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I. I Presocratici
Nascita filosofia: VII secolo a.C. in Grecia (continentale e insulare + colonie in Asia Minore e Italia meridionale ‘Magna Grecia’) dove
convivevano popoli di origine diversa ma con la coscienza di rappresentare un’unità etnico-culturale in contrapposizione ai barbari.
In questo secolo nelle poleis, nuclei geografici e sociali, si assiste alla democratizzazione: un processo non lineare e costantemente
stabile, soprattutto nelle colonie, dove si affermano i primi filosofi greci, i presocratici.
Le loro opere non ci sono pervenute ad eccezione di esigui frammenti Si ricorre alla tradizione indiretta dei dossografi o degli
autori più tardi.
MILESI O IONICI: dal nome della colonia greca di Mileto e della zona dell’Asia Minore detta Ionia
TALETE fine VII- VI secolo
ANASSIMANDRO contemporaneo di Talete, autore del primo libro in prosa Sulla natura
ANASSIMENE discepolo di Anassimandro
PITAGORICI
PITAGORA nato a Samo nel 570, fondò la sua scuola e setta religiosa in Magna Grecia.
FILOLAO di Crotone ha messo per iscritto la dottrina pitagorica (frammenti)
ARACHITA di Taranto, tiranno e valente matematico
ERACLITO nato a Efeso verso la metà del VI secolo, autore del libro Sulla natura (frammenti)
ELEATISMO: dalla città di Elea (Campania)
PARMENIDE di Elea, autore del poema in esametri Sulla natura (frammenti) e fondatore dell’ontologia (scienza dell’essere,
to on in greco, termine neutro)
SENOFANE di Colofone, nato tra il 580 e 565
ZENONE di Elea, discepolo di Parmenide e autore di un libro Sulla natura
MELISSO di Samo, uomo politico e valente generale, autore dello scritto Sulla natura o sull’essere
PLURALISTI
EMPEDOCLE di Agrigento, nato nel 480. Attivo in politica, finisce esiliato. Due poemi (frammenti) Sulla natura e
Purificazioni
ANASSAGORA di Clazomene, nato tra il 500 e 496. Visse soprattutto ad Atene, esiliato nel 432 per empietà. Autore del libro
Sulla natura
LEUCIPPO di Mileto nato nei primi decenni del V secolo, autore di due opere Grande cosmologia e Sull’intelletto
DEMOCRITO di Abdera nato nel 460 e morto nel 399, autore di numerose opere, anche di carattere etico
La natura e i principi: i presocratici sono accumunati dal tema d’indagine scelto ovvero la natura (con Socrate l’interesse della
filosofia si sposterà dalla natura all’uomo)
Natura = in greco Physis, termine che indica la natura come un tutto dinamico, in perenne trasformazione, come animato da vita
propria indica non solo la natura ma anche la sua principale caratteristica
Obiettivo dei presocratici: individuare l’aspetto dominante del mondo intrinsecamente animato, determinare le caratteristiche
generali della realtà con il metodo del logos (argomentazione razionale che raccoglie il particolare nell’universale ≠ mito)
MILESI = i filosofi dell’archè, la realtà dipende da un solo principio
TALETE l’archè è l’acqua, l’elemento umido (hydor) la terra galleggia sull’acqua e la vita nasce sempre dall’umido
ANASSIMANDRO l’archè è l’àpeiron = in greco significa indefinito e infinito, tale proprio per poter divenire tutte le cose
ANASSIMENE l’archè è l’aria, l’elemento gassoso (aèr) che attraverso processi di rarefazione e condensazione genera tutte
le cose (mutazioni spaziali e meccaniche che spiegano differenze qualitative)
PITAGORICI individuano l’archè nel numero quale carattere inerente alle cose stesse la numerabilità è applicabile a tutte le
cose poiché tutte hanno forma e dimensione e quindi possono essere fatte oggetto di rappresentazione matematica
Ex. 5 (numero del matrimonio) = 3 (n dell’uomo) +2 (n della donna)
La matematica è ordine, legge, proporzione, armonia musica e astronomia
Tetraktys = somma dei primi 4 numeri naturali rappresentati a piramide, è il concentrato dei principi generativi di tutti i numeri
(stampo religioso della scuola pitagorica)
Principi opposti del limite (+) e dell’illimitato (-): la finitezza è precisione, organicità, misura. Da questi due principi derivano una
serie di opposti
Ex. Dispari (+) vs pari (-) oppure maschio (+, dà la forma) vs femmina (-, fornisce la materia indeterminata)
ERACLITO: la ricerca del principio non può fermarsi all’evidenza ma andare in profondità.
Il principio della realtà è il divenire, l’unica cosa che rimane stabile filosofo dell’eterno divenire delle cose ‘non si può entrare
due volte nello stesso fiume’ eppure sembra più corretto affermare che il principio è il conflitto.
Il pòlemos afferma l’unità dei contrari: la lotta dei contrari non è solo distruttiva ma anche determinante
Ex. Il pari si determina come tale proprio in forza della sua differenza dal dispari, sono due facce della stessa medaglia
Il divenire è il conflitto che si verifica con alternanza temporale, un opposto diviene l’altro
ELEATISMO
PARMENIDE di Elea: la sua ricerca parte dall’individuazione di due vie ‘una che è e che non è possibile che non sia; l’altra
che non è e che non è necessario che non sia’. Seguendo la via dell’affermazione si scoprono le vere caratteristiche
dell’essere: ingenerato, incorruttibile, omogeneo, immobile, atemporale, indivisibile e continuo, senza fine (tutte
caratteristiche che impediscono il non essere nel linguaggio e nel pensiero) la natura si determina a partire dal pensiero.
Il pensiero che è si traduce in un essere con precise caratteristiche
1. Parmenide considera impossibile il pensiero contraddittorio e qualsiasi pensiero che nega determinatamente una
certa cosa (≠ principio di non contraddizione)
2. L’essere di Parmenide ovvero il mondo detto e pensato rigorosamente si contrappone al mondo effettivo ma
apparente degli uomini, che non rispetta le regole del pensiero
MELISSO di Samo: a lui attribuiamo l’eternità e l’infinitezza dell’essere e l’esplicita negazione del vuoto ovvero del non
essere fisico l’essere è una sostanza di natura quasi fisica
PLURALISTI individuano i principi della realtà in più elementi. Abbracciano l’affermazione parmenidea dell’inesistenza di un non
essere assoluto ma si distaccano per quanto riguarda i concetti del divenire e del molteplice, che Parmenide nega.
EMPEDOCLE di Agrigento individua 4 radici: terra, acqua, fuoco, aria che mescolandosi danno origine alla realtà e 2 forze
che governano il suo divenire: l’amicizia che aggrega e l’odio che disgrega. Queste due forze non sono al di là della natura,
rappresentano quell’aspetto che non si lascia concretizzare in oggetti e che tuttavia è attivo nella natura stessa
il divenire è un moto eterno pendolare che va dal massimo dell’amicizia (sfero) al massimo dell’inimicizia (vortice)
alternandosi fasi di aggregazione (nascita) ad altre di disgregazione (morte). Il mondo in cui viviamo coincide con le fasi
intermedie del moto in cui le cose sono parzialmente unite e parzialmente separate, infatti se tutto è unito (sfero) non c’è
nulla così come se tutto è separato (vortice)
ANASSAGORA pone come principio infiniti semi (Aristotele li definisce omomerie) divisibili all’infinito (≠ Empedocle:
scomponendo la realtà ci s’imbatte prima o poi nelle 4 radici) tutte le qualità sono ugualmente originarie
Le cose sono aggregati di tutti i semi delle realtà esistenti e devono le loro caratteristiche sensibili al fatto che un seme
prevale quantitativamente sugli altri
La generazione e corruzione delle cose avvengono per composizione e scomposizione degli elementi ovvero attraverso una
variazione quantitativa dei semi presenti
Anassagora introduce anche il principio nous come causa ordinatrice: originariamente ha separato i semi confusi in un caos
primordiale
DEMOCRITO (o/e LEUCIPPO) afferma che alla base della realtà ci sono gli atomi, elementi primi non ulteriormente
scomponibili, inframmezzati dal vuoto. Le cose sensibili si creano dal loro continuo comporsi e scomporsi
Gli atomi si differenziano solo per forma, ordine e posizione (caratteristiche geometriche, qualità primarie) e sono posti nel
vuoto, inteso come spazio necessario per spiegare il movimento degli atomi.
La novità di Democrito è la tesi che vi siano infiniti mondi che si fanno e disfano nello spazio e nel tempo
Il pensiero etico-politico
PROTAGORA insegna la virtù, in greco aretè = la capacità di fare qualcosa in modo appropriato, fino ai limiti dell’eccellenza.
La virtù di Protagora è politica e consiste nel gestire nella maniera migliore le proprie faccende, sia in privato sia in
pubblico. Questa è insegnabile a tutti, non è appannaggio ereditario dei nobili, poiché tutti siamo predisposti ad acquisirla
mito: Zeus distribuì a tutti gli uomini pudore e giustizia ma non divennero tutti ugualmente virtuosi. Queste sono infatti
le precondizioni della virtù politica, che devono poi essere sviluppate con l’esperienza e l’educazione
Protagora individua 4 momenti: la consegna delle doti iniziali minime, le predisposizioni specifiche, l’educazione spontanea
e l’insegnamento specifico della virtù politica impartito dal sofista
La virtù è dominata dal principio della priorità dell’utile: occorre attenersi ai valori correnti in una determinata società,
senza trattarli in assoluto. Il sofista, consapevole di questo, si mette al servizio della società
GORGIA non insegna la virtù, di cui possedeva una concezione più ordinaria. Si attiene ai valori correnti nella società in cui
vive
CALLICLE (ci è noto solo dal Gorgia platonico) divide l’umanità in forti e deboli, dove i forti sono coloro che si lasciano
guidare dai desideri senza remore morali e sono capaci di realizzarli figura del tiranno ≡ retore che padroneggia il
massimo strumento di potere: la parola
TRASIMACO (presentato da Platone della Repubblica) ritiene che la giustizia sia l’utile di chi di volta in volta comanda. Gli
uomini connotano come giusto ciò che ritengono utile e dal momento che non esiste un utile generale, sarà di volta in volta
l’utile del gruppo dominante
Da un punto di vista teoretico, le posizioni di Callicle e Trasimaco sono opposte:
per Trasimaco ogni quadro di valori è di per sé equivalente, dipende solo da chi detiene il potere ≠ per Callicle il quadro corretto
è uno solo e comporta il dominio dei forti sui deboli.
