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L’Agenda 2030

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma di azione internazionale, il cui


scopo consiste nel promuovere uno sviluppo sostenibile globale. Sono 193 gli Stati membri
ONU che hanno sottoscritto l’Agenda 2030 nel settembre 2015, tra cui l'Italia, individuando
17 obiettivi “comuni”, in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o
traguardi. Sono “comuni” gli obiettivi che riguardano non solo tutti i Paesi, ma anche tutti gli
individui perché “nessuno è escluso, né deve essere lasciato indietro, sulla strada che
conduce allo sviluppo sostenibile”. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile
ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei
prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.
Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
(Millennium Development Goals) che li hanno preceduti e rappresentano obiettivi comuni su
un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della
fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni.
Per quanto concerne i Paesi firmatari dell'Agenda, ognuno di essi ha lavorato, a seguito
della sottoscrizione del piano internazionale, al proprio programma per lo sviluppo
sostenibile. In Italia, in particolare, è stata approvata la Strategia Nazionale di Sviluppo
Sostenibile, i cui principi ispiratori sono quattro: integrazione, inclusione, universalità e
trasformazione.

Green Deal europeo


Nel maggio 2020, è stato approvato il Green Deal europeo, un insieme di iniziative politiche
proposte dalla Commissione europea con l'obiettivo generale di raggiungere la neutralità
climatica in Europa entro il 2050, nell’ottica di dare luogo ad un’economia moderna,
efficiente e competitiva, senza emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050,
un'economia in cui la crescita economica sia dissociata dall'uso delle risorse e nessuna
persona o luogo sia lasciato indietro.
Il piano include possibili tasse sul carbonio per i Paesi che non riducono le loro emissioni di
gas ad effetto serra alla stessa velocità degli altri. Il programma comprende anche:
-un piano d'azione per l'economia circolare;
-un controllo e un'eventuale revisione di tutti gli strumenti politici pertinenti relativi al clima,
compreso il Sistema di scambio di quote di emissione;
-la strategia "Dal produttore al consumatore" e uno spostamento dell'attenzione dalla
compliance alla performance (che premierà gli agricoltori per la gestione e lo stoccaggio del
carbonio nel suolo, per una migliore gestione dei nutrienti, per la riduzione delle emissioni...);
-una revisione della Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici che esamina da vicino
le sovvenzioni ai combustibili fossili e le esenzioni fiscali (trasporto aereo, trasporto
marittimo);
-una strategia di mobilità sostenibile e intelligente e un piano forestale dell'UE. Quest'ultimo
avrà come obiettivi fondamentali il rimboschimento, la tutela e il recupero delle foreste in
Europa.

Next Generation EU
Il Next Generation EU (NGEU), meglio noto in Italia con il nome informale di Fondo per la
ripresa (in inglese Recovery Fund), è un fondo dal valore di 750 miliardi di euro approvato
nel luglio del 2020 dal Consiglio europeo al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla
pandemia di COVID-19. Il fondo NGEU copre gli anni 2021-2023 e sarà accompagnato dal
bilancio 2021-2027 dell'UE, per un valore totale di 1824,3 miliardi di euro.
Il fondo NGEU mira ad arginare i danni causati dalla pandemia di COVID-19, rilanciando
l'economia attraverso investimenti nell'economia verde e nel digitale.
I fondi saranno erogati attraverso 390 miliardi di euro di sovvenzioni e 360 miliardi di euro in
prestiti a lunga durata e dovranno essere rimborsati entro il 2058.
Il 30% dei fondi è destinato al cosiddetto Green New Deal, in conformità con l'accordo di
Parigi sul clima.
Per ricevere sostegno, gli Stati membri - valutati tecnicamente dalla Commissione - devono
preparare dei piani e dei progetti nazionali, che comprendano obiettivi e costi stimati. Alla
fine, il Consiglio europeo approverà le proposte attraverso una maggioranza qualificata.
Ogni stato membro che intende utilizzare questi investimenti deve destinare il 37% della
spesa all'economia verde e il 21% agli investimenti digitali.

