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PRINCIPI GENERALI

C’era una volta…… Charles Dow (più noto, in binomio con Jones, per la creazione dell’indice
Dow-Jones) il quale paragonava gli andamenti di Borsa alle maree.

Come, infatti la progressiva accentuazione o il progressivo indebolimento delle successiva ondate


rivela una fase di alta marea o una di bassa marea, così un indice di Borsa o il prezzo di un titolo,
tradotto in grafico, rispecchia un ciclo al rialzo quando le fluttuazioni successive toccano punte
sempre maggiori e, viceversa, rispecchia un ciclo al ribasso quando le fluttuazioni successive
toccano livelli sempre minori.

Questa concezione rappresenta la prima pietra di quell’edificio che va sotto il nome di “analisi
tecnica di borsa” e racchiude in sé, nella sua estrema semplicità, il germe di tutte le evoluzioni che si
sono succedute fino a oggi.

Emergono, principalmente, due concetti basilari:

- la possibilità di rilevare l’esistenza di una tendenza attraverso l’osservazione di una


successione di picchi e avvallamenti crescenti (tendenza al rialzo) o decrescenti (tendenza al
ribasso);

- lo sganciamento dello studio dei prezzi dall’esame dei fattori economici, sociali, ambientali, ecc.
che incidono sulla loro formazione.

Quest’ultimo aspetto, in particolare, caratterizza l’analisi tecnica sulla base del principio che i
prezzi scontano tutto: non solo gli aspetti economici di fondo, ma anche speranze, paure, umori,
razionali e irrazionali, dei compratori e dei venditori; tutti fattori che, normalmente, sono
ritenuti inquantificabili ma che, invece, alterano sistematicamente e significativamente il valore
teorico di un bene quotato.

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TREND

Premessa

La tendenza o trend non è altro che la direzione lungo la quale si muove il grafico delle quotazioni di un
bene finanziario.

Di norma, il movimento presenta una serie di oscillazioni che possono rendere poco evidente questa
direzione di marcia se non si definiscono prima le regole interpretative.
Se si osserva l’andamento di un grafico di lungo periodo, diciamo di più anni, si può rilevare, all’interno
di una tendenza di massima ben definita, l’esistenza di finestre temporali ridotte durante le quali il
movimento si sviluppa in direzione opposta a quella principale; se si scende ancora in maggiore dettaglio
si possono osservare ulteriori movimenti in controtendenza rispetto a quelli precedenti; e così via.

Tutto questo significa che l’individuazione di una tendenza non può prescindere dalla preventiva
definizione dell’arco temporale di osservazione: ciò che, ad esempio, può apparire come una tendenza al
ribasso di breve periodo, se guardata in un quadro più generale, si rivelerà probabilmente come una
semplice correzione temporanea di una tendenza al rialzo di più lungo periodo.

Trendlines

Una volta stabilito quale deve essere l’ambito di osservazione, si adotta generalmente una tecnica molto
semplice per l’evidenziazione della tendenza da rilevare: si uniscono con una retta più punti di minimo
relativo in caso di movimento ascendente o più punti di massimo relativo in caso di movimento
discendente. Queste rette prendono il nome di trendlines o linee di tendenza.

Naturalmente, una volta tracciata la trendline, può accadere che il movimento, pur mantenendo la stessa
direzione, accentui significativamente angolazione accelerando. Sta alla sensibilità dell’analista la
decisione sull’opportunità di mantenere la vecchia trendline o di tracciarne una nuova. Normalmente, a
meno che non si vogliano rilevare tendenze di periodo minore rispetto a quello sotto osservazione, si
provvederà a tracciare una nuova trendline solo se le nuove oscillazioni presentano all’incirca la stessa
ampiezza di quelle precedenti; in caso contrario sarà opportuno considerarle come movimenti minori
nell’ambito di un trend più ampio.

Un grafico che viola o, come più comunemente si dice, perfora la trendline segnala un esaurimento del
trend in atto. Pertanto, un trend si considera esaurito se il grafico scende sotto il livello della trendline nel
caso di movimento ascendente o sale sopra il livello della trendline nel caso di movimento discendente.

Per quanto detto prima, naturalmente, l’esaurimento di un trend di una determinata ampiezza rappresenta
la ripresa del trend di ampiezza superiore: la fine di un trend in discesa da un mese significa ripresa del
trend rialzista di un più lungo periodo.

Canali

Si usa spesso tracciare una parallela alla trendline facendola passare per almeno un punto di massimo se la
trendline è ascendente o un punto di minimo se la trendline è discendente.

Si ottiene, così, un canale la cui logica interpretativa è identica a quella delle trendlines.
Il canale dà, in più, la visione dell’ampiezza delle oscillazioni e, quindi, la possibilità di valutare lo
spessore del mercato. Canali più ampi, infatti, derivano da un maggiore spessore del mercato e sono
solitamente riferiti a periodi temporali più lunghi; pertanto, proprio perché maggiormente consolidati,
riflettono maggiori probabilità di persistenza del trend.

Viceversa, canali ristretti, specie se particolarmente ripidi, risultano abbastanza fragili e poco affidabili.

Osservazioni

Può accadere, naturalmente, che il valore quotato del quale si traccia l’andamento si snodi, tra alti e bassi,
in direzione laterale. La scarsa direzionalità prende il nome, in tal caso, di congestione, ma restano
ugualmente validi i concetti sopra esposti.

SUPPORTI E RESISTENZE

Definizione
Nel grafico delle quotazioni di un valore finanziario si possono rilevare dei livelli di prezzo che, in
qualche maniera, ostacolano il proseguimento della tendenza in corso: questi ostacoli prendono il nome di
supporti e resistenze.

In altri termini, il supporto non è altro che un livello che si oppone al proseguimento di un trend
discendente: visivamente, si può osservare che il grafico arresta la sua discesa, tentenna, rimbalza una o
più volte per poi invertire la rotta o proseguire definitivamente nella direzione iniziale; in questo secondo
caso, la violazione del supporto racchiude implicazioni fortemente negative per il successivo andamento
delle quotazioni, dal momento che le forze che si opponevano all’ulteriore discesa vengono sconfitte.

Ribaltando il concetto, la resistenza è un livello di prezzo che ostacola il proseguimento di un trend


ascendente: in prossimità di una resistenza, il grafico arresta la sua ascesa, tentenna, rimbalza una o più
volte all’ingiù prima di ridefinire la direzione di marcia; così come per il supporto, anche la violazione di
una resistenza implica delle conseguenze, questa volta positive, dovute alla sconfitta delle forze che si
opponevano all’ascesa dei prezzi.

Tipologie

Si possono individuare diversi tipi di supporti e resistenze, tutti con le stesse implicazioni appena viste.

Un primo tipo è costituito da un livello di prezzo che, nell’esame della serie storica, ha più volte dato
prova di impedire il proseguimento della tendenza. In questi casi, l’efficacia del supporto o della
resistenza è tanto maggiore quanto più è recente la sua presenza nella serie storica, soprattutto se il
fenomeno si è ripetuto più volte nel tempo. La sua efficacia, inoltre, sarà ancora maggiore se, nel passato,
il freno alla tendenza in atto si è manifestato in presenza di volumi consistenti.

Oltre a questi livelli, statici, possono essere individuati anche livelli dinamici, sia di supporto che di
resistenza, i quali svolgono la stessa funzione di quelli appena visti. Così è, ad esempio, per una trendline.
Le linee di tendenza, infatti, assolvono per definizione a una funzione di delimitazione della tendenza in
corso e, di conseguenza, a una funzione di supporto, se la trendline è ascendente, o di resistenza, se la
trendline è discendente.

Anche una media mobile delle quotazioni, della quale parleremo nel capitolo relativo all’analisi
algoritmica, si può opporre, con gli stessi effetti, a un ulteriore sviluppo dell’andamento in corso.

Efficacia
Benché supporti e resistenze svolgano un ruolo primario nell’esame dei grafici dei prezzi, è necessario
puntualizzare che la loro corretta individuazione non è sempre agevole a causa della mancanza di punti
realmente oggettivi che ne costituiscono la base.

Persone diverse tendono a tracciare trendlines su punti di svolta diversi, a costruire medie mobili con
parametri diversi, a individuare livelli statici di prezzo sulla base della propria esperienza e degli obiettivi
temporali dei propri investimenti.

Tutto questo, pur non sminuendo la validità dei supporti e delle resistenze, ne subordina la reale efficacia
segnalatoria alla competenza dell’analista.

In considerazione della natura propedeutica di questi appunti, non è il caso di addentrarsi nell’esame delle
motivazioni che portano alla formazione di supporti e resistenze e nell’analisi dei fattori che ne
giustificano l’attendibilità. E’ sufficiente sapere che, il più delle volte, si tratta di motivazioni di carattere
psicologico che spingono la massa degli investitori a reagire a certi stimoli in maniera uniforme; inoltre, la
conoscenza del fenomeno talvolta costituisce di per sé stessa causa di determinati comportamenti

ANALISI GRAFICA
Principi di base

Uno dei dogmi dell’analisi tecnica si fonda sul principio che la storia ripete sé stessa.

Partendo da questo assunto, viene spontaneo ipotizzare che alcuni comportamenti si riproducano con
sistematicità rendendo possibile, se individuati in tempo, la formulazione di ipotesi sulla successiva
evoluzione.

La branca dell’analisi tecnica che si dedica allo studio di questi patterns ripetitivi, detta analisi grafica o
chartismo, individua, nei grafici dei prezzi, alcune figure standard alle quali assegna dei significati ben
precisi.

Prima di descrivere le più importanti occorre precisare che, in relazione alla evoluzione normalmente
manifestata nel tempo, queste figure possono assumere caratteristiche di:

 consolidamento

 inversione

Le figure di consolidamento si formano nel corso di una fase di assestamento, in attesa che le quotazioni
riprendano la tendenza originaria o invertano il loro andamento.

Le figure di inversione, invece, si formano al culmine di una tendenza definita e anticipano l’avvio di un
movimento contrario.

Figure di consolidamento: triangoli

Si formano con successive oscillazioni del grafico all’interno di due rette che delimitano massimi e
minimi convergenti.

Si distinguono in tre tipi:

a) simmetrici, caratterizzati dall’esistenza di due trendlines convergenti, inclinate nella stessa misura ma
in direzione opposta;
b) ascendenti, caratterizzati dall’esistenza di una retta di supporto ascendente e di una di resistenza
orizzontale; hanno carattere previsivo prevalentemente rialzista;
<![endif]>

c) discendenti, caratterizzati dall’esistenza di una retta di resistenza discendente e di una di supporto


orizzontale; hanno carattere previsivo prevalentemente ribassista.

A prescindere dal tipo di triangolo in corso di formazione, solo la perforazione del supporto o della
resistenza può dare indicazioni sulla futura evoluzione della tendenza.

Figure di consolidamento: bandiere

Si formano, dopo una forte espansione del trend sottostante, con uno sviluppo temporaneo del grafico
all’interno di un canale orientato in direzione contraria a quella del trend principale, la cui ripresa ha
origine solo con la perforazione del lato del citato canale opposto a quello della pendenza.<![endif]>
Figure di consolidamento: rettangoli

Sono caratterizzati da una serie di oscillazioni del grafico all’interno di due rette parallele orizzontali. E’
la perforazione del supporto (parallela inferiore) o della resistenza (parallela superiore) che fornisce
indicazioni in merito alla futura evoluzione della tendenza.
Figure di inversione: testa e spalle - testa e spalle rovesciato

La più nota figura di inversione prende il nome di testa e spalle.

