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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in

D.A.M.S. - MUSICA

Cortocircuiti e nuove prospettive nel linguaggio rap americano

TESI DI LAUREA IN

STORIA DELLA MUSICA LEGGERA

Relatore: Prof. Paolo Somigli Presentata da: Marcello Torre

III appello

ANNO ACCADEMICO

2017-2018
Introduzione ........................................................................................................................................... 3
Capitolo 1 ............................................................................................................................................... 4
Gli inizi................................................................................................................................................ 4
Gli anni Ottanta ................................................................................................................................... 5
Gli anni Novanta e i primi Duemila .................................................................................................... 7
Capitolo 2 ............................................................................................................................................... 8
La tesi problematica di Kajikawa ........................................................................................................ 8
Gli N.W.A. e il gangsta rap .............................................................................................................. 10
Capitolo 3 ............................................................................................................................................. 14
Kanye West e il problema dell’ego ................................................................................................... 14
Eminem e il dissing ........................................................................................................................... 18
Capitolo 4 ............................................................................................................................................. 22
Tupac e le donne ............................................................................................................................... 22
Prospettive future: i Brockhampton .................................................................................................. 24
Conclusione .......................................................................................................................................... 27
Fonti bibliografiche ............................................................................................................................. 29
Sitografia .............................................................................................................................................. 29

2
Introduzione

Nel suo articolo Hip Hop History in the Age of Colorblindness1 Loren Kajikawa,
professore associato di Etnomusicologia alla University of Oregon, affronta una
problematica pedagogica di estrema rilevanza per la comprensione di ciò che oggi
rappresentano la musica rap e l’hip hop in generale. Partendo da un’analisi dei primi studi
condotti sui rapporti fra rap e società americana, Kajikawa intende rivedere con un
approccio più consapevole rispetto al passato le dinamiche con cui oggi tendiamo ad
accettare incondizionatamente un prodotto culturale dal peso notevole, rischiando in tal
modo di lasciare in ombra controversie e problemi tanto gravi quanto urgenti. La
consapevolezza del ruolo che l’hip hop riveste ora nella cultura di massa è il punto di
partenza di Kajikawa per passare sotto la lente d’ingrandimento un fenomeno musicale di
immensa portata economica, trasformatosi in miniera d’oro in seno all’industria
discografica, e che, tuttavia, ha molto spesso fallito nel tentativo di stravolgere quella
stessa realtà complessa, fatta di violenza e oppressione, che esso descrive e che racchiude
in buona parte l’essenza dell’America. Nell’articolo è evidenziato come vendibilità e
facilità di trasmissione non abbiano prodotto, nel caso dell’hip hop, gli effetti sperati nella
lotta alla discriminazione razziale e sociale: pertanto, prima ancora che come arte, il rap
viene percepito dai più come forma di intrattenimento prevalentemente nera creata per un
pubblico prevalentemente bianco. Con la proposta contenuta nel suo articolo, Kajikawa
intende porsi diversi obiettivi: primo fra tutti quello di facilitare l’accettazione di un
linguaggio artistico che, a più di quarant’anni dalla sua nascita, fatica a lasciarsi alle spalle
i propri vizi; secondo l’autore dell’articolo è necessario avvalersi di una pedagogia
musicale critica che combatta distorsioni dannose, come ad esempio quella che vede l’hip
hop come forma di comunicazione unicamente controculturale. Ciò, oltre a far crescere un
sano orgoglio tra gli artisti di colore, dovrebbe aiutare a denaturalizzare progressivamente
l’aura più malsana e stereotipata che circonda il rap. Gli insegnamenti dovranno perciò
riportare l’attenzione sul rap come forma d’arte in quanto musica, approfondendone
elementi costitutivi imprescindibili: metrica, flow2 e sampling3, per citarne qualcuno. La
tesi di Kajikawa, per quanto coraggiosa e condivisibile in molti dei suoi intenti, presenta

1
Loren Kajikawa, Hip Hop History in the Age of Colorblindness, in «Journal of Music History Pedagogy», V,
2014, pp. 117-123
2
“Nel rapping, sequenza di rime rap”, https://it.wikipedia.org/wiki/Flow
3
“Campionamento – in musica la tecnica di composizione di suoni o brani musicali mediante l’uso di un
campionatore”, https://it.wikipedia.org/wiki/Campionamento

3
alcune mancanze che meritano di essere approfondite: l’autore evita infatti di soffermarsi
con la dovuta criticità su contraddizioni importanti che riguardano più da vicino i testi rap,
in particolare l’uso che si tende a fare delle parole, che spesso contrasta notevolmente con
la buona luce sotto la quale tendiamo a vedere l’hip hop. Un cambiamento di prospettiva
come quello auspicato da Kajikawa dovrà tener conto maggiormente di zavorre e
complicazioni che questa musica si porta appresso da tempo: un’analisi critica delle
incongruenze, presunte o vere, del linguaggio hip hop sarà pertanto utile a chiarire cosa è
cambiato nella storia di questo genere e cosa invece è rimasto ad oggi immutato, faticando
ad evolvere. Per fare ciò è necessario partire da una precisazione. Come ben descritto da
Andrea Di Quarto nell’introduzione al suo volume La storia del rap, la cultura hip hop (o
hip-hop, o anche Hip Hop) si basa su quattro elementi fondamentali, le cosiddette Quattro
Discipline: “[…] l’mc’ing (il rap, appunto), il djing (il mixare dischi estendendone i confini
e le tecniche), il b-boying (la breakdance) e il writing (gli interventi pittorici sul tessuto
urbano)”4. Per facilitare il discorso converrà, parlando di rap, utilizzare il termine come
sinonimo di hip hop e viceversa, un’intercambiabilità che d’altronde il gergo colloquiale ha
già provveduto ad assorbire. Prendere in esame il linguaggio rap significa anche,
banalmente, parlare di storia del rap: a questo proposito sarà d’enorme aiuto ricordarne le
origini, com’è nato e dove, e da qui tracciarne un percorso stilistico riassuntivo che tenga
conto di alcune tappe essenziali e delle innovazioni linguistiche introdotte gradualmente.

Capitolo 1

Gli inizi
L’11 agosto 1973 è indicato da buona parte degli studiosi come data di nascita simbolica
dell’hip hop. La culla è il 1520 di Sedgwick Avenue, Bronx (uno dei maggiori borghi di
New York, abitato da una maggioranza etnica ispanica e afroamericana): fu lì che Kool DJ
Herc, nome d’arte di Clive Campbell e noto da quel momento in poi come “the father of
Hip Hop”, si esibì in qualità di dj ad una festa di quartiere, ponendo le basi per l’esplosione
di popolarità di queste ultime in altre zone. Ѐ in questa prima fase che, parallelamente
all’interesse per il ballo, con questo “proto-rap”5 si iniziò a sviluppare il desiderio di
produrre rime sempre più elaborate: inizialmente si parla soprattutto di MC (da Master of
Ceremonies, letteralmente “maestro di cerimonie”) che rappavano sia per eccitare le folle,

4
Andrea Di Quarto, La storia del rap. L’hip hop americano dalle origini alle faide del gangsta rap 1973-1997,
Milano, Tsunami Edizioni, 2017, pp. 13-14
5
Ibidem, p. 29

4
utilizzando domande e risposte come formule ripetitive per intrattenere il pubblico, che per
annunciare se stessi (assieme al dj che li accompagnava) e quanto avrebbero detto o fatto
durante l’esibizione; non mancavano inoltre in molte serate le sfide con altri “colleghi” al
microfono. In sintesi, la loro era una sorta di captatio benevolentiae molto chiara e
limpida, che non lasciava spazio a equivoci o controversie di alcun tipo. Ne sono un
esempio le parole di Anthony Holloway, esponente della scena noto all’epoca come DJ
Hollywood, che con il “[…] suo grido «If you’re feeling good with Hollywood somebody
say, Oh yeah!», al quale la folla replicava in coro: «Oh yeah!» […]”6 ne alimentava
l’energia durante le serate.

