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CENTRO PER L’INNOVAZIONE

TECNOLOGICA

G.R. Tomasicchio, F. D’Alessandro


E. Musci, A. De Risi

QUADERNI C.I.T. n. 6
Gennaio 2014
Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
Giuseppe R. Tomasicchio, Felice D’Alessandro, Elena Musci e Antonio De Risi
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Le condotte di scarico a mare


– lo stato dell’arte –
di
prof. ing. Giuseppe R. Tomasicchio*, prof. ing Felice D’Alessandro*,
dr. ing. Elena Musci** e dr. ing. Antonio De Risi***

(*) Dipartimento di Ingegneria della Innovazione, Università del Salento, Lecce


(**) DICATECh, Politecnico di Bari, Bari
(***) già Acquedotto Pugliese S.p.A., Bari

QUADERNI C.I.T – N. 6

Gennaio 2014

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
Giuseppe R. Tomasicchio, Felice D’Alessandro, Elena Musci e Antonio De Risi
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Il presente rapporto di ricerca è stato redatto dal


Gruppo Area Tecnologica del C.I.T. con i contributi

5 per 1000 - Ricerca Scientifica

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
Giuseppe R. Tomasicchio, Felice D’Alessandro, Elena Musci e Antonio De Risi
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Indice
PREMESSA ………………………………………………………………………………………………………………………………. 4
INTRODUZIONE …………………………………………………………………………………………………………………… 6
RILIEVI BATIMETRICI, GEOGNOSTICI, CORRENTOMETRICI E BIOCENOTICI ……………... 10
Rilievi batimetrici ………………………………………………………………………………………………………………… 10
Indagini geologiche-geognostiche …………………………………………………………………………………….. 13
Rilievi correntometrici ………………………………………………………………………………………………………… 15
Indagini biocenotiche ………………………………………………………………………………………………………….. 17
ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA PROGETTAZIONE ………………………………………………………. 19
Studio del clima meteo marino ……………………………………………………………………………………………. 19
Onda di progetto …………………………………………………………………………………………………………………… 23
Profondità di frangimento …………………………………………………………………………………………………… 25
Studio correntometrico ……………………………………………………………………………………………………….. 26
Calcolo della portata nera di scarico …………………………………………………………………………………. 31
DESCRIZIONE DELLE COMPONENTI E DEI MATERIALI …………………………………………………… 32
IL VARO E LA POSA ……………………………………………………………………………………………………………….. 42
Tecniche di varo e posa in opera ……………………………………………………………………………………….. 42
Le sollecitazioni in fase di varo ………………………………………………………………………………………….. 47
NORMATIVA DI RIFERIMENTO ……………………………………………………………………………………………. 53
Quadro normativo in Regione Puglia ………………………………………………………………………………….. 56
LE CONDOTTE DI SCARICO IN PUGLIA ……………………………………………………………………………. 59
LA RICADUTA ECONOMICA SULLE SPIAGGE ……………………………………………………………………. 61
IL PROCESSO DI DILUIZIONE ………………………………………………………………………………………………. 62
IL CALCOLO DELLE FORZE INDOTTE DAL MOTO ONDOSO …………………………………………… 74
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ……………………………………………………………………………………………. 81

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PREMESSA

Il presente lavoro conclude una serie di attività svolte dal Centro per
l’Innovazione Tecnologica sul tema della distribuzione dell’acqua per
uso umano nell’ambito di un progetto che ha avuto il supporto eco-
nomico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
(MIUR).
Le attività già svolte dal C.I.T. sul tema dell’acqua hanno trovato sin-
tesi in 5 Quaderni che hanno i seguenti titoli:
Quaderno C.I.T. n. 1: Ricerca delle perdite nelle reti di distribu-
zione idrica: analisi delle tecnologie e delle metodologie con par-
ticolare riferimento alla realtà pugliese;
Quaderno C.I.T. n. 2: Riabilitazione reti idriche con tecnologie
innovative a scavi ridotti;
Quaderno C.I.T. n. 3: La comunicazione dell’acqua;
Quaderno C.I.T. n. 4: Studio di materiali polimerici atossici per
nuove applicazioni e in particolare nel ripristino funzionale delle
condotte idriche.
Quaderno C.I.T. n. 5: Analisi sull’utilizzo delle tecnologie NO-
DIG per la riabilitazione delle reti idriche.

Il C.I.T. ha considerato utile svolgere una attività di ricerca e sintesi


della letteratura più recente sul tema della pianificazione e della pro-
gettazione delle condotte di scarico a mare delle acque reflue o di
scarico. Infatti, tale destino dell’acqua è quello ultimo che segue le fa-
si di distribuzione di cui il C.I.T. si è già occupato.
Come appena detto, l’acqua distribuita dalle reti idriche, al termine
del suo uso, diviene acqua di scarico. Tra i cosiddetti scarichi trovia-
mo:
acque reflue domestiche -"acque reflue provenienti da insediamenti di ti-
po residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e
da attività domestiche"
acque reflue industriali -"qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici
od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse
dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento"
acque reflue urbane - "acque reflue domestiche o il miscuglio di acque re-
flue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento con-
vogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato"

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La disciplina degli scarichi costituisce una delle componenti principa-


li della normativa per la tutela delle acque dall'inquinamento ed è re-
golamentata dal D.Lgs. 152/06 e successive modificazioni (Norme in
materia ambientale) Parte terza.
I recapiti ammessi per gli scarichi sono:
acque superficiali (corsi d'acqua, acque marino costiere e laghi)
suolo e sottosuolo (solo nei limitati casi consentiti)
rete fognaria.

Il quadro normativo delineato dal D.Lgs. 152/2006, è arricchito da


varie norme regionali alcune antecedenti e altre emanate in attuazio-
ne di disposizioni contenute nel decreto.
Dall’integrazione delle norme nazionali e regionali risulta una suddi-
visione di competenze in materia di autorizzazioni allo scarico che
investe molti enti.

Tipo di scarico Rilascio autorizzazione Rilascio autorizzazione


Scarichi industriali Scarichi urbani
Recapito
Ambiente (mare, corsi Provincia (D.Lgs.152/06 Provincia (D.Lgs. 152/06
d’acqua, suolo) art.124 c.7) art.124 c.7)
Fognatura Autorità d’Ambito (D.Lgs.152/06 art.124 c.7) o
Comune laddove non sia ancora stata affidata la ge-
stione (L.R. 30/06 art.3)

Per la Puglia, il rilascio delle autorizzazioni allo scarico dei reflui ur-
bani è demandato alla Regione Puglia giusta L.R. n. 18 del
03/07/2012.

Il presente quaderno si limita ad illustrare le modalità di pianificazio-


ne e progettazione di una condotta di scarico a mare.

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INTRODUZIONE

E’ noto che per Servizio Idrico Integrato si intende il servizio relati-


vo al ciclo completo dell’acqua che prevede l’approvvigionamento
idrico, il trasporto della risorsa e la sua distribuzione alla utenza non-
ché la raccolta dei reflui, il trasferimento fino al trattamento depurati-
vo e lo scarico nel recapito finale.
Tutte le fasi della filiera suddetta presentano problematiche particolari
che ne caratterizzano la difficoltà di superamento con l’individuazione
di soluzioni diverse per ogni fase. In particolare, la tutela del territorio
si focalizza sulla questione relativa al trattamento depurativo dei reflui
e alla individuazione di recapiti finali nonché alle modalità di scarico
negli stessi.
Il problema dello scarico dei reflui nel mare ha una sua importanza
dal punto di vista sociale e ambientale (Tomasicchio U. e Tomasicchio
G.R., 2011). Spesso viene bypassato, ritenendo che, trattandosi di pro-
cessi di mescolamento che avvengono in un ambiente limitato e in un
tempo ridotto, si possa evitare di parlarne, risolvendo così nel modo
più corrivo, dicendo ad esempio che, anche se lo scarico comunque
avviene, il mescolamento è tale che immediatamente c’è la dispersione
dell’inquinante nel corpo idrico, e che la sua concentrazione arriva su-
bito al grado di accettabilità.
Il mare rappresenta il naturale recapito finale di tutte le acque di
pioggia e pertanto anche di tutte quelle provenienti dagli scarichi ur-
bani ed industriali, comunque trattate. Il problema che si presenta
usualmente al progettista è quello di provvedere a che il preventivo
trattamento di depurazione delle acque reflue e le modalità del succes-
sivo loro scarico siano tali da assicurare alle acque del bacino ricevente
gli standards di qualità prescritti dalla legge, con riferimento alla speci-
fica loro utilizzazione.
Lo scarico in mare delle acque reflue provenienti dai trattamenti
depurativi a terra, può prevedere un metodo di smaltimento tramite
condotta sottomarina, metodo spesso privilegiato a garanzia della tute-
la della fascia costiera che, specialmente in Puglia, è sentito in modo
particolare.
Lo scarico a mare delle acque di rifiuto è costituito da una condotta
subacquea di trasporto dell’effluente ad una certa distanza dalla costa e
da un diffusore a cui compete il compito dell’immediato mescolamen-

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to delle acque reflue con l’acqua circostante.


Lo scarico è correttamente progettato se nei diversi punti dell’area
di mare interessata vengono rispettate le norme per tutti i parametri
chimici e batteriologici.
Il rispetto dei valori limite imposti dalla normativa nazionale si ot-
tiene mediante la progressiva diluizione dell’acqua di rifiuto dal diffu-
sore sino al punto ove è effettuato il controllo a campione. Tale pro-
gressiva diluizione è costituita da 3 passaggi:
- diluizione di prima fase che avviene subito a ridosso del diffusore;
- diluizione di seconda fase (nel seguente percorso, sino al punto in
questione);
- decadimento biologico.
La zona di mare dove sarà posto il diffusore andrà scelta in modo tale
che sia assicurato non solo un efficace immediato mescolamento, per
effetto della risalita, delle acque reflue con l’acqua circostante fuori
della zona dei frangenti, ma anche che il miscuglio, giunto in superfi-
cie, possa con certezza allontanarsi ed espandersi verso il largo, perché
sia assicurato il successivo processo di diluizione di seconda fase. Il
fenomeno di mescolamento si manifesta oggettivamente in poco spa-
zio, ma è fondamentale in quanto il primo mescolamento è quello che
determina la diminuzione della concentrazione dell’inquinante scarica-
to.
Pertanto, per progetto dello scarico a mare s'intende la definizione
del tracciato della condotta in ambiente marino fino alla zona in cui
porre il diffusore, la valutazione della capacità di riduzione del potere
inquinante assicurata dalle diluizioni primaria e secondaria, tenendo in
conto la presenza di correnti marine e, infine, la verifica alla stabilità
idraulica e strutturale della condotta sotto l’azione dell’onda di proget-
to.
Nel seguito si tratteranno i suddetti argomenti, non tralasciando il
tema della diluizione primaria, a proposito della quale si ricorda la ne-
cessità che il diffusore sia posto ad una sufficiente profondità, onde
assicurare un buon processo di diffusione nel processo di risalita alla
superficie, del liquido meno denso scaricato.
La scelta della zona di scarico non solo deve tendere a fare in modo
che il processo di risalita sia quanto più possibile vorticoso, per accre-

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scere la diluizione del liquame nell'acqua di mare(1), ma anche che il li-


quido giunto in superficie possa, come già accennato, essere trasporta-
to al largo dalle correnti di trasporto.
Prima condizione perché ciò avvenga è che lo scarico sia posto al di
fuori della zona dei frangenti. Infatti, è importantissimo che le correnti
di massa (secondo la loro direzione prevalente) assicurino il trasporto
al largo e, quindi, una maggiore diffusione del miscuglio fuori della
zona dei frangenti, piuttosto che il suo trasporto a riva e concentra-
zione in una data zona della costa. In questo caso, infatti, si avrebbe
un forte inquinamento nella zona di raccolta.
Fra le correnti di trasporto al largo del miscuglio, assumono parti-
colare importanza quelle dovute all'azione del moto ondoso e ai venti.
Su queste correnti sono sovraimpresse le correnti dovute ai venti
agenti localmente e le correnti di marea (più sensibili agli estuari e nel-
le lagune). Anche per queste correnti è possibile stimare le velocità e le
direzioni, conoscendo il regime dei venti e utilizzando i metodi di ri-
costruzione indiretti del moto ondoso.
Da quanto sopra accennato, appare evidente che lo studio delle
correnti indotte dal moto ondoso è indispensabile per il loro ruolo nel
trasporto del miscuglio, che, sotto la loro azione, può dirigersi verso il
largo o può arrivare a lambire certi tratti di litorale, con una certa fre-
quenza, con un certo rapporto di diluizione e dopo un certo tempo. In
particolare, il progettista dovrà conoscere la probabilità con cui
l’inquinante giungerà a toccare un certo tratto di riva. In relazione al
desiderio di rendere pressoché nulla detta probabilità, vanno determi-
nate le velocità della corrente più critiche, in modo da valutare le con-
dizioni più sfavorevoli del trasporto di acqua inquinata verso terra. A
tale scopo, è bene disporre di una lunga serie di rilievi delle correnti
marine nell’area di interesse tale da costituire un campione statistica-
mente valido.
In assenza di una campagna di misure dirette delle correnti marine,
si può comunque valutarne la statistica mediante l’applicazione di mo-
delli matematici di propagazione del moto ondoso dal largo verso riva
e di circolazione idrodinamica. Infatti, nota la statistica del moto on-
doso al largo, tramite tali modelli si perviene alla statistica sottocosta
degli eventi di mare e delle relative correnti. Tale procedura indiretta è

1
Fattori determinanti nel processo, non solo la profondità dello scarico, ma
anche la velocità di efflusso, il diametro dell'ugello, la densità del liquido, non-
ché la posizione del getto (ottimale si è trovata quella orizzontale).

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però limitata rispetto alla misura in campo, in quanto essa trascura gli
effetti, sulle correnti, delle maree e delle differenze di densità(2).
Il progettista ha poi la necessità di determinare una forzante di pro-
getto o onda di progetto per il calcolo delle forze esercitate dal moto on-
doso sulla condotta, al fine di verificarne la stabilità idraulica e struttu-
rale.
In sintesi, numerosi sono gli aspetti da considerare per una corretta e
completa progettazione degli scarichi a mare di acque reflue:
• tecnologici, relativi ai materiali, ai sistemi costruttivi e alle tecniche
di varo e di posa in opera;
• topografici, relativi alla disposizione plano-altimetrica della condot-
ta;
• idraulici, riguardanti la portata nera da convogliare entro la condotta
e il dimensionamento del diffusore;
• ambientali, relativi ai processi di diluizione a mare dei liquami pro-
venienti dall’impianto di depurazione;
• meteomarini, riguardanti l’individuazione del clima ondoso e delle
correnti da esso indotte;
• fluidodinamici, sullo studio del campo di moto che s’instaura
nell’intorno della condotta;
• idrodinamici, relativi all’interazione dinamica tra fluido e condotta;
• strutturali, riguardanti il dimensionamento e la scelta degli elementi
resistenti della tubazione.

2
Se nella valutazione dell'azione di diluizione dell'inquinante facciamo riferimen-
to, come d’uso, al contenuto batterico del miscuglio, elemento fondamentale per
il lato igienico del problema, un'ulteriore diluizione viene assicurata dalla mortali-
tà batterica, che si nota nell'ambiente marino. Questa mortalità è dipendente dal
tempo di permanenza dei batteri nell'acqua marina e quindi, anche al fine di au-
mentare il tempo di contatto batterio-acqua di mare, è importante che le correnti
allontanino il liquame risalito alla superficie dalla zona di scarico, portandolo al
largo e senza possibilità di raccolta in una zona di spiaggia preferenziale; infatti,
durante il tempo del trasporto a maggiore distanza dalla costa, l'ambiente marino
avrà il tempo di agire sul miscuglio in modo da abbassare ancora il suo tasso bat-
terico.