Nel corso di un trend rialzista, il grafico ripiega formando un primo picco, la spalla sinistra.
Successivamente, i prezzi riprendono a salire portandosi al disopra del primo picco prima di ripiegare
approssimativamente a livello del precedente avvallamento; il nuovo picco prende il nome di testa. Infine,
i prezzi hanno un’ultima impennata, fino a un livello più basso di quello della testa, per poi ripiegare una
terza volta formando così la spalla destra.

La figura, a questo punto, non è ancora confermata. Perché si abbia conferma della inversione della
tendenza in corso è necessario tracciare una retta passante per i primi due minimi, la linea del collo o
neckline; solo dopo che il grafico avrà perforato verso il basso questa linea si potrà considerare avviata
una nuova tendenza ribassista. Occorre tenere presente peraltro che, solitamente, dopo essere sceso al
disotto delle neckline, il grafico rimbalza provvisoriamente a livello della stessa neckline prima di
riprendere definitivamente la strada del ribasso.

Specularmente al testa e spalle, si può parlare di testa e spalle rovesciato quando l’analoga figura si forma,
all’inverso, al termine di una tendenza ribassista.
Figure di inversione: doppio massimo - doppio minimo

Il doppio massimo si forma al culmine di una tendenza rialzista con l’apparizione di un primo
ripiegamento, un successivo rimbalzo a livello del precedente picco e, infine, un ultimo ribasso al disotto
del supporto passante per l’avvallamento formatosi tra i due picchi. Solo la perforazione di tale supporto
costituisce conferma dell’avvenuta inversione di tendenza. Peraltro, così come visto anche per il testa e
spalle, è frequente rilevare la presenza di un rimbalzo del grafico fino a livello del precedente supporto,
ora resistenza, prima dell’avvio definitivo della nuova tendenza ribassista.

Specularmente al doppio massimo, si può parlare di doppio minimo quando l’analoga figura si forma,
all’inverso, al termine di una tendenza ribassista.

Figure di inversione: triplo massimo - triplo minimo

Il triplo massimo presenta le caratteristiche, congiunte, del testa e spalle e del doppio massimo. Anche il
triplo minimo, ovviamente, presenta le caratteristiche del testa e spalle rovesciato e del doppio minimo.
Osservazioni

Le figure esaminate sono solo alcune, le principali, tra quelle individuate dai chartisti. Caratteristica
comune è che esse rappresentano sempre la lotta in atto tra rialzisti e ribassisti e trovano conferma solo
con la perforazione dei livelli di supporto o di resistenza tipici di ciascuna di esse.

ANALISI ALGORITMICA

Premessa

Con l’avvento dei computers, l’analisi tecnica ha fatto un enorme balzo in avanti: non solo grazie alla
possibilità di tracciare istantaneamente quei grafici che, prima, dovevano essere disegnati con righello e
matita, ma anche e soprattutto per la possibilità di manipolare quantità enormi di dati e di estrarre da essi
informazioni di vario tipo attraverso la costruzione di specifici indicatori.

Per la verità, alcuni di questi indicatori erano stati ideati tempo prima dell’era informatica, ma solo
successivamente si è resa possibile sia la loro sofisticazione che la loro diffusione di massa. Solitamente
non vengono utilizzati, singolarmente, in chiave operativa ma hanno funzioni di supporto all’esame dei
grafici; in alternativa, se utilizzati congiuntamente, possono formare la base di sistemi operativi complessi
(i trading systems) che forniscono segnali di acquisto o di vendita al verificarsi di determinate condizioni.
In linea col resto del lavoro, illustreremo solo gli indicatori più semplici la cui comprensione è
presupposto essenziale per approfondimenti successivi:

 medie mobili;

 momentum e roc;

 pista ciclica.

Medie mobili

Una media mobile non è altro che la media delle ultime N quotazioni; ogni giorno che passa, si aggiunge
il valore nuovo e si procede al ricalcolo.

Presenta alcune caratteristiche:

 è un indicatore di tendenza, tanto più sensibile quanto minore è la quantità degli elementi che ne
compongono la base di calcolo; una media a 5 giorni è estremamente più sensibile alle variazioni di
tendenza rispetto a una media a 200 giorni;

 le sue segnalazioni non possono essere tempestive; qualunque sia la base di calcolo, la
corrispondente tendenza non può che essere rilevata con ritardo, dal momento che il calcolo viene
effettuato all’ennesimo giorno e, a quel punto, l’inversione può già aver avuto inizio da tempo;

 smussa l’erraticità delle quotazioni riducendo il rumore, cioè quelle oscillazioni che non sono dovute
a variazioni di tendenza ma a fattori estemporanei di mercato.

Esistono diversi tipi di medie mobili, ma le più diffuse sono:

 media aritmetica semplice;

 media esponenziale.

La prima si calcola facendo il rapporto tra la somma delle quotazioni degli ultimi N giorni e il loro
numero:

q1 + q2 + q3+ . . . . . . . .qn

La seconda tiene traccia della serie storica delle quotazioni, privilegiando quelle più recenti.
Il primo valore si calcola come media aritmetica semplice.

I valori successivi vengono calcolati con la seguente formula:

C*2/(ng+1)+M*(1-2/(ng+1))

con:

C = ultima chiusura

M = media precedente

ng = numero giorni (ampiezza della media)

Al costo di un procedimento di calcolo un po’ più complesso, la media esponenziale presenta il vantaggio
di attenuare notevolmente il fenomeno degli sbalzi, tipici delle medie aritmetiche semplici, dovuti non
all’effetto del dato più recente ma a quello della eliminazione del dato più antico.
L’utilizzo più semplice che si può fare di una media mobile è quello di procedere ad acquisti di titoli
quando il prezzo passa da sotto a sopra (perfora al rialzo) la propria media e di procedere a vendite nel
caso inverso.

Tale tecnica, sicuramente pagante nei periodi di tendenza fortemente definita, presta il fianco sia a una
operatività poco tempestiva per via dei ritardi nelle segnalazioni che, in periodi poco direzionali, a una
serie di falsi segnali allorquando i prezzi cominciano a oscillare ripetutamente sopra e sotto la propria
media.

Un’alternativa, sempre inficiata dall’inconveniente del ritardo e, un po’ meno, dai falsi segnali, può essere
quella di procedere ad acquisti quando la media svolta verso l’alto e a vendite quando svolta verso il
basso.

Momentum e Roc

Il momentum è un indicatore di velocità della tendenza: sapendo che la velocità è data dal rapporto tra lo
spazio percorso e il tempo impiegato a pecorrerlo, possiamo dire che il momentum è il rapporto tra una
variazione di prezzo e il tempo in cui tale variazione è avvenuta.

Quindi, il momentum non è altro che la risultante della seguente formula:

prezzo attuale - prezzo N giorni addietro

Ora, a differenza della velocità di percorrenza di uno spazio, nel nostro caso N è una costante in quanto,
una volta fissato, viene preso a base invariabile per i calcoli; può quindi essere tolto tranquillamente dal
denominatore così che il momentum diventa:

prezzo attuale - prezzo N giorni addietro

Più che il momentum, calcolato come differenza dei prezzi, si utilizza spesso il ROC (rate of change) che
relativizza le variazioni con la seguente formula:

100 * (prezzo attuale - prezzo N giorni addietro)

prezzo N giorni addietro

Momentum e ROC oscillano intorno allo zero e segnalano trend rialzista se assumono valori crescenti e
trend ribassista se assumono valori decrescenti.
Per ridurre l’erraticità del segnale, si calcola normalmente una media mobile del momentum o del ROC e
ci si riferisce ad essa piuttosto che all’indicatore puro.

Segnali operativi possono essere ricavati quando l’indicatore perfora la propria media mobile verso l’alto
(segnale di acquisto) o verso il basso (segnale di vendita), oppure quando attraversa la linea dello zero.
Ribadiamo comunque il concetto che tali segnalazioni presentano tanti di quei punti deboli da non
risultare realmente efficaci se utilizzate nella maniera appena indicata.

Altri segnali che possono essere forniti dagli indicatori in esame si riferiscono alla rilevazione di
situazioni di eccesso (ipercomprato e ipervenduto): infatti, in un grafico dell’andamento storico del
momentum o del ROC, si possono individuare dei picchi estremi, a livello dei quali il mercato o il titolo
hanno arrestato o invertito la loro direzione di marcia; questi livelli possono essere considerati dei
campanelli di allarme qualora dovessero essere toccati dall’indicatore nella situazione corrente.

Pista ciclica

E’ data dalla differenza percentuale tra una quotazione e una sua media mobile. Fatta uguale a zero la
media mobile, la pista ciclica può essere rappresentata graficamente come una linea che oscilla a cavallo
di un asse orizzontale (la media mobile) rivelando un rafforzamento della tendenza, positivo e negativo,
tanto maggiore quanto più il suo andamento si allontana dalla linea dello zero.

Inoltre, così come visto anche per momentum e ROC, si possono individuare dei livelli storici di
ipercomprato e ipervenduto ai quali ci si può riferire per valutare il grado di tensione della situazione
corrente.

Osservazioni

Malgrado gli sforzi effettuati dagli analisti, non è stato ancora individuato, e probabilmente non lo sarà
mai, l’indicatore perfetto.

Ognuno, tra pregi e difetti, permette di cogliere solo alcune caratteristiche di un andamento dei prezzi, e
non sempre con efficacia costante.
Fra l’altro, accade spesso che indicatori diversi offrano segnali discordanti a fronte di una medesima
situazione: sta alla bravura dell’analista coglierne il significato di sintesi in relazione anche ai segnali che
provengono da altri tipi di analisi.

GRAFICI

Premessa

La rappresentazione grafica è il modo più ovvio e intuitivo di tradurre


in forma immediatamente visibile e interpretabile l’andamento di una
serie storica di quotazioni.

Esistono diversi tipi di grafici utilizzabili a tale scopo, ciascuno


con caratteristiche e obiettivi specifici, ma quelli più diffusi sono i
grafici a barre o bar charts.

Grafici a barre

I grafici a barre sono costituiti da una successione di barrette


verticali con delle stanghette a destra di ciascuna e, eventualmente,
anche a sinistra.

A ciascuna barra corrisponde una unità di rilevazione che può essere un


anno, un mese, una settimana, un giorno, un’ora o anche meno.

L’altezza della barra rappresenta l’escursione che il bene quotato


presenta nell’unità di osservazione, così che il valore minimo
corrisponde all’estremo inferiore del segmento e il valore massimo
corrisponde all’estremo superiore.

Il prezzo di chiusura viene evidenziato con una stanghetta orizzontale


a destra della barra; l’espressione “prezzo di chiusura”, tuttavia, è
solo un concetto terminologico.

Infatti, in mercati azionari come il nostro, la stanghetta orizzontale


corrisponde solitamente al prezzo ufficiale se il periodo di
osservazione è giornaliero. Se la rilevazione è settimanale, mensile o
annuale, per prezzo di chiusura si intende il prezzo ufficiale
dell’ultimo giorno del periodo di rilevazione. Se la rilevazione è
infragiornaliera, per prezzo di chiusura si intende quello dell’ultima
rilevazione.

