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Vendita con patto di riscatto e nullità del contratto per violazione del divieto di patto commissorio, ex art. 2744
cod. civ.
Traccia
Timoteo, esperto nel settore della vendita di stoffe, in data 7 giugno 2012, si rivolge ad un avvocato, consigliatogli da un suo
amico, per esporgli quanto in appresso indicato:
per rilevare una piccola ma sicura attività commerciale, ha venduto con patto di riscatto nel gennaio 2011 al prezzo di euro
500.000,00 a Giuliano un bene immobile ricevuto in eredità, vale a dire un lussuoso appartamento di 100 metri quadrati sito in
Perugia alla Via Baglioni, conservandone il godimento, corrispondendo mensilmente per l’uso del bene la somma di euro
7000.00 con l’intesa, formalizzata in una scrittura privata a parte che, se egli (Timoteo) entro 5 anni non avesse restituito
l’intera somma ricevuta a titolo di prezzo più gli interessi legali, non avrebbe potuto riacquistare la proprietà del bene.
Timoteo, dunque, chiede al professionista se può impugnare il contratto.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Timoteo, premessi brevi cenni sul divieto del patto commissorio, rediga motivato
parere.
Giurisprudenza
o Cassazione Civile, sez. II, 10 marzo 2011, n. 5740, per la quale, il divieto di patto commissorio sancito dall'art.
2744 cod. civ. si estende a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per
conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del
creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata
estinzione del debito e costituisce apprezzamento insindacabile del giudice del merito, quello diretto ad accertare se
l'intervenuto accordo contrattuale integri un patto commissorio;
o Cassazione Civile, sez. II, 5 marzo 2010, n. 5426, per la quale, in tema di patto commissorio, l'automatismo del
vietato trasferimento di proprietà del bene costituisce un connotato della figura tipica di cui alla previsione dell'art. 2744
cod. civ., mentre nelle ipotesi in cui non vi sia stata la concessione di pegno o ipoteca e l'illegittima finalità venga
realizzata indirettamente in virtù di strumenti negoziali preordinati a tale particolare scopo, il requisito dell'anzidetto
automatismo non può ritenersi esigibile, giacché la sanzione della nullità deriva dall'applicazione dell'art. 1344 cod. civ.,
per snaturamento della causa tipica del negozio, piegata all'elusione della norma imperativa di cui al citato art. 2744 cod.
civ. In siffatti casi la coartazione del debitore, preventivamente assoggettatosi alla discrezione del creditore, è "in re
ipsa", non disponendo il medesimo di alcuna possibilità di evitare la perdita del bene costituito in sostanziale garanzia;
o Cassazione Civile, sez. II, 7 settembre 2009, n. 19288, per la quale il contratto di compravendita caratterizzato
dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio specifica della
vendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, nonostante non sia tale da integrare direttamente
un patto commissorio, vietato ex art. 2744 cod. civ., costituisce un mezzo diretto ad eludere il disposto recato dalla citata
norma imperativa, tale che, esprimendo una causa illecita, determina l'applicabilità all'intero contratto della sanzione di
cui all'art. 1344 cod. civ. In ipotesi siffatte, invero, il versamento del denaro da parte del compratore costituisce non già
pagamento del prezzo, bensì esecuzione di un mutuo, ed il trasferimento del bene è unicamente diretto a costituire una
posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituzione
posto a suo carico.
Svolgimento
In ragione di quanto descritto in traccia e, aderendo alla recente giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità, il contratto
stipulato tra Timoteo e Giuliano, concernente la vendita con patto di riscatto dell’immobile di Via Baglioni in Perugia, è nullo,
essendo la causa dello stesso illecita per l’elusione della norma di cui all’art. 2744 cod. civ.
Com’è noto, il principio di autonomia negoziale (art. 1322 cod. civ.) consente alle parti di porre in essere, per realizzare i
propri interessi, negozi giuridici atipici o innominati perché non disciplinati dalla legge. Spesso, però, attraverso l’iniziativa
privata le parti nascondono l’intenzione di perseguire effetti giuridici vietati dall’ordinamento. Ciò accade di frequente nel campo
dei trasferimenti in garanzia posti in essere tra debitore e creditore al fine di eludere il divieto del patto commissorio.