Da un punto di vista pratico, sono affini:
la realtà non può essere definita, predeterminata e programmata sulla base di parametri etico-razionali. Alla base agiscono gli
istinti (Callicle) o l’utile (Trasimaco)
La religione
PROTAGORA ritiene che non si può dire nulla degli dei a causa della brevità della vita e dell’oscurità della questione,
pertanto è più utile concentrare l’attenzione sull’uomo.
ANASSAGORA fu accusato di empietà poiché affermò che gli astri non sono altro che palle infuocate
PRODICO ritiene che gli uomini abbiano divinizzato le entità naturali utili per la loro vita
TRASIMACO afferma che le ingiustizie che accadono nel mondo sono la chiara dimostrazione che gli dei si disinteressano
delle questioni umane
CRIZIA ritiene gli dei pure invenzioni dei primi legislatori che se ne sono serviti per spingere gli uomini sul cammino della
virtù mediante la minaccia delle punizioni divine religione = instrumentum regni
SOCRATE razionalizza la religione in senso etico: gli dei sono coloro che possiedono la conoscenza della virtù e la realizzano
in modo perfetto.
Socrate affermava di sentire una voce interiore daimònion che lo distoglieva dal compiere determinate azioni o gli
suggeriva certi comportamenti metafora della voce della coscienza
Il bene
Repubblica, libro VI: ‘come il sole è ciò che dà vita e visibilità alle realtà materiali, l’idea del bene è ciò che impartisce
l’essere e la conoscibilità agli oggetti ideali’
L’idea del bene è l’unità delle varie idee come l’idea della bellezza è l’unità di tutte le cose belle. Svela così la natura dei
principi di cui andava in cerca: la realtà è ordinata in vista del bene.
Parmenide: Parmenide avanza delle obiezioni contro le idee. Chiede innanzitutto se siano ammesse idee di tutte le cose o
soltanto di alcune, rilevando una certa titubanza di Platone che è contrario alle idee di valore e negativo e perplesso
riguardo ad altre come l’uomo, il fuoco o l’acqua. Parmenide mette in crisi anche l’unità delle idee dal momento che, se le
cose devono prendere parte alle idee, è necessario che quest’ultime si dividano o moltiplichino. Infine avanza la critica del
‘terzo uomo’ per cui se la somiglianza tra due cose ci porta a porre l’idea, allora sarebbe necessaria una terza idea che
renda conto della somiglianza tra le due cose e la loro idea Autopredicazione = lo strumento linguistico con cui Platone
mette in luce la natura essenziale di ogni idea, che è quella di rappresentare in modo eminente una certa qualità
Ex. L’idea della bellezza è bella in modo perfetto, non è una cosa bella
La critica maggiore sollevata da Parmenide risulta però questa: se il mondo delle idee è totalmente altro rispetto a quello
sensibile, sarebbe del tutto inconoscibile da chi abita nel nostro mondo. Con questo non vuole consigliare di abbandonare
la dottrina delle idee poiché l’assunzione di principi è richiesta dagli uomini; il vero obiettivo di Platone è stabilire che il
molteplice è governato dall’unità reductio ad unum.
Filebo: Il principio del limite è la traccia per capire cosa sia il bene. Se le idee sono le unità che raccolgono il molteplice dato
nell’esperienza, allo stesso modo l’idea della bellezza si contrappone alla molteplicità delle cose piò o meno belle come la
bellezza in sé nella sua precisione.
Sofista: Il sofista è colui che dice il falso ma ciò equivale a dire il non essere (impossibile secondo la dottrina di Parmenide
che è alla base di quella platonica) il non essere è qui un diverso, non un nulla totalmente opposto all’essere. Dire il falso
quindi vale a dire di una cosa ciò che essa non è, senza negare la sua esistenza.
Il mondo delle idee, in questa prospettiva, è un insieme di elementi la cui caratteristica saliente è quella di intrattenere o
meno determinati rapporti con gli altri ed è il filosofo che ha il compito di scoprire quali sono i rapporti che corrispondono
alla verità 5 generi sommi: essere (il più elevato perché tutti gli altri generi, in quanto sono, vi sono inclusi), moto,
quiete, identico, diverso.
ARISTOTELE
La dottrina delle categorie
Studiando i rapporti di predicazione, Aristotele nota delle differenze di carattere quantitativo (= Platone) e qualitativo. In
particolare nota la differenza tra predicazione forte (o essenziale) e debole (o accidentale).
Ex. ‘Il cane è un animale’: la specie, il cane, è totalmente inclusa nel genere, l’animale predicazione forte
‘L’uomo è bianco’: il bianco non è un genere della specie uomo, ci sono indifferentemente uomini che sono bianchi e
uomini che non lo sono predicazione debole
In un rapporto di predicazione forte, ciò che è genere in rapporto a una specie in esso inclusa diventa poi specie in rapporto
al genere che lo include a sua volta, creando una struttura verticale (ex. vivente – animale – cane). Non esiste però, per
Aristotele, un genere unico e sommo capace di unificare sotto di sé tutte le differenze poiché seguendo le strutture verticali
non arriveremmo mai a ridurle ad una sola: troviamo predicati massimi non ulteriormente unificabili, le categorie. Alcune
sono: sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, stare, avere, agire, subire.
Le categorie sono i predicati che rispondono a una certa domanda (ex. la categoria della sostanza risponde alla domanda
‘che cosa?’)
La predicazione forte si sviluppa verticalmente all’interno della stessa categoria dirsi di un oggetto = una cosa può essere
detta al posto di un’altra perché ne condivide la definizione
≠ la predicazione debole si sviluppa orizzontalmente tra categorie diverse essere in un soggetto
L’essere non è un genere. Il genere infatti nomina la qualità di un certo numero di cose, istituendo nella realtà un taglio che
differenzia questo gruppo di cose dalle altre. Dire di una cosa che è un ‘essere’ non effettua alcun taglio sulla realtà e non
dà nessuna informazione circa l’oggetto. Se l’essere fosse un genere, in esso si annullerebbero tutte le differenze, tutte le
cose sarebbero specie dell’essere e ciò equivale a non dirne nulla.
L’essere dunque si predica in molti modi equivoci, in particolare: l’essere per sé, l’essere per accidente, l’essere come vero
e falso, l’essere come potenza e atto.
La scienza dell’essere
Metafisica, libro IV: Esiste una ‘scienza dell’essere in quanto essere’ che studia le proprietà che appartengono all’essere in
quanto tale. Questa coincide con la scienza delle cause e dei principi primi che riferendosi a tutta la realtà, devono riferirsi
inevitabilmente all’essere.
Eppure abbiamo già analizzato come per Aristotele l’essere sia una realtà equivoca. Com’è possibile che esista una scienza
unica avente per oggetto una realtà equivoca? Aristotele afferma che i vari significati di essere, pur essendo
irriducibilmente diversi, non sono privi di parentela. Hanno un rapporto analogico relativo a un soggetto privilegiato al
quale tutti i significati si riferiscono: la sostanza è il significato focale a cui tutti gli altri si riferiscono.
Ex. Sano è il moto fisico perché conserva la salute, sana è la medicina perché la restaura, sano è il colore del volto perché
ne è un sintomo. In tutti questi casi l’aggettivo fa riferimento alla stessa cosa, la salute, sebbene sia usato in modo diverso.
Lo studio dell’essere in quanto essere quindi riguarda in senso stretto la sostanza.
In accezione più larga però questa scienza è lo studio di tutte le proprietà che appartengono alle cose per il semplice fatto
che esitano poiché c’è un significato di essere generale in base al quale si attribuisce l’essere a tutto ciò che esiste e non
solo alle sostanze.
Si individuano così attributi generali dell’essere: uno, molteplice, identico, diverso ecc.
Metafisica, libri VII e VIII: la sostanza deve essere separabile, cioè non essere ‘in altro’, e determinata, ‘un questo’. La
sostanza in senso primo è dunque la forma (la materia invece non soddisfa il requisito della determinatezza).
Si presentano però delle difficoltà: se la forma è individuale, non si può darne una definizione, eppure la sostanza in senso
primo è, secondo Aristotele, la forma proprio perché solo questa è cogliibile con la definizione. Risulta necessario pensare
che la forma sia duplice: c’è la forma individuale che è sostanza in senso proprio e di cui non si dà definizione (l’anima del
singolo) e c’è la forma come genere che non è sostanza in senso primo ma può essere definita (l’anima in generale).
Il Motore Immobile
Ricercando la causa motrice ultima della realtà, si evidenzia la necessità di una sostanza immobile.
Ogni cosa che si muove è mossa da altro ma ciò non può procedere all’infinito, ci deve esser un motore primo. Tale causa
motrice prima deve essere in atto poiché se x è in potenza y, ciò significa che qualcosa del genere y esiste già. (1)
Inoltre, essendo il mutamento eterno, la causa cercata deve sempre essere in atto (2) e infine tale causa deve essere atto
puro, sostanza immateriale priva di moto e potenza, perché se così non fosse e fosse in qualche modo potenza, un giorno
potrebbe cessare di realizzarsi. (3)
Essendo atto, deve svolgere un’attività: il pensiero, compatibilmente con il fatto che non ha materia. Dio è pura attività
contemplativa e, non potendo pensare a realtà a lui inferiori, non farà altro che pensare se stesso ‘pensiero di pensiero’.
Se non ci fosse un motore immobile, la filosofia prima coinciderebbe pienamente con la fisica e dunque non ci sarebbe
posto per la filosofia prima intesa come scienza dell’essere in generale (ontologia).
