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Herrigel E.

: Lo zen e il tiro con l'arco

Eugen Herrigel

Lo zen ed il tiro con l'arco

ISBN 9 788845 901775

Adelphi, 1996, 100 pagine

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Herrigel E.: Lo zen e il tiro con l'arco

Sono passati 60 anni dalla prima pubblicazione in Italia, praticamente l'arco della vita attiva di
un essere umano, possiamo tranquillamente dire che questo testo ormai è un classico. E' un
piccolo libretto che ci è stato compagno per molti anni, letto e riletto fino alla consunzione,
fedele compagno che ha sempre aspettato paziente, nello scaffale della biblioteca o nella tasca
dello zaino, che tornassimo a lui. Una sola cosa saremmo tentati di non perdonare a questo
libro: di avere generato una inquietante catena di eponimi che trattano o dicono di trattare di Ze
n e...,
ma sarebbe ingiusto: imitazioni servili e adattamenti "popolari" sono le stimmate che
accompagnano inevitabilmente quello che vale.

La breve introduzione di Daisetz Suzuki (1870-1966), protagonista primario della diffusione


della cultura zen in Occidente, fornisce una chiave potenzialmente in grado di aprire le porte ad
ogni branca della cultura giapponese; a patto di essere nelle mani di chi sa come adoperare
una chiave, che da sola non ha mai aperto nulla:

Uno degli elementi essenziali nell'esercizio del tiro con l'arco e delle altre arti che vengono
praticate in Giappone e probabilmente anche in altri paesi dell'Estremo Oriente è il fatto che
esse non perseguono alcun fine pratico e neppure si propongono un piacere puramente
estetico, ma rappresentano un tirocinio della coscienza e devono servire ad avvicinarla alla
realtà ultima. Così il tiro con l'arco non viene esercitato soltanto per colpire il bersaglio, la spada
non s'impugna per abbattere l'avversario, il danzatore non danza soltanto per eseguire certi
movimenti ritmici del corpo, ma anzitutto perché la coscienza si accordi armoniosamente con
l'inconscio.

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Ma lasciamo ora la parola ad Eugen Herrigel:

Per tiro con l'arco in senso tradizionale, che egli stima come arte e onora come retaggio, il
giapponese non intende uno sport, ma, per strano che possa apparire, un rito. E così per arte
del tiro con l'arco egli non intende una abilità sportiva raggiunta più o meno  compiutamente
attraverso un esercizio in prevalenza fisico, ma una capacità acquistata attraverso esercizi
spirituali e che mira a colpire un bersaglio spirituale: così dunque che l'arciere, in fondo, prenda
di mira e forse arrivi a cogliere se stesso.

Queste dichiarazioni di Herrigel arrivano naturalmente a giochi ormai fatti, e possono lasciar
intendere un felice e rapido accostarsi all'arte; nulla di più lontano dalla realtà: Herrigel, dal
1924 al 1929 stimato professore di filosofia presso la università di Tohoku a Sendai, aveva in
quanto tale una alta considerazione del suo livello di analisi e di giudizio. Ma al momento di
affrontare il kyudo, arte tradizionale del tiro con l'arco, sotto la guida del maestro Kenzo Awa si
trovò completamente spiazzato di fronte ad un'arte che gli richiedeva non di esaminare con
sofisticati strumenti quanto gli veniva per così dire posato nel piatto, ma semplicemente di
assaggiarlo: assaporando non tanto il cibo quanto le sensazioni prodotte dal cibo su di se, e
rinunciando non solo a valutazioni preventive ma anche a ogni valutazione od analisi a
posteriori.

L'impatto che questa diversità culturale e filosofica ebbe su Herrigel, teoricamente persona
dotata più di altri dei mezzi per affrontarla, ebbe su di lui effetti devastanti:

Malgrado tutte le fatiche dei divulgatori dello Zen, la conoscenza che noi europei abbiamo
potuto acquistarne finora è indubbiamente insufficiente. Quasi che esso si opponesse ad un
maggior apprendimento, il tentativo di indovinarne, di penetrarne l'essenza, cozza dopo pochi
passi contro barriere insormontabili. Avvolto da tenebre impenetrabili. lo Zen appare il più
singolare degli enigmi che lo spirito dell'Estemo Oriente ci abbia proposto: insolubile eppure di
irresistibile fascino.

Inevitabile calcare la mano sulla inconciliabile contraddizione con quanto detto prima: Herrigel
ha compreso intellettualmente che il kyudo e lo zen non richiedono anzi respingono ogni
attaccamento materiale ed ogni tentazione analistica, e lucidamente ce ne rende conto. Salvo
poi lamentare l'impenetrabilità di una materia che non chiede altro che essere penetrata, e che

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non ha alcun segreto da celare, ma non ha alcuno scopo - analitico o no - da raggiungere. Di


più: riesce con l'ausilio e sotto l'attenta quanto severa guida del suo maestro, che ne frena e ne
sanziona impazienza, distrazione, "accanimento terapeutico" ad applicare i concetti chiave
dell'arte. Salvo dimenticarsene appena uscito dal
dojo
rivestendo di nuovo i suoi panni normali di filosofo, e dimenticarsene ancora al momento, oltre
10 anni dopo la sua prima esperienza, di porre mano alla penna e lasciare testimonianza di
quanto accaduto.