A sinistra del bar chart appare, talvolta, un’altra stanghetta


orizzontale corrispondente al prezzo di apertura. Anche in questo caso,
per osservazioni di estensione superiore a quella giornaliera, il
prezzo adottato è quello di apertura del primo giorno del periodo,
mentre, nel caso di rilevazione infragiornaliera, è quello della prima
rilevazione.
Non essendoci regole fisse e immutabili, nulla impedisce all’analista
di adottare convenzioni diverse.

Funzione

Dicevamo sopra che obiettivo dei grafici è quello di rendere visibile


l’andamento di una serie storica di quotazioni. La percezione oggettiva
dello svolgimento storico fornisce all’analista tutta una serie di
informazioni che sicuramente sfuggirebbero all’osservazione arida di
una tabella contenente le sole quotazioni di periodo. Queste
informazioni sono essenzialmente di due tipi: tendenze e figure.

Tendenze

La tendenza o trend è la direzionalità assunta nel tempo da una serie


di quotazioni. Può anche non essere ben definita, quando i prezzi si
muovono lateralmente, e, in tal caso, si parla più propriamente di
congestione.

Per una migliore evidenziazione, è prassi tracciare una retta


ascendente, nel caso di tendenza al rialzo, passante per due punti di
minimo relativo del grafico e una retta discendente, nel caso di
tendenza al ribasso, passante per due punti di massimo relativo. Nei
casi di congestione si può tracciare o solo una retta orizzontale
passante per i minimi o anche una retta passante per i massimi in modo
da formare un canale orizzontale.

L’analisi tecnica non è una scienza esatta; per questo risulta spesso
conveniente usare il buon senso piuttosto che il rigore tecnico.
Pertanto, se i punti di svolta sui quali si traccia la retta di
tendenza presentano delle escursioni violente dovute a momenti di
panico o di esuberanza, è bene prendere a riferimento non gli effettivi
estremi di svolta, dovuti solo a momenti di eccitazione, ma i punti che
riflettono un più equilibrato e corrente comportamento.

Naturalmente, su uno stesso grafico possono esistere più trendlines in


funzione dell’estensione temporale alla quale si vuole riferire la
tendenza da osservare.

Così, ad esempio, su un grafico a barre giornaliere si possono cogliere


i due punti di minimo relativo o i due punti di massimo relativo più
evidenti per i quali passerà una trendline ascendente o discendente di
lungo periodo. Allo stesso tempo si possono tracciare trendlines
minori, orientate nella stessa direzione di quella principale o in
direzione contraria, su punti di svolta di parti del grafico riferiti a
periodi inferiori a quello precedente, al fine di rilevare delle micro-
tendenze nell’ambito di quelle di estensione maggiore.

Ora, poiché il segnale di interruzione di una tendenza in atto è dato


dalla perforazione della trendline, diventa fondamentale, per una
consapevole scelta della tempestività della segnalazione,
l’individuazione dei punti di svolta più opportuni sui quali costruire
la retta. Al riguardo, più è lungo il periodo del quale si studia la
tendenza, più ampie appaiono normalmente le oscillazioni sopra
(trendline rialzista) o sotto (trendline ribassista) di essa. Di
conseguenza, per quanto sia utile e necessario avere la
rappresentazione contemporanea degli andamenti di finestre temporali di
diversa ampiezza, l’osservazione da privilegiare è quella della
trendline più adeguata al tipo di operatività da mettere in atto: più è
frequente tale operatività minore deve essere l’arco temporale sul
quale costruirla. Tanto per fare un esempio sarebbe assurdo costruire
una trendline rialzista sui due minimi relativi dell’ultimo anno e
tentare di trarne segnali per una operatività giornaliera o quasi.

Fondamentale, infine, appare l’osservazione del grado di inclinazione


della trendline. Rette meno inclinate presentano di solito una maggiore
stabilità; viceversa, rette fortemente inclinate sono maggiormente
esposte al rischio di improvvisi e violenti rovesciamenti della
tendenza.

Figure

E’ noto che particolari configurazioni di un grafico a barre sono state


standardizzate dagli analisti così da formare dei patterns ai quali
sono connessi specifici segnali previsivi.

Così, ad esempio, una formazione di “testa e spalle” fa presagire la


fine di un trend rialzista e l’avvio di una inversione.

Scarso accento, tuttavia, viene solitamente posto sui rapporti


esistenti tra figure e trendlines. Ad esempio, potrebbe essere che una
trendline rialzista venga perforata molto tempo prima del completamento
della citata figura. E, dal momento della perforazione a quello del
completamento del testa e spalle, si potrebbero presentare delle
circostanze che possono costituire specifiche opportunità di
sfruttamento per alcuni e causa di errori operativi per altri.

Si può dire allora, per restare nell’esempio, che il segnale fornito


dalla formazione sarà di tipo ribassista; a questo punto, però, le
trendlines più veloci saranno già state perforate da tempo, mentre
quelle più lente non lo saranno state ancora. Ecco quindi che
un’operatività di tipo veloce non può attendere il completamento della
figura mentre un’operatività più lenta potrebbe trovarne prematuro lo
spunto previsivo.

Con ciò non vogliamo togliere valore alle informazioni fornite dalle
figure ma solo far rilevare che la chiave previsiva di arresto della
tendenza in corso o di inversione della stessa potrebbe essere
ricercata nella perforazione della trendline.

L’avvio di una nuova tendenza, segnalato dal completamento della


figura, può benissimo riferirsi a un arco temporale del tutto diverso
da quello evidenziato dalla trendline.

Un esempio può chiarire il concetto: si supponga di operare solo per il


lungo periodo e, quindi, di seguire i segnali ottenuti con una
trendline molto solida passante per i minimi di oscillazioni molto
ampie. In questa ottica, sarebbero del tutto irrilevanti le indicazioni
fornite da una figura di testa e spalle formatasi al culmine di un
movimento secondario dal momento che, fino alla perforazione della
trendline, non verrebbe comunque compromesso il movimento principale.

Le considerazioni appena espresse possono essere estese, con gli


opportuni adattamenti, a tutte le figure, siano esse di inversione che
di consolidamento.

TENDENZA E CONGESTIONE

Lo sviluppo di un ciclo completo di mercato passa attraverso una serie


di fasi, rigorosamente classificate sotto il profilo teorico, che
caratterizzano situazioni specifiche.

Si possono individuare:

n una fase di “accumulazione” durante la quale le “mani forti”


rastrellano grossi quantitativi di titoli evitando accuratamente di
fare
pressione sui prezzi che, quindi, si muovono lateralmente all’interno
di
minimi e massimi pressoché costanti per qualche tempo;

n una fase di “espansione” durante la quale gli stessi protagonisti


dell’accumulazione, avendo rastrellato ingenti quantitativi di titoli,
considerano giunto il momento di fare pressione sulle quotazioni per
accrescere il valore dei loro acquisti; a questi soggetti si aggiungono
sia coloro che si accodano alla tendenza rialzista appena iniziata che
gli scopertisti i quali si affrettano a chiudere le loro posizioni;

n una o più fasi “riaccumulazione” caratterizzate da prese di beneficio


e da eventuale riassunzione di posizioni lunghe sia da parte dei
precedenti soggetti che da parte di nuovi arrivati;

n una fase di “distribuzione”, che segna il culmine della precedente


fase di espansione, caratterizzata dalla liquidazione delle posizione
lunghe con contestuale sostegno delle quotazioni;

n una fase di “flessione” caratterizzata dalla prevalenza delle


posizioni ribassiste e dalla liquidazione delle posizioni lunghe
precedentemente assunte;

n una o più fasi di “redistribuzione” che interrompono temporaneamente


la fase di flessione;

n una nuova fase di “accumulazione” e il ciclo riprende.

L’identificazione delle varie fasi di mercato, interessante sotto il


profilo teorico, lo è un po’ meno sotto l’aspetto pratico sia per la
difficoltà, e spesso l’impossibilità, di determinare lo stato corrente
prima che il successivo si sia chiaramente sviluppato e sia per
l’impossibilità di prevederne in anticipo violenza e durata.

La classificazione, tuttavia, ci permette di individuare due ben


distinte dinamiche di mercato:

n tendenza (espansione e flessione);

n congestione (accumulazione e distribuzione).

Anche in questo caso si tratta, purtroppo, di una distinzione che


sposta i termini del problema ma non fornisce chiare indicazioni
risolutive. E’infatti necessario attendere che l’evoluzione abbia fatto
gran parte del suo corso prima di poter correttamente classificarne lo
stato.

Non si tratta, d’altronde, di pura questione terminologica dal momento


che,a ciascuna delle due fasi, devono corrispondere ben precisi
atteggiamenti operativi: nel caso di tendenza definita, cioè, si
asseconda il mercato muovendosi in sintonia con la sua direzione; nel
caso di congestione,invece, si tenta di cogliere minimi e massimi di
movimenti minori operando, sostanzialmente, in controtendenza.

Tendenza

Abbiamo già fatto cenno alle tendenze nel capitolo relativo ai charts.
Ci sembra opportuno, adesso, approfondirne alcuni aspetti.

Vengono solitamente individuati tre tipi di tendenza:

n primaria; di durata pluriennale, esprime la direzione di fondo del


mercato;

n secondaria; esprime dei movimenti di durata inferiore a quella della


tendenza primaria, nella stessa direzione o in direzione contraria;
questi movimenti, in un grafico, si presentano come ampie oscillazioni
al disopra o al disotto della trendline di lungo periodo;

n minore; si comporta nei confronti della tendenza secondaria così come


quest’ultima si comporta nei confronti della primaria.

E’ evidente che la classificazione citata è solo una classificazione di


larga massima e non esaurisce tutte le possibilità; è intuibile infatti
che, nell’ambito di ciascuna tendenza, è possibile individuare delle
tendenze di livello immediatamente inferiore a partire dai lenti
movimenti pluriennali e scendendo via via fino ai micromovimenti
infragiornalieri: il fenomeno, quindi, ha proprietà frattali nel senso
che presenta sempre le stesse caratteristiche ai vari livelli.

Scoperto questo, non è che abbiamo fatto notevoli passi avanti sotto il
profilo pratico. Sappiamo già che, una volta definito il nostro
atteggiamento operativo, il compito principale è quello di individuare
il tipo di tendenza più coerente per lo sfruttamento dei movimenti di
mercato tendendo presente che, più è lungo il periodo di riferimento
della tendenza, maggiori sono le oscillazioni alle quali dovremo
assistere senza intervenire. Fra l’altro, mentre è sufficiente che la
quotazione violi di poco una brevissima trendline perché possa essere
ipotizzata la fine della tendenza in atto, è necessario che una
trendline di lungo periodo venga violata abbondantemente prima di
giungere alle medesime conclusioni.
Da non sottovalutare, nelle nostre scelte, una considerazione
estremamente importante: minore è la durata della tendenza presa in
considerazione,maggiore è il rumore, cioè quella volatilità impressa al
mercato da comportamenti estemporanei dettati da fattori del momento,
quindi improvvisi ed imprevedibili.

Questo significa che l’atteggiamento verso il mercato non può rimanere


sempre costante in quanto ogni tipo di operatività richiede delle
tecniche specifiche: più si allunga il periodo di osservazione e più i
sistemi da adottare saranno del tipo trend following. Al limite, anche
una semplicissima operatività fondata sull’osservazione dell’incrocio
tra prezzi e media mobile può risultare più che adeguata in un lungo
periodo di tendenza definita; il ritardo delle segnalazioni connesso a
tale sistema sarà più che compensato dall’utile prodotto dalla fase in
cui resteremo nella direzione giusta del mercato.