Gli anni Ottanta


Negli anni Ottanta, grazie all’appoggio di alcuni astri nascenti dell’industria musicale, il
rap ottenne una legittimazione culturale tale da espandersi oltre il Bronx, emergendo così
da quella dimensione underground fatta di feste di quartiere in cui aveva mosso i primi
passi. Ѐ questa la decade che vide nascere una delle più significative etichette
discografiche nella storia dell’hip hop: la Def Jam Recordings, fondata nel 1983 da Rick
Rubin e Russell Simmons. In essa fiorirono gruppi come i Run DMC, trio rap che avrebbe
portato l’hip hop verso sonorità nuove, lontano dalle influenze della disco music o del funk
così in voga negli anni Settanta. Distaccandosi progressivamente dalla frivolezza di
ambienti musicali frequentati dai bianchi e dalle classi abbienti (i club, le discoteche), il
rap iniziò a imporsi come fenomeno urbano, popolare, fatto da e per la gente comune.
Tutto ciò si rifletté nell’adozione di un linguaggio più vicino alla vita di strada da parte dei
rapper, malizioso e ricco di riferimenti sessuali, che assorbiva quanto voleva dalla realtà
sociale e dalla cultura pop di quel periodo (cinema, abbigliamento e televisione sono forse
i principali circuiti che l’hip hop avrebbe a sua volta contagiato con la propria influenza).
Non ultima la musica rock, riconosciuta come una fonte inestimabile di materiale sonoro
per i campionamenti assieme al funk e al soul di artisti come James Brown o Gil Scott-
Heron.

La fine del decennio cambiò le carte in tavola arricchendo ulteriormente il panorama


musicale. Come ricorda lo scrittore Nicolò De Rienzo: “Esistevano ormai un pop rap, un
hardcore rap, un reggae rap, un soul rap, un black rap, un white rap, un regional rap, un
multi-national-rap, un latin Hip Hop e varie mutazioni della disco music”7. Povertà, droga

6
Ibidem, p. 32
7
Nicolò De Rienzo, Hip hop. Parole di una cultura di strada, Milano, Dalai Editore, 2004, p. 50

5
(in quegli anni si spacciava soprattutto crack) e politica incominciarono a entrare nei versi
dei rapper come tematiche fisse: per i giovani afroamericani questa realtà cruda, violenta,
nella quale pochi potevano sperare di diventare adulti senza finire uccisi o in galera, non
poteva che tradursi in testi altrettanto aggressivi. Fu all’interno di un clima di
sopraffazione, dov’era costantemente viva la minaccia delle brutalità della polizia o delle
guerre tra gang rivali, che nacque quel filone del rap che ne avrebbe sancito “il declino dal
punto di vista della sua utilità sociale”8, ma che paradossalmente avrebbe portato al “potere
della parola rap […] la sua consacrazione”9: il gangsta rap. Massimi esponenti di
quest’onda anomala furono gli N.W.A. (acronimo di Niggaz Wit Attitudes), nativi di
Compton, California: tramite i messaggi rabbiosi lanciati coi loro brani riuscirono a
riportare fedelmente all’attenzione dei media l’immagine di un degrado che costringeva le
minoranze a una vita da ghetto, l’equivalente urbano di uno scenario di guerra. Se è
corretto dire che il gruppo riuscì a far avvicinare all’hip hop un pubblico di giovani
bianchi, attratti da un gergo “cattivo” e da un modo di apparire tanto facile da replicare e
rendere fresh (stiloso, di moda) quanto difficile da percepire come “vero”, concreto, al di
fuori della realtà di provenienza, è anche innegabile che la loro musica e quella di altri che
ne seguirono la scia si scontrò fin da subito con il puritanesimo latente della società
statunitense. Scandalizzate dalle volgarità e preoccupate all’idea che il fenomeno potesse
contagiare la gioventù della classe media, mutando così uno status quo da sempre sotto
controllo, le autorità federali si adoperarono con accanimento per ostacolare e censurare in
ogni modo possibile il successo dei gangsta. Ciononostante, i loro sforzi non furono
ripagati. Le folle erano in visibilio per i loro idoli, nonché pronte a urlare con loro Fuck tha
Police, l’esplicito brano uscito nel 1988 e divenuto in breve tempo un autentico inno. Gli
N.W.A. aumentavano la propria fama ad ogni lettera di diffida dell’FBI ricevuta,
cavalcando con agilità la pubblicità gratuita offerta dai media. Parallelamente, sulla costa
orientale degli USA, un altro gruppo tentava di rendere il rap più militante e di mandare un
messaggio politico che risvegliasse le coscienze dei giovani neri contro le iniquità. I Public
Enemy, pur con uno stile differente dai colleghi gangsta, facevano propaganda politica
usando il rap come arma per sollevare e agitare: “Incoraggiarono una nuova ondata di
sostegno al nazionalismo nero e all’afrocentrismo tra la gioventù afroamericana.
Suscitarono un vespaio col loro modo di esporsi metaforicamente con allusioni
antisemitiche (più che altro frutto di interpretazioni forzate della stampa) e con un look alla

8
Ibidem, p. 49
9
Ibidem, p. 53

6
«Black Panther» […] Chuck D, leader degli Enemy, definì il proprio gruppo come la CNN
dei neri d’America. […] Si potrebbe definire il rap degli Enemy colto e maggiormente
«consapevole»”10 [rispetto a quello dei rapper di Compton, NdA]. Ciò che traspare dal
titolo del loro album più importante è chiaramente un avvertimento da non sottovalutare,
nonché un’affermazione di potere in piena regola: It Takes a Nation of Millions to Hold Us
Back (anch’esso uscito nel 1988).

Gli anni Novanta e i primi Duemila


Negli anni Novanta l’hip hop si aprì al mainstream: oltre al sorgere di nuovi gruppi che
portarono tendenze diverse, in alcuni casi persino opposte alla cattiveria del gangsta rap (si
veda a proposito il rap dall’approccio più rilassato di collettivi come De La Soul o A Tribe
Called Quest), la rivoluzione portata da MTV, nata nel 1981, contribuì alla trasformazione
di molti rapper in vere e proprie icone pop. Ne è un esempio il successo ottenuto da
simulacri del rap commerciale come MC Hammer e Vanilla Ice, creatori di hit tanto
perfette per il mercato dei video musicali quanto lontane, per concetti espressi, dal rap
politicamente impegnato: “Il rap si era scisso in un’ala autentica, sempre più striminzita, e
in una commerciale, in ascesa verticale”11. Durante il decennio il livello di violenza nel
settore arrivò alla propria saturazione con la morte dei due rapper più rappresentativi di
quegli anni, Tupac Shakur (2Pac) e The Notorious B.I.G.. La loro scomparsa nel giro di
due anni (rispettivamente 1996 e 1997) coincise con lo scemare di quella faida alimentata
ad hoc dai media tra rap della West Coast, di cui Tupac era l’artista di punta, e della East
Coast, guidata da B.I.G..

Arrivati alla transizione nel nuovo millennio, è obbligatorio specificare che le


trasformazioni attraversate dall’hip hop nel ventennio attuale non possono essere comprese
a fondo senza tenere conto dell’innovazione tecnologica che forse più di ogni altra ha
cambiato il volto della musica per sempre: l’arrivo di internet nelle case di tutti. La rete ha
portato ogni settore ad una fase successiva: dalla distribuzione al marketing, passando per
l’ascolto e arrivando, naturalmente, alla produzione vera e propria, tutti si sono evoluti e
adattati per rimanere al passo. Non da meno, senza l’aiuto del web l’hip hop non avrebbe
beneficiato dell’impennata di popolarità e dell’attenzione globale di cui gode adesso: in
particolare, come ha illustrato Stephen Witt nel suo saggio-inchiesta Free12, incentrato

10
N. De Rienzo, op. cit., pp. 50-51
11
Ibidem, p. 56
12
Stephen Witt, Free. La fine dell’industria discografica. L’inizio del nuovo mondo musicale, Torino, Einaudi,
2016

7
sulla nascita della pirateria musicale online, le più grandi stelle del rap dei Duemila non
sarebbero probabilmente diventate tali se un numero smisurato di fan non avesse scaricato
illegalmente la loro musica sul proprio personal computer. Eminem, Kanye West, Lil
Wayne e 50 Cent sono solo alcuni degli artisti più grossi finiti, con la propria musica, nella
lista dei download di milioni di persone. Nonostante il colpo durissimo inflitto all’industria
discografica dalla pirateria, nel lungo periodo l’hip hop è riuscito a rilanciarsi grazie a
piattaforme legali per la vendita di musica digitale quali iTunes; in seguito, la rivoluzione
dello streaming ne ha sancito la diffusione globale sugli smartphone delle persone. È
perciò internet, innegabilmente, ad averne aumentato a dismisura la portata: oggi non
sembra esistere giornale o sito d’informazione che non si occupi, o prenda in esame anche
minimamente, quello che un qualsiasi rapper (ormai sinonimo di popstar) dice o fa, che si
parli della sua musica o della sua vita personale. Oggi l’hip hop è, in estrema sintesi, il
pasto preferito dei media.

