tiepido e non fresco, come facciamo noi oggi.
[LP 9.]
CAPITOLO
- VII -
Se il matrimonio di una donna cristiana con un pagano rende la loro vita quotidiana assai
difficile, tale dovrebbe risultare pure la vita matrimoniale nel caso che, di due coniugi già
sposati, uno si converta alla fede. Per Tertulliano la soluzione comporta altri criteri: il primo
matrimonio suppone il venir meno a un precetto divino, il secondo gode invece del consiglio
di perseverare, con la possibilità del recupero perfino del coniuge non credente. Il capitolo si
chiude con la visione dei pagani in cerca di donne cristiane in vista di una ricca dote. Dettati
questi suggerimenti cautelativi, l’opera si conclude con la maggiore esaltazione della felicità
coniugale, tramandataci da tutta la patristica.
Ad uxorem - 56 -
Nelle difficoltà ora incontrate si trova pure il coniuge già sposato che si converte: come mai?
1) Haec si illis quoque evenire possunt, qui 1) Se questi pericoli possono accadere
in matrimonio gentili fidem adepti morantur, anche a quelle che hanno contratto il matri-
tamen excusantur: ut in ipsis deprehensi a monio pagano avendo trovato la fede vi
Deo et iubentur perseverare et sanctificantur rimangono, tuttavia sono scusate: infatti
et spem lucrationis accipiunt. Si ergo ratum essendo state prese da Dio in queste
est apud Deum matrimonium huiusmodi, cur condizioni ricevono l’ordine di perseverare
non et prospere cedat, ut pressuris et angustiis e sono santificate in questo matrimonio e
et impedimentis et inquinamentis non ita ricevono la speranza di guadagnare (alla)
lacessatur, habens iam ex parte divinae gratiae fede il proprio marito. Dunque se il
patrocinium? matrimo-nio contratto in queste condizioni è
approva-to da Dio, perché non dovrebbe
continuare in modo prospero, tanto da non
venire compromesso dalle afflizioni, dalle
angustie, dalle difficoltà e dalla immondizie,
avendo già il patrocinio della grazia di Dio?
1) Il termine “lucrationis” richiama alla 1Cor 7,17 e alla 1Pt 3,2, dove l’apostolo usa la
medesima parola, sempre con l’intento di guadagnare alla fede un pagano. In questo
paragrafo è abbastanza significativo che Tertulliano faccia elogio di un primo matrimonio fra
una donna cristiana ed un marito pagano, poiché c’è per la donna stessa la speranza di
guadagnare il marito alla fede. La singolarità di questa posizione non ci dovrebbe stupire
perché al suo tempo la maggior parte delle cristiane rientra in questo caso descritto da
Tertulliano stesso. Inoltre, un altro particolare da mettere in rilievo è il fatto che l’autore
contempli il matrimonio delle donne con i mariti pagani. Può darsi che sia il riflesso della
situazione storica del momento, dove il cristianesimo penetrò nel mondo pagano tramite le
donne. Questo giustifica la presenza di matrimoni misti. Saltuariamente abbiamo delle
controprove in autori non cristiani, dove possiamo vedere donne cristiane già in ambienti
abbastanza elevati nella società (I-II secolo). Tertulliano certamente ha voluto porre l’accento
su questo aspetto, però è molto più sorprendente il ragionamento che egli fa quando parla di
un secondo matrimonio: tutta la sua arguzia e la sua ingegnosità sono orientate a dimostrare
lo stato di inferiorità di questo secondo matrimonio. Il suo ragionamento è determinato
dall’esperienza rispetto a quello fatto nel primo libro mediante i principi evangelici.