Viceversa, un sistema trend following applicato a un brevissimo periodo


di osservazione, caratterizzato da rumore piuttosto che da tendenza,
non produrrebbe alcun profitto e dovrebbe essere invece sostituito da
un sistema imperniato sulla volatilità, in grado quindi di cogliere le
oscillazioni piuttosto che la direzione.

Congestione

Durante i periodi di congestione il mercato si muove


lateralmente,oscillando tra minimi e massimi. Anche in questo caso,
naturalmente, non si può prescindere dal fattore tempo. Una congestione
di breve periodo,inserita in un trend secondario, non assume alcuna
rilevanza per chi opera sul trend primario così come in una congestione
rilevabile su un movimento pluriennale si possono individuare dei
movimenti ascendenti e discendenti di periodo minore che rappresentano
delle vere e proprie tendenze.

Comunque, una volta definito il periodo di osservazione, occorre


attendere qualche tempo prima di verificare l’avvio di una fase di
movimento
laterale. A quel punto, a meno che non si decida di sfruttare le
tendenze presenti nei movimenti oscillatori, si può anche optare per
una operatività in controtendenza comprando sui minimi di ciascuna
oscillazione e vendendo sui massimi, pronti a riparare all’errore non
appena la quotazione dovesse perforare i livelli di supporto o di
resistenza (breakout) segnalando la fine della congestione e l’avvio di
una nuova fase di tendenza definita.

Non esistono tecniche affidabili per l’individuazione e lo sfruttamento


di
fasi di congestione: in proposito sono stati ideati e costruiti
indicatori di vario tipo che, più che risolvere il problema, il più
delle volte determinano ulteriore incertezza.

La soluzione migliore è probabilmente quella dell’osservazione del


grafico accompagnata dall’utilizzo di oscillatori che misurano
situazioni di ipercomprato e ipervenduto in prossimità di massimi e
minimi e di indicatori di velocità che misurano il rallentamento del
movimento in prossimità dei punti di svolta.
INDICATORI

Premessa
Come noto, gli indicatori sono degli algoritmi di calcolo, più o meno complessi,
utilizzati per rilevare determinati aspetti dell’andamento di una successione di
quotazioni: velocità della tendenza, forza della tendenza, esistenza di eccessi, volatilità e
altro.
La “materia prima” utilizzata non può che essere sempre la stessa, quella disponibile: la
serie storica delle quotazioni e, talvolta, i volumi; solo in alcuni casi, quando si vogliono
rilevare informazioni sullo spessore del mercato nel suo insieme, si ricorre anche al
numero dei titoli in rialzo e in ribasso e a quello dei titoli che toccano nuovi massimi o
nuovi minimi.
Ora, fatti salvi questi ultimi casi, se la materia prima è sempre la stessa, anche le
risultanze non possono che essere quasi sempre correlate fortemente, qualunque sia
l’algoritmo di calcolo che si adotta: e la consapevolezza che gli indicatori non fanno
altro che illuminare le diverse facce di uno stesso poliedro ha indotto gli analisti a
ricercare algoritmi sempre più complessi che, di fatto, nulla aggiungono
all’armamentario disponibile se non il disorientamento e la confusione.
Infatti, il desiderio di differenziare gli strumenti di ricerca porta, quand’anche si riesca a
ridurre la correlazione di fondo, a risultati che, anziché essere integrabili in una sintesi
efficace, appaiono spesso discordanti e inconcludenti.

Caratteristiche

Alcuni programmi professionali di analisi tecnica includono decine e decine di


indicatori, alcuni addirittura superano il centinaio, il cui unico scopo è sicuramente
quello di rendere appetibile il programma agli occhi dell’utilizzatore che ritiene, così, di
avere a disposizione una smisurata serie di possibilità alle quali attingere.
In effetti, già dopo le prime sperimentazioni, ci si rende conto che ciascun indicatore
presenta percentuali di insuccesso tali da risultare inefficace nella maggior parte dei
casi. E questo è dovuto essenzialmente a due fattori:
n incapacità di qualsiasi indicatore a rilevare correttamente e tempestivamente
determinati movimenti di mercato;
n incapacità di qualsiasi indicatore a risultare adeguato a ogni fase di mercato.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’alternanza di successi e insuccessi porta


automaticamente a dubitare dell’efficacia dei segnali di volta in volta ricevuti e, di
conseguenza, a giustificare quel tipo di interferenza “ragionata” dell’operatore che
finisce per compromettere anche quei casi in cui le indicazioni dell’algoritmo
potrebbero risultare corrette.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, il successo, anche se parziale,
dell’indicatore presuppone che l’operatore abbia fatto una preventiva e corretta analisi
del mercato che lo abbia portato a identificare sia le caratteristiche del movimento sotto
indagine (tendenza o congestione) che i tempi di sviluppo di tale movimento.
E questo è un altro dei grossi punti deboli degli indicatori.
Per ciascuno, infatti, la teoria propone dei parametri pressoché standard che, in quanto
tali, non sono assolutamente in grado di stare dietro alle caratteristiche tipiche di
ciascuna fase di mercato; e pretendere di ottenere risultanze attendibili da un indicatore
che utilizza parametri non sintonizzati sulle caratteristiche del movimento corrente
(velocità, volatilità, ecc.) appare eccessivo. Esistono, è vero, delle tecniche di
ottimizzazione dei parametri, e cioè di adozione di quei parametri che si sono dimostrati
più efficaci di altri quando provati sulla serie storica disponibile. Ma questi parametri
ottimizzati, non solo non garantiscono un uguale successo in futuro, ma anzi, proprio
perché forzati, in qualche misura, ad adattarsi alle caratteristiche della serie analizzata,
possono addirittura presentare una minore flessibilità di quelli generici quando utilizzati
nell’operatività corrente.

Utilizzo

E allora? Sono forse da rigettare gli indicatori esistenti e, con essi, tutti gli sforzi e tutta
la letteratura in materia?
Niente affatto, anche se la tentazione di fare piazza pulita di certe ciarlatanerie è forte.
Se ne possono però identificare alcuni, pochissimi, idonei a cogliere differenti aspetti
della rilevazione, e utilizzare sempre e solo quelli.
Il loro utilizzo, peraltro, può assumere due forme:
n utilizzo congiunto in un sistema meccanico di trading che porti all’assunzione o alla
liquidazione di determinate posizioni al verificarsi di certe condizioni;
n utilizzo in combinazione con analisi soggettiva dei grafici e delle tendenze al fine di
lasciare alla discrezionalità dell’analista l’individuazione del momento più appropriato
per un intervento sul mercato.

Dei sistemi meccanici di trading parleremo, al momento opportuno, in una serie di


appunti specifici. Al momento, concentriamoci brevemente sul secondo degli aspetti
sopra evidenziati.
Di solito, ciascun indicatore prevede l’adozione di un’iniziativa al verificarsi di una
determinata condizione: così è, ad esempio, per un indicatore di momento che perfora
una propria media mobile, per un Macd che cambia direzione o che perfora la linea
dello zero, per un Rsi che perfora determinati livelli, ecc.
La corretta operatività presuppone che, estratti certi segnali dall’analisi grafica, se ne
cerchi conferma nell’indicatore più appropriato, tra quelli utilizzati, alla corrente fase di
mercato. Solo quando analisi grafica e indicatore punteranno nella stessa direzione si
darà concretezza ai segnali ricevuti. Accade, purtroppo, che spesso una delle due
componenti produca con ritardo eccessivo la conferma del segnale prodotto dall’altra e,
allora, o si agisce d’istinto vanificando le proprie regole di comportamento o si agisce
con ritardo perdendo così, salvo rari casi, la fase più rilevante di un movimento.
Il sistema migliore, per superare l’inconveniente, è quello di evitare di “inseguire” la
concordanza dei segnali. Se, infatti, si riesce a monitorare contemporaneamente più
mercati o più titoli, si può invertire il processo logico andando ad operare solo ed
esclusivamente su quelli che presentano una combinazione efficace trascurando, invece,
quelli che non offrono completezza di segnalazione.
In tal modo, se il proprio sistema operativo è efficace, se ne valorizzano gli aspetti
segnalatori riducendo o eliminando la deleteria fase psicologica di attesa che, spesso,
porta ad anticipare i segnali incompiuti o, anche, a trascurare quei segnali che la propria
discrezionalità porta a ritenere tardivi nella loro conferma reciproca.

FORZA RELATIVA

Premessa

Uno degli aspetti di analisi tecnica sovente trascurati è quello della forza relativa. Con
tale espressione si intende la misura che scaturisce dal confronto tra due serie di
quotazioni, generalmente quelle di un indice di settore e di un indice generale o quelle
di una azione e del corrispondente indice di settore. Nulla esclude, naturalmente, che si
possano mettere a confronto anche due diversi titoli, oppure un titolo e l’indice
generale, oppure, ancora, due qualsiasi serie storiche.

Lo scopo dell’analisi di forza relativa è quello di verificare la posizione di un valore


rispetto a un altro preso a base di riferimento: in proposito, maggiore è la forza del
primo, migliore è stata, e si presume possa continuare a esserlo fino a prova contraria, la
performance rispetto al secondo; viceversa, naturalmente, nel caso di bassa forza del
primo valore rispetto al secondo.

Rilevazione

I valori di forza relativa si ottengono facendo il rapporto tra ciascun termine di una serie
storica e il termine corrispondente, sotto il profilo temporale, di una seconda serie.

Si ottiene una successione di numeri che, in sé, non significa nulla ma che, se
rappresentata graficamente, dà l’esatta percezione di come un valore quotato si sia
mosso nel tempo rispetto a un altro.

Se, infatti, il grafico assume andamento ascendente ciò significa che il rapporto tra
ciascun valore della prima serie e il corrispondente valore della seconda è andato
crescendo; quindi, o il primo termine del confronto si è progressivamente apprezzato
più del secondo oppure si è deprezzato meno del secondo: in entrambi i casi si è rivelato
più forte.

Il contrario avviene se il grafico assume andamento decrescente.

I grafici di forza relativa possono essere letti e interpretati come qualsiasi altro grafico:
su di essi può essere effettuata l’analisi grafica con tutte le variabili di tendenze e figure,
così come su di essi possono essere calcolati sia una media mobile che tutto
l’armamentario di indicatori previsti dall’analisi tecnica.

Interpretazione
Come detto sopra, la forza relativa può essere calcolata anche su due singoli titoli. In tal
caso la funzione della rilevazione è solo quella di mettere in evidenza le risultanze del
confronto.

Di solito, però, lo scopo di questo tipo di analisi è quello di osservare la performance di


un titolo rispetto a un indice oppure di un indice di settore rispetto all’indice generale. In
tal caso, dall’analisi si possono trarre anche considerazioni sull’evoluzione della
tendenza del titolo o dell’indice di settore.

