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Premessa
Quella del rapporto di Leonardo con la filosofia è una questione aperta e
difficilmente definibile, sia per il carattere storicamente variabile dei confini
della filosofia propriamente detta rispetto alle scienze e alle arti, sia per il
margine ineliminabile di arbitrarietà presente in ogni discorso sulla filosofia
e sulla sua genealogia. Pur tenendo in conto questa difficoltà intrinseca alla
questione che ci interessa, un esame del lessico filosofico di Leonardo può
comunque essere un modo per contribuire a definirla, proprio perché essa ci
mette direttamente a contatto per cosí dire con il pensiero di Leonardo nel
suo strutturarsi a contatto e nel confronto con la tradizione filosofica.
Esaminando il suo lessico filosofico saremo, in altre parole, direttamente
introdotti anche al rapporto di Leonardo con la filosofia, e potremo seguire
da vicino l’articolarsi del suo pensiero. Di piú: nel lessico filosofico
leonardiano, proprio perché esso è l’esito di un confronto con un campo del
sapere, e non l’iscrizione interna a una tradizione, si depositano tensioni,
fratture e contraddizioni che sono l’espressione delle tensioni, delle fratture
e delle contraddizioni che animano dall’interno quello che si potrebbe
definire il programma scientifico di Leonardo.
Evidentemente, affrontando il tema da questa angolazione non sto
imboccando una strada del tutto nuova. Per fare un solo ma rappresentativo
esempio, le ricerche vinciane di Martin Kemp – sia quelle sull’anatomia, sia
quelle sulla prospettiva e l’opera figurativa1 – hanno da tempo documentato
*
Rinvierò ai codici secondo l’edizione della Commissione Nazionale Vinciana, pubblicata
dall’editore Giunti di Firenze, eccezion fatta per i due codici di Madrid, disponibili per ora
solo nell’edizione curata nel 1974 da Ladislao Reti per le edizioni MacGraw Hill
(Maidenhead), Taurus (Madrid) e Giunti (Firenze). Per la datazione dei codici e dei singoli
fogli vinciani mi servirò delle indicazioni ricavabili dalle edizioni e, nel caso dell’Atlantico,
del volume di C. Pedretti, Codex Atlanticus. A Catalogue of its newly restored Sheets, 2
Vols., New York 1978-1979.
1
M. Kemp, Dissection and Divinity in Leonardo’s Late Anatomies, in “Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes”, XXXV (1972), pp. 200-25, Id., Il concetto dell’anima
in Leonardo’s Early Skull Studies, ivi, XXXIV (1971), pp. 115-34, poi rifluito, riveduto in
Id., From ‘mimesis’ to ‘fantasia’, in “Viator”, VIII (1977), pp. 347-98, Id., Leonardo and
the Visual Pyramid, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XL (1977), pp.
Il lessico filosofico di Leonardo in tre stazioni dello «spirito»
in Carlo Vecce (a cura di) I mondi di Leonardo. Arte, scienza, filosofia
Edizioni Università IULM, Milano 2003, pp. 65-92
128-49, Id., Leonardo da Vinci. Le mirabili operazioni della natura e dell’uomo (1981),
trad. it. di F. Saba Sardi, Milano 1982.
2
Qui Kemp riprende evidentemente, e sviluppa a modo suo, un modulo interpretativo ben
presente già negli importanti saggi di Ernst H. Gombrich sulla Forma di movimento
nell’acqua e nell’aria (1969) e su Le teste grottesche (1954), entrambi raccolti in Id.,
L’eredità di Apelle. Studi sull’arte del Rinascimento (1976), trad. it. di M. L. Bassi, Torino
1986, pp. 51-79 e 80-106.
3
M. Kemp, The Crisis of Received Wisdom in Leonardo’s Late Thought, in AA. VV.,
Leonardo e l’età della ragione, a cura di E. Bellone e P. Rossi, Milano 1982, pp. 27-39, Id.,
Analogy and observation in the Codex Hammer, in AA. VV., Studi vinciani in memoria di
Nando de Toni, Brescia 1986, pp. 103-34.
4
Essa non viene neppure menzionata nel pur pregevole testo di K. H. Veltman, Leonardo’s
Method, Brescia 1993.
5
A. Marinoni, Introduzione a Codice A, Firenze 1990, pp. XI e XIII.
2
Il lessico filosofico di Leonardo in tre stazioni dello «spirito»
in Carlo Vecce (a cura di) I mondi di Leonardo. Arte, scienza, filosofia
Edizioni Università IULM, Milano 2003, pp. 65-92
6
A questa serie va idealmente aggiunta la coppia di fogli Codice Atlantico, 189v (olim
68va), c. 1498-1500, e Codice Arundel, P 60r-v (131 & 132), c. 1500-5, dove l’alternativa è
tra opposti modi di concepire l’«essere del nulla». Mi sono soffermato estesamente su
questi fogli in un precedente contributo, a cui rinvio: Leonardo da Vinci e il ‘Nulla’.
Stratificazioni semantiche e complessità concettuale, relazione al conv. internaz. Il volgare
come lingua di cultura dal Trecento al Cinquecento, organizzato dal Centro Studi “Leon
Battista Alberti”, Mantova, 18-20 ottobre 2001, in corso di stampa negli Atti. Ma sul
“nulla” nel f. 189 dell’Atlantico cfr. l’acuta interpretazione di C. Pedretti nel suo A Proem
to Sculpture, in “Achademia Leonardi Vinci”, II (1989), pp. 11-39 (= 17 ss.).
7
Ms. B, 63r (c. 1487): «in essa forza è vita attiva»; Codice Atlantico, 681r (c. 1492):
«Forza è una potenzia spirituale, incorporea e impalpabile [...]. Spirituale dico, perché
perché in essa è vita invisibile»; Ms. A, 34v (c. 1492): la forza, «per accidentale, esterna
violenza è causata dal moto e collocata e infusa ne’ corpi, i quali sono dal loro naturale uso
retratti e piegati, dando a quelli vita attiva di maravigliosa potenzia»; Codice Atlantico,
826r (c. 1490): «Forza non è altro che una virtú spirituale, una potenza invisibile, la quale è
creata e ’nfusa per accidental violenza da’ corpi sensibili nelli insensibili, dando a essi
corpi similitudine di vita; la qual vita è di maravigliosa operazione». Quando non
diversamente indicato, i corsivi nei testi vinciani sono miei.
