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Un’Italia che aveva avviato una trasformazione progressiva delle basi economiche e
sociali, nella quale finalmente il mondo del lavoro potesse avere un ruolo centrale,
superando così la politica antioperaia del periodo fascista, ma anche il conservatorismo
prefascista che aveva escluso dalla vita del paese le grandi masse popolari. E anche se
tutto ciò non è stato pienamente realizzato, nessuno che abbia sinceri sentimenti
democratici può seriamente pensare che i limiti e le difficoltà che l’Italia ha sofferto in
questi decenni possano essere sanati smantellando la Costituzione e le istituzioni
democratiche.
Peraltro, in Italia si molto diffusa negli ultimi decenni una moda: sminuire la ferocia del
nazifascismo, e per paradosso denigrare i partigiani, e con loro la Resistenza
antifascista, cioè chi ha portato la pace, la libertà e la democrazia.
Finalmente dopo l’8 settembre del ’43 iniziò la Resistenza, la guerra di Liberazione che i
partigiani, uniti con gli Alleati, portarono avanti fino al 25 aprile del 1945 con l’obiettivo di
risollevare l’Italia dal fango nel quale l’aveva gettata il regime mussoliniano, che
irresponsabilmente aveva trascinato il nostro paese nella guerra voluta dal nazismo. Ma
non contenti di ciò i fascisti, anche dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia e la firma
dell’armistizio, continuarono a stare dalla parte della barbarie dei nazisti seguendoli nella
loro folle azione di sterminio e di annientamento.
Per responsabilità del fascismo, l’Italia era precipitata , e continuava a precipitare nel
baratro della guerra e della miseria. Solo l’azione unitaria e di massa del popolo italiano
avrebbe potuto, come in effetti poi accadde, salvare il nostro paese da una catastrofe.
Ma per comprendere ancora meglio quale rischio mortale abbia corso l’Italia, (anche
perché senza la Resistenza e lo sganciamento dalla Germania hitleriana gli Alleati ci
avrebbero punito ancor più severamente), basta porsi la domanda ovvia ed elementare
su quali sarebbero state le conseguenze della vittoria dei repubblichini di Salò alleati coi
tedeschi, invece di quella dei partigiani combattenti dalla parte degli alleati nella guerra
antinazista. Non sarebbe stata forse la perpetuazione, anzi il rafforzamento del dominio
del nazismo sull’intera Europa? Quale futuro avrebbe avuto la nostra patria?
La Resistenza, dunque, come punto alto della storia italiana (una delle quattro R:
Rinascimento, Risorgimento, Resistenza, Repubblica) perché ha visto il protagonismo
dell’intero popolo italiano, che umiliato dal ventennio fascista e dalla Seconda guerra
mondiale, seppe trovare la forza materiale e morale per riscattarsi e risorgere. Peraltro,
nel nostro Paese non era mai venuta meno l’attività antifascista, che con grande
sacrificio le forze democratiche e di sinistra avevano portato avanti contro il totalitarismo
fascista. Le formazioni partigiane testimoniavano, non a parole, la critica che il popolo
italiano aveva sviluppato negli anni della dittatura; e con la loro forza organizzativa, con i
loro ideali, con il loro sacrificio dimostravano l’esistenza di un’altra Italia. Di quell’Italia
che non voleva tornare allo stato liberale pre−fascista frutto di una borghesia che pur di
non allargare le basi dello stato alle grandi masse popolari, rappresentate in quel
contesto dai socialisti e dai cattolici, fece una rapida virata a destra e preferì distruggere
l’ansimante stato liberale piuttosto che dare riconoscimento politico e sociale alle classi
subalterne.
La nuova Italia doveva essere democratica, perché le masse popolari non potevano più
soffrire l’esclusione del secolo precedente, e antifascista, perché il fascismo aveva
rappresentato la pagina più buia e il momento più basso dell’intera storia italiana.
Per questo la nostra Costituzione non è “concessa dall’ alto”, con le caratteristiche
tipiche della costituzioni concesse dall’alto, cioè flessibile, breve, liberal−moderata, ma
“conquistata”, strappata, e dunque avanzata perché rigida, lunga, democratico-sociale.
Insieme alla democrazia politica c’è un preciso impegno a realizzare anche quella
economica e tanti articoli hanno una visione sociale, che ha permesso, pur con aspre
battaglie, al mondo del lavoro di progredire e di avere un’esistenza degna di essere
vissuta.
Aver richiamato le radici e l’origine della nostra Costituzione vuol dire guardare ad essa
non solo come un documento, ma anche come un processo, nel senso che appare
formata da norme programmatiche che spetta alle varie componenti della società italiana
rendere concrete. La Costituzione ha accompagnato le trasformazioni e i cambiamenti
dell’Italia repubblicana dal 1948 ad oggi, funzionando come sistema regolatore di questi
cambiamenti: dimostrando così una grande ricchezza di ispirazione.
Analizzando sinteticamente i punti salienti e i principi fondamentali, rileviamo che la
concezione lavorista trova la sua più solenne espressione nell’articolo 1, che definisce
l’Italia una Repubblica democratica, fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare;
tutto ciò per dire che il nostro sistema democratico non è basato sul censo o su
condizioni sociali acquisite ereditariamente. Il lavoro diventa valore fondante del nuovo
stato, i lavoratori partecipano con piena dignità alla vita politica e sociale del Paese.
L’articolo 3 afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono pari
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (comma 1)
L’articolo 5, oggi di nuovo al centro dello scontro politico visto il contrasto Stato-regioni
e delle regioni tra di loro, che così recita “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce
e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più
ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Così come occorrerebbe porre grande attenzione a quelle norme che riguardano i
rapporti economici; in particolare, gli articoli 41, 42 e 43 che spiegano come la libera
iniziativa privata è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o
in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica
e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Ma è tutto l’impianto dei principi fondamentali che risulta avanzato e ancora attuale: i
diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2) l’uguaglianza formale e sostanziale, l’unità e
l’indivisibilità della Repubblica, lo sviluppo della cultura, della ricerca scientifica e della
tecnica, “Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli o come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11)”.
In conclusione, possiamo citare le bellissime parole che uno dei padri costituenti, Piero
Calamandrei, usava nel suo libro “Uomini e città della Resistenza”:
<<Gli uomini della Resistenza volevano costruire un mondo giusto, dove tutti gli uomini
vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo conti veramente per uno, dove ogni cittadino
sia libero di esprimere la propria opinione dalla sua tribuna…per questo i martiri ci
chiedono di essere degni di loro, considerando la loro fine un punto di partenza che
doveva segnare ai superstiti il cammino verso l’avvenire>>