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Storia sociale

da

dell’arte
di Arnold Hauser

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:
Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte. Volume terzo.
Rococò Neoclassicismo Romanticismo, trad. it. di
Anna Bovero, Einaudi, Torino 1956 e 1987
Titolo originale:
Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, C. H. Beck,
München

Storia dell’arte Einaudi 2


Indice

rococò neoclassicismo romanticismo

i. La fine dell’arte aulica 4

ii. Il nuovo pubblico della letteratura 43

iii. Gli inizi del dramma borghese 95

iv. La Germania e l’illuminismo 113

v. La Rivoluzione e l’arte 148

Storia dell’arte Einaudi 3


rococò neoclassicismo romanticismo

Capitolo primo

La fine dell’arte aulica

È cosa comunemente risaputa che l’arte aulica, dopo


uno sviluppo quasi continuo dalla fine del Rinascimen-
to in poi, subisce nel secolo xviii un arresto per cedere
poi del tutto a quel soggettivismo borghese, che, in com-
plesso domina ancor oggi la concezione artistica; è meno
noto invece che certi caratteri della nuova tendenza
sono già palesi nel Rococò e che proprio a questo punto
si verifica la rottura con la tradizione aulica. Infatti, se
è vero che soltanto con Greuze e Chardin si entra nel
mondo borghese, è vero anche che Boucher e Largilliè-
re non ne sono piú molto lontani. La tendenza al monu-
mentale, al solenne, al patetico scompare già col primo
Rococò, per lasciare posto a un gusto del leggiadro e del-
l’intimo. Il colore e la sfumatura prevalgono fin dall’i-
nizio sulla linea grandiosa, salda, obiettiva, e la nota
della sensualità e del sentimento è d’ora in poi sempre
presente. Se dunque il Dix-huitième per certi aspetti
può sembrare una prosecuzione, anzi la piena matura-
zione del fasto e dell’albagia barocca, in realtà è ben lon-
tano dal considerare il grand goût* come lo stile unico e
indiscusso. Le sue creazioni, anche quelle destinate ai
ceti superiori, mancano ormai delle grandi, eroiche
dimensioni. Si tratta però sempre di un’arte molto
distinta, elegante, essenzialmente aristocratica, un’arte
per la quale i criteri di leggiadria e convenzione sono piú
validi di quelli di interiorità e spontaneità, un’arte che

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si realizza secondo uno schema fisso, universale, ripetuto


all’infinito, tant’è vero che l’elemento piú caratteristi-
co di essa è un eccezionale virtuosismo tecnico, per lo
piú affatto esteriore. Questi aspetti decorativi e con-
venzionali, di origine barocca, solo lentamente scom-
paiono dal Rococò, sostituiti via via da caratteri del
gusto borghese.
Contro la tradizione barocco-rococò si muove da due
direzioni diverse, che però convergono verso un mede-
simo ideale estetico, contrario al gusto di corte: da un
lato l’orientamento sentimentale e naturalistico di Rous-
seau e di Richardson, Greuze e Hogarth; dall’altro, il
razionalismo e il classicismo di Lessing e Winckelmann,
di Mengs e David. Entrambe queste correnti al fasto
aulico della tradizione oppongono un ideale di sempli-
cità e la serietà profonda di un costume puritano. Il pas-
saggio dall’arte aulica a quella borghese avviene in
Inghilterra prima e piú radicalmente che in Francia,
dove la tradizione barocco-rococò continua a vivere sot-
terranea e si fa sentire ancora nell’età romantica. Ma alla
fine del secolo anche in Europa l’arte dominante è un’ar-
te borghese. Magari è possibile distinguere in essa una
corrente progressista da una conservatrice, ma un’arte
viva che esprima gli ideali aristocratici e serva le ambi-
zioni della corte ormai non c’è piú. È raro nella storia
un mutamento di egemonia culturale e artistica altret-
tanto radicale di questo, che porta la borghesia a sosti-
tuire in tutto l’aristocrazia. Non meno raro è un capo-
volgimento del gusto deciso come questo, per cui alla
decorazione si sostituisce l’espressione.
Veramente non per la prima volta la borghesia impo-
ne il suo gusto. Già nei secoli xv e xvi in tutta Europa
aveva dominato un’arte di chiaro stampo borghese, che
solo nel tardo Rinascimento e nell’epoca manieristica e
barocca aveva ceduto di fronte al prevalere dello stile
aulico. Ma nel Settecento, quando la borghesia riacqui-

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sta potenza economica, sociale e politica, l’arte aulica


ufficiale, che frattanto si era imposta dovunque, torna
a scomparire e lascia il gusto borghese padrone assoluto
del campo. Nel Seicento, solo in Olanda si era avuta una
grande fioritura d’arte, assai piú coerente e radicale, nel
suo carattere borghese, di quella del Rinascimento, che
tanti elementi romantico-cavallereschi e mistico-religio-
si portava ancora con sé. Ma era rimasto un fenomeno
quasi del tutto isolato nell’Europa d’allora, e il Sette-
cento che dà inizio all’arte moderna non si ricollega
direttamente ad essa. Una vera continuità di sviluppo
manca anche perché la stessa pittura olandese nel corso
del Seicento era venuta perdendo molto del suo primi-
tivo carattere. In realtà le origini vere dell’arte della
moderna borghesia sono da ricercare, in Francia come
in Inghilterra, nel mutamento della società; solo questo
può spiegare il superamento del gusto aulico, a cui,
certo, i movimenti filosofici e letterari del tempo furo-
no stimoli piú forti di un’arte straniera, lontana nel
tempo e nello spazio.
Il processo che sul piano politico culmina nella Rivo-
luzione francese, e su quello artistico nel romanticismo,
comincia con la Reggenza, che mina la monarchia in
quanto principio di autorità assoluta, disgrega la corte
in quanto centro dell’arte e della cultura, e mette fine
al Barocco classicheggiante, in quanto diretta espressio-
ne della potenza e dell’orgogliosa sicurezza dell’assolu-
tismo. Del resto, il processo si prepara già durante il
regno di Luigi XIV. Le guerre interminabili dissestano
le finanze del paese; le casse dello stato si svuotano e il
popolo s’impoverisce, poiché staffile e carcere non val-
gono a creare contribuenti, come le guerre e le conqui-
ste non assicurano nessuna egemonia economica. È
ancor vivo il Re Sole, quando si fanno sentire le prime
critiche alle conseguenze dell’autocrazia. Già Fénelon è
abbastanza esplicito in proposito, ma Bayle, Malebran-

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che e Fontenelle vanno tanto oltre, da giustificare l’af-


fermazione che la «crisi dello spirito europeo», di cui è
piena la storia del secolo xviii, era già in atto fin dal
16801. Contemporaneamente, anche la critica del clas-
sicismo guadagna terreno e prelude alla fine dell’arte
aulica. Verso il 1685 si conclude l’epoca creativa del
Barocco classicheggiante; Le Brun perde la sua influen-
za e i grandi scrittori dell’epoca, Racine, Molière, Boi-
leau e Bossuet, hanno ormai detto la loro ultima parola
o, almeno, quella decisiva2. Con la querelle des anciens et
des modernes cominciano già quelle lotte fra tradizione
e progresso, antico e moderno, ragione e sentimento
che troveranno nel preromanticismo di Diderot e di
Rousseau la loro conclusione.
Negli ultimi anni di Luigi XIV stato e corte furono
governati dalla bigotta Madame de Maintenon. L’ari-
stocrazia si sentiva a disagio nell’atmosfera di cupa
solennità e di gretta devozione ormai imperante a Ver-
sailles. Quando il re morì, tutti trassero un sospiro di sol-
lievo, specie quelli che dalla reggenza di Filippo
d’Orléans si attendevano la liberazione dal dispotismo.
Il reggente considerava antiquato il sistema ammini-
strativo dello zio3 e iniziò il suo governo reagendo su
tutta la linea contro i vecchi metodi. Sul piano politico
e sociale tentò di rianimare la nobiltà, su quello econo-
mico favorì iniziative private, come quella di Law, e
quanto al modo di vivere dell’alta società portò un
nuovo stile e mise in voga edonismo e libertinaggio.
Cominciò cosí un processo di generale disgregazione, cui
non resistette nessuno degli antichi vincoli. Alcuni di
essi piú tardi si ricostituirono, ma il vecchio sistema fu
scosso dalle radici. Come primo atto di governo, Filip-
po annullò il testamento del defunto re, che prevedeva
il riconoscimento dei propri figli illegittimi. Cominciò
cosí il declino del prestigio del re, che, anche se la
monarchia assoluta si mantenne a lungo, non poté piú

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essere restaurato nella sua antica grandezza. Il potere


venne esercitato in modo sempre piú arbitrario, tutta-
via tradendo sempre piú un senso di insicurezza: situa-
zione che le famose parole del maresciallo di Richelieu
a Luigi XVI caratterizzano perfettamente: «Sotto Luigi
XIV non si osava aprir bocca, sotto Luigi XV si mor-
morava, ora si parla forte e senza riguardi». Chi voles-
se giudicare i rapporti di forza effettivi dalle ordinanze
e dai decreti del tempo cadrebbe, osserva Tocqueville,
in un ridicolo errore. Sanzioni come la celebre pena di
morte per chi componesse o diffondesse scritti contro la
religione e l’ordine pubblico rimanevano sulla carta. Nel
caso peggiore i colpevoli dovevano lasciare il paese e
spesso erano avvisati e protetti da quegli stessi funzio-
nari che avrebbero dovuto perseguirli. Al tempo di Luigi
XIV tutta la vita intellettuale stava ancora sotto la tute-
la del re; non si trovava appoggio se non presso di lui,
e tanto meno contro di lui. Ma ora appaiono altri pro-
tettori, altri mecenati, altri centri di cultura; e l’arte in
larga misura, la letteratura completamente, si sviluppa-
no lontano dalla corte e dal re.
Filippo d’Orléans trasporta la residenza da Versail-
les a Parigi, il che in fondo significa sciogliere la corte.
Il reggente è ostile a ogni restrizione e costrizione, a ogni
formalità; si sente a suo agio soltanto nella stretta cer-
chia degli amici. Il giovane re abita alle Tuileries, il reg-
gente al Palais Royal, i membri della nobiltà sono disper-
si fra castelli e palazzi e si divertono nei teatri, ai balli
e nei salotti della città. Il reggente e il Palais Royal rap-
presentano il gusto di Parigi, lo stile cittadino piú disin-
volto e agile di fronte al grand goût di Versailles. La
«città» non si contenta piú di vivere all’ombra della
corte, ne usurpa il posto e ne assume le funzioni cultu-
rali. La melanconica esclamazione della contessa palati-
na Elisabetta Carlotta, madre del reggente, «Non c’è piú
corte in Francia!», risponde alla realtà. E non si tratta

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di una situazione passeggera; una corte come l’antica


non ci sarà mai piú. Luigi XV ha gli stessi gusti del reg-
gente, anch’egli predilige le compagnie poco numerose;
e Luigi XVI si limita alla cerchia dei famigliari. Entram-
bi si sottraggono alle cerimonie, l’etichetta li annoia e li
irrita e, anche se in certa misura si continua a rispettarla,
perde gran parte della sua solennità. Alla corte di Luigi
XVI domina un tono intimo e per sei giorni alla setti-
mana i ricevimenti hanno l’aspetto di conversazioni pri-
vate4. L’unico luogo in cui, durante la Reggenza, si svi-
luppa in certo senso una vita di corte è il castello della
duchessa del Maine, a Sceaux, che diventa il teatro di
feste splendide, ricchissime e ingegnose, e insieme un
nuovo centro d’arte, una vera corte delle Muse. Ma gli
spettacoli della duchessa contengono il germe della defi-
nitiva distruzione della vita di corte: essi sono qualcosa
di intermedio fra la corte nel vecchio senso e quello che
è il suo erede spirituale, il salotto del Settecento. Cosí
la corte torna a dissolversi nei circoli privati, da cui si
era sviluppata come centro dell’arte e della letteratura.
Uno degli aspetti piú importanti del programma di
Filippo fu il tentativo di reintegrare negli antichi dirit-
ti e funzioni politiche gli aristocratici soggiogati da Luigi
XIV. Egli formò con membri dell’alta nobiltà i cosid-
detti Conseils, destinati a sostituire i ministri borghesi.
Ma l’esperimento dovette essere abbandonato dopo tre
anni, perché i nobili avevano perso l’abitudine agli affa-
ri pubblici e non prendevano piú alcun vero interesse al
governo dello stato. Essi disertavano le sedute e, volen-
ti o nolenti, si dovette tornare al sistema di Luigi XIV.
La Reggenza dunque, esteriormente, segnò l’inizio di un
recupero del prestigio aristocratico, che irrigidí i confi-
ni sociali e accrebbe le distanze fra i ceti; in sostanza
invece non arrestò la marcia della borghesia verso il
potere, né il declino della nobiltà. Come già ebbe a rile-
vare il Tocqueville, è caratteristico dello sviluppo socia-

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le del Settecento che, pur accentuandosi le distinzioni


tra gli ordini e le classi, il livellamento della cultura non
si arrestò, e gli uomini, che esteriormente si affannava-
no tanto a distinguersi, intimamente diventavano sem-
pre piú simili5, cosí che alla fine non ci furono piú che
due grandi gruppi: il popolo e la comunità di coloro che
gli sovrastavano. La gente che apparteneva a quest’ulti-
mo gruppo aveva le stesse abitudini, lo stesso gusto e
parlava lo stesso linguaggio. L’aristocrazia e l’alta bor-
ghesia si fusero in un unico ceto depositario della cul-
tura, in cui l’antica classe colta dava e riceveva a un
tempo. I membri dell’alta nobiltà non si limitavano a
frequentare occasionalmente e per condiscendenza case
dove si incontravano finanzieri e alti funzionari, ma
accorrevano anche nei salotti dei ricchi borghesi e delle
colte signore della borghesia. Madame Geoffrin riunisce
in casa sua il fiore dell’aristocrazia e dell’intellettualità,
figli di principi, conti, orologiai, mercanti; è in corri-
spondenza epistolare con l’imperatrice di Russia e con
Grimm, è amica del re di Polonia e di Fontenelle, rifiu-
ta l’invito di Federico il Grande e degna di particolare
attenzione il plebeo d’Alembert. L’aristocrazia comin-
cia ad adottare mentalità e morale borghesi e a mesco-
larsi con la borghesia intellettuale proprio nel momento
in cui piú forte che mai è il peso della gerarchia socia-
le6. Forse fra i due fenomeni corre un rapporto di causa
ed effetto.
Nel Seicento la nobiltà aveva perduto i suoi privile-
gi feudali, tranne i diritti di proprietà sulle sue terre e
l’immunità fiscale; a funzionari della Corona aveva
dovuto cedere le sue funzioni giudiziarie e amministra-
tive. La rendita fondiaria, d’altra parte, a partire dal
1660, in seguito alla sempre minor capacità d’acquisto
del denaro, era venuta perdendo molto del suo valore.
La nobiltà fu cosí costretta ad alienare le sue terre in
misura sempre maggiore, impoverendosi e avviandosi

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alla decadenza. Il fenomeno, veramente, fu piú largo e


diffuso fra la piccola e media nobiltà di provincia, che
negli ambienti dell’alta nobiltà di corte, ancor molto
ricca e rifattasi piú autorevole nel secolo xviii. Alle
«quattromila famiglie» dell’alta nobiltà continuarono
ad essere riservati gli uffici di corte, le alte dignità eccle-
siastiche, i gradi dell’esercito, i posti di governatore e le
pensioni reali. Quasi un quarto dell’intero bilancio anda-
va a loro profitto. L’antico rancore della Corona contro
la nobiltà feudale era cessato; Luigi XV e Luigi XVI
ripresero a scegliere i loro ministri per lo piú tra i nobi-
li7, che tuttavia conservarono le loro tendenze antidi-
nastiche e il loro spirito di insubordinazione e nell’ora
del pericolo furono fatali alla monarchia. La nobiltà
infatti non esitò ad allearsi con i borghesi contro la
Corona, benché la buona intesa fra le due classi avesse
molto sofferto dall’inizio dell’accentramento statale.
Prima, esse si sentivano spesso minacciate dallo stesso
pericolo, non solo, ma avevano da risolvere problemi
amministrativi comuni, il che bastava a ravvicinarle. Le
relazioni peggiorarono da quando la nobiltà riconobbe
nella borghesia la sua rivale piú pericolosa e da allora il
re dovette intervenire continuamente a calmare la gelo-
sia dei nobili. Se in apparenza il re sembra superiore ad
entrambe le parti, in realtà deve far loro continue con-
cessioni, favorendo or l’una or l’altra8. Un segno di que-
sta politica di favore verso la nobiltà è da scorgere anche
nel fatto che già sotto Luigi XV è molto piú difficile per
un roturier giungere al grado di ufficiale che non al
tempo di Luigi XIV. Dopo, l’editto del 1781 la bor-
ghesia fu esclusa del tutto dall’esercito. Lo stesso accad-
de per le alte dignità ecclesiastiche; nel Seicento c’era
ancora fra i principi della Chiesa un certo numero di non
nobili, come Bossuet e Fléchier, ma questo non si veri-
ficò piú nel Settecento. La rivalità tra aristocratici e bor-
ghesi si acuí sempre piú, sublimandosi però in un’emu-

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lazione intellettuale, che provocò un gioco psicologico


complesso, in cui s’intrecciavano in piú modi attrazio-
ne e repulsione, imitazione e rifiuto, considerazione e
risentimento. L’uguaglianza materiale e la superiorità
pratica della borghesia spingevano i nobili ad accentua-
re la disparità dell’origine e la differenza delle tradizio-
ni. Ma anche la borghesia, quanto piú simili si faceva-
no le condizioni esteriori, tanto piú si sentiva avversa
alla nobiltà. Finché ogni possibile ascesa sociale le era
stata preclusa, mai aveva pensato di paragonarsi ai ceti
superiori; ma appena le si offrì la possibilità di elevarsi,
subito ebbe chiara coscienza dell’ingiustizia sociale e i
privilegi nobiliari le apparvero intollerabili. In breve,
quanto piú la nobiltà perdeva del suo potere effettivo,
tanto piú ostinatamente si attaccava ai privilegi super-
stiti e tanto piú li ostentava; d’altra parte la borghesia,
quanto piú diventava ricca, tanto piú umiliante sentiva
la discriminazione sociale e si accaniva nella lotta per l’u-
guaglianza dei diritti politici.
La ricchezza accumulata dalla borghesia nel Rinasci-
mento era stata distrutta dalle grandi bancarotte stata-
li del Cinquecento, e non aveva potuto ricostituirsi nel-
l’epoca aurea dell’assolutismo e del mercantilismo, quan-
do i principi e gli stati monopolizzavano gli affari piú
importanti9. Solo nel secolo xviii, finita l’epoca del mer-
cantilismo e iniziatasi quella del laissez-faire, la borghe-
sia, con il suo individualismo economico, riuscí nuova-
mente ad affermarsi; e benché mercanti e industriali già
avessero saputo trarre notevoli vantaggi dall’assenza del-
l’aristocrazia dagli affari, il grande capitale borghese si
formò solo durante la Reggenza e il periodo successivo.
Questo regime fu realmente «la culla del Terzo Stato».
Sotto Luigi XVI, poi, la borghesia dell’ancien régime rag-
giunse il suo pieno sviluppo intellettuale e materiale10.
Erano nelle sue mani il commercio, l’industria, le
banche, la ferme générale, le professioni liberali, la let-

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teratura e il giornalismo, cioè tutte le posizioni-chiave


della società, ad eccezione degli alti gradi nell’esercito,
nella Chiesa e a corte. Si ebbe allora un’attività com-
merciale mai vista prima, le industrie prosperarono, le
banche si moltiplicarono, enormi somme passarono fra
le mani di imprenditori e di speculatori. I bisogni
aumentarono e si diffusero; e non solo gente come i ban-
chieri e gli appaltatori delle tasse salirono di grado e pre-
sero a gareggiare in splendore coi nobili, ma anche la
media borghesia trasse profitto dalla congiuntura e par-
tecipò sempre piú largamente alla vita culturale. La
Rivoluzione, dunque, non scoppiò in un paese econo-
micamente esausto; si trattava piuttosto di uno stato
insolvente, con cittadini ricchi.
A poco a poco la borghesia s’impadroní di tutti gli
strumenti della cultura. Non solo scriveva i libri, ma li
leggeva; non solo dipingeva i quadri, ma li comprava.
Nel secolo precedente essa rappresentava una parte
ancor relativamente modesta del pubblico che si occu-
pava d’arte e di letteratura; ora essa costituisce senz’al-
tro la classe colta, anzi diventa la vera depositaria della
cultura. Ad essa appartengono in gran parte i lettori di
Voltaire, quasi esclusivamente quelli di Rousseau. Cro-
zat, il piú grande collezionista del secolo, viene da una
famiglia di mercanti; Bergeret, il protettore di Frago-
nard, è d’origine anche piú modesta; Laplace è figlio di
un contadino, e d’Alembert non si sapeva di chi fosse
figlio. Lo stesso pubblico borghese che legge Voltaire
legge anche i poeti latini e i classici francesi del Seicen-
to, e nelle sue esclusioni è risoluto come nei suoi con-
sensi. È poco favorevole agli autori greci, che scom-
paiono via via dalle biblioteche; disprezza il Medioevo;
la Spagna gli è ormai estranea; le sue relazioni con l’I-
talia non sono ancora ben sviluppate e comunque non
avranno mai la cordialità di quelle fra la società aristo-
cratica e il Rinascimento italiano. Il rappresentante del

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secolo xvi lo si è voluto vedere nel gentilhomme, quello


del xvii nell’honnête homme, e quello del xviii dell’uo-
mo colto11, che equivale a dire il lettore di Voltaire. È,
stato detto che non si può comprendere il borghese di
Francia se non si conosce Voltaire, che il borghese pren-
de a modello12; ma d’altra parte non si comprende Vol-
taire se non si vede quanto sia legato, non solo per l’o-
rigine, ma anche per la mentalità, al ceto medio, ad
onta dei suoi modi da gran signore, delle sue amicizie
regali e dell’ingente ricchezza. Il suo sobrio classicismo,
la sua rinunzia a risolvere i grandi problemi metafisici,
anzi la diffidenza verso chiunque ne discuta, il suo spi-
rito acuto, battagliero e tuttavia cosí urbano, la religio-
sità anticlericale e antimistica, il suo antiromanticismo,
l’avversione per tutto ciò che è oscuro, inesplicato e ine-
splicabile, la fiducia in se stesso, la persuasione che a
tutto comprendere, risolvere, decidere bastino le facoltà
razionali, il suo prudente scetticismo, il ragionevole con-
tentarsi di ciò che è prossimo e raggiungibile, la com-
prensione per «l’esigenza del giorno», il suo «mais il faut
cultiver notre jardin»: tutto ciò è borghese, profonda-
mente borghese, anche se non esaurisce lo spirito della
borghesia che nel soggettivismo e nel sentimentalismo
di cui Rousseau si farà banditore, trova l’altra sua fac-
cia, forse altrettanto importante. Il grande antagonismo
all’interno della borghesia esisteva fin da principio; i
futuri seguaci di Rousseau forse non costituivano anco-
ra un pubblico regolare quando Voltaire si conquistò i
suoi lettori, ma esistevano già come ceto sociale esatta-
mente definibile e in Rousseau trovarono semplicemen-
te il loro interprete.
La borghesia francese del Settecento non è piú omo-
genea di quella italiana del Quattro e Cinquecento. Non
si ha certo nel Settecento nulla di analogo all’antica
lotta per l’egemonia delle Arti, ma fra i diversi strati
della classe borghese esiste un contrasto altrettanto

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acuto di interessi economici. Abitualmente si parla della


lotta di emancipazione e della rivoluzione del Terzo
Stato come di movimenti unitari; in realtà l’unità della
borghesia risulta solo dal fatto che è separata verso l’al-
to dalla nobiltà e verso il basso dai contadini e dal pro-
letariato urbano; entro questi confini, permane sempre
la distinzione tra la parte favorita e quella senza privi-
legi. Dei privilegi della borghesia non si parla mai nel
Settecento e si finge di ignorarne le condizioni di favo-
re, ma i privilegiati si oppongono a qualsiasi riforma che
possa estendere i loro vantaggi anche ai ceti inferiori13.
La borghesia vuole solo una democrazia politica ed
abbandona i compagni di lotta non appena la Rivolu-
zione prende sul serio l’uguaglianza dei diritti in campo
economico. La società del tempo è piena di tensioni e
di contraddizioni; e la monarchia che ne è profonda-
mente influenzata si vede costretta a sostenere ora gli
interessi dei nobili, ora quelli dei borghesi, e finisce con
l’inimicarsi le due parti: cioè una nobiltà tendenzial-
mente ostile sia alla Corona sia alla borghesia, e che assi-
mila le idee che provocano la sua caduta; e una borghe-
sia, che fa trionfare la sua rivoluzione con l’aiuto dei ceti
inferiori, per opporsi poi subito agli alleati, affiancandosi
agli ex nemici. Finché questi elementi si equilibrano
dominando la vita intellettuale del paese, cioè fin dopo
la metà del secolo, arte e letteratura si trovano in uno
stato di transizione e sono piene di tendenze contra-
stanti, spesso inconciliabili; esse oscillano fra tradizio-
ne e libertà, ordine e spontaneità, decorazione ed espres-
sione. Ma ancora nella seconda metà del secolo, quan-
do già prevalgono il liberalismo e il culto del sentimen-
to, le diverse correnti, pur separandosi anche piú net-
tamente, persistono l’una accanto all’altra. Se mai si
scambiano le parti; e proprio il classicismo, che era uno
stile aulico-aristocratico, servirà a diffondere le idee
della borghesia progressista.

Storia dell’arte Einaudi 15


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

L’epoca della Reggenza è un periodo di vivissima


attività intellettuale che non si limita al criticare l’epo-
ca precedente, ma è in larga misura creativo e pone pro-
blemi che occuperanno tutto il secolo. Di pari passo col
generale allentarsi della disciplina, col crescere dell’ir-
religiosità, col farsi piú libero e personale del costume,
decade nell’arte il «grande» stile di corte. Si comincia
con la critica della dottrina accademica, che pretendeva
di presentare l’ideale classico come un principio eterno,
imposto da Dio, analogamente a come la teoria politica
ufficiale voleva presentare la monarchia assoluta. Nulla
caratterizza il liberalismo e il relativismo dei tempi nuovi
meglio della frase di Antoine Coypel – prima di lui
inammissibile per qualunque direttore di accademia –
che la pittura, come ogni cosa umana, è soggetta alla
moda14. Questa nuova concezione dell’arte si afferma
dappertutto anche nelle opere: l’arte diventa piú umana,
piú accessibile, meno pretenziosa; non è piú destinata a
semidei e superuomini, ma a comuni mortali, a creatu-
re deboli, sensuali, avide di piaceri. Essa non esprime
piú grandezza e potenza, ma la bellezza e il fascino della
vita; non vuol piú imporsi e soggiogare, ma attrarre e
dilettare. Nell’ultimo periodo del governo di Luigi XIV
persino a corte si formano circoli in cui gli artisti trovano
nuovi protettori, e spesso piú generosi e sensibili del re,
già assediato dalle difficoltà economiche e dominato
dalla Maintenon. Il duca d’Orléans, nipote del re, e il
duca di Borgogna, figlio del Delfino, sono l’anima di tali
circoli. Il futuro reggente si ribella fin d’ora all’arte
favorita da Luigi XIV, e ai propri artisti richiede un
tono piú leggero e scorrevole, uno stile piú sensuale e
delicato di quello in uso a corte. Spesso gli stessi artisti
lavorano per il re e per il duca, adattando volta a volta
lo stile al committente, come Coypel ad esempio: cor-
rettamente aulico al castello di Versailles, nella decora-
zione della cappella, al Palais Royal invece dipinge le

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dame in civettuolo négligé e per l’Académie des Inscrip-


tions disegna medaglie classicheggianti15. La grande
manière e in genere le forme d’arte auliche decadono
durante la Reggenza. Il quadro sacro, che già ai tempi
di Luigi XIV si era ridotto a un puro pretesto per ritrar-
re il seguito del re, e il grande quadro storico, che ser-
viva soprattutto alla propaganda monarchica, vengono
trascurati. Al paesaggio eroico subentra l’idillio pasto-
rale, e il ritratto, finora destinato soprattutto al pubbli-
co, diventa un genere comune, popolare, per lo piú di
uso privato; ora ognuno se lo concede, appena può. Al
Salon del 1704 sono esposti duecento ritratti, contro i
cinquanta del 169916. Largillière dipinge ormai di pre-
ferenza borghesi, anziché cortigiani, come i suoi prede-
cessori; vive a Parigi, non a Versailles, e anche questo è
un segno della vittoria della «città» sulla «corte»17.
Il favore del pubblico piú evoluto va alla scenetta
galante di Watteau, non piú al quadro di cerimonia,
sacro o storico; e nulla meglio esprime il mutamento del
gusto alla fine del secolo di questo passare da Le Brun
al maestro delle fêtes galantes. La cultura del nuovo pub-
blico, composto dall’aristocrazia piú illuminata e dal-
l’alta borghesia meglio sensibile all’arte, il dubbio con
cui si guarda ormai alle autorità artistiche finora accet-
tate, l’infrangersi della vecchia, angusta cerchia di sog-
getti, tutto contribuisce a rendere possibile l’apparizio-
ne del massimo pittore francese anteriore all’Ottocen-
to. Il genio pittorico, che l’epoca di Luigi XIV non era
riuscita a suscitare, pur con gli incarichi statali, gli sti-
pendi e le pensioni, con l’Accademia, la scuola di Roma
e la Regia manifattura, nasce invece con la Reggenza,
fallimentare, sventata, frivola, indisciplinata e irreligio-
sa. Watteau, nato in Fiandra, erede della tradizione
rubensiana, è per altro, dopo l’età gotica, il primo mae-
stro veramente «francese». Nei due secoli precedenti la
sua apparizione l’arte francese era stata soggetta all’in-

Storia dell’arte Einaudi 17


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

flusso straniero: Rinascimento, Manierismo e Barocco


erano stati fenomeni di importazione dall’Italia e dai
Paesi Bassi. In Francia, dove tutta la vita di corte da
principio si era modellata su esempi stranieri, anche
l’arte destinata al prestigio e alla propaganda regia si
espresse in forme venute di fuori, soprattutto italiane.
E queste forme, cosí intimamente concresciute con l’i-
dea della monarchia e della corte, assunsero un valore
stabile di istituzioni, tanto che si poterono sradicare
solo quando la corte cessò di essere il centro della vita
artistica.
Watteau dipingeva una società in cui egli poteva get-
tare uno sguardo solo dal di fuori: l’ideale di vita che
rappresentava, solo esteriormente poteva collimare con
le sue aspirazioni, e l’utopia della libertà cui dava figu-
ra solo vagamente doveva corrispondere all’idea di
libertà ch’era sua propria; ma quelle visioni egli le crea-
va da elementi di sue esperienze dirette, da schizzi degli
alberi del Lussemburgo, da scene di teatro ch’egli pote-
va vedere e certo vedeva ogni giorno, e da tipi caratte-
ristici del suo tempo, anche se magicamente travestiti.
La profondità dell’arte di Watteau è dovuta all’ambi-
valenza dei suoi rapporti col mondo, al fatto che essa
esprime ciò che la vita promette e insieme quel che
nega, al sentimento sempre presente di una perdita inef-
fabile e di una meta irraggiungibile, alla consapevolez-
za di una patria perduta e dell’utopica lontananza della
vera felicità. Quel ch’egli dipinge è pieno di malinconia,
nonostante la sensualità e la bellezza, la gioiosa dedi-
zione alla realtà e l’amore dei beni terreni che ispirano
la sua arte. In tutto egli dipinge la segreta tragedia di
una società che si perde nel pieno appagamento dei suoi
desideri. Non si tratta ancora però di un sentimento alla
Rousseau, dell’aspirazione allo stato di natura, ma al
contrario di un desiderio di perfetta civiltà, di tran-
quilla e sicura gioia di vivere. Nella fête galante, nella

Storia dell’arte Einaudi 18


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

festosa riunione di coppie amorose e Corti d’amore,


Watteau scopre la forma adeguata al suo nuovo senso
della vita, che è fatto insieme di piacere mondano e di
dolore universale, del tedio e della gioia dell’ora. L’ele-
mento bucolico è prevalente in questa fête galante che è
sempre una fête champêtre, e rappresenta gli svaghi di
giovani che, fra musica, danze e canti, menano la vita
spensierata dei pastori e delle pastorelle teocritee. Rap-
presenta la pace dei campi, che è insieme fuga dal gran
mondo e oblio di sé nella felicità amorosa. Ma non si
tratta di una semplice esistenza idillica, contemplativa
e paga; si tratta piuttosto dell’ideale arcadico della coin-
cidenza di natura e civiltà, bellezza e spiritualità, senso
e intelletto. Veramente anche questo ideale da gran
tempo non è piú nuovo; è solo una variante di un tema
poetico dell’età augustea, che aveva accomunato la leg-
genda dell’età dell’oro con l’idea dell’Arcadia. La sola
novità, rispetto alla versione romana, è che il mondo
bucolico assume parvenze di bel mondo, che i pastori e
le pastorelle portano ora l’elegante costume del tempo
e della situazione pastorale non resta che il colloquio
amoroso, la cornice naturale e la lontananza dalla vita
di corte e dalla città. Ma forse nemmeno questo è nuovo.
Infatti cosa fu fin dalle origini la poesia pastorale se non
una finzione, una giocosa finzione, cioè un semplice
civettare con l’idillico stato d’innocenza e di sempli-
cità? È difficile ammettere che, da quando esiste poe-
sia pastorale, cioè da quando esiste una vita urbana e di
corte altamente evoluta, ci sia mai stato chi davvero
volesse condurre la semplice, modesta vita dei pastori e
dei contadini. L’Arcadia fu sempre un sogno poetico in
cui gli elementi negativi, la fuga dal gran mondo e il
disprezzo dei suoi costumi, costituivano il momento
determinante; un gioco della fantasia, in sostanza, che
consentiva di evadere in una regione dove si sarebbero
avuti i vantaggi della civiltà senza però i suoi vincoli. Si

Storia dell’arte Einaudi 19


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

rendevano piú seducenti le dame dipinte e profumate


immaginandole, pur con belletto e profumi, come fre-
sche, sane e innocenti contadinelle, cosí che la natura
esaltasse il fascino dell’arte. Fin da principio la finzio-
ne conteneva in sé le premesse che, in ogni cultura com-
plessa e raffinata, ne hanno fatto un simbolo di libertà
e di felicità.
Non per nulla la poesia bucolica, sorta nell’età elle-
nistica, presenta una tradizione quasi ininterrotta di
oltre duemila anni. Ad eccezione dell’alto Medioevo, in
cui mancò ogni cultura urbana e di corte, non c’è seco-
lo che non offra esempi di tale poesia. Se si prescinde
dai temi del romanzo cavalleresco, si può dire che non
c’è materia che abbia occupato cosí a lungo la letteratura
occidentale e abbia cosí tenacemente resistito agli assal-
ti del razionalismo. Questo lungo e quasi ininterrotto
dominio mostra che la poesia «sentimentale», nel senso
che Schiller dà alla parola, è incomparabilmente piú
importante nella storia letteraria della poesia «ingenua».
Anche gli idilli di Teocrito nascono, non già da uno
schietto legame con la terra e da un rapporto diretto con
la vita del popolo, ma da un naturalismo di riflesso e da
un’immagine romantica degli umili, cioè da affetti che
hanno la loro origine in un desiderio di cose lontane,
estranee ed esotiche. Il contadino e il pastore non si
entusiasmano né per la natura né per il loro lavoro quo-
tidiano. E si sa che l’interesse per la vita semplice non
è da cercare nell’ambiente campagnolo; non sorge fra il
popolo, ma fra i ceti piú elevati; non in campagna, ma
in città e alle corti, in una vita agitata, in una società
ormai troppo civile e sazia. Già quando Teocrito scri-
veva i suoi idilli il motivo e la situazione bucolica non
erano piú nuovi; avevano dovuto ricorrere già nella poe-
sia dei primitivi popoli pastori, ma spogli di sentimen-
talismo e compiacimento, e probabilmente senza alcun
tentativo di ridurre a motivi di genere le circostanze

Storia dell’arte Einaudi 20


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

esteriori della vita pastorale. Scene pastorali, senza però


l’accento lirico degli Idilli, si potevano comunque tro-
vare anche prima di Teocrito, nel mimo. E non ne man-
cavano, s’intende, nel dramma satiresco; la stessa tra-
gedia, come sappiamo, conosceva i quadri campestri18.
Ma scene pastorali e bozzetti di vita campagnola non
bastano a fare poesia bucolica, di cui l’elemento essen-
ziale è il contrasto latente fra città e campagna e il senso
di un disagio che incrina la civiltà.
Ma se a Teocrito bastava ancora la semplice rappre-
sentazione della vita pastorale, Virgilio, che ne è il primo
imitatore non pedissequo, non si accontenta piú della
descrizione realistica, e l’ecloga assume quella forma
allegorica che costituisce nella storia del genere il muta-
mento piú importante19. Già prima la poesia bucolica era
stata solo un modo per sottrarsi alla vita attiva e il desi-
derio di vivere come pastori non era mai stato da pren-
dere alla lettera; ora però il tema si fa ancora piú irrea-
le, poiché non è fittizio solo il desiderio della vita pasto-
rale, ma tutto il quadro diventa finzione. In essa il poeta
presenta sé e i suoi amici travestiti da pastori, in una
poetica distanza, ma subito riconoscibili per gli iniziati.
Il fascino di questa formula, nuova anche se già prean-
nunziata da Teocrito, fu cosí grande che le ecloghe vir-
giliane non soltanto divennero la piú celebre fra tutte le
opere del poeta, ma nessun’altra, si può dire, nella let-
teratura mondiale ha avuto una efficacia cosí persisten-
te e profonda. Dante e Petrarca, Boccaccio e Sannazza-
ro, Tasso e Guarini, Marot e Ronsard, Montemayor e
d’Urfé, Spenser e Sidney, e anche Milton e Shelley,
direttamente o indirettamente, ne dipendono nei loro
componimenti d’intonazione bucolica. A Teocrito, a
quanto sembra, bastava per sentirsi spaurito la vita di
corte, con le continue lotte per il successo, e la gran città
con il suo ritmo agitato. Virgilio aveva motivi già piú
reali per fuggire il proprio tempo. La secolare guerra

Storia dell’arte Einaudi 21


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

civile era appena finita, il poeta aveva visto in giovi-


nezza le lotte piú cruente, e la pace augustea, quando
egli scriveva le sue ecloghe, era piú una speranza che una
realtà20. La sua fuga nell’idillio coincide con il movi-
mento reazionario promosso da Augusto, tendente a
esaltare il passato della patria come l’età dell’oro, e a
stornare l’attenzione dagli avvenimenti politici del pre-
sente21. In fondo, nella sua nuova concezione del poema
pastorale, Virgilio fondeva il proprio sogno di pace con
la propaganda per una politica di pacificazione.
All’allegoria virgiliana si riconnette direttamente la
poesia bucolica del Medioevo. Veramente, i secoli fra la
rovina del mondo antico e il sorgere della civiltà feuda-
le e comunale ce ne hanno lasciato scarsi vestigi, ma quel
che ne sopravvive, che si rivela prodotto di pura erudi-
zione, è reminiscenza di antichi poeti, anzitutto di Vir-
gilio. Anche le ecloghe dantesche sono una dotta imita-
zione; e nello stesso Boccaccio, autore del primo idillio
pastorale moderno, sussistono tracce dell’antica allego-
ria bucolica. Con il romanzo pastorale che segna una
nuova svolta nella storia del genere, motivi bucolici
entrano anche nella novella del Rinascimento italiano,
ma perdendo i caratteri romantici che di solito li accom-
pagnano nell’idillio, nel romanzo e nel dramma pasto-
rale22. È un fenomeno, del resto, facilmente comprensi-
bile, se si riflette che la novella è per eccellenza lettera-
tura borghese e come tale tende al naturalismo; la poe-
sia pastorale invece costituisce un genere aulico-aristo-
cratico incline al romanticismo. E questa tendenza è pre-
ponderante nei componimenti pastorali di Lorenzo de’
Medici, Jacopo Sannazzaro, Castiglione, Ariosto, Tasso,
Guarini, Marino; e dimostra che nelle corti dell’Italia
rinascimentale, a Firenze, a Napoli, a Urbino, a Ferra-
ra, a Bologna, si segue la stessa moda letteraria. La poe-
sia bucolica è dappertutto lo specchio della vita di corte
e serve al lettore come modello di rapporti galanti. Nes-

Storia dell’arte Einaudi 22


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

suno piú prende alla lettera l’Arcadia; il carattere con-


venzionale degli elementi pastorali è evidente; e mentre
passa in secondo piano il significato originario di que-
sta poesia, cioè il suo rifiuto di una vita troppo civile, il
costume di corte viene ora avversato solo per la schia-
vitú che impone, non per la raffinatezza e l’artificio. È
comprensibile che con le sue sottigliezze e le sue alle-
gorie questa poesia pastorale che mescola il remoto e il
prossimo, l’immediato e l’inconsueto, sia tra i generi pre-
diletti dal Manierismo; e che in Spagna, la terra classi-
ca dell’etichetta di corte e del Manierismo, sia coltiva-
ta con speciale amore. Anche qui dapprima ci si attiene
ai modelli italiani, che il costume aulico diffonde in
tutto l’Occidente; ma ben presto i caratteri originali del
paese hanno il sopravvento dando luogo a un’unione,
d’ora in poi esemplare, di elementi cavallereschi e ele-
menti arcadici. Quest’ibrida forma spagnola, romanti-
co-bucolica, sarà il tramite per cui il romanzo pastorale
italiano si evolverà in quello francese.
In Francia gli inizi della poesia arcadica risalgono al
Medioevo e si presentano nel secolo xiii in una forma
di origine complessa, dipendente dalla lirica cortese.
Come in parte già negli idilli e nelle ecloghe antiche,
anche nelle pastourelles francesi la situazione bucolica
esprime fantasticamente un desiderio di liberazione dalle
forme ormai troppo rigide e convenzionali della poesia
erotica23. Quando il cavaliere dichiara il suo amore alla
pastora, si sente esonerato dalle leggi dell’amor cortese,
dalla fedeltà, dalla castità e dalla discrezione. Il suo
desiderio non ha nulla di ambiguo e, pur cosí impulsi-
vo, pare innocente accanto alla forzata purezza dell’a-
more ideale. Ma in sé la scena del cavaliere che solleci-
ta la pastorella è del tutto convenzionale e non ha piú
traccia della spontaneità teocritea. Oltre i due protago-
nisti e, talvolta, il pastore geloso, la scena esige al mas-
simo qualche pecora; manca affatto l’atmosfera del prato

Storia dell’arte Einaudi 23


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

e della selva, della mietitura e della vendemmia, il pro-


fumo di latte e di miele24. Certi elementi dell’ecloga
classica possono esser penetrati anche nelle pastourelles
attraverso semplici reminiscenze classiche, ma un influs-
so diretto dell’antica poesia bucolica sulla letteratura
francese, anteriormente alla diffusione del Rinascimen-
to italiano e della cultura di corte borgognona, non è
possibile affermarlo. E quest’influsso si approfondisce
soltanto con la moda generale dei romanzi pastorali ita-
liani e spagnoli e con la vittoria del Manierismo25. L’A-
minta del Tasso, Il Pastor fido del Guarini e la Diana del
Montemayor sono i modelli dei francesi, specialmente
di Honoré d’Urfé che con l’Astrée volle dare, sull’e-
sempio degli Italiani e degli Spagnoli, anzitutto un
manuale delle forme internazionali di mondanità e uno
specchio di raffinato costume. L’opera è ritenuta a ragio-
ne la scuola che trasformò i rozzi feudatari e soldati del
tempo di Enrico IV in una raffinata società di corte.
Essa nasce dallo stesso fermento da cui uscirono i primi
salotti e da cui scaturí il preziosismo secentesco26. Senza
dubbio, nell’Astrée culmina il processo iniziatosi con le
pastorali del Rinascimento. Davanti alla raffinatezza di
dame e cavalieri che, travestiti da pastori e pastorelle,
conversano spiritosamente e discutono capziose que-
stioni d’amore, a nessuno ormai può venir in mente la
semplicità del popolo. La finzione ha perduto ogni rap-
porto con la vita reale, diventando puro gioco di società.
L’Arcadia non è piú che una mascherata che per un
istante sottrae l’uomo alla realtà consueta e al suo io
quotidiano.
A ogni modo le fêtes galantes di Watteau hanno scar-
se affinità con questa poesia. Nel romanzo pastorale le
scene d’amore campestri con il loro rituale e il loro scio-
glimento erotico rappresentano già la condizione idea-
le, mentre nei quadri di Watteau tutta la materia amo-
rosa non è che una tappa verso la meta vera, il preludio

Storia dell’arte Einaudi 24


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

al viaggio verso quella Cythère sempre avvolta nelle neb-


bie di una misteriosa lontananza. Del resto, proprio
quando Watteau dipinge i suoi quadri, la poesia pasto-
rale in Francia è ormai in declino; il maestro non ne rice-
ve impulsi diretti. E fino al Settecento non appaiono
nella pittura scene di vita pastorale come soggetti auto-
nomi. È vero che non sono rari i motivi bucolici come
accessori nelle scene bibliche e mitologiche, ma hanno
altra origine, indipendente dall’ideale arcadico. La tra-
dizione «giorgionesca» ricorda fortemente Watteau per
l’atmosfera elegiaca27, ma le manca l’accompagnamento
erotico e il tormentoso senso di tensione fra natura e
civiltà. Anche Poussin ha con Watteau affinità solo
apparenti. Poussin dipinge ispirate scene d’Arcadia, ma
senza diretto rapporto con la vita pastorale; il soggetto
gli è sempre suggerito dalla mitologia classica ed è trat-
tato in modo essenzialmente eroico, secondo lo spirito
del classicismo romano. Nell’arte francese del Seicento
le scene pastorali compaiono come soggetti autonomi
soltanto nell’arazzo, che, com’è noto, ha sempre raffi-
gurato con predilezione temi di vita campestre. Natu-
ralmente questi non si adattano al carattere ufficiale
della grande arte barocca. Sono ammissibili in quadri
decorativi – come, d’altra parte, nel romanzo, nel melo-
dramma o nel balletto – ma in un gran dipinto di carat-
tere solenne sarebbero fuor di posto come in una trage-
dia: «Dans un roman frivole aisément tout s’excuse...
Mais la scène demande une exacte raison»**28. Tutta-
via, appena la pittura se ne impadronisce, la materia
pastorale acquista una sottigliezza e una profondità che
mai ha avuto nella poesia, dove è sempre stata un gene-
re di second’ordine. Come genere letterario, fin dall’i-
nizio aveva avuto un carattere quanto mai artificioso,
proprio di generazioni che non avevano con la realtà se
non un rapporto di riflesso. Anche la situazione bucoli-
ca era stata sempre un pretesto, non mai l’oggetto vero,

Storia dell’arte Einaudi 25


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

e aveva avuto quindi un carattere piú o meno allegori-


co, non mai simbolico. In altri termini, il poema pasto-
rale aveva un senso troppo chiaro e lasciava poco agio
all’interpretazione. Era presto esaurito, non riserbava
alcun segreto; e persino un poeta come Teocrito non riu-
sciva a ricavarne che un’immagine piuttosto uniforme
della realtà, anche se eccezionalmente attraente. L’idil-
lio cioè non era mai riuscito a superare i limiti dell’alle-
goria restando un gioco privo di tensione e di profon-
dità. Solo Watteau riesce a dargli una profondità sim-
bolica, soprattutto escludendone ogni carattere che non
possa anche venir considerato semplice e immediata
riproduzione del vero.
Il Settecento per sua natura doveva portare a una
rinascita del motivo pastorale. Per i letterati la formula
era ormai troppo angusta, ma i pittori non l’avevano
ancora logorata e potevano con essa rifarsi da capo.
Negli alti ceti la vita era regolata da forme sociali straor-
dinariamente artificiose intese a sublimare in vario
modo i rapporti quotidiani; ormai però non si credeva
piú al loro senso profondo, sicché erano mantenute come
semplici regole del gioco. Per l’amore la regola del gioco
era la galanteria, come l’Arcadia era una forma giocosa
dell’arte erotica. Entrambe si proponevano di padro-
neggiare l’amore, spogliandolo della sua selvaggia imme-
diatezza e passionalità. Quindi nulla di piú naturale che
l’Arcadia giungesse alla piena fioritura nel secolo della
galanteria. Ma come i costumi indossati dalle figure di
Watteau solo dopo la morte del maestro divennero di
moda, cosí anche il genere della fête galante solo nel
tardo Rococò trovò un vasto pubblico. Lancret, Pater e
Boucher godettero i frutti dell’invenzione, e altro non
fecero che divulgarla. Quanto a Watteau, egli rimase per
tutta la vita il pittore di una cerchia relativamente
ristretta: i collezionisti julienne e Crozat, l’archeologo e
mecenate conte Caylus, il mercante d’arte Gersaint

Storia dell’arte Einaudi 26


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

furono gli unici sostenitori veramente fedeli della sua


arte. La critica contemporanea di rado si occupò di lui
e per lo piú solo in tono di biasimo29. Neppure Diderot
ne riconobbe il valore e lo pospose a Teniers. L’Acca-
demia, è vero, non gli si oppose, se pure, attenendosi alla
tradizionale gerarchia dei generi, ne disdegnò l’arte,
annoverandola fra i petits genres***. Per altro non era
piú dogmatica del pubblico colto in generale, che, alme-
no in teoria, si teneva sempre fedele alla dottrina clas-
sica. In tutte le questioni pratiche del resto l’Accademia
si comportava con la massima liberalità. Il numero dei
membri era illimitato, e l’ammissione non era vincolata
all’accettazione della sua dottrina. Forse tanta condi-
scendenza non veniva da un impulso spontaneo; è certo
comunque che l’Accademia seppe rendersi conto che in
un’epoca di inquietudine e di rinnovamento come que-
sta solo una simile larghezza poteva tenerla in vita30.
Watteau, Fragonard e Chardin furono senz’altro suoi
membri, come in quel secolo tutti gli artisti di grido, a
qualunque corrente appartenessero. L’Accademia con-
tinuò a rappresentare il grand goût, ma solo un piccolo
gruppo dei suoi membri si teneva in pratica a quel cri-
terio. Gli artisti che non potevano contare su ordina-
zioni pubbliche e avevano i loro acquirenti fuor del-
l’ambiente, di corte, non si curavano gran che del rico-
noscimento ufficiale e coltivavano i petits genres che, se
pur meno apprezzati in teoria, erano tanto piú ricerca-
ti in pratica. Tra questi figuravano anche le fêtes galan-
tes, fin dall’inizio destinate a un ambiente piú liberale
di quello di corte, benché chi si interessava di simili qua-
dri ancora per poco avrebbe rappresentato il pubblico
piú evoluto in fatto d’arte.
Ma la pittura continuò a coltivare a lungo il sogget-
to erotico, anche dopo che la letteratura, e specialmen-
te il romanzo (il genere piú mutevole e, anche per moti-
vi economici, piú popolare), già si era rivolta a soggetti

Storia dell’arte Einaudi 27


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

d’interesse piú generale. Veramente anche in letteratu-


ra il libertinaggio del secolo trovò i suoi esponenti in
Choderlos de Laclos, in Crébillon figlio e in Restif de
la Bretonne; ma non ebbe alcun influsso decisivo sugli
altri romanzieri. Marivaux e Prévost, nonostante l’au-
dacia dei loro soggetti, non cercano mai effetti grosso-
lanamente erotici. Così, mentre la pittura si mantiene
per ora legata all’alta società, il romanzo si viene avvi-
cinando allo spirito delle classi medie. Il primo passo in
questa direzione è segnato dal passaggio dal romanzo
cavalleresco a quello pastorale, che significa almeno l’ab-
bandono di certi elementi avventurosi medievali. Il
romanzo pastorale, sebbene in una cornice del tutto fit-
tizia, tratta problemi della vita reale e pur sotto un tra-
vestimento fantastico rappresenta la gente del tempo;
sono questi, per la storia dell’evoluzione, segni impor-
tanti e premonitori. E del resto per il fatto che in esso
l’azione, specie in d’Urfé, viene storicamente localizza-
ta, il romanzo pastorale si avvicina al realismo moder-
no31. Ma ciò che è piú significativo per l’ulteriore svi-
luppo è che d’Urfé scrive il primo vero romanzo d’a-
more. Il tema erotico ricorreva naturalmente anche
prima nei romanzi, ma prima di d’Urfé non c’è nes-
sun’opera letteraria di una certa mole che abbia come
suo tema centrale l’amore. Solo con lui, nel romanzo
come nel dramma, l’amore, diviene il movente vero del-
l’azione e tale resterà per oltre tre secoli32. La letteratu-
ra narrativa e drammatica dall’età barocca in poi è essen-
zialmente poesia d’amore; solo negli ultimi tempi si
potranno osservare indizi di un mutamento. È, vero
che già nell’Amadis l’amore prevale sull’eroismo, ma
Céladon e il primo eroe dell’amore nel senso moderno,
il primo inerme schiavo della passione, estraneo a ogni
eroismo, il precursore del cavaliere Des Grieux e l’an-
tenato di Werther.