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in Carlo Vecce (a cura di) I mondi di Leonardo. Arte, scienza, filosofia
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come è stato notato da Carlo Pedretti nel suo Commentary al Richter – per
essere un equivalente del concetto scolastico di virtus impressa o impetus8.
Viceversa, il termine impeto (o empito) viene usato da Leonardo, in un
primo momento (ultimo decennio del Quattrocento), come sinonimo di
quella “onda d’aria” o “d’acqua” che viene generata dalla furia del mobile
nel medio, e che da una parte cede al suo moto, dall’altro lo favorisce e
potenzia9; quindi, nei primi anni del Cinquecento, Leonardo passa a
definirlo come una potenza specificamente acquisita da un corpo per il fatto
di essere in moto, e lo identifica tendenzialmente con il moto del corpo
medesimo. In questa maniera Leonardo finisce per recuperare un aspetto del
concetto medievale di impetus, tenendolo però sempre sganciato, almeno
fino a questa altezza cronologica, dall’altro aspetto che è quello della virtus
motiva.
Questa distinzione è anche esplicitamente posta in Arundel, P 16r (181r), un
testo del 1495-97: «La gravità e lla forza[,] le quali sono scambievolmente
figliuole e madre del moto e sorelle dell’impeto e della percussione, senpre
com|69|battono la loro cagione; la qual vinta, esse10 sé vincano e ocidano»11.
Qui si vede come, nel contesto di una riflessione sulla natura unitaria delle
potenze meccaniche, emerga – almeno come tendenza – una distinzione tra
due gruppi di potenze entrambi in rapporto col moto: rispettivamente la
coppia di opposti forza-gravità e quella percussione-impeto, che in altri fogli
dell’Arundel vengono poste in rapporto di causazione (l’impeto è causa del
colpo)12.
Non è possibile soffermarsi adeguatamente su questo punto, anche
temporalmente cruciale, della riflessione di Leonardo sul mondo della
meccanica. Non si può però evitare di osservare che la distinzione tra i due
gruppi di potenze passa attraverso la diversità di statuto della forza rispetto
all’impeto. La forza, infatti (e con essa il peso, anche se con alcuni non
trascurabili distinguo), in quanto «spirituale», è assimilata a un fluido
incorporeo, e dunque pensata a partire dal modello offerto delle
enérgeiai/dunámeis di matrice neoplatonica. Per avere un termine di
confronto preciso prendiamo il commento alla Fisica di Giovanni Filopono.
Esponendo IV.8 – in cui Aristotele discute criticamente il concetto di vuoto
tra i corpi in relazione al movimento, toccando di passaggio anche la
8
C. Pedretti, The Literary Works of Leonardo da Vinci compiled and edited from the
original Manuscripts by Jean Paul Richter. Commentary, 2 Vols., Oxford and Los Angeles
1977, Vol. II, p. 217 (che sviluppa un’annotazione di E. A. Moody, Foreword, in I. B. Hart,
The Mechanical Investigations of Leonardo da Vinci (1925), Berkeley and Los Angeles
1963, p. VIII). Prima ancora però questo punto era stato notato da P. Duhem, Etudes sur
Léonard de Vinci. Seconde série, Paris 1909, pp. 225 s.
9
Mi permetto di rinviare su questo punto al mio Leonardo da Alberti a Bacone (e oltre), in
AA. VV., ‘Tutte le opere non son per istancarmi’. Raccolta di scritti per i settant’anni di
Carlo Pedretti, a cura di F. Frosini, Roma 1998, pp. 145-158 (= 151 s.).
10
forza e gravità perde suo essere canc.
11
Lo stesso elenco è presente anche in Codice Atlantico, 340r, c. 1497-1500.
12
Cfr. Arundel, P 50v (92r, 80v), P 53v (90r), P 59r (133v), P 62r (226r).
4
Il lessico filosofico di Leonardo in tre stazioni dello «spirito»
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questione della causa del moto violento – Filopono nega che di quest’ultimo
sia responsabile il medio, e che «è necessario piuttosto che una qualche
kinetikè dúnamis asómatos sia trasmessa dal motore nel mosso»; e per
chiarire questo concetto fa l’esempio della «enérgeia tis asómatos kinetiké»
rappresentata da un raggio di sole che, passando per un vetro colorato, si
tinge di quel colore, precisando che questa teoria ottica è accettata anche da
Aristotele. E conclude, in linea generale: «è chiaro dunque che determinate
energie [enérgeiai tines] sopraggiungono in modo incorporeo [asomátos] da
alcuni corpi in altri»13.
Se però Filopono non è un autore presente a Leonardo (e forse nemmeno ai
|70| trecenteschi teorici dell’impetus14), lo stesso non si può dire del
Pimander, cioè della porzione di ciò che è attualmente noto come Corpus
Hermeticum tradotta in latino da Marsilio Ficino nel 1463, e nello stesso
anno volgarizzata da Tommaso Benci15, dove l’equivalenza di enérgeia e
dúnamis, e la possibilità di declinare questi concetti al plurale (trattandoli
pertanto come delle sostanze), è testimoniata in modo addirittura
ossessivo16. Certo, qui non si trova un riflessione sulla fisica, però si
potevano leggere frasi come questa:
Le energie sono come i raggi di Dio, e le energie della natura come i raggi del mondo, e le
arti e le scienze come i raggi dell’uomo. Le energie agiscono attraverso il mondo, e
giungono all’uomo attraverso i raggi fisici del mondo; le forze della natura agiscono
mediante gli elementi, gli uomini attraverso le arti e le scienze.17
13
J. Philoponi in Aristotelis Physicorum libros quinque post. commentaria, in
Commentaria in Aristotelem Graeca, Vol. XVII (in Phys., IV-VII), ed. H. Vitelli, Berlin
1888, p. 642, rr. 3-20. Su Filopono si veda l’apparato presente in Johannes Philoponos
Grammatikos von Alexandrien. Ausgewählte Schriften übers., eingel. u. komm. v. W.