Capitolo 2

La tesi problematica di Kajikawa


A questo punto è giusto sollevare un interrogativo: se di fatto l’hip hop ha raggiunto da
tempo l’attenzione delle grandi folle, abbattendo in molteplici casi barriere rilevanti,
possiamo ancora permetterci di sottovalutarne le vere problematiche? Tenendo presente
solo quanto di buono ha già realizzato non rischiamo di dimenticare ciò che ancora gli
manca o che può fare in più? Se torniamo alla tesi sostenuta da Kajikawa ci accorgiamo
che afferma la necessità di porre nuovamente al centro di un interesse pedagogico la
musicalità dell’hip hop, ma che non riflette quanto basta sull’importanza che risiede nel
mettere da parte certe idee ingannevoli e comportamenti nocivi: un buon esempio è dato
dal fatto che il rap autogiustifichi spesso il proprio linguaggio nel segno della narrazione di
una realtà ignorata, dando spesso a intendere (a volte involontariamente) che il fattore
autobiografico di una musica giustifichi a priori l’utilizzazione delle parole. Questa realtà
collide in molti casi con lo scoglio della contraddittorietà, senza dimenticare che, come
linguaggio, anche l’hip hop non è esente da mendacità: non è un caso che uno dei mantra
che ricorrono nel suo slang sia l’espressione “keep it real”, a riprova dell’importanza che
riveste l’essere sinceri mantenendo un’onestà intellettuale. Il rap è un mezzo di
informazione e trasmissione culturale estremamente potente: gli è pertanto dovuto lo
sforzo di comprendere quando il suo linguaggio opera in maniera giustificata, e quindi

8
coerentemente ad un contesto e alla trasmissione di un messaggio, sia esso semplice o
complesso, e quando invece si fa latore di bassezze ingiustificabili (ad esempio omofobia e
misoginia). Questo non va inteso come un ripudio della volgarità in senso lato: nel rap è
infatti in molti casi il modo più efficace per amplificare un’esternazione dal raggio
altrimenti limitato. Si tratta bensì di capire quando l’espressione di certi sentimenti può
essere un beneficio per molti e quando, al contrario, si rivolge al lato più abietto delle
persone, sfruttando la propria popolarità per definire cool ciò che invece è una
manifestazione di ignoranza fine a se stessa, meglio adatta a escludere che a includere.

Pur ribadendo ciò, è sempre positivo riscontrare nell’hip hop un costante ricambio di
protagonisti, forme e contenuti, alla ricerca di nuove dimensioni nel panorama musicale.
Le vette delle classifiche musicali dimostrano quanto la tesi di Kajikawa sia in parte ancora
veritiera e in parte datata, sicuramente bisognosa di uno sguardo più ampio e attento che
tenga conto di fattori importanti e che, soprattutto, si liberi una buona volta del
giustificazionismo “di troppo”. Kajikawa ammette di non essere interessato a dettare ai
propri studenti cosa è real nel rap e cosa non lo è: piuttosto, sembra preferire un approccio
incentrato sulla fascinazione di questa musica per quanto riguarda l’immagine del
“fuorilegge”, che quasi sempre nasconde un altrettanto affascinante sottotesto
sociopolitico. Allo stato attuale delle cose questo approccio potrebbe non bastare, poiché
preoccuparsi dell’autenticità di un linguaggio non è mai stato così attuale e necessario; è
quindi giusto non tirarsi indietro, e chiedersi se mai vi siano oggi ragioni che possano
giustificare delle parole apertamente omofobe o sessiste in un testo o un’opera musicale.
Quel “ricambio” citato precedentemente diventa significativo se consideriamo che può
comprendere una vastità di artisti, rapper e non, che hanno compreso la risposta a tale
interrogativo. Vedremo infatti, nel corso di questa analisi critica, come il semplice fatto di
riconoscere alcuni cortocircuiti del linguaggio rap porti di riflesso a porre in luce coloro
capaci di coniugare l’hip hop con prospettive progressiste.

Nelle società che mirano a risolvere le proprie contraddizioni interne e a colmare gap col
presente, il rap può essere un elemento inclusivo ed un importante veicolo di aggregazione.
Ne è un chiaro esempio la stessa prospettiva pedagogica promossa da Kajikawa, il quale
tuttavia si dimentica di marcare le responsabilità degli artisti più influenti nei confronti
degli ascoltatori. All’interesse dei primi per la propria musica dovrebbe corrispondere
infatti un’eguale attenzione verso un linguaggio che, fuori dal contesto in cui è generato,
può causare problemi a coloro che ne facciano uso (anche solamente cantando una

9
canzone). Una controversia rilevante è ad esempio quella che oggi riguarda la cosiddetta n-
word13: essa, pur appartenendo ad un linguaggio esclusivo (quello dei neri), si trova allo
stesso tempo a far parte dell’alfabeto rap, risultando quindi più comune di quanto dovrebbe
essere; considerando che l’hip hop non nasconde di mirare al pubblico più vasto possibile,
l’idea di conciliare il successo globale con un lessico proibitivo per molti ascoltatori risulta
assai incoerente. A questi ultimi spetta infine il dovere di decidere se chiudere un occhio
davanti a ogni messaggio che viene loro proposto o se vale la pena fare uno sforzo
maggiore: per limitare chi tira la corda verso il passato e promuovere, invece, chi spinge
verso un futuro più immediato. A tale scopo, senza tralasciare i contesti storici e
sociomusicali d’appartenenza, nonché le personalità degli artisti citati, di seguito sono
analizzati criticamente alcuni esempi emblematici di testi e scelte di linguaggio, per
comprendere meglio dove si celano alcuni problemi del rap.

Gli N.W.A. e il gangsta rap


I testi degli N.W.A. sono un esempio calzante per aprire questa sezione. La loro musica
nasce dal bisogno di descrivere accuratamente una realtà fin troppo lontana dagli occhi del
mondo: parlare di una quotidianità fatta di spaccio, guerra fra bande, soprusi e
discriminazione significava evidenziare Compton sulla mappa, permettendo al resto
dell’America di ascoltare con le proprie orecchie una verità che molti tentavano di ignorare
o mascherare. Il gangsta rap non era “un pericolo per i nostri figli”, per parafrasare uno dei
tanti slogan dell’epoca: la sua forza non era quella di trasformare i giovani in gangster,
assassini o stupratori, come molti volevano credere; era bensì quella di minacciare un
ordine costituito e, pertanto, coloro che mai avrebbero immaginato di dover fare i conti con
una tale ondata di rabbia grezza. Perché dunque il linguaggio adottato da questi rapper
funzionava così bene su masse di ascoltatori, nonostante il ribrezzo suscitato in gran parte
dell’opinione pubblica e nei mezzi di informazione? Principalmente perché era ruthless,
cioè spietato (non a caso il nome scelto per l’etichetta fondata dall’N.W.A. Eazy-E) e
senza peli sulla lingua: ciò si traduceva nell’essere schietti, aggressivi, nel mostrare gli
attributi per stare un passo avanti rispetto ai propri nemici. Tutto ciò comportava
necessariamente nascondere i propri punti deboli sotto il tappeto e mostrarsi come maschi
alfa, dominanti e intoccabili. Anche considerando le evidenti differenze tra il gergo “di
strada” attuale e quello degli anni Novanta, può sembrare ridicolo voler contestualizzare
parole maschiliste, come ad esempio quelle di Ice Cube, principale paroliere del gruppo,

13
La parola “nigger”. [NdA]

10
nel testo di I Ain’t tha 1; tuttavia, ciò risulta utile a comprendere il successo del gruppo
“ieri”, mettendo in luce parallelamente l’anacronismo che una tale scelta di termini
comporterebbe nella musica di oggi. Nel saggio Il rap spiegato ai bianchi, Mark Costello e
David Foster Wallace utilizzano una parte del testo di questo brano per evidenziare quando
“il rapper è semplicemente troppo fico per aver bisogno di una qualsiasi risposta alla sua
botta”14 e in particolare quando “è un tipo tanto schiettamente insopportabile che chiunque
preferisce girargli alla larga”15.

“You know I spell ‘Girl’ with a ‘B’

And a brother like me’s only out for one thing

I think with my dingaling…

You want lobster?