2) Il termine “documentis”, non può essere tradotto con “documento”, ma come “segno” o
“espressione” di insegnamenti più o meno espliciti. Tertulliano usa in modo negativo il
termine “terrori”, come si può notare anche dal resto del periodo. Evidentemente un marito
pagano che diventa meno sospettoso e meno insistente, per Tertulliano è da considerarsi un
uomo toccato dalla grazia. Il termine “magnalia” potrebbe essere tradotto in “cose non
spiegabili” che destano meraviglia oppure, forse in una maniera meno precisa in “prodezze
del Signore”. In questo passo si può notare che tale esperienza può essere provata nel
matrimonio, quando si nota il cambiamento profondo del coniuge pagano. Nell’uso di questi
termini che sopra abbiamo si nota una certa gradualità. Ma quando Tertulliano afferma che il
pagano si è convertito per timore cosa vuol dire? Da una parte può indicare il “terrore” dei
pagani dinanzi all’esperienza del martirio dei cristiani che con la loro testimonianza di fede
non mostrano alcun segno di sofferenza, malgrado la tortura; questo “terrore” è
contraddistinto dal sospetto che ci siano dei demoni o chi sa quale altra potenza sovrumana;
oppure può riferirsi al “terrore religioso”, cioè lo stupore del pagano dinanzi a fatti
straordinari che lo inducono a cambiare. Si tratta di una reazione umana dinanzi a fatti
inspiegabili che a quel tempo era comune. L’apice di questa esperienza rimane la costituzione
di un nuovo rapporto tra Dio ed il pagano appena convertito. Effettivamente, Tertulliano
vuole tentare una spiegazione psicologica del comportamento del pagano e degli effetti della
conversione. Questa analisi che lo stesso Tertulliano fa appare abbastanza veritiera.
CAPITOLO
- VIII -
Per dare forza alla sua argomentazione, Tertulliano cita l’esempio della legge civile che
vieta alle schiave di sposarsi estranei alla loro casa. Vi sono invece donne cristiane che non
esitano a contrarre il loro matrimonio con gli schiavi del demonio. E a tale decisione esse
sono indotte dalla vanità e dal desiderio di appartenere alla società dei ricchi e dei privilegiati.
Vi sono a loro volta donne pagane che sposano uomini anche più poveri, al solo scopo però di
essere più libere nella loro licenziosità sfrenata. Una donna cristiana, nello sposarsi, dovrebbe
preferire un marito povero, ricco però della fede di Cristo. Dettati questi suggerimenti
cautelativi, l’opera si conclude con la maggiore esaltazione della felicità coniugale,
tramandataci da tutta la patristica.
Le leggi dei pagani vietano i matrimoni delle schiave con schiavi di altra famiglia.
1) Ad hoc quaeramus an iure, quasi revera 1) A questo proposito esaminiamo se a
dispectores divinarum sententiarum. Nonne buon diritto, ci disponiamo come inquisitori
etiam penes nationes severissimi quique dei decreti divini. Non è forse vero che
domini et disciplinae tenacissimi servis suis presso i pagani i padroni più severi ed
foras nubere interdicunt? Scilicet ne in attaccati alla loro disciplina negano ai loro
lasciviam excedant, officia deserant, dominica schiavi di sposare persone estranee alla loro
extraneis promant. Nonne insuper censuerunt casa (foras)? E questo appunto per impedire
servituti vindicandas quae cum alienis servis che cadano nella dissolutezza, non trascu-
post dominorum denuntiationem in consuetu- rino i loro doveri, lascino averi del loro
dine perseveraverint? Signore in mano ad estranei. Non è forse
vero, per di più, che gli stessi pagani hanno
deliberato di ridurre in schiavitù quelle
donne le quali dopo la denuncia dei loro
padroni, hanno perseverato nel matrimonio
con gli schiavi di un’altra casa?