Confronto con Platone
Aristotele rimprovera a Platone di aver ignorato il vero problema del ‘che cosa è l’essere’ e di aver solo determinato
l’esistenza delle qualità etiche per la vita buona. Il vero interesse di Platone è stato il bene e l’essere è stato impiegato
come strumento per dare un certo fondamento al bene.
Aristotele al contrario orienta la sua filosofia a discutere e risolvere il problema dell’essere, trasmettendo alla filosofia
greca l’orientamento ontologico.
La seconda navigazione: lo scarto tra l’intuizione prenatale delle idee e la loro conoscenza mondana
L’espressione seconda navigazione indicava per i greci la navigazione a remi, più faticosa di quella a vela, a cui bisognava
ricorrere in mancanza di vento. Qui indica che il ricorso ai logoi per descrivere la realtà è un procedimento secondo, più
debole e faticoso, a cui ci si deve attenere in mancanza del primo. La prima navigazione è il metodo che vorrebbe cogliere
direttamente attraverso lo sguardo intellettuale l’essenza delle cose, così come gli oggetti sensibili sono colti direttamente
dalla vista.
Sempre nel Fedone, è presente un’altra metafora che descrive i logoi come vetri bruniti usati per non rimanere abbagliati
durante le eclissi. I logoi quindi fanno da schermo e filtro: permettono di conoscere ma con un certo distacco. Questo
distacco è la differenza che separa la conoscenza intuitiva dell’idea, accessibile solo nell’oltremondo, dalla conoscenza
mondana, che emerge dall’anamnesi e si deve appoggiare ai discorsi.
La dialettica
La dialettica è la diretta continuatrice del metodo socratico, cioè del dialogo in cui è indispensabile la presenza di almeno
due interlocutori. Per Platone infatti il pensiero ha natura dialogica, si pensa dialogando con se stessi. Gli uomini si formano
una propria opinione quando hanno trovato una risposta convincente alle loro domande interiori.
Fedro: il metodo dialettico è un duplice procedimento di analisi e sintesi, è la capacità di unificare e dividere le idee in
modo corretto, rispettando la struttura reale delle cose.
Parmenide: il protagonista svolge un esercizio dialettico relativo all’uno e ai molti che consiste nel verificare una a una le
possibili risposte a un problema, togliendo quelle inconsistenti. Se un’ipotesi supera l’analisi, è dimostrata.
In questo caso l’unità e molteplicità sono l’oggetto della ricerca, non la struttura metodica con cui viene condotta.
Filebo: si tratta di un dialogo sulla vita buona che si pone come fine quello di scegliere se sia più adatto il piacere o la
conoscenza. Vi è però una questione metodologica: se il piacere è il bene, allora tutti i piaceri sono buoni e si possono
unificare sotto un unico titolo. Ma i piaceri sono fra loro diversi e quindi molteplici. i molti sono uno e l’uno è molti
Il buon dialettico è colui che non si scandalizza di questo paradosso e non si rifugia nei due estremi e, in secondo luogo, è
colui che, consapevole della problematicità del rapporto uno-molti, si sforza di connettere uno e molti in modo preciso.
Sofista e Politico: viene applicato il metodo dicotomico per sapere chi sono il sofista e il politico. Partendo da una classe
generalissima, all’interno della quale c’è sicuramente il nostro oggetto, si procede dividendola in due. Si continua dividendo
via via ogni parte in due finché non resta nulla da dividere: abbiamo trovato ciò che stavamo cercando.
Sofista: L’esame dei generi, di estensione variabile, e dei loro rapporti di partecipazione reciproca si configura come un
lavoro di analisi e sintesi. Il dialettico disegna una mappa immensa dei rapporti tra generi e specie
Dialettica e verità
La dialettica è in grado di garantire una conoscenza delle idee piena e completa?
Con il metodo dicotomico esposto nel Sofista si giunge con ogni divisione ad una definizione diversa infinità strutturale
della dialettica
Nessun platonico ha mai fornito alcuna definizione di un’idea, d’altronde con gli strumenti che l’uomo ha, ovvero i logoi,
non è possibile trattare il rapporto uno-molti, unendo e dividendo. Ciò è possibile sono agli dei con la loro sophìa.
L’uomo per entrare in contatto con la verità non può rivolgersi all’esterno ma deve ripiegare su di sé. Ne consegue che la
verità è la coerenza tra le opinioni
ARISTOTELE
I metodi di ricerca
Aristotele ha diviso le scienze in due grandi gruppi, sulla base delle finalità che perseguono: le scienze teoretiche, che
hanno come fine la conoscenza pura, e le scienze pratiche, che hanno come fine l’azione o la produzione. Sono le prime a
rappresentare al meglio la natura della filosofia, essendo mosse dal puro desiderio di conoscere.
Le scienze teoretiche, a loro volta, si dividono in tre sottoinsiemi: la filosofia prima (scienza della sostanza in generale), la
fisica (studia le sostanze mobili) e le matematiche.
La logica non rientra nella partizione originaria delle scienze poiché è propedeutica alla conoscenza della realtà. Serve per
mettere a punto sistemi conoscitivi e metodi di ricerca. Chi vuol conoscere la realtà, deve saper distinguere i vari modi di
argomentare in rapporto al loro grado di affidabilità.
Il sillogismo
De interpretatione: la forma base dell’argomentazione è il sillogismo = procedimento che deduce una conclusione
necessaria sulla base di un certo numero di premesse/proposizioni
La proposizione è una frase in cui il soggetto è collegato a un predicato. Solo le asserzioni, cioè le preposizioni che
asseriscono alla verità o falsità di un certo stato di cose, riguardano la scienza. Le domande, le preghiere, le esortazioni ecc.
non sono assertorie e non interessano la logica.
Le proposizioni assertorie sono poi classificabili in base al criterio della qualità in affermative e negative e a quello della
quantità in universali e particolari. Combinando i due criteri, otteniamo quattro tipi diversi di proposizioni:
1. UA universale affermativa ex. Tutti gli uomini sono mortali
2. UN universale negativa ex. Nessun uomo è mortale
3. PA particolare affermativa ex. Qualche uomo è mortale
4. PN particolare negativa ex. Qualche uomo non è mortale
UA e PA sono in rapporto di contraddizione, rispettivamente, con PN e UN.
Ex. Se tutti gli uomini sono mortali (UA), è necessariamente falso che qualche uomo non sia mortale (PN). Se è vero che
nessun uomo è mortale (UN), è necessariamente falso che qualche uomo lo sia (PA)
Analitici primi: Le premesse sono due, premessa maggiore e premessa minore, dalla cui concatenazione discende
necessariamente una conclusione.
Il sillogismo inoltre è composto tra tre termini: soggetto, predicato (che sono rispettivamente il soggetto e il predicato della
conclusione) e termine medio (compare nelle due premesse, non nella conclusione). Il termine medio è il mezzo mediante
il quale soggetto e predicato vengono collegati in vista della conclusione.
Ex. Tutti gli uomini sono animali
Tutti i greci sono uomini
Tutti i greci sono animali
Greci = soggetto, animali = predicato, uomini = termine medio
Aristotele distingue tre categorie/figure di sillogismi:
1. Sillogismo di prima figura: il termine medio è soggetto nella premessa maggiore e predicato in quella minore;
2. Sillogismo di seconda figura: il termine medio è predicato in entrambe le premesse;
3. Sillogismo di terza figura: il termine medio è soggetto in entrambe le premesse.
La validità di un sillogismo dipende dalla natura delle sue premesse, non tutte le combinazioni producono conclusioni
necessarie Aristotele individua 14 sillogismi validi (4 nella prima figura , 4 nella seconda e 6 nella terza)
Esiste anche il caso in cui il sillogismo sia valido, nonostante una o entrambe le premesse, e dunque la conclusione, siano
false.
Ex. Tutti gli asini volano
Tutti i greci sono asini
Tutti i greci volano
Questa inferenza risulta corretta solo formalmente, non asserisce una verità poiché le premesse non sono vere o prime.
La scienza
Analitici secondi: Una premessa prima deve essere universale, causa e necessaria. Infatti la scienza (epistème) è infallibile,
dice come e perché le cose stanno necessariamente ≠ doxa
Avendo la scienza carattere dimostrativo, si occupa solo di cose che non possono essere diversamente da come sono.
Nel sillogismo, la condizione della validità dell’inferenza è che almeno una delle due premesse sia universale (da due
premesse particolari, non discende alcuna conclusione necessaria) Come è possibile reperire le premesse vere utili ai
sillogismi scientifici?
1. Usando come premessa la conclusione necessaria di un altro sillogismo: Aristotele scarta questa possibilità perché ci
sarebbe così un rimando all’infinito, senza un’individuazione di principi primi, non dedotti da altre premesse
2. Attraverso diversi mezzi dal momento che i principi primi comprendono ipotesi, assiomi e definizioni.
Le ipotesi sono date per presupposto e risultano evidenti in base all’esperienza. Non entrano nella dimostrazione.
Gli assiomi sono principi di ordine logico che rientrano nella dimostrazione ma non possono essere oggetto di
dimostrazione scientifica. Sono oggetto del sillogismo dialettico.
Le definizioni sono l’oggetto stesso della scienza, trattano il ‘che cos’è’ e quindi sono il mezzo con cui la scienza entra
in contatto con la realtà.
La dialettica
Nel sillogismo dialettico le premesse non sono vere e necessarie ma probabili e dotate di un certo grado di autorevolezza
(èndoxa). Dal momento che questi sono i punti di partenza, la dialettica non ha il compito di stabilire la verità ma di rendere
abili nelle discussioni. È presupposta una situazione dialogico-agonistica in cui un interlocutore formula un’èndoxa e l’altro
interlocutore lo interroga per costringerlo a formulare asserzioni in contrasto con la sua affermazione iniziale ≈
confutazione socratica
La dialettica ha uso scientifico quando la confutazione esaurisce con un certo grado di certezza tutte le soluzioni a un
determinato problema, lasciando un unico candidato accettabile.