Hah. I’m thinkin’ Burger King

And after the date you know I’ll want to do the wildest thing

… I got what I wanted - now beat it.

(Lo sai per me la parola ‘ragazza’ comincia con la ‘p’

e un tipo come me cerca una cosa sola

Io penso col pisello…

Vuoi aragosta e caviale?

Ah ah, e io invece ti dico Burger King

e alla fine della serata lo sai che vorrò fare cose folli

… Ho ottenuto quello che volevo, ora levati dalle palle.)”16

14
M. Costello, D.F. Wallace, Il rap spiegato ai bianchi, Roma, Minimum Fax, 2000, p. 44
15
Ibidem, p. 45
16
M. Costello, D.F. Wallace, op. cit., pp. 45-46

11
Nel brano, Cube racconta schiettamente (e piuttosto fieramente) come non si lasci mai
abbindolare dalle donne e dalla loro sete di denaro, alludendo al loro presunto vizio di
prendere senza “dare” nulla in cambio: l’immagine stereotipata che ne traiamo è quella
della femmina-sanguisuga; il sostantivo più calzante è golddigger, la cacciatrice di dote
capace solo di svuotare le tasche al rapper. Senza nulla togliere ad Ice Cube in termini di
credibilità o esperienze vissute in prima persona, occorre fare chiarezza su questo
immaginario. Il gangsta rap ha fatto uso per molto tempo, pur con delle eccezioni, della
stessa immagine di donna ritratta in questo brano: i rapper hanno tirato spesso in ballo la
propria superiorità rispetto alla scaltrezza delle donne, uno dei tanti tropi utilizzati
dall’epica gangsta per rendersi immuni alle frecciate dei propri nemici/colleghi.
Nonostante le critiche che può comportare una rappresentazione così denigrante delle
donne, bisogna tenere conto della denuncia delle iniquità in un determinato contesto
sociale (consideriamo in particolare la Los Angeles e l’industria discografica dei primi
Novanta) che questa musica porta avanti, attraverso un linguaggio che suscita dissensi ma
che mantiene anche una logica: quest’ultima necessita di un racconto del reale, degrado
incluso, senza censure. Rappare di “quanto sono tosti/fichi/mitici/cazzuti/ il rapper e i suoi
testi”17 e “quanto siano fastidiose, stupide e avide le donne”18, per quanto irritante, illustra
all’ascoltatore che i gangsta rapper vengono dal basso; ciò si traduce in una serie di
svantaggi rispetto alle classi superiori, siano essi di natura economica, sociale o culturale.
Ogni arma verbale a disposizione è stata da loro imbracciata per non lasciar trasparire
un’immagine di sé meno aggressiva di quella dei propri oppositori. In merito alla parola
bitch (puttana), la stessa a cui allude Ice Cube nel brano e una delle più in voga nel rap, è
opportuno considerare quanto scritto da Nicola Di Rienzo. Lo scrittore si chiede se sia
“ipocrita sostenere che sia in ogni caso sbagliato etichettare le persone con un termine
negativo perché davvero nessuno lo merita”19, arrivando a dire poco dopo che “se, ad
esempio, si dice che, nello show business […] c’è la consuetudine di ottenere favori
sessuali in cambio dell’offerta di opportunità di carriera, un motivo ci sarà. Non per questo
tutte le donne nel mondo dello spettacolo sono da considerare mignotte né tutti gli uomini
papponi, ma è chiaro che ci sia un fondo di verità in tutto ciò” 20. Vale infine la pena
riportare integralmente la sua conclusione per capire dove risieda questo fondo di verità:
“Nella società americana il successo e il denaro sono visti come un obiettivo irrinunciabile,

17
M. Costello, D.F. Wallace, op. cit., p. 43
18
Ivi
19
N. De Rienzo, op. cit., p. 73
20
Ivi

12
se non primario, e la popolazione femminile non è immune al loro fascino. La comunità
nera è forse la più povera e la ricchezza è un miraggio ammaliante. Il fatto che la maggior
parte delle donne all’interno della comunità non abbia, come o forse peggio dei loro
coetanei maschi, facilmente accesso alla cultura e al mondo del lavoro, rende
comprensibile che cerchino, in ogni maniera, di migliorare la loro posizione economica e il
loro status sociale, due cose che in America vanno di pari passo. La via più semplice è la
caccia all’uomo ricco.”21

Il linguaggio del gangsta rapper va giudicato tenendo presente la complessità di un tale


background. Va ovviamente inteso che per artisti e periodi storici diversi, come si vedrà tra
poco, non potrà valere la medesima logica qui definita. Oggi, col senno di poi, riusciamo a
leggere più facilmente la realtà celata tra le righe di molti testi come quello degli N.W.A.,
ed essa è semplicemente lo specchio di un’epoca non molto diversa dal presente: una
società dog-eat-dog, ultracompetitiva, dove gli arrampicatori sociali sono spesso uomini e
donne che tentano di sopravvivere. Ancora una volta tornano utili le parole di Costello e
D.F. Wallace: “[…] gli N.W.A. […] riescono a sconcertare noi, i nostri amici, i critici che
abbiamo letto e smascherato, perché i testi dei rapper hardcore sono perfettamente
consapevoli di parlare di/per le vite e gli atteggiamenti veri di persone riconoscibili come
tali (anche se estranee). È qui che il rap si colloca ad un livello superiore rispetto al puro
spettacolo: nel rap hardcore l’ideologia nasce sempre da un episodio o da una condizione
ben precisa, e la rabbia, dunque, da una causa, la minaccia da qualche forma di
provocazione riconoscibile (almeno agli occhi di chi è interno alla Scena). […]
L’autentico-rap hardcore offre agli ascoltatori bianchi un accesso genuino, terra-terra, alle
condizioni di vita e di morte e allo stato d’animo di una comunità americana sul vero e
proprio orlo dell’im-/esplosione […]”22. È importante rigettare la misoginia come idea,
senza però dimenticare il contesto d’appartenenza delle parole: quest’ultimo, come
dimostrano i concetti espressi dai due scrittori, non va mai dato per scontato. Come molti
artisti hanno provato, la forza necessaria a ribaltare uno squilibrio si può infatti trovare
sollevando la polvere e discutendo argomenti che altrimenti resterebbero tabù.

21
Ibidem, pp. 73-74
22
M. Costello, D.F. Wallace, op. cit., pp. 54-55

13
Capitolo 3

Kanye West e il problema dell’ego


Un caso differente riguarda un artista che negli ultimi quindici anni ha fatto
dell’esagerazione un proprio punto di forza nella scalata al vertice dell’hip hop: Kanye
West, nativo di Atlanta ma cresciuto fin dalla tenera età a Chicago in una famiglia
borghese, si è costruito un nome nella scena hip hop come beatmaker23 e produttore,
entrando in seguito nelle grazie del già affermato collega Jay-Z. Quest’ultimo lo prese
sotto la propria ala protettiva, scritturandolo nel 2002 per la sua etichetta discografica, la
Roc-A-Fella Records. Ad oggi Kanye è probabilmente la firma più riconoscibile nel
panorama hip hop internazionale, avendo all’attivo otto dischi ed un numero elevatissimo
di produzioni e collaborazioni con artisti di alto calibro. Se le sue abilità musicali ed il suo
talento come producer non sono mai stati messi in discussione, a destare critiche e
perplessità sempre maggiori nel corso degli anni sono state le sue parole da rapper, in
particolare i testi dei suoi pezzi, dove emergono spesso con prepotenza tutte quelle qualità
e quei difetti che fanno di lui un personaggio a dir poco controverso. Per poter parlare della
scrittura di Kanye bisogna tenere a mente le trasformazioni avvenute nell’hip hop nei primi
Duemila. Con il gangsta ormai passato di moda, il rap aveva visto cambiare notevolmente
il proprio stile e i propri contenuti. Anche dal punto di vista linguistico, gli interessi
commerciali che ruotavano intorno al rap migrarono, spostando gradualmente lo sguardo
dalla guerriglia urbana evocata da gruppi come N.W.A. o Public Enemy al culto della
personalità di nuovi personaggi. I rapper che stavano ottenendo fama si preoccupavano di
tenersela stretta: sfoggiare la propria ricchezza sfrenata fu uno dei metodi che adottarono.
Ciò diede il via alla fine dei Novanta ad un gusto musicale ed estetico che nell’hip hop
viene comunemente definito bling-bling24, contraddistinto principalmente da
un’ostentazione insistita dei propri averi (denaro, macchine, gioielli e soprattutto donne)
nei testi come nei video musicali, come a legittimare la posizione ottenuta. La prima fase
della carriera di West si colloca in questo contesto; sarebbe tuttavia improprio lasciare
intendere che una semplice tendenza abbia influito più di tanto sulla sua carriera. È più
corretto dire che Kanye, col proprio talento nel rinnovare il suono e grazie ad una
personalità magnetica, ha cambiato il panorama hip hop più di quanto l’hip hop stesso