In proposito, esemplificando su un confronto tra indice di settore e indice generale, si


supponga di calcolare sia sull’indice di settore che sui valori di forza relativa una media
mobile di ampiezza adeguata alle proprie esigenze; si applichino, quindi, le seguenti
regole interpretative:

 se l’indice di settore e la forza relativa si trovano notevolmente al disopra delle


rispettive medie mobili il trend è ascendente ma necessita di una correzione;

 se l’indice di settore e la forza relativa si trovano sopra le rispettive medie mobili,


senza eccesso, la situazione è favorevole ad acquisti di titoli del settore;

 se l’indice di settore si trova sopra la media mobile mentre la forza relativa scende
sotto la propria, questo è un segnale di allarme;

 se l’indice di settore e la forza relativa si trovano notevolmente al disotto delle


rispettive medie mobili il trend è in discesa ma è prevedibile un rimbalzo;

 se l’indice di settore e la forza relativa si trovano sotto le rispettive medie mobili,


senza eccesso, il trend è negativo;

 se l’indice di settore si trova sotto la media mobile mentre la forza relativa sale
sopra la propria, questo è un segnale di possibile inversione al rialzo.

Benché le regole sopra indicate non pretendano di essere interpretate con rigore
meccanico, un primo criterio generale è quello di considerare come segnale di
intervento il contemporaneo incrocio, nella stessa direzione, dell’indice di settore e della
forza relativa con le rispettive medie mobili.
Analogamente, un secondo criterio di interpretazione è quello di considerare in
situazione di eccesso (ipercomprato o ipervenduto) quei settori che, unitamente alla
corrispondente forza relativa, si trovano a una distanza significativa dalla
corrispondente media mobile.

ALFA E BETA
Premessa

Le tecniche adottate per la selezione dei titoli sui quali operare si basano, normalmente,
sullo studio dei trend, delle figure, degli oscillatori.

Poca o nessuna importanza viene attribuita a quei parametri che, seppure un po’
articolati nelle modalità di calcolo, offrono un valore informativo aggiunto di grande
portata: parliamo dei coefficienti alfa e beta.

E’ grazie a questi parametri che possono essere valutate, con sufficiente


approssimazione, le caratteristiche di aggressività e di variabilità, in sintesi il grado di
rischiosità, di un titolo, così da rendere più complete e consapevoli le scelte di
investimento.

Coefficiente beta

Il coefficiente beta misura il grado storico di aggressività di un titolo rispetto al mercato.


Assume valori che oscillano intorno allo zero e misura l’attitudine storica di un titolo a
variare in misura maggiore (valore assoluto di beta >1) o minore (valore assoluto di
beta<1) dell’indice di riferimento. Inoltre, misura l’attitudine storica del titolo a variare
nella stessa direzione (beta>0) dell’indice di riferimento oppure in direzione contraria
(beta<0).

Si possono avere, quindi, 4 casi:

1) beta>1: il titolo presenta attitudine ad aumentare o a diminuire, in un determinato


arco temporale, in misura maggiore dell’indice; ad esempio, a un beta di 1,20
corrisponderà una variazione tendenziale del titolo dell’1,20%, sia in aumento che in
diminuzione, per ogni punto percentuale di variazione dell’indice;

2) 0<beta<1: il titolo presenta attitudine ad aumentare o a diminuire, in un determinato


arco temporale, in misura minore dell’indice; ad esempio, a un beta di 0,80
corrisponderà una variazione tendenziale del titolo dello 0,80%, sia in aumento che
in diminuzione, per ogni punto percentuale di variazione dell’indice;

3) beta<-1: vale quanto detto al punto 1, con l’avvertenza che, in questo caso, il titolo
tenderà a muoversi in direzione contraria a quella dell’indice;
4) -1<beta<0: vale quanto detto al punto 2, con l’avvertenza che, in questo caso, il
titolo tenderà a muoversi in direzione contraria a quella dell’indice.

Naturalmente, la capacità dei coefficienti beta a fornire indicazioni attendibili è


strettamente legata alla loro stabilità nel tempo; e tale stabilità risulta tanto maggiore
quanto più lunga è la serie storica sulla quale il coefficiente viene calcolato: si
calcolano, quindi, coefficienti a 3 mesi, a 6 mesi, a un anno e anche più. Coefficienti di
durata inferiore forniscono risultati estremamente variabili. La stabilità dei coefficienti
beta viene altresì migliorata con la diversificazione del portafoglio.

Calcolo del coefficiente beta

Per la descrizione dell’algoritmo di calcolo proponiamo una tabella di


pochi elementi riportante, nella prima colonna, le ipotetiche quotazioni di
un titolo e, nella seconda, il corrispondente ipotetico valore di un indice
di riferimento.
1000 21500
1010 21600
1030 21900
990 21900
978 21850
1000 21790
1020 21820
1035 21900
1040 22100
1020 22100
1020 22000

Nella terza e nella quarta colonna calcoliamo il rendimento giornaliero del titolo e
quello dell’indice secondo la seguente formula: 100*(Qt - Qt-1)/Qt-1

1000 21500
1010 21600 1 0,465116
1030 21900 1,980198 1,388889
990 21900 -3,8835 0
978 21850 -1,21212 -0,22831
1000 21790 2,249489 -0,2746
1020 21820 2 0,137678
1035 21900 1,470588 0,366636
1040 22100 0,483092 0,913242
1020 22100 -1,92308 0
1020 22000 0 -0,45249

Calcoliamo, quindi, la media aritmetica dei rendimenti del titolo (0,2164) e


dell’indice (0,2316) e lo scarto tra i valori giornalieri di rendimento del titolo e del
mercato e la corrispondente media (colonne quinta e sesta).

1000 21500
1010 21600 1 0,465116 0,783533 0,2335
1030 21900 1,980198 1,388889 1,763731 1,157273
990 21900 -3,8835 0 -4,09996 -0,23162
978 21850 -1,21212 -0,22831 -1,42859 -0,45993
1000 21790 2,249489 -0,2746 2,033021 -0,50622
1020 21820 2 0,137678 1,783533 -0,09394
1035 21900 1,470588 0,366636 1,254121 0,13502
1040 22100 0,483092 0,913242 0,266624 0,681626
1020 22100 -1,92308 0 -2,13954 -0,23162
1020 22000 0 -0,45249 -0,21647 -0,6841
Moltiplichiamo, giorno per giorno, gli scarti del titolo per i corrispondenti scarti di
mercato (colonna quinta * colonna sesta) ottenendo così una settima colonna in
tabella.

1000 21500
1010 21600 1 0,465116 0,783533 0,2335 0,182955
1030 21900 1,980198 1,388889 1,763731 1,157273 2,041117
990 21900 -3,8835 0 -4,09996 -0,23162 0,949618
978 21850 -1,21212 -0,22831 -1,42859 -0,45993 0,657046
1000 21790 2,249489 -0,2746 2,033021 -0,50622 -1,02915
1020 21820 2 0,137678 1,783533 -0,09394 -0,16754
1035 21900 1,470588 0,366636 1,254121 0,13502 0,169331
1040 22100 0,483092 0,913242 0,266624 0,681626 0,181738
1020 22100 -1,92308 0 -2,13954 -0,23162 0,495553
1020 22000 0 -0,45249 -0,21647 -0,6841 0,148086

La somma dei valori della settima colonna (3,6287) è la codevianza del titolo sul
mercato.

Eleviamo al quadrato gli scarti di mercato (colonna sesta) ottenendo un’ottava


colonna.

1000 21500
1010 21600 1 0,465116 0,783533 0,2335 0,182955 0,054522
1030 21900 1,980198 1,388889 1,763731 1,157273 2,041117 1,33928
990 21900 -3,8835 0 -4,09996 -0,23162 0,949618 0,053646
978 21850 -1,21212 -0,22831 -1,42859 -0,45993 0,657046 0,211533
1000 21790 2,249489 -0,2746 2,033021 -0,50622 -1,02915 0,256254
1020 21820 2 0,137678 1,783533 -0,09394 -0,16754 0,008824
1035 21900 1,470588 0,366636 1,254121 0,13502 0,169331 0,01823
1040 22100 0,483092 0,913242 0,266624 0,681626 0,181738 0,464614
1020 22100 -1,92308 0 -2,13954 -0,23162 0,495553 0,053646
1020 22000 0 -0,45249 -0,21647 -0,6841 0,148086 0,468

La somma dei valori dell’ottava colonna (2,9285) è detta devianza del mercato.

Il rapporto tra la codevianza del titolo sul mercato e la devianza del mercato è il
coefficiente beta cercato: 1,23

Il coefficiente beta, in altri termini, è il coefficiente angolare della retta di


regressione passante per i punti individuati dall’incontro tra le proiezioni delle
quotazioni del titolo riportate sull’asse delle ordinate e le proiezioni dei valori
dell’indice riportati sull’asse delle ascisse.

Coefficiente alfa

Mentre il coefficiente beta misura l’attitudine di un titolo a variare in funzione del


mercato (rischio sistematico), il coefficiente alfa esprime l’attitudine di un titolo a
variare indipendentemente dal mercato (rischio specifico).

A un alfa positivo, quindi, corrisponde la capacità di un titolo a generare


autonomamente reddito in linea capitale mentre a un alfa negativo corrisponde la
tendenza di un titolo a subire perdite indipendentemente dall’andamento di mercato.

In un sistema di assi cartesiani, il coefficiente alfa non è altro che l’intercetta


sull’asse delle ordinate della retta di regressione il cui coefficiente angolare è il
coefficiente beta.

Sia l’equazione della retta Y = a + bX

Allora:

a = Y - bX

Riprendendo l’esempio precedente poniamo:

Y = media aritmetica dei rendimenti del titolo (0,2164)

X = media aritmetica dei rendimenti del mercato (0,2316)

b = coefficiente beta (1,23)

alfa = -0,068
Osservazioni

Il corretto uso dei coefficienti citati permette di orientare le proprie scelte in


funzione delle caratteristiche delle fasi di mercato che si ritiene siano in atto di volta
in volta.

Così, in caso di trend ascendente ci si orienterà su titoli con beta maggiore di uno e,
a parità di beta, su titoli con alfa positivo.

Viceversa, nel caso si voglia rimanere sul mercato con atteggiamento difensivo in
vista di possibili ripiegamenti, ci si potrà orientare su titoli a basso beta.

Se si vuole operare al ribasso (ad esempio con l’acquisto di opzioni put) si possono
scegliere titoli ad alto beta (in previsione di mercato riflessivo) e alfa negativo.

Sono, queste, osservazioni del tutto esemplificative dal momento che è solo da una
corretta combinazione dei coefficienti prescelti, unita a una appropriata analisi
tecnica grafica e quantitativa (indicatori), che può scaturire una elevata probabilità
di successo.

Operatività:tecnica e modi

INTRODUZIONE

Esistono diversi modi di operare nel mercato azionario: col fiuto, sulla base di letture di
giornali e reports, con l'aiuto di "dritte" e "soffiate", con tecniche più metodiche.

Fiuto. Esistono indubbiamente delle persone che riescono, con l'ausilio di un grosso intuito,
a fare cose eccezionali in Borsa. Il fiuto, tuttavia, è qualcosa di innato. O lo si ha o non lo si
ha. Quindi, non è una tecnica che si può apprendere. C'è da aggiungere, però, che anche
chi opera col fiuto (e mi viene automaticamente da pensare ai vari Warren Buffet, Peter
Lynch, George Soros) non opera caoticamente sulla base di quello che gli passa per la
mente, ma si avvale comunque di tecniche operative al cui vaglio sottopone le proprie
intuizioni; basta leggere la letteratura su questi personaggi per rendersene conto.

