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Le occasioni perdute e le nuove occasioni, il Sud e fondi europei

L’obiettivo iniziale e l’obiettivo principe dell’unione europea è quello di creare un mercato comune unico e
in concorrenza, dove tutti gli Stati membri possano liberamente scambiarsi persone, merci e capitali. Fin dai
tempi dei trattati istitutivi si notò che fosse praticamente impossibile arrivare a competere equamente
all’interno del mercato comune a causa dei fortissimi squilibri all’interno di un’Europa che era sempre stata
divisa (anche) economicamente e martoriata dalla guerra in modo diverso. Aprire i confini nazionali in
quelle condizioni portò a peggiorare una situazione già complessa, in quanto i territori già forti
economicamente portarono a sé migliaia di vera e propria manovalanza stagionale proveniente dei territori
più deboli (Sud Italia in primis), riducendo la forza lavoro lì presente e indebolendo ancora di più il già
fragilissimo panorama economico (il disastro di Marginelle è la fotografia più forte e dolorosa di questo
periodo). Per questo motivo si crearono diversi fondi europei, finanziati dagli stessi membri, il cui importo
venne ridistribuito non agli Stati, ma direttamente alle regioni che si trovavano in difficoltà economica. La
commissione definì come parametro per identificarle il pil regionale in rapporto al pil Europeo. Dal 1989
(primo ciclo di fondi) tutte le regioni che avevano un pil pro-capite inferiore al 75% di quello Europeo
ebbero ingentissime somme di denaro, denaro devoluto direttamente alle autorità territoriali, senza
intermediazione Statale. L’Italia era lo Stato con più territori in difficolta, infatti tutte le regioni del Sud, le
Isole e anche l’Abruzzo avevano un pil inferiore al 75% di quello Europeo. Insieme all’Italia tante altre
regioni Europee usufruirono dei fondi (l’Irlanda, il Portogallo, alcune regioni Francesi, Inglesi, Spagnole, la
ex DDR, l’Epiro e tutti gli stati dell’ex patto di Varsavia).
Questa la situazione nel primo ciclo 1989-1993
Questa la situazione nel ciclo appena concluso 2014-2020, le zone di sottosviluppo (rosse nella cartina) in
Italia permangono.

A distanza di 31 anni tutti i territori Europei grazie a questi fondi di coesione hanno migliorato le proprie
condizioni economiche e sociali. Ciò è stato possibile con investimenti in infrastrutture pubbliche, progetti
di potenziamento scolastico (PON e POR) e fondi alle imprese private. Questo ha portato a pareggiare o
addirittura superare il Pil medio Europeo.

Solo una nazione non ha sfruttato questa occasione: l’Italia, dove i territori già depressi nel 1989 hanno
continuato ad arrancare nel pantano del sottosviluppo economico, nonostante la pioggia di miliardi arrivata
negli anni.

Le domande da porci quindi sono queste: come è possibile che il Sud non cresca come gli altri territori
depressi dell’Ue? Per quale motivo nonostante siamo il paese che riceve fondi da più tempo, i risultati sono
sempre gli stessi?

La risposta comprende svariati problemi interconnessi tra loro tra cui i tempi della burocrazia, la zavorra del
debito pubblico, il barocchismo di procedure Europee e nazionali sulla distribuzione dei fondi ed infine,
dulcis in fundo, un grande lassismo e superficialità delle amministrazioni territoriali, francamente incapaci
di gestire con un’ottica di lungo periodo i fondi a loro devoluti.

Il lassismo è facilmente spiegabile con pochi esempi. I fondi europei hanno durata settennale; se questi
soldi non vengono stanziati nel tempo stabilito (tre anni) tornano al mittente, quindi è importante
spenderli. Spesso però la programmazione degli interventi è inesistente fino a pochi mesi prima della
riconsegna, quindi le amministrazioni territoriali devolvono ingentissime risorse per interventi “polvere,”
ossia finanziare progetti semplici, poco dispendiosi ed economicamente inutili con il solo obiettivo di
spendere tutto quello che hanno. Un altro esempio è quello di devolvere i fondi europei ad interventi
pubblici già in corso, o addirittura terminati già finanziati precedentemente con risorse nazionali, con il solo
obiettivo di usare questi fondi che altrimenti andrebbero persi e risparmiare le già centellinate risorse
nazionali; è il caso della Metropolitana di Napoli. Il problema in questo caso è che si ha la possibilità di
duplicare gli investimenti (nazionali ed europei) ma si sceglie di usare solo gli investimenti europei, che
vanno a coprire le infrastrutture e piani pensati e finanziati con fondi nazionali.

Queste sono le occasioni perdute del Sud per crescere: con la valanga di euro devoluti si potrebbe
ridisegnare il panorama economico e sociale digitalizzando, puntando sulla green economy, con un piano
infrastrutturale degno da paese del primo mondo, potenziando il tessuto lavorativo e scolastico con
progetti di formazione e introduzione nel mondo del lavoro efficaci. Si potrebbe, si, ma si preferisce
spendere in fioriere o in ristrutturazioni inutili; si preferisce finanziare con fondi europei progetti già
finanziati da risorse nazionali, si preferisce guardare il dito piuttosto che puntare alla Luna. Ma si sa, chi è
ragion del suo male pianga sé stesso, e stavolta abbiamo da piangere sul serio, soprattutto se ci affacciamo
al balcone e vediamo come gli altri Stati hanno utilizzato i fondi in maniera oculata, crescendo grazie
all’integrazione europea (Polonia e Irlanda in testa).

Guardando in avanti la situazione non è così disastrosa come può sembrare in un primo momento, non
mancano i fondi o le possibilità, manca la voglia, manca la propensione al lungo periodo, manca la capacità
di una certa amministrazione di rischiare e prendersi i meriti delle proprie scelte. Nulla di insormontabile
però. Ecco perché nuove occasioni.

Nuove occasioni che si vedranno nel nuovo ciclo 2021-2028 e soprattutto nelle deroghe alla farraginosa
procedura di devoluzione e utilizzo dei fondi causa Covid 19. Pare infatti che sarà possibile non
riconsegnare più i fondi devoluti e ci sarà la possibilità di utilizzarli per ambiti e settori non menzionati nei
cicli precedenti, con un forte implemento per la sanità pubblica e la ricerca scientifica. Tutto è ancora in uno
stato pressoché magmatico, solo i prossimi summit europei delineeranno meglio la situazione e ci faranno
scoprire le nuove opportunità, facendo finta le che vecchie non ci siano state, della politica di integrazione
europea.

I fondi di coesione europei hanno livellato le regioni ed i territori sottosviluppati per meglio integrarli nel
mercato comune. Dopo 31 anni solo il Sud Italia non ha colto questa importante occasione, continuando ad
arrancare nel pantano del sottosviluppo, nonostante la pioggia di miliardi arrivata negli anni. Ma dalle
occasioni perse si può migliorare, impegnandosi.

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