Ad uxorem - 59 -
1) Non bisogna dimenticare che Tertulliano era un ottimo conoscitore del diritto romano
del tempo: questo è un punto forte del pensiero di Tertulliano, perché il medesimo autore si
richiama in modo preciso sulle usanze romane in merito al matrimonio degli schiavi. Egli
evidenzia il fatto secondo cui è proibito agli schiavi sposarsi con altri non appartenenti alla
casa del loro padrone per una questione puramente economica rappresentata dalla futura prole
che segue la donna, non il marito. Quindi, se uno schiavo sposa una schiava di un’altra casa
contravviene alla norma del diritto romano causando un danno al suo padrone. Tertulliano
richiama anche al contesto dei doveri a cui uno schiavo deve adempiere pur introducendo
termini con una certa reminiscenza cristiana. Infatti l’espres., “dominica” se sopra è stata
tradotta riferendosi ai padroni degli schiavi, potrebbe però anche avere un altro significato,
cioè che coloro che sono cristiani non devono fare in modo che i “segreti del Signore” non
vadano in mano a persone estranee ed indegne. Ma in realtà la traduzione va riferita al
padrone pagano. Ciò pone in evidenza una certa ambiguità nel linguaggio, propriamente
voluta, che Tertulliano usa per le sue argomentazioni. Tertulliano conclude il paragrafo
richiamandosi alle norme che il diritto romano stabilisce per il matrimonio tra gli schiavi. Il
senatus consultum detto di Claudiano che contempla la situazione delle donne libere che
sposano degli schiavi, donne libere che si dicono ingenue. Esso precisa che si tratta di una
cittadina romana o di una cittadina latina che appartiene ad uno stato sociale piuttosto elevato.
Si tratta in effetti di matrone. Se una donna libera di quel tipo vive secondo un matrimonio
che non sia quello stabilito dal rito romano tradizionale, crea una situazione di disagio nella
famiglia di appartenenza, per cui è stabilito che essa debba essere ridotta allo stato di
“ancilla” (o serva), perché si è sposata uno schiavo, proprio nella casa del padrone, dove il
suo nuovo consorte presta servizio come servo. La legge romana ha anche lo scopo di
preservare l’integrità del patrimonio del padrone, mentre il contubernio o convivenza, quando
è approvata dal padrone ha valore di matrimonio. Questa situazione doveva essere abbastanza
frequente tra il II ed il III secolo, perché soprattutto il problema si pose nelle due grandi città:
Roma e Cartagine. Sembra che a Cartagine il problema si sia posto probabilmente quando
Tertulliano scrisse il suo trattato dal titolo De pudicitia, tanto da renderlo noto nel medesimo
trattato. Nel medesimo tempo la polemica scoppiò a Roma, di cui ne parla Ippolito nelle sue
(filosophumena). Tertulliano è molto polemico perché non ammette volentieri la validità di
un tale contubernio che può essere sciolto rispetto ad un matrimonio ratum. Nel De pudicitia
Tertulliano accusa il vescovo di Cartagine di benedire unicamente degli adulteri. Rimane
difficile valutare i motivi inerenti la diffusione di un tale matrimonio e quale incidenza abbia
avuto nel cristianesimo. Certamente se si ricorda che Paolo proclama l’uguaglianza dei due
sessi, allora non c’è nessun motivo che impedisca i cristiani a sposarsi tra di loro, poiché non
c’è né schiavo, né libero, ecc. Il padrone che constata un matrimonio tra il suo schiavo ed una
donna non appartenente alla sua casa, secondo quello che il Senatus consultum stabilisce, ha
l’obbligo di denunciare il fatto. Forse è questo il motivo per il quale, se si osservano i §§ 1 e
2 del capitolo VIII, è ripetuto un medesimo termine, anche se con una leggera sfumatura
(denuntiationem nel 1° par. e denuntiantum nel 2° par.). Tale termine è usato nel senso
tecnico, perché Tertulliano fa appello al diritto romano.
2) Tertulliano vede se c’è una differenza giuridica nella situazione dei cristiani sposati con
i pagani e quella dei pagani che si sposano con i cristiani in contraddizione con le loro leggi.
Tra, l’altro, Tertulliano fa notare anche sul fatto che non ci sia differenza, sul piano giuridico,
tra un cristiano sposato con una schiava e di una pagana sposata con uno schiavo:
diversamente ci sarebbe una differenza nelle conseguenze giuridiche in merito al matrimonio.
Effettivamente questo ragionamento dell’autore appare ineccepibile, ma il problema è se la
legge e le costumanze cristiane non stiano per cambiare le usanze e la legislazione pagane.
