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In quel periodo dell'anno in cui la natura si veste del caldo colore dell'oro, la testa bassa, il capo
coperto e il mantello stretto attorno al corpo; due figure percorrono la strada di ciottoli che conduce
a Chalridge.
La prima esile e aggraziata, la seconda ben più imponente e pesante, malgrado molto bassa, il passo
di entrambi intralciato dalle pozzanghere lasciate dalla pioggia che ha accompagnato il pomeriggio.
Le strade del borgo sono fangose e poco illuminate ma la locanda è l'edificio attorno al quale si
forma, quindi facilmente individuabile.
Calato il sole, con gli abiti umidi e il vento pungente, i due viandanti sono molto sollevati
nell'entrare al tepore della locanda.
Frettolosamente tolgono i mantelli e si avvicinano al camino a riprender calore.
Un piccolo gruppetto di bambini e raccolto attorno ad un vecchio cantastorie, incantati dalle sue
parole.
Quando i piccoli vedono i due forestieri ne vengono subito rapiti ma presto ritornano all'ascolto.
Il primo bassissimo, tozzo, con muscoli possenti, rozzo nei movimenti e con un'enorme ascia sulla
schiena, l'altra, una ragazza dai capelli scuri e gli occhi d'argento, uno stocco al fianco, di
corporatura esile e i modi eleganti.
Ripreso calore si accomodano al tavolo più vicino e la ragazza passa al bancone ad ordinare birra ed
arrosto.
Mangiano in silenzio e ascoltano il cantastorie.
Non sono gli unici forestieri, ne sono presenti molti ma solo altri due altrettanto pittoreschi: una
ragazza dai capelli fulvi, gli occhi di foglia, minuta e graziosa, accompagnata da un ragazzo moro
con abiti sgargianti e un fare accattivante, un arco ed una faretra giacciono accanto al loro tavolo.
La serata scorre tranquilla tra canti, risate e le urla dei bambini sul finale da brivido di “La Bambina
e le Oche”.
Chiusa la cucina e riposte le otri, tutti rientrano a casa, chi tra i fumi dell'alcol chi col pargolo tra le
braccia, domani ci saranno i preparativi per la grande festa di fine per l'ultimo raccolto dell'anno.