Metafisica, libro IV: Aristotele usa la dialettica per dimostrare il principio di non contraddizione. (La filosofia prima, scienza
dell’essere in quanto essere, deve occuparsi di questo principio dal momento che è implicato in qualunque asserzione che
abbia a che fare con l’esistenza di una certa cosa)
Il principio di non contraddizione consiste nel negare che una cosa sia x e non x allo stesso tempo e stesso luogo. Essendo il
principio primo in assoluto, è implicito in ogni asserzione e non è dimostrabile in maniera diretta poiché per dimostrare una
certa proposizione ho bisogno di appoggiarmi a principi superiori. È possibile però confutare, in modo dialettico, chi lo
voglia negare.
Supponiamo ci sia un negatore del PNC: se il PNC fosse falso, nessuno potrebbe dire nulla e neppure egli potrebbe dire che
il PCN è falso. Chi infatti dice qualcosa, pensa che ciò che dice abbia un significato determinato e distinto da altri possibili
significati. Così si accetta il PNC. Per negarlo, il suo negatore deve allora ammettere che quanto dice non ha significato e ciò
risulta chiaramente assurdo.
La natura dell’anima
Fedone: Platone tratta il contrasto tra anima e corpo, dando largo spazio al motivo orfico secondo cui l’anima è incatenata
nel corpo e vorrebbe fuggire via. L’anima è un elemento semplice, coincidente con la razionalità: tutto ciò che non è
ragione è a carico del corpo ed è un ostacolo sulla strada della virtù e della filosofia.
Questa visione cambia negli scritti successivi, prendendo il distacco da questa psicologia razionalista che sottovaluta gli
istinti e impulsi.
Repubblica: L’anima è tripartita in razionale, animosa e concupiscibile. La parte razionale corrisponde alla descrizione
dell’anima appena vista nel Fedone; la parte concupiscibile presiede agli impulsi fisiologici e corporei quali la nutrizione, la
riproduzione ecc. La parte animosa è quella in cui risiede la forza d’animo e il carattere che permette di resistere nelle
decisioni prese.
I contrasti si creano quindi tra le varie parti e non tra anima e corpo. L’uomo sotto l’egida della ragione può ricomporre
senza rotture la sua anima psichica.
Fedro: l’anima è descritta come un cocchio alato guidato da un auriga (parte razionale) e da due cavalli, uno più docile
(parte animosa) e l’altro riottoso (parte concupiscibile).
Timeo: Solo la parte razionale è davvero immortale.
Timeo localizza le tre parti in tre zone differenti del corpo: testa, zona compresa tra collo e diaframma, zona sottostante tra
diaframma e ombelico.
Infine si mostra consapevole di quanto le caratteristiche del corpo siano importanti per la salute dell’anima e viceversa.
La natura e il cosmo
Il pensiero di Platone si sofferma ben poco sullo studio del mondo fisico a causa del suo orientamento etico-politico: la
filosofia deve stare tra gli uomini perché è qui che si discute della vita buona dell’uomo e della società.
Timeo: Platone, attraverso la figura di Timeo, espone la degenerazione del cosmo e la descrizione della realtà come mito
verosimile poiché, dal momento che la realtà materiale non è l’essere vero, non può essere conosciuta in modo rigoroso.
Il cosmo è stato generato da una causa divina e intelligente, un demiurgo. Si tratta di un’opera di riordinamento sulla base
di principi preesistenti tra cui il più importante è il cosmo noetico. Il demiurgo agisce spinto dalla sua bontà e infatti il
cosmo risulta ordinato nella migliore maniera possibile prospettiva deontologica
L’universo, se è davvero buono, è vivo e dotato di intelligenza. La materia di cui è composto (terra, acqua, aria e fuoco) è
tutta compresa nel cosmo, in modo che non ci sia nulla fuori di esso che possa corromperlo. Il cosmo è, inoltre, sferico e si
muove di moto circolare. E’ eterno, immune da generazione e da corruzione.,
Il mondo, essendo vivente, ha un’anima. Questa è generata dal demiurgo attraverso 3 essenze: l’identico, il diverso e il
misto tra i due. Ciò spiega la natura intermedia dell’anima tra la diversità delle cose sensibili e la stabilità immutabile
dell’idea. (aspetto già visto con la dottrina della reminiscenza)
L’eterno può essere il presente intemporale dell’idea o la durata eterna del cosmo che procede secondo il numero. Le cose
sensibili sono nel tempo ma non sono eterni. L’anima è nel tempo, che dura per sempre, e trasmette al cosmo
quest’eternità. Perciò corpo e anima sono ingenerati se si parla di generazione nel tempo, sono generati se consideriamo la
loro dipendenza metafisica dal demiurgo che li ha posti.
C’è poi una seconda causa alla base della generazione del cosmo ed è la causa errante o chora. È il luogo in cui le cose
sono, è la disposizione originaria a ricevere qualunque forma.
ARISTOTELE
La dottrina dell’anima è, per Aristotele, una parte della fisica ed è più concentrata sull’anima come responsabile delle
funzioni vitali.
De Anima: A Platone obietta di essersi occupato solo dell’anima umana, senza giungere ad una definizione soddisfacente.
Quanto si dice dell’anima, che è sostanzialmente vita, deve valere per tutti gli esseri dotati di vita, compresi piante e
animali.
L’anima è, per Aristotele, l’atto primo di un corpo fisico organico che ha la vita in potenza. Consiste nella realizzazione della
potenzialità di vivere propria di alcuni corpi. Alla coppia atto-potenza è correlata quella forma-materia: l’anima sta al corpo
come una certa forma sta alla sua materia specifica. Dunque l’anima è sostanza nel senso della forma.
Se l’anima è forma, è inseparabile in senso fisico dal corpo, garantendo così un’unità psicofisica ≠ per Platone l’anima può
vivere separata dal corpo
In secondo luogo, a causa di questa inseparabilità, l’anima deve morire con il corpo ≠ metempsicosi di Platone
Le anime hanno funzioni differenti: l’anima vegetativa delle piante ha solo funzioni riproduttiva e nutritiva; l’anima
sensitiva degli animali dispone anche di sensibilità e motilità; l’anima umana possiede anche la razionalità, che rappresenta
la sua essenza specifica.
Sia uomini che animali possono quindi conoscere il mondo, i primi con la ragione mentre i secondi solo con i sensi.
- La percezione sensibile si serve degli organi di senso che sono in potenza le forme che riconoscono. È un caso di
identificazione.
Ex. Quando l’occhio percepisce il colore blu, l’occhio che era blu in potenza, lo diventa in atto.
Allo stesso modo, nell’oggetto sensibile la forma che era in potenza, diviene in atto appena l’occhio la percepisce.
La sensazione è infallibile, può esserci confusione solo con i sensibili comuni, ovvero fenomeni comuni a più sensi
come il movimento. Questi sensi comuni rivelano l’esistenza di una capacità di organizzare i cinque sensi tra di loro,
così da spiegare l’oggettiva esistenza di fenomeni percettivi non riconducibili a nessuno dei cinque sensi in
particolare.
Inoltre, agli animali Aristotele attribuisce delle caratteristiche quasi-razionali tra cui la phantasìa. Questo concetto
comprende sia l’immagine mentale, che si crea pensando, sia il concetto di apparenza, come quando le cose ci
appaiono in un modo che non corrisponde al vero La phantasìa è necessaria al pensiero, senza immagini non è
possibile pensare
- La conoscenza intellettiva è spiegata, come quella sensibile, con la coppia potenza-atto. Negli oggetti sono presenti
anche le forme intelligibili in potenza. L’intelletto per riceverle dev’essere una tabula rasa, un intelletto
potenziale/passivo. La conoscenza avviene quando questo intelletto si attualizza.
Bisogna però tener conto che nella filosofia di Aristotele qualcosa può passare dalla potenza all’atto solo per opera di
una cosa che è già in atto. A questo proposito introduce l’intelletto potenziale produttivo/attivo.
Tale intelletto spiega l’apprendimento, trasformando il sapere potenziale in attuale, ed è affine col divino dal
momento che è separato, immortale, eterno, impassibile e non mescolato.
La natura
L a natura ha un suo ordine intrinseco, senza che vi sia bisogno di una mente organizzatrice o di un atto creativo.
Aristotele applica a tutta la natura gli schemi esplicativi della biologia, tenendo presente che tutte le parti sono ordinate in
vista di un fine. Inoltre non condivide un’esigenza unificatrice, tutti i principi sono identici solo a livello generico e
funzionale poiché gli elementi qualitativamente sono diversi e così anche i loro moti.
La natura è un ambiente qualitativamente organizzato e differenziato, in cui esiste un ben preciso ordine naturale che
spiega la diversa natura delle cose e dello spazio.
La natura è costituita da tutte le cose soggette a mutamento ovvero quelle con una certa disposizione a muoversi,
escludendo le realtà artificiali mosse solo da un agente esterno.
Ci sono 4 generi di mutamento:
1. Secondo la sostanza: generazione e corruzione
2. Secondo la qualità: alterazione
3. Secondo la quantità: aumento e diminuzione
4. Secondo il luogo: moto locale
Studiandoli, Aristotele parte dalla distinzione tra un mondo sublunare/terrestre e un mondo sopralunare/celeste. Nel
mondo sopralunare i corpi si muovono di moto circolare e sono soggetti al solo mutamento locale; nel mondo sublunare il
moto è rettilineo e si verificano tutti e quattro i mutamenti. Ciò è dovuto a una composizione diversa dei due mondi: quello
sopralunare è fatto di etere, quello sublunare è costituito dai quattro elementi empedoclei.
Tutti i moti composti che si verificano si possono ricondurre a moti elementari: dall’alto vero il basso (terra e acqua), dal
basso verso l’alto (aria e fuoco), dedotti da Aristotele dall’esperienza.
De Caelo, teoria dei luoghi naturali: la terra tende verso il basso perché il suo luogo naturale è il punto infimo in assoluto,
cioè il centro della terra.
Il vuoto non è indispensabile per il movimento. Al contrario, se ci fosse il vuoto esisterebbe uno spazio inerte e
qualitativamente indeterminato privo di ordine naturale in cui quindi non si potrebbe spiegare il movimento e la
collocazione delle cose.
Così come non esiste il vuoto, non può esistere nemmeno uno spazio neutro e generico. Lo spazio esiste in relazione agli
oggetti che vi si trovano, è un concetto relativo ecco perché il cosmo interamente preso non è in nessun luogo: non ha
relazione con nulla di diverso da sé, né è contenuto in qualcosa di più grande.
