Sei sulla pagina 1di 7

Cadute in ospedale: la responsabilità della

struttura e degli operatori


Le cadute in ospedale, sia determinate da problemi strutturali che in conseguenza
dell’omessa vigilanza del paziente, sono nel 92% dei casi prevedibili ed evitabili. La
letteratura internazionale ritiene che le cadute determinino un incremento del 5-9% di
tasso di ospedalizzazione o di un suo prolungamento. Considerato l’aumento di richieste di
risarcimento danni alla struttura sanitaria ex art. 2051 c.c. o ex art. 1218 c.c. ed agli
operatori ex art. 2043 c.c. occorre che le strutture predispongano e documentino
interventi mirati alla riduzione dei fattori di rischio personali ed ambientali.
Le cadute rientrano tra gli eventi avversi (ovvero eventi inattesi di grave rilevanza che
comportano un sostanziale danno non intenzionale ed indesiderabile) più frequenti nelle
strutture sanitarie e possono determinare conseguenze immediate e tardive anche gravi fino
a condurre, in alcuni casi, alla morte del paziente.

La Raccomandazione Ministeriale n. 13 per la prevenzione e la gestione della caduta del


paziente nelle strutture sanitarie del novembre 2011 e s.m.i., stima che “circa il 14% delle
cadute in ospedale sia classificabile comeaccidentale, ovvero possa essere determinato da
fattori ambientali (es. scivolamento sul pavimento
bagnato), l’8% come imprevedibile, considerate le condizioni fisiche del paziente (es.
improvviso disturbo dell’equilibrio), e il78% rientri tra le cadute prevedibili per fattori di
rischio identificabili della persona (es. paziente disorientato, con difficoltà nella
deambulazione) “.
Si rileva pertanto come nel 92% dei casi, le cadute siano determinate da problemi
organizzativi per carenza strutturale o di “cattiva gestione“ del paziente da parte del
personale sanitario.

Analizzando nel dettaglio le differenti tipologie di responsabilità possiamo riscontrare:

La responsabilità della struttura ex art. 2051 c.c.


Tipico è il caso di inadeguata manutenzione dell’area della struttura sanitaria ( ad esempio
insidie, buche, pavimenti scivolosi). Viene in questi casi individuata una responsabilità
oggettiva del proprietario del bene (ovvero la Struttura Sanitaria), facendo sì che su
quest’ultimo gravi l’onere di dimostrare l’esclusiva colpa altrui ovvero il caso fortuito. Ciò
poiché all'Azienda Ospedaliera viene richiesta, come ribadito dalla Suprema Corte (Cass. 2
aprile 2004, n. 6515), un'adeguata attività di vigilanza e controllo dei propri beni
patrimoniali, garantendo standardsdi diligenza ed efficienza certamente più elevati in
considerazione delle particolari caratteristiche dell'utenza, alla quale non può richiedersi,
nell'uso del bene pubblico, quel livello di vigilanza e di accortezza normalmente spendibile
dall'uomo medio in discrete condizioni di salute. Si configura quindi a carico dell'azienda la
responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., norma che individua un'ipotesi di responsabilità
oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la relazione che intercorre fra la
cosa dannosa ed il titolare dell'obbligo di custodia senza che assuma rilevanza la violazione
da parte di questi degli obblighi di vigilanza e manutenzione, risultando esclusa la sua
responsabilità solo nell'ipotesi di caso fortuito ( in tal senso Cass. n. 25243 del 29 novembre
2006; Cass. n. 1948 del 10 febbraio 2003).
Come precisato anche dalla Corte, detto fattore (caso fortuito) attiene non ad un
comportamento del responsabile ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso
non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno recante i caratteri
dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità (v. in tal senso Tribunale di Trento, Sen. n. 726/12).
Ne consegue l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo
sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova
del caso fortuito.