Storia dell’arte Einaudi 28


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Il romanzo pastorale del Seicento francese è la lettu-


ra di una generazione stanca; la società esausta per le
guerre civili si riposa delle sue traversie nelle belle e
ornate conversazioni dei pastori innamorati. Ma appe-
na essa si riprende e le guerre di conquista di Luigi XIV
svegliano nuove ambizioni, comincia a reagire contro il
romanzo prezioso, reazione che va di pari passo con gli
assalti di Boileau e Molière contro il preziosismo. Il
romanzo pastorale di d’Urfé viene soppiantato da quel-
lo eroico e amoroso di La Calprenède e di Mademoisel-
le de Scudéry, un genere che riannoda le fila strappate
del ciclo di Amadigi. Il romanzo riprende a trattare
grandi fatti, descrive paesi lontani e popoli stranieri,
presenta grandi, impressionanti figure e caratteri impo-
nenti. L’eroismo in esso non è piú l’ardire temerario dei
romanzi cavallereschi, ma la severa coscienza del dove-
re della tragedia corneliana. Il romanzo eroico di La Cal-
prenède, come il dramma aulico, voleva essere una scuo-
la di forte volontà e di grandezza d’animo; ma lo stesso
ideale umano alla Corneille, la stessa etica tragico-eroi-
ca si esprimeva anche nella Princesse de Clèves di Mada-
me de la Fayette. Anche qui si trattava del conflitto fra
onore e passione, e anche qui il dovere vinceva l’amo-
re. In quest’età tutta tesa all’eroismo troviamo dapper-
tutto la stessa chiara analisi dei moventi della volontà,
la stessa dissezione razionalistica delle passioni, la stes-
sa rigorosa dialettica delle idee morali. Forse in Mada-
me de la Fayette si scopre qua e là un tratto piú intimo,
una sfumatura piú personale, certi lati piú fuggevoli
dello sviluppo dei sentimenti; ma anche qui tutto appa-
re nella cruda luce della coscienza e dell’analisi raziona-
le. Gli amanti non sono mai preda inerme della passio-
ne, il loro male non è incurabile, non sono irrimediabil-
mente perduti, come René e Werther, o come Des
Grieux e Saint-Preux.

Storia dell’arte Einaudi 29


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Accanto a queste forme bucolico-idilliche ed eroico-


amorose già nel Seicento si notano fenomeni che pre-
corrono il romanzo borghese. Anzitutto il romanzo pica-
resco, che si distingue dalla letteratura mondana prin-
cipalmente per i suoi temi che sono temi di genere e per
la sua predilezione per gli aspetti piú bassi della vita. Gil
Blas e Le diable boiteux appartengono ancora a questo
genere, e anche nei romanzi di Stendhal e di Balzac ci
sono elementi che ricordano il variopinto mosaico della
vita picaresca, I romanzi preziosi si continuano a legge-
re per un pezzo nel Seicento, anzi fin nel Settecento
inoltrato, ma dopo il 1660 non se ne scrivono piú33. L’e-
locuzione spiritosa, ricercata, aristocraticamente affet-
tata cede a modi piú naturali e borghesi. Furetière chia-
ma già esplicitamente roman bourgeois il suo romanzo
antieroico, antiromantico, di gusto picaresco; qualifica
che d’altronde è giustificata soltanto dagli argomenti,
poiché anche qui si tratta semplicemente di una raccol-
ta di episodi, schizzi e caricature accostati, e non c’è
ancora lo sviluppo concentrato e «drammatico» del
romanzo moderno che si impernia sul destino di un pro-
tagonista e provoca l’interesse del lettore secondo una
visuale ben precisa.
Il romanzo che nel Seicento, benché molto in voga,
è una forma minore e per molti aspetti arretrata, diven-
ta nel Settecento il genere letterario dominante che non
solo produce le opere di piú alto valore, Ma costituisce
anche un decisivo passo avanti sulla via del progresso.
Il Settecento è l’età del romanzo, perché è l’età della psi-
cologia. Lesage, Voltaire, Prévost, Laclos, Diderot,
Rousseau sono fonti inesauribili di osservazioni psico-
logiche, che per Marivaux diventano una vera mania;
egli spiega, analizza e commenta senza posa il compor-
tamento psichico delle sue figure. Ogni manifestazione
di vita è un buon pretesto per le sue analisi ed egli non
tralascia occasione per mettere a nudo i suoi personag-

Storia dell’arte Einaudi 30


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

gi. La psicologia di Marivaux e dei suoi contemporanei,


specialmente di Prévost, è assai piú ricca, fine, com-
plessa di quella del Seicento; i personaggi non sono piú
soltanto tipi, si fanno piú complicati e contraddittori,
tanto che i caratteri della letteratura classica, pur con
tutta la loro acutezza risultano al confronto un po’ sche-
matici. Lesage ci dà ancora quasi esclusivamente dei
tipi, per lo piú tipi eccentrici o caricature, e solo con
Marivaux e Prevost abbiamo veri ritratti con i contor-
ni mobili e i colori smorzati e sfumati della vita. Se mai
è possibile una linea di confine tra il romanzo moderno
e quello piú antico, è a questo punto che deve cadere.
D’ora in poi il romanzo è storia d’anime, analisi psico-
logica, spietata introspezione; finora era stato semplice
rappresentazione di avvenimenti esterni o di processi
psichici ma in quanto si riflettevano in azioni concrete.
Veramente neppure Marivaux e Prévost escono dai limi-
ti della psicologia analitica e razionalistica del Seicento,
e rimangono piú affini a Racine e a La Rochefoucauld
che ai grandi romanzieri dell’Ottocento. Anch’essi,
come i moralisti e i drammaturghi dell’età classica, scom-
pongono i caratteri nei loro elementi e li svolgono par-
tendo da un astratto principio psicologico invece di svi-
lupparli dall’intera realtà in cui sono immersi. Il passo
decisivo verso questa psicologia impressionistica capace
di rappresentare in modo indiretto, attraverso forme
mutevoli e sfumate, lo farà soltanto l’Ottocento, e con
questo darà vita a una concezione della verosimiglianza
psicologica che farà apparire antiquata tutta la prece-
dente letteratura. Tuttavia negli scrittori del secolo xviii
c’è un aspetto moderno: ed è la diseroicizzazione dei
loro eroi, che si fanno cosí piú umani. Le loro dimen-
sioni si riducono, avvicinandosi a noi; e consiste in que-
sto il sostanziale progresso del naturalismo psicologico,
rispetto alla rappresentazione dell’amore che aveva fatto
Racine. Prévost mostra già l’altra faccia delle grandi

Storia dell’arte Einaudi 31


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

passioni, anzitutto la condizione umiliante e vergogno-


sa dell’uomo innamorato. L’amore, come già per i poeti
romani, torna ad essere una disgrazia, una malattia, una
vergogna. Si avvia cioè verso quello che sarà l’amour-pas-
sion di Stendhal e assume gli aspetti patologici che saran-
no propri della letteratura amorosa dell’Ottocento.
Marivaux non conosce ancora la violenza dell’amore
che assale come una belva ingorda le sue vittime e non
le abbandona piú; ma in Prévost esso ha già preso pos-
sesso delle anime. L’età dell’amore cavalleresco è alla
fine; comincia la lotta contro la mésalliance. La degra-
dazione dell’amore serve qui come meccanismo di dife-
sa sociale. La società feudale del Medioevo come anche
la società di corte del Seicento non aveva ancora a teme-
re dall’amore; non aveva ancora bisogno di una auto-
matica difesa contro gli eccessi di un figliol prodigo. Ma
ora che i confini fra le caste vengono sempre piú spes-
so violati, e non solo la nobiltà, ma anche la borghesia,
ha privilegi da difendere, comincia la scomunica della
passione amorosa sfrenata, irresponsabile, che minaccia
l’ordine costituito; e sorge una letteratura che infine
condurrà alla Signora delle camelie e ai film della Garbo.
Senza dubbio Prévost è ancora lo strumento inconscio
dei conservatori, che un Dumas figlio servirà con piena
coscienza e persuasione.
L’esibizionismo di Rousseau già si preannunzia in
Manon Lescaut. L’eroe del romanzo non ha indulgenze
verso di sé nella descrizione del suo misero amore e anzi
dimostra un certo masochistico piacere nel confessare la
propria debolezza. D’altronde, la predilezione per figu-
re del genere, «a un tempo piccole e grandi, spregevoli
e pregevoli», secondo la formula coniata dal Lessing per
il Werther, si trova già in Marivaux. L’autore della Vie
de Marianne conosce già le piccole debolezze delle anime
grandi, e non solo disegna il suo Monsieur de Climal
come una natura in cui si mescolano tratti seducenti e

Storia dell’arte Einaudi 32


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

repulsivi, ma descrive l’eroina come un carattere di cui


non è facile venire a capo. È una fanciulla onesta e sin-
cera, ma non è mai cosí incauta da dire o fare cosa che
possa danneggiarla. Conosce il suo gioco, e gioca bene.
Marivaux è il tipico rappresentante di un’epoca di tran-
sizione e di ricostruzione. Come romanziere egli aderi-
sce interamente alla corrente borghese progressista, ma
come commediografo, riveste ancora le sue osservazio-
ni psicologiche delle vecchie forme del dramma d’intri-
go. Tuttavia anche qui c’è un elemento nuovo, ed è che
l’amore – finora secondario nella commedia – è adesso
il centro dell’azione34. Così, con la conquista di que-
st’ultimo caposaldo, esso conclude la sua marcia vitto-
riosa nella letteratura moderna. Ed il mutamento è pos-
sibile in quanto ormai le figure si complicano anche
nella commedia e l’amore stesso acquista una forma cosí
differenziata, che i tratti comici che mantiene nella com-
media non distruggono il suo carattere serio e sublime.
Ma in Marivaux commediografo soprattutto è nuova la
preoccupazione di disegnare i suoi personaggi come lega-
ti a una precisa condizione sociale e dalla dinamica di
questa far derivare l’azione drammatica35. I personaggi
di Molière sono, sì, innamorati, ma non è questo il tema
su cui s’impernia il dramma; e la loro condizione socia-
le determina palesemente la loro natura, ma non diven-
ta mai l’origine del conflitto drammatico. Invece nel Jeu
de l’amour et du hasard**** di Marivaux tutta l’azione
s’impernia su un gioco di apparenze sociali, cioè sulla
questione se i protagonisti siano effettivamente i servi
come fingono di essere, o i signori che non vogliono rive-
larsi.
Spesso si è paragonato Marivaux a Watteau, e l’ana-
logia del loro modo di esprimersi, spiritoso e piccante,
suggerisce il paragone. Ma essi ci propongono anche lo
stesso problema sociologico, poiché entrambi si espri-
mono in forme raffinatissime, ligie alle convenzioni della

Storia dell’arte Einaudi 33


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

buona società e tuttavia né l’uno né l’altro ebbero il suc-


cesso che sarebbe lecito attendersi. Per tutta la sua vita
Watteau fu apprezzato veramente solo da pochi, e si sa
che i drammi di Marivaux caddero piú di una volta. I
contemporanei trovavano complicato, ricercato e oscu-
ro il suo linguaggio, e bollarono quel suo dialogo scin-
tillante, tutto guizzi e freschezza con l’epiteto di mari-
vaudage, il che, come sappiamo, non voleva essere una
lode, benché Sainte-Beuve affermi con ragione non esser
piccola cosa che il nome di un poeta passi in proverbio.
E se anche si volesse accettare per Watteau la spiega-
zione che per il suo tempo egli era troppo grande e che
la grande arte «va contro gli istinti umani», questa spie-
gazione – che poi non spiega nulla – non si adatta a
Marivaux, che non era un grande poeta. Erano entram-
bi rappresentanti di un’epoca di transizione e rimasero
incompresi; ma questo non riguardava il loro valore arti-
stico, ma la loro funzione storica di precursori e batti-
strada. Simili artisti non trovano mai un pubblico ade-
guato. I contemporanei non li comprendono, la genera-
zione successiva conosce di solito le loro concezioni arti-
stiche nella forma annacquata degli epigoni, e la poste-
rità, che forse è in grado di apprezzare meglio le loro
opere, non riesce piú a superare la distanza storica. Sia
Watteau sia Marivaux vengono scoperti solo nell’Otto-
cento dal gusto educato all’Impressionismo, in un tempo
che sentiva già molto antiquati i temi dell’arte loro.
Il Rococò non è l’arte della monarchia come era
stato il Barocco, ma l’arte dell’aristocrazia e dell’alta
borghesia. All’attività edilizia del re e dello stato
subentra quella dei privati: invece di castelli e palazzi
si costruiscono hôtels e petites maisons; al freddo marmo
e al pesante bronzo dei grandi ambienti di rappresen-
tanza si preferiscono l’intimità e la leggiadria dei bou-
doirs e dei gabinetti; i colori severi e solenni, il bruno
e la porpora, il turchino e l’oro vengono sostituiti da

Storia dell’arte Einaudi 34


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

chiare tinte di pastello, grigio e argento, verde-reseda


e rosa. Di fronte all’arte della Reggenza, il Rococò pre-
senta maggior preziosità ed eleganza, una leggiadria
vivace e capricciosa, ma insieme anche un tono delica-
to e intimo; se si sviluppa come arte mondana per eccel-
lenza, d’altro canto risponde al gusto borghese per le
piccole dimensioni. Si sostituisce cosí al Barocco mas-
siccio, statuario, realisticamente corposo, un’arte deco-
rativa da virtuosi, piccante, delicata, nervosa; tuttavia
basta pensare ad artisti come La Tour o Fragonard per
ricordarsi che la leggerezza, la fluidità, e la vivacità di
quest’arte sono anche un trionfo dell’osservazione e
dell’efficacia naturalistica. Accanto alle visioni dell’ar-
te barocca, agitate, sfrenate, soverchianti tumultuosa-
mente l’ordine consueto, l’arte del Rococò appare sem-
pre debole, minuta e gretta, ma in tutta la pittura
barocca non c’è un pennello piú leggero e sicuro di
quelli di Tiepolo, Piazzetta e Guardi. Il Rococò rap-
presenta l’ultima fase del processo iniziatosi col Rina-
scimento e realizza l’affermazione definitiva di quel
principio dinamico, di soggettiva libertà, con cui il pro-
cesso era cominciato e che sempre aveva dovuto riaf-
fermarsi contro il principio della stasi, della costrizio-
ne e della norma. Soltanto con il Rococò si impone defi-
nitivamente il principio fondamentale dell’arte rina-
scimentale; e con esso la rappresentazione obiettiva
delle cose raggiunge quella precisione e quella scioltez-
za che è la meta del naturalismo moderno. L’arte bor-
ghese nata dopo il Rococò e, in parte, ancora in pieno
Rococò, è già qualcosa di sostanzialmente nuovo, com-
pletamente diverso dal Rinascimento e dai periodi
immediatamente successivi. Comincia allora quell’epo-
ca della cultura che è ancora la nostra, epoca determi-
nata dal pensiero democratico e dal soggettivismo e
che, se come evoluzione storica è direttamente con-
nessa con le culture d’élite del Rinascimento, del Baroc-

Storia dell’arte Einaudi 35


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

co e del Rococò, in quanto a principî ne è l’opposto.


Alle antinomie del Rinascimento e degli stili che ne
conseguono, al contrasto fra rigorismo formale e natu-
ralistico dissolvimento della forma, visione strutturale
e pittorica, tendenza statica e dinamica, subentra ora
il conflitto tra razionalismo e sentimentalismo, mate-
rialismo e spiritualismo, classicismo e romanticismo. Le
precedenti antitesi perdono in gran parte il loro signi-
ficato, poiché le acquisizioni dell’arte rinascimentale in
entrambe le direzioni sono diventate indispensabili:
tanto la fedeltà al vero quanto la composizione sono
ormai cose ovvie. Il vero problema adesso è se si debba
dar la preferenza all’intelletto o al sentimento, al
mondo obiettivo o all’io, alla conoscenza razionale o
all’intuizione. Il Rococò stesso, disgregando il classici-
smo tardo-barocco, prepara la nuova alternativa: il suo
colorismo, la sua sensibilità al pittoresco e la sua tec-
nica «impressionistica» creano uno strumento che,
assai meglio del linguaggio formale del Rinascimento e
del Barocco, è atto a esprimere l’anima dell’arte bor-
ghese. Ma questo suo vigore espressivo finirà col
distruggere il Rococò, che propriamente è l’antitesi piú
recisa di tutto ciò che è sentimentale e irrazionale.
Senza questa dialettica tra gli intenti originari e il suc-
cessivo sviluppo piú o meno automatico dei mezzi è
impossibile comprendere il senso del Rococò; solo con-
siderandolo come il risultato di questo contrasto, che
riflette l’antagonismo della società contemporanea e fa
sí che il Rococò si ponga come intermediario fra l’arte
aulica barocca e il preromanticismo borghese, se ne
intende la complessa natura.
La cultura edonistica del Rococò, con il suo sensua-
le estetismo, sta fra la solennità barocca e la sensibilità
romantica. Alla corte di Luigi XIV la nobiltà glorifica-
va ancora un ideale eroico e razionale, sebbene in realtà
seguisse per lo piú il suo piacere. Al tempo di Luigi XV

Storia dell’arte Einaudi 36


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

quella stessa nobiltà professa un edonismo che corri-


sponde del resto alle opinioni e al costume della ricca
borghesia. Il detto di Talleyrand: «Chi non ha vissuto
prima del 1789 non conosce la dolcezza della vita» può
darci un’idea di come vivessero quelle classi. Per «dol-
cezza della vita» s’intende naturalmente la dolcezza
delle donne; come in ogni civiltà edonistica, esse sono
il passatempo prediletto. L’amore ha perduto, insieme
alla sua natura «sanamente» istintiva, anche la sua dram-
matica passionalità; è raffinato, divertente, trattabile, da
passione è diventato abitudine. Si vogliono vedere
nudità sempre e dappertutto; il nudo diventa il tema
prediletto dell’arte figurativa. Dovunque si guardi, negli
affreschi delle sale di rappresentanza, negli arazzi dei
salotti, nei quadri dei boudoirs, nelle incisioni dei libri,
nelle porcellane e nei bronzi dei caminetti, non si vedo-
no che donne nude, cosce e fianchi tondeggianti, seni
scoperti, braccia e gambe intrecciate in amplessi, donne
con uomini e donne con donne, in variazioni e ripeti-
zioni infinite. Ci si è tanto abituati alla nudità nell’ar-
te, che le ingénues di Greuze risultano eccitanti solo per
il fatto che sono vestite. Anche l’ideale della bellezza
femminile muta, facendosi piú piccante e raffinato. Nel-
l’età barocca si amava ancora la bellezza matura e opu-
lenta, ora si dipingono tenere giovinette, sovente quasi
ancora bambine. Il Rococò è un’arte erotica destinata a
gaudenti ricchi e ormai sazi, un mezzo per esaltare la
facoltà di godere dove la natura ha posto un limite al
godimento. Solo con l’arte dei ceti medi, con il classici-
smo di David e il romanticismo di Géricault e Delacroix
tornerà di moda il «normale» tipo della donna in pieno
rigoglio.
Si assiste col Rococò a una forma estrema de «l’art
pour l’art»; il suo sensuale culto della bellezza, indiffe-
rente all’espressione spirituale, il suo studiato virtuosi-
smo, il suo garbato e melodioso linguaggio formale supe-

Storia dell’arte Einaudi 37


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

rano qualunque alessandrinismo. Qui «l’art pour l’art»


è in certa misura piú schietto e spontaneo che nell’Ot-
tocento, perché non è soltanto un programma e un atteg-
giamento polemico, ma è il naturale orientamento di una
società frivola, stanca e passiva, che nell’arte vuol tro-
vare un riposo. Il Rococò è l’ultima fase di una cultura
mondana dove il principio della bellezza domina asso-
luto, l’ultimo stile in cui bello e artistico sono ancora
sinonimi. In Watteau, Rameau e Marivaux, e ancora in
Fragonard, Chardin e Mozart tutto è «bello» e melo-
dioso. Ma in Beethoven, David e Delacroix non è piú
così. L’arte diventa attiva, agonistica, e l’«espressivo»
violenta la forma. Inoltre il Rococò è l’ultimo stile uni-
versale dell’Occidente; non solo in quanto la sua validità
è generale e, in tutti i paesi d’Europa, si svolge nel-
l’ambito di un sistema formale che si può dire omoge-
neo, ma in quanto è patrimonio comune di tutti gli arti-
sti di talento che lo possono accettare senza contrasti.
Dopo il Rococò non si avrà piú un canone formale, né
un orientamento stilistico di una validità ugualmente
universale. Dall’Ottocento in poi l’intento di ogni sin-
golo artista diventa cosí personale, che egli deve con-
quistarsi da solo i suoi mezzi espressivi e non può piú
attenersi a soluzioni bell’e pronte; per lui ogni forma
prestabilita è un intralcio, anziché un aiuto. È vero che
con l’impressionismo si ha di nuovo uno stile che pre-
senta un suo valore generale, ma anche in questo caso il
rapporto fra lo stile e il singolo artista è sempre un pro-
blema e non c’è, qui, una formula come per il Rococò.
Nella seconda metà del secolo xviii è avvenuto un muta-
mento rivoluzionario: è sorta la moderna borghesia che
con il suo individualismo e la sua ricerca dell’originalità
ha distrutto l’idea di stile come consapevole e delibera-
ta comunità culturale, portando il concetto di proprietà
intellettuale al suo significato odierno.

Storia dell’arte Einaudi 38


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Al costituirsi delle formule del Rococò e di quel vir-


tuosismo tecnico che dà all’arte di un Fragonard e di un
Guardi una sicurezza d’esecuzione da sonnambuli, si col-
lega anzitutto il nome di Boucher. Egli è il rappresen-
tante, magari poco significativo personalmente, di una
convenzione artistica significativa invece in grado ecce-
zionale, e la rappresenta in modo cosí perfetto da eser-
citare un influsso non raggiunto da alcuno dopo Le
Brun.
È il maestro senza rivali del genere erotico, la pittu-
ra piú ricercata dai fermiers généraux, dai nouveaux riches
e dagli ambienti liberali di corte; è il creatore di quella
mitologia galante che, oltre alle fêtes galantes di Watteau,
comprende i soggetti piú importanti della pittura rococò.
Egli trasferisce i motivi erotici dalla pittura nell’inci-
sione e in tutta l’arte minore, e della «peinture des seins
et des culs» fa uno stile nazionale. Naturalmente non
tutta la Francia interessata all’arte vede in Boucher il
suo pittore; c’è già nel paese una media borghesia colta,
che da un pezzo nel campo della letteratura ha voce in
capitolo e ormai anche in arte segue una propria via. Per
questo pubblico Greuze e Chardin dipingono i loro qua-
dri didattici e di genere. Se pure i loro clienti non sono
solo nel ceto medio, ma anche fra il pubblico di Boucher
e di Fragonard. Del resto quest’ultimo si adegua spesso
al gusto che i pittori borghesi cercano di soddisfare e
persino in Boucher si trovano motivi non troppo lonta-
ni dal loro mondo. La colazione del Louvre, per esem-
pio, può essere indicata come una scena di vita borghe-
se, sia pure dell’alta borghesia; in ogni caso è un quadro
di genere, non piú di cerimonia.
La rottura di principio con il Rococò avviene nella
seconda metà del secolo; l’abisso fra l’arte aristocratica
e quella delle classi medie è evidente. La pittura di
Greuze segna l’inizio non solo di un nuovo orienta-
mento nella vita e di una nuova morale, ma anche di un

Storia dell’arte Einaudi 39


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

gusto nuovo – se si vuole, del «cattivo gusto». Le sue


sentimentali scene di famiglia, con padri che maledico-
no i figli traviati o benedicono quelli buoni e ricono-
scenti, sono pittura di scarso valore. Non hanno origi-
nalità di composizione, né forza di disegno, né bellezza
di colore, e, di piú, la tecnica ne è sgradevolmente liscia.
Le sentiamo fredde e vacue nonostante il pathos ecces-
sivo, false nonostante l’insistito sentimentalismo. Sono
esigenze quasi del tutto estranee all’arte quelle ch’esse
cercano di soddisfare; e rappresentano i loro soggetti,
che non sono pittorici, ma per lo piú puramente narra-
tivi, in modo affatto rozzo, gretto e visivamente ineffi-
cace. Diderot le loda, perché illustrano fatti che in
germe contengono interi romanzi36; ma forse si potreb-
be affermare con piú ragione ch’esse non contengono se
non quel che può stare in un racconto. Sono pittura «let-
teraria» nel peggior senso della parola, pittura volgare e
moraleggiante, di aneddoti, archetipo dei cattivi pro-
dotti dell’Ottocento. Ma non è il loro «carattere bor-
ghese» che le fa cosí prive di gusto, benché il mutare dei
gruppi che determinano il gusto si accompagni natural-
mente a un sovvertimento degli antichi criteri che, ben-
ché schematizzati, non mancavano di una loro provata
validità. I quadri di Chardin, pur con la loro modestia
borghese, appartengono al meglio dell’arte settecente-
sca. E sono arte borghese assai piú schietta e onesta che
non le opere di Greuze, il quale, con la sua idea con-
venzionale del popolo semplice e costumato, la sua apo-
teosi della famiglia borghese, l’idealizzazione della fan-
ciulla ingenua, esprime i sentimenti e le idee dei ceti
superiori piuttosto che di quelli medi o umili. L’impor-
tanza storica di Greuze non è tuttavia minore di quella
di Chardin; nella lotta contro il Rococò dell’aristocrazia
e dell’alta borghesia le sue armi si rivelano, anzi, le piú
efficaci. Diderot può averlo sopravvalutato come pitto-
re, mo lo ha giustamente apprezzato come propagandi-

Storia dell’arte Einaudi 40


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

sta politico. Comunque, egli aveva coscienza che con


Greuze era «l’art pour l’art» del Rococò che si metteva
in discussione; e quando dichiarava che l’arte deve «ono-
rare la virtú e smascherare il vizio», quando della gran-
de ruffiana voleva fare una maestra di virtú, quando
condannava Boucher e Vanloo per la loro artificiosità,
la loro destrezza vacua, frivola e sventata, per il loro spi-
rito libertino, era alla «punizione dei tiranni» che pen-
sava o, piú concretamente, pensava a introdurre la bor-
ghesia nell’arte, e cosí condurla a conquistarsi un posto
al sole. La sua crociata contro l’arte rococò non era che
una tappa nella storia della Rivoluzione già in corso.

* Gusto aulico.
1
paul hazard, La crise de la conscience européenne, 1935, I, pp. i-v
[trad. it., La crisi della coscienza europea, Torino 1946].
2
Cfr. bédier-hazard, Histoire de la littérature française, II, 1924, pp.
31-32.
3
germain martin, La grande industrie en France sous le règne de
Louis XV, 1900, p. 15.
4
f. funck-brentano, L’Ancien régime, 1926, pp. 299-300.
5
alexis de tocqueville, L’Ancien régime et la Révolution, 4a ed.,
1859, p. 171.
6
henri SÉE, La France économique et sociale au XVIIIe siècle, 1933,
p. 83.
7
albert mathiez, La Révolution française, I, 1922, p. 8 [trad. it.,
La Rivoluzione francese, 3 voll., Torino 1950].
8
karl kautsky, Die Klassengegensätze im Zeitalter der Französischen
Revolution, 1923, p. 14.
9
franz schnabel, Das XVIII. Jahrhundert in Europa, in Das Zeital-
ter des Absolutismus, in Propyläen-Weltgeschichte, VI, 1934 p. 277.
10
joseph aynard, La bourgeoisie française, 1934, p. 462.
11
f. strowski, La Sagesse française, 1925, p. 20.
12
j. aynard, La bourgeoisie française cit., p. 250.
13
Ibid., p. 422.
14
andré fontaine, Les doctrines d’art en France, 1909, p. 170.
15
pierre marcel, La peinture française au début du XVIIIe siècle,
1906, pp. 25-26.

Storia dell’arte Einaudi 41


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

16
louis réau, Histoire de la peinture française au XVIIIe siècle, I,
1925, p. x.
17
louis hourticq, La peinture française au XVIIIe siècle, 1939, p. 15.
18
wilhelm von christ, Geschichte der griechischen Literatur, nello
Handbuch der klassischen Altertumswissenschaft di müller, VII, 2/1,
1920, p. 183.
19
francesco macri-leone, La bucolica latina nella letteratura ita-
liana del secolo XIV, 1889, p. 15. walter w. greg, Pastoral Poetry and
Pastoral Drama, 1906, pp. 13-14.
20
t. r. glover, Virgil, 7a ed., 1942, pp. 3-4.
21
m. schanz - c. hosius, Geschichte der römischen Literatur, nello
Handbuch der klassischen Altertumswissenschaft di müller, II, 1935, p.
285.
22
w. w. greg, Pastoral Poetry ecc. cit., p. 66.
23
j. huizinga, Herbst des Mittelalters, 1928, p. 183 [trad. it., L’au-
tunno del Medioevo, Firenze 1942].
24
m. fauriel, Histoire de la poésie provençale, 1846, II, pagine
91-92.
25
mussia eisenstadt, Watteaus Fêtes galantes, 1930, p. 98.
26
g. lanson, Histoire de la littérature française, 1909, 11a ed., pp.
373-74.
27
Cfr. albert dresdner, Von Giorgione zum Rokoko, in «Preussi-
sches Jahrbuch», vol. CXL, 1910. werner weisbach, Et in Arcadia ego.
Die antike, VI, 1930, p. 140.
** «In un romanzo frivolo tutto si scusa facilmente... ma la scena
esige un’esatta giustificazione».
28
boileau, L’art poétique, III, vv. 119 sgg.
29
pierre marcel, La peinture française ecc. cit., p. 299.
*** Generi minori.
30
nikolaus pesvner, Academies of Art, 1940, p. 108.
31
g. lanson, Histoire de la littérature française cit., p. 374.
32
Cfr. petit de julleville, Histoire de la littérature française, IV,
1897, p. 419.
33
Ibid., IV, p. 459, V, p. 550.
34
emile faguet, Dixhuitième siècle, 1890, p. 123.
35
arthur elösser, Das bürgerliche Drama, 1898, p. 65.
**** Il gioco dell’amore e del caso.
36
diderot, Œuvres, 1821, VIII, p. 243.

Storia dell’arte Einaudi 42


Capitolo secondo

Il nuovo pubblico della letteratura

Nel Settecento la funzione di guida intellettuale passa


dalla Francia all’Inghilterra, piú progredita nel campo
economico, sociale e politico. Di qui verso la metà del
secolo parte il grande movimento romantico, ma già l’il-
luminismo riceve di qui l’impulso decisivo. Gli scritto-
ri francesi dell’epoca scorgono nelle istituzioni inglesi la
quintessenza del progresso, intessendo intorno al libe-
ralismo inglese una leggenda a cui la realtà corrisponde
solo in parte. Il prevalere dell’Inghilterra sulla Francia
nell’egemonia culturale va di pari passo con la decaden-
za della monarchia francese dal primato politico in Euro-
pa: cosí la storia del secolo xviii è dominata dall’ascesa
dell’Inghilterra nel campo politico, come in quello arti-
stico e scientifico. L’indebolirsi dell’autorità regia, che
in Francia si conclude con la caduta della monarchia, si
risolve, in Inghilterra, in un fattore di potenza, in quan-
to qui ceti intraprendenti, che intuiscono le linee mae-
stre dello sviluppo economico e vi si adeguano, sono già
pronti ad assumere il potere. Il Parlamento, che ora è
libera espressione delle aspirazioni politiche di questi
ceti, e costituisce la loro arma piú forte contro l’assolu-
tismo, aveva appoggiato i Tudor nella lotta contro la
nobiltà feudale, il nemico straniero e la Chiesa romana,
poiché le classi medie commercianti e industriali rap-
presentate in Parlamento, come anche la nobiltà libera-
le, ormai coinvolta nell’attività commerciale della bor-

Storia dell’arte Einaudi 43


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ghesia, avevano riconosciuto in quella lotta un aiuto per


giungere ai loro propri scopi. Fin verso la fine del Cin-
quecento, fra la monarchia e questi ceti durò una stret-
ta comunione d’interessi. Il capitalismo inglese era anco-
ra in una fase primitiva, avventurosa, e volentieri i mer-
canti partecipavano a imprese di pirateria insieme con
uomini di fiducia della Corona. Le vie si divisero solo
quando il capitalismo cominciò a seguire metodi piú
razionali e la Corona non ebbe piú bisogno dell’aiuto
della borghesia contro la nobiltà ormai piegata. Gli
Stuart, incoraggiati dall’esempio dell’assolutismo conti-
nentale e confidando nell’alleanza del re di Francia, si
giocarono con leggerezza la fedeltà delle classi medie e
l’appoggio del Parlamento. Riabilitarono l’antica nobiltà
trasformandola in nobiltà di corte e assicurando nuova
potenza a questo ceto a cui erano legati da sentimenti
piú forti e interessi piú costanti che non alla borghesia
e alla nobiltà liberale, antico sostegno dei loro prede-
cessori. Fino al 1640 la nobiltà feudale godette notevo-
li privilegi e lo stato non solo curava la stabilità dei pos-
sessi fondiari, ma cercava di assicurare ai grandi pro-
prietari terrieri parte dei profitti nelle imprese capitali-
stiche, per mezzo di monopoli e di altre forme di pro-
tezionismo. Ma appunto questa prassi tornò a danno del
sistema. Le classi economicamente produttive, nient’af-
fatto disposte a dividere i loro utili con i favoriti della
Corona, protestavano contro l’intervento statale e lo
facevano in nome della libertà e della giustizia, conti-
nuando poi a strombazzare tali parole d’ordine anche
quando si furono assicurati i maggiori privilegi econo-
mici.
Come osserva Tocqueville, non c’è quasi problema
politico che non sia connesso con la richiesta o l’appro-
vazione d’imposte. In Inghilterra queste dominavano la
vita pubblica fin dal Medioevo, e nel Seicento furono la
causa immediata dei moti rivoluzionari. La stessa bor-

Storia dell’arte Einaudi 44


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ghesia che aveva senz’altro acconsentito alle imposte


richieste dai Tudor, e negli anni della guerra civile s’era
mostrata disposta a ulteriori aggravi, le negò a Carlo I
per opposizione alla sua politica reazionaria, dannosa al
ceto medio. Quando poi Giacomo II, una generazione
piú tardi, richiese ai magistrati della City di protegger-
lo da Guglielmo d’Orange, la borghesia di Londra gli
negò il suo aiuto e preferí mettere a disposizione del-
l’invasore i mezzi necessari per la vittoria. Cominciò cosí
quell’alleanza fra monarchia e ceti mercantili, che assi-
curò in Inghilterra il trionfo del capitalismo e la stabi-
lità della Corona1. Gli ultimi resti del feudalesimo, che
la Francia spazzerà via solo cent’anni piú tardi, in
Inghilterra vengono distrutti già all’epoca della Rivolu-
zione, fra il 1640 e il 1660; ma anche qui la rivoluzio-
ne fu una lotta di classe, in cui i ceti legati al capitale
difendevano anzitutto i loro interessi economici contro
l’assolutismo, contro la proprietà esclusivamente terrie-
ra e contro la Chiesa2. Ma se il grande conflitto che
dominò la vita politica inglese del Sei e Settecento fu
combattuto tra due blocchi contrapposti, Corona e
nobiltà di corte da un lato e classi piú o meno interes-
sate all’attività capitalistica dall’altro, in realtà erano in
lizza almeno tre gruppi diversi, economicamente anta-
gonistici: i latifondisti, la borghesia alleata con quella
parte della nobiltà orientata verso il capitalismo, e il
gruppo eterogeneo dei piccoli imprenditori, dei salaria-
ti urbani e dei contadini. Ma di quest’ultima categoria
nel secolo xviii non si parlava gran che, né al Parlamento
né in letteratura.
Il Parlamento che si riuní dopo il 1688 non era certo
una «rappresentanza popolare» nel senso odierno; la
sua funzione fu quella di costruire un ordinamento capi-
talistico sulle rovine di quello feudale, e di assicurare il
predominio degli elementi economicamente produttivi
sui ceti parassitari, simpatizzanti con l’assolutismo e la

Storia dell’arte Einaudi 45


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

gerarchia ecclesiastica. La rivoluzione non ebbe come


conseguenza una nuova distribuzione dei beni econo-
mici; creò tuttavia certi diritti di libertà, che si risolse-
ro alla fine in un vantaggio per l’intera nazione e per
tutto il mondo civile. Infatti questi diritti, anche se da
principio erano scarsamente fruibili, pure significano la
fine della monarchia assoluta e l’inizio di un’evoluzione
che portava in sé il germe della democrazia. Il Parla-
mento volle agire soprattutto in senso conservatore, e
cosí fece in modo che le elezioni restassero in mano di
quella parte della proprietà terriera che era legata a inte-
ressi commerciali e dei ceti capitalistici ad essa associa-
ti. L’antagonismo tra Whigs e Tories era di secondaria
importanza; i comuni interessi delle classi rappresenta-
te in Parlamento erano comunque prevalenti. Ma qua-
lunque fosse il partito al governo, la vita politica era gui-
data dall’aristocrazia, che influiva in modo decisivo sulle
elezioni e riduceva la borghesia alla condizione di satel-
lite. Quando il potere passava dai Tories ai Whigs, ciò
significava soltanto che l’amministrazione favoriva il
commercio e le sette dissidenti, piuttosto che la pro-
prietà terriera e la Chiesa anglicana; ma, pur nel regime
parlamentare, non si usciva dall’oligarchia. I Whigs non
volevano un Parlamento senza re né privilegi nobiliari,
piú di quanto i Tories volessero una monarchia senza
Parlamento. Ma nessuno di loro intendeva il Parlamen-
to come rappresentanza popolare; lo consideravano sem-
plicemente come la garanzia dei loro privilegi di fronte
alla Corona. E per tutto il secolo xviii esso mantenne
questo carattere di classe. A vicenda governavano il
paese poche dozzine di famiglie tory o whig, che, man-
dando il primogenito alla Camera Alta e i cadetti ai
Comuni, monopolizzavano la politica. Due terzi dei
deputati erano semplicemente nominati dall’alto e il
resto era eletto da non piú di 160 000 elettori, i cui voti,
per giunta, si potevano in parte comprare. Il censo, che

Storia dell’arte Einaudi 46


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

legava il diritto di voto soprattutto alla rendita fondia-


ria, assicurava senz’altro il predominio in Parlamento
alla classe dei proprietari terrieri. Ma, nonostante le
limitazioni del suffragio, il commercio dei voti e la vena-
lità dei parlamentari, l’Inghilterra già nel Settecento era
una nazione moderna, che si liberava a poco a poco dai
residui del Medioevo. I suoi cittadini comunque gode-
vano di una libertà personale ancora sconosciuta nel
resto d’Europa; e gli stessi privilegi sociali, qui legati sol-
tanto al possesso della terra e non, come in Francia, a
mistici diritti del sangue3, erano piú atti a riconciliare i
ceti piú umili con le distinzioni di classe, già in sé e per
sé piú elastiche.
L’ordinamento della società inglese nel secolo xviii è
stato spesso confrontato con le condizioni di Roma nel-
l’ultimo periodo della repubblica, ma il fatto che la
struttura della società romana con la sua classe senato-
ria, gli equites e i plebei si ripeta, in certo modo, in
Inghilterra con le categorie dell’aristocrazia parlamen-
tare, dei capitalisti e dei «poveri», non sarebbe in sé e
per sé molto significativo: questa tripartizione è uno dei
tratti distintivi di ogni società già evoluta ma non anco-
ra livellata. Ciò che assicura speciale significato al paral-
lelo fra l’Inghilterra e Roma è il dominio che l’aristo-
crazia esercita sul Parlamento, e il fatto che siano del
tutto fluidi i confini tra patrizi e capitalisti. Ma il rap-
porto di queste classi con la plebe è abbastanza diverso
nei due paesi. È, vero che gli autori romani dell’epoca,
come quelli inglesi del Settecento non fanno mai cenno
dei poveri4, ma a Roma il proletariato occupa continua-
mente l’attenzione pubblica, mentre è quasi del tutto
trascurato nella politica inglese. Un’altra particolarità
che distingue la società inglese dalla romana – e non sol-
tanto da essa – è che la nobiltà, che altrove in circo-
stanze analoghe s’impoverisce, in Inghilterra accresce la
propria ricchezza e rimane il ceto piú influente5. È prova

Storia dell’arte Einaudi 47


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

della sua saggezza politica non solo ch’essa consenta ai


borghesi attività di grande profitto ed essa stessa vi par-
tecipi, ma che rinunzi spontaneamente ai privilegi fisca-
li, a cui l’aristocrazia francese si attacca piú che mai6. In
Francia soltanto la povera gente paga tasse, in Inghil-
terra soltanto i ricchi7, il che non migliora sostanzial-
mente la condizione dei poveri, ma assicura l’equilibrio
al bilancio dello stato, mentre abolisce il privilegio piú
odioso della nobiltà. L’aristocrazia mercantile che domi-
na in Inghilterra non ha certo sensi e pensieri piú umani
di quelli dell’aristocrazia in genere, ma, grazie all’espe-
rienza degli affari, è dotata di maggior realismo e com-
prende a tempo che i suoi interessi s’identificano con
quelli dello stato. La generale tendenza al livellamento,
che si arresterà soltanto di fronte alla differenza tra
ricco e povero, assume in Inghilterra forme piú radica-
li che altrove e qui per la prima volta crea rapporti socia-
li moderni, fondati essenzialmente sulla proprietà. Forti
disparità nella gerarchia sociale vengono qui evitate non
solo mediante una serie di gradi intermedi, ma anzitut-
to grazie all’indeterminatezza delle singole categorie.
L’alta nobiltà inglese – la nobility – è indubbiamente una
nobiltà di sangue, ma il titolo di pari è trasmesso esclu-
sivamente al primogenito; i cadetti quasi non si distin-
guono dal resto della gentry. Ma i confini della piccola
nobiltà sono fluidi anche verso il basso. In origine la gen-
try s’identificava con i gentiluomini di provincia – con
la squirearchy – ma a poco a poco venne comprendendo
non soltanto i notabili locali, ma anche tutti gli ele-
menti che per ricchezza e cultura si distinguessero dagli
esercenti, dai mercantucci e dai «poveri». Il concetto di
gentleman perdette quindi ogni significato giuridico e il
suo valore divenne incerto perfino nel riferirsi a un
determinato modo di vita. Il criterio dell’appartenenza
alla classe signorile venne limitandosi quasi esclusiva-
mente a un certo livello culturale e all’orientamento