Questo equilibrio tra successo e fallimento nella vicenda personale di Herrigel è in fondo quello
che ci affascina, quello che ci ricorda sensazioni, sentimenti e pensieri che abbiamo provato,
proviamo, proveremo anche noi nella pratica della nostra arte. E' quello che ci spinge a leggere
questo libretto, a rileggerlo e a leggerlo ancora, rinunciando, va da sé, a troppe analisi: il libro di
Herrigel vale, e vale molto, per conoscere quanto lui abbia fatto: non quanto abbia capito o non
capito.

Ma dobbiamo perlomeno accennare ad alcune recenti critiche mosse ad Herrigel,


principalmente per due ragioni non condivisibili: la prima sarebbe l'indebito accostamento dello
zen ad un maestro che non risulta l'abbia mai insegnato, attribuendo di conseguenza ad
Herrigel e poi a Suzuki l'errore di avere sovrapposto alla realtà la loro visione dei fatti,
sopravvalutando l'importanza dello zen nella cultura giapponese e nel tiro con l'arco in
particolare.. Ma in realtà questo Herrigel ha chiaramente spiegato a pagina 30:

Non appena mi fui un po' orientato nel nuovo ambiente, cercai di realizzare il mio desiderio [la
pratica dello zen]. Subito mi scontrai in imbarazzati tentativi di dissuadermi. Fino allora, mi
dissero, nessun europeo si era occupato seriamente dello Zen e poiché esso rifiuta anche la
minima ombra di "dottrina", non potevo aspettarmi che mi soddisfacesse "teoricamente". ... Mi
avvisarono allora che un europeo non aveva alcuna probabilità di entrare in quel campo, il più
estraneo per lui, dello spirito nipponico, a meno che cominciasse con l'imparare una delle arti
che hanno rapporto con lo Zen

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Le catastrofiche previsioni delle persone che hanno consigliato Herrigel sembrano col senno di
poi, con la maggiore conoscenza dello zen di cui possiamo disporre ora, francamente
esagerate. Ma tiriamo oltre: la seconda critica mossa ad Herrigel sarebbe l'inspiegabile e non
scientifico mistero sulla figura del maestro, che non dice nemmeno chi sia, tantevvero che
scrupolose ricerche condotte fino in Giappone non hanno permesso di rintracciare alcun
riferimento o alcun testo lasciato dal suo meastro. Sembra un errore ancora più clamoroso: si
sapeva bene chi è, lo dice Herrigel nella pagina seguente e d'altra parte non si capisce come
altrimenti avrebbero fatto ad identificarlo i ricercatori. E' il maestro Kenzo Awa, uno dei
protagonisti della riforma del kyudo degli anni 50 che portò alla definizione dello hassetsu,
l'assieme delle 8 posizioni che l'arciere assume durante l'esecuzione del tiro.

Ma sarà il caso di dare la parola anche al maestro Awa, anche se con la mediazione di Herrigel
e l'interposizione di un interprete; da pagina 86:

Quando un giorno chiesi al Maestro come avremmo fatto, una volta ritornati in patria, ad andare
avanti senza di lui, egli rispose: "La sua domanda ha già avuto risposta dall'invito che vi ho fatto
di sottoporvi ad un esame. Lei è arrivato a un grado in cui maestro ed allievo non sono più due,
ma uno. Lei può dunque separarsi da me, in qualunque momento. E anche se vi saranno tra noi
vasti oceani, quando lei si eserciterà come ha imparato, io sarò sempre presente.

...

Ma ad una cosa devo prepararla. Nel corso di questi anni tutti e due siete diventati diversi
[Herrigel e la moglie]. L'arte del tiro con l'arco porta questo con sé: l'arciere affronta se stesso
fin nelle ultime profondità. Probabilmente fino ad ora ve ne siete appena accorti, ma lo sentirete
inevitabilmente quando in patria ritroverete amici e conoscenti: non vi intenderete più come una

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volta. Vedrete molte cose diversamente e misurerete con altro metro. Anche a me è avvenuto lo
stesso e questo attende tutti coloro che sono stati toccati dallo spirito di quest'arte". Come
commiato, che non fu un commiato, il Maestro mi porse il suo migliore arco. "Quando tirerà con
questo arco sentirà che la maestria del maestro è presente. Ma non lo dia in mano ai curiosi! E
quando ne sarà padrone, non lo conservi per ricordo! Lo distrugga, che non ne resti che un
mucchietto di cenere!"

E' evidente a chi legge queste grandi parole che non dobbiamo aspettarci di trovare nelle
biblioteche l'insegnamento del maestro Awa, legato solamente all'effimero percorso di una
freccia che scocca verso il bersaglio, eppure solido, tangibile ed immortale.

Su youtube è possibile vedere un raro video del maestro Awa in azione

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