23
Colui che nell’hip hop crea i beat, le basi musicali delle tracce; questa figura ha finito per coincidere sempre
più spesso con quella del produttore musicale inteso nel senso più tradizionale. In molti casi è anche il Dj che
accompagna il rapper nell’esecuzione dal vivo. [NdA]
24
Il luccichio dei gioielli esibiti. [NdA]

14
abbia cambiato lui. Se c’è infatti una parola che può allo stesso tempo descrivere tanto
l’artista quanto il personaggio, oltre a indicare uno dei più evidenti cortocircuiti del rap
odierno, quella parola è “egotismo”. Il vocabolario dell’enciclopedia Treccani la definisce
come l’“atteggiamento psicologico (diverso dall’amor proprio e dall’egoismo) che consiste
nel culto di sé e nel compiacimento narcisistico e raffinato della propria persona e delle
proprie qualità.”25 Si tratta di una condizione adatta a descrivere tanti artisti; in pochi
tuttavia sono riusciti a farne il segreto del proprio successo tanto efficacemente quanto
Kanye. Nei testi del rapper non mancano riferimenti politici o rivendicazioni sociali
importanti, anche nella tarda fase della sua carriera, ma al centro di tutto rimane sempre,
indiscutibilmente, l’io. Laddove sentendo rappare un membro degli N.W.A. (che, va
ricordato, provengono comunque da un contesto diverso) la prima persona singolare di un
testo richiama un più ampio “noi”, l’”io” di Kanye West evoca solamente Kanye West. Il
cortocircuito, in questo caso, si presenta quando l’egotismo del rapper devia dall’epica
autocelebrativa, che anche se fine a se stessa è innocua, per sfociare in atteggiamenti tanto
grossolani quanto anacronistici. Ciò emerge con chiarezza nel brano Famous, tratto
dall’album The Life of Pablo del 2016. Scritto in un periodo che vedeva l’artista all’apice
del successo già da una decina di anni, il pezzo è un’ode scanzonata all’essere ricchi e
famosi. A rendere risibile un messaggio tutto sommato semplice, è la necessità di Kanye di
declamare in termini piuttosto machisti la presunta invidia che buona parte del genere
femminile prova nei suoi confronti.

[…]

I feel like me and Taylor might still have sex

Why? I made that bitch famous (Goddamn)

I made that bitch famous

For all the girls who got dick from Kanye West

If you see ‘em in the streets give ‘em Kanye’s best

Why? They mad they ain’t famous (Goddamn)

25
http://www.treccani.it/vocabolario/egotismo

15
They mad they still nameless (Talk that talk, man)26

(Credo che io e Taylor potremmo fare sesso comunque

Perché? Ho reso famosa quella puttana

Per tutte le ragazze che lo hanno preso da Kanye West

Se le vedete per strada date loro i suoi saluti

Perché? Ce l’hanno perché non sono famose

Ce l’hanno perché non sono nessuno)

Quando tira in ballo Taylor Swift, nota popstar statunitense, Kanye si riferisce ad un episodio
ben preciso: nel 2009, nel mezzo della premiazione della cantante agli MTV Music Awards,
interruppe il suo discorso togliendole la parola per protestare contro l’assegnazione del
premio che, a suo dire, meritava di ricevere la cantante Beyoncé. Swift dunque, secondo il
ragionamento del rapper, dovrebbe la propria fama allo stesso Kanye per via di
quell’episodio. Per aver utilizzato nei confronti di una persona specifica la parola bitch, West
ha provato a spiegarsi definendolo un “endearing term”27, ovvero un termine accattivante, di
fatto alludendo alla norma non scritta che vorrebbe giustificare a priori il suo utilizzo nel rap.
Visto e considerato che in molti casi si tratta di uno dei tanti termini con cui i rapper
travestono i propri insulti verso l’industria discografica (una bitch è perciò chi, in generale,
brama con avidità ciò che è dell’artista), questo può essere in parte vero. Tuttavia, appare
chiaro, una volta considerati i rispettivi contesti di appartenenza, quanto le parole pronunciate
da West nel 2016 abbiano un sapore anacronistico ed un significato differente rispetto a
quelle del rapper Ice Cube analizzate precedentemente. La frecciata mirata alla cantante,
assieme all’utilizzo disinvolto di quell’appellativo, ha come unico scopo quello di fagocitarne
la fama. L’ego del rapper, nella strada verso l’ottenimento dell’attenzione totale, si gonfia a
tal punto da entrare in rotta di collisione con altre celebrità, senza che vi sia necessariamente
una reale sfida precedentemente stabilita (per questo nel caso di West e Swift non si può

26
https://genius.com/Kanye-west-famous-lyrics
27
Ivi

16
realmente parlare di dissing28). La visione del mondo di Kanye tocca principalmente due
punti: l’idea che non si possa essere realmente famosi, nel senso di “vincenti”, senza
schiacciare con la propria personalità ogni possibile avversario; il fatto che la cattiva
pubblicità non esista.

A prescindere dalle implicazioni di questo secondo punto, la cui veridicità, come i media ci
dimostrano, è stata purtroppo provata, questa visione della realtà risulta quantomeno distorta
quando evita di tener conto di chi la musica la ascolta. Anche il giovane pubblico che si
approccia al rap oggi, a più di trent’anni dalla sua nascita, incomincia ad accorgersi
dell’importanza che questa musica riveste, e un certo merito lo hanno sicuramente i cultural
studies a cui si riferisce Kajikawa. Uno dei motivi per cui apprezziamo le parole dei rapper, in
tutta la loro diversità, è il fatto che coniughino, con arguzia, verità e finzione; quando
l’ascoltatore riesce a coglierne l’essenza, in certi casi intesa come necessità o attualità di temi
affrontati, la cognizione che ne scaturisce è parte del piacere dell’ascolto. Ne consegue che
quella pur minima parte di misoginia fine a se stessa di Kanye stride con quanto di “reale”
egli ha da raccontare: siccome non vi è ironia nelle sue parole (è serio quando intende dire che
chi è famoso lo è grazie a lui), queste creano imbarazzo e disagio in chi ascolta. La causa è
quel fastidioso e vano richiamo a un passato in cui il rap utilizzava il linguaggio hardcore per
legittimare se stesso, con la differenza che allora si preoccupava di veicolare un messaggio
più importante. Per sintetizzare: mentre la rozzezza dei gangsta sacrificava la correttezza nei
confronti del prossimo, attraverso un verbo aggressivo, per trasmettere un’urgenza di
cambiamento sociale, in Kanye (che non è hardcore) la spacconeria è un esercizio di stile che
alimenta come un fuoco l’ego dell’artista. Ciò che ascoltiamo è, per usare una metafora a
tema, un oggetto luccicante messo in bella mostra come un gioiello: le parole del rapper
“luccicano” e, forse, riescono a suscitare l’invidia di qualcuno; tutti gli altri, nel frattempo,
storcono il naso come in presenza di vaneggiamenti. Kanye West è un artista tanto geniale
quanto instabile: è proprio la sua genialità, espressa in musica, a evidenziare per contrasto i
momenti in cui il suo egotismo, espresso nei testi, tocca il fondo; esso si carica inoltre di
concetti disfunzionali, quali una mascolinità tossica e retrograda che, alla luce dei
cambiamenti che il rap sta attraversando in materia di contenuti, risulta difficile giustificare.

