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Prefazione

di Eric Jozsef

Per decenni, si è pensato che la marcia in avanti dell’Europa fosse inesorabile. Magari a
piccoli passi. Magari con alcuni passi di lato. Ma con l’idea che la pace – in un continente
segnato, nel passato, dalle sofferenze delle guerre –, la democrazia – in uno spazio
geografico a lungo diviso e sopraffatto dai totalitarismi – e il benessere economico e sociale
sviluppati per scardinare il ritorno di vecchi fantasmi, fossero garanzie per continuare ad
associare costruzione dell’Unione e progresso. Era il periodo in cui i dirigenti dei Paesi
europei pensavano, illusoriamente e ingenuamente, che un bel giorno, dopo una lunga notte
serena, i popoli si sarebbero svegliati cittadini di un’Europa una e unita. Ma la notte si è fatta
incubo. La storia del mondo è cambiata a una velocità spaventosa (tra fine dei due blocchi,
rivoluzione tecnologica, emergere di nuove potenze ed esplosione demografica di più di
200.000 persone per giorno, circa una città come Trieste ogni 24 ore) e i cittadini hanno
cominciato a perdere punti di riferimento dando prioritariamente la colpa delle loro angosce
a un’Europa incompleta, lenta, burocratica e ancora sottomessa ai diktat dei singoli governi
nazionali. La crisi economica iniziata con il crac finanziario del 2008 è stata l’acceleratore di
questa sfiducia, perché si era «venduta» l’Europa come una convenienza economica più che
come un grande progetto comune. Venuta meno la convenienza immediata e visibile, la
prospettiva di questa avventura collettiva straordinaria e unica nelle sue forme di pace, di
modello economico, sociale, ambientale, di rispetto delle minoranze e dei diritti civili è stata
rimessa in discussione. Pertanto, bisogna ripartire. Urge rilanciare, riformare, ritrovare un
orizzonte comune mettendo in evidenza che solo un’Europa forte e unita può essere rimedio
e soluzione per i cittadini europei. Solo un’Unione europea decisa e coesa è capace di
imporre delle regole a un capitalismo finanziario senza freni. Solo un’Europa unita è in
grado di correggere gli squilibri provocati dalla mondializzazione, di suggerire nuove regole,
di inventare nuove soluzioni. Nessun singolo Paese, compresa la Germania, può pensare di

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contare nel mondo di domani. Nel 2050 non ci sarà più nessun Paese europeo nel G20.
Mentre insieme siamo, ancora e malgrado la crisi, la prima potenza economica del mondo
con un’attenzione al sociale senza paragoni. L’UE rappresenta il 50% delle spese mondiali
nel sociale. È questo il modello di civiltà che bisogna difendere, evitando che mere
operazioni contabili creino, come in Grecia, sacche di inaccettabile povertà. Per questo
bisogna riprendere il cantiere delle proposte, delle riforme, delle speranze. Questo si potrà
fare solo ricordando, come scrive Alessia Mosca in questo piccolo testo, sintetico ed efficace,
le ragioni della costruzione dell’Unione, evocando le radici del nostro passato comune,
mostrando le realizzazioni, le possibilità offerte già oggi ai cittadini e le formidabili
potenzialità dell’Europa. L’Europa è, oggi, a un bivio cruciale. È il bivio dell’accelerazione,
del salto politico verso una forma di Stati Uniti d’Europa o la progressiva decomposizione
del sogno europeo che porterà a un declino per tutti. «Senza Europa politica resta solo
l’Europa tecnocratica» scrive Alessia Mosca, che sottolinea giustamente quanto le vicine
elezioni europee saranno decisive. Solo i cittadini, in particolare attraverso i loro
rappresentanti al Parlamento di Strasburgo, saranno in grado di spingere i capi di Stato e di
Governo nazionali a fare il salto per un nuovo cammino comune verso un’Europa più forte,
più unita e più equa. «Le dodici stelle [della bandiera europea, ndr] significano per me che si
potrebbe vivere meglio su questa terra» concludeva Vaclav Havel nel 1990, pochi mesi dopo
la caduta del Muro di Berlino, «solo se, ogni tanto, si alzasse gli occhi a guardare le stelle.»