Böhm, München ecc. 1967. Inoltre: Duhem, Etudes…, II, cit., pp. 189-91 e Id., Le système
du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, Paris 1914-1959,
Vol. I, pp. 380 ss., A. Maier, Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturphilosophie,
Roma 1951, pp. 120-22, M. Clagett, La scienza della meccanica nel Medioevo (1959), trad.
di L. Sosio, Milano 1972, pp. 534-36, M. Wolff, Geschichte der Impetustheorie, Frankfurt
am Main 1978, pp. 67-160.
14
La tesi della trasmissione diretta, sostenuta da Duhem, Etudes…, II, cit., p. 191, fu
confutata in modo convincente dalla Maier, Zwei Grundprobleme…, cit., pp. 127-29,
seguíta da Clagett, La scienza della meccanica…, cit., p. 541 e n. Cfr. anche Wolff,
Geschichte…, cit., pp. 163-69.
15
Si veda in generale E. Garin, Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli 1994, pp. 67-77.
16
Cfr. Corpus hermeticum, texte ét. par A. D. Nock et trad. par A.-J. Festugière, deuxième
éd., 4 Voll., Paris 1960, trattato I.24 (enérgeiai in cui si dissolvono i corpi dopo la morte),
X.22 (raggi divini come enérgeiai =dunámeis), XI.2 e XII.21-22 (energie cosmiche di
Dio); inoltre Stobeo (ivi, III) estratti IIA (p. 5), III (pp. 17 s.) e IV (p. 24) (dúnamis =
enérgeia). Su questo uso terminologico cfr. ivi, Vol. I, pp. 140-42; e Vol. III, n. a pp. 9 s.,
dove tra l’altro si rinvia a J. Röhr, Der okkulte Kraftbegriff im Altertum, in “Philologus”,
Supplementband XVII, Leipzig 1924 (di cui si vedano in partic. pp. 7-19) e a M. P.
Nilsson, Religiosità greca (1946), trad. it. di C. Diano, Firenze 1961, p. 100.
17
Corpus Hermeticum, X.22, cit., Vol. I, p. 124. Sulla centralità di questo trattato (Clavis)
nel Pimander ficiniano, e in esso del passo qui cit., si sofferma Garin, Il ritorno…, cit., pp.
72 s. Questa impostazione torna nel De radiis di al-Kindi (cap. 3), un autore di cui è
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in Carlo Vecce (a cura di) I mondi di Leonardo. Arte, scienza, filosofia
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attestata in Leonardo la conoscenza del solo Libellum sex quantitatum (Codice Atlantico,
611Ar, c. 1490), ma del quale non è improbabile avesse una conoscenza piú estesa. Sulla
diffusione del pensiero di al-Kindi nella Milano sforzesca cfr. E. Solmi, Le fonti dei
manoscritti di Leonardo da Vinci. Contributi (1908), in Id., Scritti vinciani, Firenze 1976,
p. 59.
18
K. H. Veltman (Leonardo and the camera obscura, in AA. VV., Studi vinciani…, cit., pp.
81-92 = 83 s.) ha notato che l’espressione compare in L. Pacioli, De divina proportione, 5,
f. 13r, a proposito di Dio. F. Fehrenbach, Licht und Wasser. Zur Dynamik
naturphilosophischer Leitbilder im Werk Leonardo da Vincis, Tübingen 1997, pp. 132 s.)
rinvia alla genealogia ‘plotiniana’ di questa espressione. Tuttavia questo percorso era stato
additato, anche se non completamente svolto, da P. Duhem. Cfr. il suo Nicolas de Cues et
Léonard de Vinci, in Id., Etudes…, II, cit., pp. 115 e 147-49 (raffronto tra Cusano e
Anassagora: quodlibet in quolibet), 128 s. (Dio, ovvero l’anima del mondo, è per Cusano,
rispettivamente Plotino, tutto in sé stesso e tutto nelle singole cose, rispettivamente anime),
150-61 (raffronto Cusano/Leonardo su massimo e minimo, “essere del nulla”), 222-38
(concetto di “virtú spirituale” nella dinamica e raffronto con il concetto cusaniano
dell’anima). Cfr. ora C. Pedretti, scheda a La ‘testa fallica’, in Leonardo in Casentino.
L’‘angelo incarnato tra archeologia e leggenda’. Mostra ideata e curata da C. Starnazzi.
Catalogo a cura di C. Pedretti, Firenze [2001], p. 40. Sull’enorme diffusione
dell’espressione, senza riferimento a Leonardo, cfr. R. B. Waddington, ‘All in All’:
Shakespeare, Milton, Donne and the Soul-in-Body Topos, in “English Literary
Renaissance”, XX (1990), pp. 40-68, e sopratutto il dettagliatissimo Th. Leinkauf, Mundus
combinatus. Studien zur Struktur der barocken Universalwissenschaft am Beispiel
Athanasius Kirchers SJ (1602-1680), Berlin 1993, pp. 56-66 (Plotino, Agostino, ps.-
Dionigi, Bruno, ecc., fino al Seicento inoltrato).
19
Peculiarità di approccio ampiamente rilevate dalla critica. Cfr. Kemp, Leonardo…, cit.,
pp. 107 e 125-30, e Fehrenbach, Licht und Wasser…, cit., pp. 140 s.
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Cfr. ancora il mio Leonardo da Alberti a Bacone (e oltre), cit., p. 152 e n. 22.
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21
Nella stessa direzione cfr. Codice Atlantico, 1047r (c. 1513-14): «Il tronito della
bombarda fa 2 moti per l’aria di varie velocità. Delli quali il piú veloce è quel che porta la
’mpressione del sonito suo, l’altro, piú tardo, è quel che porta l’onda generata dalla
percussione della fiamma, e – aggiunge all’ultimo momento Leonardo – ’l terzo è il moto
della ballotta da lei gittata». Accanto al testo si trova un disegno raffigurante una serie di
cerchi che hanno lo stesso centro ma si vanno dilatando a velocità differenti.