Storia dell’arte Einaudi 48


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ideologico. Questo spiega anzitutto un fenomeno vera-


mente notevole e cioè che in Inghilterra il trapasso dal-
l’aristocratico Rococò al borghese romanticismo avven-
ga senza la violenta scossa dei valori culturali che si
verifica in Francia e in Germania.
Il livellamento intellettuale in Inghilterra si manife-
sta nel modo piú chiaro nel sorgere di uno stabile pub-
blico di lettori: una cerchia relativamente ampia, in cui
regolarmente si comprano e si leggono libri, e viene cosí
assicurata a un certo numero di scrittori una vita libera
da vincoli personali. La nascita di questo pubblico si
deve anzitutto all’importanza che assume la borghesia
agiata, che rompe il privilegio aristocratico della cultu-
ra e mostra un vivo e sempre crescente interesse per le
lettere. Non ci sono in questo nuovo pubblico individui
abbastanza ambiziosi e ricchi da farsi mecenati; ma esso
è sufficientemente numeroso da garantire lo smercio di
libri necessario a mantenere gli scrittori. La teoria secon-
do cui l’esistenza di questo pubblico si deve alla presenza
di un ceto medio economicamente e politicamente
influente viene non di rado contraddetta e in particola-
re si obietta che già nel Seicento la borghesia aveva rag-
giunto una sua importanza e che pertanto la funzione
culturale che essa acquista nel Settecento non si può
semplicemente spiegare con la sua migliorata condizio-
ne sociale8. È agevole ribattere in questo caso che la cul-
tura artistica del Seicento, soprattutto per il puritanesi-
mo della borghesia, rimase esclusiva della nobiltà di
corte. Gli altri ambienti rinunziarono alla funzione che
avevano avuto nell’età elisabettiana; quindi piú tardi
dovettero prima riconquistarsi il loro posto nella cultu-
ra, cioè ripercorrere una via sulla quale non potevano
procedere se non piú lentamente che su quella dell’a-
scesa economica e sociale. Il loro benessere dovette
diffondersi e consolidarsi, perché la cultura borghese vi
fondasse la sua egemonia. Infine la nobiltà stessa dovet-

Storia dell’arte Einaudi 49


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

te far propri certi aspetti della mentalità borghese per


formare con la borghesia un ceto intellettualmente omo-
geneo e rafforzare cosí il nuovo pubblico della lettera-
tura; e questo poté avvenire solo quando essa entrò
nella vita degli affari.
L’antica aristocrazia di corte non dava luogo a un
vero pubblico letterario; provvedeva in qualche modo ai
suoi poeti, che non considerava produttori di beni indi-
spensabili, ma servi alle cui prestazioni in certe circo-
stanze si poteva anche rinunziare. Essa li sosteneva piú
per motivi di prestigio che per il reale valore dell’opera
loro. La lettura alla fine del Seicento non era un passa-
tempo molto diffuso; la letteratura profana, fatta in
gran parte di storie ormai antiquate d’amori e di avven-
ture, non si rivolgeva che a nobili sfaccendati; e i libri
eruditi non li leggevano che i dotti. La cultura delle
donne, che doveva avere una parte cosí importante nella
vita letteraria del secolo successivo, lasciava molto a
desiderare. È noto, ad esempio, che la figlia maggiore
di Milton non sapeva scrivere, e la moglie di Dryden,
che pur veniva da una famiglia nobile, era sul piede di
guerra con la grammatica e l’ortografia della sua lingua
materna9. Gli unici libri che nel Seicento e agli inizi del
Settecento avessero un largo pubblico erano quelli di
edificazione; la letteratura amena d’argomento profano
costituiva ancora una parte insignificante della produ-
zione libraria10. Il volgersi del pubblico dai libri di devo-
zione alla letteratura brillante profana, che del resto fin
verso il 1720 trattava ancora soprattutto argomenti
morali, e solo piú tardi cominciò a imperniarsi su altri
piú leggeri, si può, contrariamente all’ipotesi di Schöf-
fler11, attribuire solo indirettamente al carattere politi-
co assunto dalla Chiesa per opera di Walpole e all’atti-
vità illuministica del clero anglicano. La politica libera-
le del governo e l’orientamento mondano della Chiesa
Alta non erano che sintomi dell’illuminismo, che a sua

Storia dell’arte Einaudi 50


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

volta era semplicemente l’espressione ideologica del


disgregarsi del feudalesimo e dell’avvento delle classi
medie. Ma l’aver chiarito la funzione del clero prote-
stante nel diffondere la letteratura profana e nella for-
mazione intellettuale del nuovo pubblico12 è tuttavia
uno dei piú importanti risultati della moderna sociolo-
gia. In effetti senza la propaganda dal pulpito i roman-
zi di Defoe e di Richardson non avrebbero raggiunto
tanta popolarità.
Verso la metà del secolo il numero dei lettori cresce
a vista d’occhio; si pubblicano libri in numero sempre
maggiore e, a giudicare dalla prosperità del commercio
librario, debbono trovare compratori. Sullo scorcio del
secolo, la lettura è ormai fra le necessità vitali dei ceti
superiori ed è stato osservato che il possedere libri è
tanto naturale negli ambienti descritti da Jane Austen,
quanto sarebbe stato strano nel mondo di Fielding13. Lo
sviluppo del nuovo pubblico è favorito in primo luogo
dai periodici, la grande invenzione del tempo, che si
diffondono dal principio del secolo. La borghesia com-
pie su di essi la sua educazione letteraria e mondana,
ancora orientata essenzialmente secondo i criteri dell’a-
ristocrazia. Anche questa, d’altronde, è molto cambia-
ta dai tempi del suo predominio, e ha tratto insegna-
mento dalla vittoria dello spirito cittadino e borghese su
quello di corte. Tuttavia la tensione fra i due modi di
pensare e sentire, aristocratico e borghese, durerà anco-
ra a lungo. La mentalità freddamente intellettualistica,
la scettica superiorità dell’aristocratico non scompare da
un giorno all’altro; si fa ancora sentire in molti modi
nello stile ricercato e nella morale stoica dei periodici
borghesi. Nella letteratura il gusto classicheggiante si
mantiene anche piú a lungo che nei giornali: fino alla
metà del secolo sono considerate qualità letterarie per
eccellenza l’ingegnosità e l’arguzia, l’acutezza delle tro-
vate e il virtuosismo tecnico, la chiarezza di pensiero e

Storia dell’arte Einaudi 51


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

la purezza di linguaggio, le qualità insomma che trovia-


mo nei seguaci di Pope e nei wits. Del resto nulla è piú
indicativo del carattere transitorio di questa cultura, fra
aulica e borghese, che quest’esiguo gruppo di letterati e
dilettanti, impegnati a distinguersi dai comuni mortali
per la cultura classica, il gusto difficile, il frizzo scher-
zoso e fatuo. La graduale scomparsa di questi intellet-
tuali, di cui certe peculiarità vengono acquisite come
naturale premessa della cultura letteraria, e altre invece
appaiono sempre piú ridicole, e soprattutto il fatto che
la loro futile arguzia cede al sano buon senso e la loro
eleganza formale all’immediatezza del sentimento, sono
tutti fenomeni che rientrano in una fase successiva dello
sviluppo storico in cui si compie la completa emancipa-
zione del gusto borghese in letteratura. Finalmente cessa
del tutto la tensione fra le due correnti e alla letteratu-
ra borghese non si oppone piú nulla che possa indicarsi
come aulico. Ciò non vuol dire che cessi ogni tensione,
o che domini un gusto unico e unanime. Piuttosto si pre-
para un nuovo contrasto, che al gusto di una élite intel-
lettuale opporrà quello dei lettori comuni; e già da ora
si verificano certe deviazioni in cui si possono ricono-
scere quelle che saranno piú tardi le debolezze della let-
teratura amena.
Il Tatler di Steele, pubblicato a partire dal 1709, lo
Spectator di Addison che lo sostitui due anni dopo, e i
successivi «settimanali morali» creano un collegamento
letterario fra il dotto e il lettore comune, piú o meno
istruito, fra l’ingegno brillante dell’aristocratico e il buon
senso del borghese; rappresentano quindi una letteratu-
ra non aulica né veramente popolare, in cui il severo
razionalismo, il rigore morale e l’ideale di rispettabilità
stanno tra la visione cavalleresca dell’aristocrazia e quel-
la della borghesia puritana. In questi periodici le brevi
trattazioni pseudo-scientifiche e le discussioni di filoso-
fia morale offrono la miglior introduzione alla lettura dei

Storia dell’arte Einaudi 52


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

libri e dànno al pubblico il gusto della letteratura seria;


essi fanno della lettura una consuetudine e una necessità
per ceti relativamente larghi. Ma a loro volta i periodici
sono una conseguenza diretta della nuova posizione
sociale dello scrittore. Dopo la Gloriosa Rivoluzione que-
sti non trova piú appoggio alla corte, che ormai non è piú
quella d’un tempo e non riavrà mai piú la sua primitiva
funzione culturale14. La parte di protettori delle lettere
passa al partiti politici e al governo legato all’opinione
pubblica. Al tempo di Guglielmo III e di Anna il pote-
re è diviso fra Tories e Whigs e i due partiti, costretti a
una perpetua gara per l’egemonia politica, non possono
rinunziare alla letteratura come arma di propaganda. Gli
scrittori stessi, volenti o nolenti, debbono prestarsi a
questo compito; poiché è quasi scomparsa l’antica forma
di mecenatismo e il libero mercato librario non può con-
tare ancora su un pubblico sufficiente, essi non hanno
fonti sicure di guadagno al di fuori della propaganda
politica. Così, se Steele e Addison diventano giornalisti
che direttamente o indirettamente rappresentano gli inte-
ressi dei Whigs, Defoe e Swift si dànno a scrivere libel-
li politici e fini politici perseguono anche nei romanzi.
L’idea de «l’art pour l’art», se pur fossero stati tali da
concepirla, sarebbe apparsa loro qualcosa di irresponsa-
bile e in sé immorale. Robinson è uno scritto a tesi, di
pedagogia sociale, e Gulliver una satira contro la società
dell’epoca; entrambi sono nel piú stretto senso della
parola propaganda politica, e quasi nulla piú. Certo non
è il primo caso di letteratura militante, intesa a immediati
fini sociali; ma le «bombe cartacee» di Swift e dei suoi
contemporanei sarebbero state inconcepibili prima che si
affermassero la libertà di stampa e la pubblica discussio-
ne dell’attualità politica. Solo ora lo scrittore che fa della
sua penna un’arma adatta a ogni necessità, posta al ser-
vizio del miglior offerente, appare come normale feno-
meno sociale.

Storia dell’arte Einaudi 53


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Il fatto che davanti a lui non stia piú una sola forza
compatta, ma due partiti diversi, lo rende in certo modo
indipendente, potendo egli scegliersi il padrone, piú o
meno secondo le proprie inclinazioni15. Ma che l’uomo
politico lo consideri semplicemente come alleato, questa
è per lo piú una finzione utile e lusinghiera per le due
parti. Quanto ai due massimi pubblicisti del tempo,
Defoe in sostanza è persuaso di quanto sostiene e, nella
passione di Swift, l’odio è schietto. Il primo, un whig,
è profondamente ottimista, l’altro invece, com’è natu-
rale per un tory del tempo di Walpole, è amaramente
pessimista; l’uno è l’araldo di una borghese e puritana
filosofia della vita, che ha fede in Dio e nel mondo; l’al-
tro ostenta sarcastica superiorità, misantropia e disprez-
zo del mondo. I due campi politici in cui è divisa l’In-
ghilterra, hanno in loro i massimi esponenti letterari.
Defoe è figlio di un macellaio di Londra che appartiene
ai dissenzienti; il puritanesimo dei padri, oppresso ma
inflessibile, echeggia nei suoi scritti. Egli stesso fu per-
seguitato sotto il governo tory, ligio alla Chiesa Alta. La
vittoria dei Whigs giustificherà infine le speranze della
sua classe e dei suoi compagni di fede; ed è proprio gra-
zie a lui che l’ottimismo di questa borghesia avrà per la
prima volta voce nella letteratura. Robinson Crusoe che,
con le sole sue forze, vince la natura riluttante e crea dal
nulla benessere, sicurezza, ordine, legge e costume, è il
classico rappresentante del medio ceto. La storia delle
sue avventure è tutto un inno alla solerzia, alla perse-
veranza, all’inventiva, al buon senso vittorioso di ogni
difficoltà, insomma alle virtù pratiche della borghesia;
è l’atto di fede di una classe sociale che tende ad ele-
varsi, conscia della propria forza, e a un tempo è il pro-
gramma di una giovane e intraprendente nazione tesa a
conquistare il mondo. Swift non vede di tutto questo
che il rovescio della medaglia; non solo perché egli parte
da un altro punto di vista sociale, ma anche perché ha

Storia dell’arte Einaudi 54


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ormai perduto la fede ingenua di Defoe. Egli è uno dei


primi a sentirsi deluso dell’illuminismo, e questa sua
esperienza esprime in una sorta di Candide iperbolico.
È di quegli spiriti che l’odio rende geniali, e vede cose
che gli altri non sanno vedere, perché odia piú intensa-
mente degli altri e perché, com’egli scrive a Pope, vuol
tormentare, non dilettare il mondo. Cosí comporrà il
libro piú crudele di questo secolo, che pure non è certo
povero di libri crudeli, benché cosí umano e sensibile.
È impossibile immaginare qualcosa di piú contrario alla
filantropia del Robinson di quest’altro grande «roman-
zo per giovinetti» della letteratura inglese, che in cru-
deltà può venire superato soltanto dal terzo esempio
del genere, il Don Quijote. Tuttavia certi caratteri sono
comuni al Gulliver e al Robinson. Anzitutto, da un punto
di vista storico-letterario, entrambi risalgono a quei fan-
tastici romanzi di viaggi e a quelle utopiche storie mera-
vigliose cosí care al Rinascimento, di cui gli autori piú
noti sono Cyrano de Bergerac, Campanella e Tommaso
Moro. Inoltre essi hanno al loro centro gli stessi pro-
blemi filosofici, in particolare quelli sull’origine e il valo-
re della civiltà umana. Solo in un tempo in cui le basi
sociali della civiltà cominciavano a vacillare questi pro-
blemi potevano acquistare l’importanza che hanno per
Defoe e per Swift, e solo perché furono diretti testimoni
dell’assurgere di una nuova classe alla direzione della cul-
tura essi poterono giungere a una formulazione cosí
netta dell’idea che le diverse civiltà sono strettamente
condizionate dai fattori sociali.
Con lo sviluppo della letteratura di propaganda, si
trasforma radicalmente la posizione economica e socia-
le dello scrittore. Ora che, in premio dei suoi servigi, gli
sono concessi alti uffici e ricchi compensi, cresce agli
occhi del pubblico anche il suo valore morale. Addison
sposa una contessa di Warwick, Swift è in rapporti ami-
chevoli con personalità come Bolinbroke e Harley, e al

Storia dell’arte Einaudi 55


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Kitcat Club un conte di Sunderland e un duca di New-


castle trattano alla pari Vanbrough e Congreve. Ma non
dobbiamo mai dimenticare che questi scrittori sono
apprezzati e rimunerati unicamente per i loro servigi
politici e non per le loro qualità letterarie o morali16. E
poiché sono gli uomini politici ora a disporre delle ricom-
pense agli scrittori, soprattutto sotto forma di alti impie-
ghi, i partiti e il governo assumono, nella letteratura, la
posizione che un tempo avevano i circoli di corte e il re.
Ma il prezzo ch’essi pagano è piú alto e i premi che toc-
cano agli autori sono maggiori del compenso che una
volta si concedeva a un poeta. Locke è commissario
della Corte d’Appello e della Camera di Commercio,
Steele esercita una funzione analoga presso l’Ufficio del
Bollo, Addison diventa segretario di stato e quando
lascia l’ufficio gli viene assegnata una pensione di mil-
leseicento sterline; Granville è membro della Camera dei
Comuni, diventa ministro della guerra e tesoriere della
casa reale, Prior ottiene una legazione e Defoe viene
incaricato di varie missioni politiche17. Mai e in nessun
luogo come nell’Inghilterra del Settecento tanti scritto-
ri vennero insigniti di cosí alti uffici e dignità.
Questa situazione di eccezionale favore per gli scrit-
tori giunge all’apogeo negli ultimi tempi della regina
Anna e cessa del tutto con il ministero, Walpole, nel
1721. Con l’avvento al potere dei Whigs si creano con-
dizioni per cui i letterati diventano inutili al governo, e
finisce bruscamente il mecenatismo politico. L’egemo-
nia del partito al governo appare cosí solida da poter fare
a meno di ogni propaganda; e d’altronde l’influsso dei
Tories è cosí scarso ch’essi non possono ricompensare gli
scrittori per i loro servigi. Walpole, personalmente estra-
neo alla letteratura, non ha certo denaro superfluo né
impieghi disponibili per gli autori. I posti piú lucrativi
debbono esser concessi ai deputati, il cui appoggio è
necessario in Parlamento, o a elementi di quei collegi

Storia dell’arte Einaudi 56


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

elettorali, che si vogliono gratificare. D’altronde si è


giunti al punto che, per quanti scrittori si soddisfino, ce
n’è sempre di malcontenti, e nessuno ha tra loro tanti
avversari come Halifax, il generosissimo mecenate18. Si
fa il silenzio intorno ai poeti e ai letterati. Pope, Addi-
son, Steele, Swift, Prior si allontanano dalla capitale e
dalla vita pubblica, e tutt’al piú continuano a scrivere
nella solitudine della campagna. La situazione economi-
ca dei giovani peggiora rapidamente. Thomson è cosí
povero che deve vendere un canto delle sue Seasons* per
comprarsi un paio di scarpe, e anche Johnson agli inizi
deve lottare con la piú amara indigenza. Il letterato non
è piú un gentleman; con la sicurezza economica, tra-
montano reputazione e dignità. Egli acquista cattive
maniere, conduce una vita sregolata, diventa infido; e
si finisce con tipi come Savage, impossibili al tempo
della cultura di corte, e in certo modo precursori della
moderna bohème.
Per fortuna il mecenatismo privato non cessa cosí
all’improvviso come quello politico. L’antica tradizione
aristocratica non si era mai del tutto interrotta, e, ades-
so che gli scrittori possono e debbono volgersi nuova-
mente ai privati, essa rifiorisce. Il nuovo mecenatismo,
in verità, non è diffuso come l’antico, ma in generale sa
orientarsi con maggior competenza, sí che presto o tardi
ogni scrittore di talento trova un mecenate, purché ci si
metta d’impegno19. Comunque, in questa fase di pas-
saggio dalla propaganda politica alla libera professione
letteraria, erano pochi gli scrittori che potevano fare a
meno dell’appoggio privato. Le recriminazioni contro i
sistemi del patronato erano continue, ma non si sa di
nessuno che abbia avuto il coraggio di affrancarsene.
Eppure era meno scomodo dipendere da un mecenate
che da un editore, sebbene il carattere piú personale del
vincolo lo rendesse spesso in apparenza piú umiliante.
Infatti anche Johnson, che per tutta la vita rifiutò di pro-

Storia dell’arte Einaudi 57


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

curarsi un mecenate, e aveva poca stima del mecenati-


smo come istituzione, ammetteva che si potesse esser
protetti da un gran signore, pur conservando la propria
indipendenza. In questo senso i rapporti di Fielding con
il suo protettore costituiscono una prova innegabile. Gli
scrittori senza appoggi privati per lo piú dovevano lavo-
rare a giornata, assumendosi traduzioni, compendi, revi-
sioni, correzioni di bozze, collaborando a riviste e a
enciclopedie popolari. Anche Johnson, il futuro arbitro
della letteratura inglese, cominciò cosí la sua carriera, da
povero coolie. Non si può includere in nessuna di que-
ste categorie Pope, che apparentemente resta libero da
ogni vincolo esterno, ma in realtà è al servizio di quel-
l’aristocrazia che acquista i suoi libri per sottoscrizione
e lo considera a buon diritto come suo. Col risorgere del
mecenatismo privato, torna a diminuire la considera-
zione per lo scrittore di professione, e lo prova l’atteg-
giamento di uomini come Horace Walpole e lord Che-
sterfield, pur dotati di vasta cultura letteraria. La nota
frase di quest’ultimo: «We, my lords, may thank Hea-
ven that we have something better than our brains to
depend upon»** caratterizza ottimamente l’opinione
dominante. Ma anche una parte degli autori la pensano
cosí e si dànno l’aria di scrivere per signorile diletto. A
questa categoria appartiene Congreve, che vuol essere
considerato da Voltaire soprattutto come gentleman e
non come scrittore.
Il mecenatismo cessa dopo la metà del secolo e verso
il 1780 non c’è piú scrittore che conti su appoggi privati.
Il numero dei poeti e dei letterati indipendenti, che
vivono della loro penna, aumenta di giorno in giorno,
come il numero di coloro che leggono e comprano libri
fuori d’ogni rapporto personale con l’autore. Johnson e
Goldsmith ormai scrivono solo per costoro. Al mecena-
te subentra l’editore; la sottoscrizione, che molto giu-
stamente è stata detta una specie di mecenatismo col-

Storia dell’arte Einaudi 58


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

lettivo, costituisce la forma di passaggio20. Il mecenati-


smo è la forma schiettamente aristocratica del rapporto
fra scrittore e pubblico; la sottoscrizione, pur allentan-
do il legame, ne conserva in parte il carattere persona-
le; solo il libro stampato per il gran pubblico affatto sco-
nosciuto all’autore corrisponde alla struttura della
società borghese, fondata sulla circolazione anonima
delle merci. La funzione dell’editoria come mediatrice
fra autore e pubblico comincia quando il gusto borghe-
se si viene emancipando dai canoni aristocratici, anzi di
questo fenomeno essa è un chiaro sintomo. Solo allora
si sviluppa una vita letteraria in senso moderno, di cui,
oltre la regolare pubblicazione di libri, giornali e riviste,
fa parte anche l’esperto di letteratura, in particolare il
critico che rappresenta il livello medio del gusto e l’o-
pinione pubblica. Ai precursori dei letterati settecente-
schi, specialmente agli umanisti del Rinascimento, que-
sta funzione era negata, anche solo per la mancanza
della stampa periodica, cioè del mezzo veramente ido-
neo per influenzare il pubblico.
Fino a mezzo il secolo xviii gli scrittori non erano vis-
suti dei proventi diretti dell’opera loro, ma di pensioni,
prebende, sinecure, spesso indipendenti sia dall’intrin-
seco valore, che dalla popolarità dei loro scritti. Solo ora
il prodotto letterario diventa merce, il cui valore dipen-
de dalla richiesta sul libero mercato. Si può salutare
questo mutamento con soddisfazione o con rammarico;
comunque è certo che la trasformazione della profes-
sione di scrittore in attività indipendente e regolare
sarebbe stata inconcepibile, nell’epoca del capitalismo,
senza la metamorfosi della prestazione personale in
merce impersonale. Solo per questa via i letterati hanno
potuto conquistarsi una salda base economica e quella
dignità che l’epoca moderna riconosce alla loro profes-
sione; infatti chi compra un libro pubblicato in un’edi-
zione di mille esemplari non fa, almeno direttamente,

Storia dell’arte Einaudi 59


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

una grazia all’autore, mentre il compenso per un mano-


scritto ha sempre l’aria di un’elemosina. Al tempo delle
corti e dell’aristocrazia la rispettabilità di un uomo
dipendeva dal rango del suo protettore; ora, in epoca
liberale e capitalistica, egli gode tanto maggior prestigio
quanto piú è libero da vincoli personali e quanto piú è
fortunato in rapporti fondati unicamente sulla recipro-
cità delle prestazioni. La manovalanza letteraria non
scompare affatto, ma la richiesta di scritti ameni e istrut-
tivi, specialmente di enciclopedie storiche, biografiche
e statistiche, è cosí grande che qualunque mediocre auto-
re può contare su un provento sicuro21. In imprese come
«La fabbrica letteraria» di Smollett, dove si lavora con-
temporaneamente a una traduzione del Don Quijote, a
una storia d’Inghilterra, a un compendio di viaggi e a
una traduzione delle opere di Voltaire, c’è lavoro per
chiunque sappia tener la penna22. Si parla molto dello
sfruttamento degli scrittori a quell’epoca, e certo gli
editori non erano filantropi: ma Johnson afferma a loro
lode che erano soci corretti e generosi, e sappiamo che
gli autori noti e in voga ottenevano per l’opera loro
somme che appaiono considerevoli anche riferite alle
condizioni odierne. Hume, ad esempio, con la sua Sto-
ria di Gran Bretagna (1754-61) guadagnò tremilaquat-
trocento sterline, e Smollett con la sua opera storica
(1757-65), duemila. Sono cambiate le cose dai tempi di
Defoe, che per il manoscritto del Robinson dapprima
non riuscí a trovare editori e finalmente ne ricavò dieci
sterline. Con la conquista dell’indipendenza economica
il prestigio dello scrittore sale a un’altezza finora igno-
ta. Nel Rinascimento il poeta o l’umanista celebre era,
sì, onorato ed esaltato, ma i mediocri venivano confusi
con gli scrivani e i segretari privati. Solo adesso lo scrit-
tore in quanto tale gode la stima che spetta al rappre-
sentante di una sfera superiore; e il Dorat fa dire a un
filosofo in una sua commedia: «Nous protégeons les

Storia dell’arte Einaudi 60


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

grands protecteurs d’autrefois»***23. Soltanto ora nasce


l’ideale della personalità creatrice, del genio artistico
con una sua originalità e una sua gelosa soggettività, cosí
come lo caratterizza Edward Young nelle sue Conjectu-
res on Original Composition**** (1759).
Questo motivo del carattere geniale della creazione
artistica per lo piú non è che un’arma contro la concor-
renza, e il soggettivismo dell’espressione è spesso una
semplice forma di autopubblicità. In ogni modo, il sog-
gettivismo dei poeti preromantici è, almeno in parte,
una conseguenza del crescente numero degli scrittori,
della loro situazione strettamente legata al mercato libra-
rio ed alla reciproca concorrenza, proprio come il movi-
mento romantico, in quanto espressione spiccatamente
passionale del nuovo modo di sentire borghese, è il pro-
dotto di una concorrenza intellettuale e un’arma della
borghesia contro la mentalità aristocratica, classicheg-
giante e incline alle regole e ai canoni generali. Finora
la classe media si sforzava di far proprio il linguaggio
artistico dei ceti superiori; ora invece, che è giunta a un
grado di ricchezza e influenza che le consente di avere
una sua propria letteratura, vuole imporre le proprie
concezioni e parlare la sua lingua: e non sarà piú la sem-
plice negazione dell’intellettualismo aristocratico, ma il
linguaggio della sensibilità. La rivolta del sentimento
contro il freddo intelletto rientra, come del resto l’in-
sorgere del «genio» contro la costrizione di regole e for-
mule, nell’ideologia dei ceti ambiziosi e progressivi nella
loro lotta contro lo spirito conservatore e convenziona-
le. L’ascesa della moderna borghesia, come quella dei
ministeriales nel Medioevo, è legata a un movimento
romantico; il sovvertimento sociale, oggi come allora,
finisce col dissolvere i vincoli formali, maturando una
piú profonda sensibilità.
Si è spesso parlato dell’evoluzione che dall’intellet-
tualismo della cultura classicheggiante porta al senti-

Storia dell’arte Einaudi 61


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

mentalismo romantico come di un cambiamento di gusto


provocato dal tedio degli ambienti piú elevati per un’ar-
te raffinata e decadente. Giustamente però si è obiet-
tato che il desiderio di novità in sé è un fattore relati-
vamente secondario nel mutare degli stili, e che una
tradizione di gusto, quanto piú è antica ed evoluta,
tanto meno è incline di suo ai cambiamenti. Un nuovo
stile quindi si fa strada a fatica, quando non si rivolge a
un pubblico nuovo24. L’aristocrazia del Settecento,
comunque, forse non avrebbe avuto fondati motivi per
rinunziare al proprio gusto, se la classe media non si
fosse impadronita dell’iniziativa culturale. Essa difatti
non era per nulla disposta a sottomettersi senz’altro a
questa iniziativa, né a condividere il sentimentalismo dei
ceti inferiori. Ma sappiamo che spesso la tendenza pre-
dominante di un’epoca ottiene l’adesione anche di quei
ceti, ch’essa minaccia di distruggere. E proprio per que-
sto fenomeno il Settecento è esemplare. Si sa che l’ari-
stocrazia contribuí in modo eminente a preparare la
Rivoluzione e se ne spaventò soltanto quando fu chiaro
che cosa significasse la sua vittoria. Una funzione ana-
loga l’alta società ebbe nello sviluppo della cultura anti-
classica. Nell’assimilare e nel propagare le idee dell’illu-
minismo essa gareggiò con il ceto medio, spesso supe-
randolo; soltanto la tempra di Rousseau, francamente
plebea e irriverente, l’indusse a riflettere e a reagire. E
di questa reazione è già un segno l’ostilità di Voltaire
verso Rousseau. Ma per lo piú nelle personalità piú emi-
nenti fin dall’inizio si ritrovano intrecciati elementi
razionalistici e sentimentali; la loro finezza intellettua-
le le rende in certo modo insensibili ai loro propri inte-
ressi di classe. L’evoluzione dell’arte, già scarsamente
unitaria nel Seicento, si fa, in quest’epoca preromanti-
ca, ancora piú complicata e, per certi riguardi, presenta
un quadro persino piú oscuro che nel periodo successi-
vo. L’Ottocento è ormai interamente dominato dalla

Storia dell’arte Einaudi 62


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

borghesia in cui sono ben nette le distinzioni economi-


che, ma non troppo quelle culturali; l’unica divisione
veramente profonda è quella che separa i ceti che godo-
no del privilegio della cultura da quelli che ne sono
esclusi. Invece nel Settecento sia l’aristocrazia, sia la
borghesia sono divise in due campi: all’interno di ognu-
no di questi ceti si ha un gruppo conservatore e uno
innovatore che, pur incrociandosi in molte guise, con-
servano il proprio carattere.
Per l’origine, il romanticismo è un movimento ingle-
se; come del resto la borghesia moderna, che in Inghil-
terra per la prima volta arriva a creare una sua espres-
sione letteraria indipendente dall’aristocrazia, è un pro-
dotto della situazione inglese. La poesia della natura di
Thomson, i canti notturni di Young e le elegie ossiani-
che di Macpherson, come il sentimentale romanzo di
costume di Richardson, Fielding e Sterne non sono che
l’espressione letteraria dell’individualismo, di cui altre
espressioni sono il laissez-faire e la rivoluzione indu-
striale. Sono fenomeni di quell’epoca di guerre com-
merciali, con cui termina il trentennio di pacifico gover-
no whig, e che alla Francia costa l’egemonia sull’Euro-
pa. Alla fine della contesa, l’impero britannico non sol-
tanto è la prima potenza mondiale, non solo nel com-
mercio internazionale ha lo stesso posto di Venezia nel
Medioevo, della Spagna nel Cinquecento, della Francia
e dell’Olanda nel Seicento; ma, contrariamente a quan-
to era accaduto a queste ultime, conserva all’interno la
sua forza25 e le conquiste tecniche della rivoluzione indu-
striale gli permettono di proseguire la lotta per l’ege-
monia economica. Le vittorie militari, le scoperte geo-
grafiche, i nuovi mercati e le nuove vie marittime, i capi-
tali relativamente cospicui in cerca d’investimenti: ecco
le premesse di quella rivoluzione. Il rapido susseguirsi
delle invenzioni non si può spiegare soltanto con lo svi-
luppo delle scienze esatte e l’improvviso sorgere di doti

Storia dell’arte Einaudi 63


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tecniche. Le invenzioni si fanno perché si sanno utiliz-


zare, perché c’è una richiesta di prodotti industriali che
non può venir soddisfatta con gli antichi metodi, e per-
ché si dispone dei mezzi materiali per il rinnovamento
tecnico. Finora nella storia della scienza si era prestata
scarsa attenzione alle possibili applicazioni industriali;
solo a partire dall’ultimo terzo del Settecento la ricerca
è dominata dall’indirizzo tecnologico. Tuttavia la rivo-
luzione industriale non apre un’era completamente
nuova. Piuttosto essa continua uno sviluppo iniziatosi
sin dalla fine del Medioevo. Non è una novità la scis-
sione tra capitale e lavoro, né l’organizzazione indu-
striale della produzione; da secoli c’erano macchine, e,
da quando esisteva un’economia orientata in senso capi-
talistico, continuo era il progresso dei metodi razionali
nella produzione. Ma ora questa si meccanizza e si
razionalizza in modo decisivo, entrando in una fase che
liquida affatto il passato. L’abisso tra capitale e lavoro
si fa incolmabile e sia il dominio del capitale, sia l’op-
pressione e la miseria del lavoratore crescono fino a
mutare tutto il colore della vita. Quindi, per quanto
antichi siano gli inizi di quest’evoluzione, è pur vero che
alla fine del Settecento sorge un mondo nuovo.
Solo adesso scompare il Medioevo con tutti i suoi
residui – lo spirito corporativo, i suoi modi di vita par-
ticolaristici, i sistemi di produzione irrazionali e tradi-
zionali – per far posto a un’organizzazione di lavoro uni-
camente fondata sul metodo e sul calcolo, e a uno spie-
tato individualismo nella concorrenza. Con la grande
industria cosí organizzata secondo criteri di rigorosa
razionalità, si apre l’età moderna nel vero senso della
parola, l’età della macchina. Con essa sorge una nuova
forma di azienda determinata dai mezzi meccanici, dalla
rigida divisione del lavoro, dall’adattamento alla pro-
duzione in massa. Dal carattere impersonale del lavoro,
che prescinde ormai dalle particolari attitudini del lavo-

Storia dell’arte Einaudi 64


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ratore, deriva la sempre piú fredda obiettività del rap-


porto fra imprenditore e prestatore d’opera. L’accen-
trarsi degli operai nelle città industriali, in balia delle
oscillazioni sul mercato del lavoro, introduce condizio-
ni piú dure e forme di vita meno libere. Il capitalista,
legato a una solida impresa, si forma un nuovo, piú rigi-
do ethos professionale; invece l’operaio, che non si sente
legato in alcun modo alla fabbrica, smarrisce il senso
etico del lavoro. Sorge infine una nuova struttura socia-
le: un nuovo ceto capitalistico (gl’imprenditori moder-
ni), un nuovo ceto medio urbano dall’esistenza precaria
(gli eredi dei piccoli commercianti e artigiani), e una
nuova classe di lavoratori (il moderno proletariato indu-
striale). Si perdono le antiche distinzioni di mestiere e
il livellamento è spaventoso, specialmente nei gradi piú
bassi. Artigiani, giornalieri, contadini senza terra e inur-
bati, operai provetti e inesperti, uomini, donne, fan-
ciulli, tutti diventano semplici manovali in una grande
industria che funziona macchinalmente, con regolamenti
da caserma. La vita perde stabilità e continuità, ogni sua
forma e ogni suo ordinamento vengono sconvolti, senza
ricomporsi in un nuovo equilibrio. Un primo fattore di
sconvolgimento sociale è rappresentato dall’urbanesi-
mo. Mentre le «recinzioni» e la commercializzazione
dell’economia agricola producono disoccupazione, le
nuove industrie per contro offrono nuove occasioni di
lavoro: si spopola quindi il villaggio e si sovrappopola la
città industriale, che con le sue proporzioni e il suo
affollamento rappresenta per le masse degli spostati un
ambiente affatto insolito e sconcertante. Le città asso-
migliano a grandi campi di lavoro o a prigioni, sono sco-
mode, sporche, malsane e incredibilmente brutte26. La
vita della classe lavoratrice vi scende a un livello cosí
basso, che in confronto quella del servo medievale sem-
bra perfino idillica.

Storia dell’arte Einaudi 65


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Per condurre un’industria in modo da poter sostene-


re la concorrenza occorre un capitale cospicuo; e questo
provoca una radicale scissione del lavoro dai mezzi di
produzione e quindi quella lotta fra capitale e lavoro che
è caratteristica della vita moderna. Poiché soltanto il
capitalista può disporre dei mezzi di produzione, al lavo-
ratore non rimane che offrire sul mercato le sue braccia,
esponendosi al rischio di continue fluttuazioni dei sala-
ri e della disoccupazione periodica. La fabbrica con la
sua concorrenza non travolge soltanto il proletariato
operaio, ma anche le piccole aziende artigiane, che per-
dono l’indipendenza e ogni sicurezza. Del resto, il nuovo
modo di produzione annienta anche la tranquillità e la
sicurezza delle classi possidenti. La principale forma di
ricchezza era stata finora la proprietà terriera che sol-
tanto lentamente e con molte esitazioni si trasformava
in capitale commerciale e bancario; per altro anche il
capitale mobile interveniva nell’industria solo in picco-
la parte27. Solo dopo il 1760 l’impresa industriale diven-
ta la forma preferita d’investimento. L’esercizio di una
fabbrica con i suoi impianti di macchine, il suo consu-
mo di materiale e il suo esercito di operai, esige tutta-
via mezzi sempre piú grandi e provoca un’accumulazio-
ne di capitale piú forte che le forme precedenti di pro-
duzione. Con la concentrazione ormai sempre crescen-
te della ricchezza e con gl’investimenti industriali
comincia il grande capitalismo28. Ma cosí il processo
capitalistico entra nella fase della grande speculazione.
Prima l’economia rurale non conosceva né il rischio del
capitale né la speculazione, e perfino nel commercio e
nella finanza l’audacia non era frequente; a poco a poco
le nuove industrie prendono la mano ai capitalisti e
spesso gli imprenditori giocano poste troppo forti per
poterne sopportare agevolmente la perdita. Una vita
cosí precaria genera, pur nell’effettiva prosperità, uno

Storia dell’arte Einaudi 66


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

stato d’animo da cui scompare irrimediabilmente l’an-


tico ottimismo.
Il nuovo tipo del capitalista – il capitano d’industria –
con la sua nuova funzione sviluppa nella vita economi-
ca nuove attitudini, ma anzitutto una nuova disciplina
e una nuova valutazione del lavoro. Egli in certo modo
fa passare in seconda linea gli interessi commerciali,
dedicandosi tutto all’organizzazione interna della sua
impresa. Il principio della convenienza, del metodo e del
computo, importante fin dal secolo xv nell’economia dei
maggiori paesi, ora diventa esclusivo. L’imprenditore vi
si sottomette non meno inesorabilmente dei suoi operai
e impiegati, e diventa schiavo dell’officina al pari dei
suoi dipendenti29. L’idealizzazione del lavoro come forza
etica, l’esaltazione e il culto di cui lo si fa oggetto non
sono, in fondo, che la trasfigurazione ideologica della
brama di successo e di guadagno, e un mezzo con cui si
tenta di spronare a una cooperazione entusiastica anche
quegli elementi che meno partecipano ai frutti del pro-
prio lavoro. Nell’ambito della stessa ideologia rientra
anche l’idea di libertà. Per il rischio connaturato alla sua
attività, l’industriale deve godere di completa indipen-
denza e libertà di movimento, cosí da non essere impe-
dito da alcuna ingerenza dall’esterno, né danneggiato
rispetto ai concorrenti da alcun provvedimento statale.
Nel trionfo di questo principio sull’antica legislazione
medievale e mercantilistica consiste essenzialmente la
rivoluzione industriale30. Solo con il principio del lais-
sez-faire comincia l’economia moderna, e l’idea della
libertà individuale si afferma soltanto come ideologia del
liberismo. Il che veramente non impedisce che l’idea del
lavoro, e quella stessa della libertà, si evolvano succes-
sivamente in valori etici autonomi e vengano spesso
intese in senso veramente idealistico.
Ma per non dimenticare quanto poco di idealistico vi
fosse all’origine del liberismo, basta tener presente che

Storia dell’arte Einaudi 67


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

la rivendicazione di libertà per l’industria era anzitutto


rivolta contro l’artigiano qualificato, che cosí veniva a
essere privato dell’unico vantaggio ch’egli avesse di fron-
te all’imprenditore. Lo stesso Adam Smith era ancora
ben lontano dal ricorrere a motivi ideali per giustifica-
re la libera concorrenza: egli scorgeva anzi nell’egoismo
e nell’interesse personale la miglior garanzia per un per-
fetto funzionamento dell’organismo economico e per il
pubblico bene. Per questa fede nell’autodisciplina del-
l’economia e nell’automatico equilibrio degli interessi ci
voleva tutto l’ottimismo illuministico; appena questo
cominciò a languire, divenne sempre piú difficile iden-
tificare la libertà economica con l’interesse generale e
scorgere nella libera concorrenza una benedizione per
tutti.
Il distacco dell’autore dalle sue figure, la sua posi-
zione severamente intellettualistica di fronte al mondo,
il suo ritegno nei rapporti con il lettore, insomma il suo
riserbo classico-aristocratico cessa appunto quando si fa
strada il liberismo. Il principio della libera concorrenza
e il diritto all’iniziativa personale hanno il loro paralle-
lo nel desiderio dell’autore di esprimere i suoi propri
affetti, di affermare la sua personalità, facendo del let-
tore un testimonio diretto di un’intima lotta dell’anima
e della coscienza. Non si tratta soltanto di una versione
letteraria del liberismo, ma anche di una protesta con-
tro quel meccanico, impersonale livellamento della vita
proprio dell’economia abbandonata a se stessa. L’indi-
vidualismo traduce il laissez-faire nella vita morale, ma
nello stesso tempo protesta contro una società in cui gli
uomini, avulsi dalle loro inclinazioni personali, non sono
piú che esponenti di funzioni indifferenti, compratori di
merci standardizzate, comparse in un mondo sempre
piú livellato. Le due forme fondamentali della causalità
sociale, l’imitazione e l’opposizione, si uniscono per
creare il clima del romanticismo. Il suo individualismo

Storia dell’arte Einaudi 68


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

è una protesta delle classi progressiste contro l’assoluti-


smo e l’intervento statale, ma anche una protesta con-
tro i fenomeni concomitanti e le conseguenze di quella
rivoluzione industriale, che pure segna la definitiva
emancipazione della borghesia. Il romanticismo palesa il
suo carattere polemico, soprattutto nel fatto che non
solo assume forme individualistiche, ma fa dell’indivi-
dualismo un programma. Il suo ideale della personalità,
come la sua visione generale, si formula dapprima come
contraddizione e negazione. Individui forti e ostinati
c’erano sempre stati e fin dal Rinascimento l’uomo occi-
dentale è conscio della propria individualità; ma un indi-
vidualismo come rivendicazione e protesta contro una
forma di civiltà che spersonalizza l’uomo si dà soltanto
dalla metà del secolo xviii. Anche nella letteratura, natu-
ralmente, già in epoche anteriori si erano espressi con-
flitti tra l’io e il mondo, l’individuo e la società, il cit-
tadino e lo stato; ma l’antagonismo non era mai sentito
come conseguenza dell’urto fra il carattere del perso-
naggio e la collettività. Nel dramma, per esempio, il con-
flitto non risultava dal tema del singolo che si isola per
principio dalla società, o di una cosciente rivolta contro
i vincoli sociali, ma da un concreto, personale contrasto
tra i vari personaggi. La teoria che interpreta la tragicità
del dramma antico partendo dall’idea d’individuazione,
teoria del tutto arbitraria, si rivela, a ben considerare,
una costruzione dell’estetica romantica, insostenibile,
per quanto suggestiva. Prima dell’età romantica l’indi-
vidualismo come comportamento non era mai diventato
un problema, e quindi non poteva neppure diventare
tema di un conflitto drammatico.
Come l’individualismo, anche il sentimentalismo
serve alle classi medie anzitutto come un mezzo per
esprimere la loro indipendenza spirituale dall’aristocra-
zia. Si affermano e si accentuano i propri sentimenti non
perché d’un tratto siano divenuti piú forti e piú intimi;

Storia dell’arte Einaudi 69


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

si esagerano attraverso l’autosuggestione, in quanto essi


rappresentano un atteggiamento opposto al contegno
aristocratico. Il borghese cosí a lungo disprezzato si
specchia nella propria vita psichica e si vede tanto piú
importante quanto piú seriamente considera i suoi sen-
timenti, stati d’animo, impulsi. Certo fra la media e la
piccola borghesia, dove questo sentimentalismo ha le piú
profonde radici, il culto dei sentimenti non è solo un
premio d’assicurazione per il successo, ma insieme un
indennizzo per l’insuccesso nella vita pratica. Ma appe-
na trovata la sua espressione artistica, il nuovo indiriz-
zo si affranca piú o meno dalla sua origine e va per la
sua strada. Il sentimentalismo, che all’inizio era espres-
sione della coscienza di classe della borghesia ed era da
intendere come un rifiuto dell’alterigia aristocratica, si
sviluppa poi in un culto della sensibilità e della sponta-
neità, che sempre meno ha a vedere con lo spirito antia-
ristocratico. Da principio ci si abbandona all’esuberan-
za del sentimento, proprio per contrasto all’aristocrazia
contegnosa e padrona di sé; ben presto però la ricchez-
za affettiva e il calore espressivo assurgono a valori arti-
stici e come tali l’aristocrazia li accetta. Deliberatamente
si ricercano le forti commozioni e a poco a poco si giun-
ge a un vero virtuosismo sentimentale; ci si strugge di
compassione e alla fine l’arte sembra non aver altro
scopo che di muovere gli affetti e svegliare le simpatie.
Il sentimento diventa il veicolo piú sicuro fra artista e
pubblico, e il mezzo piú efficace per l’interpretazione
della realtà; respingere l’espressione dei sentimenti signi-
fica ormai rinunciare senz’altro all’effetto artistico, ed
essere insensibile equivale ad essere ottuso.
L’austerità del costume, come l’individualismo e il
sentimentalismo, è per la borghesia un’arma contro la
mentalità di corte. Ma piú che di una semplice conti-
nuazione delle antiche virtú borghesi della semplicità,
dirittura e pietà, si tratta di una protesta contro la fri-