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Introduzione

Le decisioni in Europa vengono prese dal Consiglio, dalla Commissione, dalla BCE o dal
Parlamento europeo? Perché Obama, per risolvere la crisi ucraina, non ha potuto fare altro
che chiamare Angela Merkel invece che l’Alto rappresentante per la Politica estera europea?
La maggior parte degli italiani e degli europei, non per colpa loro, non sa rispondere a
queste domande. L’Unione europea è stretta tra una mancanza di trasparenza dei
meccanismi decisionali e un’incompletezza del processo di unificazione. I risultati sono la
disaffezione dei cittadini europei, dimostrata ampiamente negli ultimi anni, e l’incapacità
dell’Europa di far valere la propria voce sui temi che oggi veramente contano su scala
globale. Credo che siamo sul punto di buttare via un’enorme opportunità costruita
sull’incredibile intuizione e sul lavoro dei padri fondatori dell’Unione europea. Io sono
profondamente convinta che l’unica via d’uscita possibile sia quella di un’apertura delle
istituzioni a noi europei e un completamento del processo di integrazione. In più l’Italia,
storicamente il Paese più euro entusiasta, è quasi sempre agli ultimi posti in Europa a livello
di europeizzazione, intesa per esempio come utilizzo dei fondi comunitari, mentre è ai primi
posti per numero di procedure di infrazione per mancato recepimento di direttive
comunitarie. Inoltre, sembra che il nostro Paese subisca decisioni prese altrove, invece che
concorrere alla loro formazione a livello europeo. Perché? La nostra classe dirigente, a
partire da quella politica, ha investito poco sull’Europa. A parte rari casi, abbiamo avuto
rappresentanti poco avvezzi alle dinamiche internazionali e spesso neppure in grado di
parlare una lingua straniera. Se non si cambia anche su questo versante, il rischio di essere
tagliati fuori sarà sempre più reale. Il semestre europeo di presidenza italiana è dunque
un’opportunità per consentirci anche di risalire dal rango di «Paese periferico» a quello di
«Paese fondatore » dell’UE. Sono passati 10 anni dal 2003, da quando l’Italia presiedette un
altro semestre europeo da non rimpiangere. L’inizio fu pessimo in quanto nella seduta del
Parlamento europeo del 2 luglio il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che si
insediava nella carica europea, ebbe uno sgradevole scontro con Martin Schulz, allora
vicepresidente del gruppo parlamentare socialista. Poi venne la violazione del vincolo sul

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deficit da parte di Francia e Germania che si auto- esentarono dalle sanzioni senza che l’Italia
volesse o potesse fare nulla. Per evitare di essere il notaio di decisioni altrui, l’Italia del 2014
dovrebbe focalizzarsi su poche e concrete iniziative politico-economiche connesse alle varie
scadenze europee.

Negli ultimi anni e soprattutto nel corso degli ultimi mesi – per via del mio ruolo di
capogruppo in commissione Politiche europee alla Camera – ho avuto modo di ascoltare
molte persone sul tema dell’Europa, la maggior parte delle quali erano accomunate da una
qualche forma di aspettativa che è rimasta disattesa. Ho raccolto qualcuna delle loro storie
(nelle quali è possibile che ogni lettore ritrovi qualche pezzo della propria, di storia). Se ne
ricava in generale che i problemi dell’Europa e della sua relazione con i cittadini si articolano
su diversi livelli: l’attuale organizzazione dell’Unione europea, percepita dalle persone come
un gruppo di tecnocrati che “assegnano i compiti a casa” agli Stati membri e alle loro
popolazioni; la sensazione di un’Unione “zoppicante” per l’eterogeneità normativa che
rende complicato sentirci più “cittadini europei”; le difficoltà di comunicazione e
comprensione. Se da un lato l’Unione europea ha già messo in atto possibili soluzioni alle
nostre richieste che noi non sfruttiamo, dall’altro l’Europa esiste già, è fortissimamente
presente nella nostra quotidianità, solo che non lo sappiamo. Vi racconterò nel capitolo 1
qualche esempio di opportunità, che spesso non sfruttiamo perché non le conosciamo,
partendo da storie vere. Questo capitolo è anche una sorta di vademecum non esaustivo di
informazioni e occasioni da cogliere. Nel capitolo 2 invece sono raccolti esempi concreti di
come l’Europa ci renda la vita più facile e più sicura molto più di quanto non immaginiamo.
Nel capitolo 3 mi soffermerò poi brevemente su una ricostruzione storica delle nostre radici
europee, letta attraverso la mobilità dei confini, fisici e immateriali. I capitoli 4, 5 e 6
delineano le criticità dell’Unione europea e del ruolo dell’Italia nell’UE. Il capitolo 7, infine,
individua, sulla base di queste criticità, alcuni spunti di lavoro circoscritti ma simbolici, vicini
alle esigenze quotidiane dei cittadini europei. Perché l’Europa è fatta in primis dalle persone
che ci vivono e che vogliono viverci bene oggi e meglio domani. E gli italiani, più degli altri,
potranno salvare se stessi solo costruendo ponti verso l’Europa e usando questi ponti come

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trampolini verso il domani. Ogni ponte inizia sempre con un progetto tracciato su una
pagina bianca, e io spero di contribuire alla sua costruzione. Ho scritto queste pagine nel
tentativo di elaborare sia una diagnosi sia possibili soluzioni, senza pretesa di esaustività su
un tema così complesso. Vi chiedo perciò la pazienza di seguire il ragionamento che ho
cercato di rendere quanto più scorrevole e semplice possibile. Pur sapendo che, oggi,
l’Europa semplice non è.

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