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trovata proprio in quella terza soluzione, «la qual non abbia eccepzione»,
che Leonardo poco piú avanti propone riformulando l’argomento usatissimo
dagli scolastici del moto violento della ruota che si rivolge attorno a un polo
immobile. Egli aggiunge a questi elementi anche una «furia di vento» che
investe trasversalmente la ruota, e che pertanto favorisce solo la metà della
rivoluzione, mentre ostacola l’altra metà, e quindi né favorisce il moto, né lo
ostacola. Però, dato che la causa del moto non può nemmeno essere la «virtú
del motore […] dentro a lei [alla ruota] infusa», ne segue che è necessario
che sia tale virtú in quanto «impressa alli termini della rota»22. Perché la
virtú non può essere interna alla ruota? Perché (mi pare si possa arguire) in
questo caso la ruota non avrebbe una direzione in cui volgersi, ed
esattamente come nel caso del vento esterno, la spinta interna in tutte le
direzioni neutralizzerebbe sé stessa. Ma questo argomento è al contempo
una risposta al “caso di Münchhausen”, perché la virtú impressa ai termini
di un corpo fa forza «in altri corpi for di lui», e cioè proprio nel medio che
lo circonda (è come se la ruota si aggrappasse a – e spingesse su – le parti
dell’aria circostante).
Evidentemente questa soluzione resta ancora a metà strada, perché concede
un punto importante all’impostazione meccanica. Eppure non si tratta
nemmeno di un semplice passo all’indietro provvisorio, perché l’argomento
meccanico richiama l’attenzione proprio sulla necessità di considerare il
piano dei moti materiali nella sua logica specifica, che è appunto quella del
moto per |75| contatto. Leonardo sa insomma qual è la soluzione errata (il
motore come spinta meccanica del medio), ma non per questo torna all’idea
opposta (il motore come spinta energetica interna al mosso). Sceglie una
soluzione evidentemente provvisoria (il motore come spinta/trazione
meccanica esercitata dal mosso sul medio circostante), e questo segnala a
mio avviso la sua insoddisfazione per un’eventuale equiparazione
dell’impeto alla forza senz’altro.
Tuttavia in questo stesso foglio è presente anche un cenno a una possibile
soluzione ancora diversa rispetto alle tre proposte, perché basata sul
concetto di impressione – già incontrato nel testo citato sopra del Codice
Atlantico, 227r (c. 1515) –, concetto che viene qui proposto come momento
che equipara la persistenza della spinta meccanica alla persistenza dello
splendore solare nell’occhio e del suono nell’orecchio anche dopo la
rispettiva cessazione:
22
Hammer, 8A (29v): «Ma se tu voi dire ancora che l’aria riservi la potenzia del motore,
c[h]e la accompagnia e spignie il suo mobile, come accomodereno noi a questo la rota che
dentro a una furia di vento volgie lungamente, poi che ’l suo motore da lei si divide? Questa
non è l’aria, che la move, perché, essendo col suo termine e peso equalmente partito intorno
al suo polo, il vento, che per un sol verso l’abbracc[i]a, e se favorisce la metà della rota che
da lu[i] si fugge, esso diffavorisce e contrasta all’altra metà della rota che contra lui si
move, e per questo il vento, che tanto noce, quanto e’ giova al moto, non fa a essa rota
alcuna utilità o nocimento; adunque, la virtú del motore fu lasciata impressa alli termini
della rota e non dentro a lei infusa, né nell’aria di quella circundatrice».
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La virtú del motore si separa integralmente da lui e s’applica al corpo da esso mosso, e si va
con tempo consumando nella penetrazion dell’aria, che dinanti al mobile sempre si
condensa. E questo accade perché ogni impressione si riserva lungamente nello obbietto
ove s’impreme, come si vede ne’ circuli, che dentr’alla superfizie dell’acqua si creano per
la percussion di quella, che per lungo spazio infra l’acqua si movano, e ne’ retrosi e onde,
creati ’n un loco e pell’empito dell’acqua portati ’n un altro, sanza distruzion di quelli; e ’l
medesimo fa lo sprendor nell’occhio e la voce nell’orecchio. (Hammer, 8A [29v])
È questa, in effetti, l’impostazione che Leonardo adotterà stabilmente dopo
il 1510, come si può constatare, tra l’altro, nel Ms. G, 73r:
Impeto è impressione di moto trasmutato dal motore al mobile.
Impeto è una potenzia impressa dal motore al mobile. Ogni impressione attende alla
permanenzia, ovvero desidera permanenzia. Provasi dalla impressione fatta dal sole
nell’occhio d’uno risguardatore e nella impressione del sono fatto dal martello di tal
campana percussore.
Ogni impressione desidera permanenzia, come ci mostra il simulacro del motore impresso
nel mobile.
Ora, cos’è che rende questa impostazione capace di reggere all’obiezione di
Münchhausen? Evidentemente il fatto che, se pensato come impressione,
l’impeto è sí distinto dal corpo, ma non è tuttavia realmente esistente al di
fuori del corpo stesso. È, giusta la definizione aristotelica23, una «qualità» o
«affezione del corpo», anzi è un determinato «movimento», kínesis (anche
se all’apparenza si produce «tutto insieme», come l’acqua che ghiaccia) e
non enérgeia, come è invece il caso della luce. Qui evidentemente Aristotele
|76| intende per enérgeia qualcosa di differente rispetto al senso in cui il
termine può essere usato per Leonardo, ma che con quello coincide per lo
meno in quanto la luce, in quanto enérgeia, per Aristotele non si trasmette
consecutivamente. L’impressione è per Leonardo qualcosa che implica moto
e alterazione, ma che non rende necessario far ricorso all’idea di una
sostanza incorporea, di una “cosa” spirituale pensata in analogia con
l’anima; anzi l’impressione è – nel suo comportamento – radicalmente
distinta dal corpo proprio perché ne è una mera affezione priva di realtà
autonoma, che si distribuisce consecutivamente in tutte le parti del corpo cui
inerisce senza restarne distinta. Cosí, nel Ms. G, 85v (1510-15) Leonardo
può affermare che «l’impeto impresso dal motore al mobile è infuso in tutte
le sue parte unite d’esso mobile», cioè senza restare alla superficie di esso,
perché non si tratta piú di una “presenza” pensata come enérgeia, al modo
della luce nell’aria o della voce nella stanza, ma come kínesis, al modo di un
calore che si diffonde consecutivamente in tutte le parti di un corpo secondo
una direzione precisa, cioè la direzione del moto.