Letture di giornali e reports. Sorvolerei proprio sui giornali. Quando la notizia appare sulla
stampa è già vecchia e superata. Al massimo può far rumore ancora per un paio di giorni
grazie all'intervento dei ritardatari. Nulla di più.

Qualche spunto maggiore lo offrono talvolta i reports delle istituzioni finanziarie più serie.
Intanto sono il frutto di valutazioni ponderate e poi, per loro natura, vanno ad alimentare lo
stesso processo che propongono. E' probabile che un buy di una grossa banca d'affari
provochi degli acquisti che altrimenti non si avrebbero. La controindicazione è che qualche
volta i suggerimenti dei reports possono non essere del tutto obiettivi o possono essere
determinati forzatamente da situazioni contingenti. Si pensi a una situazione di forte rialzo e
alla necessità per gli uffici studi delle istituzioni finanziarie di alzare i target dei vari titoli
prima ancora, e non dopo, di trovare una giustificazione agli obiettivi di prezzo indicati.
Dritte e soffiate. Le soffiate, quelle vere, le possono dare solo gli insider, con gli effetti
giuridici che la diffusione delle notizie provocherebbe. Non è escluso che grosse istituzioni
finanziarie (Sim, Banche, Società di gestione) possano essere in possesso di notizie
qualificate di qualche utilità. Ma allora la notizia si trova, diciamo, a metà strada tra la
riservatezza e la diffusione. Il titolo interessato, con ogni probabilità, ha già cominciato a
manifestare dei movimenti anomali che possono essere già stati colti con un'attenta analisi
anche da chi non è in possesso della notizia. Anche questi casi, tuttavia, sono abbastanza
limitati e nulla hanno a che vedere col fenomeno, del tutto dilettantesco, delle dritte che nel
corso di forti rialzi di borsa vengono sparate da tutte le parti. Se chiunque di noi, in una fase
di accentuata tendenza rialzista del mercato, spaccia per dritte le proprie opinioni su 10 titoli
quotati è più che probabile che almeno in un paio di casi faccia un'eccellente figura.

Tecniche operative. La tecnica costituisce l'arma di chi vuole operare razionalmente per
conseguire profitti costanti non soggetti all'erraticità dei mercati. Si rinuncia a degli extra-
profitti connessi talvolta a un atteggiamento disinvolto, ma si ha la quasi certezza di non
incorrere nelle catastrofi alle quali quello stesso atteggiamento prima o poi inevitabilmente
conduce. La tecnica, inoltre, non esclude necessariamente la possibilità di beneficiare dei
metodi più empirici prima elencati. Semmai, costituisce uno strumento per sottoporli a un
vaglio di verosimiglianza.

Nell'ambito delle tecniche operative si inserisce l'annosa, ma ormai pressoché


universalmente definita, questione della competizione tra analisi tecnica e analisi
fondamentale. E, come se non bastasse, ha fatto da qualche tempo apparizione tutta una
serie di tecniche sperimentali ispirate all'intelligenza artificiale.

Analisi fondamentale. I fondamentalisti sostengono che, nel lungo andare, i corsi azionari
tendono a riflettere il reale valore delle società quotate; deducono quindi che, individuando
realtà attuali e potenzialità patrimoniali ed economiche di queste società attraverso
un'attenta lettura dei loro bilanci, si possono formulare valide previsioni sui futuri livelli di
prezzo delle azioni con grande beneficio per una corretta strategia di investimento.

Analisi tecnica. L'analista tecnico non mira a conoscere il valore reale di un'azione bensì
quel valore che ad essa attribuirà, a breve, il mercato. Egli è infatti convinto di poter rilevare,
con l'ausilio di particolari procedure, le speranze, le paure, gli umori, razionali e irrazionali,
dei compratori e dei venditori giungendo così a sintetizzare e fotografare, a un dato istante,
tutti quei fattori che normalmente sono ritenuti inquantificabili ma che, nondimeno, incidono
in maniera preponderante sul processo di formazione dei prezzi; gli diventa più facile, a
questo punto, decidere quando comprare e quando vendere e cosa comprare e cosa
vendere in perfetta sintonia con la tendenza e le prospettive del momento.

Intelligenza artificiale. E' una branca a sé stante. Più che una scuola di pensiero è un
insieme di tecniche che mirano a simulare il processo di ragionamento umano (sistemi
esperti e sistemi fuzzy), il funzionamento biologico del cervello (reti neurali) o l'evoluzione
delle specie viventi (algoritmi genetici). Prescinde, in sé, dai principi del pensiero tecnico e di
quello fondamentale in quanto si può avvalere di elementi di uno solo di essi, di tutti e due o
di altri ancora.

Non c'è motivo di affrontare l'accademica questione, peraltro generalmente superata, della
competizione tra scuola fondamentale e scuola tecnica. Entrambe hanno una propria
ragione di essere ed entrambe presentano delle caratteristiche che le rendono più
appropriate in certe circostanze con riferimento a obiettivi specifici.

L'analisi fondamentale si propone di verificare la salute generale, per così dire, di un titolo.
E' un check-up il cui fine non è quello di individuare l'esistenza o la possibilità di insorgenza
di un comune raffreddore. L'analisi tecnica, al contrario, si orienta soprattutto verso i sintomi
piuttosto che verso le cause.

Si pensi alle variazioni che i titoli quotati hanno in un breve periodo di tempo. Forse un
aumento o una diminuzione generalizzata delle quotazioni può indurre automaticamente a
ritenere che, contemporaneamente, sia realmente variato l'effettivo valore delle società
quotate? Viceversa, stabilito che i valori fondamentali fanno prevedere una crescita
economica e patrimoniale della società, si può forse automaticamente ritenere che le
quotazioni azionarie siano destinate ad aumentare? Nel breve periodo ben altri elementi
assumono preponderanza: esistenza di un trend generale rialzista o ribassista, situazione
politica, influenza delle borse estere e chissà quant'altro.

In sintesi, se nell'analisi fondamentale è prevalente l'aspetto previsionale, nell'analisi tecnica


è prevalente l'aspetto gestionale, la logica dell'una non è la logica dell'altra, gli obiettivi
dell'una non sono gli obiettivi dell'altra.

Ognuna delle due ha una sua ragion d'essere determinata dalle esigenze delle società di
gestione di fondi comuni o di altri investitori istituzionali e da quelle dei traders più o meno
sfrenati.

In ogni caso, un'analisi di tipo fondamentale che faccia da sfondo alle scelte di breve periodo
non può che accrescere le probabilità di successo del trader. Ugualmente, il ricorso
all'analisi tecnica per la scelta del momento di intervento non può che giovare a un
investimento strategico da attuare sulla base dei fondamentali.

Nessun conflitto, fortunatamente, sussiste con le tecniche di intelligenza artificiale che, come
si vedrà, possiedono come denominatore comune la capacità di apprendere le regole, di
qualsiasi genere, che soggiacciono a processi noti per applicarle a situazioni in corso di
evoluzione. Paradossalmente, il punto di forza delle tecniche di intelligenza artificiale è allo
stesso tempo un punto di debolezza. Se, infatti, il processo in evoluzione non trova affinità,
affinità e non uguaglianza, in uno dei processi che hanno costituito la base
dell'apprendimento, l'intelligenza artificiale è, con molte probabilità, destinata a fallire.

Piano di lavoro. Individuati i principi che possono caratterizzare il tipo di approccio alla
borsa e i metodi di lavoro che ci devono accompagnare nelle decisioni, è ora possibile
tracciare uno schema del percorso che occorre seguire per dare efficacia agli interventi sul
mercato.

E' bene, in proposito, fare qualche precisazione.

L'interesse primario dell'operatore di borsa non è quello di fare previsioni ma quello di


conseguire utili e, ancor prima, quello di preservare il capitale disponibile.

E' abbastanza naturale che tutti noi, supportati dalle informazioni in nostro possesso, ci
cimentiamo continuamente, in misura più o meno consistente, a fare previsioni sul futuro
andamento della tendenza e sugli obiettivi di prezzo di questo o quell'altro titolo.

Non che questo sia sbagliato ma, si sa, il mercato raramente asseconda le previsioni; le
variabili che agiscono sono tali e tante che basta poco per vanificare gli sforzi intrapresi in
dipendenza della valutazioni personali.

In questo, probabilmente, sono avvantaggiati i fondamentalisti che, nella loro ottica di lungo
periodo, mostrano propensione a non curarsi delle erraticità correnti.

Chi opera a breve invece, ha sì il vantaggio di potere approfittare anche delle possibilità
offerte da limitate escursioni delle quotazioni ma, di contro, ha l'onere di stare dietro ai
movimenti piuttosto che davanti. Per questo è costretto ad accettare alcune condizioni:

- rinunciare a operare sulla base delle previsioni; queste si facciano pure ma solo
come punto di partenza per individuare i titoli sui quali si vuole approfondire l'analisi con
tecniche che poco o nulla hanno in comune con la previsione;

- non illudersi di essere in grado di cogliere punti di svolta o di essere capaci di


valutare la durata del trend in corso;
- non aspettarsi che tutte le operazioni siano profittevoli; al limite, non è nemmeno
necessario che la percentuale delle operazioni chiuse in profitto sia elevata; ciò che conta è
l'entità dell'utile che si è capaci di incassare rapportato alle perdite che si è costretti a subire;

- non essere pavidi; se le tecniche adottate danno un segnale di entrata è necessario


mettere da parte le titubanze; altrimenti si mettano da parte le tecniche; se una volta si
asseconda il segnale perché è coerente con le aspettative e un'altra volta, invece, lo si
respinge perché non convince, allora si è completamente fuori strada; questo non significa,
naturalmente, che si debbano acquistare tutti i titoli sui quali scattano dei segnali di acquisto;
significa solo che, se si è interessati alle FIAT, per esempio, e le si sta seguendo per un
possibile acquisto, allora il momento di entrata non può che essere quello fornito dai sistemi
adottati;

- non essere avidi; se si riceve un segnale di uscita, lo si assecondi con decisione: la


titubanza può costare cara;

- non rammaricarsi mai: chissà quante volte accadrà di vendere un titolo che,
immediatamente dopo, prende il volo.

Sono regole non facili, anzi decisamente dure da seguire, ma può essere di aiuto il pensiero
che la Borsa è sempre lì ad aspettare e che una, due, mille occasioni perdute non
significano nulla finché facciamo utili sistematicamente.

Stabilito quale deve essere l'atteggiamento mentale corretto, è possibile ora schematizzare il
processo logico che deve accompagnare l'operatività:

- scelta di un sistema appropriato di tecniche operative;

- intervento e fissazione dei criteri di uscita sia in caso di utile che in caso di perdita;

- monitoraggio costante delle posizioni assunte;

- uscita e imputazione dell'utile o della perdita sia alla singola operazione che al
complesso delle operazioni che costituiscono la strategia di periodo.

SISTEMI DISCREZIONALI

Premessa

Una corretta tecnica operativa presuppone la fissazione di regole ben precise per l’individuazione del
momento più appropriato per un intervento sul mercato, sia in entrata che in uscita.