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RILIEVI BATIMETRICI, GEOGNOSTICI, CORRENTOMETRICI E


BIOCENOTICI

Rilievi batimetrici
Il fondo marino antistante la zona da servire con la condotta va
scandagliato lungo ogni possibile tracciato sotto tre aspetti: batimetria,
consistenza ed epibiota.
L'esecuzione di accurati rilievi batimetrici consente di conoscere la
morfologia della fascia costiera antistante il tratto di litorale, ove si
prevede la posa in opera della condotta. Il rilievo batimetrico è dun-
que un'operazione preliminare ad una seria proposta progettuale. Le
indagini effettuate saranno consegnate in appositi elaborati redatti con
precisione e partendo da capisaldi quotati, di cui va fornita la relativa
monografia. Le campagne di rilevamento batimetrico vanno eseguite
nel tratto di posa delle condotte ed in aree con singolarità geologiche
degne di attenzione.
Nel passato, per la conoscenza del fondo marino, è stato ampia-
mente utilizzato lo scandaglio a mano. Tale tecnica è oggi praticabile
solo nel caso di interventi di modesta entità (piccole aree a limitata
profondità). Allo scandaglio a mano si preferisce l’ecoscandaglio, che
permette rilevamenti più precisi e più rapidi.
L’ecoscandaglio consente la conoscenza dettagliata della morfologia
dei fondali mediante tecniche applicative del fenomeno della riflessio-
ne, che le onde sonore emesse da una sorgente subiscono da parte di
ostacoli. La determinazione della profondità scaturisce dalla misura del
tempo intercorrente tra l'emissione di un'onda ed il ritorno dell'onda
riflessa al ricevitore. Le onde sono prodotte con un sorgente immerso
nell’acqua, che agisce anche da ricevente dell’onda sonora riflessa dal
fondo. L’ecografo permette di ottenere risoluzioni anche dell’ordine di
alcuni cm, soprattutto se si usano frequenze elevate (> 200 KHz). I va-
lori letti o registrati sono riferiti al livello del mare al momento della
misurazione; pertanto le registrazioni, oltre che dal livello mareale al
momento della misura, sono affette dalla variazione dovuta al moto
ondoso. I dati misurati vanno poi corretti per tener conto degli effetti
di marea e, quindi, riportati ad un unico livello del mare. Tale corre-
zione può avvenire anche in modo istantaneo, qualora si disponga di
due strumenti GPS tra loro collegati via radio (Fig. 1): il primo, siste-
mato a terra, stabilendo la quota certa di riferimento, permette
all’altro, a bordo del natante, di fornire la correzione alla lettura bati-

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metrica eseguita.
Esistono ecoscandagli del tipo single beam e del tipo multi beam. Il
primo tipo (Fig. 2) consente rilievi pressoché puntuali del fondo mari-
no: esso rileva la profondità media per una superficie, la cui estensione
dipende dalla profondità del fondale e dalla divergenza del segnale ul-
trasonico emesso dal sorgente (tipicamente pari a 2°). Il tipo multi beam
è composto da una serie (anche sino a 60) di ecoscandagli single beam
(Fig. 3), ciascuno puntato in una direzione differente. In tal modo
l’ecoscandaglio multi beam può acquisire istantaneamente superfici di
grande estensione. Per un fondale avente profondità di circa 10 m, il
sistema multi beam acquisisce strisciate di ampiezza pari a circa 20 m.
Pertanto, rispetto all’ecoscandaglio single beam, il multi beam riduce for-
temente i tempi e le fonti di errore. Per l’uso di entrambi i tipi di eco-
scandaglio, sono sufficienti piccole imbarcazioni del tipo in Fig. 4, che
sono di facile movimentazione in quanto carrellabili. Il nolo
dell’imbarcazione, della strumentazione e del personale tecnico è di
circa € 4500/giorno.

Fig. 1. Strumenti GPS collegati tra loro via radio

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2) 3)
Fig. 2 e 3. Rilievo del fondo marino con ecoscandaglio del tipo
single beam e con il sistema multi beam

Fig. 4. Barca per rilievi batimetrici, correntometrici e geognostici

Negli anni 90 è stata introdotta una tecnica che permette il rilievo


topografico e batimetrico della zona costiera, a mezzo di aerei ed eli-
cotteri. Il sistema è detto LIDAR (Light Detection And Ranging) e si
basa sull’emissione di un raggio laser da un mezzo aereo, che viaggia
in prossimità della superficie marina. Una parte dell’energia del raggio
laser è riflessa dalla superficie marina, mentre la restante parte è tra-
smessa dalla massa d’acqua sino a raggiungere il fondo, da cui è rifles-
sa verso il ricevitore posto a bordo del velivolo (Fig. 5). La capacità
dello strumento è tale da eseguire il rilievo sino a 60 m di profondità,
in assenza di acque torbide. La torbidità limita il rilievo a profondità
pari a due o tre volte la capacità visiva in acqua e quindi, tipicamente, a
circa 6 m. Poiché il raggio laser viene irradiato con una ampiezza an-

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golare pari a 180°, per un elicottero che voli ad una velocità di crociera
di circa 120 km/ora a 200 m dal suolo, il LIDAR può rilevare anche
una superficie di 6-9 km2 per ora. La presenza del GPS a bordo del
velivolo permette la georeferenzazione dei punti rilevati con scarti
orizzontale sino a 3 m e verticale sino a 15 cm. Dette tolleranze sono
paragonabili a quelle proprie dell’ecoscandaglio.

S u rfa c e R e tu rn
In itia l L a s e r
P u ls e

B o tto m R e tu rn

Fig. 5. Schema di rilevamento del fondo marino con il sistema LIDAR

Il sistema LIDAR presenta alcuni vantaggi rispetto ai sistemi acu-


stici. Tra questi:
• una maggiore rapidità di intervento;
• l'assenza della necessità di correggere l’effetto del moto ondoso;
• la possibilità di eseguire rilievi anche in aree di difficile accessibilità;
• il rilievo di vaste aree in tempi ridotti e con notevoli economie (Fig. 6).

Fig. 6. Il sistema LIDAR a confronto con il sistema ecoscandaglio multibeam

Indagini geologiche-geognostiche
Per raccogliere informazioni sulla natura e sulle caratteristiche dei
terreni presenti nel sottofondo marino, vanno eseguite alcune indagini
esplorative articolate secondo fasi definite in relazione ai risultati che

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si ottengono di volta in volta.


Il rilevamento geologico di superficie della fascia costiera oggetto di
studio ha lo scopo di accertare la distribuzione ed i limiti dei vari affio-
ramenti di rocce, la loro natura litologica, i rapporti di giacitura dei
singoli complessi stratigrafici. Tale studio, in una prima fase, inquadra
i risultati delle ricerche e delle osservazioni condotte sul terreno
nell'ambito della serie stratigrafica regionale, ricostruita, con particola-
re riguardo ai tempi più recenti, attraverso la cartografia ufficiale esi-
stente e l'aerofotogeologia. Lo studio geologico va poi completato at-
traverso il rilevamento sismico (Fig. 7) nell'area d'interesse, che con-
sente di ridurre il numero dei costosi sondaggi per punti e di ottenere
con continuità informazioni sui terreni, anche se costituiti da materiali
a diverso modulo di elasticità.
I metodi di rilevamento sismico si basano sul fatto che le onde si-
smiche possono caratterizzare il tipo di materiale attraverso il quale si
propagano. Infatti, la velocità di propagazione dell’onda dipende, fra
l'altro, dalla densità del mezzo, dalla sua tessitura, dalla sua porosità,
dalla sua stratificazione. Gli impulsi sismici sono prodotti artificial-
mente ed ad intervalli regolari, sotto la superficie dell’acqua, mediante
esplosivi o meccanicamente. L’onda, all’incontro con lo strato di ter-
reno, in parte è riflessa verso lo strumento ricevente (geofono) ed in
parte subisce una rifrazione all’interno del mezzo. Tale raggio rifratto
raggiunge poi lo strato di terreno sottostante al primo e subisce nuo-
vamente la riflessione e la rifrazione.
Le formule utilizzate per determinare gli spessori dei vari strati as-
sumono le seguenti ipotesi:
• ciascuno strato sia omogeneo ed isotropo;
• lo strato di separazione tra uno strato ed il successivo sia costituito
da piani inclinati od orizzontali;
• ciascuno strato sia di spessore sufficiente a mutare le caratteristiche
(direzione, velocità) dell’onda sismica;
• la velocità dell’onda sismica aumenti con il succedersi degli strati.
Spesso la natura non soddisfa queste condizioni e, per la corretta in-
terpretazione dei dati e per una loro verifica, si integrano i risultati ot-
tenuti con carotaggi e con la campionatura dei sedimenti del fondo
marino. La taratura ed il controllo della ricostruzione geologica dei
terreni indagati, nonché lo studio di quelli non affioranti, avviene con
sondaggi geognostici. Con perforazioni a carotaggio continuo si prov-

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vede al prelievo di campioni indisturbati da avviare al laboratorio geo-


tecnico, nonché alla immissione di piezometri per la determinazione
delle escursioni della falda acquifera eventualmente presente nel sotto-
suolo della fascia costiera. Inoltre, attraverso il carotaggio elettrico e
quello radioattivo possono essere misurati, all'interno di ciascun foro
predisposto, alcune caratteristiche rispettivamente elettriche o radioat-
tive, dipendenti dalla natura e dalla struttura delle rocce, che consen-
tono di determinare con buona approssimazione il succedersi delle
formazioni, nonché lo spessore delle stesse.

Fig. 7. Lo schema per l'esecuzione della prospezione sismica

Rilievi correntometrici
L’interesse per le correnti deriva dalla necessità di conoscerne i loro
effetti sul trasporto del miscuglio risalito in superficie e sulla qualità
delle acque, soprattutto se combinati all'azione del moto ondoso.
Esistono differenti tipi di corrente:
• correnti oscillanti determinate dalle onde di marea;
• correnti semipermanenti dovute a differenze di densità (di salinità o
temperatura)(3);
• correnti dovute al moto ondoso nella zona dei frangenti;
• correnti dovute al moto ondoso fuori della zona dei frangenti.
Il rilievo delle correnti è fatto sporadico per numerosi interventi di in-
gegneria costiera. Nel caso della progettazione delle condotte di scari-
co di acque reflue, al contrario, la conoscenza delle correnti è fonda-
mentale per la valutazione dei processi di diluizione. Tipicamente si
conduce il monitoraggio delle velocità in uno o in pochi punti fissi. I

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Del tutto trascurabili nel Mediterraneo (Tomasicchio, 1975).

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correntometri di regola adottati per rilievi di velocità in campo sono


del tipo a mulinello, elettromagnetico o acustico. Invero, oggi i tipi a
mulinello (Fig. 8) sono usati raramente perché, come noto, con il loro
ingombro possono modificare sensibilmente il campo di moto e inol-
tre necessitano di frequenti tarature. Si preferisce loro il misuratore
elettromagnetico (Fig. 9) che, mentre fornisce una notevole accuratez-
za nella misura e non è eccessivamente costoso, ha lo svantaggio, co-
me nel caso del mulinello, di una misura puntuale. Oggi, se la disponi-
bilità di spesa per la campagna di indagini in campo lo permette, si
preferisce lo strumento acustico Doppler (Fig. 10) che, posto in pros-
simità del fondo marino, fornisce il rilievo istantaneo lungo la verticale
delle tre componenti di velocità e, se dotato del software opportuno,
permette anche misure del trasporto di sedimenti in sospensione.

Fig. 8. Un correntometro a mulinello

Fig.9. Un correntometro elettromagnetico in campo

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Fig. 10. Un profilatore di velocità acustico (cilindro nero) posto su una


struttura metallica (bianca) che appoggia sul fondo

Indagini biocenotiche

Nel bacino del Mediterraneo è presente, sotto forma di vaste pra-


terie, Posidonia oceanica della quale, data l’importanza, tratteremo i
vari aspetti. E’ stato calcolato che la distruzione di un metro di “mat-
te” ad una distanza di circa 100 metri dalla riva provocherebbe
l’arretramento della costa di almeno 20 metri (Jeudi de Grissac, 1984;
Jeudy de Grissac e Bouderesque, 1985). Ciò da la misura dell’enorme
importanza che assume la presenza delle praterie di P.oceanica come
stabilizzatrici delle nostre coste.
L’insediamento della pianta, in presenza di una quantità sufficiente
di sostanza organica, avviene sia su fondali sabbiosi sia su quelli roc-
ciosi. La prateria di P. oceanica o Posidonietum costituisce una vera e
propria biocenosi (Molinier, 1960; Harmelin, 1964; Pérès e Picard,
1964; Boudouresque. 1974), ben caratterizzata, che ospita al suo inter-
no un’elevatissima quantità e varietà di specie animali e vegetali.
La prateria attraverso una serie evolutiva (Pérés e Picard, 1964) si
sviluppa in tre fasi:
- deposito di materiale organico
- colonizzazione del substrato da parte di Cymodocea nodosa
- impianto di Posidonia oceanica
Presso la riva, in zone sabbiose, nelle quali si accumula detrito or-
ganico che si mescola lentamente con lo strato superiore di sabbia, si
possono insediare fanerogame come la Cymodocea nodosa, i cui ri-
zomi contribuiscono a catturare altro detrito organico, favorendo
l’insediamento di talee di P. oceanica, che sostituisce gradualmente

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
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Cymodocea nodosa (Pérès e Picard, 1964).


La costruzione e le attività di moli, porti o dighe, e condotte sotto-
marine modificando l’idrodinamismo di alcune zone, interferisce con
il trasporto dei sedimenti con la conseguente comparsa di zone
d’intensa sedimentazione o, viceversa, di erosione del fondo marino e
delle spiagge (Astier, 1984). Una sedimentazione troppo rapida, può
provocare il soffocamento della prateria e l’intorbidamento dell’acqua,
con conseguente riduzione dell’intensità luminosa, che provoca la risa-
lita del limite inferiore della prateria. Al contrario, se la sedimentazione
è scarsa e non compensa la crescita verticale dei rizomi, questi vengo-
no scalzati, indebolendo la prateria, che risulta più esposta al moto
ondoso e quindi all’erosione. In prossimità di porti, di scarichi indu-
striali o urbani e di altre opere costiere, la fanerogama è soggetta a re-
gressione dovuta all’inquinamento (Panayotidis, 1988; Pérès, 1984) e
all’intorbidamento dell’acqua, a cui si possono aggiungere fenomeni di
eutrofizzazione. In zone inquinate P. oceanica accumula inoltre metalli
pesanti direttamente nei tessuti e, per tale motivo, viene considerata
un buon bioindicatore della qualità delle acque (Catsiki e Panayotidis,
1993).
Vista l’importanza della salvaguardia delle praterie è indispensabile
attuare un piano di monitoraggio per pianificare interventi di conser-
vazione e tutela.
Il monitoraggio finalizzato ad una tempestività di intervento può
essere fatto a vari livelli di approfondimento:
- livello macroscopico: macrostruttura, fenologia, analisi degli epifiti,
lepidocronologia.
- livello microscopico: bioindicatori citologici quali fenoli e citochini-
ne.
- livello molecolare: analisi della diversità genetica, ed espressione del
pattern delle metallotioneine.
Attualmente sono allo studio metodologie sperimentali che preve-
dono l’applicazione di tecniche di reimpianto, consistenti nel trapianto
diretto di talee e plantule di Posidonia e Cymodocea provenienti da
praterie naturali o prodotti a terra per semina o propagazione vegeta-
tiva, in parcelle distribuite nell’area di studio, secondo uno schema a
blocchi randomizzati e fissate su reti metalliche ancorate ai fondali
mediante chiodi (Fig. 11).
La tecnica sperimentale prevede il prelievo in immersione di zolle
di prateria Z. marina, Z. noltii e C. nodosa che sono successivamente

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
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reimpiantate nell’area prescelta. Il re-impianto viene effettuato me-


diante l’utilizzo di due tecniche:

Fig.11. Rete metallica ancorata al fondo e fasci di Posidonia oceanica

1) escavazione manuale di adeguate porzioni di fondo marino.