A questo punto Leonardo può lasciar cadere anche l’ultimo riferimento al
meccanicismo e pensare in modo compiutamente energetico i fenomeni
dinamici. È come se egli avesse progressivamente depurato la forza del suo
retroterra magico-neoplatonico, riducendola però (e questo è da notare) non
tanto al concetto di actio per speciem diffuso tra i teorici dell’impetus e tra i
23
Aristotele, De sensu et sensibilibus, VI, 446b 25-447a 4.
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24
Cfr., sui primi, Maier, Zwei Grundprobleme…, cit., pp. 143 ss., e Clagett, La scienza
della meccanica…, cit., pp. 544 s., sui secondi G. Federici Vescovini, Studi sulla
prospettiva medievale, Torino 1965, capp. IV, IX-X, e D. C. Lindberg, Theories of Vision
from Al-Kindi to Kepler, Chicago and London 1976, cap. 7, part. pp. 132 ss. e 144.
25
In Codice Atlantico, 917Ar (c. 1495) Leonardo trascrive la volgarizzazione di un passo
del suo De ponderibus (in The medieval science of weights. Scientia de ponderibus, ed. by
M. Clagett and E. A. Moody, Madison/Wisconsin 1960, pp. 238-40), e quest’opera è
richiamata anche in Madrid I, 133v (c. 1493-97). Cfr. (evidentemente solo sul passo
dall’Atlantico) Solmi, Le fonti…, cit., p. 228, e A. Uccelli, Introduzione a Leonardo da
Vinci, I libri di meccanica, Milano 1940, pp. CXXXIX-CXLII.
26
Federici Vescovini, Studi…, cit., p. 245.
27
«[…] et sic patet quod in visione causanda non est ponenda tertia entitas diffusa per
medium, distincta ab oculo et ab obiecto». Cito dalle Questioni inedite di ottica di Biagio
Pelacani da Parma [quest. I.1-10] a cura di F. Alessio, in “Rivista critica di storia della
filosofia”, XVI (1961), pp. 79-110 e 188-221; qu. I.1 (p. 85). Questo trattato è un
commento alla Perspectiva communis di Pecham.
28
Cfr. ivi, qu. I.1 (pp. 83 e 87 s.) e I.2 (p. 89).
29
Ivi, I.6 (p. 190).
30
A ciò è dedicata la qu. I.2.
31
Ivi, qu. I.2 (p. 92).
32
Sulla nozione di “impressione” fino all’altezza del Ms. A cfr. Fehrenbach, Licht und
Wasser…, cit., pp. 132-37.
11
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Vedi un colpo dato in una campana quanto riserva in sé il romore della percussione. Vedi
una pietra uscita della bombarda quanto riserva la natura del movimento. Il colpo dato in un
corpo denso: durerà piú il sono che in corpo raro, e quello arà piú durata che fia in corpo
sospeso e sottile. L’occhio riserva in sé le imagine de’ corpi luminosi per alquanto spazio.
Questo apparente ritorno all’indietro induce a riflettere: si tratta infatti di
«una restaurazione di fatto della fisica qualitativa»33 derivante dalla
con|78|statata impossibilità di procedere oltre, nella ricerca, sulla base del
modello ottico-prospettico rappresentato dalle «potenzie spirituali». Il
terreno dello «spirituale» viene infatti, nel corso del primo decennio del
Cinquecento, radicalmente trasformato da Leonardo, proprio perché, se
s’intende porlo come lato attivo dei corpi e dei fenomeni realmente esistente
in re, esso, in quanto obbediente a una logica a sé (la logica dell’anima, cioè
la logica dell’infinito), non solo rende incomprensibili i fenomeni, ma
anzitutto resta incomprensibile in sé stesso, perché si annulla nel momento
in cui s’intende afferrarlo positivamente. Questo tratto peculiarmente legato
all’idea di infinito Leonardo lo rende anche esplicito, in un appunto databile
a c. il 1508, vale a dire al momento in cui questa crisi giunge a una svolta:
Qual è quella cosa che non si dà, e s’ella si dessi, non sarebbe? Egli è lo infinito, il quale se
si potessi dare, e’ sarebbe terminato e finito, perché ciò che si po dare, ha termine colla cosa
che lo34 circuisce ne’ sua stremi, e ciò che non <si> po dare, è quella cosa che non ha
termini (Codice Atlantico, 362r).
Il paradosso dell’infinito – il suo possedere una realtà che nega la realtà –
verrà affrontato da Leonardo con il ricorso all’idea di un «essere del nulla»,
un essere cioè la cui peculiarissima realtà sta appunto nel non essere35. E in
questa sfera del nulla precipiteranno proprio quelle nozioni – gli enti
geometrici e in particolare il punto – che, posti come realmente esistenti in
natura, erano il luogo in cui matematica, fisica e prospettiva si incontravano,
e come tali costituivano il fulcro del progetto scientifico di Leonardo. Il
riemergere di un approccio qualitativo dopo il 1510 è dunque non un
ripiegamento su posizioni anteriori, ma una radicalizzazione del
naturalismo, la presa d’atto della separazione tra sensibile e intellettuale,
cioè l’emancipazione del sensibile dal retroterra magico ben vivo, invece,
nella nozione di «impressione» presente all’altezza del Trivulziano. Tra il
1487 e il 1510 c’è, insomma, una differenza decisiva, data dalla presenza
prima, poi dall’assenza – dello spirito.