Storia dell’arte Einaudi 70


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

volezza e lo spreco di un ceto della cui leggerezza gli altri


devono fare le spese. Specie in Germania, la borghesia
ostenta la propria morigeratezza soprattutto contro l’im-
moralità dei principi, ch’essa osa attaccare soltanto in
questo modo indiretto. Ma non è neppur necessario par-
lare apertamente della loro corruzione; basta lodare i
costumi del borghese, perché ognuno capisca il riferi-
mento31. Del resto si verifica anche qui il solito feno-
meno del Settecento: l’aristocrazia accetta le vedute e i
criteri borghesi; anch’essa segue la moda della virtú,
come già quella della sensibilità. Ad eccezione di alcuni
specialisti del genere osceno, neppure i romanzieri fran-
cesi ci tengono, ormai, ad aver fama di frivolezza. Ades-
so il pubblico desidera l’esaltazione della virtú e la con-
danna del vizio. Forse anche Rousseau avrebbe dedica-
to meno spazio alle prediche morali, se non avesse sapu-
to che Richardson doveva gran parte del suo successo a
tali excursus32.
Ma se la tendenza all’individualismo, al sentimenta-
lismo, al moralismo, era in certa misura connaturata alla
mentalità borghese, la letteratura preromantica comun-
que valse a suscitare altre tendenze, affatto estranee a
questo primitivo orientamento: anzitutto, in contrasto
con l’ottimismo di un tempo, l’inclinazione alla malin-
conia, allo stato d’animo elegiaco, anzi a un deciso pes-
simismo. Questo fenomeno non si spiega con un natura-
le mutamento intimo, bensí con spostamenti e sovverti-
menti dell’equilibrio sociale. Anzitutto gli esponenti del
movimento romantico non appartengono piú ai medesi-
mi ceti che nella prima metà del secolo fornivano il con-
tingente borghese al pubblico letterario. Si fanno avan-
ti ora i ceti piú umili, che non hanno alcun contatto intel-
lettuale con l’aristocrazia e hanno meno ragioni di otti-
mismo della borghesia, che ormai appartiene ai ceti eco-
nomicamente privilegiati. Ma anche l’antico pubblico,
quei borghesi cosí vicini alla nobiltà, avevano assunto un

Storia dell’arte Einaudi 71


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nuovo atteggiamento spirituale. L’euforia della vittoria,


la sicurezza, la fiducia in sé, quasi illimitate all’epoca dei
primi successi, ristagnano e alla fine si volatilizzano. Ci
si avvezza ai beni acquistati, si comincia a prender
coscienza di quanto manca, e forse si sente già la pres-
sione, carica di minaccia, dei ceti inferiori. Certo la mise-
ria degli sfruttati diventa inquietante e opprimente. Una
profonda malinconia afferra gli animi; si vedono tutte le
ombre e le manchevolezze della vita; la morte, la notte,
la solitudine, il desiderio struggente di un mondo lonta-
no, ignoto, sottratto al presente diventano i temi mag-
giori della poesia; e ci si inebria di dolore, come, un
tempo, di voluttuosa sensibilità.
Nei primi cinquant’anni del secolo la letteratura bor-
ghese aveva ancora un carattere schiettamente pratico
e realistico; la sostenevano un sano buonsenso e un vivo
amore dell’immediata realtà. Ma dopo la metà del seco-
lo, ci accorgiamo che i suoi motivi essenziali sono muta-
ti, che quelli ora prevalenti sono motivi di evasione;
soprattutto si cerca di evadere dal rigore della ragione e
della coscienza nel campo dell’emotività irresponsabile,
dalla cultura e dalla civiltà nel libero stato di natura,
dalla precisa realtà del presente nell’indefinito del pas-
sato interpretabile a piacere. Spengler ha fatto notare
una volta la stranezza senza precedenti del culto sette-
centesco delle rovine33; ma ricordiamo che altrettanto
strana era nell’uomo colto la nostalgia del primitivo
stato di natura e altrettanto senza precedenti era l’im-
pulso suicida della ragione a dissolversi nel caos del sen-
timento. E tutte queste tendenze si avvertono nella let-
teratura inglese anche prima di Rousseau. A differenza
della nostalgia per il passato storico, che nacque solo col
romanticismo, l’aspirazione alla natura come rifugio
dalle convenzioni della civiltà, aveva già lontani prece-
denti. Come sappiamo, essa ricompare piú volte, nelle
forme della bucolica, all’apogeo delle civiltà urbane e

Storia dell’arte Einaudi 72


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

auliche, e anche indipendentemente dal naturalismo


artistico, anzi spesso in contrasto con esso. Anche nel
Settecento l’amore della natura ha carattere piú morale
che estetico e non ha, si può dire, nulla di comune con
il verismo posteriore. Per i poeti preromantici vi è un
diretto rapporto fra «l’innocenza della natura» e il
probo, semplice, modesto borghese che ora per la prima
volta appare nella letteratura – in Goldsmith, per esem-
pio – come una figura ideale; essi considerano lo sfon-
do agreste come il piú adatto e intonato alla condotta di
un tal uomo. Ma nell’intendere e nel descrivere la natu-
ra non vanno piú in là di quanto loro consenta lo svi-
luppo normale e continuo dei mezzi espressivi. Il loro
culto per la natura è diverso da quello dei loro prede-
cessori solo nelle premesse morali. Anche per loro la
natura è ancora espressione dell’idea divina ed essi
appunto l’interpretano ancora secondo il principio del
«Deus sive natura»; una visione piú diretta e spregiu-
dicata l’avrà soltanto l’Ottocento. Tuttavia la genera-
zione preromantica – e in questo si differenzia dalle
epoche precedenti – sente già la natura come manife-
stazione di forze morali, operanti secondo concetti
umani. Il mutare delle ore e delle stagioni, il silenzio
della notte lunare e l’infuriare della tempesta, il miste-
rioso paesaggio montano e il mare insondabile, sono un
dramma sublime, uno spettacolo che traduce in propor-
zioni grandiose le vicende del destino umano. La natu-
ra anzitutto occupa ora nella poesia uno spazio assai
maggiore; e anche in ciò il romanticismo apre una via
nuova rispetto al classicismo che guardava unicamente
all’uomo; tuttavia non si ha una rottura con l’antropo-
centrismo della poesia precedente, ma solo un trapasso
dall’umanesimo illuministico al naturalismo moderno.
La concezione preromantica della natura rivela il suo
carattere eterogeneo nel giardino inglese, il gran simbo-
lo dell’epoca, in cui elementi naturali e artificiali si tro-

Storia dell’arte Einaudi 73


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

vano appunto fusi insieme. Esso è una protesta contro


la linea retta, contro tutto ciò che è rigido e geometri-
co, e insieme l’adesione all’ideale dello sviluppo organi-
co, irregolare, pittoresco; ma con le sue collinette arti-
ficiali, i gruppi d’alberi, gli stagni, le isole, i ponticelli,
le grotte e le rovine, costituisce un complesso innatura-
le quanto il parco francese, benché si ispiri a un gusto
diverso. Del resto che si sia ancora lontani da un netto
rifiuto del classicismo, lo mostra il fatto che gli stessi
artisti, che disegnano i giardini romanticamente pitto-
reschi, si ispirano poi al manierismo palladiano, quando
hanno da costruire palazzi. Lo stile neogotico, che ora
viene di moda, è usato soltanto in opere di minor impor-
tanza, come ville e castelli che arieggiano la casa di cam-
pagna34. In arte l’alta società distingue chiaramente tra
funzioni di rappresentanza e funzioni private, e a que-
ste sole ritiene appropriata la forma anticlassica. Un
Horace Walpole, che fa costruire in stile gotico il suo
castello di Strawberry Hill, e con il suo Castle of Otran-
to introduce la moda del romanzo d’argomento medie-
vale, è tutt’altro che uno spirito romantico; quando si
tratta della grande arte ufficiale, egli professa sempre gli
ideali classici tradizionali. Tuttavia, anche se i suoi espe-
rimenti medievali sono, come è stato giustamente affer-
mato35, solamente l’espressione di un superficiale amore
di novità, il loro gusto romantico non è perciò meno
indicativo, come segno dei tempi.
Per movimenti storico-stilistici come il romanticismo
è quasi impossibile determinare l’inizio; spesso risalgo-
no a tendenze che sono emerse all’improvviso in passa-
to e poi sono cadute per non aver incontrato alcun favo-
re; e sono rimaste, cioè, dei tentativi individuali senza
speciale rilievo sociologico. Manifestazioni di tipo
«romantico» si incontrano fin dal Seicento, e nella
prima metà del Settecento ne troviamo a ogni passo.
Tuttavia di romanticismo in senso proprio non si può

Storia dell’arte Einaudi 74


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

parlare prima di Richardson; egli è il primo a presenta-


re tutti i tratti essenziali dello stile romantico. E sa tro-
vare per il nuovo gusto una formula cosí felice che tutta
la letteratura romantica con il suo soggettivismo e sen-
timentalismo sembra derivare da lui. Certo, mai un arti-
sta cosí mediocre ha esercitato un influsso tanto profon-
do e duraturo; in altre parole, mai l’importanza storica
di un artista ha avuto cause cosí completamente estra-
nee all’arte. Per l’influsso di Richardson fu decisivo il
fatto che egli per primo mise al centro di un’opera let-
teraria l’uomo nuovo delle classi medie, con la sua vita
privata, la sua cornice casalinga, le sue faccende fami-
gliari, fuori d’ogni falsa avventura o vicenda meravi-
gliosa. Le sue sono storie di borghesi comuni, non di
bricconi o d’eroi; non gli importano gli atti patetico-eroi-
ci, ma le semplici, intime ansie del cuore. Egli rinunzia
ad accumulare pittoreschi e fantastici episodi e si con-
centra unicamente sul dramma spirituale dei suoi eroi.
La materia dei suoi romanzi è una tenue favola, un puro
pretesto all’analisi dei sentimenti e all’esame di coscien-
za. Le sue figure sono in tutto romantiche, ma scevre di
tratti romanzeschi o picareschi36. Egli è anche il primo
che crei tipi non piú esattamente definibili; quel che egli
rappresenta è lo sgorgare e il fluttuare dei sentimenti e
delle passioni; i personaggi come tali non lo interessano.
Con il restringersi del romanzo alla vita privata del
ceto medio, discreta e spesso idillica, con la limitazione
dei temi ai semplici, essenziali fatti della vita famiglia-
re, e la predilezione per destini e personaggi umili e
modesti; insomma, con il ridursi del romanzo alle scene
domestiche dell’ambiente borghese, si afferma anche
qui un proposito morale. Questo processo non dipende
soltanto dal mutamento sociale del pubblico e dall’in-
gresso del ceto medio nella letteratura, ma anche dal
nuovo puritanesimo, che verso la metà del secolo si
diffonde in tutta la società inglese, fornendo a questa

Storia dell’arte Einaudi 75


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

letteratura un piú vasto pubblico37. Il romanzo fami-


gliare e di costume ha principalmente un fine didattico,
e le opere di Richardson non sono in sostanza che trat-
tati morali in forma di commoventi storie d’amore.
L’autore si assume il ruolo di curatore d’anime, discute
i grandi problemi della vita, costringe il lettore a un
esame di coscienza, chiarisce i suoi dubbi e lo assiste con
paterni consigli. Lo si è chiamato a buon diritto «con-
fessore protestante» e non per nulla i suoi libri venne-
ro raccomandati dal pulpito. Se ne può capire l’effica-
cia solo quando se ne tenga presente il duplice scopo, di
divertimento e di edificazione, e si rifletta che non solo,
in quanto lettura famigliare del medio ceto, essi rispon-
devano a un’esigenza nuova, ma anche che ne elimina-
vano una vecchia, soppiantando la lettura della Bibbia
e di Bunyan38. Oggi, che già da lungo tempo il soggetti-
vismo è consolidato nella letteratura, è difficile spiega-
re che cosa in quei romanzi potesse tanto avvincere e
commuovere i contemporanei; ma non dobbiamo dimen-
ticare che fino ad allora nei libri non c’era stato ancora
nulla che si potesse paragonare all’intima e nervosa sen-
sibilità di quella pittura dei sentimenti. La ricchezza pas-
sionale di quei romanzi era una rivelazione, e l’imme-
diatezza con cui i loro personaggi confessavano se stes-
si sembrava insuperabile, per quanto artefatto e impac-
ciato ne possa apparire oggi il tono. Ma allora esso era
nuovo, veniva dal profondo dell’anima cristiana, malsi-
cura nella lotta per la vita e in cerca di un nuovo appog-
gio. La borghesia intese immediatamente l’importanza
dello studio psicologico e comprese che nell’intensa
affettività, nell’interiorità di quei romanzi si rivelava
qualcosa di ben suo. Sentí che solo di qui poteva nasce-
re una cultura propriamente borghese e giudicò i roman-
zi di Richardson non già secondo il gusto tradizionale,
ma esclusivamente secondo i principî della propria ideo-
logia. Dalla sua stessa natura sociale sviluppò nuovi

Storia dell’arte Einaudi 76


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

canoni estetici, anzitutto quelli della verità soggettiva,


della sensibilità e dell’intimità, dando cosí l’avvio all’e-
stetica del moderno lirismo. Ma anche gli aristocratici
erano consci dell’importanza sociale di questa letteratura
di confessione e da principio ne respinsero ostilmente
l’esibizionismo plebeo. Horace Walpole giudica i roman-
zi di Richardson storie lamentose e noiosissime, che
descrivono la vita come la vede un libraio o un predica-
tore metodista. Voltaire tace su Richardson e persino un
d’Alembert ne parla con molto riserbo. La buona società
accoglie il soggettivismo romantico solo quando se n’è
ormai cancellata l’origine e in parte mutata la funzione
sociale.
Come il soggettivismo, cosí anche la morale di
Richardson è estranea all’alta società. Le sue racco-
mandazioni e i suoi ammonimenti, che additano all’am-
bizioso borghese la via del successo, costituiscono un’e-
tica di cui nobiltà e alta borghesia non sanno che farsi.
In fondo è la morale del solerte garzone di Hogarth, che
sposa la figlia del suo principale, o della virtuosa fan-
ciulla del romanzo di Richardson, che alla fine è sposa-
ta dal padrone, un tema che nella letteratura moderna
diverrà uno dei piú popolari. Pamela è il prototipo di
tutte le moderne storie di questa specie, in cui sogni e
desideri sono il motivo di fondo. Da Richardson il tema
si svilupperà sino ai film dei nostri giorni, in cui l’irre-
sistibile segretaria che resiste a ogni seduzione, alla fine
conduce a giuste nozze l’insolente principale. I roman-
zi moraleggianti di Richardson contengono il germe del-
l’arte piú immorale che mai sia esistita: in particolare
essi segnano l’inizio di quelle fantasie in cui l’onestà è
solo un mezzo adatto allo scopo, e incoraggiano ad
abbandonarsi a pure illusioni, anziché a sforzarsi di
risolvere gli effettivi problemi della propria vita39. Anche
per ciò essi costituiscono una delle piú importanti frat-
ture nella storia della letteratura moderna: finora le

Storia dell’arte Einaudi 77


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

opere dei poeti erano veramente morali o immorali;


d’ora in poi i libri che vogliono apparire morali per lo
piú non sono che moraleggianti. Nella lotta con i ceti
superiori, il borghese perde la sua innocenza e, poiché
deve accentuare troppo spesso la sua virtú, diventa un
ipocrita.
La forma autobiografica del romanzo moderno, sia la
narrazione in prima persona, sia la forma epistolare o di
diario, serve soltanto ad accrescere l’intensità espressi-
va ed è un mezzo per sottolineare il volgersi dell’atten-
zione dall’esterno all’interno. Ridurre la distanza fra il
soggetto e l’oggetto sarà d’ora in poi il fine ultimo di
ogni fatica letteraria. Con la ricerca dell’immediatezza
psicologica mutano tutti i rapporti tradizionali fra l’au-
tore, il protagonista e i lettori: non solo cambia il rap-
porto dell’autore con il pubblico e con i personaggi del-
l’opera sua, ma anche l’atteggiamento del lettore verso
quest’ultimi. L’autore fa del lettore un confidente e gli
si rivolge in forma diretta, quasi col vocativo. Il suo tono
è imbarazzato, nervoso, oppresso, come s’egli parlasse
sempre di sé. Egli s’identifica con il suo eroe e cancella
i limiti fra finzione e realtà. Per sé e per i suoi perso-
naggi crea un limbo, ora lontano dal mondo del lettore,
or confuso con esso. Di qui specialmente nasce l’atteg-
giamento di Balzac verso le figure dei suoi romanzi, di
cui egli soleva parlare come di conoscenze personali.
Richardson s’innamora delle sue eroine e versa lacrime
amare sul loro destino; ma anche i suoi lettori parlano e
scrivono di Pamela, Clarissa e Lovelace come di perso-
ne vive40. Sorge un’intimità, finora ignota, fra il pub-
blico e gli eroi dei romanzi; il lettore non solo presta loro
una vita che trascende i confini dell’opera, non soltan-
to li immagina in situazioni che con essa nulla hanno in
comune, ma li mette continuamente in rapporto con i
problemi e le mete, le speranze e i disinganni della pro-
pria vita. Il suo interesse si fa puramente personale ed

Storia dell’arte Einaudi 78


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

egli finisce col pensarli solo in rapporto al proprio io.


Naturalmente, anche prima si prendeva esempio dagli
eroi del grande romanzo cavalleresco e d’avventura che
assumevano valore ideale in quanto idealizzazioni di
uomini veri, o loro modelli ideali. Ma al lettore comu-
ne non sarebbe mai venuto in mente di paragonarsi con
loro e di attribuirsi i loro diritti. Gli eroi si movevano
in tutt’altra sfera: erano figure mitiche, sovrumane nel
bene e nel male. La distanza del simbolo, dell’allegoria
o della fiaba li divideva dal mondo del lettore, evitan-
do un contatto troppo diretto. Ora invece è come se l’e-
roe del romanzo non facesse che dar compimento alla
vita insoddisfatta di chi legge, attuandone le possibilità
mancate. Chi mai infatti, almeno una volta, non è stato
sul punto di vivere un romanzo, di diventare un eroe del
romanzo?
Di tali illusioni si fa forte il lettore per equipararsi al
protagonista, reclamandone per sé nella vita la posizio-
ne eccezionale, i diritti d’immunità. Richardson lo invi-
ta appunto a sostituirsi all’eroe del romanzo, a roman-
ticizzare la propria vita, e lo incoraggia ad esimersi dal-
l’adempire i prosaici doveri quotidiani. Cosí autore e let-
tore divengono protagonisti del romanzo, civettano con-
tinuamente fra loro, in una relazione illegale, contraria
alle regole del gioco. L’autore parla al pubblico dalla
ribalta, e spesso i lettori lo trovano piú interessante dei
suoi personaggi. Essi ne gustano le osservazioni perso-
nali, le riflessioni, le «didascalie» e, ad esempio, conce-
dono a uno Sterne di non uscir mai dalle glosse margi-
nali per affrontare il racconto vero e proprio.
Sia per l’autore, sia per il pubblico l’opera è soprat-
tutto espressione psicologica, e il suo valore consiste
nell’immediatezza e nel carattere personale dell’espe-
rienza descritta. Il lettore è conquistato soltanto se quel
che viene raccontato prende l’apparenza di un evento
che sconvolge nell’intimo ed è decisivo per il destino

Storia dell’arte Einaudi 79


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

individuale. Per impressionare, l’opera dev’essere un


dramma coerente e completo, che si compone però di
tanti piccoli «drammi» ognuno dei quali si acuisce in un
particolare effetto di chiusa. Un’opera veramente effi-
cace si svolge come un continuo crescendo, da una punta
all’altra, da un’acme all’altra. Di qui l’espressione affet-
tata, forzata e spesso spasmodica delle nuove opere d’ar-
te e di letteratura. Tutto vi tende all’effetto immedia-
to, tutto mira alla sorpresa e allo stupore. Si vuole il
nuovo per amor del nuovo, si cerca quel che è piccante
e strano, perché solletica i nervi. Da quest’esigenza
nascono i primi racconti paurosi e i primi romanzi «sto-
rici» con la loro atmosfera misteriosa, piena di falso
pathos. Tutto ciò porta a un abbassamento del livello
culturale e segna il principio di una decadenza. La cul-
tura artistica dell’Ottocento per molti aspetti è superiore
a quella settecentesca, ma ha un difetto ignoto al
Rococò: le manca il gusto sicuro ed equilibrato, se pur
non sempre molto agile, dell’arte aulica. Naturalmente,
anche prima del movimento romantico non mancavano
nell’arte produzioni deboli e insignificanti, ma tutto
quel che non era puro dilettantismo aveva una certa
dignità; e come nelle opere letterarie non si incontrava
nulla di simile alla psicologia da strapazzo e al deterio-
re sentimentalismo che piú tardi invasero la letteratura
amena, cosí l’arte figurativa ignorava il cattivo gusto che
rese possibili manifestazioni come il neogotico. Questi
fenomeni compaiono soltanto col passaggio dell’inizia-
tiva culturale dall’alta società al medio ceto, benché non
sempre nascano da quest’ultimo. Del resto, per giudicare
un tal mutamento, il criterio del gusto si rivela troppo
ristretto e sterile, perché convenga insistervi. Il «buon
gusto» non solo è un concetto storicamente e sociologi-
camente relativo, ma anche come termine di valutazio-
ne estetica ha un’importanza limitata. Le lacrime versate
nel Settecento su romanzi, drammi, opere musicali non

Storia dell’arte Einaudi 80


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

solo indicano un mutamento di gusto e uno spostarsi dei


valori estetici dalla squisitezza e dal ritegno all’effetto
drastico e sforzato, ma segnano anche l’inizio di una
nuova fase nello sviluppo di quella sensibilità occiden-
tale che già aveva trionfato nell’età gotica e raggiungerà
l’apogeo nell’arte dell’Ottocento. Questa svolta signifi-
ca una rottura col passato assai piú radicale dell’illumi-
nismo stesso, che in sé rappresenta soltanto la conti-
nuazione e il compimento di un processo in atto sin dalla
fine del Medioevo. Di fronte a un fenomeno come que-
sto nuovo orientamento sentimentale della cultura, che
sfocia in un’idea affatto nuova della poesia, non vale il
semplice punto di vista del gusto. «La poésie veut quel-
que chose d’énorme et sauvage»*****, diceva già Dide-
rot41 e, se anche quest’audacia selvaggia non trova pron-
ta espressione, essa è sempre presente al poeta come un
ideale, come l’esigenza assoluta di commuovere, di sog-
giogare, di sedurre e straziare i cuori. I «difetti di gusto»
dei preromantici sono all’origine di una vasta corrente
che include opere fra le piú alte dell’arte ottocentesca.
Senza di essi l’irruenza di Balzac, la sottigliezza di
Stendhal, la sensibilità di Baudelaire sarebbero altret-
tanto inconcepibili che il sensualismo di Wagner, la spi-
ritualità di Dostoevskij e la nervosa penetrazione di
Proust.
Le tendenze romantiche affioranti in Richardson tro-
varono in Europa una formulazione di generale validità
per opera di Rousseau. L’irrazionalismo, che in Inghil-
terra solo a rilento poté farsi strada, trovò altrove un piú
ampio sviluppo e proprio grazie a quello svizzero, che
Madame de Staël definiva giustamente come il rappre-
sentante dello spirito nordico, cioè tedesco, nella lette-
ratura francese. Le nazioni dell’Europa occidentale
erano cosí profondamente permeate delle idee dell’illu-
minismo razionalista e materialista, che la tendenza sen-
timentale e spiritualistica incontrò dapprima un’energi-

Storia dell’arte Einaudi 81


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ca opposizione e persino un Fielding, che pure, come


Richardson, era un esponente del ceto medio, l’avversò
accanitamente. Nell’affrontare i problemi del tempo,
Rousseau era assai piú spregiudicato degli esponenti del-
l’illuminismo occidentale. Non solo egli apparteneva alla
piccola borghesia quasi priva di tradizioni, ma era uno
spostato, senza piú legami con le convenzioni della sua
classe. Queste del resto, nella Svizzera immune da tra-
dizioni di corte e da influssi aristocratici, erano di per
sé meno rigide che in Francia o in Inghilterra. Il senti-
mentalismo che in Richardson e negli altri preromanti-
ci inglesi non sempre si poneva in antitesi diretta al
razionalismo illuministico, e, se mai, lo faceva in modo
latente, in Rousseau assunse il carattere di un’aperta
ribellione. In ultima analisi, il suo «Torniamo alla natu-
ra!» aveva un unico movente: rafforzare la resistenza
contro un’evoluzione che aveva condotto alla disugua-
glianza sociale. Egli si opponeva alla ragione, perché
entro al processo di crescente intellettualizzazione ritro-
vava quello della degenerazione sociale. Il primitivismo
di Rousseau in realtà non era che una variante dell’ideale
arcadico, uno di quei sogni di redenzione, che si incon-
trano in tutti i tempi ormai stanchi di civiltà42; ma in lui
questo «disagio d’esser civili», che già prima tante gene-
razioni avevano avvertito, si fa per la prima volta
cosciente, ed egli è stato il primo che da questa sazietà
della cultura abbia sviluppato una propria filosofia della
storia. La vera originalità di Rousseau consiste nella
tesi, mostruosa per l’umanesimo illuminista, che l’uomo
civile è un fenomeno di degenerazione, e tutta la civiltà
storica è un tradimento dell’originario destino umano,
cosí che la dottrina fondamentale dell’illuminismo, la
fede nel progresso, a un esame piú profondo si rivela una
superstizione. Un tale sovvertimento di valori non pote-
va compiersi se non per un radicale mutamento delle
tendenze sociali, e può spiegarsi solo col fatto che i ceti

Storia dell’arte Einaudi 82


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

di cui Rousseau è interprete non ritenevano piú possi-


bile combattere l’artificio e le convenzioni della cultura
aulica con i mezzi dell’illuminismo, e cercavano perciò
armi che non provenissero piú dall’arsenale dei loro
nemici. Nella sua critica della cultura rococò e illumini-
stica, di cui egli metteva a nudo il formalismo meccani-
co e spesso senza vita e a cui contrapponeva la sponta-
neità dello sviluppo organico, Rousseau esprimeva non
soltanto la consapevolezza della crisi in cui l’Occidente
si trovava fin da quando era tramontata l’unità cristia-
na del Medioevo, ma anche il concetto moderno di
civiltà, che includeva l’antagonismo di anima e forma,
spontaneità e tradizione, natura e storia. Per la scoper-
ta di questa tensione, Rousseau imporrà la sua impron-
ta su tutta l’epoca. La sua dottrina tuttavia conteneva
in sé un grosso pericolo ed era che, parteggiando per la
vita e contro la storia, rifugiandosi nello stato di natu-
ra, il che non era se non un salto nel buio, egli apriva la
via a quelle nebulose «filosofie della vita» che, dispe-
rando di fronte all’apparente impotenza del pensiero
razionale, propugnano il suicidio della ragione.
Le idee di Rousseau erano nell’aria; egli non faceva
che esprimere quel che sentivano molti dei suoi con-
temporanei; cioè che s’imponeva una scelta ed essi dove-
vano risolversi se tenersi al volterrianesimo con la sua
ragionevolezza e la sua rispettabilità, oppure rinunciare
alle tradizioni storiche e ricominciare da capo. La sto-
ria della cultura europea non conosce confronto piú
profondamente simbolico di quello fra Voltaire e Rous-
seau. Questi due contemporanei, se pur non proprio
della stessa generazione, che erano uniti da innumere-
voli rapporti pratici e personali, che avevano comuni
amici e seguaci, che erano entrambi collaboratori di
un’impresa letteraria ideologicamente cosí caratteristica
come l’Enciclopedia, e che sono da considerare entram-
bi come i piú autorevoli, precursori della Rivoluzione,

Storia dell’arte Einaudi 83


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

in realtà stavano sui due opposti versanti del crinale che


divideva la moderna Europa, individualista e anarchica,
da un mondo ancora in parte irretito nell’antica civiltà
formalistica. Il naturalismo di Rousseau è la negazione
di tutto ciò che appare a Voltaire la quintessenza della
civiltà; soprattutto nega ogni limite a un soggettivismo
ancora tollerabile e compatibile con le regole della
decenza e della dignità. Prima di Rousseau un poeta,
tranne in certe forme della lirica, parlava di sé solo indi-
rettamente; dopo di lui i poeti non parlarono piú d’al-
tro e senza il minimo ritegno. Proprio a questo punto
nasce quell’idea della letteratura come esperienza e con-
fessione, che anche Goethe mostrava di considerare
valida norma quando dichiarò che le sue opere non
erano che «frammenti di una grande confessione». La
mania di contemplarsi e specchiarsi nella letteratura, il
concetto che l’opera sia tanto piú vera e persuasiva
quanto piú direttamente vi si dà a conoscere l’autore,
appartengono all’eredità di Rousseau. Per cento o cen-
tocinquant’anni tutto ciò che vale nella letteratura del-
l’Occidente starà sotto il segno di questo soggettivismo.
Non soltanto Werther, René, Obermann, Adolphe,
Jacopo Ortis, discendono da Saint-Preux, ma anche gli
eroi di romanzi piú tardi, da Lucien de Rubempré di
Balzac, Julien Sorel di Stendhal, Frédéric Moreau ed
Emma Bovary di Flaubert, fino al Pierre di Tolstoj, al
memorialista di Proust e al Castorp di Thomas Mann.
Tutti soffrono del dissidio fra sogno e realtà e sono vit-
time del conflitto tra le loro illusioni e la pratica, pro-
saica vita borghese. Il tema si realizza, per la prima
volta, pienamente nel Werther (e si deve tener presente
la prima impressione di una tal conquista per compren-
dere l’effetto inaudito dell’opera sui contemporanei);
ma il dissidio esiste già, latente, nella Nouvelle Héloïse.
Già qui l’eroe non si contrappone piú ad avversari indi-
viduali, ma a una sorta di generale necessità, ch’egli

Storia dell’arte Einaudi 84


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

però non considera ancora totalmente estranea allo spi-


rito e spoglia di ogni senso, come faranno i delusi eroi
del romanzo piú tardo, ma nemmeno la innalza piú al
disopra di sé, come l’eroe tragico innalzava il destino che
lo annientava. Senza il pessimismo storico-filosofico di
Rousseau e senza la sua teoria di un presente deprava-
to, il romanzo ottocentesco della delusione sarebbe
inconcepibile, quanto la concezione tragica di Schiller,
Kleist e Hebbel.
Vastissimo e profondo è stato l’influsso di Rousseau.
Come Marx e Freud, egli è di quegli spiriti che, nello
spazio di una generazione, mutano il pensiero di milio-
ni di uomini, anche di molti che non li conoscono nep-
pur di nome. E comunque è certo che, al termine del
Settecento, erano pochi gli uomini pensanti che fossero
rimasti insensibili alle idee di Rousseau. Un influsso
cosí vasto è possibile soltanto quando uno scrittore è la
vera espressione e il piú profondo interprete del suo
tempo. Con Rousseau per la prima volta giunge alla let-
teratura la voce degli strati piú larghi della società: la
piccola borghesia e la massa indistinta dei poveri, degli
oppressi e dei paria. I «filosofi» illuministi avevano par-
teggiato spesso per il popolo, ma sempre come suoi avvo-
cati e protettori. Rousseau è il primo che si esprima
come uno del popolo stesso e parlando per esso parli
anche per sé; è il primo che non solo incita alla ribellio-
ne, ma è egli stesso un ribelle. I suoi predecessori erano
filantropi, che volevano riformare, migliorare il mondo;
egli è il primo vero rivoluzionario. Quelli odiavano il
«dispotismo», predicavano contro la Chiesa e la reli-
gione positiva, si entusiasmavano per l’Inghilterra e la
libertà, ma conducevano la vita delle classi dirigenti, a
cui sentivano di appartenere, nonostante le loro simpa-
tie democratiche; Rousseau invece, non solo sta a fian-
co dei piú poveri e dei piú umili, non solo si dichiara per
l’assoluta eguaglianza, ma per tutta la vita rimane,

Storia dell’arte Einaudi 85


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

com’era nato, un piccolo borghese, anzi un decaduto,


come l’hanno ridotto le circostanze. Da giovane cono-
sce la vera miseria, che nessuno dei signori «filosofi»
conosceva per diretta esperienza, e anche piú tardi con-
duce la vita degli strati piú umili del ceto medio, e di
quando in quando addirittura quella dei contadini.
Prima di lui gli scrittori, per quanto bassa ne fosse l’o-
rigine, erano annoverati fra la gente distinta; e anche se
nutrivano un profondo affetto per il popolo, cercavano
sempre di tacere i propri natali piuttosto che ostentar-
li. Rousseau invece, in ogni occasione, sottolinea di non
aver nulla di comune, in nessun modo, con l’alta società.
Sia o non sia, questo, semplice «orgoglio plebeo» e puro
risentimento, non muta il valore del fatto che tra Rous-
seau e i suoi avversari esistono non solo differenze di
opinioni, ma vitali contrasti di classe. Voltaire diceva
che Rousseau voleva ridurre l’uomo civile a trascinarsi
di nuovo a quattro zampe, e tale dev’essere stata l’opi-
nione di tutta l’alta società colta e conservatrice. Per
costoro Rousseau non era soltanto un pazzo e un ciar-
latano, ma un avventuriero pericoloso, un delinquente.
Tuttavia nell’opposizione di Voltaire non si esprimeva
soltanto la protesta del ricco borghese, del signore, con-
tro la passionalità plebea di Rousseau, il suo entusiasmo
fanatico e la sua incomprensione per la storia; ma anche
la reazione del pensatore oggettivo, scettico, realistico
di fronte agli abissi dell’irrazionale che Rousseau veni-
va spalancando e che minacciavano d’inghiottire l’edi-
ficio illuministico. Quanto grande in realtà fosse il peri-
colo, e quanto giustificate le apprensioni di Voltaire, lo
mostra il destino dell’illuminismo in Germania. Ma in
Francia Voltaire sottovalutava i frutti della sua azione:
le conquiste del razionalismo e del materialismo qui non
si potevano piú annullare.
Inquadrare sociologicamente Rousseau, che pure è di
sentimenti cosí schiettamente democratici, è tutt’altro

Storia dell’arte Einaudi 86


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

che facile. Le condizioni sociali sono all’epoca sua ormai


tanto complicate, che non sempre i principî e le inten-
zioni dello scrittore sono elementi sufficienti per for-
mulare un giudizio sulla parte da lui avuta nel processo
sociale. Il razionalismo di Voltaire per molti aspetti si
rivelò piú innovatore e fecondo dell’irrazionalismo di
Rousseau. È vero che questi assume una posizione piú
radicale di quella degli enciclopedisti, e politicamente
rappresenta ceti piú larghi di quelli per cui scrivono
Voltaire e Diderot; ma è piú arretrato nelle sue conce-
zioni religiose e morali43. E come il suo sentimentalismo
è profondamente borghese e popolaresco, mentre il suo
irrazionalismo è reazionario, cosí anche la sua filosofia
morale contiene un’intima contraddizione: da un lato,
essa ha forti caratteri plebei, ma dall’altro cela il germe
di una nuova tendenza aristocratica. Il concetto di «bel-
l’anima», se presuppone il completo dissolvimento del-
l’ideale di kalokagathìa, e significa il trasferimento di
ogni valore umano alla sfera dell’interiorità, implica,
d’altra parte, un certo trapasso della morale in estetica
e tende a considerare il valore etico come un dono di
natura. Si ammette cosí un’aristocrazia spirituale, che
certo non si riceve che per diritto di natura, ma che
viene a porre in questo modo, in luogo degli irrazionali
diritti del sangue, una genialità etica altrettanto irra-
zionale. La «bellezza interiore» di Rousseau conduce sia
a personaggi simili al My\kin di Dostoevskij, l’idiota,
l’epilettico in cui si cela il santo, sia all’ideale dell’indi-
viduo moralmente perfetto, superiore a ogni responsa-
bilità e utilità sociale. Il Goethe olimpico, pensoso uni-
camente del proprio intimo perfezionamento, è un disce-
polo di Rousseau non meno del giovane ribelle in lotta
contro ogni convenzione che scriveva il Werther.
Il mutamento di stile, prodotto nella letteratura dal
preromanticismo inglese e dall’opera di Rousseau, per
cui a forme obiettive e ligie a una norma se ne sono sosti-

Storia dell’arte Einaudi 87


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tuite altre piú soggettive e libere, trova forse la sua


espressione piú decisa nella musica, che ora per la prima
volta diventa un’arte storicamente rappresentativa e
preminente. In nessun altro campo il mutamento fu cosí
forte e improvviso; e già i contemporanei parlavano di
«grande catastrofe»44. L’aspro antagonismo tra la gene-
razione di Johann Sebastian Bach e quella dei suoi
immediati successori, specialmente l’empietà con cui la
giovane generazione si fa beffe della fuga che appare una
forma ormai antiquata, testimonia non solo del trapas-
so dal tardo stile barocco, patetico e convenzionale, a
quello intimo e semplice dei preromantici, ma anche il
passaggio da una composizione aggiuntiva, ancora
sostanzialmente medievale – che le altre arti avevano già
superato col Rinascimento – a una forma accentrata, a
sviluppo drammatico, in cui l’unità è data dal senti-
mento. Non solo Bach era un artista conservatore, ma
tutta la musica del suo tempo risulta arretrata in con-
fronto con le altre arti. Già la generazione successiva
poté con ragione definire «scolastico» lo stile del mae-
stro, poiché – per quanto esso sia intimamente com-
mosso e prenda proprio per la profondità del suo senti-
mento – la forma rigida e solenne, il pedantesco con-
trappunto e tutti i convenzionalismi della composizione
bachiana dovevano apparire antiquati ai rappresentanti
del nuovo soggettivismo, che prendevano a criterio di
giudizio le loro idee di semplicità, immediatezza e inti-
mità. Per essi in sostanza, come per i letterati prero-
mantici, il sentimento nell’arte doveva esprimersi in
forma di un processo coerente, con un’ascesa e un’acme
e, se possibile, un conflitto e una soluzione, invece di
essere la descrizione di un affetto costante, ugualmente
diffuso in tutta la composizione45. La loro sensibilità non
era né piú profonda né piú intensa di quella dei prede-
cessori, ma per essi aveva un peso maggiore, volevano
farla apparir piú importante, e perciò la drammatizza-

Storia dell’arte Einaudi 88


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

vano. In questa tendenza alla drammatizzazione sta la


vera differenza fra le nuove forme conchiuse del Lied e
della sonata e i vecchi tipi «a trama continua»: fuga, pas-
sacaglia, ciaccona e altre forme di sequenza e d’imita-
zione46. La musica piú antica, già per la trattazione
uniforme del contenuto emotivo, appariva dominata e
moderata, mentre la nuova musica, con il continuo
ascendere e ricadere, l’avvicendarsi di tensione e libe-
razione, esposizione e sviluppo, già di per sé inquieta e
commuove. L’espressione «drammatica», che punta sul
finale eccitante, trova una spiegazione anzitutto nel
fatto che il compositore si trovava davanti a un pubbli-
co di cui doveva destare e incatenare l’attenzione con
mezzi piú efficaci di quelli che un tempo erano richie-
sti. Proprio il timore di perdere il contatto con gli udi-
tori lo induceva a sviluppare la composizione in una
serie di impulsi sempre rinnovati e ad esaltarne di volta
in volta l’intensità espressiva.
Fino al Settecento, ogni musica aveva avuto piú o
meno una sua immediata destinazione: veniva scritta per
incarico del principe, del Comune o della Chiesa e dove-
va intrattenere una corte, aumentare lo splendore di
una solennità pubblica, o rendere piú profonda la devo-
zione del servizio divino. I compositori erano musici al
servizio della corte, di una chiesa o della città; la loro
attività artistica si limitava ad assolvere i doveri del
loro ufficio e certo molto di rado pensavano a compor-
re spontaneamente. Fuor che ai balli, in chiesa e nelle
festività, i borghesi avevano rare occasioni di ascoltare
musica; e ai trattenimenti musicali che si tenevano in
casa dei nobili e a corte solo eccezionalmente potevano
accedere. Verso la metà del Settecento questo cominciò
a essere sentito come una lacuna, e nelle città sorsero le
prime società musicali47. Dai primi collegia musica, anco-
ra a carattere privato, si sviluppò l’uso dei concerti pub-
blici, e con essi un’autonoma vita musicale della bor-

Storia dell’arte Einaudi 89


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ghesia. Le società affittarono sale sempre piú grandi e


diedero concerti a pagamento per un pubblico sempre
piú numeroso48. Si creò cosí un libero mercato anche per
le produzioni musicali, corrispondente al mercato lette-
rario con i suoi giornali, i periodici, le case editrici. Ma
se la letteratura, come del resto anche la pittura, già da
lungo tempo era riuscita a sottrarre i suoi prodotti alla
destinazione immediata, la musica invece fino al termi-
ne del Seicento rimase musica d’uso. Non ci fu musica
autonoma prima d’allora, e solo a partire dal Settecen-
to sorse la musica puramente concertistica, con l’unico
fine di esprimere un sentimento. I frequentatori dei
concerti pubblici si distinguevano dall’uditorio di corte
per alcuni tratti essenziali: erano meno esperti nel giu-
dicare le opere in genere; erano un pubblico che paga-
va di volta in volta, quindi sempre da riconquistare e da
soddisfare; si riunivano unicamente per godersi la musi-
ca, senza altri fini come avveniva in chiesa, al ballo, a
una festa cittadina o anche in un ricevimento a corte.
Furono soprattutto queste caratteristiche del pubblico
a provocare quella lotta per il successo che spingeva a
moltiplicare gli effetti, a farli sempre piú acuti e forza-
ti, fino a determinare quello stile caricato, inteso a sem-
pre maggiore intensità espressiva, che caratterizza la
musica dell’Ottocento.
La borghesia diventa il principale cliente della musi-
ca, è questa l’arte prediletta della borghesia, che non
conosce altra forma che esprima in modo cosí immedia-
to e libero la sua vita interiore. Ma, mentre la musica
diventa arte pura, il compositore comincia non solo a
rifuggire da qualsiasi opera scritta per fine pratico o per
incarico, ma a disprezzare addirittura il comporre per
motivi d’ufficio. Philipp Emanuel Bach ritiene che i
suoi pezzi migliori siano quelli ch’egli scrive per sé. Si
annunzia cosí un conflitto di coscienza e una crisi, là
dove prima non appariva il minimo contrasto. Notissi-

Storia dell’arte Einaudi 90


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

mo e palmare esempio dei dissidi a cui porta il nuovo


soggettivismo è la rottura fra Mozart e il suo protetto-
re, l’arcivescovo di Salisburgo. Il contrasto che comin-
cia a delinearsi fra il musicista stipendiato e l’artista che
segue una libera ispirazione si riflette perfettamente nel
differenziarsi del virtuoso dal compositore e del comu-
ne membro di un’orchestra dal direttore. È un’evolu-
zione straordinariamente rapida, ed è sorprendente che
già in Haydn sia dato notare il difetto tipico del com-
positore moderno, cui manca la perfetta padronanza
anche di un solo strumento49.
Il nuovo pubblico borghese dei concerti non provo-
ca soltanto la trasformazione del linguaggio musicale e
della posizione sociale del compositore, ma dà alla crea-
zione un diverso orientamento in modo che l’opera sin-
gola assume un senso nuovo nel corpus di un composi-
tore. Fra il comporre per un gran signore o per qualsia-
si altro committente e il creare per l’anonimo pubblico
dei concerti, c’è una differenza essenziale, ed è che l’o-
pera su commissione per lo piú è destinata a un’esecu-
zione unica, mentre il pezzo da concerto attende il piú
gran numero possibile di repliche. Ciò spiega, non sol-
tanto la maggior cura della composizione, ma anche il
modo piú ambizioso di presentarla. Ora che il composi-
tore non è piú costretto ad opere condannate a un rapi-
do oblio, vuol crearle imperiture. Haydn è già molto piú
attento e lento nel comporre che i suoi predecessori. Ma
egli scrive ancora quasi cento sinfonie; Mozart ne scri-
ve soltanto la metà e Beethoven soltanto nove. La svol-
ta decisiva tra la tradizionale composizione obiettiva,
scritta su ordinazione, e la nuova forma soggettiva, di
confessione musicale, si situa fra Mozart e Beethoven o,
piú esattamente, all’inizio della maturità di Beethoven,
un po’ prima dell’Eroica: in un’epoca cioè in cui l’orga-
nizzazione di concerti era ormai pienamente sviluppata
e la vendita delle opere, connessa con l’esigenza di ripe-

Storia dell’arte Einaudi 91


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tute esecuzioni, costituiva la principale fonte di guada-


gno del compositore. D’ora in poi per Beethoven ogni
grande opera non è solo l’espressione di un’idea nuova,
ma anche di un nuovo stadio nella sua evoluzione d’ar-
tista. Naturalmente un’evoluzione si può constatare
anche in Mozart, ma in lui il movente primo di una
sinfonia non è sempre da cercare in una nuova fase della
sua maturazione artistica; egli scrive una sinfonia per
qualche impegno o quando sorge nella sua mente un’i-
dea nuova, ma quanto a stile non è necessariamente
diversa dalle precedenti. Arte e mestiere, non ancora
ben distinti in lui, si dividono ormai del tutto in Beetho-
ven, e l’idea dell’opera d’arte unica, irripetibile,
inconfondibile si attua nella musica in modo ancora piú
puro che nella pittura, benché questa già da secoli si
fosse affrancata dal mestiere. Certo nella poesia l’e-
mancipazione dell’intento artistico da quello pratico era
già assoluta al tempo di Beethoven, e ormai cosí ovvia,
che Goethe poteva nuovamente affermare, con un certo
orgoglio di virtuoso e di artigiano, che le sue erano tutte
poesie d’occasione. Beethoven, diretto allievo di quello
Haydn che era stato al servizio di principi, non ne sareb-
be stato cosí fiero.

1
paul mantoux, La révolution industrielle au XVIIIe siècle, 1906,
p. 78.
2
The English Revolution. 1640. Three Essays, a cura cristopher
hill, 1940, p. 9.
3
r. h. gretton, The English Middle Class, 1917, p. 209.
4
w. warde fowler, Social Life at Rome in the Age of Cicero, 1922,
pp. 26 sgg. j. l. e b. hammond, The Village Labourer (1760-1832),
1920, pp. 306-7.
5
a. de tocqueville, L’Ancien régime et la Révolution cit., p. 146.
j. aynard, La bourgeoisie française cit., p. 341.

Storia dell’arte Einaudi 92


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

6
g. lefèbvre, g. guyot, p. sagnac, La Révolution française, 1930,
p. 21.
7
a. de tocqueville, L’Ancien régime et la Révolution cit., pp.
174-75.
8
herbert schöffler, Protestantismus und Literatur, 1922, p. 181.
9
alexandre beljame, Le public et les hommes de lettres en Angle-
terre au XVIIIe siècle, 1881, p. 122.
10
h. schöffler, Protestantismus und Literatur cit., pp. 187-88.
11
Ibid., p. 192.
12
h. schöfler, Protestantismus und Literatur cit., pp. 59, 151 sgg.
e passim.
13
a. s. collins, The Profession of Letters, 1928, p. 38.
14
g. m. trevelyan, English Social History, 1944, p. 338 [trad. it.,
Storia della società inglese, Torino 1948].
15
a. beljame, Le public ecc. cit., pp. 236, 350.
16
leslie stephen, English Literature and Society in the 18th Century,
1940, p. 42.
17
a. beljame, Le public ecc. cit., pp. 229-32.
18
Ibid., p. 368.
19
a. s. collins, Authorship in the Days of Johnson, 1927, p. 161.
* Le stagioni.
** «Noi, signori miei, ringraziamo il Cielo di aver qualcosa di
meglio del nostro cervello su cui poter contare».
20
levin l. schücking, The Sociology of Literary Taste, 1944, p. 14.
21
a. s. collins, Authorship ecc. cit., pp. 269-70.
22
leslie stephen, English Literature ecc.. cit., p. 148. george sam-
pson, The Concise Cambridge History of Literature, 1942, p. 508.
*** «Noi proteggiamo i grandi già nostri protettori».
23
Citato da f. gaiffe, Le Drame en France au XVIIIe siècle, 1910,
p. 80.
**** Congetture sulla composizione originale.
24
l. l. schücking, The Sociology of Literary Taste, pp. 62 sgg.
25
j. l. e b. hammond, The Rise of Modern Industry, 1944, 6a ed., p. 39.
26
id., The Town Labourer (1760-1832), 1925, pp. 37 sgg.
27
paul mantoux, La révolution industrielle ecc. cit., pp. 376 sgg.
john a. hobson, The Evolution of Modern Capitalism, 1930, p. 62.
28
werner sombart, Der moderne Kapitalismus, II, i, 1924, 6a ed.
Cfr. otto hintze, Der moderne Kapitalismus als historisches Individuum,
in «Hist. Zschr.», vol. CXXXIX, 1929, p. 478.
29
Cfr. l. mumford, Technics and Civilisation, 1934, pp. 176-77.
30
arnold toynbee, Lectures on the Industrial Revolution of the 18th
Century in England, 1908, p. 64.
31
leo balet - e. gerhard, Die Verbürgerlichung der deutschen Kunst,
Literatur und Musik im 18. Jahrhundert, 1936, pp. 116-17.