Il tempo è la misura del movimento secondo il prima e il poi. Il tempo è relativo al movimento: se non c’è nessun oggetto
che si muove, non c’è il tempo concezione fisica ≠ Platone
Fisica: l’infinito esiste solo in potenza. Non è possibile avere in atto, cioè compiuta, una quantità in-finita, appunto non
finita. È una nozione contraddittoria.
Cosmologia e astronomia
De Caelo: l’universo è una sfera di dimensioni finite con la terra posta al centro. Il mondo sopralunare si configura come
una serie di sfere concentriche inserite l’una nell’altra. Il moto circolare di queste sfere si trasmette per contatto dalla più
esterna verso l’interno. Queste sfere sono fatte di etere.
La sfera più esterna è la superficie su cui sono collocate le stelle che si muovo lentissime, le sfere intermedie spiegano il
movimento veloce dei satelliti della Terra. A ogni pianeta Aristotele associa un certo numero di sfere con diversa
inclinazione: infatti Aristotele parte sempre dall’osservazione dei fenomeni e nota che il moto circolare presupposto non
coincide con la vera traiettoria dei satelliti, risolvendo con queste sfere diversamente inclinate l’anomalia. Oggi sappiamo
che il moto è ellittico.
Per quanto riguarda l’eternità del mondo, Aristotele afferma che non può esistere un movimento assolutamente primo
perché anch’esso sarebbe dovuto prima esistere in potenza e prodotto da una cosa in atto che prima non sia stata in
potenza e quindi non sia divenuta. Infatti abbiamo constatato come per Aristotele esista un ordine originario e quindi non
vi sia nessun bisogno di introdurlo dall’esterno.
Politica
Repubblica: accanto a uno Stato naturale in cui gli uomini soddisfano solo i bisogni materiali più bassi, Socrate,
interlocutore del dialogo, delinea uno Stato di più ampio respiro. Il ruolo determinante dei bisogni impone al creatore dello
Stato ideale la divisione in classi, anche secondo il principio per cui si ottengono risultati migliori se ognuno fa le cose
proprie. La classe dei lavoratori viene creata per il bisogno del sostentamento materiale, la classe dei guardiani è educata
appositamente per la difesa e infine la classe dei governanti serve a organizzare e dirigere la comunità. La distribuzione
nelle classi viene fatta in base alle qualità naturali, riprendendo il mito esiodeo secondo cui gli uomini sono divisi per natura
nella stirpe d’oro, d’argento, di ferro e di bronzo. Alle diversità naturali corrispondono delle differenze di stato economico e
sociale.
Chiaramente questo Stato ideale non è riproducibile perfettamente ma ci si può avvicinare seguendo, oltre che il principio
della distribuzione delle competenze appena visto, lo smantellamento dei vincoli introdotti dall’oikos = l’istituto
tradizionale famiglia-casa-azienda alla base della società. L’oikos produce interessi e affetti privati, non mira al bene
pubblico. Platone si rende conto che sia lecito perseguire il proprio benessere, infatti non prescrive che gli uomini
antepongano l’interesse pubblico a quello privato ma fa in modo che almeno i governanti non abbiamo interessi privati da
contrapporre a quelli comuni. Platone non pone loro un divieto ma sono loro stessi che non li hanno perché il loro
desiderio è rivolto altrove.
I guardiani e i filosofi vengono educati appositamente fin dalla nascita. Il programma dei guardiani è incentrato sulla
ginnastica e sulla musica per un’armonia psicofisica, quello dei governanti sulla matematica e la dialettica.
Sviluppando riflessioni sulla pericolosità di uno Stato lasciato nelle mani di filosofi dotati di potere assoluto, Platone
impone la necessità delle leggi. Infatti alla conoscenza piena e perfetta delle idee corrisponde sul piano politico un potere
giustamente dispotico; alla conoscenza mediata e approssimativa corrisponde una certa morbidezza della legge, imposta
allo Stato dopo aver persuaso ogni singolo cittadino.
Leggi, mito di Crono: ribadisce il doppio registro tra il bene perfetto, che dominerebbe incontrastato se a dominare fossero
gli dei, e l’approssimazione del bene, inderogabile se i governanti sono uomini.
Il massimo grado di giustizia si avrebbe qualora la proprietà privata non esistesse, nel modello reale però Platone la include
dividendo i cittadini in quattro classi patrimoniali.
ARISTOTELE
Etica
L’etica è una scienza pratica che ha come fine il bene, cioè l’agire in modo buono. E’ subordinata alla politica , poiché
questa stabilisce fini di carattere più generale L’uomo può realizzare il bene sono nella comunità
Per quanto riguarda il metodo, l’etica ricorre a quello dialettico con l’analisi e il confronto delle opinioni.
Il bene individuato da Platone, assoluto e trascendente, non è praticabile per Aristotele. La sua ricerca mira a un bene
davvero praticabile, facendo riferimento a tre tipi di vita appetibili, che si distinguono sulla base delle diverse concezioni di
felicità: la vita rivolta alla soddisfazione dei piaceri, quella dedicata alla politica e quella dedita alla conoscenza.
La natura specifica del benessere umano è la razionalità, quindi si può escludere che la vita sia finalizzata al piacere. Questa
razionalità, inoltre, deve essere esercitata secondo virtù attraverso la vita attiva (la politica) e la vita contemplativa (la
conoscenza). Eppure nella Nicomachea Aristotele afferma che la massima felicità è data dalla vita contemplativa, perché è
la più autosufficiente. Anche nella Metafisica si legge che la vita di puro pensiero è modello per la felicità umana.
Si origina così la distinzione tra le virtù etiche, che riguardano le attività razionali, e le virtù dianoetiche, che riguardano le
attività conoscitive.
Nell’Etica Nicomachea Aristotele analizza singole virtù etiche definendole come punti medi tra due eccessi opposti.
Ex. Nell’ambito delle cose da temere e non temere, la virtù del coraggio è il punto medio tra viltà e temerarietà.
L’ideale di uomo buono è colui che si attiene al proprio status sociale conseguendo in modo equilibrato i valori socialmente
riconosciuti.
Da questi discorsi, si osserva che l’etica di Aristotele è più descrittiva che prescrittiva e che il bene umano non può essere
trovato a priori.
La conoscenza del bene è implicita nell’educazione che tutti ricevono, quindi per essere virtuosi bisogna saper passare
concretamente all’azione.
Tra le virtù dianoetiche, ovvero relative all’esercizio del pensiero, ci sono la scienza, l’arte, la saggezza, l’intelletto e la
sapienza. La sapienza è di carattere puramente teoretico, la saggezza è di stampo pratico ed è la capacità di deliberare
bene in relazione alla felicità. Per capire il rapporto tra saggezza e sapienza, Aristotele ricorre al paragone con la medicina e
la salute: la medicina è inferiore alla salute perché la salute rappresenta il fine di cui la medicina si pone a servizio, ma
poiché senza la medicina un malato non potrebbe recuperare la salute, in un altro senso essa le è superiore.
Politica
L’uomo è per natura un animale politico, cioè che vive per natura in comunità ponendosi dei fini e deliberando
razionalmente per realizzarli.
L’organizzazione sociale è il mezzo per realizzare le prerogative naturali dell’uomo. Aristotele analizza i rapporti
interpersonali, prendendo le mosse dalla famiglia e dimostrando ancora una volta come i suoi studi partano dal quotidiano
e dall’esperienza (invece che dall’analisi teorica come Platone). Assume la famiglia così come gli è data dall’esperienza,
l’oikos, e mette in luce le ragioni per cui è conformata in tal modo. Colui che gode di tutti i diritti è il pater familias,
superiore rispetto ai figli che non hanno ancora sviluppato a pieno la loro ragione. Le donne invece sono inferiori poiché
manca loro l’attitudine al comando. Lo schiavo infine è inferiore perché non ha sviluppato abbastanza la ragione per
decidere da sé i propri fini e non sarà mai in grado di farlo.
Partendo dalla realtà, Aristotele corre il rischio di rispettare tutte le differenze apparenti e di sanzionare come naturali
anche le situazioni prive di giustificazioni reali, quali la schiavitù.
La famiglia è anche il nucleo dell’attività economica dal momento che la fonte naturale di produzione dei beni è
l’agricoltura delle oikos. I beni sono prodotti per il consumo diretto ma anche per lo scambio crematistica = scienza che
regoli i meccanismi dello scambio: è accettabile solo se permette una migliore distribuzione dei beni ed è inaccettabile
qualora diventi una fonte autonoma per l’accumulo di ricchezza. La vita dedita al guadagno non merita di essere vissuta.
Possiamo a questo punto arrivare allo Stato: esso nasce quando più famiglie di raggruppano fino a formare una polis.
Ci sono tre coppie di costituzioni, secondo il numero di governanti:
- Il governo di uno solo è la monarchia (se il re rispetta le leggi, +) o la tirannia (se non lo fa, -)
- Il governo di pochi è l’aristocrazia (+) o l’oligarchia (-)
- Il governo dei tanti è la democrazia (-) o la sua versione positiva
Il motivo discriminante tra costituzione buona o cattiva è il fatto che i governanti agiscano a beneficio proprio o della
comunità. La costituzione migliore politeìa è la forma buona del governo di molti ≠ Platone (individuava una settima
costituzione perfetta, esterna alle 6 dello schema)
Chi può governare? Le qualità necessarie e sufficienti per un politico sono la capacità di comandare e di obbedire,
prerogative naturali di tutti i cittadini maschi, liberi e maggiorenni. Tuttavia il ruolo è più ambito da coloro che hanno una
situazione materiale e morale superiore. Infatti chi deve lavorare per vivere, non ha tempo a sufficienza per dedicarsi
liberamente alla politica costituzione mista di democrazia e aristocrazia
ARISTOTELE
Poetica: qui Aristotele analizza la poesia tragica ed epica. La poesia è imitazione della natura in quanto descrive la realtà e
ne mostra la struttura teleologica attraverso la massima perfezione consentita al genere. La poesia però mantiene un ruolo
ausiliario rispetto alla filosofia e alla comprensione razionale della realtà. Questo aiuto consiste nel rappresentare la realtà
dal punto di vista universale, permettendo una migliore comprensione. Inoltre la poesia ha potere catartico.