33
P. Galluzzi, Leonardo e i proporzionanti. XXVIII Lettura vinciana (1988), Firenze 1989,
p. 23.
34
Ms. la.
35
Cfr. ancora il mio Leonardo da Vinci e il ‘Nulla’, cit.
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discendano dalla sua causa per linie radiose, nate nel suo corpo e finite ne li
obietti oppachi sanza diminuzione di sé»); dall’altro la «tramontana» (cioè il
Nord, la stella polare), che «sta continuamente colla similitudine della sua
potenzia astesa e incorporata non che ne’ corpi rari, ma ne’ densi,
transparenti e oppachi, e non diminuisce però di sua figura» (729v). Il
riferimento alla «tramontana» torna anche in un foglio coevo, il 380v
dell’Atlantico: «La tramontana dimostra per la calamita fare questo
medesimo [cioè come il sole], e luna e altri pianeti sanza diminuzione di sé
fa il simile. Infra le cose terrestre è fatto il simile dal moscado e altri odori».
L’esempio del muschio è presente anche in 729v, dove è accompagnato da
una serie di altri «esempli» di stampo decisamente magico, tutti rivolti alla
dimostrazione dell’esistenza di una «potenza» peculiare dell’occhio, di un
«moto spirituale» che ha origine in esso:
Non si ved’elli tutto il giorno pe’ villani quella tal biscia, chiamata lamia 37, attrarre a sé il
lusignolo, come calamita il ferro, per lo fisso sguardo [...]?
Ancora si dice il lupo avere potenzia col suo sguardo di fare alli omini le voce rauche 38.
Del bavalischio si dice avere potenzia di privare di vita ogni cosa vitale col suo vedere.
Lo struzzo, il ragno si dice covare le ova colla vista 39.
Le pulzelle si dice avere potenzia nelli occhi di attrarre a sé l’amore delli omini 40.
Il pescio detto linno41 [...] non è elli visto da li pescatori alluminare co’ li sua occhi a modo
di due candele una grande quantità d’acqua, e tutti li pesci che si trovano in detto splendore,
subito vengon sopra all’acqua, rovesci e morti?
È dunque un fatto che per Leonardo la sfera delle potenze spirituali e quella
delle specie visive sono perfettamente equivalenti: egli può dare esempi di
|81| vari tipi per ambedue i dominii, tanto che l’uno serve a dimostrare
l’altro. Inoltre, la stessa questione estromissione vs. intromissione si
presenta come ‘inscatolata’ dentro quella delle «potenze spirituali» e viene a
quella subordinata, dato che è grazie alla plausibilità dell’idea che tutti i
corpi (o molti) emettono virtú spirituali, che si può affermare che l’occhio fa
lo stesso (che, cioè, non è meramente recettivo). Ma nella stessa premessa è
contenuta un’ulteriore determinazione: se infatti tutti i corpi – occhio
compreso – emettono specie delle forme e specie delle potenze, la visione
non potrà avvenire per un atto unilaterale, ma solo dall’incontro delle specie
37
Lamia è il nome della biscia in toscano.
38
L’esempio è tratto da Plinio, Historia naturale tradocta di lingua latina in fiorentino per
Cristoforo Landino, Venezia 1476, VIII, 34, 80 (cfr. Leonardo da Vinci, Scritti, a cura di C.
Vecce, Milano 1992, p. 93n.).
39
Cfr. il cosidetto “bestiario” (Ms. H, 5r-27v), con esempi tratti dal Fiore di virtú attribuito
a Franco Sacchetti (Venezia 1471), dall’Acerba di Cecco d’Ascoli (Venezia 1476) e da
Plinio, Historia, cit. (cfr. Leonardo, Scritti, cit., p. 89n., e Leonardo, Scritti letterari, a cura
di A. Marinoni, nuova edizione accresciuta, Milano 1974, p. 248): in esso sono presenti –
con le stesse caratteristiche – sia il basilisco che lo struzzo.
40
Palese riferimento alla teoria degli “spiriti” variamente modulata dagli stilnovisti. Cfr. le
bellissime pagine di R. Klein, Spirito peregrino (1965), in Id., La forma e l’intelligibile.
Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna (1970), trad. it. di R. Federici, Torino 1975, pp. 5-
44.
41
«Tipo fantastico di cefalo» (Vecce in Leonardo, Scritti, cit., p. 93n.).
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delle cose e delle specie dell’occhio (come viene infatti affermato nel citato
729v). Tra estromissione e intromissione, l’idea dell’irradiazione universale
fa propendere Leonardo per una via di mezzo, cioè per una doppia azione
dei corpi sull’occhio e dell’occhio sui corpi.
Evidentemente i punti di riferimento polemici di Leonardo sono qui gli
autori di perspectiva, e in particolare John Pecham, che nella Perspectiva
communis aveva dimostrato che «i raggi uscenti dall’occhio e cadenti sopra
un oggetto visibile non bastano a spiegare la visione»42. Infatti, si domanda
Pecham, «in che modo la virtú dell’occhio si potrebbe estendere fino alle
stelle, anche se l’intero corpo si risolvesse in spirito?». Pecham ripete qui,
in forma ellittica, un argomento di Alhazen contro la tesi estromissiva,
secondo il quale, se fosse una «sostanza corporea» quella costituente il cono
visivo che fuoriesce dall’occhio per raggiungere l’oggetto veduto (e non
potrebbe essere altrimenti)43, l’atto di guardare gli astri – che dovrebbe
riempire l’enorme spazio tra la terra e i cieli – distruggerebbe l’occhio
stesso. Di conseguenza «la visione non accade mediante raggi emessi dalla
facoltà visiva»44.
E proprio a Pecham è rivolto un passaggio polemico nel f. 729v, che segue
immediatamente quello sul sole e sulla stella polare:
Confutare adunque questi matematici che dicano l’occhio non avere virtú spirituale che
s’astenda fori di lui, imperò che se cosí fussi, non sarebbe sanza gran sua diminuzione |82|
ne l’usare la virtú visiva, e che se l’occhio fussi grande, quant’è il corpo della terra,
converrebbe ne’ risguardare alle stelle che si consumassi, e per questa ragione assegnano
l’occhio ricevere e non mandare niente di sé.