Relativamente quindi all’inquadramento della responsabilità della struttura ex art. 2043


c.c. o art. 2051 c.c. ed ai relativi oneri di prova, la Cassazione, in controtendenza rispetto
all’orientamento tradizionale, ha ribadito la “responsabilità della Pubblica
Amministrazione, in relazione a beni demaniali e patrimoniali, non soggetti ad uso
generale e diretto della collettività, i quali consentano, per effetto della loro limitata
estensione territoriale, un'adeguata attività di vigilanza e controllo da parte dell'ente ad
esso preposto” (Cass. n. 6515 del 2 aprile 2004). Risulta quindi chiara la responsabilità della
Struttura Sanitaria, in quanto pubblica amministrazione, che omette di provvedere ad una
manutenzione e sorveglianza delle aree di proprietà che risultano, in quanto tali, aree
circoscritte e non soggette ad un uso diretto dell’intera collettività ma unicamente di quella
che usufruisce dei servizi erogati dall’ospedale.
La responsabilità del custode, intesa come la struttura sanitaria, resta dunque esclusa solo
dalla prova, su questa gravante, che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed
estemporanee create da terzi, le quali nemmeno con l'uso della ordinaria diligenza potevano
essere tempestivamente rimosse, integrando così il caso fortuito previsto dalla predetta
norma quale scriminante della responsabilità del custode (Cass. n. 20427 del 25 luglio
2008). Ne consegue l’onere in capo alla struttura sanitaria di provvedere ad una diligente
gestione e manutenzione programmata dei propri beni (aree comuni, scale...) o l’utilizzo di
accorgimenti tecnici antiscivolo al fine di evitare il prodursi di un danno all’utente o quanto
meno contenerlo (sent. Tribunale di Lecce n. 1102/11).

Nel provvedere alla manutenzione occorre inoltre rilevare come, in considerazione del fatto
che all’interno di una struttura sanitaria vengano ricoverati malati che possono anche avere
particolari difficoltà di deambulazione o che ad ogni buon conto fanno affidamento sulla
sicurezza della struttura, la diligenza, nel provvedere all’adeguata manutenzione anche del
terreno calpestabile, deve essere superiore a quella ordinaria ed addirittura superiore alla
norma.

Il Giudice di Merito (sent. Tribunale di Bari, III Sezione Civile, n. 269/2007) ha rilevato, ad
esempio, che la “mancanza di un adeguato programma di manutenzione della viabilità
interna all’area ospedaliera si possa evincere anche constatando che la struttura ha
provveduto a minimi interventi di manutenzione limitati ad alcune zone ignorandone e non
pianificando l’attività sulle altre.”
Altro Giudice di Merito nel caso di caduta su pavimento reso viscido da una sostanza
oleosa, ha escluso ad esempio, la responsabilità della ditta appaltatrice delle pulizie
chiamata in causa in manleva da parte della azienda sanitaria locale, rilevando che la stessa
esaurisce il suo obbligo contrattuale con l’azienda una volta effettuata la pulizia dei locali e
non ha pertanto obbligo di custodia e vigilanza, obbligo che permane in capo alla struttura
in qualità di custode (sent. Tribunale di Lecce n. 1691/10) sempreché non venga dimostrata
una negligenza nella realizzazione dell’attività di pulizia.

La responsabilità della struttura ex art. 1218 c.c e degli operatori


Occorre premettere che l’accettazione in ospedale del paziente ai fini del ricovero determina
con la struttura, la conclusione di un contratto di natura atipica, incentrato su una
prestazione complessa a favore dell’ammalato che può, sinteticamente, definirsi di
“assistenza sanitaria”. Nell’ambito di tale rapporto atipico assumono rilievo, oltre alle
prestazioni mediche, quelle di carattere “latu senso” alberghiero e le obbligazioni accessorie
di sicurezza e/o protezione. Ne deriva quindi che la responsabilità della struttura nei
confronti del paziente che ha subito lesioni a seguito di caduta all’interno dell’ospedale ha
natura contrattuale e può sussistere a prescindere dalla possibilità o meno di accertare e/o
identificare il comportamento colposo di un singolo soggetto operante all’interno della
struttura stessa.
I Giudici di Merito (v. Tribunale di Milano, sezione I Civile sent. n. 8946/1995 e Tribunale
Civile di Monza del 22 ottobre 2001) nonché la corrente dottrina, ritengono infatti che
“poiché il rapporto che lega il paziente all’istituzione sanitaria, pubblica o privata che sia,
ha natura contrattuale (contratto di spedalità), l’istituzione assume un’obbligazione
principale avente ad oggetto la cura del paziente, o l’accertamento diagnostico, ciò che
costituisce lo scopo primario dell’operazione negoziale. L’istituzione si trova quindi
vincolata da un preciso obbligo "accessorio" di salvaguardia del paziente, contro le
aggressioni provenienti dalla struttura o comunque da cause rientranti nella sfera di
controllo di questa. La fonte di tale obbligo, sia che risieda in un obbligo accessorio "di
protezione", sia che invece debba essere rinvenuta nell’obbligo generale di buona fede,
inteso in senso "integrativo" del contenuto negoziale, ha sicuramente natura e rango
contrattuali, sicché è alla disciplina dell’obbligazione che si deve aver riguardo, per
regolare le conseguenze dell’inadempimento (art. 1218 c.c.).”
Relativamente alla responsabilità dell’operatore occorre verificare se la stessa debba essere
considerata di tipo contrattuale od extracontrattuale con le conseguenti relative differenze in
merito all’onere probatorio ed al regime di prescrizione. Infatti se nell’illecito contrattuale
dovrà essere il debitore a provare di aver correttamente adempiuto e, in caso di
inadempimento, dimostrare, al fine di liberarsi dalla responsabilità, di non aver potuto
adempiere, in tutto o in parte, per causa a lui non imputabile; qualora si tratti d’illecito
extracontrattuale, l’onere della prova spetterà interamente a colui che intende ottenere il
risarcimento del danno. Il Paziente danneggiato dovrà quindi provare l’esistenza di un
danno ingiusto, il nesso di causalità con il comportamento, anche omissivo, di colui che lo
ha causato e l’eventuale dolo o colpa dell’agente.