Retorica: La retorica ha lo scopo di persuadere ma l’uomo dispone di mezzi conoscitivi sufficienti per fare a meno della
persuasione, tra cui la dialettica La retorica è il risvolto della dialettica: gli strumenti usati sono analoghi, al sillogismo
dialettico corrisponde l’entimema ovvero un sillogismo in cui una o più premesse rimangono implicite per una maggiore
persuasione; all’induzione l’esempio. I mezzi di persuasione sono di tre generi: l’argomentazione vera e propria, le qualità
morali che rendono l’oratore degno di fiducia e la diversa disponibilità alle emozioni che l’oratore deve saper controllare e
suscitare
IX. La tradizione socratica alternativa a Platone. Le ‘scuole socratiche minori’
I principali discepoli di Socrate sono ANTISTENE, ARISTIPPO ed EUCLIDE di Megara. Sono definiti ‘minori’ in rapporto a Platone che è
considerato il fondatore della scuola socratica maggiore.
ANTISTENE 445 a.C.-365, individua per ciascuna cosa il proprio discorso, senza credere che Socrate volesse definire entità
invarianti anteriori al linguaggio. La ricerca socratica è efficace quando si propone di determinare gli attributi appropriati
delle cose.
In ambito etico, Antistene insiste sull’autarchia cioè sul fatto che la virtù deve bastare a se stessa e sul rifiuto del piacere.
ARISTIPPO di Cirene concepisce la filosofia come ricerca della felicità e fa prevalere nella sua ricerca i temi etici di carattere
socratico. Descritto come l’edonista per eccellenza, la sua adesione al piacere non va letta come un ostacolo alla libertà.
Ben venga anche il piacere se viene salvato l’unico vero obiettivo che procura la vita felice, ovvero la felicità.
EUCLIDE di Megara sviluppa una filosofia a sfondo ontologico che si esprime con l’identificazione del bene socratico con
l’unico vero essere. Il bene è dunque uno e le cose contrarie al bene non sono reali. D’altronde il bene è scienza, virtù e
felicità ad un tempo e gli obiettivi contrari non sono nulla per la vita felice.
Tra i socratici minori ci sono anche i cinici, i cirenaici e i megarici.
DIOGENE CINICO è il precursore del cinismo con la sua indifferenza e mancanza di pudore da cui anche la sua parrhesia,
ovvero la libertà di parlare come voleva di fronte a chiunque.
La sua filosofia riprende il concetto sofistico che la natura mostra agli uomini come devono agire. La virtù consiste nel
vivere secondo natura, ottenendo autosufficienza e libertà.
Diogene infine aveva un’alta opinione del compito del filosofo che pone le basi per il vero uomo.
La SCUOLA CIRENAICA si concentra esclusivamente sull’etica affermando che il massimo di tutti i beni è il piacere, senza
distinzioni al suo interno. Ciò che conta è quello che è appetibile per natura, non ciò che appare bello o brutto alle opinioni
comuni. Chi vuole vivere una vita buona deve conseguire le azioni che gli procurano più piacere che dolore.
Appartengono a questa scuola Egesia, Anniceride e Teodoro l’ateo.
La SCUOLA MEGARICA si forma principalmente intorno alle figure di Eubulide, noto per i suoi argomenti dialettici
paradossali, e Diodoro Crono che ragiona sul concetto di possibile, negandolo. La possibilità si verifica e tutto si riduce a
due classi: l’impossibile o il necessario. Vi è anche Stilpone, da cui poi si sviluppa la filosofia ellenistica.
X. La filosofia ellenistica
Ellenistico = il periodo storico-culturale che va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla battaglia di Azio (31 a.C.) o alla
sconfitta definitiva di Antonio e cleopatra l’anno seguente.
Dopo la morte di Alessandro, il suo regno si frantumò dando origine ai regni ellenistici e permettendo l’espansione della cultura
greca in tutto il bacino del Mediterraneo. Le città storiche della Grecia, prima fra tutte Atene, perdono il primato culturale a beneficio
delle capitali di questi nuovi regni.
Nel 86 a.C. nella guerra contro Mitridate, il romano Silla pone fine a ogni velleità indipendentista delle città greche, già indebolite a
partire dal II secolo con l’avanzata romana.
PIRRONE (Elide, 360 a.C. – fine terzo decennio III secolo) discepolo dei megarici e di Anassarco, importante il viaggio al
seguito di A. Magno per conoscere la sapienza orientale dei gimnosofisti. Non scrisse nulla.
EPICURO (Samo, 341 a.C. – 271/270) discepolo dell’atomista Nausifane. Nella capitale attica fonda la sua scuola,
stabilendola in una villa con giardino (da cui l’epicureismo è stato definito “filosofia del Giardino”). Questa scuola era un
sodalizio di amici che condividevano gli stessi principi ed erano privi di interesse politico. Scrisse molto ma a noi resta una
minima parte (A Erodoto, A Pitocle, A Meneceo e il trattato Sulla Natura, vari frammenti e aforismi).
Lo Stoicismo viene suddiviso in tre periodi: la stoà antica Zenone, Cleante, Crisippo; la stoà di mezzo e la stoà nuova o stoicismo
di età imperiale
ZENONE (Cizio, 333/332 a.C. – 262/261) si trasferisce ad Atene attratto dalla filosofia a 22 anni. Nel 302 a.C. cominciò a
insegnare nel portico dipinto. Scrisse molte opere, soprattutto di argomento logico ed etico, nessuna pervenutaci.
CLEANTE DI ASSO (morto nel 232 a.C.) e ARISTONE DI CHIO presero in mano la scuola di Zenone alla sua morte.
CRISIPPO (Soli, 281/277 a.C. – 206/205) ultimo esponente della stoà antica, portò avanti la scuola di Zenone fino alla
morte. Scrisse moltissime opere andate perdute.
ARCESILAO (Pitane, 316/315 a.C. – 240) si è formato nella scuola di Aristotele, per poi passare all’Accademia di Crantore.
Non scrisse nulla.
CARNEADE (Cirene, 219 a.C. – 129) grande abilità dialettica, non scrisse nulla.
La concezione generale della realtà
PIRRONE condivide con la filosofia ellenistica il disinteresse per la politica, la concezione della filosofia come mezzo per
procurare la tranquillità dell’anima e il rifiuto di qualsiasi prospettiva metafisica. È considerato il fondatore dello scetticismo
antico, derivato probabilmente da una presa di posizione ontologica sui caratteri generali della realtà. Pirrone afferma che
le cose sono indiscriminate, da cui l’impossibilità di discernere il vero dal falso. Quando l’uomo ne sarà totalmente
consapevole, potrà allora procurarsi la tranquillità dell’anima, rimanendo imperturbabile di fronte agli eventi. Mostra
qualche affinità con la visione eraclitea del mondo sensibile accolta da Platone ma con la differenza che Platone pone un
mondo ideale con caratteristiche opposte, Pirrone vuol salvare la felicità dell’uomo proprio sulla base di una
rappresentazione del mondo come insieme instabile.
EPICURO vuole raggiungere la tranquillità dell’anima partendo dalla nostra conoscenza sicura del mondo. Ritiene che la
fisica sia funzionale all’etica nella misura in cui la conoscenza dei fenomeni e delle loro cause è utile all’uomo per togliere il
timore di eventi soprannaturali. L’epicureismo viene così definito la prima filosofia esplicitamente materialistica, ponendosi
dopo la visione metafisica di Aristotele e Platone e riagganciandosi all’atomismo e al principio eleatico per cui nulla nasce
dal nulla né torna al nulla.
Rispetto all’atomismo democriteo, Epicuro introduce alcune innovazioni. La prima è la teoria dei minima per cui gli atomi,
già fisicamente indivisibili, possano essere divisi ulteriormente, i cosiddetti minimi, solo con il pensiero.
In secondo luogo non ammette che gli atomi abbiano forme infinite, altrimenti una parte di essi potrebbe essere percepita
dai nostri sensi. Infine pone una causa del movimento degli atomi: il loro peso. Gli atomi cadono nel vuoto dall’alto in basso
lungo la verticale, tutti con velocità uguale poiché il vuoto non oppone resistenza. Epicuro affianca questa teoria con quella
del clinamen, ovvero deviazione, per cui gli atomi possono deviare dalla verticale e scontrarsi per creare aggregati.
Questa dottrina però è stata spesso criticata per la sua irrazionalità, assomiglia ad un’ipotesi ad hoc per ovviare a un
problema altrimenti insolubile.
Per quanto riguarda l’anima, essa è la responsabile delle funzioni vitali. È materiale perché altrimenti non potrebbe subire
o patire alcunché, è infatti composta di atomi e dunque mortale, soggetta a disgregazione. I suoi atomi però sono leggeri e
sottili, così da poter esser presente in tutte le parti del corpo per vitalizzarlo.
Riguardo gli dei, Epicuro ne ammette l’esistenza sulla base del comune consenso e delle apparizioni. Per spiegare il fatto
che siano immortali ma materiali, ipotizza che siano delle immagini, cioè pellicole atomiche prive di un corpo
corrispondente. Gli dei devono la loro consistenza non al corpo ma al permanere della forma. Epicuro infine nega che gli
dei si occupino delle vicende umane altrimenti ogni sforzo di imperturbabilità della vita umana sarebbe vano perché
incomberebbe sempre la minaccia di un potere su cui l’uomo non ha influenza. Inoltre gli dei sono estranei al mondo
umano per la loro collocazione nei intermundia.
STOICISMO: la fisica stoica è materialista e prende le mosse dalla concezione dell’essere che si legge nel Sofista platonico,
definito come capacità di agire e patire. Tutto è corpo ma secondo una concezione di corpo opposta a quella epicurea. Per
gli stoici, la materia è unica, compatta, duttile, infinitamente modellabile come un blocco di creta, intrinsecamente
animata. La materia si articola nei quattro elementi, con una notevole preminenza del fuoco primordiale, principio attivo
all’interno del tutto e origine di ogni cosa (Con Crisippo il principio attivo sarà mescolanza di fuoco e aria, pneuma).