Storia dell’arte Einaudi 93


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

32
daniel mornet, La Nouvelle Héloïse de J.-J. Rousseau, 1943, pp.
43-44.
33
oswald spengler, Der Untergang des Abendlandes, I, 1918, pp.
362-63.
34
geoffrey webb, Architecture and Garden, in Johnson’s England,
a cura di A. S. Turberville, 1933, p. 118.
35
w. l. phelps, The Beginnings of the English Romantic Movement,
1893, pp. 110-11.
36
Cfr. joseph texte, J.-J. Rousseau and the Cosmopolitan Spirit in
Literature, 1899, p. 152.
37
h. schöffler, Protestantismus und Literatur cit., p. 180.
38
w. l. cross, The Development of the English Novel, 1899; p. 38.
h. schöffler, Protestantismus und Literatur cit., p. 168.
39
Cfr. q. d. leavis, Fiction and the Reading Public, 1932, p. 138.
40
w. l. cross, The Development of the English Novel cit., p. 33.
***** «La poesia vuol qualcosa d’immane e selvaggio».
41
diderot, De la poésie dramatique, in Œuvres complètes, ed. J. Assé-
zat, 1875-77, VII, p. 371.
42
Cfr. i. babbitt, Rousseau and Romanticism, 1919, pp. 75 sgg.
43
Cfr. jean luc, Diderot, 1938, pp. 34-35.
44
j. s. petri, Anleitung zur praktischen Musik, 1782, p. 104; citato
da hans joachim moser, Geschichte der deutschen Musik, II, i, 1922,
p. 309.
45
Per l’unità di struttura e d’ispirazione dei prezzi, cfr. hugo rie-
mann, Handbuch der Musikgeschichte, II, 3, pp. 132-33.
46
Sulla differenza fra il tipo «a trama continua» e il tipo del Lied,
cfr. wilhelm fischer, Zur Entwicklung des Wiener klassischen Stils, in
«Beihefte der Denkmäler der Tonkunst in Österreich», iii, 1915, pp.
29 sgg. Per la differenza tra fuga e sonata cfr. august hahn, Von zwei
Welten der Musik, 1920.
47
h. j. moser, Geschichte der deutschen Musik cit., pp. 314-15.
48
l. balet - e. gerhard, Die Verbürgerlichung ecc. cit., p. 403.
49
h. j. moser, Geschichte der deutschen Musik cit., p. 312.

Storia dell’arte Einaudi 94


Capitolo terzo

Gli inizi del dramma borghese

Di fronte alle varie forme del romanzo eroico, pasto-


rale, picaresco predominanti nella letteratura amena fino
a mezzo il Settecento, il romanzo borghese, di soggetto
famigliare e di costume, era un’assoluta novità; ma non
si contrapponeva cosí consapevolmente e sistematica-
mente alla letteratura precedente come farà invece il
dramma borghese, nato dall’opposizione programmati-
ca alla tragedia classica e portavoce della borghesia rivo-
luzionaria. L’esistenza di uno spettacolo di stile elevato
in cui i protagonisti erano dei borghesi, già di per sé
esprimeva l’ambizione delle classi medie di esser prese
sul serio quanto i nobili, che fornivano gli eroi alla tra-
gedia. Fin dall’inizio il dramma borghese spogliando le
virtú aristocratico-eroiche del loro carattere assoluto, le
svalutò e fu l’araldo di una nuova morale e della parità
dei diritti. Nella sua nascita dalla coscienza di classe
della borghesia era già implicita tutta la sua storia. È,
vero che esso non fu la prima e unica forma drammati-
ca sorta da un conflitto sociale, ma fu il primo esempio
di un dramma che di un simile conflitto facesse il suo
diretto argomento, ponendosi apertamente al servizio
della lotta di classe. Da tempi immemorabili il teatro
aveva sempre diffuso l’ideologia dei ceti che lo finan-
ziavano, ma finora i contrasti di classe vi erano sempre
stati come un elemento sottinteso e latente, mai come
contenuto esplicito. Mai si era osato dire, ad esempio:

Storia dell’arte Einaudi 95


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

aristocratici ateniesi, i precetti della vostra etica tribale


contrastano con i principî del nostro stato democratico;
i vostri eroi, oltre che fratricidi e matricidi, sono anche
colpevoli di alto tradimento. Oppure: baroni inglesi, la
vostra condotta faziosa minaccia la pace delle nostre
industri città; i vostri pretendenti al trono e i vostri
ribelli non sono che solenni delinquenti. O anche: mer-
canti di Parigi, usurai, giuristi, sappiate che se noi,
nobiltà francese, periremo, con noi perirà un mondo che
è troppo grande per venire a compromessi con voi. Ma
ora si dice senza perifrasi: noi, onesti borghesi, non
vogliamo né possiamo vivere in un mondo dominato da
parassiti quali voi siete, e se anche noi dovessimo soc-
combere, i nostri figli vinceranno e vivranno.
Il nuovo dramma, per il suo carattere polemico e
programmatico, fin dall’inizio portò il peso di una pro-
blematica ignota alle forme precedenti. Infatti, anche se
queste erano «tendenziose», le opere che ne nascevano
non erano a tesi. La forma drammatica infatti ha carat-
teri particolari: per la sua natura dialettica, si presta alla
polemica, ma in quanto forma «obiettiva» preclude
all’autore ogni aperta parzialità. L’ammissibilità di una
tesi nell’opera d’arte per nessun’altra forma artistica fu
contestata quanto per il dramma. Ma il problema sorse
soltanto dopo che l’illuminismo ebbe trasformato il pal-
coscenico in un pulpito laico e in una tribuna, pratica-
mente rinunziando al kantiano «disinteresse» dell’arte.
Solo un’epoca di cosí ferma fede nella possibilità di edu-
care e migliorare l’uomo poteva risolversi per un’arte
apertamente tendenziosa; ogni altro tempo avrebbe
dubitato dell’efficacia di una morale espressa in modo
cosí scoperto. Tuttavia il dramma borghese differisce da
quello precedente, non tanto perché la tendenza politi-
co-sociale, prima nascosta, ora si esprime chiaramente,
quanto perché il conflitto drammatico, anziché tra sin-
goli individui, si svolge tra l’eroe e le istituzioni, e quin-

Storia dell’arte Einaudi 96


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

di l’eroe, che del resto non è che l’esponente di un grup-


po sociale, combatte contro forze anonime e deve for-
mulare il suo punto di vista come un’idea astratta, come
una denuncia contro l’ordine sociale esistente. Le gran-
di tirate e le invettive ora cominciano di solito con un
«voi» al posto del «tu». «Voi punite in altri, – declama
Lillo, – quel che fate voi stessi, o almeno avreste fatto
nelle loro condizioni; voi condannate il povero che ha
rubato, e avreste rubato anche voi, se foste stati pove-
ri»1. In questo modo mai si era parlato in un dramma.
E Mercier va anche piú lontano: «Io sono povero, per-
ché ci son troppi ricchi», dice uno dei suoi personaggi.
È quasi il tono di Gerhart Hauptmann. Ma il dramma
borghese del Settecento, nonostante questo tono, non
ha in sé gli elementi di un teatro popolare piú di quan-
to li abbia il dramma sociale nell’Ottocento; sono
entrambi frutto di un’evoluzione che da lungo tempo ha
perduto il contatto con il popolo, e si appoggiano a con-
venzioni teatrali d’origine classica.
In Francia il teatro popolare, che poteva vantare
capolavori come il Maître Pathelin, era stato escluso com-
pletamente dalla letteratura per opera del teatro aulico;
il dramma sacro e la farsa erano stati sostituiti dalla
solenne tragedia e dalla commedia ormai tutta intellet-
tuale e stilizzata. Non sappiamo bene che cosa si fosse
mantenuto dell’antica tradizione medievale sui palco-
scenici di provincia al tempo del dramma classico, ma
nel teatro letterario della capitale e della corte è certo
che nulla ne rimase, se non quello che ne passò nelle
opere di Molière. Il dramma si sviluppò in un genere
poetico in cui gli ideali della società di corte al servizio
della monarchia assoluta s’imposero nel modo piú diret-
to e impressionante. Esso divenne il genere poetico uffi-
ciale, già per il solo fatto che si prestava ad esser pre-
sentato nella solenne cornice dell’alta società, e gli spet-
tacoli teatrali offrivano un’ottima occasione per osten-

Storia dell’arte Einaudi 97


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tare la grandezza e lo splendore della monarchia. I suoi


soggetti divennero il simbolo di una concezione di vita
feudale ed eroica, retta dall’idea dell’autorità, del ser-
vigio, della fedeltà, e i suoi eroi furono l’idealizzazione
di una classe sociale che, libera da ogni volgare cura quo-
tidiana, poteva vedere in quel servigio e in quella fedeltà
il piú alto ideale morale. Quanti non erano in condizio-
ne di dedicarsi al culto di questo ideale, vennero consi-
derati personaggi indegni dell’arte drammatica. La ten-
denza all’assolutismo e lo sforzo di ridurre la cultura
aulica strettamente conforme al modello francese, con-
dusse anche in Inghilterra alla distruzione del teatro
popolare che, sullo scorcio del Cinquecento, era ancora
perfettamente amalgamato con la letteratura dei ceti
superiori. Dal regno di Carlo I in poi, i drammaturghi
producono sempre piú esclusivamente per il teatro di
corte e per l’alta società, cosí che la tradizione popola-
re dell’epoca elisabettiana si perde ben presto. Quando
i Puritani procedettero alla chiusura dei teatri, il dram-
ma inglese era già in profonda decadenza2.
La peripezia fu sempre considerata un elemento
essenziale della tragedia, e fino al Settecento ogni criti-
co fu d’avviso che la catastrofe è tanto piú impressio-
nante, quanto piú elevata è la posizione da cui precipi-
ta l’eroe. In un’epoca di assolutismo come il Seicento
quest’opinione doveva essere particolarmente forte, e
cosí anche la poetica barocca definisce la tragedia sem-
plicemente come il genere letterario i cui protagonisti
sono principi, generali e simili personaggi d’alto rango.
Per quanto pedantesca possa parerci oggi una tal defi-
nizione, essa coglie un tratto essenziale e forse indica l’o-
rigine della vicenda tragica. Fu dunque effettivamente
una svolta decisiva quando il Settecento fece di sempli-
ci borghesi i protagonisti di azioni drammatiche serie e
importanti, le vittime di un tragico destino e i rappre-
sentanti di un alto ideale. Prima a nessuno sarebbe pas-

Storia dell’arte Einaudi 98


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

sato per la mente nulla di simile, benché non risponda


ai fatti l’affermazione che i personaggi borghesi sulla
scena piú antica fossero sempre e soltanto figure comi-
che. Mercier calunnia Molière, quando lo accusa di aver
«voluto abbassare e rendere ridicola la borghesia»3.
Molière caratterizza il borghese in generale come one-
sto, aperto, intelligente, e anche arguto, e per lo piú lo
fa con una punta contro le classi piú elevate4. Nel dram-
ma piú antico, tuttavia, un personaggio di origine bor-
ghese non aveva mai avuto un destino esaltante e com-
movente, né compiuto un’azione nobile ed esemplare.
Ora i creatori del dramma borghese si affrancano a tal
punto da queste limitazioni e dal pregiudizio che la tra-
gedia diventi volgare assumendo un borghese a prota-
gonista, ch’essi non riescono nemmeno piú a intendere
il valore teatrale e drammatico dell’alta posizione socia-
le dell’eroe rispetto alla media degli uomini. Essi giudi-
cano tutto il problema da un punto di vista umanitario
e pensano che l’alto rango dell’eroe diminuirebbe la sim-
patia dello spettatore, poiché questa si può sviluppare
schietta soltanto fra uomini della stessa condizione5.
Questo punto di vista democratico è già accennato nella
dedica di The London Merchant* di Lillo, e i dramma-
turghi borghesi per lo piú vi si attengono. Veramente
essi debbono sostituire l’alto rango, che esaltava l’eroe
dell’antica tragedia, con una maggiore profondità e ric-
chezza della figura; il che porta a un sovraccarico di psi-
cologia e crea una serie di altri problemi, prima affatto
ignoti ai drammaturghi.
L’ideale umano perseguito dai precursori della nuova
letteratura borghese era inconciliabile con l’idea tradi-
zionale della tragedia e dell’eroe; perciò essi sottolinea-
vano che il tempo della tragedia classica era passato e
consideravano i suoi maestri, Corneille e Racine, come
vuoti parolai6. Diderot esigeva che si sopprimessero le
tirate, che riteneva false e innaturali; e Lessing nello stile

Storia dell’arte Einaudi 99


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

artificioso della tragédie classique combatteva anche il


dissimulato carattere di classe. Si scopre ora il valore
della verità artistica come arma nella lotta sociale. Ci si
accorge che la fedele riproduzione dei fatti porta di per
sé alla distruzione dei pregiudizi sociali e alla fine dei
soprusi; che lottando per la giustizia non si deve teme-
re la verità in nessuna forma, che, insomma, fra l’idea
della verità artistica e quella della giustizia sociale esi-
ste una certa armonia. E in quest’epoca nasce quell’al-
leanza fra radicalismo e naturalismo che è cosí nota nel-
l’Ottocento: quella solidarietà che gli elementi progres-
sivi sentivano con i naturalisti, anche quando costoro,
come Balzac, avevano altre idee politiche.
Già in Diderot troviamo formulati gli elementi fon-
damentali della teoria naturalistica del dramma. Egli
esige infatti non solo la motivazione naturale, psicolo-
gicamente vera, del processo interiore, ma anche l’esat-
tezza nella descrizione dell’ambiente e il verismo degli
scenari. Egli auspica, presumibilmente in omaggio allo
spirito del naturalismo, che l’azione, anziché in un fina-
le di grande effetto scenico, si risolva in una serie di qua-
dri impressionanti per l’occhio, e pare che egli immagi-
ni qualcosa come dei «quadri viventi», nello stile di
Greuze. Evidentemente per lui il fascino dell’elemento
visivo è piú forte, in un dramma, dell’efficacia pura-
mente intellettuale della dialettica drammatica. Anche
nel campo della parola e del suono preferisce effetti
naturali, sensibili. Egli vorrebbe limitare l’azione alla
pantomima, e la dizione a frasi ed esclamazioni stacca-
te. Ma soprattutto egli vuol sostituire al verso – al rigi-
do, pomposo alessandrino – il linguaggio quotidiano sce-
vro di retorica e di pathos. Sempre egli cerca di smor-
zare la sonorità della tragedia classica, di attenuarne i
colpi di scena. Senza dubbio lo guida la predilezione del
gusto borghese per tutto quel che è intimo, immediato,
sentimentale. La visione artistica borghese, che soprat-

Storia dell’arte Einaudi 100


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tutto mira a rappresentare la vita come fine a se stessa,


tende a conferire anche alla scena l’aspetto del micro-
cosmo in sé conchiuso. Per questa via s’intende l’idea di
quella fittizia «quarta parete», che viene anch’essa indi-
cata per la prima volta da Diderot. La presenza di spet-
tatori sul palcoscenico disturbava, veramente, anche
prima; ma Diderot auspica addirittura che i drammi
vengano recitati come se non ci fosse pubblico affatto.
Di qui s’inizia il dominio del totale illusionismo sul tea-
tro, che mira a nasconderne e negarne il carattere di fin-
zione.
La tragedia classica vede l’uomo isolato e lo rappre-
senta come un’entità spirituale a sé stante, autonoma,
solo esteriormente in contatto con la realtà materiale,
ma nell’intimo affatto indipendente da essa. Il dramma
borghese invece lo pensa come parte e funzione del-
l’ambiente e lo descrive come un essere che, invece di
dominare la realtà delle cose, come nella tragedia, ne
viene dominato e assorbito. L’ambiente non è piú solo
sfondo e cornice, ma contribuisce attivamente a foggia-
re il destino umano. I confini fra il mondo intimo e l’e-
sterno, fra spirito e materia, diventano fluidi e a poco a
poco si cancellano: alla fine ogni atto, ogni decisione,
ogni sentimento contiene in sé qualcosa di estraneo, di
estrinseco, di materiale, qualcosa che non viene dal sog-
getto e fa apparire l’uomo come il prodotto di una realtà
priva di mente e d’anima. Soltanto una società che non
crede piú che le differenze sociali siano necessarie e
volute da Dio né che siano in rapporto con virtú e meri-
ti personali, una società che esperimenta il potere sem-
pre crescente del denaro e intorno a sé altro non vede,
se non che gli uomini diventano quel che ne fanno le cir-
costanze; ma tuttavia consente a questa dinamica socia-
le, perché o le deve la propria ascesa o se la ripromette;
solo una società come questa poteva lasciar maturare il
dramma nelle categorie dello spazio e del tempo reali, e

Storia dell’arte Einaudi 101


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

sviluppare il carattere dei personaggi dal loro ambiente


materiale. Quanto forti fossero le cause sociali di que-
sto naturalismo e materialismo mostra chiaramente la
teoria di Diderot sui personaggi del dramma: egli pensa
che la loro condizione sociale sia piú reale e importante
della loro psicologia individuale e il fatto che esercitino
la professione di giudice, o di funzionario, o di mercante
abbia maggior peso che non la somma delle caratteristi-
che personali. Il nocciolo di tutta la dottrina è costitui-
to dalla supposizione che lo spettatore possa piú diffi-
cilmente sottrarsi all’effetto del dramma, se vede rap-
presentata sulla scena la sua stessa condizione, ch’egli
deve logicamente riconoscere, piuttosto che il suo spe-
ciale carattere, ch’egli può, volendo, rinnegare7. Nel-
l’intento di costringere lo spettatore a identificarsi con
gli elementi della sua stessa classe, ha la sua vera origi-
ne la psicologia del dramma naturalistico, che interpre-
ta i caratteri come fenomeni sociali. Per quanto ricca di
obiettiva verità possa essere una simile interpretazione,
tuttavia, elevata a principio esclusivo, essa porta alla fal-
sificazione dei fatti. L’assunto che l’uomo sia semplice-
mente un essere sociale ci porta a costruirci dell’espe-
rienza un’immagine non meno arbitraria di quella offer-
ta da chi non vede nell’uomo che l’individuo, unico e
incomparabile. Nei due casi si stilizza e si romanticizza
la realtà. È indubbio che l’immagine, che un determi-
nato tempo si foggia dell’uomo, dipende da fattori socia-
li; e si tende a rappresentarlo ora come personalità auto-
noma, ora come esponente di una classe, secondo l’o-
rientamento sociale e i fini politici dei promotori della
cultura. Se il pubblico vuole che si accentui sulla scena
l’origine sociale e il carattere di classe, è sempre segno
che, aristocratico o borghese, quel pubblico ha ormai
acquistato una coscienza di classe. E qui il problema, se
l’aristocratico sia soltanto aristocratico e il borghese sol-
tanto borghese, è del tutto indifferente.

Storia dell’arte Einaudi 102


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

La concezione sociologica e materialistica per cui


l’uomo appare come semplice funzione dell’ambiente,
determina una nuova forma drammatica, del tutto
distinta dalla tragedia classica. Non solo essa degrada l’e-
roe, ma pone in discussione la possibilità del dramma nel
senso tradizionale, poiché toglie all’uomo l’assoluta auto-
nomia e quindi, in parte, anche la responsabilità delle
azioni. E invero, che cosa può ancora venirgli attribui-
to come azione reale, se la sua anima non è che il campo
di battaglia di forze anonime? La valutazione morale
degli atti necessariamente perde ogni significato, o alme-
no diviene assai dubbia, e l’etica del dramma deve risol-
versi in pura psicologia e casistica. Infatti in un dram-
ma in cui regna esclusiva la legge di natura non si può
fare ormai che un’analisi dei moventi e ricostruire lo svi-
luppo psicologico per cui l’eroe giunge all’azione. A que-
sto punto è l’intero problema della colpa ad essere rimes-
so in discussione. I fondatori del dramma borghese ave-
vano negato la tragedia, per introdurre nel dramma l’uo-
mo con la sua umile colpa, determinata dalla realtà con-
sueta; i loro successori negano la colpa, per salvare la tra-
gedia. Il romanticismo elimina il problema persino nel-
l’interpretare la tragedia antica e cosí l’eroe viene sca-
ricato d’ogni colpa diventando una specie di superuomo,
che manifesta la sua grandezza consentendo al proprio
destino. L’eroe della tragedia romantica vince anche
soccombendo e supera il destino avverso, facendone la
vera, perfetta soluzione del suo contrasto con la vita.
Così, in Kleist, il principe di Homburg vince la paura
della morte e insieme abolisce l’apparente assurdità e
incongruenza del suo destino, appena può decidere della
propria vita. Egli si condanna a morte da sé, ricono-
scendo in ciò l’unica possibile soluzione. L’accettazione
del destino, il non volerlo diverso, la prontezza, anzi la
letizia del sacrificio sono la sua vittoria, pur nella rovi-
na: la vittoria della libertà sulla necessità. Che poi alla

Storia dell’arte Einaudi 103


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

fine egli non debba piú morire, risponde al processo di


ulteriore sublimazione e interiorizzazione che la trage-
dia ha subito. Il riconoscimento della colpa o di quel
tanto che ne è rimasto, il passare dall’accecamento alla
luce della ragione, basta per espiare e ristabilire l’equi-
librio. In sostanza nella tragedia romantica la colpa si
riduce alla pertinacia dell’eroe, alla sua volontà pura-
mente personale, alla sua esistenza individuale che rin-
nega l’unità originaria. Cosí Hebbel dichiara che per il
drammaturgo è affatto indifferente che l’eroe cada per
un’azione buona o per un’azione cattiva. Quest’inter-
pretazione romantica della tragedia, culminante nell’a-
poteosi dell’eroe, è ormai profondamente lontana dalle
opere commoventi di Lillo e di Diderot, ma sarebbe
inconcepibile senza la revisione del problema della colpa
dovuta ai primi drammaturghi borghesi.
Hebbel era pienamente conscio del pericolo che la
mentalità borghese costituiva per la struttura del dram-
ma; invece, contrariamente ai neoclassici, non disco-
nobbe le nuove possibilità drammatiche che la vita bor-
ghese in sé poteva presentare. Erano chiari gli inconve-
nienti formali del dramma fondato sulla psicologia. Per
i greci, per Shakespeare e, in certa misura, ancora per i
classici francesi, l’azione tragica era un fenomeno sini-
stro, inspiegabile, irrazionale; il suo effetto sconvolgen-
te dipendeva soprattutto dal suo essere incomprensibi-
le. La motivazione psicologica la ridusse a una misura
umana e cosí riuscí piú facile, come del resto volevano
i rappresentanti del dramma borghese, riviverla senti-
mentalmente. Ma i loro avversari, quando deplorano che
nella tragedia si sia perduto quel senso di tremendo, di
immane e di ineluttabile, dimenticano che questo non è
stato provocato dalla introduzione della psicologia; se
mai il contrario, la motivazione psicologica a un certo
punto è diventata necessaria proprio perché il contenu-

Storia dell’arte Einaudi 104


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

to irrazionale della tragedia non produceva piú alcun


effetto.
Il maggior pericolo che, con lo sviluppo psicologico e
l’interiorizzazione dei temi, minacciava il dramma come
forma teatrale, era la perdita di quell’evidenza palmare,
di quell’immediatezza brutalmente impressionante,
senza cui era impossibile qualsiasi effetto scenico, come
un tempo lo si concepiva. La struttura drammatica si
faceva sempre piú intima, spirituale, sempre piú lonta-
na dal teatro di massa, sempre piú rispondente al godi-
mento privato individuale. Ma per questa via perdeva-
no la loro nitidezza i personaggi, oltre che l’azione e la
sceneggiatura; divenivano piú ricchi, ma meno eviden-
ti, piú veri, ma meno facilmente comprensibili, meno
presenti allo spettatore, e meno facilmente riducibili a
schemi da tenere a mente. Tuttavia proprio in questa
difficoltà stava l’attrattiva precipua del nuovo dramma,
che si allontanò sempre piú dal teatro popolare e dal gran
pubblico.
Il carattere sfumato dei personaggi richiedeva che
anche i conflitti fossero imprecisi, le situazioni tali che
non vi fossero ben definiti né i personaggi in contrasto,
né i problemi in discussione. Questo tono non deciso,
senza contrapposizioni marcate, era particolarmente
dovuto all’etica borghese, psicologicamente comprensi-
va e conciliante, sempre in cerca di spiegazioni e di atte-
nuanti, secondo la norma del «tutto comprendere e
tutto perdonare». Finora nel dramma aveva dominato
un’unica misura dei valori morali, ammessa anche dai
malvagi e dai bricconi8; ora che il rivolgimento sociale
ha provocato un generale relativismo etico, spesso il
drammaturgo oscilla fra due diversi orientamenti e lascia
insoluto il vero problema, come fa Goethe nel contra-
sto fra il Tasso e Antonio. Discutere gli impulsi e la loro
giustificazione indeboliva, certo, l’ineluttabilità del con-
flitto, ma ravvivava la dialettica del dramma; cosí che

Storia dell’arte Einaudi 105


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

non si può affermare che il relativismo etico del dram-


ma borghese abbia avuto solo un effetto di disgregazio-
ne formale. Tutto sommato, la nuova morale borghese
non fu meno feconda per il dramma di quella aristocra-
tico-feudale. Questa non conosceva altri doveri che quel-
li verso il signore e verso la propria casta: offriva cosí lo
spettacolo imponente di conflitti in cui possenti e vio-
lente personalità infierivano contro se stesse e contro gli
altri. Invece il dramma borghese scopre i doveri verso
la società9 e descrive la lotta per la libertà e la giustizia
di uomini, che, se pur piú costretti esteriormente, non
sono nell’intimo meno liberi e arditi: una lotta forse
meno teatrale di quelle cruente della tragedia eroica, ma
in sé altrettanto drammatica. Qui l’esito non è cosí ine-
luttabile come in quelle, dove l’etica elementare della
fedeltà feudale e dell’eroismo, cavalleresco non permet-
teva scampo, né compromessi, né terze soluzioni. Il
nuovo atteggiamento morale è perfettamente caratte-
rizzato dalle parole di Lessing in Nathan il saggio: «Nes-
sun uomo deve dovere», parole che, naturalmente, non
significano che l’uomo è libero da doveri, ma che è inti-
mamente libero, cioè libero di scegliersi i mezzi, e
responsabile dei suoi atti solo verso se stesso. Nell’an-
tico dramma si accentuavano i legami interiori, nel
nuovo quelli esterni; ma questi, per quanto opprimenti,
lasciano libero corso all’azione drammatica. «La trage-
dia di un tempo si fonda su un dovere inflessibile, – dice
Goethe nel suo scritto Shakespeare und kein Ende: –
Ogni dovere è dispotico... Il volere invece è libero... è
il dio del tempo... Il dovere fa grande e forte la trage-
dia, il volere la fa debole e meschina». Goethe assume
qui un atteggiamento conservatore e giudica il dramma
secondo lo schema dell’antica, quasi religiosa espiazio-
ne, e non già come un conflitto di coscienza e di volontà,
qual esso è ormai divenuto. Egli rimprovera al dramma
moderno di lasciare troppa libertà all’eroe; piú tardi i cri-

Storia dell’arte Einaudi 106


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tici cadranno nell’errore opposto pensando che non si


possa parlare di libertà, e quindi neppure di conflitto,
dato il determinismo del dramma naturalistico. Essi non
comprenderanno che, ai fini dell’effetto drammatico,
non ha alcuna importanza l’origine della volontà né il
movente che la guida, né quanto in esso vi può essere
di «materiale» o di «spirituale», purché sfoci in un con-
flitto drammatico10.
Del resto, il principio che questi critici contrappon-
gono alla volontà dell’eroe è tutt’altra cosa da quello
goethiano; si tratta di due specie di necessità totalmen-
te diverse. Goethe pensa alle antinomie del dramma
tradizionale, al conflitto tra dovere e passione, lealtà e
amore, moderazione e orgoglio e deplora che nel dram-
ma moderno sia diminuita la forza dei principî obietti-
vi di fronte alla soggettività. Piú tardi invece, per neces-
sità s’intendono, per lo piú, le leggi empiriche, specie
quelle dell’ambiente fisico e sociale, la cui ineluttabilità
fu appunto scoperta dal Settecento. Quindi si parla pro-
priamente di tre cose distinte: volontà, dovere e costri-
zione. Cioè nel dramma moderno all’impulso indivi-
duale sono due e differenti gli ordini obiettivi che con-
trastano: uno etico-normativo e uno fisico-effettuale.
L’idealismo filosofico afferma che è puramente acci-
dentale che l’esperienza, in contrasto con l’universale
validità delle norme etiche, risulti pienamente conforme
alla legge; e, nello spirito di questo idealismo, la moder-
na teoria classicista ritiene corruttore nel dramma il
dominio delle condizioni materiali della vita. Ma è solo
un pregiudizio romantico-idealistico affermare che la
dipendenza dell’eroe dall’ambiente materiale vanifica
ogni manifestazione di volontà, ogni conflitto dramma-
tico, ogni effetto tragico e mette persino in gioco la
possibilità del dramma. Il mondo moderno, data la
morale conciliante e il senso della vita essenzialmente
alieno da ogni tragicità, propri del mondo borghese,

Storia dell’arte Einaudi 107


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

offre naturalmente alla tragedia meno materia della vita


di un tempo. Il pubblico borghese preferisce i lavori a
lieto fine alle grandi tormentose tragedie e non sente,
come osserva Hebbel nella prefazione alla Maria Mag-
dalena, alcuna vera differenza fra tragico e triste. Sem-
plicemente, non capisce che la tristezza non implica la
tragedia, né la tragedia implica la tristezza.
Il Settecento amava il teatro e arricchí straordina-
riamente la storia del dramma; ma non fu un’epoca tra-
gica, che si rappresentasse i problemi dell’esistenza
umana sotto forma di inesorabili alternative. I grandi
periodi della tragedia sono quelli in cui si compiono
radicali sovvertimenti sociali e una classe dominante
perde a un tratto potere e prestigio. I conflitti tragici per
lo piú s’imperniano sui valori che costituiscono le basi
morali di quel predominio, e la rovina dell’eroe simbo-
leggia e trasfigura la rovina che minaccia tutta la classe.
Sia la tragedia greca, sia il dramma inglese, francese, spa-
gnolo dei secoli xvi e xvii sorgono in momenti di crisi
e simboleggiano il tragico destino delle aristocrazie del-
l’epoca. Il dramma ne eroicizza e idealizza la rovina,
intonandosi al sentire di un pubblico che appartiene in
gran parte alla classe soccombente. E anche nel caso del
dramma shakespeariano, se il suo pubblico non appar-
tiene alla classe ormai sconfitta, e il poeta non parteg-
gia per essa, tuttavia la tragedia attinge la sua ispirazio-
ne, il suo concetto dell’eroismo e – la sua idea della
necessità proprio dallo spettacolo che offre il destino
degli antichi signori. Invece, quando nella società pre-
vale una classe che crede nella propria vittoria e nella
propria ascesa, non fiorisce il dramma tragico. L’otti-
mismo, la fede nella vittoria della ragione e del diritto
evitano la soluzione tragica dell’intreccio drammatico, o
cercano di ridurre la necessità a tragico accidente e della
colpa fanno semplicemente un tragico errore. Shake-
speare e Corneille differiscono da Lessing e da Schiller

Storia dell’arte Einaudi 108


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

in quanto il loro eroe soccombe a una necessità supe-


riore, invece che a una pura necessità storica. Non si può
pensare alcun ordine sociale in cui Amleto o Antonio
non siano votati alla rovina; invece gli eroi di Lessing e
di Schiller, Sara Sampson ed Emilia Galotti, Ferdinan-
do e Luisa, Carlos e Posa, potrebbero esser felici e con-
tenti in ogni altra società, in ogni altro tempo, fuor che
nel loro, cioè in quello del poeta. Ma un’epoca per cui
l’infelicità dell’uomo è determinata da condizioni stori-
che, e non viene concepita come inevitabile e inesora-
bile destino, può produrre tragedie, anche importanti,
ma non dirà certo nella tragedia la sua ultima e piú
profonda parola. Può ben darsi che «ogni tempo espri-
ma le necessità sue proprie, e quindi un suo proprio
senso tragico»11, ma è innegabile che il genere tipico del-
l’illuminismo non fu la tragedia, bensí il romanzo. Nelle
epoche in cui fiorisce la tragedia, sono i rappresentanti
delle antiche istituzioni che combattono l’ideologia e le
aspirazioni della nuova generazione; nei tempi propizi a
una forma di dramma non tragico è, per lo piú, la nuova
generazione che attacca le vecchie istituzioni. Natural-
mente, queste possono stroncare il singolo, che può soc-
combere del resto anche di fronte ai rappresentanti di
un mondo nuovo. Tuttavia una classe che creda al suo
futuro trionfo considererà il proprio sacrificio come
prezzo della vittoria; mentre l’altra, che sente avvici-
narsi irresistibilmente la sua fine, scorge nel tragico
destino dei suoi eroi il segno di un mondo in declino, di
un crepuscolo degli dèi. Per una borghesia ottimistica,
fiduciosa nel trionfo della propria causa, i colpi della
cieca sorte non sono i motivi di esaltazione né di abbat-
timento; solo i ceti agonizzanti delle epoche tragiche tro-
vano conforto nel pensiero che in questo mondo ogni
cosa grande e nobile è votata alla rovina e questa rovi-
na vogliono porre in una luce trasfigurante. Forse la filo-
sofia romantica della tragedia con la sua apoteosi del-

Storia dell’arte Einaudi 109


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

l’olocausto è già un segno del decadere della borghesia.


In ogni caso, una forma di dramma veramente tragico
che nuovamente metta al suo centro il destino non
nascerà dalla borghesia prima che essa si senta minac-
ciata nella sua stessa vita; allora soltanto, come avviene
in Ibsen, il destino batterà alla sua porta nel minaccio-
so aspetto della trionfante gioventú.
L’esperienza tragica dell’Ottocento si distingue da
quella di tempi piú lontani soprattutto perché la moder-
na borghesia, a differenza delle antiche aristocrazie,
non si sentiva minacciata soltanto dall’esterno. Era una
classe di composizione cosí varia, cosí eterogenea nei
suoi elementi, che fin dall’inizio pareva sul punto di
disgregarsi. Comprendeva non solo elementi che aderi-
vano ai gruppi reazionari, e altri che si sentivano legati
agli umili, ma, specialmente, quegli intellettuali social-
mente sradicati, che civettavano ora con i ceti superio-
ri ora con gli inferiori, e quindi rappresentavano in parte
le idee del romanticismo reazionario e antilluminista, in
parte peroravano la causa della rivoluzione permanente.
Comunque fu per opera loro, se la borghesia cominciò
a dubitare del proprio diritto all’esistenza e della solidità
del proprio ordine sociale. Furono essi a dare origine a
un modo di sentire antiborghese o «sovraborghese»,
alla convinzione cioè che la borghesia aveva tradito la
propria idea originaria e doveva ormai superare se stes-
sa, sforzandosi verso un ideale umano di valore univer-
sale. Veramente queste tendenze «sovraborghesi» per lo
piú avevano un’origine antiborghese e antidemocratica.
L’evoluzione di Goethe, di Schiller e di molti altri scrit-
tori, specie in Germania, dagli inizi rivoluzionari all’at-
teggiamento degli anni maturi, conservatore e spesso
reazionario, corrispondeva a un generale movimento
reazionario nel seno della stessa borghesia e al suo tra-
dimento dell’illuminismo. Gli scrittori non erano in que-
sto caso che interpreti del loro pubblico; ma non di rado

Storia dell’arte Einaudi 110


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

avvenne che essi sublimassero lo spirito reazionario dei


lettori e, con la loro coscienza meno salda e con la loro
maggior capacità di fingere, simulassero alti ideali
«sovraborghesi», quando in realtà erano ricaduti a un
livello preborghese e antiborghese. Questa psicologia
della rimozione e della sublimazione, assunse spesso una
struttura cosí complicata da non lasciare piú distingue-
re in molti casi le diverse tendenze. Si è potuto chiari-
re che, ad esempio, in Cabala e amore di Schiller s’in-
contrano tre generazioni, quindi tre diverse mentalità:
quella preborghese degli ambienti di corte, quella bor-
ghese della famiglia di Luisa e quella «sovraborghese»
di Ferdinando12. Ma quest’ultima si distingue da quella
borghese soltanto perché piú larga e spregiudicata. I
rapporti sono già assai piú complicati in un’opera come
il Don Carlos, dove Posa, con il suo spirito sovrabor-
ghese, riesce a comprendere Filippo e, in certo modo,
perfino a simpatizzare con l’«infelice» sovrano. Insom-
ma, diventa sempre piú arduo stabilire se l’ideologia
«sovraborghese» del drammaturgo risponda a una ten-
denza progressista o reazionaria, e se qui si tratti di un
autosuperamento del borghese o semplicemente di una
diserzione. Comunque, gli attacchi alla borghesia diven-
tano un tratto essenziale del dramma borghese e il ribel-
le alla morale e al costume borghesi, il derisore delle con-
venzioni e della meschinità filistee, è ormai una figura
stereotipa. Per seguire il graduale sottrarsi della lettera-
tura moderna allo spirito borghese, sarebbe grande-
mente illuminante un’indagine sulle successive meta-
morfosi di questo personaggio dallo Sturm und Drang
fino a Ibsen e a Shaw. Infatti qui non si tratta sempli-
cemente del tradizionale ribelle contro l’ordine costi-
tuito, che è una delle figure originarie del dramma, né
di una variante di quella ribellione contro i potenti che
costituisce una delle fondamentali situazioni drammati-
che, bensí dell’attacco deliberato e sistematico alla bor-

Storia dell’arte Einaudi 111


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ghesia, alle basi della sua vita spirituale e alla sua pre-
tesa di rappresentare una morale universalmente valida.
In breve, siamo di fronte a una forma letteraria che è
stata l’arma piú efficace della borghesia e si è mutata in
pericoloso strumento che la estrania da se stessa e la
deprime.

1
george lillo, The London Merchant or the History ot George
Barnwell, 1731, IV, 2.
2
leslie stephen, English Literature ecc. cit., p. 66.
3
mercier, Du Théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, 1773;
citato da f. gaiffe Le Drame en France ecc. cit., p. 91.
4
clara stockmeyer, Soziale Probleme im Drama des Sturmes und
Dranges, 1922, p. 68.
5
beaumarchais, Essai sur le genre dramatique sérieux, 1767.
6
rousseau, La Nouvelle Héloïse, II, Lettera xvii,
7
diderot, Entretiens sur le Fils naturel, in Œuvres, VII, p. 150.
* Il mercante di Londra.
8
g. lukács, Zur Soziologie des modernen Dramas, in «Archiv für
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», vol. XXXVIII, 1914, pagine
330 sgg.
9
arthur elösser, Das bürgerliche Drama cit., p. 13. paul ernst,
Ein Credo, 1912, I, p. 102.
10
Cfr. g. lukács, Zur Soziologie ecc. cit., p. 343.
11
a. elösser, Das bürgerliche Drama cit., p. 215.
12
fritz brüggemann, Der Kampt um die bürgerliche Welt- und
Lebensanschauung in der deutschen Literatur des 18. Jahrhunderts, in
«Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geiste-
sgeschichte», iii, 1925, i.