Il nostro ordinamento contempla, agli artt. 2744 e 1963 cod. civ., il divieto del patto commissorio ovvero di quell’accordo
in virtù del quale, in mancanza di pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata, data in pegno o in
anticresi, passa al creditore. La sanzione prevista espressamente per tale patto è la nullità. Il legislatore si occupa, però, solo
del patto commissorio c.d. “accessorio” cioè di quello collegato ad una garanzia reale tipica, tuttavia dottrina e giurisprudenza
prevalenti ritengono che queste disposizioni normative (artt. 2744 e 1963 cod. civ.) siano applicabili anche alle ipotesi di
trasferimenti di proprietà di beni gravati da un privilegio speciale, di carattere legale o convenzionale, essendo parimenti
ravvisabile la finalità commissoria. Si ritengono altresì suscettibili di nullità per violazione del divieto del patto commissario
quelle pattuizioni che, per effetto dell'inadempimento, prevedano non il trasferimento della proprietà del bene, bensì la
costituzione su di esso di un diritto reale di godimento (usufrutto, enfiteusi, diritto del concedente, diritto di superficie). Alla luce
di queste osservazioni, consegue la considerazione dell'art. 2744 cod. civ. quale espressione di un principio generale dell'
ordinamento giuridico, tale da trovare applicazione a tutte quelle fattispecie che, pur non essendo espressamente contemplate
da parte del legislatore, siano comunque caratterizzate dalla medesima ratio. Pertanto si ritiene applicabile questa norma anche
ai cosiddetti patti commissori “autonomi”, cioè quelli che non accedono ad alcuna forma tipica di garanzia in quanto previsti
in relazione a beni da questa non gravati.
L'individuazione del fondamento del divieto del patto commissario è tuttora oggetto di complesse dispute dottrinali e
giurisprudenziali. La non univocità delle opinioni implica d'altra parte la difficoltà di individuare una ratio unica. Secondo la tesi
tradizionale, la giustificazione del divieto, risiede nell'esigenza di tutela del debitore che, in quanto parte debole del rapporto,
verserebbe in una situazione di bisogno rispetto alle pressioni esercitate su di lui da parte del creditore in qualità di contraente
forte. Ma questo primo orientamento, ispirato all'esigenza di tutela del debitore in stato di bisogno, succube del creditore, viene
smentito dal D.Lgs. n. 231 del 2002 che, in materia di ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, tutela il creditore
dagli abusivi ritardi di pagamento da parte del debitore. Inoltre si obietta anche che se la ratio fosse solo quella di evitare che il
debitore venga a trovarsi in una posizione di soggezione rispetto al creditore, non si capirebbe come mai il divieto del patto
commissorio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui il trasferimento venga effettuato da parte di un terzo, per essere il bene
ceduto al creditore di proprietà di costui e non del debitore.
La tesi preferibile e prevalente è quella secondo cui la ratio del divieto di cui all’art.2744 cod. civ. risiede nella tutela della c.d.
par condicio creditorum, in relazione alla quale con la previsione del patto commissorio si realizzerebbe il soddisfacimento
preferenziale di un creditore, al di fuori delle cause legittime di prelazione e con pregiudizio degli altri. Secondo i fautori di
questa ricostruzione, verrebbe in tal modo a determinarsi l'inammissibile introduzione di una causa di prelazione per il
soddisfacimento del credito diversa rispetto a quelle nominativamente contemplate dal legislatore. Anche questa tesi non si
sottrae a critiche. In particolare si evidenzia che se il fondamento del divieto è solo quello di evitare la creazione di corsie
preferenziali, con elusione delle ragioni degli altri creditori, vi è già un rimedio predisposto dal legislatore, ovvero l'azione
revocatoria (art. 2901 cod. civ.), che colpisce l’atto con la sanzione dell'inefficacia relativa della pattuizione nei confronti del
creditore cui il bene è sottratto, e non con quella ben più grave della nullità di cui all'art. 2744 cod. civ.
Infine, altra parte della dottrina afferma che nel nostro ordinamento non sono ammissibili forme di autotutela privata
esecutiva e pertanto la ratio del divieto della pattuizione commissoria va individuata nella tutela d’interessi generali, più che di
quelli specifici e particolari dei singoli debitori e creditori. La realizzazione coattiva dei crediti è assicurata, ai sensi di legge,
nelle sole forme dell'esecuzione forzata dall'autorità giudiziaria e dagli organi pubblici che la coadiuvano; pertanto non sono
ammissibili forme private di autotutela esecutiva, in quanto il soddisfacimento con modalità convenzionali delle ragioni del
credito farebbe venire meno le indispensabili garanzie processuali previste a tutela del debitore oltre che dei creditori
concorrenti. In conclusione, poiché le ragioni del divieto del patto commissorio - qualunque sia la tesi che si scelga di
condividere fra quelle esposte - sono ragioni di carattere generale, deve ritenersi che sussistono sia in caso di patto commissorio
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accessorio ad una garanzia reale, sia in caso di patto autonomo che non accede ad alcuna garanzia tipica, e ciò perché la norma
sul divieto del patto commissorio è norma che vieta il risultato.