Giurisprudenza consolidata ritiene che nel caso di lesioni da caduta di un paziente occorre
seguire la strada dell’azione per responsabilità extracontrattuale per ottenere il risarcimento
dei danni patiti.

Sussiste in questo caso però la necessità di individuare l’operatore la cui condotta omissiva
ha causato l’evento caduta. Se quindi di facile soluzione sono i casi di degenti non in
condizioni di deambulare che cadono mentre trasportati su barelle, carrozzine o comunque
mentre aiutati a spostarsi da personale sanitario, meno immediato è individuare il soggetto
responsabile in casi in cui i pazienti si procurino lesioni da cadute in assenza di operatori
ospedalieri nelle loro immediate vicinanze. Escludendo i casi di degenti autosufficienti che
cadano all’interno della struttura ospedaliera per fatto proprio, o per cause non imputabili al
sanitario che li ha in cura (si pensi a chi scivola sul pavimento bagnato) e per cui può
ravvedersi una responsabilità della struttura ex art. 2051 c.c., la tipologia rilevante di casi è
ricompresa nella fattispecie di pazienti che per le loro condizioni di salute, necessitano di
essere contenuti e/o controllati al fine di evitare che si procurino lesioni. In tale caso può
sussistere una responsabilità colposa dell’operatore di tipo omissivo determinata dalla
mancanza vigilanza del paziente.
Sull’analisi di queste tipologie di reato è intervenuta la giurisprudenza di merito che nel
caso ad esempio di una paziente ricoverata in stato confusionale presso il Pronto Soccorso
di un Ospedale ha ritenuto la responsabilità per colpa del personale medico e sanitario in
turno, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, per non averla tenuta sotto diretto
controllo e per non aver collocato attorno al lettino su cui giaceva le sbarre di cui esso pure
era dotato e che le avrebbero impedito di cadere. (v. Tribunale di Monza - Sezione IV, sent.
28 maggio 2008). Infatti nel caso di specie il Giudice ha motivato la sentenza ritenendo che
“la logica e prudenza avrebbero consigliato a chiunque, tanto più a personale medico e
sanitario notoriamente esperto, tanto da essere incaricato del pronto soccorso, di utilizzare
per la paziente confusa quelle sbarre di cui ogni letto ospedaliero è notoriamente dotato, al
fine di evitarle di cadere, come in effetti è avvenuto.”
Una delimitazione della responsabilità a seguito di caduta da barella con conseguente morte
di paziente giunto in pronto soccorso in stato di ebbrezza e agitazione psicomotoria, la
troviamo invece in altra sentenza di merito (v. Tribunale Penale di Nola, sent. del 7 maggio
2007, depositata il 7 luglio 2007 - G. Bottillo) . A differenza del caso sopra citato, le barelle
di pronto soccorso non erano dotate di sbarre. Occorre quindi precisare in via preliminare
che l’obbligo di dotare il pronto soccorso di barelle con dispositivi di sicurezza è demandato
a chi nella struttura riveste per legge la posizione di "garante" della sicurezza
(amministratore delegato, direttore sanitario, dirigenza sanitaria etc.) ed è tenuto non solo a
predisporre ed attuare tutti i sistemi ed i mezzi idonei ad evitare il verificarsi di eventi
dannosi ma altresì a dare direttive e vigilare sulla puntuale osservanza delle norme
prudenziali di sicurezza. Relativamente agli operatori ( medici e sanitari) è da precisare che
tutti sono portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti rispetto ai quali
hanno l'obbligo di tutelarne la salute in forza dei principi di solidarietà costituzionali ex
artt.2 e 32 Cost. senza che sia possibile ricorrere al principio dell'affidamento o della delega
a terzi. All’interno dell’organizzazione quindi ogni operatore ha specifiche funzioni: il
Direttore o il suo facente funzioni ovvero il personale medico di turno assume le scelte
operative terapeutiche e diagnostiche del caso concreto, competendo a tali soggetti le
funzioni di indirizzo, direzione e verifica dell'attività diagnostica e terapeutica. Viceversa, il
personale sanitario non è istituzionalmente preposto ad adottare scelte terapeutiche ovvero a
formulare diagnosi o infine ad assumere decisioni che implicano valutazioni di tipo medico.
Ne discende che la necessità di adottare sistemi di cautela specifici e mirati atti a prevenire
la caduta dalla barella del paziente, andava in primo luogo valutata e diagnosticata dal
medico che avrebbe dovuto impartire direttive agli infermieri. Viceversa, pur rivestendo la
posizione di "garanzia" a tutela della salute, gli infermieri erano tenuti ad eseguire le
direttive del medico ed a vigilare sul paziente in osservazione, profilandosi una eventuale
loro responsabilità per la mancata vigilanza e per la mancata segnalazione al sanitario di
turno della presenza di uno stato sospetto e perdurante di agitazione psicomotoria per cui si
rendeva necessaria l'adozione di cautele specifiche al fine di evitare la caduta dalla barella.
Verificate pur tuttavia dagli infermieri le condizioni stabili del paziente che, a seguito della
somministrazione della terapia farmacologica non destavano particolare allarme, ed in
considerazione del fatto che gli stessi erano impegnati contestualmente in altre prestazioni
ed incombenze sanitarie presso il Pronto Soccorso, deve escludersi la loro responsabilità
colposa non potendosi muovere il rimprovero di non aver collocato il paziente sulla barella
munita di barre laterali o, comunque, di non aver adottato specifiche cautele atte ad evitare
la caduta.

