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I paesi dell'Europa orientale finora non sono stati colpiti dalla pandemia di Covid-19 come quelli,
più ricchi, dell'Europa occidentale. Ma gli esperti ritengono che sia solo questione di tempo prima
che il numero di casi, e con esso anche quello delle vittime, aumenti drasticamente anche oltre il
Danubio.
Sono tanti i dubbi sulla capacità di assorbire il colpo da parte dei sistemi sanitari locali. Al di là
della mancanza di attrezzature e di infrastrutture sanitarie adeguate, c'è preoccupazione anche per la
mancanza di medici e infermieri, professionisti che nel corso degli anni hanno abbandonato i Paesi
dell'Europa orientale per cercare fortuna dove il mestiere è pagato meglio.
In Paesi come la Romania e la Bulgaria, che hanno aderito all'Unione Europea nel 2007 - ma anche
in Polonia, entrata nel blocco tre anni prima - gli effetti della libera circolazione sono stati
particolarmente marcati sui sistemi sanitari nazionali.
In Romania, alcune specializzazioni sono state particolarmente colpite dalla fuga dei cervelli. Una
di esse è proprio la terapia intensiva. Penso che possa essere descritta come una tempesta perfetta:
mancano medici formati per la terapia intensiva perché molti di loro sono andati all'estero e, allo
stesso tempo, la pandemia di coronavirus richiede un enorme bisogno di specialisti proprio in
terapia intensiva.
Secondo “Solidaritatea Sanitara”, una delle più grandi federazioni sanitarie della Romania, il
sistema sanitario pubblico del Paese ha un deficit di quasi 40mila operatori sanitari oggi, pari al
17,46% del fabbisogno di
personale degli ospedali
pubblici. Un problema
simile si riscontra anche
nella vicina Bulgaria, dove,
secondo alcune stime, ogni
anno tra i 250 e i 300 medici lasciano il Paese per andare a lavorare all'estero. La Polonia ha perso
almeno il 7% dei suoi infermieri e medici a causa dell'emigrazione massiccia tra il 2004 e il 2014;
altri Paesi dell'est Europa hanno dovuto affrontare simili fughe di cervelli, aggravate dall'ultima
crisi finanziaria.
Allo stesso tempo, i medici rimasti sono generalmente più anziani e quindi a più alto rischio di
contrarre il virus: l'età media di un medico di famiglia in Romania è compresa tra i 50 e i 60 anni.
Una persona su cinque contagiata dal coronavirus in Romania in questo momento è un
“professionista della salute”.
Ma non è solamente la fuga dei cervelli a destare preoccupazione. I sistemi sanitari in Europa
orientale sono, nel complesso, meno equipaggiati rispetto a quelli dell'Europa occidentale: le risorse
potrebbero rapidamente esaurirsi se il virus dovesse diffondersi con rapidità nei prossimi giorni e
settimane.
"Di solito questi Stati spendono molto meno per l'assistenza sanitaria in rapporto al PIL rispetto ad
altri. La situazione in Romania è drammatica in termini percentuali", afferma Pascal Garel,
'amministratore delegato della European Hospital and Healthcare Federation con sede a Bruxelles,
che vanta membri in 30 paesi in tutta Europa.
La Romania ha il triste primato della più bassa spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo
dell'intero blocco comunitario (secondo gli ultimi dati disponibili di Eurostat); in coda alla classifica
si trovano anche paesi come Lettonia, Polonia e Slovacchia.
Il ritorno di molte persone dall'estero a causa dell'impatto economico del coronavirus potrebbe
contribuire ad aggravare la situazione, soprattutto nelle zone rurali dove la penuria di medici e
infermieri è ancora più accentuata.
In Romania stiamo parlando di decine di migliaia di persone, e molte di loro sono tornate nei
villaggi dove sono nati e dove vivono i loro vecchi genitori. Se l'epidemia colpisse un villaggio, o
una piccola città rurale, assicurare personale medico a sufficienza sarebbe un vero problema.
I paesi dell'est Europa hanno adottato una serie di misure restrittive, dall'interruzione dei
collegamenti e dei viaggi fino alla chiusura di scuole e università. Ma si teme che il numero
relativamente basso di test effettuati non rifletta la vera portata dell'epidemia da queste parti.
L'esodo massiccio di medici e infermieri verso l'Occidente, soprattutto la Germania, potrebbe
rivelarsi un grosso ostacolo nella lotta contro l'epidemia. Il personale medico in pensione è stato
richiamato in servizio e gli studenti di medicina laureati sono stati invitati a offrirsi volontari per i
turni in reparto. I funzionari promettono bonus speciali.
Ciò che davvero preoccupa i romeni è la reazione del sistema sanitario di fronte ad un possibile (e
per nulla improbabile) aumento dei casi di coronavirus. Sono ancora fresche nella memoria le
immagini dell’autunno 2015, quando molti dei giovani rimasti coinvolti nell’incendio del club
Colectiv sono poi deceduti a causa di infezioni contratte in ospedale.
Sono passati quasi quattro mesi dall'accertamento del nuovo coronavirus nella città cinese di
Wuhan, da dove è successivamente dilagato nell'intero mondo, sconvolgendo la vita di tutti. Ad un
certo momento, la pandemia finirà, però gli effetti saranno consideveroli.
A differenza della crisi sanitaria, che genera effetti immediati, quella economica comporta
implicazioni sociali già risentite e che saranno evidenti a breve e medio termine. Il tenore di vita
sarà intaccato soprattutto quando la crisi sanitaria passerà o decrescerà "gli insegnamenti" delle crisi
atraversate dalla Romania, con effetti economici e sociali, indicano che il ripristino del potere
d'acquisto anteriore dura almeno cinque anni.
I redditi della popolazione sono già parzialmente ridotti dalla pandemia, e i più colpiti sono i
dipendenti in cassa integrazione, dal momento che sono stati sospesi più di un milione di contratti di
lavoro. In ugual misura, sono colpite dalla crisi l'occupazione informale, l'agricoltura di sussistenza
- settore in cui resta sconosciuto il numero dei lavoratori - ma anche le persone rientrate di recente
dall'estero e non hanno un reddito.
Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la Romania vedrà quest'anno un deficit pari
all'8,9% del PIL, cioè circa 19 miliardi di euro, e un calo del PIL in termini reali del 5%. Per
sostenere il deficit, i sociologi propongono negoziati urgenti con il Fondo Monetario Internazionale
e una tassa di solidarietà. Raccomandate, inoltre, politiche relative alle pensioni e ai salari, come
l'abrogazione o la proroga dell'applicazione della Legge sulle pensioni, adottata nel 2019, l'aumento
del punto pensione a seconda dell'inflazione, incrementi salariali solo per compensare il tasso
dell'inflazione, oppure la reintroduzione di uno schema nazionale unitario di retribuzione
nell'amministrazione locale.