Storia dell’arte Einaudi 112


Capitolo quarto

La Germania e l’illuminismo

Dal punto di vista sociologico, il romanticismo set-


tecentesco fu in tutta Europa un fenomeno pieno di con-
traddizioni. Da un lato continuò, intensificandolo, il
processo di emancipazione della borghesia iniziatosi con
l’illuminismo, e diede espressione a un sentimentalismo
e a un’esuberanza plebea, che venivano a opporsi all’a-
ristocratico e sostenuto intellettualismo dei ceti supe-
riori; dall’altro rappresentò la reazione di questi ultimi
contro il razionalismo «disgregatore» e il riformismo
illuministico. La sua fortuna cominciò fra quella classe
media che l’illuminismo aveva appena sfiorata, e quella
parte della borghesia che riteneva il pensiero illumini-
stico ancor troppo legato alla cultura classica; ma a poco
a poco se ne impadronirono quei ceti che intendevano
valersi delle inclinazioni sentimentali del tempo per i
loro fini ostili all’illuminismo, reazionari in religione e
in politica. Tuttavia, mentre in Francia e in Inghilterra
la classe borghese fu sempre conscia della sua posizione
e non rinunziò mai del tutto alle conquiste dell’illumi-
nismo, in Germania si abbandonò alla corrente del pen-
siero romantico irrazionale prima di aver vissuto a fondo
l’esperienza razionalistica. Il che non vuol dire che il
razionalismo, come dottrina accademica, non avesse
esponenti in Germania: anzi, nelle università tedesche
la teoria era forse piú fortemente rappresentata che
altrove; ma rimaneva appunto dottrina accademica, spe-

Storia dell’arte Einaudi 113


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

cialità di eruditi e di poeti convenzionali. Mai il razio-


nalismo era riuscito a permeare di sé la vita pubblica, il
pensiero politico-sociale di larghi strati, il costume della
borghesia. Certamente non mancarono in Germania
figure di grandi illuministi, come Lessing, forse la figu-
ra piú schietta e umanamente attraente di tutto il movi-
mento; ma i seguaci sinceri, chiaroveggenti e fermi delle
idee illuministiche vi furono sempre fenomeni isolati, e
rappresentarono delle eccezioni anche fra gli intellet-
tuali. I piú fra costoro e fra i borghesi erano incapaci di
comprendere l’importanza dell’illuminismo in rapporto
ai loro interessi di classe; era facile travisare ai loro
occhi il carattere del movimento, facile mettere in cari-
catura i limiti e le insufficienze del razionalismo. Certo,
non bisogna immaginare questo fenomeno come una
congiura in cui gli scrittori fossero mercenari e compli-
ci dei dirigenti politici. Probabilmente neppure i veri
manovratori dell’opinione pubblica ammettevano nel
loro intimo che qui si compiva una falsificazione ideo-
logica dei fatti; in ogni caso è certo che gli intellettuali
araldi della borghesia erano ben lungi dall’esser consci
di un inganno o di un tradimento.
Ma come sorse negli intellettuali questa erronea visio-
ne, questa imprevidenza politica, che finì col portare la
Germania alla tragedia? Come spiegare che la borghe-
sia tedesca non abbia mai veramente accolto l’illumini-
smo, e che sia mancato del tutto un ceto compatto d’in-
tellettuali progressisti, con una viva coscienza di classe?
L’illuminismo rappresentò la prima educazione politica
della moderna borghesia, la sua scuola primaria, senza
la quale sarebbe inconcepibile la parte da essa avuta
nella storia intellettuale degli ultimi due secoli. Per sua
sventura, la Germania a suo tempo trascurò questa scuo-
la e la perdita fu irreparabile. Quando in Europa venne
l’ora dell’illuminismo, in Germania il ceto colto non era
abbastanza maturo per intenderlo; e dopo, non fu piú

Storia dell’arte Einaudi 114


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

cosí facile sorvolare sulle sue ingenuità e sui suoi pre-


giudizi. Ma il ritardo degli intellettuali tedeschi in
sostanza non spiega niente; è anch’esso un fenomeno da
spiegare. Nel corso del Cinquecento la borghesia tede-
sca aveva perduto il suo influsso economico e politico,
che era venuto aumentando dalla fine del Medioevo, e
con esso la sua importanza culturale. Il commercio inter-
nazionale si spostò dal Mediterraneo verso l’Atlantico,
le città anseatiche e della bassa Germania vennero sop-
piantate dagli Olandesi e dagli Inglesi; e quelle meri-
dionali, come Augusta, Norimberga, Ratisbona e Ulma
– capitali della cultura tedesca – decaddero insieme con
le città mercantili d’Italia, a cui i Turchi tagliarono, col
tempo, le vie del commercio mediterraneo. La deca-
denza delle città tedesche significò il tramonto della
borghesia; i principi non ebbero piú nulla da sperarne,
né da temerne. L’assolutismo, già nell’ultimo Cinque-
cento, si era sostanzialmente rafforzato anche all’Ove-
st, dando luogo a una restaurazione aristocratica. Ma le
monarchie occidentali non cessarono mai del tutto di
appoggiarsi ai ceti medi nella loro lotta contro la fron-
da nobiliare; quanto alla nobiltà, o lasciò alla borghesia
tutto il campo dell’industria e del commercio, come
avvenne in Francia, o le si associò nello sfruttamento
della congiuntura economica, come in Inghilterra. Inve-
ce i principi tedeschi, che dopo la repressione delle rivol-
te contadine erano rimasti padroni incontrastati del
paese, vedevano un pericolo nei contadini e nei bor-
ghesi, non certo nella nobiltà, di cui facevano parte, e
di cui rappresentavano la politica di fronte all’impera-
tore. In Germania i signori, a differenza dei re di Fran-
cia e d’Inghilterra, erano latifondisti con prevalenti inte-
ressi feudali, e piú o meno indifferenti al benessere della
borghesia e delle città. Queste furono annientate, eco-
nomicamente e politicamente, dalla guerra dei Trent’an-
ni, che completò la rovina del commercio tedesco1. La

Storia dell’arte Einaudi 115


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

pace di Westfalia venne a suggellare il particolarismo


tedesco, consolidando la sovranità dei principi maggio-
ri e minori; con ciò si sanzionarono situazioni, al cui con-
fronto si può considerare progredito l’Occidente, dove
in certo modo il re rappresentava l’unità della nazione
e talvolta ne difendeva gli interessi anche contro l’ari-
stocrazia. Tra il re e l’insubordinata nobiltà rimase sem-
pre in Occidente una certa tensione, benché le due parti
si fossero riconciliate e la borghesia ne traesse un netto
vantaggio; in Germania invece principi e nobili erano
sempre uniti, quando si trattava di spogliare le altre
classi di qualche diritto. Nelle monarchie occidentali la
borghesia si era insediata nell’amministrazione, e non fu
piú possibile escluderla del tutto; ma in Germania, dove
la lealtà dell’esercito e della burocrazia costituí la base
di un nuovo feudalesimo, le cariche, ad eccezione degli
impieghi subalterni, erano riservate all’alta nobiltà e ai
signorotti di provincia. Il popolo subiva l’oppressione
dei funzionari della Corona, alti o bassi che fossero, pro-
prio come un tempo aveva subito quella degli ammini-
stratori feudali, e anche piú duramente. In Germania i
contadini non avevano mai conosciuto altro che la ser-
vitú della gleba, ma ora anche la borghesia perdette
tutto quello che si era conquistata nel corso dei secoli
xiv e xv. Cominciò con l’impoverirsi e fu spogliata dei
suoi privilegi, poi smarrí anche la fiducia in se stessa e
la stima di sé. Infine sviluppò dalla sua miseria quegli
ideali di sudditanza, quella lealtà e fedeltà che permet-
teva a ogni borghesuccio strisciante nella polvere di sen-
tirsi al servizio di una sublime idea.
Come lo sviluppo dal mercantilismo alla libertà del
commercio e dell’industria in Germania procede con
grande lentezza e non si conclude che nel 18502, cosí
solo nella seconda metà dell’Ottocento il potere centra-
le riesce a imporsi stabilmente sui vari principi. L’in-
terregno, come osserva uno storico francese, dura in

Storia dell’arte Einaudi 116


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

pratica fino al 18703. Nel Cinquecento l’impero rigua-


dagna momentaneamente terreno e, portato dalla cor-
rente del tempo incline all’assolutismo, Carlo V riesce a
consolidarne l’autorità, ma non a fiaccare la potenza dei
principi. Troppi sono i problemi, perché possa dedicar-
si a modificare le condizioni della Germania. Del resto,
in vista dei suoi piú ampi interessi europei, egli deve
senz’altro sacrificare la causa della Riforma tedesca a un
riguardo per il papa, e così perde irrimediabilmente l’oc-
casione di unificare la Germania, grazie a un vero movi-
mento popolare4. Egli lascia che siano i principi tedeschi
ad approfittare dei vantaggi che si possono trarre da un
appoggio alla Riforma, e ad essi infatti Lutero pronta-
mente consegna lo strumento del potere ecclesiastico,
preponendoli alle Chiese locali e conferendo loro l’au-
torità di guidare, d’ora in poi, la vita dei sudditi anche
in questo campo e di assumersi la cura della loro salute
eterna. I principi s’impadroniscono dei beni della Chie-
sa, decidono delle nomine ecclesiastiche, prendono in
mano l’educazione religiosa, e cosí non fa meraviglia che
le Chiese locali diventino sostegni fidatissimi del loro
potere. Esse predicano il dovere dell’obbedienza all’au-
torità, confermano il favore divino all’augusto signore e
creano cosí quello spirito ottuso, meschino, conservato-
re, che sarà tipico del luteranesimo tedesco del Seicen-
to. Lo staterello dispotico, a cui nel paese non vi è ormai
forza che si opponga, estrania anche dalla Chiesa i ceti
progressisti.
Lo spirito borghese del Quattro e del Cinquecento
sparisce dall’arte e dalla cultura tedesche, se possiamo
ancora dirle tedesche dopo la pace di Westfalia. Ora
infatti, non soltanto ci si ispira come discepoli e segua-
ci allo stile aulico-aristocratico di Francia, ma lo si fa
proprio importando direttamente artisti e opere, o imi-
tando servilmente modelli francesi. Tutti i duecento
staterelli vorrebbero emulare il re di Francia e la corte

Storia dell’arte Einaudi 117


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

di Versailles. Cosí nella prima metà del Settecento sor-


gono gli splendidi castelli dei principi tedeschi:
Nymphenburg, Schleissheim, Ludwigsburg, Pommer-
sfelden, lo Zwinger di Dresda, l’Orangerie di Fulda, le
residenze di Würzburg, Bruchsal, Rheinsberg, Sans-
souci – tutti costruiti con una grandiosità e decorati con
un lusso affatto sproporzionati alla forza e ai mezzi del
paese, in genere assai piccolo e povero. Grazie a tale
sfarzo si sviluppa nell’arte una varietà tedesca del
Rococò francese e italiano. Ma la letteratura poco si
giova dell’ambizione dei principotti e i poeti ne ricevo-
no scarso incoraggiamento, se si eccettuano alcune corti
delle Muse, che tuttavia sorgono soltanto verso la fine
del secolo. «La Germania brulica di principi, che per tre
quarti mancano affatto di buonsenso, e sono la vergo-
gna e il flagello dell’umanità – scrive un contemporaneo.
– Per quanto piccoli siano i loro paesi, essi s’immagina-
no che l’umanità sia fatta per loro»5. C’erano tuttavia
varie specie di principi: piú e meno colti, piú e meno
dispotici, illuminati e retrogradi, amanti dell’arte e avidi
soltanto di sfarzo; ma certo non ce n’era uno che non
fosse pienamente convinto che per un semplice morta-
le il senso della vita consistesse nel lasciarsi dominare e
sfruttare.
Il denaro che non veniva consumato nel lusso pazze-
sco, nelle presuntuose costruzioni, nelle spese di corte e
nelle amanti del principe, si usava per l’esercito e per la
burocrazia. L’esercito, naturalmente, aveva solo compi-
ti di polizia e costava relativamente poco; tanto piú
pesava la burocrazia sulla nazione. Il particolarismo di
questi stati già di per sé determinava il moltiplicarsi dei
funzionari, e il fenomeno si aggravava ancor piú per la
generale burocratizzazione dello stato, per il passaggio
delle funzioni un tempo proprie delle corporazioni
all’apparato statale, per la predilezione per rescritti e
ordinanze e per la generale tendenza a regolamentare la

Storia dell’arte Einaudi 118


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

vita pubblica e privata. Anche in Francia dominava lo


stesso sistema politico, economico e sociale, anche là
l’intervento e la cattiva amministrazione statale incep-
pavano gli affari e l’attività del borghese e lo danneg-
giavano, e, come in Germania, egli era spogliato dei
suoi diritti e trascurato; ma nei piccoli principati tede-
schi tutto ciò opprimeva e umiliava assai di piú. Nel-
l’immediata vicinanza della corte, sotto la pressione di
un gretto apparato statale e di un principe esigente e
prodigo, sotto gli occhi di funzionari meno influenti, ma
ugualmente inumani, il borghese in Germania ha una
vita ancor piú travagliata e precaria. È vero che il ser-
vizio di stato assorbe nelle funzioni subalterne una parte
notevole del ceto medio, ma corrompe i piccoli impie-
gati, perché l’impiego statale è per la maggior parte di
loro l’unica possibilità di vita decorosa. Per un borghe-
se che non si occupi di commercio o d’industria non
resta che diventare funzionario dello stato, legale del-
l’amministrazione, sacerdote della chiesa locale o inse-
gnante in un istituto pubblico.
L’impotenza della classe borghese, esclusa dal gover-
no e, si può dire, da ogni attività politica, genera una
passività che si estende a tutta la vita culturale. Il ceto
intellettuale, composto d’impiegati subalterni, maestri di
scuola e poeti estraniati dal mondo, si abitua a traccia-
re una linea divisoria tra la vita privata e la politica, e a
rinunziare senz’altro a ogni influsso pratico. Se ne com-
pensa aumentando il proprio idealismo e accentuando-
ne il disinteresse, e abbandona il timone dello stato ai
potenti. In tale rinunzia si manifesta non solo una com-
pleta indifferenza verso la situazione sociale, apparen-
temente immutabile, ma anche un netto disprezzo della
politica come professione. In tal modo l’intellettuale
borghese perde ogni contatto con la realtà sociale, ridu-
cendosi sempre piú isolato, eccentrico, stravagante. Il
suo pensiero diventa puramente contemplativo e specu-

Storia dell’arte Einaudi 119


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

lativo, irreale e irrazionale; la sua espressione si fa biz-


zarra, presuntuosa, incomunicabile, senza alcuna consi-
derazione per gli altri e riluttante ad ogni correzione dal-
l’esterno. Egli si ritrae su un piano «genericamente
umano», al disopra delle classi, dei ceti e dei gruppi, fa
una virtú del proprio difetto di senso pratico, e lo chia-
ma idealismo, interiorità, trionfo sui limiti spaziali e
temporali. Dall’involontaria passività si sviluppa un
ideale di vita idilliaca, dalla costrizione esteriore l’idea
dell’intima libertà e della sovranità dello spirito sulla
comune realtà empirica. Si giunge cosí in Germania alla
completa scissione della letteratura dalla politica e scom-
pare quel rappresentante dell’opinione pubblica, ben
noto all’Occidente, che è insieme scrittore e uomo poli-
tico, pubblicista e studioso, buon filosofo e buon gior-
nalista.
L’evoluzione sociale, che dalla fine del Medioevo era
venuta dividendo la borghesia tedesca in vari ceti net-
tamente graduati, si arrestò nel Cinquecento. S’iniziò
una nuova integrazione, che fu in sostanza un processo
involutivo, che riportò a una classe borghese piuttosto
indifferenziata, quale ci appare nel Seicento. Gli strati
piú larghi di essa avevano rinunziato alle loro esigenze
culturali e l’alta borghesia si era cosí diradata, che non
contava piú gran che come fattore di cultura. Di un ele-
vato stile di vita proprio del ceto medio e di una sua par-
ticolare visione che si esprimesse nell’arte o nella lette-
ratura non si poté piú parlare. Piuttosto si diffuse un
livello medio molto modesto, che ricordava le primitive
condizioni dell’alto Medioevo. I rivolgimenti del Cin-
quecento, specie lo spostarsi dei centri dell’economia
mondiale e il rafforzarsi dell’assolutismo, distrussero i
frutti di quelle che erano state epoche auree della bor-
ghesia, il tardo Medioevo e il Rinascimento. Nulla rima-
se di quella cultura che si fondava sulla concezione bor-
ghese della vita; nulla dei suoi principî né del suo idea-

Storia dell’arte Einaudi 120


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

le artistico; nulla dell’atmosfera intellettuale di un’epo-


ca in cui gli indirizzi generali, le piú avanzate tendenze
artistiche e filosofiche, si esplicavano nelle forme del
pensiero e dell’esperienza borghesi, e le personalità di
maggior rilievo, come Dürer e Altdorfer, Hans Sachs e
Jakob Böhme, erano esponenti di esse.
La borghesia, che con lo sviluppo dell’economia
monetaria, il rigoglio delle città e la decadenza del feu-
dalesimo aveva acquistato ricchezza e prestigio, col
denaro e con la lotta si era assicurata l’autonomia delle
maggiori città, assumendone l’amministrazione, e aveva
occupato importanti posizioni anche nel governo dello
stato, nel consiglio privato del principe e nella magi-
stratura. Ma per il declino delle città tedesche, che
implicò la decadenza della borghesia, e la progressiva
rovina economica della nobiltà, già alla fine del Cin-
quecento gli elementi borghesi vennero rimossi dagli
uffici dello stato e della corte, dove li sostituirono i
nobili6. La guerra dei Trent’anni, peggiorando anche la
condizione delle classi feudali, rinnovò e affrettò l’as-
salto alle cariche da parte della nobiltà e precluse alla
borghesia i gradi piú alti della carriera burocratica. In
Francia la nobiltà di toga, per lo piú d’origine borghe-
se, si sviluppò accanto alla nobiltà di campagna e di
corte; in Germania invece fu la nobiltà terriera e caval-
leresca a trasformarsi in casta burocratica, e nel Sette-
cento la borghesia venne respinta a uffici subalterni
assai piú radicalmente di quanto avveniva altrove. La
vittoria dei principi significò la fine degli «stati» come
forze politiche, cioè spodestò nobiltà e ceto medio. Da
allora, il potere politico fu uno solo: quello del princi-
pe. Ma avvenne ciò che suole avvenire in questi casi: i
principi compensarono la nobiltà e lasciarono a mani
vuote la borghesia. Il quadro della società tedesca è
ormai dominato da due gruppi: gli alti funzionari del
governo e della corte, che intorno ai principi costitui-

Storia dell’arte Einaudi 121


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

scono quasi un nuovo vassallaggio, e la burocrazia subal-


terna, composta dei loro servi piú docili. Del servilismo
verso i superiori gli uni si rivalgono con una sfrenata
brutalità verso gl’inferiori, gli altri con un culto della
disciplina che fa del capo un «intimo censore», e del-
l’adempimento del dovere burocratico una religione.
Ma il progresso del commercio e dell’industria, nono-
stante gl’impedimenti che la piccolezza degli stati, i loro
interessi particolaristici e le loro finanze trascurate,
oppongono allo sviluppo economico, alla lunga non si
può trattenere. La borghesia torna ad arricchirsi e rico-
mincia a differenziarsi a seconda del patrimonio. Dap-
prima spicca sul ceto medio una borghesia che può
pagarsi la protezione dei funzionari di corte e adottare
anch’essa la moda di Francia. Unica fonte di cultura nel
paese, accanto alla nobiltà di corte, essa diffonde fra gli
intellettuali il gusto francese e il disprezzo delle tradi-
zioni locali. La letteratura francese acquista il predomi-
nio nelle università e trova in Gottsched, il dotto poeta,
tipico del tempo, il suo piú ardente fautore; l’arte bor-
ghese del Rinascimento tedesco e le scarse tracce che ne
sono rimaste come tradizione viva, gli sembrano, in con-
fronto con l’ideale dell’arte francese, rozze, poco svi-
luppate e di cattivo gusto. Eppure Gottsched non può
affatto esser considerato il portavoce letterario dell’ari-
stocrazia; piuttosto egli è l’esponente della borghesia
che, del resto, non ha ancora un suo ideale artistico e
non possiede né uno spiccato carattere nazionale, né una
chiara coscienza di classe. Non bisogna dimenticare, è
vero, che anche la cultura dell’aristocrazia, presa a
modello dai borghesi, e persino quella della nobiltà di
corte non è che pseudocultura, messa insieme sulla fal-
sariga di luoghi comuni, spesso vacui7. La letteratura
amena d’argomento profano che, si può dire, costituisce
l’unica esigenza culturale di quei ceti, intorno al 1700
si limita ancora ai generi in voga alla corte e fra la

Storia dell’arte Einaudi 122


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nobiltà di Francia, e soprattutto al romanzo eroico,


pastorale, amoroso, e alla tragedia eroica. Ma gli auto-
ri, a differenza di quel che accade in Francia e in Inghil-
terra, sono in Germania per lo piú uomini di cultura
accademica, cioè docenti universitari, giuristi e funzio-
nari di corte, e in gran parte appartengono all’alta bor-
ghesia. Fra loro ci sono anche aristocratici come il baro-
ne von Canitz, Friedrich von Spee e Friedrich von
Logau, ma quasi nessun rappresentante dei ceti inferio-
ri8. A parte i grandi signori, che scrivono per diletto per-
sonale e passatempo, tutti questi autori dipendono diret-
tamente o indirettamente dalle corti, o perché al servi-
zio dei principi, o perché insegnanti in qualche univer-
sità.
Klopstock è il primo tedesco che sia poeta di profes-
sione nel senso europeo del termine, sebbene neppure
lui riesca ad affrancarsi del tutto da protettori privati.
Prima di Lessing e dello sviluppo della letteratura dal
grembo fertile della grande città, non ci sono in Ger-
mania scrittori liberi. Per molto tempo l’alta borghesia
resta fedele alla moda di Francia e alle forme della poe-
sia aulica. Sappiamo che perfino in una città mercanti-
le come Lipsia, il gusto del Rococò dominava ancora
quando Goethe vi era studente. Tuttavia furono proprio
le città mercantili, anzitutto Amburgo e Zurigo, a libe-
rarsi per prime dalla dittatura del gusto aulico, dando
asilo alla letteratura borghese. Dopo la metà del secolo,
c’è ancora qualche residenza principesca in cui la poe-
sia trova protezione (Weimar ne è l’esempio classico);
ma la poesia di corte vera e propria scompare. Non solo
per l’origine e le simpatie, ma anche per le forme della
sua attività letteraria (egli è principalmente critico e
giornalista) Lessing è il rappresentante della borghesia
e della vita urbana. Berlino ha già i caratteri della gran-
de città, quando egli vi si stabilisce. Ha centomila abi-
tanti e gode – effetto, in parte, della guerra dei Sette

Storia dell’arte Einaudi 123


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

anni – di una certa libertà di discussione e di critica.


Certo Federico II interviene non appena la critica scon-
fina dall’argomento religioso9. A questi limiti piuttosto
significativi della libertà di discussione accenna anche
Lessing in una lettera a Nicolai: .«Codesta libertà ber-
linese, – egli scrive, – si riduce... alla libertà di portare
al mercato quante sciocchezze si vogliono contro la reli-
gione... Vada a Berlino uno che voglia elevare la sua
voce per i diritti dei sudditi, contro lo sfruttamento e il
dispotismo... e presto farà l’esperienza del paese piú
schiavista d’Europa». Eppure Lessing sapeva benissimo
perché andava a Berlino: in quella gran città si respira-
va un’aria diversa da quella delle anguste corti di pro-
vincia e delle università segregate dal mondo, i soli luo-
ghi che si offrissero a uno scrittore per esplicarvi la sua
attività10. È vero che Lessing faceva la vita del lettera-
to che lavora a giornata, ordinando biblioteche, disim-
pegnando funzioni di segretario, facendo traduzioni;
ma in complesso era indipendente. Che cosa quell’indi-
pendenza gli costasse, lo si può immaginare dalla sua
risposta a chi gli domandava perché la sua scrittura fosse
cosí minuta: i suoi onorari non avrebbero coperto le
spese di carta e d’inchiostro, s’egli avesse scritto in
caratteri piú grandi. Alla fine, passata la quarantina, non
gli rimase che piegarsi al giogo, contro cui fino allora
aveva recalcitrato. Egli entrò al servizio di un principe
e passò gli ultimi tormentosi anni della sua vita a Wol-
fenbüttel, come bibliotecario del duca di Brunswick.
Tuttavia migliorano le sorti della letteratura tedesca.
Cresce il numero degli scrittori (nel 1773 in Germania
ne esistevano circa tremila, il doppio nel 1787) e negli
ultimi decenni del secolo molti potevano già vivere del
loro lavoro letterario11. Ma i piú, ancora nell’età roman-
tica, dovevano esercitare anche un’altra professione.
Gellert, Herder, Lavater erano teologhi; Hamann,
Winckelmann, Lenz, Hölderlin, Fichte, precettori;

Storia dell’arte Einaudi 124


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Gottsched, Kant, Schiller, Görres, Schelling e i fratel-


li Grimm, professori universitari; Novalis, A. W. Sch-
legel, Schleiermacher, Eichendorff, E. T. A. Hoffman,
impiegati statali.
Con lo Sturm und Drang la letteratura tedesca diven-
ta interamente borghese, sebbene i giovani ribelli siano
tutt’altro che riguardosi verso la borghesia. Ma in loro
la protesta contro i soprusi dei despoti e l’entusiasmo per
la libertà sono genuini e sinceri, come è sincera la loro
ostilità all’illuminismo. E sebbene essi costituiscano sol-
tanto un gruppo non molto coerente di esaltati ignari del
mondo e di stravaganti, tuttavia le loro radici borghesi
sono profonde ed essi non possono rinnegare la propria
origine. In Germania tutta la cultura dello Sturm und
Drang fino al romanticismo è un portato della borghe-
sia; le guide spirituali del tempo pensano e sentono da
borghesi, e soprattutto di elementi borghesi è composto
il pubblico a cui si rivolgono. Anche se non comprende,
veramente, tutti gli strati della borghesia, anzi spesso si
limita a un’élite non molto numerosa, tuttavia rappre-
senta una tendenza progressista e segna la fine della
cultura aulica. La borghesia si sviluppa cosí in classe
colta, che si distingue non solo dalla nobiltà, ma anche
dagli ambienti accademici, e costituisce un collegamen-
to fra il mondo della prassi e quello dello spirito, come
pure fra gli intellettuali piú autorevoli e la massa della
nazione. Ora la Germania diventa quel «paese del ceto
medio» in cui l’aristocrazia si rivela sempre piú impro-
duttiva, mentre la borghesia, benché politicamente
debole, s’impone intellettualmente e con il suo raziona-
lismo va scalzando ogni altra forma di cultura. Il razio-
nalismo settecentesco è di quei movimenti, che posso-
no venir rallentati, ma non arrestati dalle controcorren-
ti reazionarie. Nessun gruppo sociale può rifiutarlo del
tutto, e tanto meno il ceto intellettuale tedesco, incline
all’irrazionale solo perché fraintende i suoi veri interes-

Storia dell’arte Einaudi 125


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

si. In breve, questa è la situazione in Germania: la vita


dei ceti responsabili della cultura s’imborghesisce, le
forme del loro pensiero e della loro esperienza si razio-
nalizzano, e subiscono un profondo rivolgimento. Nasce
un nuovo tipo d’intellettuale, intimamente libero da
tradizioni e convenzioni, ma che nella realtà politico-
sociale non può, e spesso non vuole, esercitare un ade-
guato influsso. Egli cosí finisce per opporsi al razionali-
smo, di cui è l’involontario portatore, e in parte sostie-
ne quelle tendenze conservatrici, che egli crede di com-
battere. Qui, tratti conservatori e reazionari dappertut-
to si confondono con quelli progressisti e liberali12.
Lessing sapeva che il «superamento» del razionalismo
per opera dello Sturm und Drang era un’aberrazione
della borghesia; per questo si mantenne cosí riservato
anche di fronte alle opere giovanili di Goethe, special-
mente di fronte al Gœtz e al Werther13. Le critiche della
nuova generazione alla razionalistica filosofia popolare
erano senza dubbio giustificate, ma in quelle condizio-
ni sorvolare sulle insufficienze era piú intelligente che
insistervi. L’illuminismo, nella sua lotta contro la Chie-
sa alleata dell’assolutismo, si era fatto insensibile a tutto
ciò che si connetteva con la religione e con le forze irra-
zionali della storia: ora gli esponenti dello Sturm und
Drang, alla realtà «disincantata» con cui essi non senti-
vano alcun legame contrapposero proprio queste forze
irrazionali. Ma con ciò essi non facevano che assecon-
dare i desideri delle classi dominanti, che cercavano di
stornare l’attenzione da quella realtà, di cui tenevano
saldamente il possesso. Queste classi favorivano ogni
concezione che rappresentasse come inesplicabile e
imprevedibile il significato del mondo, e incoraggiava-
no ogni tendenza a trasferire i problemi in una sfera
interiore, cosí da deviare l’inclinazione sovversiva della
nuova cultura e portare la borghesia a contentarsi di una
soluzione ideologica anziché pratica14. Sotto l’azione di

Storia dell’arte Einaudi 126


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

questa droga, l’intellettuale tedesco perdette il gusto


della conoscenza positiva e razionale, cui venne sosti-
tuendo l’intuizione e le visioni metafisiche. L’irrazio-
nalismo fu certamente un fenomeno paneuropeo, ma
dappertutto altrove si manifestò essenzialmente come
una delle forme particolari del sentimentalismo; solo in
Germania assunse una speciale impronta idealistica e
spiritualistica, solo qui esso divenne una metafisica spre-
giatrice del mondo empirico e volta all’infinito, all’e-
terno, all’assoluto. In quanto esaltazione del sentimen-
to, il movimento romantico aveva ancora un rapporto
immediato con le tendenze rivoluzionarie della borghe-
sia, per i suoi aspetti idealistici e trascendenti invece si
allontanò sempre piú dal pensiero progressista borghe-
se. È vero che l’idealismo tedesco prese le mosse dalla
teoria kantiana della conoscenza, teoria antimetafisica e
profondamente radicata nell’illuminismo, ma il sogget-
tivismo proprio di questa teoria venne sviluppato in
un’assoluta rinunzia alla realtà obiettiva fino a posizio-
ni opposte a quelle del realismo illuministico. Già a par-
tire da Kant la filosofia tedesca si estraniò dal pubblico
dei profani colti, anzitutto per il suo gergo, semplice-
mente incomprensibile ai non iniziati, e nel quale
profondità e difficoltà si confondono. Il linguaggio
scientifico tedesco assunse a poco a poco quel carattere
spesso vago, ricercato, trascolorante in allusioni, che lo
divide cosí nettamente dal linguaggio scientifico del-
l’Occidente europeo. Nello stesso tempo i Tedeschi
smarriscono anche il gusto delle semplici, sicure, sobrie
verità cosí apprezzate nell’Europa occidentale, e la loro
preferenza per le costruzioni e le complicazioni menta-
li diventa una vera passione.
L’abito intellettuale che noi indichiamo come «pen-
siero tedesco», «scienza tedesca», «stile tedesco» non
può, veramente, considerarsi manifestazione di un
costante carattere nazionale, ma solo un modo di pensa-

Storia dell’arte Einaudi 127


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

re e di esprimersi sorto in un determinato periodo della


cultura tedesca, cioè nella seconda metà del Settecento,
e per opera di un determinato ceto, quello degli intellet-
tuali esclusi dal governo e praticamente privi di ogni
influenza. Questo ceto ebbe, nello sviluppo della classe
colta, una parte non meno importante di quella dei let-
terati illuministi per il pubblico dei lettori francesi. Quel
che afferma Tocqueville sull’origine della mentalità fran-
cese, cioè ch’essa deve allo straordinario influsso della let-
teratura illuministica la propria inclinazione alle idee
razionali, astratte, generali15, si può affermare, mutatis
mutandis, anche di quella tedesca, con la sua stravagan-
za amante di sorprese e di complicazioni. Sono entram-
be frutto di un’epoca in cui letterati in via d’emancipa-
zione agiscono in modo decisivo sullo sviluppo intellet-
tuale del paese. In tutto l’Occidente, in Francia e in
Inghilterra come in Germania, il Settecento vide nasce-
re il moderno pensiero scientifico e certe impostazioni di
cultura complessivamente valide anche oggi. Queste sor-
sero con la moderna borghesia e ad essa debbono la loro
tenacia. Così, ad esempio, ancora Thomas Mann nella
Montagna incantata giudica l’illuminismo secondo i crite-
ri dello Sturm und Drang. Anch’egli parla di «superfi-
ciale ottimismo» del secolo pedagogico e nella figura di
Settembrini caratterizza l’illuminista dell’Europa occi-
dentale, retore vanitoso, compiaciuto filantropo.
L’irrealismo che si manifesta nel pensiero astratto e
nel linguaggio esoterico dei poeti e dei filosofi tedeschi,
si esprime anche nell’esaltato individualismo e nella sma-
nia di originalità. Questa, come il loro gergo, non è che
una manifestazione della loro indole asociale. Le parole
di Madame de Staël, «trop d’idées neuves, pas assez
d’idées communes»*, costituiscono la diagnosi piú con-
cisa dello spirito tedesco. Quel che mancava ai tedeschi
non era la torta domenicale, ma il pane quotidiano.
Mancava loro la sana, vigile guida dell’opinione pubbli-

Storia dell’arte Einaudi 128


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ca, che nei paesi dell’Europa occidentale fin da princi-


pio pose dei limiti e diede un comune indirizzo alle aspi-
razioni individuali. Già Madame de Staël riconobbe che
la libertà individuale o, come diceva Goethe, il «sancu-
lottismo letterario» dei poeti tedeschi non era che una
compensazione della mancata attività politica. Anche
l’ermetismo e l’«amore della profondità», il culto del
difficile e del complicato, risalivano a quest’origine.
Tutto tradiva un’aspirazione a rifarsi della situazione
che li escludeva da ogni influenza in campo politico e
sociale mediante l’indirizzo esoterico ed eccentrico del
pensiero, e a crearsi nelle piú elevate forme della vita spi-
rituale una sorta di dominio riservato che fosse un equi-
valente del privilegio politico.
L’intellettuale tedesco era incapace di comprendere
che il razionalismo e l’empirismo erano i naturali allea-
ti di un ordine sociale incompatibile con l’oppressione.
Egli non poteva rendere miglior servigio alle forze con-
servatrici che partecipando alla loro manovra per scre-
ditare la «fredda cultura della ragione». A confondere
e distogliere gl’intellettuali dai loro obiettivi contribui-
rono da parte loro i principi tedeschi, che apparente-
mente fecero proprio l’illuminismo e seppero ammo-
dernare il razionalismo dell’antico regime assoluto sulle
nuove formule illuministiche; ma anche, le tradizioni
religiose della famiglia piccolo-borghese tanto piú vin-
colanti quando (e il caso non era infrequente) il padre
era un pastore. I piú fra gli intellettuali tedeschi erano
eredi di queste tradizioni, allora, per opera del pietismo,
avviate a un promettente risveglio. Nella loro campagna
contro l’illuminismo gli intellettuali, naturalmente, si
tennero essenzialmente in quei campi in cui i motivi irra-
zionali potevano avere piú gioco, e trassero le loro armi
di preferenza dalla sfera estetica e religiosa. L’esperien-
za religiosa era di per sé irrazionale, quella artistica lo
diveniva via via che ci si allontanava dai criteri del gusto

Storia dell’arte Einaudi 129


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

aulico. Dapprima, richiamandosi al modello neoplatoni-


co, si fusero le due sfere, poi però il primato, nella
nuova immagine del mondo, venne assegnato alle cate-
gorie estetiche. I caratteri per cui l’opera d’arte si sot-
trae all’indagine razionale e alla definizione logica non
erano una scoperta del tempo; già il Rinascimento li
aveva rilevati e messi in evidenza. Ma solo col Sette-
cento l’irrazionalità e l’assenza di regole furono indica-
ti come tratti essenziali della creazione artistica. Solo
quest’epoca antiautoritaria, consapevolmente e pro-
grammaticamente avversa all’accademismo aulico, seppe
contestare che le facoltà della riflessione e del razioci-
nio, la perizia e l’intelligenza del giudizio critico con-
tribuiscano alla nascita dell’opera d’arte. L’affermazio-
ne dell’irrazionalismo fu meno contrastata qui che nel
campo propriamente filosofico. Le tendenze antillumi-
nistiche si ritirarono dunque sulla linea estetica e di qui
conquistarono il mondo intellettuale. L’armonica strut-
tura dell’opera d’arte fu estesa a tutto il cosmo e al
Creatore si attribuí – come nel neoplatonismo – una spe-
cie di intento artistico. «Il bello è una manifestazione
di occulte forze naturali», giunse ad affermare Goethe,
di solito affatto alieno dal misticismo; e su quest’idea
s’impernia tutta la filosofia della natura dei romantici.
L’estetica divenne scienza fondamentale, organo della
metafisica. Già nella teoria della conoscenza di Kant l’e-
sperienza era creazione del soggetto conoscente, analo-
gamente all’opera d’arte, considerata sempre un pro-
dotto dell’artista che opera legato alla realtà e tuttavia
di questa realtà è dominatore. Lo stesso Kant credeva
di non poter dire quasi nulla sulla natura dell’oggetto in
sé, moltissimo invece sulla spontaneità del soggetto; e
trasformò la conoscenza, che tutta l’antichità e il
Medioevo avevano sempre concepito come l’immagine
di una realtà, in un’attività della ragione. Col tempo, la
resistenza dell’obiettività all’arbitrio del soggetto andò

Storia dell’arte Einaudi 130


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

diminuendo e l’oggetto della conoscenza finí col diven-


tare dominio assoluto dell’io creatore. Come poté matu-
rare un simile mutamento nell’immagine del mondo? I
sistemi filosofici si mettono in carta nelle biblioteche e
negli studi, ma non nascono qui; o, se mai ciò avviene
– come effettivamente avvenne per l’idealismo tedesco
– anche questo ha un suo reale significato, determinato
dalla vita pratica. Gli studi dei filosofi tedeschi erano
ermeticamente chiusi e l’esperienza da cui essi svilup-
parono i loro sistemi era appunto l’isolamento, la soli-
tudine, l’assenza di ogni influsso pratico. La loro visio-
ne estetica era in parte un segregarsi dal mondo, in cui
lo «spirito» si rivelava impotente; in parte, la via indi-
retta per giungere a un ideale umano che non si poteva
attuare per la via maestra dell’educazione politica e
sociale.
Voltaire e Rousseau furono d’attualità in Germania
quasi contemporaneamente; ma l’influsso di Rousseau fu
incomparabilmente piú profondo e vasto di quello del
rivale. Neppure in Francia Rousseau trovò seguaci così
numerosi e fervidi come in Germania. Tutto lo Sturm
und Drang, Lessing, Kant, Herder, Goethe e Schiller ne
dipendono e vi si riconoscono. In lui Kant vedeva «il
Newton del mondo morale» e Herder lo chiamò «santo
e profeta». E su scala minore lo stesso accadde per Shaf-
tesbury, la cui autorità fu in Germania assai maggiore
che in patria. In Inghilterra gli esperti del Settecento
non gli attribuiscono particolare importanza e trovano
addirittura incomprensibile che quell’autore «di
second’ordine» sia giunto, in Germania, a tanta cele-
brità16. Ma, conoscendo meglio la situazione tedesca,
non fa gran meraviglia che un irrazionalista come Shaf-
tesbury, con il suo spiritualismo apertamente polemico
contro Locke, con il suo entusiasmo per Platone e la sua
plotiniana idea della bellezza come intima essenza del
divino, abbia fatto cosí profonda impressione sui tede-

Storia dell’arte Einaudi 131


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

schi. Shaftesbury era il tipo dell’aristocratico whig, e la


sua mentalità si espresse nel modo piú chiaro in quella
kalokagathìa che è alla base del suo ideale pedagogico e
della sua morale estetizzante. Il suo self-breeding non fa
che applicare alla mente e all’anima l’idea di un’aristo-
cratica selezione del sangue. L’origine sociologica del suo
ideale della personalità si riflette inconfondibile, sia nel-
l’identificazione del vero e del bene con il bello, sia nel
pensiero che il conflitto fra impulsi egoistici e altruisti-
ci, corruttore degli strati piú bassi dell’umanità, trovi un
equilibrio armonico nei ceti alti affinati dalla cultura.
L’idea che la vita sia un’opera d’arte, a cui si lavora gui-
dati da un istinto infallibile (moral sense), come l’artista
nell’opera sua è guidato dal genio, era un’idea aristo-
cratica, che gli intellettuali tedeschi poterono accoglie-
re con tanto entusiasmo, solo perché essa si prestava ad
essere del tutto fraintesa e il suo carattere aristocratico
poteva interpretarsi come consapevolezza di una nobiltà
spirituale.
Per l’illuminismo il mondo era perfettamente intelli-
gibile, tale da potersi e doversi spiegare; per lo Sturm
und Drang, invece, era qualcosa di essenzialmente oscu-
ro, misterioso e, dal punto di vista della ragione, privo
di senso. Tali opposte concezioni non nascono sempli-
cemente dalla meditazione e dall’elaborazione logica.
L’una nasce dalla persuasione di poter conquistare e
dominare la realtà, l’altra da un sentimento di smarri-
mento e abbandono. Ceti e generazioni intere non
rinunziano spontaneamente al mondo; e, quando vi son
costrette, inventano spesso splendide filosofie, favole,
miti, attraverso le quali riescono a sublimare la costri-
zione a cui soggiacciono nella sfera interiore della libertà
e della spiritualità. Per questa via è sorta anche la teo-
ria dell’idea che si realizza nella storia, dell’imperativo
categorico, dell’artista creatore che impone a se stesso
la sua propria legge, e altre. Ma nulla rispecchia cosí niti-

Storia dell’arte Einaudi 132


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

damente e da tanti lati i motivi da cui lo Sturm und


Drang sviluppa la sua visione, come il concetto del genio
artistico, che ora viene posto al vertice dei valori umani.
Anzitutto il genio è irrazionale e soggettivo, caratteri
che il preromanticismo sottolinea nella sua polemica
contro l’illuminismo dogmatico e generalizzatore; il
genio converte la costrizione esteriore in libertà inte-
riore, ribelle e dispotica a un tempo, e afferma infine il
principio dell’originalità che, affiorando proprio nel
momento in cui nasce la classe dei letterati indipenden-
ti e si acuisce d’ora in ora la concorrenza, diventa l’ar-
ma piú importante dell’intellettuale nella lotta per la
vita. La creazione artistica, sia per il classicismo aulico
che per l’illuminismo, era una attività intellettuale chia-
ramente definibile, fondata su regole di gusto spiegabi-
li e apprendibili; ora invece si configura come un pro-
cesso misterioso, derivato da fonti imperscrutabili, quali
l’ispirazione divina, la cieca intuizione, l’imprevedibile
inclinazione dell’animo. Per il classicismo e l’illuminismo
il genio era un’intelligenza superiore, disciplinata dalla
ragione, dalla teoria, dalla storia, dalla tradizione e dalla
convenzione; per i preromantici e per lo Sturm und
Drang esso diventa la personificazione di un ideale
caratterizzato anzitutto dall’assenza di tali vincoli. Il
genio si sottrae alla miseria quotidiana rifugiandosi nel
mondo fantastico dell’arbitrio illimitato. Qui non sol-
tanto è libero dai ceppi della ragione, ma è in possesso
di virtú mistiche, per cui può fare a meno della comune
esperienza sensibile. «Il genio è presago, cioè il suo sen-
timento precorre l’osservazione. Il genio non osserva.
Egli vede, sente», dice Lavater. Nel suo aspetto irrazio-
nale, inconscio, creatore, il genio è concetto già noto ai
preromantici dell’Europa occidentale, e illustrato anzi-
tutto nelle Conjectures on original Composition di
Edward Young (1759); ma qui il genio sta al semplice
talento come un «mago» a un buon «architetto»; nel-

Storia dell’arte Einaudi 133


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

l’estetica dello Sturm und Drang esso diventa invece un


titano in rivolta, sovrumano e simile a Dio. Non è piú
il negromante, dalle pratiche oscure, ma non certo inna-
turali, bensí il custode di una misteriosa sapienza, colui
che «dice l’ineffabile», il legislatore di un mondo suo
proprio da lui stesso legittimato17. Questo concetto si
distingue da quello di Young anzitutto per il soggetti-
vismo estremo, determinato dalle speciali condizioni
tedesche. Gli aspetti personali della creazione artistica
erano già noti all’ellenismo e al Rinascimento; mai tut-
tavia si era giunti a un concetto dell’arte il cui soggetti-
vismo fosse paragonabile a quello del Settecento18. Ma,
anche allora, solo in Germania esso giunse a quell’ansia
di originalità, che non si può spiegare del tutto con la
protesta contro il dogmatismo illuministico e l’esibizio-
nismo pubblicitario di ciascuno dei letterati in gara. Per
ben capirlo, si deve anche tener presente la smodata
venerazione che qui si tributava all’uomo forte, al tipo
splendido d’energia virile. Naturalmente questo sogget-
tivismo esasperato, che non senza motivo è stato defi-
nito «frenesia borghese»19, poteva sorgere solo in un
mondo borghese, relativamente libero, indipendente
dalla morale di casta e dalla solidarietà di classe dell’a-
ristocrazia, e dominato dallo spirito di libera concor-
renza; ma senza l’intimo dissidio dell’intellettuale tede-
sco, conculcato e intimidito, sempre in cerca di com-
pensazioni e oscillante fra soggezione e orgoglio, pessi-
mismo ed energia virile, non avrebbe assunto la forma
patologica propria dello Sturm und Drang. Senza que-
sto contrasto interiore e questa tendenza all’ipercom-
pensazione, sarebbe impensabile non solo il soggettivi-
smo, ma anche la dissoluzione formale del preromanti-
cismo tedesco, la sua fuga nell’eccessivo e nell’informe,
la sua dottrina della fondamentale falsità e insufficien-
za di ogni forma. Il mondo, fatto estraneo e nemico, non
voleva comporsi in una forma chiusa. E il preromanti-

Storia dell’arte Einaudi 134


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

cismo in questa sua visione di un mondo disgregato e


nella frammentarietà della sua esperienza vide il simbo-
lo della vita. Il detto di Goethe sulla falsità di ogni
forma discende appunto dal modo di sentire di questa
generazione e in sostanza corrisponde alle parole di
Hamann, che ogni sistema «già di per sé è impedimen-
to alla verità»20.
Lo Sturm und Drang nella sua struttura sociologica
fu ancor piú complicato del preromanticismo occiden-
tale; e non solo perché in Germania borghesi e intellet-
tuali non furono mai profondamente partecipi del moto
illuministico, cosí da vederne nettamente gli scopi e fer-
mamente perseguirli; ma perché la loro lotta contro il
razionalismo del regime assoluto fu anche una lotta con-
tro le correnti progressiste dell’epoca. Essi non com-
presero mai che il razionalismo dei principi costituiva
per il futuro un pericolo minore del loro proprio irra-
zionalismo. Così, da nemici del despota, essi divennero
strumenti della reazione e con i loro attacchi contro il
centralismo burocratico non fecero che favorire gli inte-
ressi di casta.
Naturalmente, del sistema accentratore essi non com-
battevano la tendenza al livellamento sociale, contro
cui cozzavano gli interessi della nobiltà e dell’alta bor-
ghesia, ma il suo effetto generalizzatore, che violava le
diversità di cultura e d’ingegno. Al rigido formalismo
dell’amministrazione razionalizzata essi opponevano i
diritti della vita vera, della crescita naturale, dello svi-
luppo organico; e con ciò non intendevano soltanto
negare lo stato burocratico con la sua tendenza a rego-
lare tutto meccanicamente e quindi tutto uguagliare,
ma anche il riformismo, incline ai piani e ai regolamen-
ti degli illuministi. E benché quest’idea della vita spon-
tanea, irrazionale fosse ancora non ben definita e, per
quanto ostile all’illuminismo, non avesse ancora mire
esplicitamente conservatrici, tuttavia conteneva in

Storia dell’arte Einaudi 135


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

germe la filosofia dei conservatori. Infatti non ci volle


molto per giungere ad attribuire a questo principio della
«vita» un mistico aspetto soprarazionale, di fronte a cui
il razionalismo illuministico appariva artificioso, rigido
e dottrinario, e per rappresentare il sorgere delle istitu-
zioni sociali e politiche dalla vita storica come qualcosa
di «naturale», cioè superiore all’uomo e alla ragione, cosí
da proteggerle contro ogni arbitrario intervento e assi-
curare lo statu quo.
A prima vista sorprende che la tendenza conserva-
trice, che di solito noi associamo all’idea della continuità
e della stabilità, qui sottolinei il valore della vita e del
divenire, mentre il liberalesimo, che noi siamo avvezzi
a collegare con l’idea del movimento e del dinamismo,
afferma le sue esigenze in nome della ratio. Si è voluto
spiegare questo apparente paradosso dicendo che, dato
che il pensiero rivoluzionario della borghesia era «espli-
citamente» alleato del razionalismo, la contro-corrente
anche solo «per pura contraddizione» ha fatto propria
l’ideologia contraria21. Ma la difficoltà del problema sta
appunto in questo, che il rapporto dei vari gruppi socia-
li e delle varie correnti politiche con il razionalismo set-
tecentesco è piuttosto ambiguo, e anche la tendenza
conservatrice dell’epoca ha un carattere piú o meno
razionalistico. La peculiare posizione dello Sturm und
Drang fra illuminismo e romanticismo è determinata
appunto dal fatto che razionalismo e irrazionalismo non
si possono identificare semplicemente con progresso e
reazione, e il razionalismo nell’era moderna non è un
fenomeno univoco e specifico, ma piuttosto un caratte-
re generale di tutta l’epoca. Dal Rinascimento in poi
esso è presente in tutti i tempi e in tutti i ceti, e mostra
ora una tendenza all’elasticità mentale e al dinamismo,
ora un’aspirazione all’universalità e alla stasi. Il razio-
nalismo del Rinascimento italiano era diverso da quello
del classicismo francese, e a sua volta quello dell’illumi-

Storia dell’arte Einaudi 136


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nismo era tutt’altro da quello dell’aristocrazia di corte


e della monarchia assoluta. C’è stato un razionalismo
borghese e progressista, ma anche un razionalismo con-
servatore dei privilegi di casta. La borghesia del Rina-
scimento aveva da combattere contro tradizioni e abi-
tudini paralizzanti, quindi il suo razionalismo assunse un
carattere dinamico, antitradizionale e una tendenza al
massimo rendimento. La nobiltà allora era cavalleresca,
romantica, irragionevole e priva di senso pratico; ma piú
tardi, specialmente sotto la pressione dello sviluppo eco-
nomico, dalla fine del Cinquecento in poi essa si adeguò
sempre piú al razionalismo della borghesia, non senza
modificarlo in certi aspetti sia della teoria che della pra-
tica. Cosí essa lasciò cadere anzitutto l’antitradizionali-
smo borghese, eliminando però, in compenso, tutto quel
che di fantastico e romanzesco c’era nella sua visione
medievale, e nel corso del Seicento giunse a sviluppare
un sistema di valori dell’ordine e della disciplina, che
sostanzialmente era altrettanto statico che «ragionevo-
le». La borghesia illuministica da principio subí l’in-
flusso di questa nobiltà razionalistica nel pensiero e nel-
l’azione e da essa derivò l’ideale di una condotta seve-
ramente disciplinata ed esemplare, sebbene per altro
verso si attenesse al razionalismo piú antico, di ceppo
rinascimentale, e nell’economia sviluppasse coerente-
mente la dottrina della produttività e della concorren-
za. Ma nella seconda metà del Settecento il medio ceto
disertò in parte il razionalismo, lasciandolo per il
momento nelle mani della nobiltà e dell’alta borghesia;
esso si volse invece agli ideali roussoviani, sentimentali
e romantici, mentre l’alta società disprezzava tutti quei
fumi sentimentali e restava fedele al suo intellettuali-
smo. Nonostante questo la borghesia progressista con-
servò un suo modo di sentire antitradizionale, e quindi
dinamico, proprio come i ceti conservatori, pur con il
loro razionalismo etico ed estetico, restavano fermi nel

Storia dell’arte Einaudi 137


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

fondo al tradizionalismo della loro filosofia sociale. A


un’indagine piú accurata il dinamismo, che si suole attri-
buire alla mentalità progressista e liberale, si rivela una
metafora quanto la stasi, attribuita ai conservatori.
Entrambe le tendenze sono dinamiche e razionalistiche
a un tempo, né potrebb’essere altrimenti in questa fase,
che liquida definitivamente il Medioevo. Irrazionalisti,
ora, sono soltanto i poeti e i filosofi, disorientati dalla
complessa situazione sociale.
Nella letteratura tedesca del Settecento, Herder è
forse la figura piú caratteristica. Egli unisce in sé le piú
importanti tendenze dell’epoca ed esprime chiarissimo
quel conflitto ideologico, quella mescolanza di correnti
progressiste e reazionarie che domina la società del
tempo. Egli disprezza l’illuminismo, «fredda cultura
della ragione», ma parla del suo tempo come di un
«secolo veramente grande», e crede di poter conciliare
quel suo disprezzo con l’entusiasmo per la Rivoluzione
francese, a cui per lo piú gli intellettuali e gli scrittori
tedeschi – fra gli altri Kant, Wieland, Schiller, Friedri-
ch Schlegel, Fichte – dapprima aderiscono appassiona-
tamente, per staccarsene soltanto al tempo della Con-
venzione. L’evoluzione di Herder è la stessa della cul-
tura tedesca, dalla ribellione dello Sturm und Drang,
infatuata del «genio» fino all’atteggiamento piú consa-
pevole, sebbene borghesemente piú rassegnato, del
periodo classico. Il suo esempio mostra ottimamente
che cosa significasse Weimar per la letteratura tedesca.
In lui l’influsso di Goethe soppianta quello di Hamann
e di Jacobi, avvicinandolo al razionalismo. Egli scrive
un’entusiastica commemorazione di Lessing, l’impavido
campione della verità, e non soltanto supera l’ortodos-
sia d’un tempo, ma colora di estetismo tutto il suo
mondo religioso, e applica ai documenti della religione
la sua teoria della lirica popolare, fino a considerare la
Bibbia null’altro che un prototipo di tale poesia. Vera-