28
“Nella cultura hip-hop e, in particolare, nella musica rap, canzone, brano che ha l’obiettivo di prendere in giro,
criticare o addirittura insultare una o più persone, di solito appartenenti all’ambiente stesso della musica rap”,
http://www.treccani.it/vocabolario/dissing_res-5a9cc2ef-8997-11e8-a7cb-00271042e8d9_(Neologismi)

17
Eminem e il dissing
Il concetto di dissing offre l’opportunità di parlare del lato più battagliero del rap, in
particolare di un artista di Detroit divenuto icona mondiale prima di Kanye West: Eminem,
pseudonimo di Marshall Bruce Mathers III, è il rapper bianco più famoso al mondo, nonché
colui che ha fatto della retorica nell’hip hop un’arma affilata, portando il rap a nuove vette di
tecnica. Nato nel 1972 e cresciuto povero fra mille difficoltà familiari, fu scoperto nel 1997
dall’allora produttore Dr. Dre (già membro degli N.W.A.), fondatore dell’etichetta Aftermath
Entertainment. In quegli anni Eminem emergeva dalle battle, sfide a tempo fra due o più
rapper in cui l’ultima parola sul vincitore spettava al pubblico presente. Il successo per lui
arrivò già nel 2000 con The Marshall Mathers LP, disco che, tra premi vinti e record di
vendite, lo proiettò presto fra i nomi più importanti della nuova scena. Non c’è alcun dubbio
che il rap di Eminem sia riconosciuto come uno dei più “letali” in circolazione: il suo flow è
un fiume in piena di parole, ed unica è l’efficacia con cui articola rime mediante cadenze fin
troppo audaci. Tutt’oggi, all’età di quarantasei anni, la sua maestria è tale da permettergli di
inventare rime ininterrottamente davanti alle telecamere: l’esempio più recente è The Storm,
freestyle rap29 di quattro minuti che probabilmente sarà ricordato come uno dei più
significativi del rapper. Il 10 ottobre 2017, in occasione dei BET Awards (un’importante
cerimonia a premi del mondo rap), ha infatti rivolto un lungo e duro freestyle contro il
presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump. In esso, il rapper attacca il presidente
schierandosi apertamente contro la sua politica, definita razzista ed incosciente, invitando
direttamente il resto dell’America a prendere una posizione: chi è con Eminem (e dunque con
l’hip hop) è contro Trump, e non può essere altrimenti.

[…]

'Cause what we got in office now's a kamikaze

That'll probably cause a nuclear holocaust

And while the drama pops

And he waits for s**t to quiet down, he'll just gas his plane up and fly around 'til the bombing
stops

Intensities heightened, tensions are risin'

29
“Il freestyle rap è una disciplina della cultura hip hop, consistente nel ‘rappare’ in una maniera non strutturata
(free of style) rime già scritte oppure improvvisando rime, assonanze, altre figure retoriche e giochi di parole.”,
https://it.wikipedia.org/wiki/Freestyle_(hip_hop)

18
Trump, when it comes to giving a s**t, you're stingy as I am

Except when it comes to having the b***s to go against me, you hide 'em

'Cause you don't got the f**king n**s like an empty asylum

Racism's the only thing he's fantastic for

'Cause that's how he gets his f**king rocks off and he's orange 30

(Perché quello che abbiamo come presidente ora è un kamikaze


E probabilmente causerà un olocausto nucleare
E mentre scoppierà la tragedia
Lui metterà benzina nel suo aereo e volerà in giro aspettando che tutto si calmi e le bombe
finiscano di cadere
Intensità aumentate, tensioni in aumento
Trump, quando si tratta di fregarsene sei puntiglioso come me,
Tranne quando si tratta di avere le palle per venirmi contro, le nascondi
Non hai le palle, tipo un manicomio vuoto
L'unica cosa in cui è fantastico è l'essere razzista,
È così che gode—e ha la pelle arancione)31

Date le premesse incoraggianti, che senza dubbio costituiscono un punto a suo favore, non
vanno altresì scordati alcuni aspetti negativi della musica di Eminem: arrivato alle soglie della
mezza età, il rapper fatica a mantenere la stessa lucidità di una volta nei propri testi,
inciampando spesso nelle sue parole qualora cerchi di distinguersi per contenuti al passo coi
tempi. Nell’ultimo biennio, l’artista di Detroit ha sollevato diverse critiche per via delle parole
scelte per “dissare” (fare dissing contro) i giovani rapper del momento e, più in generale, le
personalità intorno al mondo dell’hip hop che avevano criticato il suo penultimo disco
Revival, uscito nel 2017 e disprezzato da gran parte della critica di settore. Eminem ha cercato
di prendersi una rivincita con l’ultimo album Kamikaze, del 2018, in cui cerca di far valere la
legge del rispetto, dovutogli dai colleghi, tramite il brano Fall. È tuttavia apparso evidente ai

30
https://edition.cnn.com/2017/10/11/entertainment/eminem-storm-full-lyrics/
31
https://noisey.vice.com/it/article/vb7abb/eminem-nuovo-verso-bet-awards-donald-trump-traduzione

19
più come anche il Rap God32 in persona risulti imbarazzante e soprattutto anacronistico
nell’attaccarsi alla presunta omosessualità di un collega (in questo caso il ventisettenne Tyler,
The Creator) per ottenerne il rispetto, nonostante le regole non scritte del rap prevedano anche
scambi di insulti e ingiurie pesanti nei dissing.

[…]

Tyler create nothin’, I see why you called yourself a faggot, bitch

It’s not just ‘cause you lack attention

It’s because you worship D12’s balls, you’re sack-religious

If you’re gonna critique me

You better at least be as good or better

Get Earl the Hooded Sweater

Whatever his name is to help you put together

Some words, more than just two letters33

(Tyler non crei nulla, capisco perché ti definisci un frocio

Non è solo perché ti manca l’attenzione

È perché veneri le palle dei D1234, sei sacrilego35

Se vuoi criticarmi

Meglio tu sia all’altezza o migliore

Chiama Earl the Hooded Sweater36

O come si chiama e fatti aiutare a mettere insieme

32
Titolo di un celebre brano autocelebrativo di Eminem, in cui lo stesso si definisce, appunto, un “dio del rap”.
[NdA]
33
https://genius.com/Eminem-fall-lyrics
34
“I D12 (abbreviazione di Dirty Dozen, ovvero la sporca dozzina), […] sono stati un gruppo hip hop
statunitense, formatosi a Detroit nel 1996. I D12 […] raggiungono il successo internazionale grazie al loro
cantante Eminem […].”, https://it.wikipedia.org/wiki/D12_(gruppo_musicale)
35
Nella traduzione si perde il gioco di parole tra “religious” (devoto) e “sack” (sacco), altro preciso riferimento
anatomico. [NdA]
36
In riferimento a Earl Sweatshirt, giovane rapper del quale Eminem storpia il nome ma che vede in una luce
migliore rispetto a Tyler. [NdA]

20
Qualche parola, più di due lettere)

Nell’hip hop uno dei concetti più diffusi è quello di rap game: è difficile darne una
definizione che riesca a circoscrivere un ambito specifico di questa musica; in generale, e un
po’ semplicisticamente, si può definire come l’insieme di tutto ciò che riguarda la musica rap.
È però più interessante considerarne l’accezione in voga fra i rapper, americani e non, i quali
sembrano tenere maggiormente conto del “gioco” inteso come sfida, a reggere i colpi dei
colleghi/avversari e a restituirli. Il fatto che un rapper come Eminem rivolga determinati
insulti a uno “sfidante” viene di conseguenza giustificato dai fan tirando in ballo il rap game:
gli insulti sarebbero armi lecite all’interno della sfida, nulla di vietato dalle “regole”. La
domanda da porsi allora è: esistono realmente delle regole o tutto è lecito come in guerra?
Quanto comunicato dal brano non porta a puntare il dito contro una presunta omofobia di
Eminem, che nella sua lunga carriera ha avuto modo di smentire più volte accuse del genere;
piuttosto, la realtà sembra indicare che oggi, ad anni di distanza dal proprio picco di successo,
se a dominare la scena hip hop vi sono artisti più giovani, l’unico modo rimasto al rapper di
Detroit per far parlare di sé è affidarsi a versi che insultano i gay. Il che, considerata
l’importanza che ha il rap nel proteggere le minoranze e la diversità in generale, comunica un
senso di profonda tristezza. Ad avvalorare questa tesi intervengono le parole dello stesso
Eminem, il quale, in un’intervista37 pubblicata sul proprio canale della piattaforma YouTube
il 13 settembre 2018, invece di giustificare il termine faggot come “endearing term”, ha
riconosciuto onestamente di essersi spinto troppo oltre con quegli insulti. L’hip hop non ha
mai avuto storicamente un buon rapporto con l’omosessualità, e i motivi sono in parte gli
stessi riferibili al rapporto tra rapper e donne: l’omosessualità è vista come fonte di debolezza
(e malattia), e il rapper tutto deve fare fuorché mostrarsi debole di fronte agli altri.
Considerato quanto arretrata quest’idea fosse già nei Novanta, ne deriva l’impossibilità di
accettarla tra le norme non scritte di questo linguaggio nei tempi correnti.

