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HANDICAP E LA NORMATIVA
DI RIFERIMENTO”
Indice
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Sono numerose le definizioni del termine che nel corso del tempo sono state date. Una particolare
definizione è data anche dalla CEE che, nel 1974, tende a sottolineare soprattutto gli aspetti
caratterizzanti la menomazione e il successivo riadattamento, sostenendo che:
“La menomazione è la limitazione delle capacità fisiche o mentali, congenita acquisita, che si
ripercuote sulle attività correnti o sul lavoro di una persona, riducendo il suo contributo alla vita
sociale,la sua attività professionale e la sua capacità di utilizzare i servizi pubblici2”.
Interessante è anche la definizione del termine fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
essa definisce la menomazione:
Anche nel caso del termine handicap non esiste una definizione univoca. Secondo l’
ONU:
1
Vocabolario della lingua italiana., Istituto dell’ Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1989, p.152.
2
Trisciuzzi L., Manuale di didattica per l’handicap, Laterza, Bari 1993, p.34.
3
OMS, ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson, Trento 2008.
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“il termine handicappato designa ogni persona incapace di garantirsi per proprio conto, in tutto o
in parte, le necessità di una vita individuale e/ o sociale normale, a causa di una menomazione,
delle sue capacità fisiche o mentali”4.
Una interessante definizione è data anche dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui il
termine Handicap:
“esprime una valutazione attribuita ad una condizione individuale che si discosta dalla norma…
l’handicap è caratterizzato da una discordanza tra le attività o la condizione del singolo individuo
e le aspettative del gruppo specifico al quale appartiene”5.
Nel “Documento Falcucci” del 1975 troviamo una definizione del termine handicap, infatti, in tale
testo, vengono definiti handicappati coloro che, in seguito a specifici eventi, morbosi o traumatici,
avvenuti in epoca pre-peri-postnatale, presentino una menomazione delle proprie condizioni fisiche,
psichiche e/o sensoriali, che li mettono in condizione di difficoltà di relazione o apprendimento.
Basandosi su tale definizione anche la legge-quadro del 5 febbraio 1992, all’articolo n.3 afferma
che:
Anche A. Canevaro ci dà una definizione delle caratteristiche possedute dal soggetto con handicap:
“…è considerato handicappato quel soggetto che incontra notevoli difficoltà nel fornire una
risposta adeguata alle più ovvie richieste sociali, prevalentemente a causa di danni organici7”.
4
Trisciuzzi L., op.cit.,p.3.
5
Ibidem p.34.
6
Ibidem, p.34.
7
Canevaro A., Balzaretti C.,Rigon G., Pedagogia speciale dell’integrazione, La Nuova Italia, Firenze 1996, p.42.
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tutto l’arco della sua esistenza, e che lo considera soggetto attivo, interprete principale del proprio
processo di sviluppo e costruttore di una propria identità.
La disabilità, invece:
“… può essere descritta come lo scostamento dalla norma per quanto concerne le prestazioni di
una persona, dunque come la deviazione per eccesso o per difetto di
comportamenti o di attività normalmente attesi …”
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La descrizione viene predisposta di seguito in due elenchi principali rispetto al punto di vista
corporeo, individuale e sociale:
1. Funzioni e Strutture Corporee
2. Attività e Partecipazione
Questa classificazione a carattere innovativo si completa anche di fattori ambientali che
interagendo, determinano una situazione di stabilità. Infatti la sua complessa relazione tra la
condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali si traduce come la
conseguenza o il risultato di circostanze in cui vive l’individuo-
Il documento si caratterizza per la sua specificità nel settore delle disabilità in quanto:
Provvede ad offrire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle
condizioni, conseguenze e cause determinanti ad essa correlate;
Prescrive un linguaggio comune globale, tendente al miglioramento della comunicazione fra
i differenti utilizzatori, tra cui gli operatori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici e la
popolazione, incluse le persone con disabilità;
Offre una possibile comparazione tra dati raccolti in Paesi, materie scientifiche sanitarie,
servizi e periodi diversi;
Fornisce uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
Il documento dell’OMS revisionato all’inizio dell’anno 1993, relativo alla classificazione
Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Svantaggi Esistenziali (International Classification
of Impairments, Disabilities and Handicaps-ICDH) del 1980 è il risultato di un lungo lavoro di studi
e ricerche.
