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Percorsi Giuffrè - Compravendita di bene immobile senza certificato di ... http://www.percorsi.giuffre.it/psixsite/esercitazioni/pareri/Diritto civil...

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Compravendita di bene immobile senza certificato di abitabilità e garanzia per evizione.

Traccia

Clotilde ed Eugenio, in procinto di sposarsi, in data 3 gennaio 2011 acquistano da Luciano un appartamento in un condominio
sito nel comune di Saluzzo, avendo intenzione di iniziare a convivere e fissare poi la residenza familiare.
Un mese dopo la conclusione della compravendita, però, scoprono che l’immobile è privo del certificato di abitabilità: così si
rivolgono ad un avvocato al fine di chiedere la risoluzione del contratto.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Clotilde ed Eugenio, premessi brevi cenni sulla garanzia per evizione, rediga motivato
parere considerando che il certificato di abitabilità verrà rilasciato a Luciano, a causa di un ritardo della ASL nella effettuazione
del sopralluogo sanitario, tre mesi dopo la conclusione del contratto.

Giurisprudenza

o Cassazione Civile, sez. II , 21 gennaio 2013, n. 1373. Non può ritenersi configurata la fattispecie di "aliud pro alio",
che consente di esperire l'azione di risoluzione di cui all'art. 1453 cod. civ., nel caso di compravendita di un immobile
privo dei certificati di abitabilità od agibilità, quando oggetto del contratto siano immobili collocati in uno stabile d’epoca,
nello stato di fatto e di diritto come visto e gradito dalla parte acquirente, dovendo all’uopo valutarsi anche l’esiguità del
prezzo ed altre circostanze sufficienti a dimostrare la conoscibilità delle caratteristiche funzionali del bene in capo
all’acquirente;
o Cassazione Civile, sez. II, 8 gennaio 2013, n. 259. L'assenza del certificato di abitabilità di un appartamento, non
escludendone di per sé la conformità alle norme igienico-sanitarie, non impedisce l'utilizzazione in concreto dello stesso
come abitazione, potendosi, pertanto, riconoscere al proprietario dell'immobile il risarcimento del danno per la mancata
fruizione del bene conseguente al fatto illecito ascrivibile ad un terzo.