2) impianto nei sedimenti del sito recettore di talee raggruppate in
fasci in appositi vasi di materiale biodegradabile al 100% ed atossico
(fibre di mais).
In diversi casi, a distanza di un mese dal trapianto, l’efficienza dello
stesso è stata pari a circa il 90% per Z. marina, il 100% per C. nodosa
e il 50% per Z. noltii.
Questi risultati estremamente promettenti ci permettono di ipotiz-
zare, in zone opportunamente preparate, di avere successo anche con i
trapianti di Posidonia oceanica che permetterebbero di contrastare il
rischio di regressione delle praterie e la temuta erosione costiera.
La tecnica del reimpianto non può ovviamente prescindere da
un’analisi dettagliata delle condizioni ottimali delle talee da reimpianta-
re. Queste, infatti, mostrano una velocità di crescita e di ramificazione
dei rizomi maggiore quando presentano una elevata diversità genetica
(Procaccini e Piazzi, 2001) e parametri citologici soddisfacenti.

ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA PROGETTAZIONE

Studio del clima meteo marino


Considerando l’altezza d’onda significativa come una variabile
quantitativa, il primo passo da compiere per definire il clima ondoso
medio di un paraggio è quello di valutare la distribuzione di frequenza
dell’altezza d’onda significativa, H s , per settore di provenienza. Tale
stima viene effettuata suddividendo i valori di H s in classi di uguale di-

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mensioni e per settori angolari di assegnata ampiezza (e.g. 30°). Si va-


lutano quindi il numero di eventi ondosi ricadenti in ogni classe relati-
vamente ad un dato settore angolare, da cui è poi possibile determina-
re la frequenza in percentuale di apparizione dei valori di H s per settore
di provenienza.
E’ possibile eseguire una suddivisione sia stagionale sia annuale e i
risultati ottenuti sono opportunamente visualizzati, per ciascuna locali-
tà, con un diagramma polare (“rosa di moto ondoso”) che fornisce
un’immediata caratterizzazione dei mari regnanti e dominanti del pa-
raggio (Fig. 12) A questa rappresentazione grafica si associano le tabel-
le (Tab. 1) relative alla distribuzione direzionale delle frequenze di ap-
parizione di H s .
Nel procedimento di verifica di stabilità delle opere marittime il
progettista ha spesso necessità di conoscere, con sufficiente approssi-
mazione, il valore dell’altezza d’onda ( H s o H max di progetto) che non
sia superato in lunghi periodi di tempo futuro, egli ha cioè la necessità
di determinare il clima ondoso estremo e per fare ciò non potrà che
fare ricorso ai metodi di estrapolazione propri della statistica degli
eventi di lungo periodo. L’estrapolazione comporta sempre la possibi-
lità di errori e pertanto occorre adottare alcune cautele per minimiz-
zarne l’effetto.
Gli eventi di un processo stocastico, la cui intensità è caratterizzata
da una variabile (l’altezza significativa massima nel corso della mareg-
giata), risultano di regola separati da intervalli temporali di durata de-
terministica o casuale. Si pensi ad esempio alla serie dei massimi an-
nuali, in cui l’intervallo fra gli eventi è deterministicamente pari ad un
anno (un evento ed uno solo per anno identificabile esattamente solo
al termine dell’anno, l’anno in questo approccio è un’unità indivisibile)
o alla serie delle eccedenze sopra di una soglia assegnata, in cui
l’intervallo fra gli eventi è variabile e casuale. Normalmente si assume
che gli eventi siano distinti e stocasticamente indipendenti cioè che
l’intensità di eventi distinti sia indipendente, così come indipendenti
siano gli intervalli fra gli eventi. A tal fine basta di regola scegliere un
intervallo temporale abbastanza lungo, su cui valutare il massimo, o
una soglia abbastanza elevata, perché l’intervallo fra gli eventi risulti
molto grande rispetto alla persistenza degli stessi eventi. Gli eventi de-
vono inoltre essere omogenei fra loro.

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Tab. 1. Numero di osservazioni classificate per settori di incidenza del moto ondoso e
classi di altezza d’onda significativa Hs. Boa RON di Monopoli
Hs (m) 0.0-0.5 0.5-1.0 1.0-1.5 1.5-2.0 2.0-2.5 2.5-3.0 3.0-3.5 3.5-4.0 4.0-4.5 4.5-5.0 > 5.0 % TOTALE
Settore
N 2476 1076 480 272 130 61 52 27 7 0 0 13.35 4581
NNE 1617 583 303 156 78 33 17 4 1 0 0 8.14 2792
NE 1519 726 364 161 78 45 22 9 2 0 0 8.53 2926
ENE 1640 571 230 134 79 34 32 6 2 3 2 7.97 2733
E 2620 772 160 35 16 3 7 1 0 0 0 10.53 3614
ESE 2598 2334 664 89 18 5 2 1 0 0 0 16.65 5711
SE 274 217 88 21 6 3 0 0 0 0 0 1.78 609
SSE 82 35 3 0 1 1 1 0 0 0 0 0.36 123
S 45 8 0 1 1 0 1 1 0 0 0 0.17 57
SSW 29 6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0.10 35
SW 19 5 0 0 2 2 0 0 0 0 0 0.08 28
WSW 27 8 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0.11 37
W 31 8 0 0 6 1 0 0 0 0 0 0.13 46
WNW 52 27 4 0 9 2 0 1 0 0 0 0.28 95
NW 958 1225 533 212 70 26 25 3 1 0 0 8.90 3053
NNW 3549 2855 1001 282 108 40 17 14 1 0 0 22.93 7867

% 51.11 30.48 11.17 3.97 1.76 0.75 0.51 0.20 0.04 0.01 0.01 100.00

TOTALE 17536 10456 3831 1363 603 256 176 67 14 3 2 34307

Fig. 12. Rosa del moto ondoso annuale. Boa RON di Monopoli

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La stima dell’altezza massima probabile viene comunemente con-


dotta nel modo seguente:
- definizione dell’evento (eccedenze o massimi e quindi livello di soglia
o intervallo temporale);
- scelta della distribuzione caratterizzante degli eventi statistici (campio-
ne degli eventi);
- valutazione del numero degli eventi nella vita presunta dell’opera;
- valutazione della distribuzione di probabilità dell’altezza massima (ve-
rifica della adattabilità della distribuzione scelta al nostro campione,
che normalmente si fa con il confronto con altra distribuzione equiva-
lente).
Alla base del metodo appena descritto vi è la verifica della omoge-
neità dei dati impiegati nella statistica (pericolose le situazioni in cui
sono mescolati eventi rari e molto variabili con eventi frequenti meno
variabili) e accertare la completezza dei dati (non sempre le osserva-
zioni coprono la totalità del tempo fra l’inizio e la fine dell’evento). Il
procedimento sopraindicato prende il nome di approccio probabilisti-
co, in quanto la variabile statistica in esame non ha un limite superiore,
entro cui il fenomeno può verificarsi come nell’approccio determini-
stico. Per esempio, partendo dall’esame dei valori di altezza d’onda ca-
ratteristica, scelti nel modo appena indicato (massimi temporali o va-
lori che superino un’assegnata soglia), osservati in un certo periodo di
tempo, l’approccio probabilistico porta alla determinazione del valore
di altezza d’onda significativa massima H s ,max più probabile che si veri-
ficherà entro un certo tempo futuro. Le altezze d’onda sono quindi
fornite in funzione del loro “periodo di ritorno”, ovverosia del tempo
durante il quale esse possono essere uguagliate o superate mediamente
una sola volta.
Il metodo normalmente seguito è quello classico già noto all’allievo
ingegnere, poiché trova applicazione, in numerose materie di studio,
ad esempio in ingegneria Idraulica relativamente alle portate e alle pre-
cipitazioni. Evidentemente sono necessari lunghi periodi di osserva-
zione del moto ondoso; quando questi non fossero disponibili, biso-
gnerà ricorrere a valori delle altezze d’onda ottenuti mediante
l’applicazione dei metodi di ricostruzione indiretta del moto ondoso,
partendo, dai dati meteorologici (modelli di hindcasting).

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Onda di progetto
Più si prolunga la vita di un’opera, più, ovviamente, si accresce la
probabilità che essa debba sopportare eventi rari di intensità assai ele-
vata. E’ dunque necessario definire la cosiddetta onda di progetto
adottata per il proporzionamento di un’opera marittima. Essa è costi-
tuita da una tipica onda “estrema” che può essere rappresentata sia at-
traverso un’onda significativa, la quale descrive uno stato di mare, sia
attraverso un’onda individuale, la quale coincide con un’onda irregola-
re (random). In entrambe le rappresentazioni, l’onda di progetto è de-
finita dall’altezza, dal periodo e dalla direzione di propagazione del
moto ondoso d’assieme ed è sufficientemente caratterizzata, nei con-
fronti di una indicazione di “rischio”, dal periodo di ritorno degli
eventi di moto ondoso che la contengono e dalla probabilità di suc-
cesso, o di accadimento, che tali eventi presentano durante il numero
di anni di vita prevista per l’opera (lifetime).
Il periodo di ritorno Tr , in corrispondenza del quale valutare poi
l’altezza d’onda significativa di progetto, viene determinato tramite la
relazione proposta da Borgman (1963):
L
 1 
P = 1 − 1 −  (1)
 Tr 
ove P = probabilità che in un dato tempo L (lifetime) si abbia, o venga
superato, un dato evento con periodo di ritorno Tr . Nella (1), per de-
finizione di periodo di ritorno, 1/ T r definisce la probabilità che
l’evento avvenga nei prossimi 12 mesi. Si ottiene, per esempio, che
eventi, mareggiate o onde, con periodo di ritorno 50 anni hanno pro-
babilità 20 % di essere raggiunti o superati in un anno e 40 % in venti-
cinque anni; si deduce che, se la probabilità di vita prevista è di 50 an-
ni, la probabilità di accadimento di tale evento è del 63 %, in cento
anni la probabilità si eleva all’87 %.
Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha redatto le Istruzioni
Tecniche per la Progettazione delle Dighe Marittime (a scogliera e a
parete verticale). In esse sono riportati i valori di L e di P. I valori gui-
da di L e P sono riportati nelle Tabelle 2 e 3, rispettivamente.
Il livello di sicurezza 1 si riferisce ad opere di interesse locale, il cui
collasso comporti un rischio minimo di perdita di vite umane o di
danni ambientali. Il livello di sicurezza 2 si riferisce ad opere, il cui col-
lasso comporti un moderato rischio di perdita di vite umane o di dan-
ni ambientali. Il livello 3 è per opere di interesse sopranazionale il cui

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collasso comporti un elevato rischio di perdita di vite umane o di dan-


ni ambientali.
Tab. 2. Valori guida della vita di progetto dell’opera, L,
al variare del livello di sicurezza e del tipo di uso dell’infrastruttura

livello di sicurezza → 1 2 3
Infrastruttura ↓
uso generale 25 50 100
uso specifico 15 25 50
Tab. 3. Probabilità di accadimento per verifica a
danneggiamento incipiente, P

Ripercussione Rischio limitato Rischio elevato


economica per vita umana per vita umana
bassa 0.50 0.30
media 0.30 0.20
alta 0.25 0.15

Si osserva che per le condotte di scarico a mare, come per altre


opere marittime, non esistono indicazioni in merito alla scelta del va-
lore di P da utilizzarsi nella predetta relazione di Borgman. In realtà,
da una ricerca condotta dagli scriventi è emerso che nella pratica pro-
gettuale la condotta di scarico a mare è considerata come una infra-
struttura ad uso specifico, per la quale deve essere garantito un livello
di sicurezza 2, poiché il collasso dell’opera comporta solo un modera-
to danno ambientale. Pertanto, dalla Tab. 2, si assume L = 25 anni.
Estendendo l’uso della Tab. 3 al caso della condotta di scarico a mare,
se questa collassa, il rischio per la vita umana è basso e la ripercussio-
ne economica è altrettanto bassa. Ne deriva che P può essere assunto
pari a 0.50. Quindi, dalla (1) si ottiene Tr = 35 anni; per tale valore, no-
ta la funzione di probabilità dei valori estremi di Hs che meglio si adat-
ta al campione di dati, si individua il valore di Hs di progetto.
Infine, per concludere, un cenno alla determinazione del periodo
d’onda Ts da associare all’altezza d’onda significativa di progetto. Esi-
stono differenti approcci. Boccotti (1997), per uno spettro Jonswap
medio, propone la seguente correlazione tra il periodo dominante Td e
l’altezza H s
Td = 8.5π H s / 4 g (2)
Noto il valore di Td , si determina il periodo Ts attraverso la relazio-
ne Ts = Td / 1.05 .

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Profondità di frangimento
Avvicinandosi alla costa, l’onda procede su fondali di profondità
decrescente e, quindi, le caratteristiche del moto ondoso risultano
modificate rispetto a quelle possedute al largo. L’attrito al fondo e la
riduzione di profondità riducono la lunghezza d’onda; sicché, in defi-
nitiva, l’onda diventa più ripida (aumento di H/L). In prossimità della
battigia (acque basse), l’onda diventa instabile, frange e dissipa in tal
modo l’energia trasferita dal largo a riva.
L’onda viene generata in mare aperto dall’interazione del vento con
la superficie marina. Quando il vento ha soffiato per un tempo suffi-
ciente sulla superficie del mare, si determinano condizioni di mare
completamente sviluppato (FAS) che esce dall’area di generazione
(swell). Le altezze d’onda, le lunghezze, i periodi, la lunghezza dei
fronti e le direzioni di propagazione sembrano tutte variare irregolar-
mente. A queste grandezze ben possono applicarsi leggi statistiche. Ad
esempio, le altezze d’onda in acque profonde seguono, con buon ac-
cordo, la distribuzione di Rayleigh.
Sino a quando l’onda è in acque profonde, la dissipazione d’energia
dell’onda è dovuta primariamente ai piccoli frangimenti indotti
dall’azione del vento. In acque più basse, quando h < ½ L, ove con h
si indica la profondità del fondale, le onde cominciano a “sentire” il
fondo. Le onde diventano più lente, corte e ripide. Questo processo è
detto di shoaling. Lo shoaling prosegue nel corso della propagazione
dell’onda verso riva sino a che si verifica il fenomeno del frangimento
dovuto al fondale ridotto (Fig. 13).

Fig. 13. Trasformazioni dell’onda per effetto della riduzione del fon-
dale verso riva

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Al ridursi della profondità, l’onda diventa sempre più asimmetrica e


tende al frangimento. Poco prima del frangimento, si può osservare la
presenza di una lieve depressione della superficie libera che viene
chiamata set-down. Al frangimento, poi, si osserva un lieve innalza-
mento della quota del l.m.m. il cosiddetto set-up.
Sono state proposte numerose formule per la determinazione
dell’altezza d’onda al frangimento, H b . La Tabella 4 riassume alcune
tra le più diffuse. In essa si adottano i seguenti simboli:

hb = profondità al frangimento;
m = pendenza della struttura inclinata o della spiaggia;
kb = numero d’onda al frangimento;
γ = H b / hb = indice di frangimento;
Lb = lunghezza d’onda al frangimento.

In alternativa alle dette relazioni, Scarsi e Stura (1980), per penden-


za del fondo m < 0.05, utilizzando dati di laboratorio aggiuntivi, han-
no proposto la seguente relazione

Hb h
= (0.73 + (13m) 2 ) − (1.12 + (30m) 2 b2 (3)
hb gT

Studio correntometrico
La previsione e l’interpretazione di fenomeni costieri quali il tra-
sporto e la diffusione di inquinanti o di sedimenti, anche a seguito del-
la realizzazione di un’opera marittima, si basano sulla conoscenza della
circolazione idrodinamica costiera indotta dal moto ondoso. Secondo
Shepard e Inman (1950), si intende per circolazione idrodinamica co-
stiera (nearshore currents), l’insieme delle correnti generate diretta-
mente dall’azione di onde di gravità in prossimità ed entro la zona dei
frangenti; in particolare le nearshore currents risultano determinate
dalla combinazione di:
- trasporto di massa verso riva per effetto del moto ondoso;
- correnti litoranee dovute all’obliquità del moto ondoso rispetto alla li-
nea di riva;
- correnti dirette verso il largo: rip currents e undertow.