37
https://www.youtube.com/watch?v=8Yyr85VNNKU

21
Capitolo 4

Tupac e le donne
Gli stessi anni Novanta dimostrano in certi casi che è possibile fare rap anche abbattendo
stereotipi spregevoli, come quelli sulle donne visti finora. Nel 1993, Tupac Shakur pubblicò il
brano Keep Ya Head Up, contenuto nell’album Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z.: assieme alla sua
altra canzone Brenda’s Got a Baby, fu uno dei primi successi rap ad affrontare direttamente la
tematica del sessismo e delle donne afroamericane sole, discriminate per il colore della pelle e
in quanto femmine. Tupac, figlio di un’attivista delle Pantere Nere e inserito fin da piccolo in
un ambiente politicizzato, dimostra con le proprie parole una capacità straordinaria nel
raccontare realisticamente la società che lo circonda; in questa canzone, lo fa lanciando un
doppio messaggio: alle donne, emarginate e spesso lasciate a se stesse nel difficile ruolo di
giovani madri, alle quali ricorda quanto valgono; e agli uomini, tra cui egli stesso, ai quali
pone un imperativo essenziale: se tenete al vostro stesso futuro smettete di odiare le donne.

[…]

2Pac cares if don’t nobody else care

And I know they like to beat you down a lot

When you come around the block, brothers clown a lot

But please don’t cry, dry your eyes, never let up

Forgive, but don’t forget, girl, keep ya head up

And when he tells you you ain’t nothin’, don’t believe him

And if he can’t learn to love you, you should leave him

‘Cause sister, you don’t need him

[…]

You know what makes me unhappy?

When brothers make babies

And leave a young mother to be a pappy

22
And since we all came from a woman

Got our name from a woman and our game from a woman

I wonder why we take from our women

Why we rape our women – do we hate our women?

I think it’s time to kill for our women

Time to heal our women, be real to our women

And if we don’t we’ll have a race of babies

That will hate the ladies that make the babies38

(A 2Pac importa sennò a nessun altro importa

E lo so che a loro piace demoralizzarti

Quando giri l’angolo i fratelli fanno i pagliacci

Ma ti prego, non piangere, asciugati gli occhi, non mollare

Perdona, ma non dimenticare, ragazza, tieni la testa alta

E quando ti dice che non sei niente, non credergli

E se non può imparare ad amarti, dovresti lasciarlo

Perché sorella, non hai bisogno di lui

[…]

Sai cosa mi rende infelice?

Quando i fratelli fanno bambini

E lasciano una giovane madre a far da padre

E poiché proveniamo tutti da una donna

Riceviamo il nome da una donna e il nostro game da una donna

38
https://genius.com/2pac-keep-ya-head-up-lyrics

23
Mi chiedo perché rubiamo alle nostre donne

Perché stupriamo le nostre donne – odiamo le nostre donne?

È tempo di uccidere per le nostre donne

Guarire le nostre donne, essere onesti con loro

Se non lo facciamo avremo una razza di bambini

Che odieranno le donne che fanno bambini)

Gli ultimi due versi qui riportati contribuiscono a lanciare uno dei messaggi più potenti
dell’intera canzone, nonché la morale della stessa: raccogliamo l’odio che seminiamo. Shakur,
pur macchiandosi degli stessi errori di molti giovani neri, ha fatto di questa morale uno dei
propri cavalli di battaglia; a dimostrazione di ciò, non bastassero le parole contenute nei suoi
brani, si può prendere in esame il nome della sua crew39, Thug Life (in inglese “vita
criminale”): l’espressione è in realtà l’acronimo della frase The Hate U Gave Little Infants
Fucks Everybody, ovvero: l’odio che trasmettete ai più giovani rovina tutti. Un appello che
suona ancor più importante se trasmesso da un artista la cui vita, breve ma significativa per le
generazioni a venire, è stata spezzata da quello stesso odio: una dimostrazione di come
spesso, dietro ai messaggi più banali dell’hip hop, si nasconda un ampio spettro luminoso,
mutevole e variopinto in quanto latore di molteplici realtà, nel bene e nel male.

Prospettive future: i Brockhampton


Dai testi analizzati emerge che una parte del rap più rilevante di questi ultimi anni non è
esente da contraddizioni, spesso frutto di strascichi di un passato, in buona parte archiviato,
che ancora rischia di trasformarsi in stereotipo pericoloso. Ciononostante, è allo stesso tempo
di vitale importanza accorgersi di un crescente numero di persone capaci di mostrare con la
propria musica l’altro lato della medaglia, il lato più conscious40 del rap, come già fecero
Tupac e altri in passato. Nell’internet di questi anni, dove la musica scorre “liquida” grazie ai
servizi di streaming, i generi musicali fluiscono ancor più di prima gli uni negli altri,
contaminandosi a vicenda. La galassia costituita dal rap, da sempre così aperto ad influenze

39
“Nella cultura hip hop, la crew (in inglese ‘equipaggio’, ‘squadra’, ‘compagnia’) è un gruppo di persone che
collabora ad un progetto artistico o culturale […]. In ambito musicale la crew è un gruppo dinamico che può
realizzare canzoni e album sotto un unico nome ma può anche essere vista come un aiuto ed uno sprone al
singolo artista […].”, https://it.wikipedia.org/wiki/Crew_(hip_hop)
40
“Il conscious hip hop (o conscious rap) è un sottogenere della musica hip hop che si incentra su temi sociali. Si
differenzia dal political hip hop poiché quest’ultimo comprende canzoni con testi prettamente a sfondo
politico.”, https://it.wikipedia.org/wiki/Conscious_hip_hop

24
esterne, non poteva che beneficiarne, sia da un punto di vista musicale che contenutistico.
Seguendo il solco tracciato da artisti come Kanye West (capace, a suo modo, di essere anche
modello positivo: nello specifico con il suo disco 808’s & Heartbreak del 2008, considerato
unanimemente un modern classic) o il più giovane Kendrick Lamar (nativo di Compton come
buona parte degli N.W.A.), capaci di ascendere a livello di icone pop mondiali
rispettivamente con un rap sentimentale e introspettivo e con riflessioni sociali più attuali che
mai, molti artisti emergenti riescono a orientare con facilità il proprio modo di fare rap verso
narrazioni estremamente reali; aprendosi intimamente con gli ascoltatori, battono la strada per
discussioni incentrate su argomenti di attualità come la salute mentale, l’abuso di nuove
droghe tra i ragazzi, la depressione e la disillusione nei confronti del futuro. Si tratta di temi
presenti nel rap da molto tempo, ma che mai come oggi, con l’hip hop al centro dell’interesse
di ogni medium trattante musica, hanno avuto una cassa di risonanza così efficace. È da
sottolineare come siano spesso i più giovani a offrire uno sguardo cristallino sulla realtà
circostante, dando vita in molti casi a simbiosi fruttuose; in America sorgono collettivi
multietnici, poliartistici e multifunzionali che uniscono i talenti più vari. Uno degli esempi
recenti più fortuiti e di successo è il collettivo musicale Brockhampton: formatosi nel 2015 a
San Marcos, Texas, è composto da una quindicina di ragazzi provenienti da tutto il mondo,
conosciutisi prevalentemente su internet grazie ai forum di discussione sull’hip hop.
All’interno di esso germogliano, oltre a rappers e musicisti, creators di ogni tipo: tutti quanti
sono uniti nel proposito di creare musica priva di confini o regole, capace in primis di
comunicare l’importanza di essere se stessi, come artisti e soprattutto come individui. Un
messaggio che, a ben pensarci, è in contrasto con molti tòpoi del vecchio hip hop: risulta
infatti essere figlio di una modernità più fluida, che abbraccia influenze esterne e pone
l’accettazione al centro di tutto, rap incluso. Tutto questo, attraverso le personalità e gli stili
così variopinti dei componenti del collettivo, emerge nella creazione di ogni nuovo brano e
nel linguaggio che scaturisce dalle molteplici voci. Volendo proporre un esempio, si possono
prendere in esame alcuni versi di Kevin Abstract (nome d’arte di Ian Simpson, uno dei
membri più influenti del gruppo) nella canzone JUNKY, tratta dall’album Saturation II del
2017.

[…]

Is it homophobic to only hook up with straight niggas?

You know like closet niggas, masc-type?

25
Why don’t you take that mask off?

That’s the thought I had last night

“Why you always rap about bein’ gay?”