Certamente al tempo di Tertulliano tale evoluzione non è ancora ben visibile perché bisognerà
attendere due secoli affinché questa nuova situazione trovi una conferma giuridica nella
registrazione civile (vedi ad es., il codice teodosiano). Il fatto è che la progressiva
permeazione del vecchio diritto romano al nuovo spirito cristiano richiede un tempo
relativamente lungo. Ci troviamo, dunque, in un momento storico in cui questo processo
inizia, in base anche alle prime testimonianze di una tale evoluzione. Per tale motivo la
testimonianza di Tertulliano appare importante, anche se dobbiamo disporla in due momenti
diversi della sua vita, prima e dopo la sua adesione al montanismo. Il problema si noterà già
nel 200 e non si esaurirà nel 220 perché rimarrà nei medesimi termini. La posizione di
Tertulliano nel frattempo si irrigidisce, per la sua adesione sempre più profonda al
montanismo. In questo senso, però, non possiamo segnare le diverse tappe di questa
evoluzione attraverso i testi tertullianei. Ritornando più strettamente al testo effettivamente,
quando parla del fatto di negare che non sia stata concessa a loro questa possibilità, relativa
al matrimonio di un cristiano con un pagano, in Paolo non c’è alcun accenno a questa
situazione, ma l’apostolo dice semplicemente che in Cristo non vi è più alcun servo, né
schiavo, né libero, né padrone, né Greco, né pagano, né circonciso, né incirconciso, per
sottolineare che non ci sarà alcuna differenza sociale tra i membri della comunità cristiana.
Ma se cerchiamo di comprendere bene la parola di Paolo nel suo concreto contesto, essa non
ha affatto una forma di un comandamento, ma è piuttosto un’esortazione ed invita i cristiani a
non fare differenze fra di loro. Si tratta di una riflessione dell’apostolo a proposito della
nuova situazione del cristiano. In ciò consiste la nuova libertà del cristiano nei riguardi della
legge ebraica, non quella romana, perché Paolo ragiona in special modo sulla legge mosaica.
Questo contesto biblico è importante per capire l’espres. che troviamo in questo paragrafo: “a
Domino per apostolum eius denuntiatum”. Visibilmente c’è un’allusione a certi passi delle
lettere paoline. Tertulliano conclude questo paragrafo con una domanda di fondo legata all
fede debole di coloro che non sono capaci di resistere alle tentazioni del mondo:
evidentemente sembra che Tertulliano agisca e pensi di nuovo da moralista, anziché
richiamarsi all’esperienza umana comune. Qui rimane difficile distinguere in Tertulliano
questi diversi aspetti della sua posizione, cioè dall’essere il difensore della novità e
dell’identità del cristianesimo nei confronti dell’ebraismo e del paganesimo, all’agire da
giurista, come perfetto conoscitore del diritto romano, e all’essere un moralista, come
conoscitore dell’animo umano e come colui che voglia far tesoro di tutte le esperienze
comuni del tempo. Da questi diversi aspetti della personalità di Tertulliano ci è consentito
comprendere meglio quelle posizioni un po’ estremiste che egli assumerà nei riguardi della
morale cristiana.