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Tab. 4. Alcune tra le formule per la individuazione di H b

Miche (1944) H b = Lb 0.142 tanh (k b hb ) , limite di ripidità = 1/7


−1 / 4
LeMehaute e Hb H

Koh (1967) = 0.76m1 / 7  0

H0  L0

Collins e Weir H b = γH b ove γ = 0.72 + 5.6m
(1969)
Weggel (1972) b Hb
H b = γH b ove γ = =b−a e
hb T2
1+ a
gT 2
( ) (
a = 43.8 1 − e −19 m , b = 1.56 1 + e −19.5m )−1
, unità SI
Battjes e Jen- 0.88  γ' 
sen (1978) Hb = tanh k b hb , γ ' = a coefficiente empirico (~ 0.83)
kb  0.88 
Svendsen −1 / 2
Sb L  H  
(1987) H b = γhb ove γ = 1.9 e S b = m  = m 2.30 0  
1 − 2S b  h b   L0  
Hansen (1990) −0.45
L   H0  
H b = γhb ove γ = 1.05S 0.2
e S b = m  = m2.87  
 h b   L0  

con a = 5(1 − e −43m ) e b = 1.12(1 + e −60 m )


Smith e Kraus H0 −1
H b = γhb ove γ = b − a
(1991) L0

In effetti, la circolazione costiera è influenzata anche da altre for-


zanti non trascurabili, quali il vento e la variazione mareale.
Le indagini in campo rappresentano il mezzo più efficace per lo
studio della circolazione idrodinamica costiera; esse risultano raramen-
te condotte da Istituti di ricerca e più di frequente sono finalizzate
all’esecuzione di una certa opera marittima e, quindi, i relativi dati so-
no destinati a perdersi in quanto non catalogati né diffusi.
L’approfondimento della conoscenza è a volte basato su indagini di
laboratorio, ma esse risultano assai onerose oltre che largamente in-
fluenzabili dalle caratteristiche dell’installazione sperimentale. Pertan-
to, negli ultimi 15 anni sono stati sviluppati numerosi modelli di idro-
dinamica costiera che hanno assunto, a causa delle recenti notevoli in-
novazioni in termini di mezzi di calcolo e di procedure numeriche, un
ruolo alternativo assai promettente sia per finalità di ricerca che di
progetto.
La modellazione numerica è divenuto uno strumento indispensabile
per la corretta progettazione e verifica del funzionamento di una con-

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dotta di scarico dei reflui a mare. Si possono adottare diversi livelli di


indagine a seconda del caso di studio. Nei casi ordinari, si realizzano
studi per la zona di mescolamento, in cui la turbolenza indotta dai get-
ti è simulata con codici di calcolo elementari. Nei casi in cui sia richie-
sto anche lo studio del degrado delle sostanze rilasciate, si consigliano
ancora altri programmi di uso comune. Nei casi speciali, si ritiene au-
spicabile l’adozione di modelli numerici di simulazione più complessi,
e che quindi l’affidamento non venga assegnato al mondo professio-
nale, ma a istituti di ricerca o universitari. Si tratta di istruire tecnici
che, pur essendo specializzati in ingegneria idraulica e ambientale, ab-
biano gli elementi per capire il fenomeno, valutare gli ordini di gran-
dezza e dare delle risposte che siano anche illustrate con grafici com-
prensibili. Questo lavoro dovrebbe essere espletato in contraddittorio
tra l’ente pubblico e chi fa la proposta, in modo che non sia ingiustifi-
catamente anti-economico per il proponente, e che l’efficienza
dell’opera non sia così bassa da creare un danno ambientale.
Esistono differenti modelli numerici. Essi sono riconducibili alle
seguenti due differenti tipologie:
- modelli mediati rispetto al periodo dell’onda ed alla profondità (time
averaged);
- modelli che risolvono lo stato istantaneo del campo di moto (time
domain).
I modelli del tipo time averaged determinano l’effetto netto
dell’onda sulla circolazione idrodinamica costiera. Tra i modelli del ti-
po time domain i più diffusi sono quelli che risolvono le equazioni
non lineari per acque basse (e.g. Kobayashi e Wurjanto 1990) o le
equazioni di tipo Boussinesq (e.g. Whitting, 1984; Madsen et al., 1991;
Nwogu, 1993; Tomasicchio e Brunone, 1998; Tomasicchio et al.,
2005).
Tipicamente, al fine di contenere i tempi di calcolo senza di fatto
rinunciare alla bontà del risultato, lo studio della dispersione
dell’inquinante viene condotta con modelli del tipo time averaged.

Modelli del tipo time averaged


Negli ultimi trenta anni sono stati utilizzati diversi approcci per la
definizione di modelli time averaged. Gli approcci meno sofisticati
consistono nella simulazione limitata alle due dimensioni nel piano
orizzontale (2DH) o alle due dimensioni nel piano verticale normale
alla linea di riva (2DV). Un modello di tipo 2DH risolve le equazioni

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del moto e di continuità mediate nel periodo e rispetto alla profondità


ipotizzando una distribuzione uniforme della corrente lungo la vertica-
le; il modello di tipo 2DV, o di cross-shore circulation, trascura la
componente di velocità ed i gradienti lungo la linea di riva limitandosi
a descrivere la corrente di undertow. Entrambe le formulazioni sono
semplificazioni, con evidenti limiti, ad un fenomeno 3D. E’ stata
quindi introdotta la tecnica quasi-3D (Davies, 1987; De Vriend e Sti-
ve, 1987; Svendsen e Lorenz, 1989) che consiste in una approssima-
zione al fenomeno 3D facente uso delle esistenti formulazioni 2D. La
tecnica quasi-3D utilizza un modello 2DH al quale si associa un mo-
dulo che descrive la distribuzione lungo la verticale del profilo di cor-
rente.

Modelli del tipo quasi-3D


Un modello di circolazione idrodinamica costiera quasi-3D risolve
le equazioni del moto e di continuità integrate rispetto al periodo
d’onda ed alla profondità, alle quali viene associata l’informazione
sull’andamento lungo la verticale dei profili di corrente, consentendo
di determinare le correnti indotte dal moto ondoso incidente ed i moti
ondosi di periodo più lungo rispetto al moto ondoso incidente (infra-
gravity waves). In particolare, un modello quasi-3D dapprima deter-
mina il valore medio lungo la verticale delle grandezze idrodinamiche
rispetto al piano orizzontale e, successivamente, usa queste informa-
zioni per ottenere la distribuzione lungo la verticale della corrente.
Pertanto, si giunge ad una descrizione 3D del campo delle velocità. In
concreto, i modelli quasi-3D sono stati sviluppati allo scopo di coniu-
gare l’effetto della non uniformità del profilo di corrente con la sem-
plicità di un modello 2DH. L’andamento del profilo di corrente con-
seguente all’interazione tra le correnti litoranea e trasversale è stato in-
dividuato da Svendsen e Lorenz (1989) trascurando le componenti
non lineari. Esso è mostrato in Fig. 14 e viene comunemente detto
profilo a spirale. Nel seguito, i pedici α e β rappresentano le coordina-
te cartesiane in un piano orizzontale.

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Fig. 14. Il profilo a spirale indotto dall’interazione della corrente lito-


ranea, o longshore, con quella trasversale, o di undertow (da Svend-
sen e Lorenz, 1989)

Al modello di circolazione idrodinamica costiera è necessario ac-


coppiare un modello di propagazione del moto ondoso (wave driver).
Si ottiene così un modello accoppiato in grado di predire sia le onde
che il campo di moto netto nel periodo da esse determinato. In estre-
ma sintesi, un modello generale di circolazione idrodinamica costiera è
composto dai seguenti moduli indicati in ordine di utilizzo:
- un modello di propagazione delle onde di gravità che consente di de-
terminare, per ciascun punto del dominio di calcolo, i valori d’altezza,
di celerità e di direzione di propagazione dell’onda e, quindi, la portata
indotta dal passaggio dell’onda e il tensore radiation stress;
- un modulo che risolve le equazioni di continuità e del moto integrate
rispetto al periodo dell’onda e lungo la profondità fornendo la varia-
zione 2D nel piano orizzontale della corrente e della infragravity wave;
- un modulo che risolve numericamente la distribuzione lungo la verti-
cale della corrente.
Esistono diversi modelli di circolazione idrodinamica costiera: tra i
più diffusi lo SHORECIRC (Svendsen e Putrevu, 1990; Van Donge-
ren et al., 1994), l’ADCIRC (Luettich et al., 1992), il MOHID (Neves,
1985; Santos, 1995; Martins, 1999), il Visual Plumes Model (Frick,
2004), il CORMIX (Doneker e Jirka, 2007). Alcuni codici sono gratuiti
e oggetto di continui aggiornamenti e miglioramenti da parte della
comunità scientifica di cui si può seguire la attività iscrivendosi a web
forum dedicati.

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Calcolo della portata nera di scarico

Un buon progetto di fognatura non può essere elaborato senza


studiare, nello stesso tempo, il progetto della rete idrica a servizio del
medesimo centro abitato. Le due canalizzazioni sono così connesse
l’una con l’altra che la loro riuscita dipende in gran parte dalla con-
temporaneità della loro costruzione (Frega, 1998). Basi fondamentali
per la redazione di un progetto di fognatura sono, pertanto, la popola-
zione e la dotazione individuale d’acqua. La portata idrica giornaliera da tenere
a base dei calcoli è quella risultante dalla dotazione individuale molti-
plicata per la dotazione. La portata media oraria è quella giornaliera divi-
sa per un numero β di ore, in generale < 24. Di norma, β = 18 ore. Si
tiene conto, inoltre, del coefficiente di massimo consumo, normalmente po-
sto pari a 2.25, costituito dal prodotto di due fattori uguali a 1.5, riferi-
ti, rispettivamente, al massimo consumo stagionale e al massimo con-
sumo giornaliero. La portata determinata con i criteri sopra indicati va
infine moltiplicata per un coefficiente di riduzione per tener conto delle
perdite. Per tale coefficiente si assume un valore variabile da 0.7 a 0.8.
La consueta formula per il calcolo della portata massima in l/s, da te-
nere a base per il calcolo della rete, è dunque la seguente:

(4)

ove si è indicato con:

α = coefficiente di riduzione;
d = dotazione individuale giornaliera di acqua in l/ab·g;
P = popolazione a base di calcolo;
β = numero di ore di funzionamento dell’impianto.

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DESCRIZIONE DELLE COMPONENTI E DEI MATERIALI

Come già detto in precedenza, le condotte sottomarine rappresen-


tano uno dei metodi per lo scarico a mare di acque reflue, cioè di quei
liquami provenienti dalle reti fognarie che subiscono a monte, prima
di essere convogliate nelle condotte, un complesso trattamento di qua-
si totale abbattimento del carico organico nell’impianto di depurazio-
ne.
Prima che il liquame venga convogliato all’interno della condotta
sottomarina, esso, uscito dall’impianto di depurazione, giunge tipica-
mente ad una vasca di accumulo e carico, per assicurare una velocità
costante nella tubazione. E’ buona norma affiancare a questa struttura
una vasca per la clorazione da poter usare in occasione di possibili in-
quinamenti. Per velocità del refluo superiori ai 2 m/s, è consigliato in-
stallare anche un dissabbiatore per la separazione del liquame dalle
particelle solide, allo scopo di evitare gli effetti dell’abrasione sulle pa-
reti interne. Inoltre, in caso di piogge eccezionali, è utile costruire degli
appositi sfioratori laterali di emergenza per scaricare a mare le portate
eccedenti la massima capacità delle vasche e della condotta. Questi
manufatti, al pari degli acquedotti e delle fognature, operano spesso a
gravità, e, quindi, richiedono un sufficiente carico piezometrico con-
vogliato.
Nelle zone costiere, per garantire il carico necessario, si interpon-
gono impianti di sollevamento, con pompe aspiranti o sommerse, che
consentono al refluo di acquisire il carico necessario a garantire il de-
flusso fino alla parte terminale della condotta di scarico a mare. Le luci
del diffusore vengono spesso collegate alla condotta a mezzo di flan-
gia fissata con un solo bullone per facilitare i futuri interventi manu-
tentori. È buona norma prevedere anche flange d’ispezione lungo il
tratto terminale della condotta. I diffusori, che sporgono al disopra del
fondo marino, devono essere protetti da eventuali azioni di ancore di
navi o reti da pesca.
I materiali impiegati nella costruzione delle condotte di scarico risul-
tano essere praticamente quelli utilizzati per la formazione delle con-
dotte per gli acquedotti e le fognature. I materiali per le condotte di
scarico devono resistere sia all’aggressività interna del refluo sia
all’aggressività esterna dell’ambiente marino. In generale, si possono
definire condotte di scarico di piccolo diametro quelle comprese fra
un range minimo di 200 mm e uno massimo di 1000 mm e che scari-

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cano a una profondità minore di 20-25 m, e condotte di scarico di


grande diametro quelle che arrivano a raggiungere i 2200 mm circa.
Attualmente vi è una ampia offerta di materiali per condotte sottoma-
rine (acciaio rivestito esternamente ed internamente, alluminio, mate-
rie plastiche, ghisa sferoidale) per soddisfare la richiesta di buona ro-
bustezza, flessibilità e pesantezza per poter rimanere ben ferma in sito.
I materiali comunemente adottati oggi sono di tipo rigido quali
l’acciaio, la ghisa sferoidale o il calcestruzzo armato, e di tipo flessibile
quali il PEAD (polietilene ad alta densità), il PRFV (resine poliestere
rinforzate con fibre di vetro) o, materiali appositamente studiati per
tubi flessibili, di produzione danese (NKT) (Fig. 15), progettati con la
stessa tecnica dei cavi elettrici. Per questo ultimo particolare tipo di
condotte, la resistenza trasversale viene conferita da una guaina di po-
lietilene mediante una serie di fasciature elicoidali di nastri d’acciaio.

Fig. 15. Tubo di tipo NKT

La tecnica di posa delle condotte di scarico, sviluppatasi molto in


questi ultimi anni, comprende diversi metodi, fra i quali scegliere a se-
condo della profondità dei fondali, il tipo di tubazione da posare, la
lunghezza e il diametro della condotta.
La tubazione va interrata, ad evitare sia alterazioni delle spiagge per
un diverso equilibrio di correnti, sia una pericolosa azione del mare
sulla condotta (sono oggi disponibili macchine per lo scavo, la posa e
il ricoprimento simultanei della condotta). Maggiori notizie sulle mo-
dalità di posa, l’ingegnere potrà acquisire attraverso l’ampia letteratura
sull’argomento o rivolgendosi direttamente alle ditte specializzate.
Generalmente, il materiale scavato può essere usato come copertu-
ra se è composto da pietrame sufficiente ad evitare lo spostamento
verticale della condotta. Le condotte che attraversano la zona dei
frangenti debbono essere interrate ad una profondità maggiore di

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quella che potrebbe essere prodotta dalla erosione durante la vita di


servizio della condotta. Generalmente, un solo strato di pietrame o un
materasso non sono ritenuti assicurare un’efficace protezione nella
zona dei frangenti, per cui gli elementi devono essere progettati per
resistere alla forte azione delle onde frangenti. Una possibilità efficace
consiste nel coprire la condotta completamente e per una idonea lar-
ghezza con due o più strati filtro di pietrame, come indicato nel dise-
gno riportato in Fig. 16 e Fig. 17.

Fig.16. Protezione della condotta con pietrame (Coastal Engineering


Manual)

Fig. 17. Esempi di ricoprimento di condotte posate in trincea


Vi sono vari tipi di materassi di copertura usati per proteggere effi-
cacemente le condotte. I materassi possono risultare una soluzione

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economica quando il pietrame di idonea pezzatura non è facilmente


disponibile; comunque la posa di speciali materassi può essere, in ge-
nerale, un provvedimento adatto.
Per la difesa dalle ancore e dalle reti dei pescherecci, sono adottate
barriere costituite da cavi di acciaio tesati ai lati della sede della con-
dotta a una certa distanza da questa e mantenuti a conveniente altezza
dal fondo per mezzo di massi d’ancoraggio e boe.
Per condotte che si trovano nella fase di esercizio posate sul fon-
do, tra le possibili tecniche di appesantimento e protezione, si adotta-
no rivestimenti esterni in calcestruzzo cementizio prefabbricati, sacchi
di conglomerato plastico o di sabbia, materassi di tipo prefabbricato o
l’ancoraggio al fondo (Fig. 18 e Fig. 19).