Infatti, così come l’intervento iniziale viene normalmente subordinato al verificarsi di certe situazioni
generali di mercato o specifiche di un titolo (es.: inversione di una tendenza, perforazione di
determinati livelli di supporto o resistenza), l’uscita da una posizione, oltre ad essere connessa a
fattori analoghi a quelli presi in considerazione per la sua assunzione, può anche essere determinata
dal raggiungimento di certi obiettivi di profitto o dal conseguimento di una perdita massima
prefissata.
Ora, la verifica dell’esistenza di condizioni favorevoli a un intervento può essere lasciata alla
discrezionalità dell’operatore o può essere ancorata al rigoroso rispetto delle condizioni prefissate: nel
primo caso avremo dei sistemi ragionati di intervento, nel secondo dei sistemi meccanici.

Per la naturale tendenza dell’uomo a dare elasticità alle proprie opinioni, l’impostazione di un sistema
meccanico, o trading system, viene di solito effettuata al computer che, con indiscutibile obiettività e
precisione, fornisce i propri segnali di acquisto o di vendita ai quali l’operatore si attiene ben sapendo
che questi segnali, non solo rispondono alle logiche operative stabilite in precedenza, ma lo sollevano
anche dallo stress connesso a un momento decisionale fondato sulla discrezionalità.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto che, probabilmente, costituisce la caratteristica principale dei


trading systems i quali, di per sé, non danno necessariamente luogo a un’operatività più redditizia di
quella che può essere messa in atto da un investitore capace e disciplinato.

Per la loro particolarità, i trading systems verranno trattati nel prossimo capitolo; in questo, invece,
affronteremo le regole che devono essere osservate da chi scende nell’arena dei mercati finanziari
armato solo del proprio buon senso.

Trend di mercato

La regola principale che sta alla base di una sana operatività è quella di assecondare il trend generale
del mercato. Salvo casi particolari, le operazioni in controtendenza presentano dei rischi notevolmente
maggiori di quelli ai quali si va incontro con le operazioni in tendenza. Saremo, quindi, compratori di
titoli in un mercato al rialzo e punteremo al ribasso nel caso contrario.

Diversa è la situazione di un mercato congestionato, un mercato, cioè, che si muove lateralmente con
andamento oscillatorio. E’ consentito, in questi casi, il tentativo di anticipare i punti di svolta non
dimenticando, però, che ciò che può apparire come un prossimo punto di svolta può facilmente
trasformarsi in un punto di rottura del canale laterale.

E’ estremamente difficile riconoscere una fase direzionale da una di congestione se non dopo che
l’una o l’altra si sia già manifestata inequivocabilmente. E, a questo punto, è elevato il rischio che la
tendenza subisca un arresto o inversione oppure che la fase di congestione abbia termine con l’avvio
di una direzionalità imprevista.

Gli analisti tecnici si sono prodigati abbondantemente nel tentativo di costruire degli indicatori in
grado di distinguere le due situazioni in modo tempestivo e con sufficiente chiarezza, ma i risultati
sono stati abbastanza deludenti.

Proviamo, comunque, a vedere come un operatore attento deve porsi nei confronti del mercato al fine
di individuarne la direzionalità e sfruttarne i movimenti.

Tendenza definita
La rappresentazione dei prezzi in un grafico che si snoda, verso l’alto o verso il basso, con una buona
angolazione è sicuramente l’evidenza migliore dell’esistenza di una tendenza ben definita.

La pendenza ideale, tuttavia, non deve essere né troppo né troppo poco ripida: nel primo caso
potrebbe essere indicativa di un particolare stato di euforia pronto a trasformarsi in panico da un
momento all’altro; nel secondo caso, invece, potrebbe tradire l’esistenza di un diffuso senso di
incertezza che fa da sfondo alla spinta direzionale.

Occorre tenere conto, poi, se la tendenza osservata si muove nella stessa direzione di quella di più
lungo periodo oppure costituisce semplicemente un movimento di correzione.

Non è che questi ultimi non siano utilizzabili operativamente; è solo che la presa di coscienza del
corretto significato del movimento esaminato deve condizionare diversamente il tipo di intervento.

Se, infatti, si coglie il momento di svolta verso l’alto di una tendenza di breve discendente che
rimbalza su una trendline di più lungo periodo, si effettua un intervento più razionale di quello che
può essere effettuato su un movimento avulso da un contesto più generale.

L’esame visivo del grafico può essere accompagnato dall’analisi di indicatori di tipo algoritmico: un
ROC che perfora una propria media mobile o la linea dello zero, un Rsi che perfora il livello di 50, un
MACD a istogrammi in ascesa o in discesa o, ancor meglio, in ascesa sopra la linea dello zero o in
discesa sotto la linea dello zero, sono tutti segnali che possono convalidare le conclusioni dedotte
dell’esame del grafico.

Molto efficace, sotto il profilo previsivo, viene ritenuta la presenza di divergenze grafiche riscontrate
su alcuni indicatori: ad esempio, l’andamento discendente di un indicatore di momentum in presenza
di un grafico di mercato ascendente, segnala la perdita di forza della tendenza e, quindi, la possibilità
di un arresto o di una inversione.

Dispersiva e controproducente appare invece l’analisi contemporanea di molti indicatori: questi si


presentano spesso in discordanza tra loro ingenerando incertezza e confusione; meglio sceglierne
pochi, quelli con i quali ci si trova maggiormente a proprio agio e che, in passato, hanno dimostrato di
funzionare frequentemente, e solo su questi concentrare la propria attenzione.

Congestione

Abbiamo detto che è meglio assecondare una tendenza di mercato piuttosto che contrastarla. Il
mercato, tuttavia, si trova in fase di tendenza molto meno frequentemente di quanto si muova
lateralmente.

In quest’ultimo caso, non essendoci una tendenza da sfruttare, si può cercare di operare sulle
oscillazioni comprando sui minimi e vendendo sui massimi.
L’individuazione dei punti di massimo e di minimo, cioè dei punti di svolta, non è delle più agevoli.
Tuttavia, verificata visivamente l’esistenza di un canale orizzontale, si può supporre che le parallele di
supporto e resistenza possano continuare a respingere i movimenti e, su tale presupposto, si possono
impostare i propri interventi.

C’è, ovviamente, il rischio che le quotazioni, anziché invertire la direzione di marcia, perforino i
livelli citati dando l’avvio a una nuova tendenza: come nel caso della tendenza definita, però, anche lo
studio delle zone di congestione può essere accompagnato dell’esame di oscillatori che segnaleranno,
in prossimità dei presunti punti di svolta, se il movimento in corso si sta rafforzando, facendo
presagire un breakout, o si sta indebolendo, convalidando così l’ipotesi della svolta. Analogamente,
l’esistenza di livelli di ipercomprato o di ipervenduto sugli oscillatori depone a favore di una svolta
delle quotazioni.

Insomma, nulla di certo, come sempre, ma solo un insieme di indizi che, una volta dimostratisi validi
strumenti di valutazione sulla base dell’esperienza personale, ci fanno ragionevolmente ritenere che
anche nel futuro esplicheranno analoga efficacia.

Oggetto dell’investimento

Una volta individuata la tipologia di intervento più adeguata al particolare momento, qualora non si
voglia o non si possa operare direttamente sugli indici di mercato, è necessario scegliere i titoli sui
quali orientare le proprie scelte.

Anche in questo, nulla deve essere lasciato al caso.

Non appare logico il concetto di chi opera esclusivamente sui titoli ai quali è affezionato,
prescindendo dalla loro situazione del momento; è invece necessario individuare quelli che
presentano delle caratteristiche coerenti con la situazione generale del mercato.

Se, quindi, si opera in acquisto, si sceglieranno titoli il cui grafico evidenzia la perforazione di un
livello di resistenza, la formazione di una figura di inversione al rialzo, o comunque l’esistenza di un
trend rialzista confermato dalla configurazione assunta dagli indicatori algoritmici. Il contrario,
naturalmente, se si opera al ribasso.

Questo non è ancora sufficiente: per avere una certa sicurezza che il titolo non si muova in maniera
autonoma, è necessaria l’esistenza di un buon livello di correlazione con l’intero mercato; e questo
può essere verificato anche sulla base del coefficiente beta che, come noto, misura l’attitudine del
titolo a muoversi in sintonia col mercato, amplificandone o contraendone le variazioni.

Non è male, tra più candidati, privilegiare quelli che presentano una forza relativa ascendente
(rapporto tra quotazione del titolo e indice di mercato) e quelli che hanno un coefficiente alfa positivo,
in caso di acquisto, o negativo, in caso di vendita.
Alla fine, la rosa delle opzioni disponibili si sarà fortemente ristretta rendendo quasi automatico
l’orientamento dell’investitore.

I concetti esposti, tuttavia, non vanno interpretati rigidamente, ma devono servire solo come guida di
riferimento per un intervento ragionato tenendo presente che è sempre l’investitore, sulla base della
propria esperienza, a dover distinguere le circostanze nelle quali è più opportuno privilegiare certi
aspetti da quelle nelle quali occorre privilegiarne altri.

Uscita

La scelta del momento di uscita dal mercato è altrettanto, e forse anche più, importante
dell’individuazione del momento di entrata.

Esiste tutta una serie di detti del tipo “Compra ai minimi e vendi ai massimi” oppure “Taglia le
perdite e lascia correre i profitti”: in pratica, come si fa a tradurre, sul piano pratico, queste
affermazioni di principio? Una volta assunta una posizione, sia essa rialzista che ribassista, quand’è
che bisogna abbandonarla, perché conseguito l’obiettivo di profitto o perché in perdita?

I concetti relativi all’uscita dal mercato sono così importanti che meritano una trattazione separata in
apposito capitolo. Adesso si può anticipare che l’azzeramento di una posizione non deve essere affatto
un evento occasionale o umorale; esso richiede un’attenzione forse anche maggiore di quella riservata
al momento dell’intervento originario. Se si è in perdita, bisogna avere la forza di riconoscere l’errore
e agire di conseguenza, anziché sperare in un rovesciamento della tendenza che porti a un recupero; se
si è in profitto bisogna avere il buon senso di capire quando l’obiettivo è stato raggiunto anziché
lasciarsi sopraffare dall’avidità che, portando a sperare in una amplificazione del movimento
favorevole, induce a prolungare la propria presenza sul mercato col rischio di perdere di colpo il
guadagno non ancora monetizzato o, peggio, di andare in perdita.