Gli stoici possono sostenere che esiste solo la materia perché hanno indebolito il concetto di corporeità in direzione di ciò
che è vivo e attivo, comprendendo in esso anche molti fenomeni altrimenti non considerabili materiali. Il principio attivo è
pneuma, physis, logos, intelletto e anima del mondo. È la ragione che governa il cosmo e al tempo stesso ne incarna il
destino secondo un ordine intelligibile e provvidenziale.
Ma questo logos/pneuma coincide anche con dio che ha il compito di formare la materia e di imprimerle il suo ordine
provvidenziale, agendo dall’interno panteismo
Questo panteismo non è derogato dall’esistenza degli altri dei tradizionali perché questi rappresentano gradi di tensione
diversi e inferiori della stessa materia, il cui grado più puro è appunto il dio che forma e ordina.
Il logos particolarmente puro coincide anche con l’anima umana. È composta di 8 parti: i cinque sensi, la capacità di
generare, quella di parlare e il principio razionale direttivo o egemonico. In verità, non tradendo la loro impostazione
monistica, gli stoici attribuiscono a quest’ultimo la responsabilità di tutta la vita psichica. Infatti se gli uomini sono animali
razionali, tutto quello che pensano e fanno deve necessariamente essere prodotto dalla ragione. Quando un uomo cede
alla passione o al vizio, la colpa ricade sull’uso scorretto della ragione stessa.
Il logos non è però presente nell’uomo fin dalla nascita nella sua forma compiuta teoria dell’oikeiosis: al momento della
nascita è presente l’impulso che si diversifica con il tempo fino a diventare, nell’uomo adulto, razionalità.
Ciò si verifica solo nell’uomo, secondo la teoria dei logoi spermatikoi per cui le trasformazioni della realtà avvengono solo
in elementi iscritti cioè con preformazioni implicite, senza bisogno di un agente esterno.
In sintesi, l’universo stoico si presenta come un insieme unitario e compatto, perfettamente adeguato alla sua natura e in
grado di autospiegarsi. Nel cosmo vige una simpatia universale.
Lo scetticismo accademico
ARCESILAO pone lo scetticismo alla base dell’Accademia platonica. Lo scetticismo di Arcesilao si distingue da quello di
Pirrone che procurava all’uomo l’imperturbabilità. Arcesilao sottolinea le difficoltà che la conoscenza incontra dalla parte
del soggetto. Già in Platone stesso era presente una costante cautela nei confronti di un sapere che non può mai venir
fissato in modo pieno e definitivo.
Lo scetticismo di Arcesilao può essere interpretato anche come un’opposizione allo stoicismo e al suo rimpicciolimento
della filosofia nel materialismo e nel dogmatismo, in difesa del modo socratico-platonico di filosofare.
Per gli stoici, il saggio può avere solo certezze e non opinioni, ma obietta Arcesilao che se non vuole avere opinioni, deve
sospendere il giudizio su ogni cosa. Così facendo, deve attenersi solo al criterio del ragionevole per la vita pratica e il
raggiungimento della felicità.
Arcesilao ribadisce così l’eudemonismo socratico-platonico per cui saggezza, bene morale e felicità coincidono; la
sospensione del giudizio ribadisce che la ricerca è per sua natura infinita e l’eulogon, ovvero il ragionevole, mostra come la
ragione sia strettamente funzionale alle scelte etiche.
CARNEADE, inserendosi nella polemica di Arcesilao contro lo stoicismo, sceglie come suo avversario Crisippo. Afferma che
non si può dire con sicurezza se una rappresentazione è prodotta solo da un evento reale e quindi bisogna sospendere
qualsiasi giudizio. Per Carneade, le rappresentazioni possono essere diverse sulla base di due criteri: rappresentazioni
percepibili come vere/non percepibili come vere e rappresentazioni probabili/non probabili. Se, come già sostenuto, per
l’uomo non è possibile distinguere le rappresentazioni in base al primo criterio, è invece possibile con il secondo. Contesta
così l’ipotesi stoica per cui è possibile conseguire una conoscenza certa sulla base della sensazione.
Etica
EPICURO sostiene che la filosofia coincida con la ricerca della felicità. A differenza di Platone, considera l’etica del tutto
indipendente dalla politica e il suo modello di felicità non ha sfondo metafisico. Per Epicuro la felicità coincide con il
piacere, inteso come atarassia, cioè assenza di turbamento. Il mezzo migliore per ottenerla è una vita altamente
morigerata. Il vero piacere è quello lieve e delicato che muove dolcemente i sensi, rappresentato dallo stato che subentra
alla soddisfazione di un bisogno. Quindi una certa attività è comunque indispensabile e si parla infatti di piacere cinetico.
Non tutti i piaceri però meritano di essere conseguiti. Epicuro distingue i piaceri naturali e necessari, naturali e non
necessari, non naturali e non necessari. Solo i primi sono sufficienti a produrre la felicità e sono facilmente a disposizione di
tutti, al contrario i terzi sono proprio da rifiutare.
Se la felicità è assenza di turbamento, oltre a procurarsi i piaceri utili a tale scopo, bisogna evitare le preoccupazioni. La più
grave è la paura della morte, scemata da Epicuro con l’argomento secondo cui la morte non è nulla per noi, perché quando
noi ci siamo la morte non c’è e viceversa. A chi vede nella morte la fine della propria felicità, Epicuro fa notare che la
qualità del piacere non dipende dalla sua durata e che, inoltre, dopo la morte l’uomo non avrà più desideri e non soffrirà
più di nessun dolore.
C’è poi il dolore fisico o morale gratuito, entrambi curabili concentrando la mente su cose piacevoli. Infine, come ultimo
turbamento, c’è il timore degli dei ma Epicuro sostiene che questi non si occupino delle vicende umane e che tutti gli eventi
si possano spiegare con cause naturali e fisiche. In sintesi, la formula di Epicuro, tetrafarmaco, è: gli dei non fanno paura, la
morte non dà preoccupazioni, è facile procurarsi il bene ed è anche facile evitare il male. Questa si fonda sul presupposto
che l’uomo sia libero di impostare la sua vita e le sue scelte come più desidera.
STOICISMO: l’etica stoica ha origine con Zenone. La virtù costituisce l’unico bene per l’uomo e deve essere il fine, non un
mezzo per la vita buona e la felicità, come Socrate aveva pensato. La felicità entra in gioco in un secondo momento come
l’effetto di un comportamento finalizzato alla virtù e alla realizzazione del bene. La virtù va perseguita per se stessa,
indipendentemente dall’obiettivo della felicità.
La virtù è vivere in accordo con il logos, un’azione perfetta detta katorthoma. Un’azione conforme al logos mira al bene
degli altri e non a quello di chi la compie. Ciascun individuo è parte integrante del tutto quindi la conservazione dell’intero
è anche conservazione di sé, il bene è uno solo per ciascuno e per tutti.
Il saggio è colui che compie solo azioni perfette adeguate ai dettami del logos, senza altri fini. Il saggio ha quindi piena
conoscenza del logos, a differenza degli stolti che, avendo una conoscenza inadeguata, mostreranno tale anche l’azione
morale. L’etica storica è marcata da un forte rigorismo ma è poco efficace dal punto di vista pratico perché non dà valore
ad alcun progresso parziale ma solo allo stadio finale di raggiungimento del bene. Se l’unico bene è la virtù, dal punto di
vista del bene e del male tutte le altre cose sono indifferenti. Zenone, rendendosi conto di alcuni limiti del suo pensiero
etico, introduce nella fase più matura della sua filosofia i preferibili, ovvero gli indifferenti che vengono ragionevolmente
scelti a scapito di altri, verso cui l’uomo inclina naturalmente (ex. Essere sani invece che malati). Ai preferibili corrisponde
un’azione conveniente, ovvero che realizza obiettivi utili a chi la compie. Questa dottrina dei preferibili mette in crisi il
monismo stoico e l’equilibrio psicologico ed etico, motivo per cui alcuni discepoli di Zenone l’hanno rifiutata.
Un’altra questione importante riguarda le azioni malvagie. Per gli stoici sono dovute a un pervertimento della ragione,
detto passione. Zenone definisce la passione sia come movimento dell’anima irrazionale e contro natura sia come impulso
eccessivo. Per “contro natura”, spiega Crisippo armonizzando le due definizioni, s’intende un impulso che eccede i limiti
naturali della ragione. L’errore sta nel fatto che l’anima dà il via libera a un impulso quando non dovrebbe. La passione è il
giudizio scorretto di chi considera indispensabile alla propria felicità un indifferente. Per evitare questi errori, lo stoicismo
consiglia al saggio l’apatia, cioè l’annullamento totale delle passioni per la tranquillità dell’anima.
Crisippo si occupò anche della questione dell’uomo libero. In ogni evento ci sono cause lontane meccaniche e cause
prossime dipendenti dall’uomo. La nostra libertà dipende dalla spontaneità psicologica delle nostre azioni.
Politica
Un celebre motto di EPICURO è “vivi nascosto”, per invitare i suoi discepoli a non occuparsi di politica. Tuttavia non
biasimava colui che partecipasse alla politica per realizzare il suo stile di vita e ricavarne soddisfazione, modificando una
costituzione che altrimenti non permetteva l’atarassia. Infatti, per Epicuro, giustizia e ingiustizia non hanno un significato
autonomo ma dipendono dall’utile degli individui e dalle loro esigenze.
Però, non è la società politica il luogo primo in cui l’uomo realizza la sua felicità, ma bensì l’amicizia, un rapporto di affetto
e di stima personale.
STOICISMO: differentemente dagli epicurei, gli stoici sostengono la necessità di partecipare alla vita politica. Lo stoico fa
politica per contribuire alla realizzazione dell’ordine universale iscritto nel logos, assecondandolo in tutto e per tutto. In
questo senso, è ammesso anche il suicidio se le condizioni di vita diventano intollerabili per la realizzazione dell’ordine
universale.