Svolgimento
In ragione di quanto descritto e, aderendo alla recente giurisprudenza di legittimità, Clotilde ed Eugenio potranno
ottenere l'integrale ristoro della perdita patrimoniale subita, sia come danno emergente sia come lucro cessante.
Tra le obbligazioni principali del venditore, oltre alla consegna della cosa, assume rilevanza quella di garantire il
compratore dall'evizione e dai vizi della cosa alienata.
Il venditore è tenuto a garantire l'acquisto del compratore: a) assicurando che la cosa sia immune da vizi che la rendano
inidonea all'uso cui è stata destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (c.d. garanzia per i vizi, artt.
1490-1496 cod. civ.); b) garantendo che la cosa non appartenga ad altri, né gravino su di essa oneri, diritti reali,
personali o altri vincoli non apparenti e non dichiarati (c.d. garanzia per evizione, artt. 1483-1488 cod. civ.).
Discussa è in dottrina la natura giuridica di tali garanzie, in particolare se possono farsi rientrare nell'ambito della più
generale responsabilità per inadempimento.
Sotto un primo aspetto, occorre anzitutto stabilire se la garanzia si fondi pur sempre sulla responsabilità della parte,
nella sua versione dolosa o quantomeno nella sua veste colposa. A questo proposito, v'è chi ha parlato di assicurazione
contrattuale, poiché la garanzia opererebbe in assenza di colpa dell'alienante, tanto che il comportamento colposo e
consapevole di questo sancirebbe il limite per l'attribuzione di una responsabilità da inadempimento con relativo
risarcimento del danno.
Altri hanno, invece, fatto riferimento all'errore dell'acquirente sulle caratteristiche materiali o giuridiche della cosa
compravenduta, giungendo però, in tal modo, a definire solo una delle possibili modalità operative della garanzia,
tralasciando quelle circostanze nelle quali la stessa interviene nonostante il comportamento attento e vigile del
compratore. Per di più, è stato rilevato come l'errore del compratore darebbe luogo all'annullabilità del contratto e non
alla risoluzione dello stesso o alla riduzione del prezzo come accade per il caso della garanzia. Di conseguenza, la
garanzia esprimerebbe una responsabilità speciale del venditore in ragione del verificarsi di anomalie attinenti alla
legittimazione di questi a disporre della cosa o all'idoneità all'uso della cosa stessa.
Infine non manca chi fa riferimento alla causa della compravendita: partendo dal presupposto per il quale non esplica i
suoi effetti pratici un contratto in cui la proprietà sul bene compravenduto venga con successo rivendicata da altri,
ovvero in cui lo stesso bene risulti affetto da vizi, la natura giuridica delle garanzie è stata interpretata nel senso che
ogni ostacolo alla realizzazione della causa sottesa al negozio susciterà opportune reazioni (risoluzione) o modifiche
(riduzione del prezzo) relative all'accordo negoziale.
In definitiva, dunque, al sistema delle garanzie deve attribuirsi un carattere riparatorio sul quale può fare affidamento il
compratore, a favore del quale l'ordinamento assegna diversi strumenti per ottenere gli effetti del contratto. A ciò si
affianca il sistema delle sanzioni a carattere risarcitorio, in presenza di un'acclarata responsabilità del venditore fondata
sull'elemento colposo.
Si ha evizione quando un terzo che vanti un diritto sulla cosa acquistata dall'acquirente risulta vincitore in giudizio.
L'elemento caratterizzante la garanzia per evizione è dato, quindi, dall'intervento rivendicativo o espropriativo da parte
di un terzo: pertanto, non si ha evizione per la sola affermazione della esistenza del diritto di proprietà da parte del terzo
indipendentemente da ogni azione di quest'ultimo, ma occorre che il terzo si attivi per recuperare il diritto nella propria
sfera patrimoniale e che il suo diritto sia definitivamente accertato.
La suddetta situazione è ritenuta sussistente, tra l'altro, nelle seguenti quattro ipotesi: a) diritto accertato
giudizialmente con sentenza di condanna al rilascio del bene passata in giudicato; b) riconoscimento del diritto del terzo
da parte del compratore, dotato delle caratteristiche di cui all'art. 1485, comma II, cod. civ.; c) trasferimento coattivo del
bene in sede di esecuzione forzata; d) espropriazione per pubblico interesse.
Nell'ampliare o ridurre la portata della garanzia per evizione le parti non possono oltrepassare i limiti posti
dall'ordinamento all'autonomia negoziale. Ad esempio, deve ritenersi nulla per difetto di causa la determinazione
dell'ammontare delle restituzioni in una somma esorbitante rispetto al prezzo e alle spese sostenute dall'acquirente,