La questione riguarda l’ammissibilità dell’accordo concluso tra Timoteo e Giuliano, collegato ad una vendita apparentemente
valida che ha prodotto immediatamente i suoi effetti tipici.
Senza dubbio ci troviamo di fronte ad una vendita con patto di riscatto (art. 1500 cod. civ.), la quale spesso nella prassi viene
utilizzata dalle parti, così come la vendita con riserva di proprietà (art. 1523 cod. civ.), per aggirare il divieto del patto
commissorio (art. 2744 cod. civ.) ogni qual volta la vendita del bene mascheri, in realtà, la volontà di attribuire il bene in
maniera definitiva al creditore al solo verificarsi dell'inadempimento di un debito, ponendo così in essere una funzione di
garanzia e non di scambio.
Com’è noto la ratio tradizionalmente individuata dalla dottrina e giurisprudenza del divieto del patto commissorio, ossia di quel
patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o
data in pegno passi al creditore, è innanzitutto la tutela del debitore, considerato parte debole nel sinallagma contrattuale e
particolarmente esposto alle pressioni del creditore il quale, approfitta dell’inadempienza del primo per acquisire la proprietà di
suoi beni attraverso negozi solo apparentemente leciti (cfr. Cass. Civ., sez. II, 05.03.2010, n. 5426).
Più recentemente, parte della dottrina ha ravvisato la ratio del divieto nella necessità di rispettare un principio cardine
dell'ordinamento giuridico, ossia quello della tipicità dei diritti reali, costituenti un numerus clausus, e quindi insuscettibili di
estensione analogica. L'alienazione a scopo di garanzia ne costituirebbe, in quest'ottica, un'indebita estensione portando alla
configurazione di un diritto reale atipico, pattiziamente determinato.
L’effetto di garanzia spesso è ottenuto condizionando risolutivamente l'acquisto del bene all'adempimento del venditore o nel
caso in cui il riscatto del bene venduto sia subordinato, non tanto alla restituzione del prezzo o dei rimborsi ex art. 1500 cod.
civ., quanto piuttosto alla restituzione di una somma ricevuta a mutuo, o precedentemente o contestualmente, con palese
violazione dell'art. 2744 cod. civ. In quest'ultima ipotesi, invero abbastanza frequente nella prassi, le parti, per evitare di
incorrere nella sanzione della nullità dei patti che sanciscono la restituzione di un prezzo superiore a quello stipulato per la
vendita ex art. 1500, cod. civ., stabiliscono già al momento della conclusione del contratto un prezzo del bene che sarà
equivalente alla somma ricevuta a mutuo, maggiorato di spese ed interessi dovuti fino al termine per l'esercizio del riscatto.
La giurisprudenza e la dottrina si dividono nel considerare valide o meno le alienazioni in garanzia che producono
immediatamente effetti traslativi.
Secondo un orientamento giurisprudenziale più risalente, seguito da una parte della dottrina, che si atteneva, per individuare il
campo di applicazione del divieto di cui all’art. 2744 cod. civ., ad un criterio strettamente formalistico, vincolato al dettato del
Codice civile, per effetto del quale si solevano ritenere valide le alienazioni in garanzia che attuassero un effetto traslativo
immediato, mentre applicava il divieto del patto commissorio esclusivamente alle alienazioni sospensivamente condizionate
all'inadempimento da parte del debitore-alienante. Possiamo quindi affermare che, in passato, è stato proprio il criterio di
immediatezza o meno del verificarsi dell’effetto traslativo a costituire il punto di demarcazione tra esistenza del patto
commissorio e valida alienazione in garanzia. Tale indirizzo giurisprudenziale ha quindi, ritenuto assolutamente lecita
l'alienazione con scopo di garanzia, identificabile con lo schema della vendita con patto di riscatto (artt. 1500 e ss. cod. civ.). In
altri termini, il criterio distintivo tra vendita fiduciaria a scopo di garanzia (lecita) e vendita dissimulante un mutuo con annesso
patto commissorio (nulla ai sensi dell'art. 2744 cod.civ.) doveva individuarsi nel fatto che nella prima la proprietà si trasferisce
effettivamente ed immediatamente al creditore il quale ben poteva, mediante un accordo interno ad efficacia meramente
obbligatoria, pattuire la restituzione del bene all'alienante debitore se questi avesse estinto il debito garantito entro il termine
prefissato, mentre nella seconda figura le parti, pur dichiarando formalmente di voler acquistare e vendere, concordavano in
concreto che il creditore acquirente sarebbe diventato proprietario del bene solamente se il debitore alienante non avesse
estinto il proprio debito nel termine stabilito, così ponendo in essere una vendita sotto condizione sospensiva, differendo l'effetto
traslativo ed attuando uno schema negoziale contrastante con il divieto stabilito dalla legge (cfr. Cass. Civ., 08.05.1984, n.