Ad uxorem - 61 -
3) In questo paragrafo si può avere una maggiore idea di come il cristianesimo sia
effettivamente penetrato nei diversi strati della società pagana. A tale riguardo, almeno una
decina di anni fa, uno studioso tedesco, di nome Schöllgen, ha fatto uno studio ed un’analisi
sui diversi strati della società pagana ai quali appartenevano i cristiani della comunità di
Cartagine al tempo di Tertulliano, scrivendo poi un’opera dal titolo “Ecclesia sorgita” e con
un sottotitolo in tedesco che spiega l’argomento in questione. Una cosa interessante che
emerge da questi studi parte dal fatto che gli equites, la seconda classe sociale più elevata, già
nei due secoli anteriori al cristianesimo e nei primissimi secoli dell’Impero, hanno fornito
uomini esperti in finanze, dei banchieri e dei pubblicani, cioè coloro che erano incaricati di
riscuotere le tasse e le imposte dello Stato, perché non vi era una struttura sociale atta a
svolgere questo tipo di ufficio. Il più delle volte lo Stato delegava tale compito a delle società
private, se così possiamo chiamarle. Questo aspetto rimane interessante per fare un confronto
tra i peccatori ed i pubblicani e per meglio comprendere quale reale rapporto ci fosse
realmente tra i cristiani ed i pagani. Non dimentichiamo che gli equites presero il nome dal
fatto che lo Stato metteva a loro disposizione un cavallo pubblico, come una macchina blu al
tempo di oggi, in riconoscenza del loro stato sociale. Un altro aspetto è legato al titolo di
matrona che a quel tempo era molto ambito, perché indicava la donna appartenente ad uno
strato sociale molto elevato ed in condizioni molto agiate, nella cui casa c’è un ampio spazio
per le sue attività. Il termine “ambitio” potrebbe, in effetti, indicare un settore politico, la
magistratura ufficiale, anche se non riguarda il caso specifico della matrona. Se Tertulliano
adopera questa parola è perché vuole far notare una pari dignità tra la donna ed il suo marito,
come magistrato o proconsole. In merito poi al ricco, l’espres., “ac si quis est, difficile
caelebs” è una battuta piuttosto inaspettata perché, da una parte, Tertulliano è sposato,
mentre, dall’altra, i celibi non furono mai visti bene dalla società antica perché erano
considerati delle persone improduttive della società stessa, anzi su di loro pesavano gravi
oneri di natura finanziaria. Ritornando agli usi del tempo Tertulliano fa anche notare che le
mule o le lettighe erano un segno distintivo delle persone di rilievo: l’autore le ha volute
portare come esempio per creare un contrasto con la frase che conclude il paragrafo. In
sostanza il verbo “praestet” è un ottativo che esprime un voto che spesso non viene esaudito
poiché per il cristiano sarebbe un disonore assecondare tutte queste comodità anche se avesse
la possibilità economica di farlo. In questo senso Tertulliano vuole porre in evidenza tutti i
Ad uxorem - 62 -
vantaggi che si potrebbero trarre da un matrimonio pagano che sono lontani dall’ideale
cristiano.
[LP 10.]
LEZIONE CONCLUSIVA
AD UXOREM DI TERTULLIANO.
Molte donne pagane si procurano un marito di rango inferiore per non subire alcun limite
alla loro licenziosità sfrenata.
4) Quaeso te, gentilium exempla proponas 4) Ti prego, di mettere sotto i tuoi occhi
tibi. Pleraeque et genere nobiles et re beatae gli esempi di (donne pagane). Molte di esse e
passim ignobilibus et mediocribus simul di genere nobile ed economicamente
coniunguntur aut ad luxuriam inventis aut ad fortunate si uniscono qua e là con uomini di
Ad uxorem - 63 -
4) Se nel § 3 Tertulliano pone in evidenza tutti i vantaggi possibili che si possono trarre da
un matrimonio pagano, in questo paragrafo egli fa notare come in certe donne sia sfrenata la
voglia di sfogare la propria libidine, in contrapposizione di coloro che essendo cristiani e
sposando persone più povere, appartenenti alla medesima fede, potranno essere più ricchi.
Evidentemente Tertulliano gioca su una doppia ricchezza, cioè quella materiale, da una parte,
e quella spirituale, dall’altra. Quella maggiore ricchezza di cui parla è riferita alle donne che
non si sposano per interesse, ma è l’amore veramente a guidarle in quella scelta: lo sposare un
uomo più povero rimane l’esempio più concreto per far notare al lettore la maggiore
importanza che le ricchezze spirituali hanno rispetto a quelle materiali.
Una donna cristiana ricca dovrebbe preferire un marito cristiano povero, ma ricco di Dio.