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salvo il caso in cui tale somma sia previamente convenuta a titolo di risarcimento del danno. Ampliamenti consentiti della
garanzia sono, invece, il riconoscimento al compratore della facoltà di risolvere il contratto prima che l'evizione si
cristallizzi in via definitiva (ad esempio, non appena il terzo ha attivato la domanda giudiziale di rivendica), o
l'estensione del rischio all'evizione non imputabile al venditore.
Per quanto riguarda, invece, la diminuzione della garanzia, è legittima la convenzione con cui ci si accordi, in caso
d'evizione, a limitare le pretese del compratore alla semplice restituzione del prezzo, con esclusione di qualsiasi, ulteriore
obbligo risarcitorio a carico dell'alienante.
Le parti possono altresì pattuire che il venditore non sia soggetto a garanzia alcuna (art. 1487, comma I, cod. civ.). In
quest'ultimo caso, non si applicano le disposizioni degli artt. 1479 e 1480 cod. civ. e, se si verifica l'evizione, il
compratore può pretendere dal venditore soltanto la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese. Il venditore
è esente anche da quest'obbligo quando la vendita è stata convenuta a rischio e pericolo del compratore (art. 1488 cod.
civ.).
Quantunque sia pattuita l'esclusione della garanzia, il venditore è comunque tenuto per l'evizione derivante da un fatto
suo proprio, ed è nullo ogni patto contrario (art. 1487, comma II, cod. civ.).
L'evizione può essere totale o parziale: nel primo caso si riferisce all'intera cosa venduta (art. 1483 cod. civ.), nel
secondo ad una quota del bene (art. 1484 cod. civ.).
Se l'evizione è totale, l'acquirente può pretendere, oltre alla risoluzione del contratto, anche il risarcimento del danno e
gli altri versamenti di cui all'art. 1479 cod. civ. Inoltre, qualora ne ricorrano le condizioni, avrà diritto al rimborso del
valore dei frutti che egli stesso dovrà restituire al terzo evincente, nonché alle spese sostenute per la denunzia della lite
e quelle che abbia dovuto rimborsare all'attore (art. 1483, commi I e II, cod. civ.).
Se l'evizione è parziale, il compratore potrà richiedere la risoluzione del contratto se egli stesso non avrebbe acquistato
la cosa senza quella porzione che successivamente alla stipula del negozio è stata evitta (art. 1480 cod. civ.), e il
risarcimento del danno in caso di dolo o colpa dell'alienante; altrimenti, l'acquirente potrà ottenere la riduzione del
prezzo, oltre al risarcimento del danno. Anche in tal caso troverà applicazione il comma II dell'art. 1483 cod. civ. circa il
diritto del compratore al valore dei frutti da restituire al terzo ed alle spese di lite sostenute.
Qualora il terzo, anziché rivendicare la proprietà della cosa venduta, vanti su di essa oneri o diritti reali o personali non
apparenti, né dichiarati nel contratto, che ne diminuiscono il libero godimento o la disponibilità (c.d. evizione limitativa),
il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può sospendere il pagamento del prezzo (art. 1482 cod. civ.) o far
fissare dal giudice un termine alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata dai suddetti pesi o vincoli, il contratto è
risolto, con l'obbligo per il venditore di risarcire il danno.
La risoluzione del contratto può essere attivata soltanto a seguito del decorso del termine concesso dal giudice al
venditore per l'eliminazione dei vincoli stessi.
Infine, l'art. 1485 cod. civ. dispone che il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa
venduta, deve chiamare in causa il venditore, al fine di ottenere una condanna del venditore alla garanzia o di estendere
al venditore gli effetti della sentenza che pone fine al giudizio instaurato dal terzo. Qualora non lo faccia e sia
condannato con sentenza passata in giudicato, perde il diritto alla garanzia, se il venditore prova che esistevano ragioni
sufficienti per far respingere la domanda. È evidente come la norma sia posta a vantaggio del venditore il quale non può
sottostare all'inerzia del compratore, data la presunzione per cui il venditore stesso ha ragioni sostanziali più credibili
idonee a contrastare le pretese di terzi sul bene compravenduto.
Il compratore che ha spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo perde il diritto alla garanzia, se non prova che non
esistevano ragioni sufficienti per impedire l'evizione.
Nel caso si specie, bisogna verificare se la carenza del certificato di abitabilità, al momento della vendita dell’immobile a
Clotilde ed Eugenio, abbia comportato la nullità della compravendita, dando luogo anche ad una ipotesi di "aliud pro
alio", consentendo agli stessi di esperire l'azione di risoluzione di cui all'art. 1453 cod. civ.
Il certificato di abitabilità (e/o agibilità) è previsto dagli artt. 24 e 25 del D. P. R. n. 380 del 6 giugno 2001 (Testo unico
edilizia), ed è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell'opera, sicché,
attesa la presunzione "iuris tantum" di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono
intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni (cfr. Cass. Civ., sez. II, 12 ottobre 2012 n.
17498).
La prevalente giurisprudenza, invece, ha sempre individuato nella consegna di un immobile privo del requisito di
abitabilità, che deve essere attestato dal relativo certificato, una ipotesi di vendita di aliud pro alio, ossia di una cosa
radicalmente diversa da quella promessa. Si tratta di una fattispecie non contemplata dal codice civile più grave di quella
in cui la cosa venduta risulti viziata o manchi di qualità essenziali, che è conseguenza di un inadempimento del venditore
sul quale ricade, in assenza di diversa pattuizione, l’obbligo di dotare i locali del certificato. In caso contrario l’acquirente
è legittimato a domandare la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 cod. civ., nel termine ordinario di prescrizione decennale,
salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. Tale azione non è sottoposta alla disciplina speciale prevista per il contratto
di compravendita (artt. 1490 -1495 cod. civ.), bensì alla disciplina generale di cui all'art. 1453 cod. civ., è dunque
svincolata dai restrittivi termini di decadenza per la denunzia dei vizi o della mancanza di qualità (otto giorni) e di
prescrizione per l'esercizio dell'azione (un anno), sanciti dall'articolo 1495 c.c., cui rinvia il secondo comma dell'articolo
1497, in quanto il bene, appartenendo a un genere diverso, si rivela funzionalmente del tutto inidoneo a fornire l'utilità
richiesta. Il fondamento dell’azione da parte dell’acquirente risiederebbe, secondo questa giurisprudenza, nel fatto che:
“nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del
bene compravenduto, poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale,
assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra
inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi
dell'art. 1460 cod. civ., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non
abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato, comunque, il venditore dall'obbligo di ottenere la
relativa licenza” (Cass. Civ., sez. II, 24 settembre 2008, n. 24009, conf. Cass. Civ., sez. II, 3 luglio 2000, n. 8880).
La recente giurisprudenza, invece, non solo ritiene che la mancata consegna del certificato di abitabilità, oggi di agibilità,
al momento della vendita di un immobile, non comporti nullità del contratto (non vi è infatti alcuna norma che proibisca,
analogamente a quanto accade per gli immobili abusivi, la circolazione di abitazioni o edifici non agibili, la cui