Fig. 18. Tipologia di materassi di appesantimento

Una alternativa all’appesantimento con materassi consiste


nell’ancoraggio al fondo della condotta finalizzato a bloccarla per con-
trastare movimenti laterali o longitudinali. In questo caso, vengono in-
fissi due pali sul fondo marino, posti ai lati della tubazione e, successi-
vamente, viene applicata una morsa ai due supporti che li collega sta-
bilmente. Per fondali rocciosi, la condotta può essere bloccata con
staffe fissate direttamente alla roccia o annegate in getti di calcestruz-
zo.
Nel caso di condotte prossime al fondo, vengono tipicamente
adottati, per l’appesantimento, anelli formati da calcestruzzo cementi-
zio semplice o debolmente armato, o di ghisa, di forma parallelepipeda
o cilindrica (Fig. 20 e Fig. 21) il cui inserimento avviene prima della fa-
se di varo.

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Fig. 19. Posa in opera dei materassi

Fig. 20. Collari in calcestruzzo per l’appesantimento delle condotte

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Fig. 21. Particolare di una condotta in PEAD appesantita da collari in


calcestruzzo in fase di varo

L’acciaio risulta un materiale ampiamente utilizzato per tutti i diffe-


renti usi delle condotte sottomarine. Le sue elevate caratteristiche
meccaniche offrono grosse possibilità di adattamento delle condotte
alle più differenti condizioni ambientali del mare. La produzione dei
tubi in acciaio si divide in due direttrici principali: tubi senza saldatura
e tubi saldati.
Tale materiale si presta bene al varo per tiro continuo, di cui si dirà
appresso, che permette l’esecuzione dei giunti saldati testa a testa; in
presenza di litorali irregolari con coste ripide e rocciose e se comun-
que non è possibile ricavare a terra un’adeguata area di varo, si può ri-
correre a una esecuzione per tronchi, trasportati in galleggiamento e
accoppiati sul fondo mediante flangiatura.
Le condotte sono normalmente dotate di un rivestimento esterno di
tipo “pesante”, costituito da una pellicola di bitume rivestita di tessuto
a doppio strato di feltro bituminoso; ulteriore rivestimento idoneo è
costituito da una guaina di fibrocemento dello spessore di 2-3 cm.
Tale tipo di condotta non necessita di blocchi di appesantimento,
stante l’elevato peso specifico del materiale (7850 kg/m3). Nonostante
ciò, se vuoto, il tubo galleggia ed è quindi facilmente trasportabile in
fase di varo.
I maggiori inconvenienti nelle utilizzazioni di condotte in acciaio sono
stati determinati dai fenomeni di corrosione a cui le condotte sono
spesso sottoposte, se prive di una idonea protezione; per evitare ciò è
necessario prevedere la protezione passiva o, meglio, quella attiva (ca-
todica) della condotta.
Le superfici interne possono essere invece protette con verniciatura ad
alto spessore (400-500 µm), con due passate di vernici epossicatramo-

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se; questo tipo di protezione è in genere sufficiente anche nei confron-


ti dei fenomeni di abrasione del fondo del tubo, per effetto dei solidi
in sospensione nel refluo. In condotte di piccolo diametro, non prati-
cabili internamente, si hanno difficoltà a proteggere il breve tratto
contiguo alla saldatura. In tal caso, si possono adottare due soluzioni
per il ripristino del rivestimento in questo tratto:
a) l’impiego di speciali “pig” che eseguono la spazzolatura e la suc-
cessiva verniciatura a spruzzo del tratto, manovrati dall’esterno del-
la condotta;
b) l’adozione di speciali giunti con materiale inossidabile.
I problemi in tali casi presentati dal giunto saldato possono evitarsi
adoperando condotte segmentate, con giunto a bicchiere con anello di
tenuta in gomma; taluni di questi giunti hanno anche la possibilità di
un collegamento antisfilamento, che garantisce alla condotta una certa
continuità.
Le condotte sottomarine in acciaio possono essere anche collegate fra
loro con giunzione rapida a bicchiere avente l’anello di guarnizione
elastico. Questa tipologia di giunzione consente sensibili deviazioni
dell’asse longitudinale. Esistono anche casi in cui si adotta la saldatura
a bicchiere cilindrico oppure la saldatura a bicchiere sferico con came-
ra d’aria.
Le tubazioni in ghisa sono state molto utilizzate in passato per la co-
struzione degli scarichi a mare. Al contrario, le tubazioni in ghisa
sferoidale risultano particolarmente adatte per la posa sottomarina.
La ghisa sferoidale presenta ottime caratteristiche meccaniche fornite
dalla combinazione di due fattori: elevata resistenza e durabilità, ha
una elasticità (Re ≥ 270 MPa); resistenza alla rottura (Rm ≥ 420 MPa)
e notevole capacita di allungamento (> 10%)

Fig. 22. Esempio di tubazione in ghisa sferoidale

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I tubi in ghisa sferoidale per lo scarico a mare attraverso condotte sot-


tomarine hanno un sistema di giunzione automatico antisfilamento
che permette la realizzazione di condotte autoancorate.
L’antisfilamento si monta su tubi dotati di bicchieri a doppia camera e
di un cordone di saldatura sull’estremità liscia.

Fig. 23. Tubi in ghisa sferoidale. Sistema di giunzione antisfilamento

Il principio di base dell’antisfilamento dei giunti consiste nel trasferire


gli sforzi assiali di un elemento di condotta verso il seguente, quindi a
rendere il giunto non sfilabile.
Il trasferimento degli sforzi assiali è svolto da un dispositivo indipen-
dente da quello di tenuta che comprende:
• un cordone di saldatura realizzato in fabbrica e situato sull’estremità
liscia del tubo
• un anello antisfilamento metallico monoblocco a profilo esterno sfe-
rico che appoggia sul cordone di saldatura

Fig. 24. Sistema di giunzione antisfilamento. Particolari costruttivi

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I tubi sono protetti all’interno con malta di cemento alluminoso appli-


cata per centrifugazione ed esternamente possono essere rivestiti o
con uno strato di zinco puro di 200 g/m2 applicato per metallizzazio-
ne ricoperto da uno strato aderente di polietilene o con uno strato
aderente di poliuretano di spessore 900 micron applicato per proie-
zione. Tali rivestimenti consentono l’utilizzo dei tubi nelle zone a for-
te corrosività.

Fig. 25. Tubazioni in attesa di varo

Il calcestruzzo armato, oggi poco diffuso nel campo delle condotte


di scarico, è principalmente adottato come rivestimento, appesanti-
mento e protezione dagli agenti esterni per gli altri tipi di materiali. Per
queste tubazioni, si impiega il montaggio assistito da palombari fra
singoli tubi, inserendo fra essi speciali giunti mobili.
Crescente impiego nella costruzione di scarichi a mare ha subito il
PEAD (polietilene ad alta densità). Esso è un materiale termoplastico
ottenuto per polimerizzazione diretta dell’etilene secondo un proce-
dimento ad alta pressione. Il PEAD presenta un comportamento vi-
scoelastico, cioè, se sottoposto a sollecitazioni costanti, subisce de-
formazioni che crescono col tempo (fenomeno chiamato “creep”). Il
decadimento delle caratteristiche meccaniche dipende proporzional-
mente dalla temperatura. Sono svariate, tuttavia, le caratteristiche del
materiale che lo rendono molto adottato nel campo delle condotte
sottomarine. Il PEAD si presenta liscio, non soggetto a facili incrosta-
zioni da parte dell’ambiente marino, è facilmente saldabile, resiste ot-
timamente al passaggio dei fluidi, è particolarmente flessibile ed è leg-
gero rispetto agli altri materiali, facilitando così il trasporto a terra e in
mare. Esso viene prodotto in lunghe pezzature fino alla possibilità, li-

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mitatamente ai piccoli diametri, della estrusione continua per formare


e trasportare tratte sbobinate di notevole lunghezza. Inoltre, esiste, in
questi casi, la possibilità di produrre un unico tubo continuo in testa al
cantiere di varo. I tubi in PEAD sono normalmente prodotti per
estrusione a caldo e stabilizzati con particolari sostanze che lo proteg-
gono dall’invecchiamento. I sistemi più diffusi di giunzioni tra due tu-
bi contigui e tra tubo e raccordo sono la termosaldatura testa a testa, la
saldatura a manicotto termico e la giunzione per flangiatura.
Le tubazioni in PRFV (resine poliestere rinforzato con fibre di ve-
tro) sono prodotte mediante formatura per avvolgimento continuo di
fili di vetro paralleli impregnati di resine insature. La possibilità di
produrre tubazioni con differenti orientamenti delle fibre di vetro è
importante al fine di ottimizzare le caratteristiche di resistenza del tu-
bo prodotto in relazione ai requisiti meccanici di riferimento. Dal pun-
to di vista morfologico, le condotte in PRFV sono realizzate con tre
stratificazioni aventi diverse caratteristiche chimico-fisiche in relazione
alle funzioni loro attribuite: lo strato interno assicura un’elevata resi-
stenza alla fessurazione, all’abrasione e alla corrosione; lo strato cen-
trale è lo strato meccanico resistente, strutturato con fili di vetro im-
pregnati con resine di elevate proprietà meccaniche; lo strato esterno
ha la funzione di ricoprimento e protezione dall’aggressività
dell’ambiente circostante. Le giunzioni adottate per il PRFV sono il
giunto a bicchiere con anello elastomerico di tenuta avente un disposi-
tivo antisfilamento, e il giunto a manicotto.

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IL VARO E LA POSA

Le condotte sottomarine per gli scarichi a mare di acque reflue


possono essere posate in trincea (interrate), come una comune con-
dotta acquedottistica, posate direttamente sul fondale marino, oppure
poggiate su selle, al fine di adeguarsi nel miglior modo possibile alla
particolare, e spesso irregolare, batimetria del fondale (Fig. 26).
Superata la zona dei frangenti ove la condotta corre in trincea, il pro-
seguimento della condotta può avvenire ancora in trincea; tale solu-
zione risulta però sconveniente dal punto di vista economico. Più fre-
quentemente, la condotta viene direttamente poggiata sul fondo, op-
portunamente appesantita e protetta con i sistemi di cui si è detto.

Fig. 26. Profilo longitudinale e modalità dei sistemi realizzativi


di una condotta sottomarina

Tecniche di varo e posa in opera


La scelta delle modalità di varo di una condotta sottomarina è stret-
tamente dipendente dal tipo di materiale tubolare che si vuole adotta-
re; infatti, già durante la fase di formazione della condotta, questa può
essere fortemente sollecitata, in funzione del metodo di posa adottato;
tali sollecitazioni possono anzi essere maggiori di quelle a cui la con-
dotta è sottoposta nella successiva fase di esercizio, per cui esse ven-
gono poste a base del dimensionamento statico (Tomasicchio U. e
Tomasicchio G.R., 2011).
A seconda del tipo di materiale adoperato, si può in generale fare di-
stinzione tra due casi:

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a) condotta ad elementi discreti, ad es. formata da tubi con


giunto a bicchiere, come tubi in c.a., in ghisa, in resina, etc.;
b) condotta con elementi aggregabili in continuo, come ad es.
tubi di acciaio o PEAD saldati testa a testa.
Tale distinzione non è netta, perché, al fine di ridurre le costosissi-
me operazioni di varo a mare, è possibile spingere sul livello di forma-
zione della condotta a terra, ricorrendo a vari artifici (ad esempio,
giunti anti sfilanti), per cui anche i tubi di ghisa o di PRFV possono
essere collegabili in continuo.
La scelta dei sistemi di varo e di posa in opera degli scarichi a mare è
fortemente dipendente dalle situazioni locali, dal materiale della con-
dotta e dalle giunzioni, dalle profondità da raggiungere, dalle modalità
con le quali è prevista la collocazione della tubazione sul fondo e dalla
sua protezione (Fig. 27). Esistono diverse metodologie di posa in ope-
ra: dal varo di una tubazione continua (tubazione flessibile) o di co-
lonne in successione, al montaggio sott’acqua tubo per tubo (tubazio-
ne rigida).

Fig. 27. Vista generale di una condotta sottomarina prima della posa
(Porto di Antalya, Turchia)

I tubi classificati come flessibili, per esempio il PEAD e il PRFV, per-


lopiù di modesti diametri, vengono posati srotolandoli sul fondo ma-
rino con le tecniche adottate per i cavi sottomarini per l’elettricità o il
gas (Figg. 28 e 29).

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Fig. 28. Varo con l’aiuto di speciale apparecchio

Fig. 29. Condotta da pontone attrezzato

La posa in opera delle tubazioni flessibili di piccolo diametro avviene


da terra oppure attraverso l’adozione di tamburi galleggianti (Fig. 30) o
di imponenti mezzi navali quali i pontoni di varo (Figg. 31 e 32), che si
spostano lungo il percorso prestabilito guidati da sistemi di controllo
della rotta. La condotta s’immerge con ampia libertà di inclinazione
del suo asse longitudinale e può essere, a seconda delle situazioni, fre-
nata, appesantita o alleggerita con galleggianti provvisori (Fig. 33). Il
mezzo navale può essere semovente o può spostarsi in tonneggio su
ancore.

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Fig. 30. Varo di una condotta da tamburo galleggiante

Fig. 31. Una condotta viene varata da speciale pontone su cui le tuba-
zioni vengono preventivamente giuntate

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Fig. 32. Posa in opera di una condotta rigida da pontone di varo

CONCRETE BLOCKS
BUOYANCY
AIRFILLED PIPELINE AIR VALVE
PULL FORCE=F
SEA WATER LEVEL

R2 EQUILIBRIUM PRESSURE
AIR PRESS DRAW DOWN
EQUILIBRIUM INTERFACE LEVEL

DEPTH = d
WATER VALVE R1
NET WEIGHT
WATERFILLED PIPELINE
L
SEABED

Fig. 33. Configurazione di una condotta flessibile in varo da pontone

I sistemi di varo delle condotte sottomarine di grande diametro rigide


(acciaio, ghisa, ecc.) o flessibili si classificano in quattro grosse tipolo-
gie: assemblaggio della condotta a terra e varo mediante azione di tiro
sul fondo esercitata da argani generalmente posti su mezzi navali (Fig.
34); assemblaggio della condotta su mezzo galleggiante e varo della
condotta in continuo dal mezzo stesso munito di rampa di varo. In
genere il varo avviene in galleggiamento, per poi procedere
all’immersione mediante riempimento delle tubazioni (Fig. 35); as-
semblaggio della condotta in tronchi successivi, traino in condizioni di
galleggiamento della condotta stessa, collegamento del tronco generi-
co a quello già varati, affondamento del tronco; varo da pontone. Nel
caso di varo da pontone attrezzato, la giunzione dei singoli tronconi
della tubazione avviene via via che si procede al varo dell’intera tuba-
zione.

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Fig. 34. Srotolamento da terra di una tubazione a Cayeli (Tur-


chia) con la tecnica di tiro sul fondo

Fig. 35. Schema di varo con tiro da colonna galleggiante

Le sollecitazioni in fase di varo


Tutte le tecniche sono notevolmente condizionate dal peso degli
elementi di tubazione utilizzati. Nel primo caso, l’azione di tiro è cor-
relata al peso della condotta da far scorrere, negli altri casi il peso della
tubazione e la sua rigidezza determinano lo stato di sollecitazione da
prevedersi nella condotta in fase di varo. Per tutti i casi elencati, in
rapporto alle caratteristiche specifiche delle tubazioni da utilizzare, si
possono prevedere dispositivi atti a favorire il galleggiamento o
l’affondamento nel transitorio. La presenza di tubazioni pesanti, come
quelle in acciaio, prevede generalmente il varo di tubazioni vuote al fi-
ne di ridurre drasticamente la resistenza ad attrito della condotta, af-
frontando, tuttavia, il conseguente pericolo dell’instabilità in presenza
di pressioni esterne non equilibrate da quelle interne.
Per i casi di tiro da mezzo galleggiante e varo da pontone, lo stato di
sollecitazione longitudinale del tubo in fase di posa a mare è connesso

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
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al peso della condotta per unità di lunghezza e alla sua deformabilità.