2795; Cass. Civ., 12.11.1982, n. 6005; Cass. Civ., 21.01.1980, n. 462).
La prevalente giurisprudenza, invece, ha superato tale rigido orientamento formalistico per approdare ad un criterio
interpretativo e funzionale, arrivando a ravvisare la presenza del patto commissorio, e la conseguente nullità del contratto,
anche rispetto a negozi tra loro collegati, qualora dagli stessi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da fare ritenere
che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene al creditore dia luogo non tanto ad
una funzione di scambio, quanto ad uno scopo di garanzia, a prescindere sia dalla natura meramente obbligatoria, o traslativa o
reale del contratto, sia dal momento temporale in cui l'effetto traslativo sia destinato a verificarsi.
Tale indirizzo è stato confermato recentemente dalla Suprema Corte secondo la quale: “la vendita con patto di riscatto o di
retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia
(piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non
costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione
di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute,
atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio,
piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art.
2744 cod. civ., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime perciò una causa illecita che renda applicabile
all'intero contratto la sanzione dell'art. 1344 c. c.” (Cass. Civ., sez. II, 07.09.2009, n. 19288). Ed è utile sottolineare un ulteriore
arresto dei giudici di P. zza Cavour, secondo il quale: “il divieto di patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c. si estende a
qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato
dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il
trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito e costituisce apprezzamento
insindacabile del giudice del merito, quello diretto ad accertare se l'intervenuto accordo contrattuale integri un patto commissorio”
(Cass. Civ., sez. II, 10.03.2011, n. 5740, conf. Cass. Civ., sez. II, 01.06.1993, n. 6112).
Ovviamente, l'applicazione pratica di tale criterio comporterà, di volta in volta, un'attenta valutazione da parte del giudice, che
dovrà individuare l'eventuale presenza di fattori indicativi dai quali desumere l'effettivo intento perseguito dai contraenti come
ad esempio: la previsione di interessi, la mancata consegna del bene all'acquirente, la sproporzione tra prezzo dichiarato in atti
e il valore effettivo del bene, i rapporti di debito-credito intercorrenti tra le parti, anche antecedenti la conclusione del contratto.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che, sebbene il contratto tra Timoteo e Giuliano abbia prodotto immediatamente effetti
traslativi, esso era preordinato a costituire una garanzia reale a fronte della somma ricevuta a mutuo per poter acquistare
l’attività commerciale, come ben risulta sia dalla scrittura privata tra le parti, sia dalla sproporzione tra il prezzo di vendita
(euro 500 mila) dell’immobile e il suo effettivo valore di mercato. Pertanto applicando l'orientamento espresso dalla
giurisprudenza più recente, sicuramente più rispondente ad un'esigenza di certezza giuridica, si può affermare che, il contratto
ha violato il patto commissorio, con la conseguente sanzione della nullità, non rilevando affatto che esso ha prodotto
immediatamente l’effetto traslativo del passaggio della proprietà del bene in favore di Giuliano, ma piuttosto che con esso le
parti hanno inteso realizzare uno strumento di garanzia diverso da quelli legali e quindi pericoloso per l'esigenza di certezza del
diritto.
In conclusione, da un punto di vista strettamente processuale, Timoteo potrà agire in giudizio, con atto di citazione ex art. 163
c. p. c., dinanzi il Giudice competente e domandare la nullità del contratto per divieto del patto commissorio.
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