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negoziazione è lecita non essendo l'oggetto del contratto né giuridicamente impossibile né illecito, dunque non può
parlarsi di “nullità virtuale”), ma anche che la mancanza del certificato di abitabilità, non può dar luogo alla fattispecie di
"aliud pro alio" che consente di esperire l'azione di risoluzione di cui all'art. 1453 cod. civ. In particolare “non si configura
aliud pro alio nel caso di compravendita di un immobile privo dei certificati di abitabilità od agibilità, quando oggetto del
contratto siano immobili collocati in uno stabile d'epoca, nello stato di fatto e di diritto come visto e gradito dalla parte
acquirente, dovendo all'uopo valutarsi anche l'esiguità del prezzo ed altre circostanze sufficienti a dimostrare la
conoscibilità delle caratteristiche funzionali del bene in capo all'acquirente” (Cass. Civ., sez. II, 21 gennaio 2013, n. 1373).
Nel caso di specie Clotilde ed Eugenio hanno intenzione di promuovere un giudizio di risoluzione del contratto, quindi il
giudice adito dovrà valutare se ricorre una ipotesi di vendita di aliud pro alio e se l’inadempimento sia stato tale da
giustificare la risoluzione ex art. 1453 cod. civ. Si impone un'indagine tendente ad accertare per quali ragioni tale
certificato non sia stato consegnato: il suo omesso rilascio potrebbe infatti dipendere da molteplici cause, quali una grave
violazione urbanistica, la necessità di interventi edilizi oppure l'esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che
non attengono alla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico-sociale.
In questo caso, poiché il ritardo è stato causato da un terzo, cioè dalla ASL, la richiesta di risoluzione per inadempimento
del venditore appare eccessivamente penalizzante nei confronti di quest'ultimo, non essendovi la corrispondente
necessità di tutelare il compratore con siffatto estremo rimedio.
Al riguardo, la Suprema Corte regolatrice ha affermato che: “l'assenza del certificato di abitabilità di un appartamento,
non escludendone di per sé la conformità alle norme igienico-sanitarie, non impedisce l'utilizzazione in concreto dello
stesso come abitazione, potendosi, pertanto, riconoscere al proprietario dell'immobile il risarcimento del danno per la
mancata fruizione del bene conseguente al fatto illecito ascrivibile ad un terzo” (Cass. Civ., sez. II, 8 gennaio 2013, n.
259).
Quindi, non si configura una vendita di aliud pro alio, come affermato fino ad oggi dalla costante giurisprudenza, ma
piuttosto una valida vendita nella quale non può ritenersi inadempiente il venditore Luciano. Non può, infatti, negarsi
rilievo alla circostanza che la certificazione sia stata comunque rilasciata, sebbene tre mesi dopo il contratto, dovendosi
valutare in concreto l'importanza e la gravità dell'inadempimento in relazione al godimento e alla commerciabilità del
bene. La mancata consegna del certificato al compratore non determina, quindi, in via automatica, la risolubilità del
contratto per inadempimento del venditore, poiché il successivo rilascio evidenzia l'inesistenza originaria di impedimenti
assoluti al rilascio della certificazione e l'effettiva conformità dell'immobile alle norme urbanistiche e igienico-sanitarie.
Pertanto, e in conclusione, gli acquirenti potranno certamente agire dinanzi l'Autorità Giudiziaria competente, con atto
di citazione, ex art. 163 c. p. c., per la risoluzione del contratto ex art. 1453 cod. civ., ma non è certo che la ottengano,
trattandosi di un inadempimento non così grave, avendo il contratto comunque raggiunto la sua funzione economico-
sociale con la consegna successiva del certificato. Invece, potranno ottenere con maggiori probabilità un risarcimento del
danno, perché l'omessa consegna del certificato da parte del venditore Luciano al momento del contratto ha integrato pur
sempre un'inadempienza, fonte di danni consistenti sia nel danno emergente, conseguente alla inutilizzabilità del bene,
sia nel lucro cessante, derivante dalla sua mancata utilizzazione a residenza familiare.
(di Giuseppe Potenza)

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