Le sollecitazioni crescono all’aumentare del peso dei tubi e della pro-
fondità di posa, mentre diminuiscono all’aumentare del momento
d’inerzia.
Per le condotte a sezione circolare, la non linearità del comportamen-
to strutturale deriva essenzialmente dalla tendenza della generica se-
zione ad ovalizzarsi sotto carico per effetto della curvatura flessionale
della linea d’asse. Tale curvatura induce le risultanti delle tensioni di
trazione e di compressione ad assumere un angolo diverso da zero tra
le rispettive direzioni e a dare origine, di conseguenza, a pressioni di
ovalizzazione che possono provocare grosse deformazioni nel caso di
pareti di modesto spessore. Al tempo stesso, l’ovalizzazione indotta
provoca una riduzione dell’inerzia flessionale della sezione.
Quest’ultima influenza la configurazione della linea d’asse e la relativa
curvatura.
Nelle fasi di varo delle condotte sottomarine, dove la configurazione
della linea d’asse è determinata dalla geometria del fondale e dalle
condizioni di vincolo delle sezioni man mano vincolate alla rampa di
varo, si può presentare il problema della notevole curvatura con solle-
citazioni assai superiori a quelle d’esercizio e facilmente eccedenti i li-
miti elastici del materiale. Altrettanto importante risulta il problema
della stabilità dell’equilibrio, in quanto è evidente che la progressiva
diminuzione della rigidezza della struttura può dare origine a fenomeni
di instabilità progressiva con l’insorgere e il propagarsi di imbozza-
menti locali fino al vero e proprio collasso della sezione nel proprio
piano. A prevenzione di questi rischi, si ricorre a un dimensionamento
adeguato della spessore della condotta, al controllo del peso in immer-
sione, all’applicazione di anelli antideformazione e al dosaggio di una
tensione di frenatura. Esistono, oggi, anche sistemi per la correzione
della deformata della tubazione costituiti da una sorta di rampa a pro-
filo variabile che sporge dall’estremità del pontone e che accompagna
la condotta per un certo tratto, costringendola ad una prefissata curva-
tura.
Per fornire all’ingegnere progettista e/o direttore dei lavori alcune utili
indicazioni che lo possano guidare nella scelta della tubazione della
condotta sottomarina, si riporta di seguito un esempio delle verifiche,
cui va sottoposta la stessa, per accettarne il buon comportamento du-
rante le operazioni di varo e di esercizio. Infatti, particolarmente du-
rante le operazioni di varo della condotta, la stessa sarà sottoposta ad

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azioni flettenti che non dovranno in nessun caso produrre crepe o,


comunque, diminuzioni delle caratteristiche di impermeabilità e resi-
stenza all’usura. Le notizie e le figure sottoriportate ci sono state gen-
tilmente fornite dall’ing. Luigi Capriello della Iniziative Industriali
S.p.A. i cui prodotti sono commercializzati sotto il marchio SAR-
PLAST.

Verifiche preliminari in stabilimento


La tubazione sottoposta a prova nello stabilimento della citata indu-
stria aveva un diametro di 1600 mm. La prova è consistita nella misura
della resistenza meccanica della condotta in PRFV alle sollecitazioni
indotte dalla metodologia di varo e contemporaneamente della tenuta
idraulica del giunto (Fig. 36).

Fig. 36. La condotta sottoposta a prova

Gli appoggi sono stati realizzati in carpenteria in legno. È stato posto


un foglio di neoprene tra la condotta e l’appoggio in legno al fine di
minimizzare gli effetti di schiacciamento localizzati sulla condotta.
I volumi di acqua inseriti nella coppia di tubi sono stati determinati
mediante un contalitri (Fig. 37).
Sono state eseguite misure di abbassamento sia in mezzeria, per il con-
fronto con la freccia teorica, sia presso gli appoggi, queste ultime al fi-
ne di definire lo schiacciamento del neoprene. Sono state eseguite mi-
sure del grado di riempimento della condotta agli appoggi.
Durante tale prova, sono state realizzate diverse configurazioni ap-
poggio-appoggio con giunto bloccato al centro come da disegno sot-
tostante, con una campata L = 22 m. Per ognuna delle configurazioni
sono state misurate le frecce corrispondenti ai relativi momenti flet-
tenti; il raffronto fra le frecce misurate e quelle teoriche è stato sempre

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Le condotte di scarico a mare – stato dell’arte
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positivo. Durante le misurazioni delle frecce in mezzeria, si è verificata


la inesistenza di eventuali creep.

Fig. 37. Apparecchiatura di misura dell’acqua

Nella Tab. 5 sono riportate le deformazioni misurate messe a confron-


to con quelle calcolate (frecce teoriche e misurate), mentre nella Fig.
38 il grafico dello stress-path, cui è stata sottoposta la condotta.

Tab. 5. Confronto tra le deformazioni riscontrate e quelle teoriche

Step Volume d’acqua Livello al supporto Reazione al supporto Momento flettente Mf Freccia in mezzaria attesa
(litri) (m) (kg) (N.m) (mm)
M0 0 0 2585 142’171 40
M1 (1.00) 16’746 0.535 10’957 618’882 173
M2 (1.33) 23’499 0.679 14’446 821’949 260
M3 (1.50) 27’528 0.788 16’372 927’000 272
M4 (2.00) 36’051 1.090 22’023 1'233’703 362
M5 (2.16) 44’234 1.600 24’701 1'332’271 423

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Risultati delle verifiche


Complessivamente si è testata una coppia di tubi a grandezza naturale
nel percorso di carico cui verranno sottoposti durante le fasi di varo
da pontone.
Il risultato della prova è stato molto soddisfacente, in quanto le de-
formazioni anche dopo circa 70 ore sono risultate inferiori a quelle
teoricamente previste e, contemporaneamente, il giunto ha superato la
prova infra-Oring di tenuta.
Successivamente, si è deciso di sottoporre la coppia di tubi alla mas-
sima sollecitazione realizzabile con la configurazione di prova.
Anche in tale configurazione le deformazioni riscontrate sono state in-
feriori a quanto previsto dal calcolo teorico.

Fig. 38. Grafico dello stress-path cui è stata sottoposta la condotta

Nella Fig. 39 si mostra ancora una visione della condotta sottoposta a


prova nello stabilimento della SARPLAST.

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Fig. 39. Conduzione delle prove in stabilimento

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NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Le norme per la progettazione delle condotte di scarico a mare


si riferiscono al rispetto di standards sulla qualità dei liquami che fuo-
riescono dalle bocche del diffusore, alle autorizzazioni per la realizza-
zione del progetto e alle lunghezze minime dello scarico nonché alla
tutela delle acque marine. A partire dagli anni ’60, diverse autorità sta-
tali hanno iniziato ad introdurre standards di qualità per le acque co-
stiere, in particolare per quelle destinate alla balneazione e alla miticol-
tura.
In Italia, risulta tuttora in vigore il D.P.R. n. 470 dell’8/6/1982
(art. 83, c. 1, D.Lgs. n.152/2006), in applicazione della direttiva C.E.E.
n. 76/160 dell’8/12/1975, che indica i requisiti minimi che devono
avere le acque marine di balneazione, al fine di limitare l’inquinamento
nelle zone costiere, laddove il liquame presente negli scarichi a mare
entra in contatto diretto con il mare, definito come un corpo idrico ri-
cettore. All’interno del detto decreto, viene adottata, così come pre-
scrivono la quasi totalità delle normative europee sulla balneabilità, la
concentrazione colimetrica come parametro standard di riferimento,
dalla cui conformità risultano verificati tutti gli altri indici di qualità
delle acque (coliformi totali, streptococchi fecali, salmonelle, pH, colo-
razione, trasparenza, oli minerali, sostanze tensioattive, fenoli e ossi-
geno disciolto). Lo standard di concentrazione colimetrica deve essere
inferiore a 100 colifecali (coliformi fecali) in 100 ml di acqua, al bordo
dell’area che si vuole salvaguardare.
Da ultimo, il Decreto Legislativo n. 152 dell’11/5/1999, riguardan-
te le disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepi-
mento della direttiva C.E.E. n. 91/271 concernente il trattamento del-
le acque reflue urbane e della direttiva C.E.E. n. 91/676 relativa alla
protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati prove-
nienti da fonti agricole, definisce, fra le sue linee programmatiche, la
disciplina generale per la tutela delle acque marine. Nell’allegato I del
Decreto riguardante il monitoraggio e la classificazione delle acque in
funzione degli obiettivi di qualità ambientale, la classificazione della
qualità delle acque marine costiere viene eseguita con determinazioni
sulla matrice acqua. Ad integrazione delle analisi sulle acque, vanno ef-
fettuate analisi e saggi biologici sui sedimenti e sul biota. Per i primi, i
parametri fondamentali da analizzare sono la granulometria, il carbo-
nio organico, gli idrocarburi policiclici aromatici, i composti organo-

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clorurati, i metalli pesanti bioaccumulabili e i composti organostannici.


Per il biota, invece, le analisi vanno fatte su inquinanti quali i metalli
pesanti bioaccumulabili, gli idrocarburi policiclici aromatici e i compo-
sti organoclorurati (PCB e pesticidi). I parametri di base da analizzare
nelle acque, definiti come macrodescrittori, sono l’ossigeno disciolto,
la clorofilla “a”, l’azoto nitrico, l’azoto nitroso e l’azoto ammoniacale.
La redazione di un piano di campionamento delle acque ha la finalità
di individuare, in un tratto definito di costa, le zone sottoposte a fonti
di inquinamento dello stato del mare, per redigere un successivo piano
di risanamento e di tutela. Ai fini del campionamento, vengono identi-
ficate tre diverse tipologie di fondale, per ciascuna delle quali viene
stabilito il posizionamento, ortogonale alla linea di riva, di tre stazioni
di prelievo per transetto costiero. Per fondale alto, che presenta una
batimetria maggiore di 50 m a 3000 m dalla costa, si posizionano dalla
riva le stazioni di prelievo a 100 m, a 3000 m e in posizioni intermedie.
Per fondale medio, che presenta una batimetria maggiore di 5 m a 200
m dalla costa e una batimetria minore di 50 m a 3000 m dalla costa, le
sezioni di prelievo sono a 200 m, a 1000 m e a 3000 m dalla costa. Per
fondale basso, che presenta una batimetria minore di 5 m a 200 m dal-
la costa, le sezioni di prelievo sono a 500 m, a 1000 m e a 3000 m. Per
ciò che concerne i campionamenti, è prevista una frequenza di prelie-
vo stagionale per l’acqua, una annuale per i sedimenti ed una semestra-
le per il biota. Lo stato delle acque marine costiere è definito dal risul-
tato peggiore ottenuto nella attribuzione dello stato ecologico e dello
stato chimico, tenendo conto di ogni elemento utile a definire il grado
di allontanamento dalla naturalità delle acque costiere. A tal riguardo,
al fine della classificazione, lo stato ecologico e chimico delle acque
marine costiere viene valutato applicando l'indice trofico, che risulta
essere pari a:

Log 10 (Cha ⋅ D%O ⋅ N '⋅P ) + 1,5


Indice di trofia = (5)
1,2

dove Cha (clorofilla “a”), D%O (ossigeno disciolto come % assoluta


della saturazione), N’ = N – [NO3+NO2+NH3], e P (fosforo totale).

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Indice di trofia Stato del mare


2-4 Elevato
4-5 Buono
5-6 Mediocre
6-8 Scadente

Con il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152 recante “norme


in materia ambientale” il legislatore statale, tra l’altro, nel recepire
nell’ordinamento italiano la Direttiva 2000/60/CEE del Parlamento
Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 23 ottobre 2000,
che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque,
ha provveduto al riordino, al coordinamento e all’integrazione delle
disposizioni legislative in materia ambientale.
In tale ambito, con riferimento alla materia tutela delle acque, è stata
riservata l’intera Sezione II^, della parte III^, che ha innovato la pre-
cedente normativa dettata dal già detto D.Lgs. n.152/1999.
Gli strumenti di tutela individuati dal legislatore nazionale con la nor-
mativa in riferimento sono rappresentati dai “piani di gestione”, a sca-
la di distretto idrografico, e dai “piani di tutela delle acque”, a scala re-
gionale.
Con riguardo ai “piani di tutela delle acque”, l’art. 61 del citato decreto
legislativo, attribuisce, tra l’altro, alle Regioni, la competenza in ordine
alla loro elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione. Il Piano
di Tutela è individuato come fondamentale strumento finalizzato al
raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e più in gene-
rale alla protezione dell’intero sistema idrico superficiale e sotterraneo.
E’ noto che per Servizio Idrico Integrato si intende il servizio relativo
al ciclo completo dell’acqua che prevede l’approvvigionamento idrico,
il trasporto della risorsa e la sua distribuzione alla utenza nonché la
raccolta dei reflui, il trasporto fino al trattamento depurativo e lo sca-
rico finale.
Tutte le fasi della filiera suddetta presentano problematiche particolari
che ne caratterizzano la difficoltà di superamento con l’individuazione
di soluzioni diverse per ogni fase.
In particolare, la tutela del territorio si focalizza sulla questione relativa
al trattamento depurativo dei reflui e alla individuazione di recapiti fi-
nali nonché di modalità di scarico negli stessi, considerato che il citato
Dlgs n. 152/2006 fissa, dall’art. 101 e seguenti, i criteri generali per la
disciplina degli scarichi, definendo nell’allegato n. 5 alla legge, le tabel-

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le dei limiti massimi ammissibili allo scarico in relazione al tipo di re-


capito finale, lasciando alle regioni stesse la facoltà di stabilire valori
limite diversi da quelli fissati dall’allegato 5 alla parte terza del Dlgs
152/2006.
Il D.Lgs. 152/2006 delega (art. 78 bis) le Regioni per la attività di de-
signazione delle zone di mescolamento adiacenti ai punti di scarico di
acque reflue contenenti sostanze dell'elenco di priorità nel rispetto dei
criteri tecnici stabiliti con decreto del Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, sulla base delle linee guida definite a li-
vello comunitario, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva
2008/105/CE. Le concentrazioni di una o più sostanze di detto elen-
co possono superare, nell'ambito di tali zone di mescolamento, gli
standard di qualità ambientale applicabili, a condizione che il supera-
mento non abbia conseguenze sulla conformità agli standard di qualità
ambientale del resto del corpo idrico superficiale, in cui, al comma 1,
si definiscono gli standard ambientali del corpo idrico. Alla zona di
mescolamento viene attribuita la funzione di elemento di passaggio tra
il punto di scarico e l’ambiente idrico circostante, ovvero di zona di
transizione verso le concentrazioni che occorre garantire per gli stan-
dard di accettabilità e per la qualità del corpo idrico recipiente. Questo
equilibrio deve raggiungersi nella zona di mescolamento.
Come detto, l’art. 78 bis rimanda alla definizione dei regolamenti che
dovrebbero essere emanati dalle Regioni al fine di fissare il contorno
della zona di mescolamento, primario e secondario, con diversa peri-
colosità per l’ambiente acquatico, e nello stabilire le concentrazioni
ammissibili. Un’anticipazione delle norma fu data nel DL 158/2003
per disposizioni urgenti in materia di fornitura di energia elettrica in
condizioni di sicurezza; tale norma fissa i limiti della zona di mescola-
mento e le caratteristiche che deve avere l’inquinante (nel caso in spe-
cie si trattava della temperatura) e, inoltre, definisce una zona tra area
primaria e secondaria con condizioni diverse a seconda delle caratteri-
stiche del recipiente.