Storia dell’arte Einaudi 138


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

mente egli non può rinnegare del tutto il suo passato;


l’impegno religioso dalla sua gioventú si muta in gret-
tezza moraleggiante, la sua filosofia della storia ha
profonde radici nel pensiero conservatore, e presenta
innegabilmente molti punti di contatto con le idee di
Burke. Anch’egli, come Burke, anziché dominare, muta-
re, soverchiare le forme della vita storica, vuol com-
prenderle, interpretarle, abbandonarvisi22. La sua con-
cezione morfologica della storia, che considera l’evolu-
zione come un ciclo vegetativo, dal germe al fiore e
dalla fioritura alla morte, nonostante l’amorosa pietà
dell’indagine, rivela una visione pessimistica in cui è già
contenuta l’idea fondamentale del declino, che Spengler
svilupperà nella sua teoria23.
Il classicismo di Herder, di Goethe e di Schiller è
stato considerato un Rinascimento tedesco in ritardo, un
parallelo del classicismo francese. Tuttavia è un movi-
mento che si distingue da ogni altro analogo fuori di
Germania, anzitutto perché rappresenta una sintesi di
tendenze classiche e romantiche e, specialmente se visto
dalla Francia, appare decisamente romantico24. I classi-
ci tedeschi, quasi tutti in gioventú seguaci dello Sturm
und Drang, e comunque inconcepibili senza l’evangelo
roussoviano della natura, tuttavia rinunziano alla roman-
tica ostilità di Rousseau per la vita civile e ne rifiutano
il nichilismo. Dai tempi degli umanisti nessuna genera-
zione di poeti era vissuta in una simile orgia di civiltà e
di cultura, che per loro non è opera dell’individuo, per
quanto dotato, ma proprio della società civile25. L’idea-
le di cultura di Goethe solo nella cultura di società può
trovare la sua attuazione e il grado di adeguamento
all’ordine borghese diventa per lui proprio un criterio
per valutare l’opera individuale. Questo è appunto il
concetto che della cultura si fanno letterati ormai giun-
ti al successo e al prestigio, soddisfatti dei loro allori e
liberi da ogni risentimento verso la società. Ma questo

Storia dell’arte Einaudi 139


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

non significa affatto che i classici tedeschi fossero popo-


lari; i loro scritti non hanno avuto fra il popolo neppu-
re la diffusione delle opere classiche della letteratura
francese o inglese. E Goethe era il poeta meno popola-
re di tutti. Da vivo, la sua fama non uscí da un ambien-
te innegabilmente ristretto, e anche piú tardi non furo-
no che gli intellettuali a leggerne gli scritti. Egli deplo-
ra piú volte la propria solitudine, essendo, come dice
Schiller, «il piú socievole degli uomini», avido di sim-
patia e di comprensione, bramoso di esercitare un suo
influsso. Il gran numero di lettere e di colloqui traman-
dati per iscritto ci dimostra che cosa significassero per
lui la comunione intellettuale, lo scambio delle idee e lo
svilupparle in comune. Eppure Goethe era pienamente
consapevole dell’inefficacia del suo lavoro; e spiegava il
particolare carattere non solo di tutta la letteratura tede-
sca, ma anche quello della propria poesia con la man-
canza di una vita intellettuale collettiva. Il suo momen-
to di popolarità lo ebbe da giovane, pubblicando il Gœtz
e il Werther. Quando si trasferí a Weimar e iniziò la sua
attività ufficiale, in certo modo egli scomparve dalla
vita letteraria26. A Weimar il suo pubblico erano mezza
dozzina di persone – il duca, le due duchesse, la signo-
ra von Stein, Knebel e Wieland – a cui egli leggeva le
sue opere nuove, non certo numerose né di gran mole:
singoli capitoli e frammenti di opere. E non s’immagi-
ni che fosse un pubblico particolarmente intelligente27.
Il caso dell’ammaestratore di cani che, malgrado l’ener-
gica protesta di Goethe, poté esibirsi nel teatro di corte,
illustra chiaramente la situazione. Figuriamoci come
andavano le cose nelle altre corti! La letteratura tede-
sca non godeva particolare considerazione a Weimar;
anche qui, come in tutti i circoli di corte e della nobiltà,
si leggevano per lo piú le novità di Francia28. Fra il gran
pubblico (per quanto questo poteva sapere di letteratu-
ra seria) durante il viaggio di Goethe in Italia, fu Schil-

Storia dell’arte Einaudi 140


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

ler ad accentrare l’interesse; il Don Carlos, per esempio,


fu accolto con ben piú calore del Tasso. Il massimo suc-
cesso letterario, tuttavia, non l’ebbero né Goethe né
Schiller, ma Gessner e Kotzebue. Solo dopo l’avvento
dei romantici e il loro entusiasmo soprattutto per il
Wilhelm Meister, Goethe non ha piú rivali nella lettera-
tura tedesca29. Il favore dei romantici per Goethe è il
segno piú evidente della comunione profonda e indi-
struttibile, nonostante ogni contrasto ideologico e per-
sonale, che esiste non solo fra classicismo e romantici-
smo, ma in tutta la cultura tedesca, a partire dallo Sturm
und Drang. L’arte è la grande esperienza comune, e
non solo come oggetto del piú alto godimento spiritua-
le e unica via ancora aperta al perfezionamento della per-
sona, ma anche come l’organo per cui l’umanità può
recuperare l’innocenza perduta e assicurarsi il possesso
della natura e della civiltà nello stessa tempo. Per Schil-
ler l’educazione estetica è l’unica salvezza dal male ine-
sorabile scoperto da Rousseau; e Goethe va ancora piú
lontano, affermando che l’arte è il tentativo dell’indivi-
duo «di resistere alla forza distruttiva del Tutto». L’e-
sperienza artistica assume cioè l’ufficio finora esercita-
to esclusivamente dalla religione: protegge l’uomo con-
tro il caos.
Una frase come questa basta a rivelare la visione
goethiana del tutto areligiosa, sebbene forse non proprio
irreligiosa. Infatti, pur col suo idealismo «faustiano», il
suo estetismo aristocratico e il suo fanatismo per l’ordi-
ne, di stampo conservatore, egli era in Germania uno fra
i piú intransigenti illuministi; e sebbene non lo si possa
certo chiamare un freddo razionalista, si deve scorgere
in lui il nemico giurato di ogni oscurantismo e l’appas-
sionato combattente contro tutto quel che è nebuloso e
mistico, contro ogni forma di regresso o di ritardo. Ben-
ché legato allo Sturm und Drang, egli sentiva una
profonda avversione per ogni sorta di romanticismo,

Storia dell’arte Einaudi 141


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

per ogni negazione radicale della ragione, e una simpa-


tia altrettanto profonda per le virtú borghesi: il solido
realismo, la disciplina, l’ethos del lavoro, la tolleranza.
Certo, lo slancio rivoluzionario del tempo del Werther,
l’infiammata protesta contro l’ordine dominante e la
morale convenzionale, si placano con gli anni; ma
Goethe rimane l’avversario di ogni oppressione e di
ogni ingiustizia diretta contro lo spirito della cultura
borghese. Solo tardi egli ne riconobbe il reale valore, e
solo nel Wilhelm Meister l’apprezzò. Non è il caso di
negare né di tacere le inclinazioni aristocratiche del pen-
siero goethiano, né le sue ambizioni mondane, il suo ego-
centrismo olimpico e l’indifferenza politica, e nemme-
no l’infelice frase «meglio l’ingiustizia del disordine»;
eppure, Goethe rimase un uomo della libertà e del pro-
gresso, e non solo per il realismo dell’arte sua, per la sua
«ristrettezza innamorata del reale». Ci sono modi diver-
si di combattere contro la reazione e per il progresso.
Chi odia il papa e i preti, chi i principi e i loro vassalli,
chi gli sfruttatori e gli oppressori del popolo; ma c’è
anche chi, nella reazione, sente soprattutto la confusio-
ne mentale e l’impedimento alla verità, ed è special-
mente sensibile all’ingiustizia sociale in quanto «pecca-
to contro lo spirito», e lottando per la libertà di coscien-
za, di pensiero, di parola, combatte per la libertà una e
indivisibile in ogni aspetto della vita. Goethe non aveva
molta simpatia per i tirannicidi, ma era sensibilissimo a
ogni minaccia contro la libertà di pensiero e non si pre-
stò mai ad aiutare chi voleva limitarla. Nel 1794, quan-
do la parte conservatrice chiese agli intellettuali tede-
schi, e specialmente a Goethe, di porsi al servizio della
nuova federazione dei principi per salvare il paese dalla
minaccia dell’«anarchia», Goethe rispose di ritenere
impossibile una simile unione fra principi e scrittori30.
Tutto quel che concorse all’educazione del giovane
Goethe – l’origine, le impressioni infantili, Francofor-

Storia dell’arte Einaudi 142


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

te città imperiale, Lipsia mercantile e universitaria, la


gotica Strasburgo, l’ambiente renano, Darmstadt, Düs-
seldorf, la casa della Klettenberg e della Schönemann
– tutto questo era borghese, magari in parte d’alta bor-
ghesia e addirittura spesso già vicino alle sfere aristo-
cratiche, ma non mai senza un intimo rapporto con lo
spirito del ceto medio31. Tuttavia questo intimo senti-
re borghese non si tradusse in un atteggiamento mili-
tante, né mai si rivolse contro la nobiltà come tale, nep-
pure nella giovinezza, neppure nel Werther32. Gli sem-
brava piú importante proteggere il costume borghese
dall’oscurantismo e dall’irrealismo, che dall’influsso dei
ceti superiori. L’aspetto piú interessante e originale
nella concezione goethiana della vita borghese è che
esso si riflette nello spirito dell’artista moderno, che
accoglie pienamente l’ethos borghese del lavoro nei
riguardi della produzione artistica. Goethe non si stan-
ca di sottolineare la natura artigiana della creazione
poetica e prima d’ogni altra cosa richiede all’artista una
provata abilità tecnica. A partire dal Rinascimento furo-
no per lo piú borghesi a coltivare l’arte e la poesia. La
loro qualità di gente del mestiere appariva cosí natura-
le che non avrebbe avuto senso insistervi. Era, se mai,
il caso di incitare artisti e poeti a innalzarsi oltre quel
livello. Soltanto nel Settecento, quando la borghesia
acquistò una piú forte coscienza di classe, e, d’altra
parte, lo sfrenato soggettivismo del genio ribelle a ogni
regola e norma venne prendendo l’aspetto di forma
aberrante dell’emancipazione borghese, di una specie di
sleale concorrenza, allora apparve necessario ricordare
l’origine borghese e artigiana della professione. Non era
certo piú il caso di accentuare l’alto rango del poeta,
anzi era urgente proteggere i letterati dal soverchiare
del dilettantismo e della ciarlataneria. Al tempo della
emancipazione degli scrittori, le pose geniali erano
mezzi pubblicitari nella lotta per la vita; proteste con-

Storia dell’arte Einaudi 143


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tro tali metodi si levarono soltanto quando non se ne


ebbe piú bisogno. Poter essere «geniale» era un sinto-
mo della raggiunta indipendenza; non volere né dove-
re piú esserlo è il segno di una condizione in cui la
libertà dell’artista è ormai naturale. La dignità di rispet-
tabile borghese e di artista onorato è già cosí forte in
Goethe, che nell’arte e nella vita egli cerca di evitare
ogni stravaganza e prova una singolarissima avversione
contro tutto quel che manca di solidità e di schiettez-
za, contro l’inclinazione al caotico e al patologico, carat-
teri in certa misura propri di tutti i gruppi artistici33.
Con ciò egli precorre una tendenza dell’Ottocento e
dell’artista moderno che, giunto al successo, reagisce
con un’esagerata cautela agli eccessi della bohème e, per
timore di apparire infido, adotta le forme del costume
borghese, spesso anzi piccolo-borghese.
L’ideale artistico del classicismo tedesco, che, in
accordo con le tendenze dei ceti piú fortunati, avversa
ogni forma di capriccio e di anarchia, mostra una chia-
ra tendenza al tipico e all’universale, al regolare e al
normativo, al durevole e all’eterno. In contrasto con lo
Sturm und Drang, la forma è sentita in esso come
espressione dell’essenza, del contenuto ideale dell’ope-
ra, cessa di essere identificata con l’esteriore armonia
dei rapporti, con l’eufonia e con la bellezza della linea.
Per forma ormai s’intende «forma interiore», l’equiva-
lente microcosmico della vita universale. Goethe alla
fine supera anche questa formulazione della visione
estetica e si avvia a una filosofia della vita affatto rea-
listica, secondo lo spirito della società borghese. Il con-
tenuto del Wilhelm Meister non è che questa evoluzio-
ne dall’arte alla società, dalla concezione estetico-indi-
vidualistica all’esperienza della comunità spirituale, da
un rapporto col mondo di tipo estetico-contemplativo
a una vita-attiva, socialmente utile34. Negli ultimi anni,
Goethe si allontana dalla posizione puramente perso-

Storia dell’arte Einaudi 144


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nale di fronte alla letteratura, avvicinandosi a una con-


cezione sovraindividuale, sovranazionale, diretta a com-
piti universali di civiltà. Viene da lui, com’è noto, il
nome e in parte il concetto di «letteratura universale»;
ma la cosa esisteva ancor prima che se ne avesse coscien-
za. La letteratura illuministica, le opere di Voltaire e di
Diderot, di Locke e di Helvetius, di Rousseau e di
Richardson erano già letteratura universale nel vero
senso della parola. Fin dalla prima metà del Settecento
si era avviato un «colloquio europeo» a cui partecipa-
vano tutte le nazioni civili, sebbene per lo piú passiva-
mente. La letteratura del tempo era un fatto comune a
tutta l’Europa, espressione di una comunità spirituale,
quale in Occidente non era piú esistita dopo il Medioe-
vo. Ma era cosa diversa dalla letteratura medievale
come era diversa dai movimenti internazionali della
letteratura moderna. La letteratura del Medioevo dove-
va la sua universalità al latino, quella del Barocco e del
Rococò al francese; la prima era limitata ai dotti
ambienti ecclesiastici, la seconda al gran mondo e alla
corte. Entrambe erano indifferenziate, prodotti di un
atteggiamento intellettuale piú o meno unitario, non già
un concerto di voci diverse, come voleva Goethe, e
come l’illuminismo seppe far sorgere fra le letterature
delle grandi nazioni europee. La teoria e la prassi della
letteratura universale furono creazione di una civiltà
condizionata dagli scopi e dai metodi del commercio
mondiale. Le parole stesse di Goethe, che paragona al
commercio lo scambio di beni intellettuali fra le nazio-
ni, toccano questo nesso e accennano all’origine del
concetto. Quando poi Goethe parla del carattere «velo-
ciferico» della produzione spirituale e materiale e del
ritmo accelerato con cui si scambiano i beni spirituali
e materiali, si vede quanto diretto sia il rapporto di que-
ste idee con l’esperienza della rivoluzione industriale35.
Meraviglia soltanto che i Tedeschi, che fra le grandi

Storia dell’arte Einaudi 145


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nazioni meno di ogni altra avevano contribuito a que-


sta letteratura universale, fossero i primi ad afferrarne
e svilupparne il significato.

1
karl biedermann, Deutschland im 18. Jahrhundert, 1880, 2a ed.,
I, pp. 276 sgg.
2
w. sombart, Der Bourgeois, 1913, pp. 183-84.
3
jacques bainville, Histoire de deux peuples, 1933, p. 35.
4
Cfr. geoffrey barraclough, Factors in German History, 1946,
p. 68.
5
Il conte Manteuffel in una lettera al filosofo Wolf; citato da k.
biedermann, Deutschland im 18. Jahrhundert cit., II, i, p. 140.
6
Ibid., p. 23.
7
Ibid., p. 134.
8
w. h. bruford, Germany in the 18th Century, 1935, pagine 310-11.
9
wilhelm dilthey, Leben Schleiermachers, I, 1870, pp. 183 sgg.
id., Das Erlebnis und die Dichtung, 1910, p. 29.
10
id., Das Erlebnis und die Dichtung cit., p. 30.
11
johann goldfriedrich, Geschichte des deutschen Buchbandels,
1908-909, pp. 118 sgg.
12
Cfr. g. lukács, Fortschritte und Reaktion in der deutschen Litera-
tur, in «Internationale Literatur», xv, 1945, 8-9, p. 89.
13
franz mehring, Die Lessing-Legende, 1893, p. 371.
14
Cfr. karl mannheim, Das konservative Denken, I, in «Archiv für
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», vol. LVII, 1927, p. 91.
15
a. de tocqueville, L’Ancien Regime et la Revolution cit., pp.
247-48. Cfr. k. mannheim, Das Konservative Denken cit.
* «Troppe idee nuove, troppo poche idee comuni».
16
christian friedrich weiser, Shaftesbury und das deutsche Gei-
stesleben, 1916, pp. ix, xii.
17
Cfr. rudolf unger, Hamann und die Aufklärung, 1925, 2a ed., I,
pp. 327-28.
18
Cfr. b. schweitzer, Der bildende Künstler und der Begriff des
Künstlerischen in der Antike, 1925, p. 130; alfred stange, Die Bedeu-
tung des subjektivistischen Individualismus für die europäische Kunst von
1750-1850, in «Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft
und Geistesgeschichte», ix, i, p. 94.
19
l. balet - e. gerhard, Die Verbürgerlichung ecc. cit., p. 228.
20
Hamann’s Leben und Schriften, a cura di c. h. gilden-meister,
1857-73, V, p. 228.
21
k. mannheim, Das Konservative Denken cit., p. 470.

Storia dell’arte Einaudi 146


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

22
friedrich meusel, Edmund Burke und die französische Revolution,
1913, pp. 127-28.
23
hans weil, Die Entstehung des deutschen Bildungsprinzips, 1930,
p. 75.
24
julius petersen, Die Wesensbestimmung der deutschen Romantik,
1926, p. 59.
25
h. a. korff, Die erste Generation der Goethezeit, in «Zeitschrift
für Deutschkunde», vol. XLII, 1928, p. 641.
26
viktor hehn, Gedanken über Goethe, 1887, p. 65.
27
Ibid., p. 74.
28
Ibid., p. 89.
29
heine, Die romantische Schule, I, 1833.
30
thomas mann, Goethe als Repräsentant des Bürgertums, 1932, p.
46 (trad. it., Goethe quale esponente dell’età borgbese, in Saggi, Mila-
no 1946).
31
Cfr. alfred nollau, Das literarische Publikum des jungen Goethe,
1935, p. 4.
32
georg keferstein, Bürgertum und Bürgerlichkeit bei Goethe, 1933,
pp. 90-91.
33
Ibid., pp. 174-75.
34
Cfr. h. a. korff, Geist der Goethezeit, II, 1930, p. 353;
ludwig w. kahn, Social Ideals in German Literature (1770-1830),
1938, pp. 32-34.
35
Cfr. fritz strich, Goethe und die Weltliteratur, 1946, p. 44.

Storia dell’arte Einaudi 147


Capitolo quinto

La Rivoluzione e l’arte

Il Settecento è pieno di contraddizioni. Non solo la


sua filosofia oscilla fra razionalismo e irrazionalismo, ma
anche il suo intento artistico è dominato da due correnti
opposte, e si volge ora a un severo classicismo, ora a uno
sfrenato pittoricismo. Come il razionalismo del tempo,
anche il classicismo è un fenomeno difficilmente defi-
nibile e variamente interpretabile dal punto di vista
sociologico; i suoi esponenti li trova ora nei ceti auli-
co-aristocratici, ora in quelli borghesi, per svilupparsi
infine in stile tipico della borghesia rivoluzionaria. Che
la pittura di David diventi l’arte ufficiale della Rivolu-
zione può apparire strano o addirittura incomprensibi-
le solo se si ha un’idea ristretta del classicismo e lo si
riduce al gusto dell’alta società conservatrice. L’arte
classicheggiante è, sì, incline all’atteggiamento conser-
vatore e si adatta benissimo a rappresentare ideologie
autoritarie, ma il senso aristocratico della vita di per sé
trova nella sensualità e nell’esuberanza barocca un’e-
spressione piú diretta che nel ritegno e nella freddezza
del classicismo. Invece la borghesia razionalista, mode-
rata, disciplinata preferisce le forme semplici, schiette e
chiare dell’arte classicheggiante, e di fronte all’inflazio-
ne indiscriminata e informe della realtà si sente cosí
poco attratta come di fronte alla sfrenata arte fantasti-
ca dell’aristocrazia. Il suo naturalismo si muove entro
confini relativamente angusti e, di regola, si attiene al

Storia dell’arte Einaudi 148


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

razionalismo, cioè a una rappresentazione che non pre-


senti intime contraddizioni. Naturalezza e disciplina
formale qui son quasi la stessa cosa. Soltanto col classi-
cismo aristocratico il principio d’ordine dell’arte bor-
ghese si trasforma in rigida obbedienza alla norma, l’a-
spirazione alla semplicità e alla sobrietà in disciplina e
costrizione, la sana logica in freddo intellettualismo.
Nella classicità dei Greci o di Giotto la fedeltà al vero
non è mai inconciliabile con la sintesi formale; soltanto
nell’arte dell’aristocrazia aulica la forma domina a spese
della naturalezza, soltanto qui essa viene concepita come
limitazione e barriera. Ma in sé e per sé il classicismo
non rappresenta né una tendenza espansiva, naturali-
stica, né uno stile tipicamente borghese1, benché spesso
cominci come movimento borghese e sviluppi i suoi
canoni formali nel senso della naturalezza. In ogni caso,
esso va oltre i limiti del gusto borghese e le premesse del
naturalismo. L’arte di Racine e di Claudio Lorenese è
classicheggiante, senz’essere borghese o naturalistica.
La moderna storia dell’arte trae il suo carattere dal
coerente e quasi ininterrotto progresso del naturalismo;
le correnti di rigorismo formale vi affiorano piuttosto di
rado e sempre per breve tempo, sebbene ne accompa-
gnino sotterranee tutta l’evoluzione. La perfetta unio-
ne di naturalismo e classicità formale raggiunta da Giot-
to si dissolve già nel Trecento e l’arte dei due secoli suc-
cessivi, sostanzialmente borghese, sviluppa il naturali-
smo a spese della forma. Il primo Cinquecento si preoc-
cupa nuovamente dei principî formali, ma non vede piú,
come Giotto, nella composizione un mezzo per chiarire
e semplificare, bensì, seguendo la sua tendenza aristo-
cratica, un modo per esaltare e idealizzare la realtà. Non
si tratta certo di un’arte anti-naturalistica; è soltanto
un’arte piú scarsa di particolari naturalistici e meno
preoccupata di differenziare il materiale dell’esperienza,
ma non per questo meno vera e giusta. Invece nel

Storia dell’arte Einaudi 149


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Manierismo, la cui visione risponde all’ulteriore pro-


gresso della restaurazione aristocratica, il classicismo si
accompagna a una serie di convenzioni antinaturalisti-
che determinando un influsso cosí profondo sul gusto
dell’alta società, che il suo modo di concepire la bellez-
za rimarrà piú o meno canonico per tutta l’arte aulica.
Nella seconda metà del Cinquecento, il Manierismo è lo
stile predominante in Francia, come in Italia e in Spa-
gna. In Francia tuttavia il suo sviluppo subisce una bru-
sca interruzione, a causa delle guerre civili e religiose del
tempo di Enrico IV, e questa interruzione, prolungata
nel periodo successivo dalla politica del governo ostile
alla nobiltà, permette alla borghesia di esercitare, sia pur
per breve tempo, un influsso che sarà decisivo per l’ul-
teriore sviluppo dell’arte. La tradizione rinascimentale
della cultura aulica si spezza, e con l’involuzione della
vita di corte vi si diradano anzitutto gli spettacoli tea-
trali, che alla fine cessano completamente. Invece, anche
in quest’epoca di crisi, il teatro popolare continua la sua
modesta esistenza. Accanto ai misteri e alle moralités, i
teatri popolari rappresentano anche drammi d’argo-
mento classico, che d’altronde debbono adattarsi al
dinamismo del teatro medievale e accoglierne le licenze
formali. La borghesia, che al tempo di Luigi XIII e di
Richelieu, e ancora nei primi anni del regno di Luigi
XIV, gode il favore della Corona e impiega i letterati del
tempo, riesce a riformare anche questa forma di teatro
medievale senza regola né misura. Essa sviluppa un pro-
prio stile letterario, fondamentalmente diverso dal
Manierismo dell’aristocrazia; e nel dramma – genere a
cui la uniscono i vincoli piú antichi e profondi – fonda
il suo nuovo classicismo, che s’impronta di naturalezza
e razionalità. La tragédie classique non è dunque il frut-
to dell’umanesimo aulico e dotto, o dell’aristocratica
Pléiade, come è stato detto cosí spesso, ma sorge dal vivo
e comune teatro borghese. Le sue restrizioni formali,

Storia dell’arte Einaudi 150


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

specie la regola delle tre unità, non derivano dallo stu-


dio della tragedia antica, o almeno non direttamente, ma
si sviluppano come accorgimenti intesi ad esaltare l’ef-
fetto scenico e a rendere piú verosimile l’azione. Si
trova sempre piú strano che i luoghi in cui si svolgono
le scene – case, città e paesi diversi – siano divisi sol-
tanto da un assito, e che la breve pausa fra due atti rap-
presenti giorni, mesi e anni. Sulla base di simili rifles-
sioni razionalistiche si comincia a considerare tanto piú
verosimile un’azione drammatica, quanto piú breve è il
tempo e unitario lo spazio in cui essa si svolge. Si ridu-
ce quindi la durata degli avvenimenti e l’estensione dei
luoghi mirando a un’illusione sempre maggiore; e a poco
a poco ci si avvicina al massimo dell’illusionismo, quan-
do il tempo reale della recita equivale al tempo ideale
dell’azione. Quindi le unità sorgono proprio da un’esi-
genza naturalistica, e anche i drammaturghi del tempo
le presentano sempre come criteri di verosimiglianza.
Ma è certo strano che questi accorgimenti, che porta-
rono alla massima stilizzazione e alla piú violenta alte-
razione della realtà, in origine significassero il trionfo
della visione naturalistica e del pensiero razionalistico
sulla sfrenata e confusa curiosità di un pubblico di sen-
sibilità ancor medievale.
Come nel dramma, cosí nelle altre arti il classicismo
equivale al trionfo del naturalismo e del razionalismo, sia
sulla stravaganza e l’indisciplina, sia sull’affettazione e
il convenzionalismo della produzione artistica di allora.
Alla lirica di Du Bartas, d’Aubigné e Théophile de Viau
la borghesia contrappone il dramma di Hardy, Mairet e
Corneille, mentre al Manierismo di Jean Cousin e Jac-
ques Bellange succedono il naturalismo di Louis Le Nain
e il classicismo di Poussin. Il classicismo naturalistico
nelle arti figurative s’impone assai meno che nel dram-
ma, anzitutto perché i legami storici della borghesia
francese sono molto meno stretti con la pittura che con

Storia dell’arte Einaudi 151


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

il teatro, poi perché essa non dispone ancora dei mezzi


richiesti per esercitare un tale influsso. Il Manierismo a
poco a poco passa di moda anche per la pittura e la scul-
tura, ma qui vi subentra uno stile piú barocco che clas-
sicheggiante. Frattanto nel dramma il classicismo bor-
ghese vede il trionfo delle tre unità. Il Cid, che Cor-
neille, l’avvocato di Rouen, presenta nel 1636, si può
considerare la sua vittoria definitiva. Anch’esso da prin-
cipio urta contro l’opposizione degli ambienti di corte;
ma il razionalismo e il realismo dominanti nell’economia
e nella politica del tempo non si arrestano nella loro mar-
cia trionfale. L’aristocrazia, che ancora è dominata dal
gusto spagnolo, è costretta dalle cose a vincere la pro-
pria inclinazione all’avventuroso, allo stravagante e al
fantastico e piegarsi al gusto borghese, schietto e sobrio.
Veramente ciò non avviene senza che essa modifichi tale
gusto secondo i propri ideali e i propri fini.
Essa mantiene l’equilibrio, la regolarità e la natura-
lezza del classicismo borghese, poiché la nuova etichet-
ta di corte già di per sé rifiuta tutto ciò che è stridente,
chiassoso, bizzarro, ma interpreta l’economia artistica di
questo stile in un modo suo particolare, intendendo per
sintesi e precisione non già rigorosi principî di ordine,
ma difficoltose regole del gusto, che vengono contrap-
poste alla «rozza», indomita e imprevedibile natura
come norme di una realtà autonoma e superiore. Cosí il
classicismo, che in origine doveva soltanto mantenere e
sottolineare l’unità organica e la severa «logica» della
natura, viene ad essere un freno all’istinto, un argine
all’impeto del sentimento e viene a gettare un velo su
quanto è comune e troppo naturale.
Nelle tragedie di Corneille, che sono fra le piú matu-
re espressioni del nuovo razionalismo artistico, ma che
evidentemente non trascurano le esigenze del teatro
aulico, questa nuova interpretazione è in parte già com-
piuta. In seguito le sobrie, rigorose tendenze del classi-

Storia dell’arte Einaudi 152


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

cismo andranno scomparendo dall’arte di corte, sia per-


ché acanto al rigorismo – e spesso contro di esso – torna
ad affermarsi il desiderio di un maggiore sfarzo; sia per-
ché in generale l’indirizzo estetico del secolo muta, e cosí
prendono il sopravvento tendenze barocche meno con-
tenute, anzi piú appassionate e sensuali. Nell’arte e nella
letteratura francese appare quindi una strana contiguità
e commistione di tendenze classicheggianti e barocche,
e ne risulta uno stile in sé contraddittorio: il classicismo
barocco. Il Barocco maturo di Racine e di Le Brun è
frutto del contrasto – nell’uno completamente risolto,
nell’altro tutt’altro che risolto – fra il nuovo stile auli-
co e il rigorismo artistico che deriva i suoi principî for-
mali dal classicismo borghese. È dunque insieme classi-
co e anticlassico, e si vale della materia e della forma,
dell’esuberanza e della contenutezza, della dilatazione e
della concentrazione. Verso il 1680 a questo stile auli-
co e accademico viene a contrapporsi una nuova corrente
di opposte tendenze: opposte, sia alle pose grandiose e
agli ambiziosi soggetti, sia alla presunta fedeltà ai model-
li antichi. Si afferma cosí una concezione piú libera,
individualistica e intima, che dirige il suo spirito di
libertà soprattutto contro il classicismo, non contro il
barocchismo dell’arte aulica. Il successo degli innovato-
ri nella querelle des anciens et des modernes non è che un
sintomo di tale evoluzione. La Reggenza determina il
trionfo della corrente anticlassica e rinnova il gusto
dominante. L’origine sociale della nuova arte non è del
tutto chiara. Il rivolgimento è in parte dovuto alla
nobiltà, liberale di pensiero e antimonarchica di senti-
mento, in parte all’alta borghesia. Ma via via che l’arte
della Reggenza si evolve nel Rococò, assume sempre piú
i caratteri di uno stile aulico-aristocratico, benché fin
dall’inizio porti in sé gli elementi disgregatori della cul-
tura aulica. Anzitutto essa perde il carattere sintetico,
preciso, saldo del classicismo, si mostra sempre piú

Storia dell’arte Einaudi 153


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

avversa a ogni aspetto regolare, geometrico, strutturale


e sempre piú incline all’improvvisazione, al colpo d’oc-
chio, all’epigramma. «Si quelqu’un est assez barbare –
assez classique!»* dice persino Beaumarchais, ben lon-
tano da tendenze auliche. Dal Medioevo in poi, mai l’ar-
te si era allontanata in forma cosí scoperta dagli ideali
classici, mai era stata piú complicata e artificiosa. E
allora, verso il 1750, in pieno Rococò, s’inizia un’altra
reazione. Gli elementi progressisti propugnano, di con-
tro alla moda del tempo, un ideale artistico nuovamen-
te ispirato a un carattere di razionale classicismo. E
invero nessuna forma di classicismo fu mai piú severa,
piú sobria, piú metodica di questa; mai la riduzione
delle forme, la linearità e l’importanza della struttura
furono perseguite con maggior coerenza; mai il tipo e la
norma furono maggiormente accentuati. Nessun classi-
cismo fu cosí chiaro, perché nessuno ebbe mai un carat-
tere cosí rigidamente programmatico, né una cosí reci-
sa volontà di confutare l’arte del tempo, in questo caso
il Rococò. Neppure qui è del tutto evidente da quali ceti
sociali tragga origine il nuovo movimento. I suoi primi
esponenti, Caylus e Cochin, Gabriele Soufflot, cresco-
no sul terreno della cultura aulico-aristocratica, ma pre-
sto si vedrà che dietro di loro sta la forza propulsiva
degli elementi sociali piú avanzati. Una definizione
sociologica del neoclassicismo è tanto piú difficile in
quanto la tradizione del vecchio classicismo barocco non
fu mai del tutto interrotta e nell’eleganza di Vanloo o
di Reynolds essa è viva quanto nella correttezza di Vol-
taire o di Pope. Certi schemi classici restano in uso, nella
pittura e nella poesia, per tutto il periodo dello stile auli-
co, che si estende dal secolo xvii al xviii, e, quanto al
linguaggio poetico, il seguente passo di Pope2 rappre-
senta il classicismo del tempo, cosí perfettamente come
qualunque testo del secolo di Luigi XIV:

Storia dell’arte Einaudi 154


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

See, through this air, this ocean, and this earth,


All matter quick, and bursting into birth.
Above, how high, progressive life may go!
Around, how wide! how deep extend below!
Vast chain of being! which from God began,
Natures ethereal, human, angel, man,
Beast, bird, fish, insect, what no eye can see,
No glass can reach; from infinite to thee,
From thee to nothing**.

Il riserbo razionalistico e la forma levigata, cristalli-


na di questi versi si distinguono invece alla prima dal
tono vibrante di Andrea Chénier in queste righe, altret-
tanto ineccepibilmente classiche, ma già pervase da una
passione nuova:

Allons, étouffe tes clameurs;


Souffre, o cœur gros de haine, affamé de justice.
Toi, Vertu, pleure, si je meurs***.

Quelli sono ancora echi dell’intellettualismo aulicoa-


ristocratico, queste esprimono già il nuovo pathos bor-
ghese, e proprio per bocca di un poeta su cui pesa l’om-
bra della ghigliottina e che cadrà vittima di quella bor-
ghesia rivoluzionaria, il cui gusto classicheggiante trova
in lui il primo grande se pur involontario interprete.
Il neoclassicismo non sorge affatto improvviso, come
spesso è stato detto3. Dalla fine del Medioevo la storia
dell’arte si evolve fra una concezione rigidamente strut-
turale e un’altra formalmente piú libera; l’una affine,
l’altra opposta alla classicità. Nell’arte moderna non c’è
mutamento che apra un’era completamente nuova;
ognuno fa capo all’una o all’altra di queste due tenden-
ze che si avvicendano nel predominio, senza mai giun-
gere a una vittoria definitiva. Quegli studiosi che pre-
sentano il neoclassicismo come una novità assoluta, di

Storia dell’arte Einaudi 155


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

solito fanno notare che esso sorge in un modo tutto par-


ticolare e cioè la sua apparizione non significa uno svi-
luppo dal semplice al complicato, cioè dal lineare al pit-
torico, o dal pittorico al piú intensamente pittorico, ma
invece una frattura nel processo di differenziazione, e
cioè, in certo modo, rappresenta un «salto indietro».
Wölfflin pensa che in questo fenomeno di regressione
«la spinta provenga da condizioni esterne piú chiara-
mente» che non nell’ininterrotto processo di complica-
zione delle fasi precedenti. In realtà non esiste alcuna
differenza essenziale tra i due tipi di sviluppo, solo che
l’influsso delle «condizioni esterne» in un’evoluzione
discontinua è piú evidente che in una rettilinea. Di fatto
queste condizioni hanno sempre un’importanza decisi-
va. In ogni punto, in ogni momento dell’evoluzione, è
sempre aperto il problema dell’indirizzo che la creazio-
ne artistica deve prendere. Anche lo sviluppo nella stes-
sa direzione è una forma di processo dialettico e il risul-
tato di «condizioni esteriori» non meno che i muta-
menti di direzione. La tendenza a ritardare o interrom-
pere lo sviluppo del naturalismo presuppone fattori non
diversi nella sostanza da quelli che determinano il desi-
derio di continuarlo e affrettarlo. L’arte dell’epoca rivo-
luzionaria si distingue dai precedenti classicismi anzi-
tutto per il suo rigorismo formale che giunge a un grado
di esclusiva intransigenza prima sconosciuto, e poi per-
ché conclude definitivamente quell’evoluzione tre volte
secolare che va dal naturalismo del Pisanello all’impres-
sionismo di Guardi4. Eppure non sarebbe giusto negare
ogni tensione, ogni dissidio stilistico nell’arte di David:
la dialettica delle diverse correnti vi pulsa febbrilmente
come nei versi di Chénier e in tutte le opere importan-
ti del periodo rivoluzionario.
Il neoclassicismo, che cronologicamente si situa tra la
metà del Settecento e la Rivoluzione di luglio, non è un
movimento omogeneo, ma si sviluppa in piú fasi esatta-

Storia dell’arte Einaudi 156


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

mente distinguibili, sebbene senza soluzione di conti-


nuità. La prima, che dura press’a poco dal 1750 al 1780,
e si suol chiamare del «Rococò classicheggiante» per il
suo ibrido carattere, rappresenta la tendenza storica-
mente piú importante fra quelle che si designano sotto
il termine complessivo del Louis-Seize, ma non è in realtà
che una sottocorrente nella vita artistica del tempo. L’e-
terogeneità delle tendenze in gara si rivela crudamente
nell’architettura che unisce interni rococò a facciate
classicheggianti, senza che tale promiscuità urti i con-
temporanei. In nessun altro fenomeno come in questo
eclettismo si rivela altrettanto chiara l’indecisione del
tempo, incapace di scegliere fra le alternative proposte.
Tra razionalismo e sensualismo, formalismo e sponta-
neità, antico e moderno oscillava già il Barocco, che
tuttavia cercò ancora di risolvere questo dissidio in uno
stile unico, benché non perfettamente omogeneo. Qui
invece si tratta di un’arte che non tenta neppure di
ridurre a un comun denominatore i vari elementi di
stile. Infatti, come vengono immediatamente accostate
l’architettura degli esterni e quella degli interni, cosí
anche nella pittura e nella poesia stanno l’una accanto
all’altra opere di stile affatto diverso: quelle di Boucher,
Fragonard e Voltaire accanto a quelle di Vien, Greuze
e Diderot. Il tempo produce tutt’al piú forme ibride, ma
non giunge a un equilibrio tra gli opposti principî for-
mali. Questo eclettismo corrisponde alla generale strut-
tura della società, in cui i vari strati si mescolano e spes-
so cooperano, pur rimanendo intimamente estranei l’uno
all’altro. Quale sia il rapporto delle forze in arte, lo
dimostra anzitutto la persistente fortuna dell’aulico
Rococò, favorito dalla gran maggioranza degli acqui-
renti, mentre il neoclassicismo rappresenta soltanto un
atteggiamento polemico e costituisce il programma arti-
stico di un gruppo di amatori relativamente esiguo, insi-
gnificante per l’andamento del mercato.

Storia dell’arte Einaudi 157


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Piú di ogni analoga tendenza precedente, questo


nuovo movimento, detto anche «neoclassicismo archeo-
logico», dipende dalla rinnovata esperienza dell’arte
greca e romana. L’interesse teorico per l’antichità clas-
sica neppure qui però è l’elemento primario; esso pre-
suppone un mutamento di gusto, e questo, a sua volta,
uno spostamento nei valori della vita. Per il Settecento
l’arte classica assume tanta attualità, perché, fattasi
ormai troppo morbida e fluida la tecnica pittorica, trop-
po frivoli colori e toni, ci si sente attratti verso un’arte
piú aspra, piú severa e piú obiettiva. Verso la metà del
secolo, all’apparire delle nuove tendenze classicheg-
gianti, il classicismo del grand siècle è morto da cin-
quant’anni: l’arte si è abbandonata alla stessa sensualità
che domina tutto il secolo. La severità dell’ideale neo-
classico che ora si riafferma non è, o almeno non è in
prima istanza, questione di gusto e di valutazione este-
tica; è invece un fatto di costume, esprime un intento
di semplicità e di schiettezza. Il mutamento di gusto che
fa dimenticare il fascino della sensualità visiva, la varietà
e la sfumatura dei colori, l’irruente pienezza e la fuga
travolgente delle impressioni e comincia a far dubitare
del valore di tutto quel che da mezzo secolo costituisce
la quintessenza dell’arte per gli intenditori, questa inau-
dita semplificazione, questo livellamento dei criteri este-
tici significa il trionfo di un nuovo ideale di vita, oppo-
sto all’edonismo dell’epoca. L’aspirazione di Winckel-
mann alla pura, chiara, semplice linea, alla regolarità e
alla disciplina, alla quiete e all’armonia, alla «nobile
semplicità e alla tranquilla grandezza» è anzitutto una
protesta contro la finzione e l’artificio, il vacuo virtuo-
sismo e gli orpelli del Rococò, che ora si comincia a con-
siderare abietto e degenerato, morboso e contro natura.
Accanto a quelli che, come Vien e Falconet, Mengs
e Batoni, Benjamin West e William Hamilton, seguono
con entusiasmo in tutta Europa la nuova corrente, ci

Storia dell’arte Einaudi 158


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

sono innumerevoli artisti e amatori, critici e collezioni-


sti, che si limitano a civettare con la rivolta contro il
Rococò e solo esteriormente vanno con la moda neo-
classica. Per lo piú non fanno che diffondere un movi-
mento la cui vera origine e il fine ultimo rimangono loro
celati. Teoricamente, anche il direttore dell’Accademia,
Antoine Coypel, si accosta al classicismo, e il conte Cay-
lus, l’illustre collezionista e archeologo, si mette anzi a
capo del movimento. Nel 1748 il surintendant de Mari-
gny, fratello di Madame de Pompadour, intraprende,
con Soufflot e Cochin, un viaggio di studio in Italia,
dando inizio all’usanza dei pellegrinaggi nel Sud. Con
Winckelmann comincia la ricerca archeologica sistema-
tica, per opera di Mengs la corrente neoclassica ha il
sopravvento a Roma e in Piranesi l’esperienza archeo-
logica diventa soggetto dell’arte. Il neoclassicismo si
distingue dai movimenti classicheggianti piú antichi
soprattutto perché concepisce l’antico e il moderno
come due tendenze nemiche, inconciliabili5. Mentre tut-
tavia in Francia si stabilisce un equilibrio fra le tenden-
ze antagonistiche, e il classicismo, specie in David, è
anche un progresso del naturalismo, per lo piú negli
altri paesi d’Europa il nuovo movimento non produce
che un’esangue accademia, senz’altro fine che l’imita-
zione dell’antico.
Generalmente si ritiene che siano stati gli scavi di
Pompei (1748) a dare la spinta, decisiva al nuovo clas-
sicismo archeologico. Ma quest’impresa ha potuto avere
tali conseguenze perché essa stessa era stata promossa da
un nuovo interesse e una sensibilità nuova: del resto i
primi scavi, condotti a Ercolano già nel 1737, erano
rimasti senza effetti di rilievo. Il nuovo orientamento si
produce appunto verso la metà del secolo. Di qui comin-
cia l’attività internazionale della scienza archeologica e
il movimento, ugualmente internazionale, dell’arte neo-
classica, che non sarà piú dominata dai francesi, benché

Storia dell’arte Einaudi 159


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

la scuola di David abbia propaggini in tutta Europa. Gli


scavi sono all’ordine del giorno; tutti gl’intellettuali
d’Occidente se ne interessano. La raccolta di antichità
è ormai una vera passione; per opere d’arte classica si
pagano somme notevoli e dappertutto sorgono gliptote-
che, collezioni di vasi e di gemme. Un viaggio di studio
in Italia non è piú soltanto un’esperienza mondana, ma
lo si considera elemento indispensabile nell’educazione
di un giovane della buona società. L’artista, il poeta e
chiunque abbia interessi di natura intellettuale si ripro-
mettono il piú gran profitto dall’esperienza diretta dei
monumenti antichi. Il viaggio in Italia di Goethe, la sua
collezione di antichità, la stanza di Hera nella sua casa
di Weimar, con il busto colossale della dea, che minac-
cia di far scoppiare le pareti di quell’ambiente borghe-
se, tutto questo è come un simbolo di quest’epoca. Ma
il nuovo culto dell’antico, proprio come l’entusiasmo,
quasi contemporaneo, per il Medioevo, è una manife-
stazione essenzialmente romantica; ora infatti anche
l’antichità classica appare una impareggiabile primave-
ra della civiltà umana, scomparsa per sempre, come lo
«stato di natura» di Rousseau. In questa concezione si
ritrovano concordi Winckelmann, Lessing, Herder,
Goethe e tutti i romantici tedeschi. Tutti scorgono nel-
l’antico una fonte di salute e di rinnovamento, un esem-
pio di genuina e perfetta umanità, quale non sarebbe piú
tornata. Non è un caso che il preromanticismo coincida
con gli inizi dell’archeologia, e Rousseau e Winckel-
mann siano contemporanei; lo spirito dell’epoca si espri-
me in una medesima filosofia nostalgica sia quando guar-
da all’antichità, sia quando guarda al Medioevo. Il neo-
classicismo, come il preromanticismo, si oppongono al
Rococò frivolo e raffinato; entrambi sono permeati dello
stesso spirito borghese. Il Rinascimento vedeva l’anti-
chità con gli occhi degli umanisti e ne rifletteva le idee
antiscolastiche e anticlericali; l’arte del Seicento inter-

Storia dell’arte Einaudi 160


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

pretava il mondo dei Greci e dei Romani secondo l’eti-


ca feudale della monarchia assoluta; il classicismo della
Rivoluzione è legato all’ideale repubblicano e stoico
della borghesia progressista e vi rimane fedele in tutte
le sue manifestazioni.
Nel terzo venticinquennio del secolo è ancora vivis-
simo l’antagonismo degli stili. Il classicismo è ancora
impegnato nella lotta ed è la piú debole delle due ten-
denze rivali. Fin verso il 1780 in realtà si limitò per lo
piú a una polemica teorica con l’arte aulica; soltanto piú
tardi, specialmente dall’avvento di David, il Rococò si
può dire superato. Il successo degli Orazi nel 1785 con-
clude un trentennio di battaglie e segna il trionfo del
nuovo stile monumentale. Con l’arte della Rivoluzione,
che all’incirca va dal 1780 fino al 1800, s’inizia per il
classicismo una nuova fase. Alla vigilia della Rivoluzio-
ne, queste, press’a poco, erano le tendenze della pittu-
ra francese: 1) la tradizione del Rococò sensuale e colo-
ristico, viva nell’arte di Fragonard; 2) il sentimentali-
smo, rappresentato da Greuze; 3) il naturalismo bor-
ghese di Chardin; 4) il classicismo di Vien. La Rivolu-
zione scelse quest’ultimo stile come il piú adeguato,
benché si debba ammettere che assai meglio le conve-
nissero le tendenze rappresentate da Greuze e Chardin.
Ma occorre tener presente che la scelta non fu fatta in
base a criteri di gusto e di forma, non tenendo presen-
te quel principio dell’interiorità e dell’intimità che
discendeva dall’ideale dell’arte borghese nel tardo
Medioevo e nel primo Rinascimento; ci si chiese invece
quale fosse lo stile piú appropriato a rappresentare con
la massima efficacia l’ethos della Rivoluzione, i suoi
ideali patriottici ed eroici, le sue virtú civili memori di
Roma e la sua libertà repubblicana. Amore di libertà e
di patria, eroismo e abnegazione, rigore spartano e stoi-
cismo subentrano ora a quei concetti morali, che la bor-
ghesia aveva sviluppato nel corso della sua ascesa eco-