Analizzate brevemente le tipologie di responsabilità per la struttura e gli operatori,


considerato che dalla rilevazione dei dati di letteratura il tasso di ospedalizzazione o il suo
prolungamento a seguito di caduta si aggira intorno al 5-9% e che, ad esempio in Regione
Lombardia la caduta si attesta come terza causa di risarcimento danni (v. Regione
Lombardia Decreto n. 7295 del 22 luglio 2012 linee di indirizzo e requisiti minimi regionali
per l’implementazione di un sistema per la prevenzione e la gestione del rischio caduta del
paziente degente in ospedale o in RSA-RSD ) occorre predisporre interventi mirati alla
riduzione dei fattori di rischio personali, con un’attenta valutazione e monitoraggio di
ciascun paziente, ed ambientali.
La compressione del rischio da caduta del paziente in struttura sanitaria è un indicatore della
qualità assistenziale e non può essere conseguita senza una specifica formazione del
personale sanitario al fine di migliorare la competenza nella prevenzione e gestione delle
cadute, ma anche la consapevolezza del rischio e della problematicità. Tale consapevolezza
ed informazione deve inoltre essere trasmessa anche al paziente stesso e ai suoi familiari
affinché la prevenzione del rischio caduta possa essere affrontato a livello
multidimensionale.

La struttura e gli operatori dovranno quindi adottare le misure di valutazione sia degli
ambienti, con predisposizione di interventi di messa in sicurezza delle aree rilevate a rischio
di caduta ( es. apponendo paletti antintrusori sulle scale, manutenendo pavimenti sconnessi
ecc..), che intrinseci del paziente, identificando mediante scale di valutazione (es. Scala
Conley, Scala Morse, Scala Straatify...) i soggetti a potenziale rischio caduta ed attuando
conseguentemente una pianificazione di interventi clinico-assistenziali atti a ridurne il
rischio.

Solo con una pianificazione di attività, e quindi un’attività documentata, la struttura e gli
operatori potranno fornire la prova che l’evento caduta, eventualmente successo, sia
ascrivibile a quella categoria di eventi imprevedibili e non altrimenti contenibili.

Potrebbero piacerti anche