Il riferimento è alla citata proposizione I.45 della Perspectiva di Pecham,
ma anche alla I.44: «I matematici che assumono che la vista accada
mediante raggi nascenti dall’occhio, si adoperano senza bisogno»45. Qui – si
noti – Pecham afferma di seguire l’«autore della Prospettiva», cioè Alhazen,
mentre avverte che al-Kindi, i «platonici» e Agostino erano di altra
opinione, dato che (possiamo aggiungere) affermavano la tesi
dell’estromissione del raggio visivo. Ma si tenga conto di ciò, che lo stesso
Pecham, nella vicina proposizione I.46 afferma, riprendendo Aristotele 46,
che «il lume naturale dell’occhio contribuisce alla visione con la sua
radiosità»47, e che quindi «in qualche modo ha luogo un’emissione di raggi,
42
J. Pecham, Perspectiva communis, I.45, ed. with an Introduction, Engl. Transl and
Commentary by D. C. Lindberg, Madison/Wisconsin 1976, p. 128. La stessa posizione è in
Witelo, Opticae libri decem, Instaurati ... a Federico Risnero, III.5, in Opticae thesaurus.
Alhazeni Arabis libri septem, nunc primum editi a Federico Risnero, Basileae 1572, p. 87:
«Impossibile est visum rebus visis applicari per radios ab oculis egressos».
43
Alhazen assume qui la dottrina, di origine stoica, secondo cui i raggi devono essere
materiali affinché abbia luogo la sensazione (cfr. Federici Vescovini, Studi…, cit., p. 116).
44
Alhazen, De aspectibus, I.5 (23), in Opticae thesaurus…, cit., p. 14.
45
Perspectiva communis, cit., p. 126.
46
De generatione animalium, V.1, 780a 5-15.
47
Pecham, Perspectiva communis, cit., p. 128.
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48
Ad Eugenio Garin va il merito di aver individuato il legame dei testi del f. 729v con la
Perspectiva communis (e dietro di essa con Bacone). Cfr. il suo Il problema delle fonti del
pensiero di Leonardo (1953), in Id., La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze
1961, pp. 400-1n. Cfr. anche Kemp, Leonardo and the Visual Pyramid, cit., pp. 133 s.
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nervo forato che va dentro alle intrinsiche virtú, il quale è pieno della virtú
imprensiva e giudiziale che capita al comun senso» (729r). Non importa
che, come tutti, Leonardo sbagli nell’immaginare un nervo cavo (che
permettesse il passaggio degli spiriti visivi: eredità galenica): è un fatto che
questo abbozzo di discussione – tutto basato su Pecham – si colloca su di un
piano diverso dagli altri «esempli», in quanto ricava la funzione dell’occhio
dalla sua struttura, e non invece postula la funzione (evitando di discutere la
struttura) sulla base di una metafisica precostituita. È un fatto, in ogni modo,
che in quel foglio è questo l’unico passaggio contrario alla tesi estromissiva
e che è ancora a quest’ultima che va la preferenza di Leonardo. Non è un
caso che nel verso si trovi un’altra descrizione della funzione dell’occhio,
articolata anch’essa sul piano di discussione dei «matematici» (e non dei
maghi), ma chiaramente finalizzata a sostenere la plausibilità
dell’estromissione. Leonardo cerca di spiegare «come le linie radiose
portano con sé la virtú visiva insino alla loro repercussione»:
|84| Questa nostra anima ovvero senso comune, il quale i filosafi affermano fare sua
risiedenza nel mezzo del capo, tiene le sue membra spirituali per lunga distanzia lontane
da sé, e chiaro si vede nelle linie de’ razzi visuali, i quali, terminati nell’obietto, immediate
dànno alla lor cagione la qualità della forma del lor rompimento (729v).
Qui emerge con chiarezza non solo la subordinazione della ricerca ottica a
un’idea filosofica piú generale, ma anche il fatto che questa poggia sull’idea
di spirito. Le virtú spirituali, sulle quali si fonda la ricerca di Leonardo negli
anni Novanta, e che dopo il 1500 si trasformeranno in «nulla», sono a questa
altezza – all’inizio dell’ultimo decennio del Quattrocento – attingibili al
momento della loro genesi da un’idea piú generale di spirito: le «membra
spirituali» – di cui l’occhio è solo un caso – sono organo dell’anima e suo
legame operativo con la sfera corporea. In questo momento prevale dunque
ancora, almeno in parte, l’idea che le potenze presenti in natura siano
riconducibili a un’unica radice, lo spiritus, e che di conseguenza l’intervento
di queste nozioni nelle varie indagini equivalga alla riaffermazione
dell’universale validità di questa tesi filosofica (che poi è anche quella di
Marsilio Ficino e di tanti filosofi quattrocenteschi). E, si può aggiungere, di
questa tesi magica, dato che lo spiritus phantasticus o imaginarius è il
veicolo grazie al quale l’anima agisce a distanza sul corpo e
sull’immaginazione altrui49. Ma è chiaro, al contempo, che ci troviamo su di
49
Su questo punto la bibliografia è ingente. Mi limito a rinviare a C. Luporini, La nozione
di ‘spirito’ e le sue implicazioni nella tradizione giunta a Leonardo, in Id., La mente di
Leonardo, Firenze 1953, pp. 81-106, D. P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from
Ficino to Campanella, London 1958, L. Thorndike, Imagination and Magic. The Force of
Imagination on the Human Body and of Magic on the Human Mind, in AA. VV., Mélanges
Eugène Tisserant, Vol. VII.2, Città del Vaticano 1964, pp. 353-58, P. Zambelli,
L’immaginazione e il suo potere. Desiderio e fantasia psicosomatica e transitiva (1985), in
Ead., L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Milano 1991,
pp. 53-75, E. Garin, Il termine ‘spiritus’ in alcune discussioni fra Quattrocento e
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Cinquecento, in Id., Umanisti artisti scienziati, Roma 1989, pp. 295-303, Id., ‘Phantasia’ e
‘imaginatio’ fra Ficino e Pomponazzi, ivi, pp. 305-17.