Conclusioni

Visto che stiamo trattando di interventi discrezionali dell’operatore, vorremmo elencare alcuni
principi che, quali che siano le tecniche adottate, devono ispirare la sua condotta:

n E’ necessario che esista sempre un piano di entrata e di uscita dal mercato; nulla deve essere
lasciato al caso né agli umori del momento. E’ bene che l’investitore scriva su carta, al momento
dell’intervento originario, i criteri che hanno orientato il suo intervento e quelli che dovranno
portare alla individuazione del momento di uscita. Tale abitudine, oltre a conferire maggiore
obiettività all’azione, fornirà anche una traccia storica dei punti di forza e di debolezza che serva
da guida per il futuro.

n Collegata alla opportunità della predisposizione di un piano è quella di non ondeggiare col
rumore del mercato. Una volta adottato un atteggiamento sulla base dell’esame dei grafici e degli
oscillatori, è importante non lasciarsi fuorviare dai movimenti contrari, determinati da oscillazioni
di brevissimo periodo, che portano all’azzeramento affrettato di posizioni sane o, peggio, al
raddoppio di posizioni perdenti.

n Per operare proficuamente in Borsa non è necessario che l’investitore sappia prevedere il futuro.
Quello che gli è richiesto è di saper valutare correttamente la situazione corrente individuando,
secondo buon senso, la prevalenza delle forze rialziste su quelle ribassiste o viceversa. Adeguerà
quindi il suo comportamento a quello prevalente sul mercato, pronto a rimediare senza esitazioni
qualora dovesse accorgersi di essersi sbagliato.

n E’ necessario non lasciarsi ispirare da preconcetti sentimenti rialzisti o ribassisti. Quanto spesso,
dopo forti discese dei prezzi, si sente dire che “a questi prezzi conviene comprare”! Perché
bisogna comprare a tutti i costi se la tendenza rimane ribassista? Perché invece, in caso di forte
rialzo, non si sente quasi mai dire che “a questi prezzi conviene vendere”? In effetti, visto che in
Borsa si può operare in entrambe le direzioni, l’atteggiamento più appropriato è quello che porta a
valutare serenamente la situazione e ad agire con coerenza.

n E’ fondamentale non contrastare il mercato. Agire controtendenza, sperando di anticipare


improbabili inversioni è il modo più rapido per perdere il proprio denaro. Può pure essere che
qualche volta vada bene, ma questa è sicuramente l’eccezione e non la regola. Meglio quindi
attendere che il mercato assuma una direzione da assecondare anche se questo significa, spesso,
perdere la parte iniziale di un movimento. E’ solo apparente la contraddizione di questo principio
con quello, prospettato sopra, di vendere sui massimi e acquistare sui minimi di una zona di
congestione. In quest’ultimo caso, infatti, non esistendo una vera e propria tendenza, non esiste
neppure la possibilità di contrastare il comportamento del mercato.

GESTIONE DEL RISCHIO

Premessa

Supponiamo di assumere una posizione che, secondo tutte le evidenze,


non può che rivelarsi vincente. Eppure, per motivi inspiegabili, il
mercato comincia a muoversi inesorabilmente nella direzione
contraria a quella auspicata: non c’è nulla, proprio nulla, che
possa giustificare questo movimento avverso e, proprio per questo,
siamo sicuri che in due o tre giorni lo scenario tornerà ad essere
quello previsto.

I giorni passano, la tendenza non si inverte, le perdite si


amplificano, e noi continuiamo a tenere la posizione per due motivi:
l’inversione, ormai, non può più tardare, e le perdite, sulla carta,
sembrano meno dolorose di quelle reali.

Alla fine, stanchi e frustrati, decidiamo di porre termine a questa


sofferenza prolungata e azzeriamo la posizione rendendoci così conto
che non esiste alcuna differenza tra perdite reali e perdite sulla
carta.

Ed ecco che, esattamente un minuto dopo che siamo usciti dal


mercato, la tendenza si inverte lasciandoci non solo perdenti, ma
anche beffati.

C’è qualcuno di noi che non si è trovato in questa situazione? Ho il


sospetto che nessuno abbia titolo per farsi avanti.

Queste situazioni sono inevitabili, il mercato va dove deve andare,


a prescindere da quelle che sono le nostre certezze; l’unica arma
che abbiamo è quella di assecondarlo, abbandonandolo immediatamente
non appena ci rendiamo conto che ci siamo sbagliati nella nostra
valutazione e restando invece aggrappati alla tendenza finché questa
si muove nella direzione sulla quale abbiamo scommesso.

Questo atteggiamento comporta, necessariamente, la disponibilità


all’assunzione di tantissime piccole perdite, ma porta con sé anche
la capacità di trarre grossi profitti dalle operazioni corrette.

Gli strumenti che abbiamo a disposizione per la gestione dei momenti


di uscita da una posizione prendono il nome di stop loss e trailing
stop.

Stop loss

Lo stop loss è un livello di prezzo che definisce la perdita massima


che siamo disposti a sopportare nel momento in cui assumiamo una
posizione.

Quindi, lo stop loss si pone a un livello più basso di quello di


entrata in una posizione lunga e a un livello più alto di quello di
entrata in una posizione corta.

Esistono due tipi fondamentali di stop loss.

Il primo è strettamente correlato a una percentuale del capitale


investito, percentuale che non deve essere troppo elevata se si
vogliono realmente contenere le perdite. Infatti, normalmente si
vede subito se l’operazione sta andando per il verso giusto; e
altrettanto presto si capisce se l’intervento è sbagliato. Perciò
una percentuale del 2%, del 3%, massimo del 4% è più che sufficiente
per contenere la perdita. E’ da tenere in conto, peraltro, una
ulteriore piccola perdita, non quantificabile, dovuta al fatto che,
poiché stiamo parlando di tendenza contraria a quella auspicata, con
tutta probabilità il prezzo al quale chiuderemo l’operazione sarà
ancora più svantaggioso di quello fissato come limite a causa del
tempo intercorrente tra la perforazione dello stop loss e il momento
dell’effettivo intervento operativo.

Una avvertenza: la percentuale da adottare per la fissazione dello


stop loss non può, di volta in volta, non tenere conto della
volatilità del mercato o del titolo al fine di non essere superata
al primo movimento fisiologico avverso; quindi, percentuale più
contenuta in presenza di bassa volatilità e margine più largo in
presenza di volatilità elevata.

Il secondo tipo di stop loss ha poco a che vedere con le


percentuali, anche se resta sempre valido il principio che la
perdita massima teorica deve essere contenuta. Quando l’intervento
sul mercato viene effettuato sulla base della presenza di
determinati supporti o resistenze, è solo a questi ultimi che va
ancorato il momento di uscita dal mercato. Supponendo, ad esempio,
di effettuare un acquisto al momento delle perforazione di un
livello di resistenza, lo stop loss verrà fissato immediatamente
sotto la stessa resistenza, trasformatasi in supporto, al fine di
cautelarsi contro le false perforazioni. Così, ancora ad esempio, se
si effettua un acquisto, nell’ambito di una tendenza rialzista,
quando i prezzi ripiegano temporaneamente verso la trendline, lo
stop loss verrà fissato immediatamente sotto la trendline per
cautelarsi contro una inversione di tendenza immediatamente
successiva al nostro acquisto. Si noterà come, in entrambi i casi,
abbiamo suggerito di fissare lo stop loss non in coincidenza, ma
sotto la resistenza o la trendline; è infatti opportuno assegnare un
certo margine anche alle false perforazioni in senso contrario, al
fine di non uscire prematuramente dalla posizione a causa del
fisiologico rumore del mercato che, dopo un iniziale movimento
avverso, è pronto a riprendere la direzione auspicata.
Qualche autore sostiene che è inopportuno fissare degli stop loss
nell’ambito di un trading system. Infatti, un sistema ben congegnato
dovrebbe contenere in sé i meccanismi, dovuti alla dinamica degli
indicatori adottati, che determinano sia i momenti di entrata che
quelli di uscita. La fissazione di stop loss, pertanto, potrebbe
forzare l’azzeramento di una posizione che il sistema, invece,
suggerirebbe di mantenere. Questo può anche essere vero in alcuni
casi, ma non è valido sotto il profilo logico. Un trading system,
per definizione, è un sistema che ha funzionato bene in passato, su
una serie storica nota, ma non si sa se funzionerà altrettanto bene
in futuro, su una serie ignota; lo si spera ma non lo si sa. A
nostro avviso, quindi, è bene cautelarsi anche contro il cattivo
funzionamento del trading system, magari con una percentuale di
tolleranza superiore a quella abituale, senza lasciare la posizione
esposta al rischio di un rilevante movimento avverso non colto
tempestivamente.

Trailing Stop

Il trailing stop non è altro che uno stop loss mobile che serve a
fissare i profitti man mano che questi vengono conseguiti grazie a
un mercato che si muove nella direzione auspicata.

Supponiamo, ad esempio, di aver effettuato l’acquisto di un titolo


la cui quotazione comincia immediatamente a salire. Quand’è che
dobbiamo vendere il titolo e monetizzare i profitti? Fino a che
punto conviene rischiare nel caso di temporanee correzioni
nell’ambito del trend rialzista del titolo?

Se, fissato inizialmente lo stop loss, cominciamo ad alzare


sistematicamente la barriera ad ogni rialzo del titolo, ecco che
avremo sempre un limite di riferimento al disotto del quale il
titolo va venduto.

Attenzione, però! Una volta portato a un livello superiore, per


accompagnare un rialzo del titolo, lo stop loss non può più essere
riportato indietro, altrimenti la sua funzione verrebbe vanificata.

Naturalmente, il discorso va invertito nel caso di operazioni


ribassiste che, pertanto, richiedono uno stop loss da abbassare
sistematicamente con divieto assoluto di riposizionamento verso
l’alto.
I criteri per la fissazione del trailing stop sono analoghi a quelli
esaminati per gli stop loss: una percentuale fissa, una percentuale
variabile in funzione della volatilità, una soglia mobile definita
da un trendline; l’importante è che il criterio fissato all’origine
non venga variato per soddisfare la maggiore tolleranza
dell’operatore di fronte a un’operazione che si sta rivelando
proficua.

Profit target

Un ulteriore criterio di uscita dal mercato, diverso dai precedenti,


consiste nella fissazione di un obiettivo di prezzo raggiunto il
quale si chiude la posizione. Questo non esclude la contemporanea
definizione di uno stop loss, ma serve a stabilire sin dall’inizio
il livello di prezzo al quale si intende uscire da un mercato che si
muove nella direzione voluta.

La fissazione di un profit target, quindi, può essere utile in un


mercato molto volatile, al fine di beneficiare delle oscillazioni
favorevoli cautelandosi contro quelle avverse, oppure per le
operazioni effettuate nell’ambito di un canale di trading, con
obiettivo in prossimità della parallela superiore, in caso di
operazione lunga, o inferiore, in caso di operazione corta.

Conclusioni

La fissazione di limiti di prezzo è l’arma principale di chi vuole


operare in borsa con successo. La consapevolezza di non essere in
grado di trovarsi sempre dalla parte giusta del mercato porta
automaticamente a cautelarsi contro gli errori con sistemi idonei a
salvaguardare il capitale disponibile da erosioni non tollerabili.

Si può senz’altro asserire che, quand’anche il numero delle


operazioni errate fosse ampiamente superiore al numero delle
operazioni corrette, una attenta gestione del momento di uscita dal
mercato sarebbe in grado ugualmente di condurre alla realizzazione
di profitti.
Ne consegue che, al limite, il momento e la direzione dell’ingresso
possono essere assunti anche casualmente: una buona gestione del
rischio, portando a minimizzare le perdite e a massimizzare i
profitti, non può che riuscire complessivamente vantaggiosa.

Gestione del rischio, però, significa anche monitoraggio costante


delle posizioni assunte e corretta contabilizzazione degli utili e
delle perdite. Solo la costante attenzione all’evoluzione dei prezzi
può portare a identificare tempestivamente il momento più opportuno
per l’azzeramento di una posizione. Un ritardo anche lieve
nell’applicazione dei principi operativi definiti al momento della
sua assunzione può condurre a perdite ben superiori a quelle
preventivate e, quindi, alla vanificazione di tutto un ciclo di
operazioni altrimenti bene impostate. Ogni operazione, infatti, non
fa storia a sé. L’attività di un determinato periodo di tempo (un
mese, un trimestre, un anno) include tutta una serie di operazioni,
alcune vincenti e altre perdenti, il cui insieme, ed esso solo, può
costituire parametro di riferimento per stabilire la validità della
strategia adottata.

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