5) Nam si pauperum sunt regna caelorum, 5)Infatti se il regno dei cieli è dei poveri,
divitum non sunt, plus dives in paupere (appartiene ai poveri) non è dei ricchi,
inveniet; maiore dote dotabitur de bonis eius, quindi una donna ricca troverà più ricchezza
qui in Deo dives est. Sit illa ex aequo in terris, in un povero; troverà una dote maggiore dei
quae in caelis forsitan non erit. Diubitandum suoi beni, in colui che è ricco in Dio. Sia
et inquirendum et identidem deliberandum questa donna (letteralm. “su un piano di
est, an idoneus sit invectis dotalibus cui Deus uguaglianza”) sullo stesso piano in terra,
censum suum credidit? mentre forse non lo sarà nei cieli. C’è da
interrogarsi, da ricercare, da desiderare e
da deliberare, per sapere se il marito sia
adatto in vista della dote mentre è Dio che
gli ha affidato la sua fortuna?
6) C’è in questo paragrafo un gioco retorico per designare il matrimonio cristiano, cioè un
matrimonio che la Chiesa stessa regola. Il problema è di sapere se i temi sopra accennati
corrispondono a delle realtà al tempo di Tertulliano, o meglio se questi, già allora, designano
un intervento preciso della Chiesa nel matrimonio dei cristiani. Non manca da parte nostra la
tentazione di paragonare questo matrimonio a quello di oggi, ma ciò ci porterebbe a fare dei
gravi errori, perché se c’è una istituzione umana fortemente influenzata dall’ambito
sociologico è proprio il matrimonio. Letteralmente, riprendendo il contesto del paragrafo, con
l’espres., “conciliat” si potrebbe tradurre la Chiesa che combina, che arrangia il matrimonio:
questo di fatto avveniva nella società antica attraverso il pater familias o per mezzo di
un’altra persona di una responsabilità pari. Effettivamente il pater familias comminava il
matrimonio della figlia che raramente aveva la possibilità di esprimere la propria scelta: ciò
era il costume del tempo, per cui il quesito che rimane è di sapere se la Chiesa interveniva in
tali situazioni. Certamente la Chiesa non era e non è un’agenzia matrimoniale. Tutto questo
vuol semplicemente dire che certe regole morali esprimevano certe condizioni, relative al
matrimonio cristiano, che la Chiesa stessa esprimeva. L’oblatio designa invece il sacrificio
eucaristico del quale è una sola parte, anche se si delinea nell’insieme dell’Eucaristia, cioè il
totum con una parte. Ma come intendere questa oblatio? Considerando che a quel tempo non
si aveva un quadro matrimoniale preciso, l’oblatio non può essere pensato come un atto
preciso del modo di combinare un matrimonio secondo i nostri schemi attuali. Il rituale
matrimoniale, come lo conosciamo oggi, allora non esisteva. Quello che, invece, possiamo
pensare è che il matrimonio dei cristiani, per portarlo normalmente alla conoscenza della
comunità cristiana, deve per forza essere un atto pubblico, per il quale la stessa comunità, al
momento della celebrazione eucaristica, ne prende atto e rende partecipi gli sposi novelli
all’oblazione, come segno di confermazione, anche se in modo non esplicito. L’espressione
che segue, “obsignat benedictio”, potrebbe significare un rito di benedizione matrimoniale,
soprattutto quando Tertulliano arriva a parlare degli angeli che annunciano il matrimonio,
anche se si tratta di una formulazione illusoria. Progressi-vamente, nello sviluppo di questo
periodo, Tertulliano passa da dei fatti di natura concreta, legati alla vita quotidiana, a delle
realtà di natura spirituale che non sono più percepibili con gli occhi materiali, ma soltanto con
gli occhi della fede. Gli studiosi che hanno voluto trovare in questo passo un rito
matrimoniale, anche solo in nucleo, si può credere che abbiano forzato il testo. Quello che
invece può essere veramente accaduto è il fatto che autori posteriori (es. il decreto di
Graziano) si siano ricordati di questo testo per vedere delle allusioni alla situazione del XII
secolo: oggettivamente la prassi matrimoniale prendeva delle forme canoniche fisse e precise,
anche se ci è voluto un certo tempo affinché l’istituzione matrimoniale arrivasse a questa
formula giuridica, perché al tempo di Tertulliano i cristiani seguivano le costumanze della
società del tempo, ma con la particolarità che il loro matrimonio, essendo conosciuto dalla
comunità, veniva approvato. Circa l’ipotesi che si tratti di un’approvazione esplicita o
implicita vi è una variata gamma di possibilità. Tertulliano farà notare che nel mondo pagano
il matrimonio seguiva già un ordinamento ben preciso, concluso normalmente con atto
religioso sacrificale davanti alle divinità domestiche, mentre per i cristiani con atto non
Ad uxorem - 65 -
sacrificale. A questo punto preciso, allora, possiamo pensare alla partecipazione eucaristica
dei novelli sposi. Non è però necessario che questa conclusione segua immediatamente il
matrimonio, ma piuttosto possa trattarsi di una conclusione al momento della celebrazione
domenicale. Questi passi non gli dobbiamo interpretare in modo troppo letterale per trovare a
tutti i costi in Tertulliano delle cose secondo il nostro modo di pensare, anche perché a quel
tempo erano molto diverse.