Storia dell’arte Einaudi 161


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

nomica e che infine si erano indeboliti e svuotati a tal


punto, che l’alta borghesia aveva potuto diventare uno
dei maggiori sostegni della cultura rococò. Quindi i pre-
cursori e i campioni della Rivoluzione dovevano oppor-
si con ugual rigore alle aspirazioni dei fermiers généraux
e alla douceur de vivre dell’aristocrazia. Ma non poteva-
no neppure appoggiarsi alla visione amabile, patriarca-
le, antieroica della borghesia dei secoli precedenti: solo
grazie a un’arte militante potevano sperare di giungere
ai loro scopi. Ma a questo si prestava, piú che ogni altra
tendenza del momento, il classicismo di Vien e della sua
scuola.
Del resto, anche l’arte di Vien era ancora piena di fri-
volezza e di civetteria, e legata per tanti aspetti al
Rococò, come d’altronde lo era anche la pittura borghe-
se-sentimentale di Greuze. Il classicismo in lui non era
che un tributo alla moda, che l’artista seguiva con zelo
pedantesco. Nelle sue leziose scene erotiche, classico era
soltanto il tema, e pseudoclassica la maniera; ma lo spi-
rito e il gusto erano puro Rococò. Nessuna meraviglia se
il giovane David intraprese il suo viaggio in Italia riso-
luto a non incappare nelle seduzioni dell’antico6. Un pro-
posito che meglio d’ogni altra cosa dimostra quale
profonda differenza corra tra il Rococò classicheggiante
e il classicismo rivoluzionario della generazione succes-
siva. Se David ha potuto nonostante tutto diventare il
propugnatore e il massimo esponente dell’arte neoclassi-
ca, ciò si deve al nuovo significato che il neoclassicismo
venne assumendo, sí da perdere il suo primitivo caratte-
re estetizzante. Ma David con la sua nuova interpreta-
zione non riuscí subito ad affermarsi. Dapprima nulla
faceva prevedere che avrebbe raggiunto quell’autorità
assoluta, ch’egli acquistò con gli Orazi e che perse sol-
tanto con la Restaurazione. Insieme con David c’era a
Roma tutto un gruppo di giovani artisti francesi, che
ebbero uno sviluppo simile al suo. Il Salon del 1781 fu

Storia dell’arte Einaudi 162


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

dominato da questi giovani «romani» orientati verso un


piú severo classicismo, che ancora consideravano come
loro capo Ménageot. I quadri di David erano troppo
rigidi, troppo seri per il gusto del tempo. Solo a poco a
poco la critica s’accorse che proprio essi rappresentava-
no il trionfo di quelle idee, che si cercava di affermare
contro il Rococò7. Ma per David i tempi furono presto
maturi ed egli ebbe intera soddisfazione. Il Giuramento
degli Orazi fu uno dei piú grandi successi della storia del-
l’arte. Il trionfo di quest’opera cominciò in Italia, dove
David l’espose nel suo studio. Si andava in pellegrinag-
gio a vederla, vi si deponevano fiori, e Vien, Batoni,
Angelica Kauffmann, Wilhelm Tischbein, cioè i piú sti-
mati artisti di Roma, erano concordi nel lodare il giova-
ne maestro. A Parigi, al Salon del 1785, il trionfo conti-
nuò. Gli Orazi furono detti «il piú bel quadro del seco-
lo» e si considerò l’impresa di David veramente rivolu-
zionaria. Ai contemporanei l’opera parve quanto di piú
ardito e nuovo si potesse immaginare, la perfetta attua-
zione dell’ideale neoclassico. La scena era ridotta a
pochissime figure, quasi senza comparse, senza accesso-
ri. I protagonisti del dramma, a dimostrare la loro con-
cordia e la loro risoluzione di morire insieme, se neces-
sario, per il loro fine, erano inclusi in una sola linea, rigi-
da e ininterrotta: intransigenza formale che permetteva
al pittore un effetto senza precedenti in tutta l’espe-
rienza artistica della sua generazione. Egli sviluppò il suo
classicismo in linearismo puro, rinunziando a ogni effet-
to sensualmente pittorico e ad ogni concessione che ridu-
cesse il quadro a una festa per gli occhi. I mezzi di cui
egli si serviva erano rigorosamente razionali, precisi,
puritani e subordinavano al principio dell’economia tutta
la struttura dell’opera. La precisione e l’obiettività, la
riduzione al puro necessario e l’energia spirituale che
emanava da tale concentrazione espressiva, rispondeva-
no allo stoicismo della borghesia rivoluzionaria meglio di

Storia dell’arte Einaudi 163


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

qualunque altra corrente artistica. Qui si univano gran-


dezza e semplicità, dignità e sobrietà. Gli Orazi sono stati
giustamente chiamati «il quadro neoclassico per eccel-
lenza»8. L’opera rappresenta l’ideale stilistico del suo
tempo, cosí compiutamente come la Cena leonardesca l’e-
stetica del Rinascimento, Se mai è possibile interpreta-
re sociologicamente una pura forma artistica, è questo il
caso. Questa espressione chiara, intransigente, netta,
indubbiamente ha la sua radice nelle virtú repubblicane;
qui davvero la forma non è che un veicolo, un mezzo ade-
guato allo scopo. Che tuttavia i ceti superiori aderissero
a questo classicismo – dopo quanto sappiamo sulla forza
di attrazione dei movimenti fortunati – non stupisce,
come non stupisce il fatto che il governo lo favorisse.
Com’è noto, il Giuramento degli Orazi fu dipinto per il
Ministero delle Belle Arti. Di fronte alle tendenze sov-
versive, non si era in arte meno ignari o irresoluti che in
politica.
Nel 1789 viene esposto il Bruto, l’opera per cui David
giunge al colmo della gloria; ma nel favore con cui il pub-
blico accoglie l’opera non entrano affatto considerazio-
ni formali. Le fogge e il patriottismo romano sono diven-
tati la moda dominante e un simbolo universale, cui si
ricorre tanto piú volentieri, in quanto ogni altra analo-
gia, ogni altro parallelo storico ricorderebbe l’ideale
eroico della cavalleria. Ma le premesse vere del moder-
no amor di patria non hanno nulla a che vedere con i
Romani. Le sue radici sono nell’atmosfera di quest’e-
poca in cui la Francia deve difendere la sua libertà non
contro un avido vicino o un sovrano straniero di tipo
feudale, ma contro un mondo ostile, diverso da essa in
tutta la sua struttura sociale e che nella Francia combatte
la Rivoluzione. La Francia rivoluzionaria pone l’arte al
servizio di questa lotta con perfetta ingenuità; «l’art
pour l’art» è un’invenzione dell’Ottocento. Proprio nel-
l’ambito dell’opposizione romantica all’illuminismo e

Storia dell’arte Einaudi 164


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

alla Rivoluzione viene formulato per la prima volta il


principio dell’arte «pura», «gratuita», e solo quando le
classi dominanti temono di perdere il loro influsso sul-
l’arte si comincia ad esigere l’indifferenza dell’artista. Il
Settecento continua a servirsi dell’arte per i suoi fini
pratici, con la stessa disinvoltura dei secoli precedenti;
ma fino alla Rivoluzione questa prassi era stata incon-
scia negli artisti, e tanto meno essi pensavano di farne
un programma. Soltanto con la Rivoluzione l’arte diven-
ta una professione di fede politica, solo allora si dichia-
ra espressamente che essa non deve essere un «sempli-
ce ornamento dell’edificio sociale», ma «parte fonda-
mentale» di esso9. L’arte, si dice, non dev’essere un
vano passatempo, un vellicamento dei sensi, né un pri-
vilegio dei ricchi e degli oziosi ma deve istruire e miglio-
rare, spronare all’azione e servire d’esempio. Dev’esse-
re pura, vera, ispirata ed esaltante, contribuire alla feli-
cità di tutti e diventare patrimonio dell’intera nazione.
Era un programma ingenuo, come ogni riforma astratta
in campo artistico, e la sua sterilità dimostrò che una
rivoluzione deve mutare una società prima di poterne
mutare l’arte, benché anche l’arte sia un mezzo per quel
mutamento e sia legata al processo sociale da un com-
plicato gioco di interazioni. Del resto, in arte il pro-
gramma rivoluzionario non mirava a estendere il godi-
mento estetico ai ceti esclusi dal privilegio della cultu-
ra, ma appunto a mutare la società, ad approfondire il
sentimento di un vincolo comune e a creare la coscien-
za delle conquiste rivoluzionarie10. La tutela dell’arte
costituí d’ora in poi uno strumento di governo, e vi si
dedicò un’attenzione che prima si riservava agli affari di
stato. Finché la repubblica è in pericolo e combatte per
la propria vita, ognuno deve servirla con tutte le sue
forze. In un indirizzo di David alla Convenzione è
detto: «Ognuno di noi deve render conto alla Nazione
del talento che ha ricevuto dalla Natura»11. E Hassen-

Storia dell’arte Einaudi 165


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

fratz, membro della giuria nel Salon del 1793, cosí for-
mula la corrispondente teoria estetica: «Tutto il talen-
to di un artista è nel suo cuore; ciò ch’egli fa con le mani
non ha importanza»12.
In questo campo la parte di David è senza preceden-
ti. Egli è membro della Convenzione e, già come tale,
esercita un influsso notevole; ma è anche l’uomo di fidu-
cia e il portavoce del governo rivoluzionario in ogni
questione d’arte. Dopo Le Brun nessun artista era stato
cosí potente; ma il prestigio personale di David è incom-
parabilmente maggiore della considerazione che circon-
dava il factotum di Luigi XIV. Non solo egli è il ditta-
tore artistico della Rivoluzione e l’autorità da cui dipen-
dono tutta la propaganda artistica, l’organizzazione di
tutte le grandi feste e solennità, l’Accademia con tutte
le sue funzioni, l’intero complesso dei musei e delle
mostre; ma è il promotore di una particolare rivoluzio-
ne artistica, quella révolution davidienne da cui, in parte,
procede l’arte moderna. È il fondatore di una scuola
senza pari nella storia per ampiezza, prestigio e durata.
Vi appartengono quasi tutti i giovani d’ingegno; e,
nonostante le avversità toccate al maestro, nonostante
la fuga, l’esilio e il cedimento della sua forza creativa,
essa rimane fino alla Rivoluzione di luglio non solo la
scuola piú importante, ma la «scuola» della pittura fran-
cese. Anzi, essa diventa la scuola di tutto il classicismo
europeo, e il suo fondatore, che è stato chiamato il
Napoleone della pittura, esercita per mezzo suo un’au-
torità che, nella sua sfera, può ben paragonarsi a quella
del conquistatore del mondo. L’influsso del maestro va
oltre il 9 termidoro, oltre il 18 brumaio e l’avvento di
Napoleone al trono; e non perché allora David sia il piú
grande pittore di Francia, ma perché il suo classicismo
rappresenta la concezione artistica meglio rispondente
agli scopi politici del Consolato e dell’Impero. Questo
sviluppo, unitario per quanto riguarda i compiti asse-

Storia dell’arte Einaudi 166


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

gnati all’arte, subisce un’interruzione solo durante il


periodo del Direttorio che, diversamente dall’epoca
della Rivoluzione e da quella dell’Impero, presenta un
carattere straordinariamente frivolo, edonistico, este-
tizzante e gaudente13. Sotto il Consolato, quando i fran-
cesi vengono continuamente esortati all’eroismo roma-
no, e durante l’Impero, che nella propaganda politica si
richiama all’Impero romano come un tempo la Rivolu-
zione si richiamava alla repubblica, il classicismo rima-
ne lo stile ufficiale dell’arte francese. Ma la pittura di
David, pur coerente nel suo sviluppo, porta i segni di
quella trasformazione che vanno subendo la società e il
governo del paese. Già sotto il Direttorio il suo stile –
soprattutto nelle Sabine – si mostra piú tenero, piace-
vole, deviando dall’intransigente severità degli anni
rivoluzionari. E sotto l’Impero egli rinunzia di nuovo
all’elegante lusinga e all’artificio del suo stile Direttorio,
ma devia dalle mete giovanili in un’altra direzione. Lo
stile Impero del maestro contiene in realtà, portate in
campo artistico, tutte le contraddizioni del potere napo-
leonico. Questo infatti non rinnega mai del tutto la sua
origine rivoluzionaria e distrugge una volta per sempre
la speranza di una restaurazione dei privilegi di casta; ma
nello stesso tempo continua inesorabilmente la liquida-
zione del patrimonio rivoluzionario, cominciata il 9 ter-
midoro, e non solo assicura la potenza della borghesia
capitalistica e dei contadini ricchi, ma instaura una dit-
tatura politica che limita i diritti di queste classi al Codi-
ce civile. Analogamente anche l’arte di David durante
l’Impero è una sintesi che non risolve le opposte ten-
denze, e nella quale a poco a poco il carattere ufficiale
prevale sul naturalismo, la convenzione sulla sponta-
neità.
I compiti che David, come premier peintre di Napo-
leone, deve assolvere, innegabilmente giovano alla sua
arte, che ritrova in questo modo l’immediato contatto

Storia dell’arte Einaudi 167


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

con la realtà storica, e gli offrono l’occasione di cimen-


tarsi con il problema del grande quadro celebrativo; ma
nello stesso tempo irrigidiscono il suo classicismo e sve-
lano per la prima volta i segni di quell’accademia che riu-
scirà fatale a lui e alla sua scuola. Delacroix chiamò
David «padre dell’intera scuola moderna», e tale egli fu
sotto un duplice aspetto: come creatore del nuovo natu-
ralismo borghese che, specie nel ritratto, esprimeva la
dignità di un costume severo, semplice, alieno da ogni
teatralità; e come rinnovatore appunto del quadro sto-
rico e della pittura di cerimonia. Grazie a questi com-
piti di corte, David, dopo la superficiale eleganza e i fri-
voli esercizi formali del tempo del Direttorio, riacqui-
sta molto dell’antica obiettività e naturalezza. I proble-
mi ch’egli ora ha da risolvere non sono piú campati in
aria come nel caso delle Sabine, ma nascono dall’imme-
diata, attuale realtà. Soggetti come l’Incoronazione
(1805-808) o le Aquile (1810) riescono per l’artista piú
stimolanti di quanto egli stesso forse si aspettasse. In
queste scene manca l’impeto drammatico del Giura-
mento nella sala della pallacorda, ma in compenso vi è
un’impostazione piú semplice, meno teatrale, piú giusta.
Cosí David si allontana sempre piú dal Settecento e
dalla tradizione del Rococò e, in contrasto con il genia-
le individualismo delle sue opere giovanili, crea uno stile
obiettivo, di cui l’Accademia potrà fare cattivo uso, ma
che troverà continuatori. Per altro l’intimo dissidio, che
minaccia la sua arte dai tempi del Direttorio, nemmeno
in questa fase viene del tutto superato. Accanto alle
cerimonie ufficiali per cui trova una soluzione soddi-
sfacente, egli dipinge scene di soggetto classico, come la
Saffo (1809) o il Leonida (1812), artificiosi e manierati
quanto le Sabine. L’antico ha cessato di ispirare David
e anche per lui, come per i suoi contemporanei, diven-
ta pura convenzione. Quando gli si assegnano compiti

Storia dell’arte Einaudi 168


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

pratici, egli produce ancora opere magistrali; ma quan-


do vuole elevarsi al di sopra della realtà, fallisce.
L’intima contraddizione dell’arte davidiana, il con-
trasto fra l’astratto, esangue idealismo delle composi-
zioni mitologiche e classiche e il succoso naturalismo dei
ritratti si acuisce ancora negli anni dell’esilio a Bruxel-
les. Quando egli riprende contatto con la vita, ogni
volta che dipinge un ritratto, continua ad essere il gran-
de maestro d’un tempo; quando invece s’abbandona alle
illusioni neoclassiche, prive ormai di ogni rapporto con
il presente e ridotte a un gioco artificioso, non solo egli
ci appare fuori moda, ma spesso anche di cattivo gusto.
Per la sociologia dell’arte il caso di David è di speciale
importanza, perché forse nella storia dell’arte non c’è un
altro esempio che confuti in modo cosí perentorio la tesi
dell’incompatibilità tra fini politici e schietta qualità
artistica. Quanto piú intimamente David fu legato alla
politica, quanto piú l’arte sua fu al servizio di compiti
di propaganda, tanto piú valide furono le sue opere. Al
tempo della Rivoluzione, quando ogni suo pensiero face-
va capo alla politica, dipingendo il Giuramento della pal-
lacorda e il Marat, egli raggiunse le sue espressioni piú
alte. Durante l’Impero, quando almeno egli poteva far
propri i fini patriottici di Napoleone e non aveva dubbi
su quanto, nonostante tutto, la Rivoluzione dovesse al
dittatore, la sua arte rimase, quando si trattava di com-
piti pratici, viva e creatrice. Ma piú tardi, a Bruxelles,
quand’egli perdette ogni rapporto con la realtà politica
e non fu piú che un pittore, toccò il livello piú basso
della sua carriera. Ora, anche se ciò non prova che un
artista debba nutrire interessi politici e sentimenti pro-
gressisti per dipinger buoni quadri, prova tuttavia che
tali interessi e sentimenti non impediscono affatto i
buoni quadri.
Spesso si è detto che artisticamente la Rivoluzione è
stata sterile e non è uscita dai limiti di uno stile che non

Storia dell’arte Einaudi 169


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

era se non la continuazione e il perfezionamento del vec-


chio Rococò classicheggiante. Si è detto e ripetuto che
quell’arte si poteva chiamar rivoluzionaria solo per i
soggetti e le idee, ma non per le forme e lo stile14.
Piú o meno, la Rivoluzione aveva effettivamente tro-
vato il neoclassicismo bell’e pronto, ma gli diede in
parte un contenuto e un senso nuovo. Il classicismo
rivoluzionario apparirà poco originale e sterile solo nella
prospettiva livellatrice dei posteri; i contemporanei
erano perfettamente consci della differenza stilistica che
correva tra David e i suoi predecessori. Quanto audaci
e sovversive apparissero allora le innovazioni davidiane,
lo provano meglio di tutto le parole del Pierre, diretto-
re dell’Accademia, che chiamò la composizione degli
Orazi un «attacco al buon gusto», perché deviava dal
solito schema piramidale15. Ma il vero portato stilistico
della Rivoluzione non è questo classicismo, bensí il
romanticismo; non l’arte di cui essa si servì, ma quella
a cui preparò il terreno. La Rivoluzione in sé non pote-
va attuare il nuovo stile, perché poteva certo vantare
prospettive politiche, nuove istituzioni sociali, nuove
norme giuridiche, ma non una nuova società con un suo
proprio linguaggio. Per un’arte nuova esistevano sol-
tanto le premesse. Di fronte all’evoluzione politica l’ar-
te non riuscí a tenere il passo e in parte, come già nota-
va Marx, continuò a esprimersi in forme antiquate16.
Non sempre scrittori e artisti sono profeti e l’arte ora
arranca dietro i tempi, ora li precorre.
Anche il romanticismo preparato dalla Rivoluzione si
fonda in realtà su un analogo movimento piú antico; ma
preromanticismo e romanticismo sono fra loro ancora
meno affini delle due forme del neoclassicismo. Non
costituiscono affatto le due fasi di un movimento omo-
geneo, che abbia subito un’interruzione nel suo natura-
le sviluppo17. Il preromanticismo con la Rivoluzione
subisce l’ultima e definitiva sconfitta. L’irrazionalismo

Storia dell’arte Einaudi 170


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

rinasce poi, ma la sensibilità settecentesca è già defini-


tivamente morta. Il romanticismo che fiorisce dopo la
Rivoluzione rispecchia un nuovo senso del mondo e
della vita, e matura anzitutto una nuova interpretazio-
ne della libertà artistica. Questa non è piú un privilegio
del genio, ma il diritto innato di ogni artista e di ogni
individuo d’ingegno. I preromantici riconoscevano solo
al genio il diritto di scostarsi dalla regola; i romantici
negano in generale la validità delle regole. Ogni espres-
sione individuale è unica, insostituibile e ha in sé le sue
leggi e la sua misura: questa è nell’arte la grande con-
quista della Rivoluzione. Il romanticismo diventa cosí
lotta per la libertà, condotta non solo contro le accade-
mie, le Chiese, le corti, i mecenati, gli amatori, i criti-
ci, i maestri, ma contro il principio stesso della tradi-
zione, dell’autorità e della regola. Questa lotta non è
concepibile senza l’atmosfera spirituale creata dalla
Rivoluzione da cui essa ebbe inizio ed efficacia. Tutta
l’arte moderna, in certa misura, risulta da questo movi-
mento romantico di liberazione. Per quanto ancora si
parli di immortali norme estetiche, di valori artistici
eternamente umani, della necessità di criteri obiettivi e
di convenzioni vincolanti, l’emancipazione dell’indivi-
duo, il rifiuto di ogni autorità estranea, l’insofferenza di
ogni barriera, di ogni divieto sono e rimangono i prin-
cipî vitali dell’arte moderna. L’artista del nostro tempo,
per quanto possa aderire con entusiasmo a scuole, grup-
pi, movimenti, partecipando alla loro lotta e al loro
destino, appena dipinge, compone musica o poesia, è
solo e conscio della sua solitudine. L’arte moderna è l’e-
spressione dell’uomo solitario, dell’individuo che si
sente diverso dagli altri come un essere tragico o bene-
detto. La Rivoluzione e il romanticismo significano la
fine di un’epoca in cui l’artista si volgeva ancora a una
«società», a un gruppo piú o meno vasto ma in com-
plesso omogeneo, a un pubblico di cui egli riconosceva

Storia dell’arte Einaudi 171


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

per principio l’autorità assoluta. L’arte non ha piú quel


carattere sociale per cui il giudizio si conforma a criteri
obiettivi e convenzionali, è ormai un’espressione, che
trae da se stessa la misura secondo la quale vuol esser
giudicata; insomma, essa diventa il mezzo che permet-
te al singolo di parlare ai singoli. Fino all’età romantica
non ebbe mai grande importanza se e in qual misura il
pubblico si componesse di veri intenditori; artisti e poeti
cercavano comunque di soddisfare i suoi desiderî; inve-
ce romantici e postromantici non si sottomettono piú al
gusto e alle richieste di alcun gruppo, sempre pronti ad
appellarsi contro il giudizio di un foro a un altro foro.
C’è una continua tensione, un’eterna polemica fra il
pubblico e l’opera loro; si costituiscono sempre nuovi
gruppi di esperti e di amatori, ma sempre instabili, sí che
rimane distrutta ogni continuità di rapporti fra il pub-
blico e l’arte.
La comune origine rivoluzionaria del classicismo davi-
diano e della pittura romantica si rivela anche nel fatto
che questa non comincia come atteggiamento contrario
ai neoclassici, né disgrega dall’esterno la scuola di David,
ma nasce proprio fra gli allievi piú dotati e piú vicini al
maestro, Gros, Girodet, Guérin. Le due tendenze si
separano nettamente solo tra il 1820 e il 1830, quando
il romanticismo diventa lo stile dell’avanguardia artisti-
ca, il classicismo quello degli elementi conservatori che
giurano ancora sull’assoluta autorità di David. Al gusto
personale di Napoleone e alla natura dei compiti ch’egli
assegnava al suoi artisti rispondeva ottimamente l’ibri-
da forma classico-romantica trovata da Gros. Nelle
opere romantiche Napoleone cercava uno svago dal suo
pratico razionalismo ed era incline al sentimentale, appe-
na cessava di veder l’arte come strumento di propagan-
da. Questo spiega la sua predilezione per Ossian e Rous-
seau in letteratura e per il pittoresco nell’arte figurati-
va18. Nominando David suo pittore di corte, egli non

Storia dell’arte Einaudi 172


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

fece che seguire l’opinione pubblica; le sue, simpatie in


realtà andavano a Gros, a Gérard, a Vernet, a Prudhon
e ai pittori «aneddotici» del suo tempo19. Tutti del resto,
il delicato Prudhon come il robusto David, dovevano
dipingere battaglie e vittorie, cerimonie e festeggia-
menti. Ma il vero pittore dell’Impero, il pittore napo-
leonico per eccellenza, era Gros, che dovette la sua fama
– riconosciutagli concordemente da aderenti e avversa-
ri della scuola davidiana – in parte al suo modo impres-
sionante di rappresentare una scena, spesso con pano-
ramica immediatezza, in parte alla sua nuova concezio-
ne morale della scena di battaglia. Com’è noto, egli fu
il primo a rappresentare la guerra da un punto di vista
umanitario, mostrando anche i lati per nulla eroici dei
fatti cruenti. Lo strazio era cosí grande, che non lo si
poteva piú dissimulare; la cosa piú ragionevole era non
tentarlo neppure.
In arte l’ideologia dell’Impero si espresse in un eclet-
tismo che combinava e variava le tendenze stilistiche già
esistenti. Le contraddizioni interne di quest’arte corri-
spondevano alle antinomie politiche e sociali del gover-
no napoleonico. Il gran problema che l’Impero tentò di
risolvere era quello di conciliare le conquiste democra-
tiche della Rivoluzione con le forme dell’assolutismo
monarchico. Un ritorno puro e semplice all’ancien régi-
me era per Napoleone impensabile, come era impossibi-
le perdurare nell’«anarchia» rivoluzionaria. Occorreva
trovare una forma politica che rappresentasse una con-
ciliazione e un compromesso fra il vecchio e il nuovo
stato, la nuova e l’antica nobiltà, il livellamento sociale
e la nuova ricchezza che si andava costituendo. All’an-
cien régime erano estranee sia l’idea di libertà che quel-
la di uguaglianza. La Rivoluzione tentò di realizzarle
entrambe, ma finí col rinunziare alla seconda. Napoleo-
ne volle salvare il principio di uguaglianza, ma vi riuscí
solo sul piano giuridico; su quello economico e sociale

Storia dell’arte Einaudi 173


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

l’antica disuguaglianza prerivoluzionaria finí per preva-


lere. Politicamente l’uguaglianza si risolse nel fatto che
tutti ugualmente erano privati di ogni diritto. Delle con-
quiste rivoluzionarie non sopravvissero che la libertà
civile della persona, l’uguaglianza di fronte alla legge, l’a-
bolizione dei privilegi feudali, la libertà di culto e l’ac-
cessibilità delle cariche per ogni cittadino. Il che, certo,
non era poco; ma la logica dell’autoritarismo e le ambi-
zioni auliche di Napoleone condussero alla riabilitazio-
ne della nobiltà e della Chiesa e, nonostante lo sforzo
di tener fede ai principî fondamentali della Rivoluzio-
ne, crearono alla fine un’atmosfera antirivoluzionaria20.
La conclusione del Concordato e la conseguente rina-
scita religiosa diedero un potente impulso al romantici-
smo. Già in Chateaubriand esso appare strettamente
connesso con idee di rinnovamento cattolico e inclina-
zioni legittimistiche. Il Génie du Christianisme, che
apparve l’anno dopo il Concordato e fu la prima opera
tipica del romanticismo francese, conobbe un successo
ignoto a qualsiasi opera letteraria del Settecento. Tutta
Parigi lo lesse, e il Primo Console passò molte sere ad
ascoltare la lettura di certe parti. La sua pubblicazione
segna il sorgere del partito clericale e il tramonto dei
«filosofi»21. Con Girodet la reazione romantico-clerica-
le si estende all’arte e affretta la disgregazione del neo-
classicismo. Durante gli anni della Rivoluzione non si
esponevano quadri di soggetto sacro22. La scuola di
David da principio respinse questo genere; ma la diffu-
sione del romanticismo moltiplicò le scene sacre, e que-
sti soggetti finirono col penetrare anche nell’ambiente
neoclassico.
La rinascita religiosa ha inizio con la reazione politi-
ca sotto il Consolato. Anch’essa contribuisce a liquida-
re la Rivoluzione e viene accolta con entusiasmo dalla
classe dominante. Ma presto l’universale giubilo ammu-
tolisce sotto il peso dei sacrifici durissimi, che l’avven-

Storia dell’arte Einaudi 174


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

tura napoleonica impone al paese; inoltre la creazione


della nuova nobiltà militare e i tentativi di riconcilia-
zione con la vecchia aristocrazia smorzano la baldanza
dei ricchi borghesi. Ma i giorni aurei per i fornitori del-
l’esercito, i mercanti di cereali e gli speculatori comin-
ciano appena, e nella lotta per il predominio sociale la
vittoria alla fine è della borghesia, benché non sia piú la
stessa dei tempi della Rivoluzione. Del resto, anche
nella Rivoluzione i suoi fini non erano mai stati cosí
altruistici come di solito si pretende. La borghesia facol-
tosa già da gran tempo era creditrice dello stato e aveva
sempre piú ragione di temerne la bancarotta, protraen-
dosi la cattiva amministrazione della corte. Combatten-
do per un ordine nuovo, essa mirava soprattutto a garan-
tirsi le proprie rendite. Questa circostanza spiega l’ap-
parente paradosso di una Rivoluzione compiuta invece
che dai meno abbienti, da una delle classi piú ricche23.
Non fu certo la rivoluzione del proletariato e della pic-
cola borghesia povera, bensí dei ceti possidenti e mer-
cantili, cioè di una classe di cui i privilegi nobiliari
disturbavano l’espansione economica, ma non minac-
ciavano l’esistenza24. Probabilmente però la lotta rivo-
luzionaria non sarebbe stata vittoriosa senza l’aiuto dei
lavoratori e degl’infimi strati della borghesia. E se è vero
che l’alta borghesia non appena ebbe conseguito i suoi
fini, si liberò dei suoi alleati e volle esser sola a godere
i frutti della lotta comune, pure la vittoria della Rivo-
luzione finí col giovare a tutti i ceti privi di diritti e
oppressi, poiché, dopo tante sommosse e rivolte sfortu-
nate, essa fu la prima a determinare nella società un
rivolgimento radicale e durevole. Ma gli effetti imme-
diati dell’evento non furono certo confortanti. La Rivo-
luzione era appena finita, che un’immensa delusione
s’impadroní degli animi, né rimase traccia dell’ottimi-
smo illuministico. Il liberalismo settecentesco partiva
dall’identità di libertà e uguaglianza e da questa fede sca-

Storia dell’arte Einaudi 175


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

turiva il suo ottimismo: il pessimismo dell’epoca postri-


voluzionaria nasce appunto quando questa fede viene
meno.
Il segno piú evidente del trionfo dell’idea liberale si
ha nel fatto che solo dopo la Rivoluzione vincoli, limiti
e regole nella sfera intellettuale vengono sentiti come
paralizzanti. Prima poteva accadere che la piú alta fio-
ritura artistica si accompagnasse al piú rigido assoluti-
smo; d’ora in poi, ogni tentativo di cultura autoritaria
urta contro invincibili resistenze. La Rivoluzione ha
dimostrato che nessuna istituzione umana è immutabi-
le; ma cosí sono venute a perdere ogni pretesa di supe-
riore necessità anche le idee che venivano imposte all’ar-
tista, e invece di confidare nella loro verità si dubita
ormai del loro carattere vincolante. In arte i principî di
ordine e disciplina hanno perso il loro effetto di stimo-
li, e da questo momento – da questo momento soltanto
– l’idea di libertà diviene fonte d’ispirazione poetica.
Napoleone, nonostante i premi, i doni e le onorificen-
ze, che distribuiva ai suoi artisti, non poteva spingerli
ad alcun’opera importante. Gli scrittori veramente
fecondi, come Madame de Staël e Benjamin Constant,
erano dei dissidenti e degli isolati25.
Nel campo dell’arte il risultato piú importante del-
l’Impero fu quello di stabilizzare il rapporto creatosi
all’epoca della Rivoluzione fra produttore e acquirente.
Il pubblico borghese che si era venuto costituendo nel
corso del Settecento si consolidò, e d’ora in poi anche
per l’arte ebbe un’influenza veramente decisiva. Il pub-
blico dei lettori nel Seicento francese comprendeva alcu-
ne migliaia di persone; era una cerchia di amatori e di
esperti: da due a tremila, secondo Voltaire26. Veramen-
te questo non significa che fosse tutto composto di gente
capace di un giudizio proprio, ma solo di gente in pos-
sesso di certi criteri di gusto, con cui poteva, entro certi
limiti, per lo piú abbastanza ristretti, distinguere il

Storia dell’arte Einaudi 176


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

buono dal cattivo. Naturalmente il pubblico dell’arte


figurativa era ancora piú esiguo, componendosi soltan-
to di collezionisti e di esperti. Solo al tempo della con-
tesa fra poussinistes e rubénistes il pubblico cominciò ad
ampliarsi uscendo un po’ dalla cerchia degli specialisti27,
e solo nel Settecento comprese anche gente che s’inte-
ressava di quadri senza pensare al loro acquisto. Que-
st’evoluzione s’accentua sempre piú dopo il Salon del
1699, e nel 1725 il «Mercure de France» annunzia che
all’esposizione si vede un foltissimo pubblico, di ogni
ceto e di ogni età, che ammira, loda, critica e biasima28.
Secondo le fonti contemporanee il concorso è senza
esempio, e sebbene i piú vogliano andarvi perché la visi-
ta al Salon è diventata di moda, cresce tuttavia anche il
numero dei veri amatori. Lo si deduce anzitutto dal
moltiplicarsi di pubblicazioni d’arte, riviste e riprodu-
zioni29.
Parigi, già da gran tempo centro della vita mondana
e letteraria, ora diventa anche la capitale artistica d’Eu-
ropa, assumendo in pieno la funzione che in Occiden-
te, fin dal Rinascimento, era stata dell’Italia. È vero che
Roma rimane il centro e la scuola dell’arte classica; tut-
tavia per studiare l’arte moderna si va a Parigi30. Ma la
vita artistica parigina, che interessa ormai tutto il mondo
colto, riceve il piú energico impulso dalle esposizioni,
che non si limitano certo ai Salons. Esposizioni ce n’e-
rano state anche prima in Italia e nei Paesi Bassi, ma
nella Francia del Sei e del Settecento divennero un fat-
tore essenziale dell’attività artistica31. Mostre d’arte ven-
nero allestite regolarmente a partire dal 1673, cioè da
quando, diminuendo gli appoggi statali, gli artisti fran-
cesi furono costretti a cercarsi degli acquirenti. Al Salon
potevano esporre solo i membri dell’Accademia; gli altri
dovevano presentare al pubblico le loro opere
nell’«Accademia», assai meno illustre, della Compagnia
di san Luca o nell’Exposition de la jeunesse. Queste

Storia dell’arte Einaudi 177


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

mostre di secessionisti divennero superflue nel 1791,


quando la Rivoluzione aprí a tutti il Salon; e la vita del-
l’arte, che da esse e da numerose altre, personali, di stu-
dio e di scuola, derivava il suo carattere inquieto ed ecci-
tante, divenne piú ordinata e piú sana, benché forse
meno interessante e varia.
La Rivoluzione pose fine alla dittatura dell’Accade-
mia e al monopolio della corte, dell’aristocrazia e del-
l’alta finanza sul mercato artistico. Si sciolsero gli anti-
chi vincoli che si opponevano al rinnovamento dell’ar-
te in senso democratico e scomparvero insieme con la
società e la cultura del Rococò. Non è affatto vero,
come invece spesso è stato detto, che tutti i gruppi che
dirigevano un tempo la cultura, tutti i rappresentanti del
«buon gusto» fossero spariti a un tratto. Poiché la bor-
ghesia, già assai prima della Rivoluzione, partecipava in
misura sempre maggiore alla vita artistica, una certa
continuità di sviluppo poté mantenersi nell’arte, nono-
stante i profondi rivolgimenti. La vita artistica divenne
piú democratica di quanto fosse mai stata, non solo nel
senso di una maggior diffusione ma anche in quello di
un maggior livellamento, per quanto anche questo feno-
meno fosse già avviato prima della Rivoluzione. Il bello
è quel che piace ai piú, affermava già Mengs nei suoi
Gedanken über die Schönheit und über den Gesch-
mack**** del 1765. Ma il vero mutamento provocato
dalla Rivoluzione consiste in questo, che il pubblico di
un tempo rappresentava una classe per cui l’arte aveva
ancora una diretta funzione pratica, era una di quelle
forme in cui si esprimeva la distanza dai ceti inferiori e
la comunanza con la corte e il sovrano; il pubblico d’ora
invece è un pubblico di amatori con interessi puramen-
te estetici, per cui l’arte diviene oggetto di libera scelta
e di mutevoli inclinazioni.
L’Assemblea legislativa fin dal 1791 abolì i privile-
gi dell’Accademia, estendendo a tutti gli artisti il dirit-

Storia dell’arte Einaudi 178


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

to di esporre al Salon; e l’Accademia stessa fu soppres-


sa due anni piú tardi. Il provvedimento corrispondeva
in campo artistico all’abolizione dei privilegi feudali e
all’attuazione della democrazia. Ma anche qui, come già
in campo sociale, il processo era cominciato già prima
della Rivoluzione. L’Accademia a ogni liberale è sem-
pre apparsa la quintessenza della tendenza conservatri-
ce; in realtà, specie dopo la fine del Seicento, essa non
era affatto cosí ristretta e inaccessibile come spesso
venne dipinta. Nel Settecento le nuove ammissioni,
come è noto, furono decise con spirito molto aperto;
però il diritto di esporre al Salon era esclusivamente
riservato ai membri dell’Accademia. Ma proprio contro
quest’uso si accanirono gli artisti novatori guidati da
David. Fu semplice sciogliere l’Accademia, molto piú
difficile fu trovare con che sostituirla. Fin dal 1793
David fondò la «Commune des Arts», associazione
libera e democratica senza speciali gruppi, classi o mem-
bri privilegiati. Ma per il segreto lavorio dei monarchi-
ci nel suo seno, già l’anno dopo si dovette sostituirla
con la «Société populaire et républicaine des Arts».
Questa fu la prima associazione veramente rivoluzio-
naria degli artisti francesi e fu considerata come l’or-
gano ufficiale che doveva assumersi le funzioni del-
l’Accademia. Ma non era un’Accademia; era un club,
di cui ciascuno poteva esser membro, senza riguardo
alla posizione o al mestiere. Nello stesso anno sorse il
«Club révolutionnaire des Arts» a cui, fra gli altri,
appartennero David, Prudhon, Gérard e Isabey e che,
grazie alla celebrità dei suoi membri, godette gran pre-
stigio. Tutte queste associazioni dipendevano diretta-
mente dal Comitato dell’Istruzione pubblica, sotto l’e-
gida della Convenzione, del Comitato di Salute pub-
blica e del comune di Parigi32. Dapprima all’Accademia
fu tolto solo il monopolio delle esposizioni, mentre poté
esercitare ancora per qualche tempo la sua funzione

Storia dell’arte Einaudi 179


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

didattica, conservando buona parte della sua autorità33.


Tuttavia ben presto vi subentrò l’«École nationale
supérieure des Beaux-Arts», e si prese a insegnar l’ar-
te anche in scuole private e corsi serali. Inoltre l’inse-
gnamento del disegno fu incluso nel piano didattico
delle scuole superiori (écoles centrales). Ma forse nulla
ha contribuito a rendere democratica l’educazione arti-
stica quanto la costituzione e l’organizzazione dei
musei. Fino alla Rivoluzione quegli artisti che non ave-
vano avuto modo d’intraprendere un viaggio in Italia
ben poco avevan potuto vedere delle opere dei grandi
maestri. Per la massima parte queste si trovavano nelle
gallerie del re e dei maggiori collezionisti ed erano inac-
cessibili al pubblico. Le cose mutarono con la Rivolu-
zione. Nel 1792 la Convenzione decise di creare un
museo al Louvre. Qui, a due passi dal loro studio, d’ora
in poi i giovani artisti potevano ogni giorno studiare e
copiare i capolavori dell’arte e completare nel modo
migliore l’insegnamento dei loro maestri.
Dopo il 9 termidoro il principio d’autorità venne
restaurato a poco a poco anche in arte, e finalmente
l’Accademia delle Arti figurative fu sostituita dalla IV
Sezione dell’Istituto. Lo spirito antidemocratico di que-
sta riforma risulta nel modo piú chiaro anche dal sem-
plice fatto che l’antica Accademia aveva centocinquan-
ta membri, la nuova soltanto ventidue. Vi appartene-
vano tuttavia anche David, Houdon e Gérard ed essa
riacquistò ben presto l’autorità di un tempo. Natural-
mente, anche il mondo degli artisti fu indotto a rive-
dere i suoi rapporti con la Rivoluzione, che, del resto,
non erano mai stati del tutto unitari. C’erano artisti che
fin dal principio erano stati onesti e sinceri rivoluzio-
nari, e non solo gente come David, che grazie alla for-
tuna della moglie godeva dell’indipendenza economica
e poteva quindi non preoccuparsi della momentanea
congiuntura sul mercato artistico, ma anche altri come

Storia dell’arte Einaudi 180


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

Fragonard, che fu rovinato dal corso degli eventi, e che


tuttavia rimase fedele alla Rivoluzione. Ma, accanto a
costoro, non mancavano naturalmente i contro-rivolu-
zionari convinti, ad esempio la Vigée-Lebrun, che lasciò
il paese insieme con la sua nobile clientela. In realtà i
piú, a destra e a sinistra, non erano che compagni di
viaggio che, a seconda di quel che ritenevano opportu-
no, parteggiavano per gli emigrati o per i rivoluziona-
ri. Dapprima gli artisti si sentirono gravemente minac-
ciati dalla Rivoluzione; l’emigrazione li privò dei clien-
ti piú facoltosi e piú esperti34. Il numero degli emigrati
cresceva di giorno in giorno, e a chi rimaneva in Fran-
cia ormai mancavano i mezzi e la voglia di acquistare
opere d’arte. In principio i piú degli artisti conobbero
dure privazioni, e quindi non è strano che non sempre
fossero entusiasti della Rivoluzione. Se nonostante que-
sto la Rivoluzione trovò fra loro tanti fautori, fu per-
ché l’artista sotto l’antico regime, dove per lo piú era
annoverato tra i servi, si sentiva umiliato e sacrificato.
Quest’inferiorità cessò con la Rivoluzione, che finí col
risarcirlo anche dei danni materiali. Infatti, a prescin-
dere dalla crescente cura del governo per l’arte, ben pre-
sto intervennero anche i privati, e quasi inaspettata-
mente si ebbe un nuovo pubblico, che s’interessava
vivamente al lavoro degli artisti di grido35. In quegli
anni i Salons furono piú frequentati che mai. Nelle
vendite all’asta i prezzi delle opere d’arte raggiunsero
ben presto il livello prerivoluzionario, che doveva poi
essere superato durante l’Impero36. Crebbe il numero
degli artisti e la critica deplorava che ce ne fossero
troppi. Presto – troppo presto – la vita artistica si era
riavuta dalle scosse della Rivoluzione. L’attività degli
artisti si era riordinata prima che ci fosse un’arte nuova.
Si rinnovarono le antiche istituzioni senza un criterio
originale in fatto di gusto, e senza il coraggio di crear-
selo. Ciò spiega perché l’epoca postrivoluzionaria abbia

Storia dell’arte Einaudi 181


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

avuto sostanzialmente solo un’arte di epigoni e perché


siano dovuti passare ancora piú di vent’anni, prima che
in Francia il romanticismo potesse affermarsi.

1
Come per esempio wilhelm hausenstein, Der nackte Mensch,
1913, p. 151, e f. antal, Reflections on Classicism and Romanticism,
in «The Burlington Magazine», vol. LXVI, 1935, p. 161.
* «Se qualcuno è abbastanza barbaro – abbastanza classico!»
2
pope, Essay on Man, I, vv. 233 sgg.
** «Vedi attraverso l’aria, l’oceano e la terra | Ogni cosa pregnan-
te e prossima a sbocciare. | In alto, quanto in alto può progredir la vita,
| Come si espande intorno, come profonda in basso. | Infinita catena,
ch’ebbe principio in Dio, | Essere etereo, umano, angelo, uomo, |
Fiera, uccello, pesce, insetto, quel che occhio non vede | Né lente può
raggiungere; dall’infinito a te, | Da te al nulla».
*** «Su, cheta ogni querela; | soffri, o cuore pien d’odio, di giu-
stizia affamato. | Virtú, piangi, s’io muoio».
3
heinrich wölfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe, 1927, 7a
ed., p. 252 [trad. it., Concetti fondamentali di storia dell’arte, Milano
1953]; hans rose, Spätbarock, 1922, p. 13.
4
Cfr. h. wölfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe cit., p. 35.
5
karl justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, 1923, 3a ed., III,
p. 272.
6
maurice dreyfous, Les arts et les artistes pendant la période révo-
lutionnaire, 1906, p. 152.
7
albert dresdner, Die Entstehung der Kunstkritik, 1915, pp.
229-30.
8
walter friedländer, Hauptströmungen der französischen Malerei
von David bis Cézanne, I, 1930, p. 8.
9
françois benoit, L’art français sous la Révolution et l’Empire,
1897, p. 3.
10
Ibid., pp. 4-5.
11
jules david, Le peintre David, 1880, p. 117.
12
edmond e jules goncourt, Histoire de la société française pendant
la Révolution, 1880, p. 346.
13
louis madelin, La Révolution, 1911, pp. 490 sgg.
14
george plekhanov, Art and Society, 1937, p. 20; louis hourticq,
La peinture française. XVIIIe siècle, 1939, pp. 145 sgg.; a. thibaudet,
Histoire de la littérature française de 1789 à nos jours, 1936, p. 5.
15
jules david, Le peintre David cit., p. 57.
16
karl marx, Der 18. Brumaire des Louis Napoleon, 1852.

Storia dell’arte Einaudi 182


Arnold Hauser - Storia sociale dell’arte

17
louis hautecoeur, Les origines du Romantisme, in Le Romanti-
sme et l’art, 1928, p. 18.
18
léon rosenthal, La peinture romantique, 1903, pp. 25-26.
19
f. benoit, L’art français ecc. cit., p. 171.
20
louis madelin, La contre-révolution sous la Révolution, 1935,
p. 329.
21
Ibid., pp. 162, 175.
22
jules renouvier, Histoire de l’art pendant la Révolution, 1863,
p. 31.
23
joseph aynard, La Bourgeoisie française, 1934, p. 396.
24
Cfr. étienne fajon, The Working Class in the Revolution of
1789, in Essays on the French Revolution, a cura di T. A. Jackson,
1945, p. 121.
25
petit de julleville, Histoire de la langue et de la littérature françai-
se, VII, 1899, p. 110.
26
henry peyre, Le classicisme français, 1942, p. 37.
27
a. dresdner, Die Entstehung ecc. cit., p. 128.
28
Ibid., pp. 128-29.
29
andré fontaine, Les doctrines d’art en France, 1909, p. 186; f.
benoit, L’art français ecc. cit., p. 133.
30
a. dresdner, Die Entstehung ecc. cit., p. 180.
31
Ibid.; p. 150.
**** Pensieri sulla bellezza e sul gusto.
32
joseph billiet, The French Revolution and the Fine Arts, in Essays
on the French Revolution, a cura di T. A. Jackson, 1945, p. 203.
33
f. benoit, L’art français ecc. cit., p. 180.
34
m. dreyfous, Les arts et les artistes ecc. cit., p. 155.
35
f. benoit, L’art français ecc. cit., p. 132.
34
Ibid., p. 134.

Storia dell’arte Einaudi 183

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