Quadro normativo in Regione Puglia


Con riferimento alla realtà regionale pugliese, si evidenzia che con de-
liberazione di Giunta Regionale n.883 del 19 giugno 2007, si è prov-
veduto ad adottare, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.121 del D. Lgs.
n.152/2006, il “Progetto di Piano di Tutela delle Acque” (PTA) defi-

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nito e predisposto dal Commissario Delegato per l’emergenza ambien-


tale in Puglia in forza degli artt.2, comma 1, e 7, comma 3,
dell’Ordinanza 22 marzo 2002, n.3184, del Ministro dell’Interno dele-
gato per il coordinamento della protezione civile e della normativa
speciale emergenziale dettata dalle Ordinanze Ministeriali all’uopo in-
tervenute.
Si deve aggiungere che con lo stesso citato provvedimento della giunta
regionale, furono adottate le “prime misure di salvaguardia” relative ad
aspetti per i quali appariva urgente ed indispensabile anticipare
l’applicazione delle misure di tutela che lo stesso strumento definitivo
di pianificazione e programmazione regionale deve contenere. Esse
hanno assunto carattere immediatamente vincolante per le ammini-
strazioni, per gli enti pubblici, nonché per i soggetti privati, a decorre-
re dal trentesimo giorno dalla data di pubblicazione del medesimo
provvedimento, avvenuta sul Bollettino Ufficiale della Regione n.102
del 18 luglio 2007 con vigenza fino all’approvazione definitiva del
PTA.
Tale determinazione si era resa necessaria in quanto le risultanze delle
attività conoscitive messe in campo avevano fatto emergere la sussi-
stenza di una serie di situazioni allarmanti nel territorio regionale, so-
prattutto con riferimento alle risorse idriche sotterranee, soggette a fe-
nomeni di depauperamento, salinizzazione delle acque di falda ivi cir-
colanti, a pressione antropica in senso lato.
La salvaguardia delle acque di falda insieme con la salvaguardia dei
corpi idrici fra cui il mare, ha fatto si che le scelte effettuate nel Piano
di Tutela della Regione Puglia oltre ad imporre il rispetto dei limiti allo
scarico previsti nell’allegato 5 del Dlgs 152/2006, hanno privilegiato
alcune scelte di maggior costo, prevedendo modalità di scarico a mare,
sempre nei limiti della tab. 1 dell’allegato 5, con condotte sottomarine
per consentire l’allontanamento dei reflui depurati a distanza dalla co-
sta.
In tal modo, pur consentendo la normativa vigente, lo scarico dei re-
flui depurati a mare direttamente in battigia, previa semplice sistema-
zione idraulica dello scarico, la richiesta del territorio pugliese che pre-
senta coste di notevole pregio turistico, ha indotto la Regione Puglia a
prevedere, nel suddetto Piano di Tutela, lo scarico in mare dei reflui
nei limiti della Tab. 1 dell’allegato 5 del Dlgs 152/2006 mediante la
realizzazione di condotte sottomarine.

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Ciò anche a seguito della concertazione territoriale preliminare che ha


indotto variazioni delle previsioni del PTA prima dell’approvazione
definitiva del Consiglio Regionale.
Alla luce di quanto sopra esposto, per la Puglia si è adottata una scelta
calibrata delle zone costiere che presentavano caratteristiche di parti-
colare pregio e di massiva utilizzazione ai fini della balneazione, indi-
viduando, fin dalla programmazione regionale vigente (PTA) gli ag-
glomerati i cui impianti di depurazione scaricano le acque trattate in
tab. 1 dell’all. 5 del D.Lgs. n.152/1999 (modificato dal d.lgs 258/00 e
abrogato dall’art. 175 del D.Lgs n. 152/2006) nel corpo ricettore “ma-
re” mediante condotta sottomarina in sostituzione del semplice scari-
co in battigia.
A titolo di esempio si citano alcune delle condotte sottomarine già rea-
lizzate e in funzione a servizio degli agglomerati costieri più significa-
tivi per abitanti equivalenti trattati, quali Bari (due condotte sottoma-
rine a servizio degli impianti depurativi di Bari Ovest e Bari Est), Ta-
ranto e Lecce, mentre altre condotte sono previste in aree particolar-
mente sensibili dal punto di vista turistico – balneare in zone tipiche
della Puglia quali il Gargano per gli scarichi a mare degli agglomerati
di Mattinata, Peschici, Rodi, Vieste ed Isole Tremiti, nel Salento ag-
glomerati di Otranto, S. Cesarea terme, Porto Cesareo, Gallipoli, nel
tarantino per lo scarico a mare dell’agglomerato di Sava-Manduria e
nel barese per gli scarichi a mare degli agglomerati di Polignano, Mola
– Conversano, Molfetta e Trani.
E’ evidente che la realizzazione delle condotte sottomarine in corri-
spondenza delle zone costiere più belle della Puglia, non solo garanti-
sce una migliore diluizione, al largo, delle acque trattate al depuratore
cittadino ma, contemporaneamente, incide sull’aspetto psicologico
della questione, rasserenando gli animi degli operatori turistici presenti
in tali aree.

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LE CONDOTTE DI SCARICO IN PUGLIA


Attualmente in Puglia sono presenti diverse condotte sottomarine,
non tutte funzionanti per diverse motivazioni dovute a guasti/rotture
o mancato intervento gestionale, così distribuite:

Bari Est: a servizio dell’impianto depurativo orientale della città, co-


stituita da condotta in acciaio del diametro DN 1.200 mm, lunghezza
900 mt circa e profondità massima 18 mt. La condotta è in esercizio.

Bari Ovest: a servizio dell’impianto depurativo occidentale della città,


costituita da condotta in acciaio del diametro DN 1.200 mm, lunghez-
za 760 mt circa e profondità massima 11 mt. La condotta è in eserci-
zio.

Mola di Bari: a servizio degli impianti depurativi di Mola e di Conver-


sano, costituita da condotta in acciaio del diametro DN 500-800 mm,
lunghezza 912 mt circa e profondità media 16 mt. La condotta è in
esercizio.

Polignano a Mare: a servizio dell’impianto depurativo di Polignano a


Mare, costituita da condotta in acciaio del diametro DN 400 mm, lun-
ghezza 1.100 mt circa e profondità media 40 mt. La condotta è in
esercizio.

Barletta: a servizio dell’impianto depurativo di Barletta, costituita da


condotta in acciaio rivestita, del diametro DN 600 mm, lunghezza
3.300 mt circa e profondità media 13 mt. La condotta è in esercizio.

Margherita di Savoia: a servizio dell’impianto depurativo della città,


costituita da condotta in acciaio, del diametro DN 400 mm, lunghezza
3.200 mt circa e profondità media 13 mt. La condotta è in esercizio.

Trani: a servizio dell’impianto depurativo di Trani, costituita da con-


dotta in acciaio rivestita, del diametro DN 500 mm, lunghezza 2.520
mt circa e profondità media 13 mt. La condotta non è in esercizio.

Rodi Garganico: a servizio dell’impianto depurativo cittadino, costitui-


ta da condotta in acciaio rivestito, del diametro DN 400 mm, lunghez-

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za 2.100 mt circa e profondità massima 15 mt. La condotta è in eser-


cizio.

Mattinata: a servizio dell’impianto depurativo di Mattinata, costituita


da condotta in acciaio del diametro DN 300 mm, lunghezza 2.275 mt
circa e profondità massima 12 mt. La condotta è in esercizio.
Peschici: a servizio dell’impianto depurativo di Peschici, costituita da
condotta di lunghezza 2.100 mt circa. La condotta è in esercizio.

Isole Tremiti: a servizio dell’impianto depurativo dell’agglomerato, co-


stituita da condotta in poliuretano, lunghezza 1.000 mt circa e profon-
dità massima 72 mt. La condotta è in esercizio.

Vieste: a servizio dell’impianto depurativo di Vieste, costituita da con-


dotta di lunghezza 2.100 mt circa. La condotta è in esercizio.

Lecce: a servizio dell’impianto depurativo cittadino, costituita da con-


dotta in acciaio rivestita del diametro DN 1000 mm, lunghezza 2.800
mt circa, compreso diffusori, e profondità massima 25 mt. La condot-
ta è in esercizio.

Santa Cesarea Terme: a servizio dell’impianto depurativo di Santa Ce-


sarea Terme, costituita da condotta in vetroresina del diametro DN
140 mm, lunghezza 300 mt circa. La condotta è in esercizio.

Taranto Gennarini a servizio dell’impianto depurativo di Taranto cen-


tro, contrada Gennarini e Talsano., costituita da condotta in acciaio
del diametro DN 1.200 mm, lunghezza 3.200 mt circa. La condotta
non è in esercizio.

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LA RICADUTA ECONOMICA SULLE SPIAGGE


Da diversi anni, alcuni tratti di spiagge Italiane, in periodo estivo, sono
afflitti dalla presenza in mare della cosiddetta “alga tossica” (Ostreop-
sis ovata) che determina stati di malessere fisico e, di conseguenza, ca-
duta della capacità di attrazione turistica/ricettiva delle aree costiere.
Alla presenza della alga tossica, ma anche a qualunque altro degrado
ambientale delle acque marine, contribuisce, tra gli altri, il libero scari-
co delle acque putride a mare. Infatti, la presenza di depuratori e di
condotte di scarico a mare correttamente funzionanti partecipa forte-
mente al processo di mitigazione dell’impatto ambientale delle attività
antropiche sulle acque costiere.
Pertanto, si può ritenere che la realizzazione e la buona manutenzione
delle condotte di scarico a mare è elemento imprescindibile per le aree
costiere in quanto, a fronte dell’impiego di risorse economiche per la
realizzazione dell’impianto, si ottiene un sicuro vantaggio economico
per le attività turistico/ricettive che incidono nelle aree di mare am-
bientalmente recuperate.
In Italia, si ritiene che il più aggiornato ed approfondito studio di valu-
tazione del valore economico della superficie di spiaggia possa essere
quello condotto dalla prestigiosa Società di Studi Economici Nomi-
sma (2003), secondo cui può essere stimato in circa 1.228 € la redditi-
vità media ritraibile da 1 m2 di spiaggia nel nostro paese. Tale valore
scende fino a circa 600 €/m2 in alcuni comuni e raggiunge picchi di
oltre 4-5.000 €/m2 in località di prestigio come, ad esempio, Forte dei
Marmi. Nel caso della Puglia, si è ritenuto opportuno adottare un va-
lore medio di € 1.200,00, per m2 di spiaggia, ricavabile dalle attività tu-
ristico balneari. Tale valore pare ancora oggi giustificato, sebbene lo
studio del Nomisma sia del 2003, cioè appena alla fase iniziale del
boom turistico/ricettivo della Puglia che è prevalentemente legato al
gradimento verso le spiagge.
Pertanto, ipotizzando che la larghezza della fascia costiera dedicabile
ad attività di spiaggia sia pari a 10 m e, in modo assai cautelativo e rife-
ribile a comuni caratterizzati da una prevalente costa rocciosa (e.g. Po-
lignano a Mare), che la lunghezza della fascia costiera utilizzabile per
fini ricreativi-balneari sia pari a 800 m, si stima un indotto dalle attività
di spiaggia di almeno € 9.600.000/anno. Tale cifra, riferita ad 1 solo
anno rappresenta la redditività delle attività legate all’uso della spiaggia
e supera l’investimento per la realizzazione di una condotta di scarico
a mare che si può porre mediamente pari a € 4.500.000.

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IL PROCESSO DI DILUIZIONE

Il processo di diluizione a mare ha inizio quando il refluo viene


sversato dal diffusore, tratto finale dello scarico a mare di acque reflue
e avente diametro minore a tutto il resto del manufatto. La posizione
del tratto finale deve risultare visibile in corrispondenza della superfi-
cie del mare a mezzo di boe illuminate segnalatrici, per fare in modo
che questa parte di condotta non sia soggetta a qualsiasi tipologia di
urto accidentale (reti, ancore, ecc.). Il liquame, che entra in contatto
con l’ambiente marino circostante, fuoriesce da una serie di fori di
piccolo diametro ad interasse più o meno costante presenti sul con-
torno del diffusore (Figg. 40, 41).

Fig. 40. Diffusore: profilo, particolari e pianta

Per assecondare la variabilità della portata in arrivo


dall’effluente fognario, il diffusore può essere progettato con un unico
tronco, o con particolari forme (a L, a T, a Y o come quelle osservabili
in pianta nella Fig. 42) al fine di assecondare il regime delle correnti
marine e ottimizzare il meccanismo di dispersione iniziale del refluo
nel miglior modo possibile.

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Fig. 41. Tratto di un diffusore prima della posa in opera

Fig. 42. Tipologie di diffusori (pianta)

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Fig. 43. Tipi di diffusori (profili e particolari)

Dal punto di vista altimetrico, i diffusori possono risultare po-


sizionati a campate libere, come nell’esempio 1 della Fig. 43, in una
trincea poco profonda (esempio 2 della Fig. 43) oppure completamen-
te interrate con lunghe bocche di diffusione che trasportano il refluo a
contatto con l’ambiente marino (esempi 3 e 4 della Fig. 43).
I diffusori posati sul fondo o a campata libera possono essere protet-
ti, lungo il loro sviluppo longitudinale, sia da blocchi di conglomerato
cementizio che da massi guardiani, sempre in calcestruzzo, che ven-
gono posti in maniera discreta ai loro lati (Fig. 44).
La diluizione di un effluente nella prima regione di mescolamento
è stata oggetto di numerosi studi in laboratorio, in campo e con mo-
dello matematico. In sintesi, una valutazione preliminare della dilui-
zione iniziale è funzione di alcuni fattori tra loro combinati, quali ad
esempio il galleggiamento dello stesso effluente, i diversi strati di cui
l’ambiente fluido si compone, la presenza delle correnti. Nella presen-
te nota si mostrano alcune pratiche applicazioni per il caso di scenari
semplici. Per una casistica più ampia e complessa si rimanda all’uso dei
modelli matematici.

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Fig. 44. Tipologia di protezione del diffusore

Emissioni da un singolo ugello in verticale


Per il caso delle emissioni da un singolo ugello in verticale, la diluizio-
ne nel tratto terminale della prima regione di mescolamento può esse-
re calcolata mediante la seguente equazione ricavata, su base teorica,
dai principi dell’analisi dimensionale e, su base sperimentale, da misure
in laboratorio:
1. Acqua ferma

(6)

2. Massa fluida in movimento (ambiente vivo)

(7)

ove si è indicato con:

= diluizione media del pennacchio


= portata di galleggiamento = , L/T2
= variazione di densità di portata, M/L3
= densità del fluido, M/L3
= portata fluida, M/L3
= velocità della corrente, L/T
= profondità, L

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La diluizione è considerata efficace nel caso in cui Sa assume un valore


all’incirca pari a 1.8 volte la diluizione minima, Sm, cosiddetta di campo
vicino, calcolata al centro del pennacchio. Sarà opportuno tener pre-
sente, inoltre, una diluizione aggiuntiva/supplementare, di un fattore
fino a 5, dovuta alla propagazione del pennacchio verso la superficie
libera. Si noti che, nel caso di emissione del refluo in orizzontale si ot-
tengono diluizioni in misura maggiore dal 20 fino al 50 per cento, ri-
spetto alla condizione di emissione in verticale.
La (7) risulta valida anche nel caso in cui il corpo idrico ricettore sia
caratterizzato da una stratificazione di massa liquida di tipo lineare
(gradiente di densità costante lungo la verticale, dρ/dz); si sostituisce,
in tal caso, la profondità, h, con l’altezza di equilibrio di risalita del
pennacchio, ze, data dalle seguenti espressioni:

1. Acqua ferma

(8)

2. Massa fluida in movimento (ambiente vivo)

(9)

ove = frequenza di galleggiamento, T-1.

Emissioni da più ugelli


Un diffusore a ugelli multipli per lo scarico di acque reflue si presenta,
nella generalità dei casi, come mostrato in Fig. 45, con emissione di
portata in direzione perpendicolare all’asse del diffusore.