Nell’ambito di questi lavori l’Italia tra i 65 paesi coinvolti ha partecipato attivamente alla
validazione dell’ICF. Il lavoro di revisione della precedente classificazione ICIDH a partire dal
1998 è stato sviluppato in Italia da una rete, inizialmente informale, di istituzioni, servizi, esperti e
associazioni di persone con disabilità, coordinata dall’Agenzia Regionale della Sanità della Regione
Friuili Venezia Giulia.
La presentazione ufficiale della versione italiana dell’ICF tenutasi il 17 aprile 2002 a Trieste
durante la WHO-Conference on Health and Disability” è stata organizzata dalla stessa Agenzia.
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Altre menomazioni psicologiche;
Menomazioni del linguaggio;
Menomazioni dell’udito;
Menomazioni visive;
Menomazioni viscerali;
Menomazioni scheletriche;
Menomazioni deturpanti;
Menomazioni generalizzate, sensoriali o di altro tipo.
Handicap nell’orientamento;
Handicap nell’indipendenza fisica;
Handicap nella mobilità;
Handicaps occupazionali;
Handicap nell’integrazione sociale;
Handicap nell’autosufficienza economica.
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Handicap visivi. Essi derivano da deficit sensoriali che provocano disturbi come la miopia,
l’ipermetropia, l’astigmatismo, lo strabismo;
Handicap uditivi. Anch’essi derivano da deficit di tipo sensoriali e provocano ad esempio
l’ipoacusia e la semisordità leggera o grave.
Handicap dell’intelligenza. Dipendono da insufficienze mentali, in esse possono essere
inseriti handicap come la trisomia e la psicosi.
Handicap fisici muscolari e motori. Essi possono avere una duplice origine, possono
infatti, essere di origine neuro-motoria o psico-motoria. Sono di origine neuro-motoria
quando la paralisi di uno o più arti (monoplegia, tetraplegia ecc.), sono invece, di origine
psico-motoria quando la difficoltà consiste nella gestione della propria presenza nel contesto
eco-relazionale.
Handicap del comportamento sociale e relazionale. In essi abbiamo l’instabilità,
l’inibizione e forme specifiche di caratteropatia.
Handicap del linguaggio o della parola. In essi abbiamo la disfonia, la dislalia, l’afasia,.
La disfonia è dovuta nel maggior numero dei casi a difetti uditivi, mentre l’afasia è
determinata da cause celebrali.
Handicap della scrittura e della lettura. I più frequenti sono la disgrafia e la dislessia.
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Il documento Falcucci fu seguito dalla C.M. n.227 dell’8 agosto 1975, che può essere
considerato il primo documento normativo che regolamenta l’inserimento degli handicappati nelle
scuole. Essa sottolinea che il processo di integrazione “…richiede certamente un nuovo modo di
essere della scuola”9, contrariamente a ciò che aveva caratterizzato la scuola fino a quale periodo,
ovvero che la scuola dell’obbligo sembrava preoccuparsi di preparare gli individui alla
competitività sociale piuttosto che allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno.
Sicuramente la legge più importante di innovazione didattica e di integrazione è stata la n. 517 del 4
agosto 1977, in particolare negli artt. 2e 7. Nell’art. 2 si legge: “… la programmazione educativa
può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa
classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione
alle esigenze dei singoli alunni. Nell’ambito di tali attività la scuola attua forme di integrazione a
favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione di insegnanti specializzati…devono
8
Trisciuzzi L., op.cit.,p.3.
9
Ibid., p. 238
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inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico
e forme particolari di sostegno”.10
“ al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità
degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione
anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi
diverse, e di iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in
relazione alle esigenze dei singoli alunni. Le classi che accolgono alunni portatori di handicap
sono costituite con un massimo di venti alunni. In tali casi devono essere assicurati la necessaria
integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno…”11.
La legge 4 agosto 1977 n. 517 detta, pertanto, le norme generali per l’integrazione degli
handicappati e cioè attività di sostegno, attività integrative per gruppi di alunni, servizio socio-
psico-pedagogico, programmazione, nuovi criteri di valutazione dell’alunno, aggiornamento degli
insegnanti.
L’immagine che se ne ricava è quella di una scuola orientata verso l’individualizzazione
dell’insegnamento, a favore soprattutto dei soggetti portatori di handicap, infatti se la
scolarizzazione obbligatoria è un diritto del cittadino, la scuola su misura di ciascuno è un dovere
della società, ossia della comunità sociale in cui la scuola opera 12.