7) Quale iugum fidelium duorum unius 7) Quale coppia i due fedeli che condivi-
spei, unius voti, unius disciplinae, eiusdem dono la stessa, speranza, lo stesso voto, la
servitutis. Ambo fratres, ambo conservi; nulla stessa disciplina, la medesima servitù. Tutti e
spiritus carnisque discretio, atquin vere duo due fratelli, ambedue schiavi dello stesso
in carne una. Ubi caro una, unus et spiritus: padrone; non c’è alcuna distinzione dello
simul orant, simul voluntantur, simul ieiuinia spirito o della carne, al contrario sono
transigunt, alterutro docentes, alterutro exhor- veramente due in una sola carne. Dove vi è
tantes, alterutro sustinentes. una sola carne, vi è anche lo spirito: insieme
pregano, insieme si prostrano (davanti a
Dio), insieme compiono il digiuno, si
istruiscono a vicenda, si esortano a vicenda,
si sopportano reciprocamente.
8) In ecclesia Dei pariter utrique, in 8) Nella Chiesa di Dio la parità è per tutti
convivio Dei, pariter in angustiis, in e due, la stessa uguaglianza nella cena del
persecutionibus, in refrigeriis. Neuter alterum Signore (banchetto), la stessa uguaglianza
celat, neuter alterum vitat, neuter alteri gravis nelle angosce, nelle persecuzioni, nelle con-
est. Libere aeger visitatur, indigens sustenta- solazioni. Nessuno dei due nasconde qualco-
tur. Elemosinae sine tormento, sacrificia sine sa all’altro, nessuno dei due evita l’altro e
scrupulo, quotidiana diligentia sine impedi- nessuno dei due è a carico dell’altro.
mento; non furtiva signatio, non trepida Liberamente è visitato il malato, ed aiutato il
gratu-latio, non muta benedictio. Sonant inter povero. Fanno l’elemosina senza tormentar-
duos psalmi et hymni, et mutuo provocant, si, i sacrifici senza scrupolo, i doveri quoti-
quis melius Domino suo cantet. Talia Christus diani senza impedimento; non un furtivo
videns et audiens gaudet. His pacem suam segno di croce, nessuna manifestazione
mittit. Ubi duo, ibi et ipse; ubi et ipse, ibi et agitata di gioia (senza simulazioni), nessuna
malus non est. benedizione che non sia ad alta voce. Fra
loro cantano (letteralm. “risuonano”) salmi
e inni, si provocano a vicenda, chi canterà
meglio in onore del suo Signore. Quando
vede e sente queste cose Cristo se ne
Ad uxorem - 66 -
9) Haec sunt, quae apostoli vox illa sub 9) Sono questi, i pensieri (suggerimenti) che
brevitate intellegenda nobis relinquit. Haec l’apostolo ci ha lasciato intendere brevemen-
tibi suggere, si opus fuerit. His te ab exemplis te. A questi ti devi ispirare se fosse
quarumdam reflecte. Non licet aliter fidelibus necessario. Con queste parole rifletti e
nubere, et si liceret, non expediret. allontanati dall’esempio di certe donne. Ai
cristiani non è permesso di sposarsi in modo
diverso e se fosse permesso non converrebbe.
_________Note personali di
Studio_______________________________________________