50
Cfr. Leonardo, Scritti, cit., p. 165 e Scritti letterari, cit., pp. 169 s.
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51
Sullo scenario rimando in generale a E. Garin, Ricerche sull’epicureismo del
Quattrocento (1959), in Id., La cultura filosofica…, cit., pp. 72-86, ma anche al suo La
letteratura ‘solare’ e l’orazione al Sole di Giuliano (1957), in Id., Studi sul platonismo
medievale, Firenze 1958, pp. 190-215, in partic. p. 195, dove si parla di «una curiosa
contaminazione di naturalismo presocratico e di misticismo neoplatonico» a proposito della
«teologia» dei «nuovi filosofi».
Chi ha suggestivamente sostenuto che la morale di Leonardo, legata alle coppie di contrari
(vita/morte ecc.) e non al nesso materia/forma, non sia stoico-provvidenzialistica, ma
democritea, è G. De Santillana (Léonard de Vinci et ceux qu’il n’a pas lus, in AA. VV.,
Léonard de Vinci et l’expérience scientifique au seizième siècle, Paris 1953, pp. 43-59 =
50), senza peraltro addurre prove documentali, e trascurando il volgarizzamento Vita de’
filosofi (pubblicato a Venezia nel 1480) che compare sia (al n. 27) nella lista del Codice
Atlantico, 559r (c. 1490-91), sia (al n. 61) in quella del Madrid II, 2v-3v (c. 1503), dove
Leonardo avrebbe potuto pur sempre leggere la vita di Democrito (IX.7), con l’esposizione
delle sue tesi fondamentali. Piú recentemente il tema del ‘Leonardo presocratico’ è stato
ripreso da J. O. Fleckenstein, che ha però concluso per il suo sostanziale platonismo
(Lionardo und die Kosmologie der Antike, in AA. VV., Leonardo nella scienza e nella
tecnica, Firenze 1975, pp. 31-35 = 32).
Leonardo non poteva, comunque, ignorare il Democrito dantesco, tra gli «spiriti magni» del
Limbo (Inferno, IV.136) accanto, tra gli altri, ad Eraclito; e si noti che Democrito ed
Eraclito conobbero – come raffigurazione dell’opposizione pianto/riso – una fortunata
tradizione iconografica nella quale Leonardo ebbe un ruolo non secondario: cfr. F. Paliaga,
Riflessioni a margine su ‘Eraclito e Democrito’ di Bramante e l’influenza di Leonardo, in
AA. VV., ‘Tutte le opere non son per istancarmi’…, cit., pp. 323-36.
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52
Questa tesi in Solmi, Le fonti…, cit., pp. 202 s. (e Leonardo da Vinci, Frammenti letterari
e filosofici, a cura di E. S., Firenze 1979, p. 295).
53
Cfr. Solmi, Le fonti…, cit., p. 289, che rinvia a p. 211 dell’edizione parigina 1534 del
Valturio. Cfr. anche C. Vecce, Leonardo, Roma 1998, p. 84.
54
Il testo sulle «prime armi» non è nel terzo, ma nel quinto libro. Cfr. De rerum natura,
V.1283: «arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt».
55
Arundel, P 1r (155v).
56
Cfr. ad es. Ms. F, 52v (c. 1508): «Se la terra fussi sperica nessuna parte di quella sarebbe
scoperta dalla spera dell’acqua […] Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare e il
contrario son le cime dei monti. Seguita che la terra si farà sperica e tutta coperta
dall’acque, e sarà inabitabile». Cfr. anche ivi, 84r: «Del mondo. Ogni grave attende al basso
e le cose alte non resteran in loro altezza, ma col tempo tutte discenderanno; e cosí col
tempo il mondo resterà sperico e per conseguenza fia tutto coperto dell’acqua, e le vene
sotterranee resteranno immobili».
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Sguardo retrospettivo
Proviamo, in conclusione, a ripercorrere rapidamente le tappe che ho tentato
di scandire. Esse sono tutte alimentate, orientate e attraversate dalle tensioni
interne e dalle conseguenti metamorfosi di una nozione dominante: quello
«spirito» che si definisce in questo foglio del 1480 come l’ultimo bastione
metafisico di chi sostiene la presenza in natura di una provvidenzialità e di
una legalità sensata. Si potrebbe quindi dire che tutto l’itinerario intellettuale
di Leonardo è una meditazione attorno alle aporie presenti in questo
concetto, e che tutta la sua terminologia filosofica, afferente agli ambiti piú
diversi, come si è visto, della filosofia naturale – potenze, forza, impeto,
termine, nulla, ecc. – va compresa a partire da queste aporie e a partire dalle
trasformazioni continue da esse innescate. Ma proprio il fatto che lo spirito
da una parte viene appropriato da Leonardo, dall’altra viene sentito come
57
Pedretti, Codex Atlanticus…, cit., ad loc., aveva datato questo foglio c. 1505-6, ma è ora
incline (sua comunicazione epistolare) «a spostarlo verso il 1508-10, anche per il rapporto
con il 197 v, che si presenta con analogo ductus e che contiene simile riferimento alla
quintessenza».
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58
Se questo è vero, nonostante le apparenze anche in Arundel, P 1v, come negli altri fogli-
laboratorio, la tensione viene lasciata aperta e non c’è una scelta per una delle due
posizioni.
59
Carlo Dionisotti ha sottolineato con forza e ampiezza di argomenti il naturalismo
radicale e l’anti-umanesimo di Leonardo: entro i limiti che ho tentato di segnare, questa
caratterizzazione può qui essere accolta. Cfr. il suo Leonardo uomo di lettere, in “Italia
medievale e umanistica”, V (1962), pp. 183-216 (= 187, 198 s.).
60
Sui diluvi cfr. ora l’ottima ricostruzione di Fehrenbach, Licht und Wasser…, cit., pp. 291-
331.
24