PNRR
Per accedere ai fondi di Next Generation EU, ogni Stato membro è tenuto a presentare un
piano per definire un pacchetto coerente di riforme e investimenti per il periodo 2021-2026.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR; in inglese Recovery and Resilience Plan)
è il piano approvato nel 2021 dall'Italia per rilanciarne l'economia dopo la pandemia di
COVID-19, al fine di permettere lo sviluppo verde e digitale del Paese.
Il termine ripresa vuole indicare l'impatto economico e finanziario che intende determinare
l'attuazione di questo Piano, che si propone di ricostruire un tessuto economico e sociale
coniugando e incentivando le opportunità connesse alla transizione ecologica e digitale così
da poter creare occupazione, migliorando al contempo la qualità del lavoro e i servizi di
cittadinanza, in primis quelli incentrati sulla salute e l’istruzione. Il termine resilienza in
questo contesto intende evidenziare le capacità di reazione a quanto accaduto insite in tutti
gli attori (Stato, imprese, cittadini), la capacità di reagire senza subire.
Il PNRR si struttura in quattro aree: 1. Obiettivi generali; 2. Riforme e Missioni; 3. Attuazione
e monitoraggio; 4. Valutazione dell'impatto macroeconomico
Il PNRR annovera tre priorità trasversali condiviso a livello europeo (digitalizzazione e
innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale) e si sviluppa lungo 16 Componenti,
raggruppate in sei missioni: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura;
Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica; Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile;
Istruzione e Ricerca; Inclusione e Coesione; Salute. Per ogni Missione sono indicate le
riforme necessarie per una più efficace gestione e realizzazione degli interventi. A sua volta,
si distinguono 63 riforme all'interno del Piano, suddivise in riforme orizzontali, riforme
abilitanti, riforme settoriali e riforme concorrenti.