XII. Il neoplatonismo
Nel corso del III secolo si può parlare di crisi sul piano politico per la minaccia delle popolazioni poste fuori dai confini dell’impero e
sul piano culturale per l’avvento del cristianesimo. E’ chiaro che vi sia nesso tra questi eventi, da cui nasce un senso di instabilità e
inquietudine, e il proliferare di religioni salvifiche e le caratteristiche del pensiero filosofico che prende piede.
Con il termine neoplatonismo si designa l’ultima grande corrente della filosofia greca, sviluppatasi dal III secolo d.C. fino alle soglie
del medioevo, VI secolo. I neoplatonici, nonostante il suffisso, non si considerano degli innovatori della filosofia di Platone, ma dei
fedeli interpreti.
Agli occhi dei moderni emergono però differenze sostanziali nel neoplatonismo in rapporto al pensiero platonico. In primo luogo non
c’è l’aspetto politico e anche l’interesse per l’etica appare subordinato. In secondo luogo bisogna notare che i neoplatonici non si
rifanno solo al loro maestro ma sono influenzati anche da Aristotele, i peripatetici successivi, gli stoici, presentando una filosofia che
risulta una summa degli argomenti della filosofia greco-pagana precedente. Infine l’ultima grande differenza è visibile sul piano
teoretico dal momento che i neoplatonici propongono una nuova concezione del principio, chiamato da loro Uno, inteso come entità
assolutamente trascendente di cui non si possono predicare attributi. È senza limiti, non ha parti né luogo, non è né mosso né in
quiete, non ha qualità né un essere proprio. La molteplicità di attributi con cui lo indichiamo è il riflesso dell’inadeguatezza del nostro
intelletto. Da un altro punto di vista, gli attributi dell’Uno devono essere pensati come omonimi ma superiori a quelli che applichiamo
alla sfera dell’essere. Ad esempio, l’Uno non è essere nel senso che è un essere di ordine superiore.
PLOTINO (Licopoli, 205 d.C.- Minturno, 271) studiò presso una scuola platonica e cercò di conoscere il pensiero persiano e
indiano. A Roma fondò la sua scuola. Cominciò a scrivere molto tardi, nel 254 d.C., e le sue opere furono divise in sei gruppi
di nove trattati ciascuno e poi pubblicate dal suo discepolo.
Plotino insiste nel suo pensiero sul principio dell’Uno e sul suo essere al di là di tutto quanto ha i caratteri dell’essere,
traducendo unilateralmente e metafisicamente certi motivi platonici. Al contrario, Plotino si oppone ad Aristotele che pone
come principio primo una sostanza che è intelletto e ha per sua caratteristica essenziale il pensiero. Per Plotino, infatti,
l’Uno non pensa ed è al di là dell’intelletto.
L’uno è il principio più elevato ma non l’unico poiché è causa di un secondo principio, chiamato Intelletto, che a sua volta è
causa dell’Anima. Questi due principi derivati sono chiamati ipostasi, ovvero sussistenze di carattere ontologico. L’azione
causale dell’Uno non lo intacca in alcun modo pur essendo effettivamente produttiva. Questa relazione causale può essere
interpretata come un’emanazione.
L’Uno è anteriore al pensiero quindi questa attività causale si irradia dall’Uno, costituendo una sorta di pensiero potenziale.
Quest’ultimo si rivolge poi all’Uno contemplandolo e acquisisce forma e contenuto. Il processo descritto si articola quindi in
tre momenti: la manenza, quando l’Uno produce senza modificarsi, la processione e la conversione ed è privo di
consapevolezza. Al livello dell’Uno infatti non c’è distinzione tra libertà e necessità, tra provvidenza e destino. Analogo è il
processo di generazione dell’Anima da parte dell’Intelletto.
Poiché solo l’Uno è perfettamente uno, l’Intelletto presenza la prima forma di molteplicità ovvero la dualità di conoscente
e conosciuto. In realtà, per Plotino, questa dualità è solo teorica perché pensiero e pensato coincidono nell’Intelletto,
riprendendo la dottrina aristotelica. Se l’intelletto è il grado ontologico più alto con identità di conoscente e conosciuto,
come per Aristotele, non resta che identificarlo con le idee stesse, che in Platone occupano il grado più alto dell’essere.
Il modo in cui l’Intelletto conosce è la noesi, ovvero la conoscenza intuitiva; quello dell’Anima è la dianoia, la conoscenza
temporale-discorsiva.
L’anima rappresenta un incremento di molteplicità e un abbassamento verso il livello della realtà materiale e sensibile.
Plotino distingue un’Anima superiore, appartenente al mondo intelligibile, e un’Anima inferiore (o Anima del mondo o
Natura o Logos), che si rivolge verso la materia per organizzarla e vivificarla. Nell’ipotasi dell’Anima esistono anche le anime
degli altri e degli uomini. In quelle degli uomini si replica lo stesso dualismo anima-materia che distingue l’Anima superiore
da quella del mondo teoria dell’anima non discesa: nella sua caduta nel mondo materiale, l’anima umana non è discesa
completamente nel corpo ma una parte è rimasta parzialmente ad abitare nel regno dell’intelligibile.
La parte bassa dell’anima presiede alle funzioni corporee, come le percezioni sensibili e i desideri. La vera essenza
dell’anima umana è il pensiero discorsivo, l’unica funzione consapevole.
Quanto alla materia e, quindi, alla fisica, Plotino non mostra un grande interesse e se ne occupa solo per mettere in luce la
distanza tra il mondo materiale e quello spirituale. La materia è per lui male e disordine, ricettacolo. Esiste come residuo
estremo del processo di derivazione di tutte le cose dall’Uno e, dunque, esiste solo come limite ultimo.
L’anima umana, ambigua tra mondo sensibile e intelligibile, corre il rischio di rivolgersi preferibilmente verso la materia,
dando così origine al male morale e allontanandosi dal destino naturale di ricongiungersi all’Uno. Questa risalita è garantita
dalla parte non discesa e dev’essere fatta mediante un cammino dell’anima dentro se stessa, favorito dalla sensazione,
dalla memoria e infine dalla dialettica. Vi sono anche altre vie come la purificazione etica, sul modello aristotelico e
medioplatonico della moderazione delle passioni, e un percorso estetico che muove dalla visione della bellezza sensibile.
Tutti questi percorsi culminano nell’esperienza estatica, o unione mistica, in cui l’anima esce da se stessa e si spoglia della
propria individualità.
PORFIRIO DI TIRO (233/234-305 d.C.) studiò ad Atene e divenne poi discepolo di Plotino a Roma. Con lui, la forma letteraria
del commento diventa il modo privilegiato di espressione dei filosofi neoplatonici.
I suoi interessi sono rivolti principalmente all’etica e all’antropologia: considera al culmine dell’insieme gerarchico della
virtù l’apatia e sottolinea l’incidenza della volontà nell’azione morale.
GIAMBLICO DI CALCIDE (275-330 d.C.) fu allievo di Porfiro e poi fondò una sua scuola.
A lui si deve la moltiplicazione dei termini medi, dalla struttura triadica, all’interno di ciascun processo di generazione. Al
livello dell’Uno, abbiamo la triade dell’Uno ineffabile, semplicemente Uno e Uno-essere; al livello dell’Intelletto quella
Essere, Vita, Intelletto. Questa moltiplicazione è dovuta al fatto che l’universo ipostatico neoplatonico non è fatto di livelli
separati e incomunicabili, quindi bisogna facilitare questo dinamismo sia che sia di produzione sia che sia di risalita.
Inoltre Giambico amplia la componente pitagorica, ritenendola lo strumento più utile per rinforzare la dogmatica
metafisica, il punto più debole della filosofia platonica.
SIRIANO DI ALESSANDRIA (IV-V secolo d.C.) commentò alcuni libri della Metafisica di Aristotele, consolidando in modo
definitivo l’inserimento del suo pensiero nel neoplatonismo. Aristotele diviene l’autorità di riferimento per la filosofia,
considerata propedeutica alla teologia, dove domina Platone.
PROCLO (Costantinopoli, 410-485 d.C.) svolse la sua attività di filosofo ad Atene, scrivendo numerose opere.
Proclo introduce alcune novità rispetto a Plotino. Prima fra tutte è la moltiplicazione degli intermediari, risolvendo il
problema della partecipazione della realtà all’uno. Pone sotto l’Uno le Enadi, unità metafisiche partecipate poste tra l’Uno
e l’Intelletto. La seconda consiste nella ripresa dei principi pitagorici del limite e dell’illimitato, collocandoli subito dopo
l’Uno e prima delle Enadi. Sono due principi funzionali che riflettono il modo in cui l’Uno esiste e agisce e interessano tutti i
gradi della realtà. Dall’azione combinata di limite e illimitato nasce il misto e quindi una triade che determina in generale
tutto l’essere.
Proclo individua entro ciascuna ipostasi una divisione tra il primo principio e la gerarchia sottostante che da esso deriva (ad
esempio, tra il primo Intelletto e gli altri). Il primo principio si autocostituisce dal momento che l’atto generativo vero e
proprio si ha con la conversione.
Per quanto riguarda la triade Essere, Vita, Intelletto della seconda ipostasi, Proclo mette in luce la superiorità dell’Essere
che è causa di tutti gli esseri, mentre la Vita lo è solo di quelli animati e l’Intelletto di quelli animati intelligenti. Pare così più
immediato il passaggio dalla materia alla divinità ed è forse per rinforzare quest’idea che Proclo si interessa anche dei
procedimenti teurgici.
DAMASCIO (Damasco, 462-530 d.C.) fu scolarca dell’Accademia.
Afferma un principio ancora superiore allo stesso Uno, del quale non si può neanche dire che è Uno.
Parallelamente alla scuola di Atene neoplatonica, si sviluppa un movimento analogo ad Alessandria, per opera di AMMONIO (V-VI
secolo) e dei suoi discepoli. Questo era più interessato ad Aristotele che a Platone e influenzata dal cristianesimo. Questa
differenza oggi è stata ridimensionata grazie alla constatazione dei numerosi scampi e rapporti reciproci tra le due sedi.