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Fig. 45. Esempio schematico di diffusore con ugelli multipli (Tcho-


banoglous e Burton, 1991)

La Fig. 46 mostra, per il caso di massa liquida con stratificazione linea-


re, l’andamento del valore minimo di diluizione nel tratto terminale
della regione di mescolamento iniziale, insieme all’altezza di equilibrio
di risalita del pennacchio dal diffusore. Per tale tipo di pennacchio, la
diluizione media, Sa, è da considerarsi approssimativamente pari a due
volte la diluizione minima, Sm. Come mostrato in Fig. 46, per bassi va-
lori della velocità di corrente (numero di Froude, F < 0.1), la diluizio-
ne risulta essere indipendente dalla velocità della corrente e dalla dire-
zione. Per valori più elevati della velocità di corrente, la diluizione au-
menta, e risulta maggiore quando il diffusore è orientato perpendico-
larmente al verso della corrente. Da un punto di vista applicativo, inol-
tre, la Fig. 46 consente di determinare le caratteristiche di un diffusore
perché sia in grado di garantire un assegnato grado di diluizione
(Esempio 1). Si noti che, quando non si può ipotizzare una schematiz-
zazione lineare dell’ambiente liquido, si dovrà ricorrere all’utilizzo di
opportuni modelli matematici.

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Fig. 46. Diluizione iniziale minima e altezza di equilibrio di risalita del


pennacchio dal diffusore (Tchobanoglous e Burton, 1991)

Esempio 1: Dimensionamento preliminare di un diffusore


Si intende dimensionare un diffusore che abbia la capacità di garantire
una diluizione di campo vicino, Sm, pari a 50. Si consideri la portata
variabile tra 230 e 685 Mgal/d (10 e 30 m3/s), e la velocità di corrente
variabile tra 0 e 0.66 ft/s. Si valuti, inoltre, che nella stagione invernale
le masse oceaniche non sono stratificate, mentre in estate la stratifica-
zione tende a svilupparsi con un gradiente di densità massimo lungo la
verticale pari all’incirca a 0.028 g/l·ft. La variazione di densità relativa
di portata dell’effluente è pari a: = 0.027. E’ consigliabile che il

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refluo si mantenga sommerso durante la stagione estiva. Si determini,


infine, il valore più elevato di diluizione di campo vicino che si verifi-
cherà durante il periodo estivo (stratificazione della massa liquida).
Si osservi che, nel sistema di misura U.S., Mgal/d = milioni di galloni
per giorno (1 Mgal/d = 4.3813 × 10-2 m3/s), ft = piede (1 ft = 0.3048
m).

Soluzione
1. Determinare il valore minimo di diluizione di campo vicino
(a) Il valore minimo di diluizione di campo vicino, Sm, si ottiene per
piccoli valori di velocità di corrente e portata massima. Con riferi-
mento alla Fig. 46, si può notare come per piccoli valori della velo-
cità di corrente, e in particolare per F < 0.1, la diluizione minima di
campo vicino si ottiene considerando:

Sostituendo le espressioni per q e b ottenute in Fig. 46, si ha:

da cui:

La frequenza di galleggiamento è pari a:

e la portata di galleggiamento è pari a:

(b) La lunghezza del diffusore richiesta è dunque:

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2. Verificare che l’area di smaltimento rimanga sommersa


(a) L’altezza di equilibrio di risalita è ottenuta dalla Fig. 46 (grafico in
basso). Per bassi valori di velocità di corrente (F < 0.1):

Allo scopo di assicurare che il refluo si mantenga sommerso, l’altezza


del diffusore dovrebbe superare il valore di 54.1 ft con un sufficiente
margine di sicurezza.

3. Determinare il valore massimo di diluizione di campo vicino


(a) Il valore più elevato di diluizione sarà ottenuto in corrispondenza
del valore più basso di portata e del valore più alto della velocità
della corrente. In tal caso, il numero di Froude è pari a:

U 3L (0.66ft/s )3 (4736 ft )
F= =
'
gD QD (0.869ft/s )(230Mgal/d )[1.55ft
2 3
] = 4.40
/s ⋅ (Mgal/d )

(b) Allo scopo di ottenere i valori più elevati della diluizione in campo
vicino si dovrebbe orientare il diffusore perpendicolarmente alla
direzione dominante della corrente. Ritenendo possibile tale confi-
gurazione, per un numero di Froude pari a 4.40, dalla Fig. 46 si ot-
tiene per la diluizione, in forma adimensionale, il valore:

S m qN / b 2 / 3 = 2.3

Tale risultato è equivalente al seguente:

b 2 /3 g' 2 / 3 L1 / 3
S m = 2 .3 = 2.3 D 1 / 3 = 165
qN QD N

Una volta superata la regione di mescolamento iniziale, il pennacchio,


trasportato dalla corrente, subisce un processo di mescolamento ulte-

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riore indotto dalla diffusione turbolenta nelle regioni di transizione e


di campo lontano di cui si da un cenno nei successivi paragrafi.

Regione di transizione
Nella regione di transizione, tra campo vicino e campo lontano, il
flusso di portata all’interno del pennacchio è dato da:

Q1 = S a Q D (10)
e la concentrazione massima di un componente risulta:

CD
C1 = (11)
Sm

ove CD rappresenta la concentrazione di portata.


La larghezza del pennacchio, b1, e lo spessore, h1, sono legati dalle se-
guente relazione, che ci indica come il pennacchio e la corrente fluida
siano animate dalla medesima velocità:

Q1 = Ub1h1 (12)

Per il caso di una portata erogata da un diffusore, la larghezza del


pennacchio è molto prossima alla lunghezza del diffusore (b1 = L). La
(12) può essere utilizzata per determinare lo spessore del pennacchio.
Per il caso di erogazione di portata da un singolo ugello, lo spessore
del pennacchio dipende dal galleggiamento residuale del pennacchio
stesso. Come prima approssimazione, si può assumere uno spessore
pari a 1/10 della profondità; in tal caso, la (12) può essere utilizzata
per determinare la larghezza del pennacchio.

Campo lontano con corrente uniforme nello spazio


Una stima per una ulteriore riduzione di concentrazione in campo
lontano può essere ottenuta simulando la portata come una sorgente
verticale continua, di larghezza b1 e altezza h1. Se la diffusione verticale
è trascurabile, si può ottenere una soluzione esatta dell’equazione di
conservazione della massa. Il trascurare la diffusione verticale trova
una giustificazione quando l’ambiente liquido è stratificato o quando il
pennacchio occupa l’intera profondità. Da misure in campo è stato ri-
scontrato che i coefficienti di diffusione turbolenta aumentano con le

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dimensioni del pennacchio dal momento che vortici turbolenti sempre


più ampi partecipano nella diffusione. Le espressioni seguenti forni-
scono una indicazione comunemente riscontrata della variazione del
coefficiente di diffusione con la larghezza della piuma:

3 /2
C m = C 1 e −Kx /U erf
[1 + (8E )]
2 3
(13)
y 1 x / Ub 1 −1

3 /2
 8E y 1 x 
bx = b1  1 +  (14)
 Ub 12 

ove si è indicato con:

Cm = concentrazione della piuma


Ey1 = coefficiente di diffusione trasversale iniziale = ft2/s
= 0.001 b14/3 (quando b1 è espresso in ft)
erf = funzione di errore ove:

1
erf ( x ) ≈ 1 − , con:
(1 + a x + a
1 2x
2
+ a3x 3 + a4 x 4 )
4

a1 = 0.278393
a2 = 0.230389
a3 = 0.000972
a4 = 0.078108
bx = larghezza della piuma alla distanza x

Per il caso di semplici applicazioni, la (13) e la (14) sono riportate in


forma adimensionale nel monogramma in Fig. 47.

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Fig. 47. Caratteristiche del pennacchio in condizioni di campo lontano


(Tchobanoglous e Burton, 1991)

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IL CALCOLO DELLE FORZE INDOTTE DAL MOTO ONDOSO

Il problema dell’azione delle correnti e delle onde sulle condotte, cioè


su corpi cilindrici di “piccolo” diametro in posizione orizzontale, è
stato affrontato esaminando l’interazione idrodinamica fluido-corpo
nel cosiddetto regime di separazione, caratterizzato da formazione e
distacco dello strato limite, emissione di vortici con conseguente scia
vorticosa. Dall’esame della Fig. 48, si vede che al crescere del valore
assunto dal numero di Keulegan-Carpenter4, si verifica la “emissione
alternata di vortici” (o “vortex shedding”) con formazione di “scia
vorticosa” costituita da un “tracciato di vortici” con rotazione opposta
(“vortex street”) e andamento allineato con la velocità della corrente.
Si vede in particolare che per KC>7 si realizza una situazione caratte-
rizzata dall’emissione di coppie di vortici (“shedding regime”). Tali
vortici presentano un percorso (“street”) diretto dapprima in senso
trasversale (7<KC<15) e successivamente in senso longitudinale, al-
ternativo per il cambiamento del segno della velocità nel periodo, co-
me evidenziato da “visualizzazioni” condotte con l’esame di videore-
gistrazioni.

Fig. 48. Sviluppo dei vortici all’aumentare del numero di Keulegan-


Carpenter

Le indagini teoriche e sperimentali hanno trattato dapprima


l’interazione del cilindro con una corrente fluida in moto stazionario;
si sono successivamente sviluppate considerando l’interazione del ci-
lindro con un fluido in movimento oscillatorio sinusoidale, per poi ar-
rivare allo studio dell’interazione del cilindro con un fluido in moto

4
KC = UT / D con U = velocità della corrente, T = periodo del moto ondoso e D = diametro della condotta.

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oscillatorio irregolare facendo riferimento alle irregolarità proprie delle


onde di mare.
Esistono varie formulazioni per il calcolo delle forze idrodinamiche su
corpi cilindrici immersi soggetti a flusso oscillante. Tra questi modelli
si è scelto di riportare due modelli ampiamente testati: la trattazione
classica di Morison (Morison et al., 1950) ed il più recente modello
WAKE II (Soedigdo, 1999).
Come mostrato in letteratura, il modello WAKE II (per molti aspetti
più accurato del modello di Morison) fornisce valori delle forze idro-
dinamiche inferiori di quelle fornite dal modello di Morison. Per tale
motivo, nel valutare le forze idrodinamiche si è scelto di utilizzare (a
vantaggio di sicurezza) la teoria di Morison. Secondo questa teoria, al-
le forze agenti in acqua ferma lungo la profondità (ovvero peso FW e
spinta di galleggiamento FB) si devono aggiungere una forza orizzon-
tale di trascinamento FD (drag) e una forza verticale FL (lift), generata
dall’incremento di velocità nell’intorno della condotta per effetto delle
modifiche del campo di moto, oltre all’azione inerziale orizzontale FI,
dovuta alla variabilità nel tempo del campo di velocità incidente (Fig.
49).

Fig. 49. Configurazione delle forze agenti su un cilindro. Teoria di


Morison.

La forza orizzontale risultante, FO, è data dalla sovrapposizione lineare


di FD e FI. Ipotizzando una condotta posata sul fondo e protetta da
materassi in CLS, la stabilità della condotta viene solitamente verificata

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allo scorrimento orizzontale, in cui deve essere soddisfatta la seguente


disequazione:

FF + µ 2 Pc > λFO (15)

in cui FF è dato da:

FF = µ1 (FW − FB − FL ) (16)

Le forze idrodinamiche di Morison risultano:

FD = 0.5 ρ s C D De u (t ) u (t ) (17)

Fl = 0.25πρ s C M De2 a (t ) (18)

FL = 0.5 ρ s C L De2 u 2 (t ) (19)

con:
• u(t) = velocità orizzontale del campo di moto indisturbato nel pun-
to centrale del cilindro;
• a(t) = accelerazione orizzontale del campo di moto indisturbato
agente alla stessa altezza ella velocità;
• µ1 = coefficienti di attrito tra condotta e fondo posto pari a 0.36;
• µ2 = coefficienti di attrito tra materasso e fondo posto pari a 0.70;
• L = coefficiente di sicurezza a scorrimento laterale posto pari a 1.4;
• CD, CM e CL = rispettivamente coefficienti idrodinamici di drag,
d’inerzia e di lift;
• Pc = peso dei materassi.

La forza di trascinamento (“drag”) FD, in linea con la direzione della


velocità, è determinata dalle pressioni normali e dalle tensioni tangen-
ziali di attrito. Nel campo a cui ci si riferisce (“emissione alternata di
vortici” o “vortex shedding”) è stato dimostrato che il contributo delle
tensioni tangenziali è trascurabile rispetto a quello delle pressioni
normali.
A causa dell’emissione dei vortici la forza FD non è costante nel tem-
po ma presenta oscillazioni intorno ad un valore medio; tali oscillazio-
ni sono però poco significative. Il coefficiente CD viene introdotto per

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correlare la forza FD sul cilindro di lunghezza unitaria alla velocità U


del fluido di densità ρ.
Sempre a causa dell’emissione alternata dei vortici dai due lembi del ci-
lindro, per Re>40, nasce una forza trasversale FL diretta alternativa-
mente verso l’alto e verso il basso e cioè pulsante nel tempo. Tale for-
za, indicata come forza di “lift”, viene correlata alla velocità U del
fluido di densità ρ introducendo il coefficiente CL .
Il coefficiente CL, data la alternanza di vortici di pari intensità nel caso
di cilindro “libero” qui esaminato, presenta valore medio nullo, risul-
tando di interesse pratico solo i valori massimi istantanei della pulsa-
zione o, il valore quadratico medio della forza (o del coefficiente).
La frequenza di pulsazione della forza FL è pari a quella di emissione
dei vortici; il relativo periodo è indicato con Tv e la correlazione tra D
(diametro condotta), U, e Tv è espressa mediante il numero di Strou-
hal St = UTv / D .
Il comportamento di cilindro “libero” sinora considerato permane fi-
no a che la condotta si trova ad una distanza dal fondo (indicata con
e) pari almeno a 0.3D. Se tale condizione non viene rispettata
(e / D < 0.3) , il comportamento idrodinamico si modifica e cambiano
di conseguenza le azioni esercitate sul cilindro. Il cambiamento del
comportamento idrodinamico consiste nella formazione di un nuovo
strato limite tra cilindro e fondo, nella soppressione del percorso al-
ternato dei vortici che, in questa situazione, si possono distaccare solo
dal lembo superiore del cilindro. La forza FL non presenta oscillazioni
simmetriche ma si instaura un prevalente effetto di sollevamento. La
forza FD è influenzata dall’andamento della velocità all’interno dello
strato limite sul fondo.
Il caso del cilindro appoggiato costituisce un caso limite, con forza FL
diretta esclusivamente verso l’alto (Fig. 50)

Fig. 50. Configurazione delle forze agenti su un cilindro posato sul


fondo

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A titolo di esempio, la Fig. 51 riporta l’andamento nel tempo di U


(velocità orizzontale del campo di moto indisturbato nel punto centra-
le del cilindro e di a (accelerazione orizzontale del campo di moto in-
disturbato agente) (Aristodemo et al. 2006).

Fig. 51. Andamento nel tempo di U e di a

Le Figg. 52 e 53 mostrano, rispettivamente, il relativo andamento nel


tempo di FD, FO, FI (Fig. 52) e FL (Fig. 53) ottenuto a seguito della
applicazione della teoria di Morison (Aristodemo et al. 2006).
Come è possibile notare dai grafici alla massima forza orizzontale
non corrisponde la massima forza di lift (verticale); quindi, nel calcolo
di verifica della stabilità, si prendono in considerazione le seguenti 2
condizioni di carico:

1) massima forza orizzontale e corrispondente la forza di lift;


2) massima forza di lift e la corrispondente forza orizzontale.

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Fig. 52. Andamento nel tempo di FD, FO, FI

Fig. 53. Andamento nel tempo di FL

Per la determinazione dei coefficienti si fa tipicamente riferimento agli


abachi di Bryndum et al. (1992) in funzione del numero di Reynolds e
di KC (Keulegan e Carpenter) (Fig. 54).

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Fig. 54. Andamento dei coefficienti CD, CM, CL in funzione di KC


per il caso di moto ondoso irregolare agente su un cilindro posato sul
fondo. Bryndum et al. (1992)

Si noti che, in tal caso, il numero di Reynolds è considerato variabile


nell’intervallo 0.7 – 2.5 × 105. La scabrezza della condotta, k/D, è pari
a 10-3.

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