Parallelismo piano Marshall e pnrr


“L’Europa ha bisogno di un nuovo Piano Marshall”, così si è espressa il 14 aprile la
presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, indicando un modello di
riferimento la cui carica simbolica ancora attraversa l’opinione pubblica mondiale.
Dall’ufficializzazione del piano di ripresa economica ideato per risanare l’economia europea
in seguito alla pandemia da Coronavirus, è stato da subito notato il parallelismo con
l’European Recovery Plan, noto anche come “Piano Marshall”, che interessò l’Europa del
dopoguerra e fu finalizzato alla sua ricostruzione economica. I due piani sono stati spesso
paragonati per il fine comune che si può riscontrare, per la dimensione europea che ne
contraddistingue i caratteri, oltre che per l’ammontare complessivo di aiuti economici simile.
Risulta quindi importante andare ad individuare quelle che sono le analogie e le differenze
del Piano Marshall e Recovery Fund. Nonostante questo paragone sia stato spesso criticato,
le analogie non mancano. Si parla, in entrambi i casi, di progetti volti a far riprendere
l’economia dell’Europa in seguito ad eventi – la Seconda guerra mondiale e la pandemia da
Covid-19 – che si sono rivelati distruttivi per la stabilità finanziaria che caratterizzava i paesi
dell’eurozona, introducendo aiuti economici che hanno permesso di attuare una strategia di
investimenti in settori ritenuti strategici per il rilancio delle economie. Allora come oggi, molte
furono le polemiche che si verificarono prima di accettare il Piano, così come simile fu
l’atteggiamento degli Stati di propulsori per la ripresa economica rispetto ad un
atteggiamento considerato troppo passivo e disinteressato di fronte a tali problematiche.
Ad eccezione del numero dei Paesi interessati – 16 nel caso del Piano Marshall, con la
Spagna rimasta esclusa in quanto in piena dittatura e con la Germania che vi aderì in
secondo momento (nel 1949), e 27 con il Recovery Fund, tutti appartenenti all’Unione
europea al di fuori della Turchia – e della durata dei due piani, 4 anni per l’European
Recovery Plan e 6 anni per il Recovery Fund, tra le differenze principali risulta il modo in cui
questi sono stati finanziati. Il Piano Marshall è stato finanziato interamente dagli Stati Uniti e
dalla popolazione americana, da un paese terzo rispetto agli Stati destinatari; al contrario, il
Recovery Fund è finanziato, seppure in maniera indiretta, dagli stessi Stati a cui sono
destinate le risorse, con l’Unione europea che funziona da tramite. un’altra grande
differenza risiede nella tipologia di aiuti forniti agli Stati dell’Ue. Nel caso del Piano Marshall
vennero inviati aiuti economici sotto forma di liquidità e prestiti, ai quali però furono
affiancate un gran numero di materie prime, merci e macchinari industriali. Per quel
che riguarda il Recovery Fund, gli aiuti che verranno destinati agli Stati membri saranno
esclusivamente di natura monetaria, tramite l’erogazione di prestiti e sovvenzioni; è poi
compito del singolo paese di decidere in che modalità e in quale quantità destinare tale
somma ai settori maggiormente colpiti, tenendo sempre conto delle indicazioni date dalla
Commissione europea. L’intenzione del Recovery Fund è quella di implementare gli
investimenti in determinati settori seguendo precise condizioni in termini di riforme strutturali;
il Piano Marshall, invece, consentì di ad alcune nazioni di ricostruire ex novo interi settori. Il
principale beneficiario del PM fu il Regno Unito, seguito dalla Francia, dall’Italia e dalla
Germania. Qui sorge un’ulteriore differenza, nel caso del Next Generation EU la Gran
Bretagna è rimasta esclusa, causa Brexit, e l’Italia risulta essere la maggiore destinataria dei
fondi. . Il Piano Marshall è nato con chiari intenti geopolitici, con gli Stati Uniti che si sono
fatti promotori del rilancio dell’economia dell’Unione europea per contrastare l’avanzata del
socialismo e quindi per contrapporsi alla potenza di Mosca. (il fine ultimo di creare quella
solidarietà occidentale che agli Stati Uniti serviva come presupposto per rinsaldare la loro
posizione negli anni di inizio della Guerra Fredda). Il Recovery Fund nasce invece come
forma di iniziativa e cooperazione dell’Unione europea a 27 Stati del post-Brexit,
caratterizzato da un controllo condiviso dei fondi messi a disposizione. Il Piano Marshall
mirava a ripristinare una maggiore presenza dello Stato nei settori sensibili dell’economia e
a combattere le barriere e i dazi presenti nel mercato. il Next Generation Eu ripropone la
stessa volontà all’insegna di un’idea di modernizzazione e produttività più equa e
sostenibile.
ius scholae

In questo caso, si parla di un provvedimento che potrebbe consentire ai minori stranieri di


ottenere la cittadinanza italiana, sempre a certe condizioni legate in questo caso non solo
alla nascita quanto al loro percorso scolastico.
Secondo il testo sullo Ius scholae pronto per essere dibattuto dall’Aula della Camera, la
cittadinanza italiana può essere acquisita da:

-il minore nato in Italia da genitori stranieri;


-il minore straniero che ha fatto ingresso in Italia prima di compiere i 12 anni di età.

Il requisito della minore età viene considerato al momento della presentazione della richiesta
di cittadinanza.
Il bambino o ragazzino deve avere la residenza legale in Italia e deve aver frequentato
regolarmente nel nostro Paese per almeno cinque anni:
-uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione;
-oppure percorsi di formazione per il conseguimento di una qualifica professionale.
Se il percorso fatto riguarda la scuola primaria, viene richiesta una positiva conclusione del
ciclo.

Per ottenere la cittadinanza italiana di uno dei minori aventi diritto occorre una dichiarazione
di volontà espressa in tal senso entro il compimento dei 18 anni dell’interessato. La
dichiarazione va fatta da un genitore legalmente residente in Italia o da chi esercita la
responsabilità genitoriale all’ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza del minore.
Nel caso in cui non venga fatta questa dichiarazione di volontà, l’interessato può presentare
richiesta di cittadinanza sempre all’ufficiale di Stato civile del Comune di residenza entro due
anni da quando ha compiuto i 18 anni.
Nello stesso periodo di tempo, cioè prima di compiere i 20 anni, nel caso in cui l’interessato
avesse ottenuto la cittadinanza, potrebbe rinunciare al passaporto italiano se ne avesse uno
di un altro Paese.

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