Nel decennio 1980-1990 vengono approvati vari decreti che regolamentano il servizio socio-psico-
pedagogico nella scuola materna e in quella dell’obbligo, affrontando il problema degli alunni
portatori di handicap.
Importante è stata la Legge Quadro n. 104 emanata il 5 febbraio 1992 per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Essa, all’art.13, sancisce:
“l’integrazione scolastica della persona handicappata nelle sezioni e nelle classi comuni delle
scuole di ogni ordine e grado e nelle università”13.
Ribadisce inoltre la contitolarità dell’insegnante di sostegno e stabilisce che egli debba partecipare:
10
Trisciuzzi L., op.cit.,p.3.
11
Ibid., p. 240.
12
Scaglioso C., Marginalità e impegno educativo, Edisud, Salerno 1989, p. 103.
13
Trisciuzzi L., op.cit.,p.3.
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“alla programmazione educativa e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei
consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti”14.
14
Ibid., p. 244.
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15
Sibilio. M., Le abilità diverse. Percorsi didattici di attività motorie per soggetti diversamente abili, Simone Editorem,
Napoli 2003, p. 32.
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I professori specializzati e posti ad aggiornamento delle loro competenze iniziarono a configurarsi
come parte integrante nella creazione dei programmi scolastici.
Nella C.M. n.216 del 26-6-92 i gruppi di Lavoro sono formati da: compito di queste task force è
anche quello di individuare percorsi personali per ogni alunno, dando una specificità al percorso
educativo del singolo, riabbracciando così il discorso proprio della Montessori.
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Zavalloni R., L’educazione degli handicappati in Scaglioso C., Marginalità e impegno educativo, Edisud, Salerno
1989, pp.74-75.
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Nell’art.3 del DPR del 24 febbraio del 1994, la diagnosi funzionale è descritta come:
“la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell’alunno in
situazione di handicap”.
La stesura della diagnosi funzionale spetta all’unità multidisciplinare dell ‘ASL. Essa si compone di
due specifici momenti: anamnesi fisiologica e patologica del soggetto, e la diagnosi clinico-
funzionale che serve ad evidenziare la compromissione dello stato psicofisico e le potenzialità di
sviluppo. Essa essendo finalizzata al recupero del soggetto con handicap, deve tener conto delle
potenzialità registrabili in ordine ai seguenti aspetti:
Cognitivo ;
Affettivo-relazionale;
Linguistico;
Sensoriale;
Motorio-prassico;
Neuro-psicologico;
Autonomia personale e sociale.
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Le numerose informazioni che sono state raccolte da svariate fonti, sono in questa fase
sintetizzate in aree significative.
Fase 2: definire gli obiettivi a lungo termine.
Qui si definiscono gli obiettivi che idealmente si vorrebbero raggiungere in una prospettiva
temporale che si potrebbe collocare dall’uno ai tre anni.
Fase 3: Scegliere gli obiettivi a medio termine.
In questa fase si scelgono quegli obiettivi da raggiungere nell’arco di alcuni mesi o di un
anno scolastico.
Fase 4: Definire gli obiettivi a breve termine e le sequenze di sotto-obiettivi
In molti casi, vi è la necessità di semplificare gli obiettivi a medio termine, ridurne la
complessità, scomponendoli in sotto-obiettivi che facilitano l’apprendimento.
Dal profilo dinamico funzionale si passa al Piano Educativo Personalizzato (PEP), esso è
elaborato dal GLH, ovvero dal Gruppo di Lavoro per l’Handicappato, di cui fanno parte gli
insegnanti di sostegno, gli operatori sanitari e i familiari.
Nel PEP vengono definiti gli interventi didattico-educativi e riabilitativi.
L’articolo 5 del DPR descrive il PEP come:
“il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati fra loro, predisposti
per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della
realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione”17.
17
Spazio Handicap. Rivista bimestrale di pedagogia, psicologia, medicina preventiva, didattica e legislazione scolastica
a cura di Vitale C., anno I. n.2 marzo/aprile 1994, Editrice Reading Press, Salerno.
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Bibliografia
Canevaro A., Balzaretti C., Rigon G., Pedagogia speciale dell’integrazione, La Nuova Italia,
Firenze 1996.
Sibilio M., Le abilità diverse. Percorsi didattici di attività motorie per soggetti diversamente
e legislazione scolastica a cura di Vitale C., anno I. n.2 marzo/aprile 1994, Editrice Reading
Press, Salerno.
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