‘Cause not enough niggas rap and be gay

Where I come from, niggas get called “faggot” and killed

So I’ma get head from a nigga right here

And they can come and cut my head off and

And my legs off and

And I’ma still be a boss ‘til my head gone, yeah41

(È omofobico frequentarsi solo con tizi etero42?

Hai presente, i classici tipi mascolini con dei segreti?

Perché non vi togliete quella maschera?

Ecco cosa ho pensato l’altra notte

“Perché rappi sempre dell’essere gay?”

Perché non abbastanza neri rappano e sono gay

Da dove vengo, i neri sono chiamati “froci” e uccisi

Perciò me lo farò succhiare da un nero proprio qui

E possono venire a tagliarmi testa e gambe

Ma sarò comunque un boss finché vivo)

Con questi versi, e in particolare con quelli qui sottolineati, Simpson, afroamericano nato e
cresciuto in uno stato notoriamente poco tollerante come il Texas, rivendica con orgoglio la
propria duplice condizione di rapper e individuo omosessuale. I due versi evidenziati sono
infatti volti a spiegare perché il suo orientamento sessuale rivesta un ruolo così importante

41
https://genius.com/Brockhampton-junky-lyrics
42
“Straight” può essere anche inteso col significato di “sinceri”. [NdA]

26
come tema all’interno del proprio linguaggio rap: l’essere gay è ancora visto da molti come
un argomento tabù nel mondo dell’hip hop; per questo motivo Kevin Abstract decide di
presentare la propria sessualità con fierezza: si tratta di mostrare due lati inseparabili del
proprio essere, che pertanto fanno di lui un individuo assolutamente emancipato. Tutto ciò è
ingegnosamente esibito senza alcun timore di utilizzare un linguaggio spinto che, stabilendo
un precedente importante, sdogana il ben noto tabù: da un lato rivolta contro omofobi e
razzisti la loro stessa violenza verbale; dall’altro invita coloro che celano la propria vera
natura a non nascondersi dietro un velo di machismo forzato: molti più rapper dovrebbero
sentirsi liberi di uscire allo scoperto, facendo musica apertamente e senza costrizioni.
L’importanza delle parole di Simpson è concentrata nella volontà di invertire certe tendenze
omofobiche nell’hip hop: attraverso un linguaggio aggressivo, messo però al servizio di un
messaggio inclusivo, si spiega l’importanza di essere se stessi nella produzione artistica come
nella vita.

Conclusione

I testi e gli artisti considerati fin qui rappresentano solo in minima parte il materiale
disponibile: c’è infatti tanto da prendere in considerazione se si vuole costruire un’analisi
completa volta a spiegare le modificazioni subite dal linguaggio rap. È chiaro ormai che
queste ultime sono andate di pari passo con la storia recente dell’America e che, una volta che
l’hip hop ne oltrepassa i confini, avvengono con modalità sempre mutevoli, intrecciandosi con
rivendicazioni sociali laddove ve ne siano. Lo dimostra il fatto che la produzione di molti
artisti contemporanei (e un caso esemplare sono certamente i Brockhampton) presenti scelte
di linguaggio audaci, che fungono da anticorpi per i cortocircuiti presi in considerazione,
siano essi colpa della misoginia, dell’omofobia o dell’egocentrismo. A livello globale, le
conquiste sociali e culturali dell’hip hop negli ultimi anni contribuiscono a proiettare il genere
verso un futuro speranzoso; avendo presente questa prospettiva, non va certo dimenticata
l’importanza che questa musica riveste nel narrare il presente, ancora troppo imperfetto sotto
molti aspetti. Volente o nolente, il rap veicolerà sempre, in qualche modo, contenuti
controversi: ciò che conta, considerato il ruolo che riveste ora che ancor di più è sotto lo
sguardo pubblico, è che esso continui a rappresentare un’occasione di autoanalisi e
discussione sopra temi altrimenti marginalizzati, come possono essere i problemi con la droga
della gioventù o la diffusione delle armi. Allo stesso tempo, definire con chiarezza e giuste
intenzioni i problemi e i limiti del rap può evitare la diffusione di dibattiti senza sbocco,

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aventi come unico risultato la denigrazione del genere musicale attraverso la diffusione di
idee sbagliate. È giusto, come sottolineato da Kajikawa, che si conferisca importanza all’hip
hop per i suoi aspetti musicali, orientando di conseguenza coloro che sono interessati a
studiarlo verso un approccio didattico che tenga conto della storia di questa musica, e che non
volti le spalle di fronte ai problemi sociali e razziali che la interessano. Cionondimeno,
affinché questo sia possibile, occorre anche mettere in evidenza i messaggi dannosi che molti
testi, come quelli analizzati, veicolano; denaturalizzando atteggiamenti come omofobia e
misoginia partendo proprio da un’indagine sul linguaggio nei testi (oltre a ricordare ancora le
loro responsabilità agli artisti che li producono) si può infatti, col tempo, correggere la
maniera superficiale con cui spesso si tende a parlare di questo genere, ora che come non mai
è alla portata di tutti. Così facendo, verrà meno anche quel giustificazionismo deleterio con
cui spesso ci si avvicina al rap, che oltre a offuscare il dialogo su di esso impedisce un
approccio propriamente critico nell’analisi dei linguaggi. Essa è pertanto un mezzo
assolutamente necessario affinché studiosi e divulgatori culturali orientino l’apprendimento e
la critica dell’hip hop in direzione di un dibattito proficuo, che non dimentichi di dare il giusto
peso ad ogni aspetto di questa musica. Se in America si avrà abbastanza terreno fertile perché
questi cambiamenti avvengano, anche in Italia, dove la scena rap prende costantemente
ispirazione guardando in direzione ovest, si potrà finalmente analizzare questa musica con un
metodo veramente consapevole.

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Fonti bibliografiche

1. Costello M., Wallace D.F., Il rap spiegato ai bianchi, Roma, Minimum Fax, 2000
2. De Rienzo N., Hip hop. Parole di una cultura di strada, Milano, Dalai Editore, 2004
3. Di Quarto A., La storia del rap. L’hip hop americano dalle origini alle faide del
gangsta rap 1973-1997, Milano, Tsunami Edizioni, 2017
4. Kajikawa L., Hip Hop History in the Age of Colorblindness, in «Journal of Music
History Pedagogy», V, 2014, pp. 117-123
5. Serrano S., Il rap anno per anno. Le più importanti canzoni rap dal 1979 a oggi,
Milano, Mondadori, 2018
6. Witt S.R., Free, Torino, Einaudi, 2016

Sitografia

1. Lisa Respers France, “Anger over West’ disruption at MTV awards”, 14/09/2009,
http://edition.cnn.com/2009/SHOWBIZ/09/14/kanye.west.reaction/
2. https://genius.com/2pac-keep-ya-head-up-lyrics
3. https://genius.com/Brockhampton-junky-lyrics
4. https://genius.com/Eminem-fall-lyrics
5. https://genius.com/Kanye-west-famous-lyrics
6. https://it.wikipedia.org/wiki/Campionamento
7. https://it.wikipedia.org/wiki/Conscious_hip_hop
8. https://it.wikipedia.org/wiki/Crew_(hip_hop)
9. https://it.wikipedia.org/wiki/D12_(gruppo_musicale)
10. https://it.wikipedia.org/wiki/Flow
11. https://it.wikipedia.org/wiki/Freestyle_(hip_hop)
12. Ryan Bassil, “Today, I’mma Be Whoever I Wanna Be”, 9/08/2017,
https://noisey.vice.com/en_us/article/7x85me/brockhampton-saturation-identity-
belonging
13. Elia Alovisi, “Eminem ha massacrato Donald Trump con una nuova strofa”,
11/10/2017, https://noisey.vice.com/it/article/vb7abb/eminem-nuovo-verso-bet-
awards-donald-trump-traduzione
14. The Vision, “Perché Tupac e Notorious B.I.G. sono ancora irraggiungibili”,
https://thevision.com/rooms/timberland/tupac-notorious/

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15. Federico Sardo, “Kanye West, genio e basta”, 20/11/2018,
https://www.esquire.com/it/cultura/musica/a24996790/kanye-west-biografia-
discografia/
16. http://www.treccani.it/vocabolario/dissing_res-5a9cc2ef-8997-11e8-a7cb-
00271042e8d9_(Neologismi)
17. http://www.treccani.it/vocabolario/egotismo
18. https://www.youtube.com/watch?v=8Yyr85VNNKU

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