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Emanuele Conte
Storia per giuristi. Le discipline storiche nella formazione e nella
cultura dei giuristi fuori d’Italia
Per rispondere alla richiesta - che mi onora - di riferire alla Società intorno
al ruolo delle discipline storico giuridiche in una prospettiva internazionale, devo
formulare un paio di premesse che delimitino il campo del discorso, che
altrimenti sarebbe davvero troppo ampio.
1Osservazioni penetranti dalla prospettiva romanistica in Massimo Brutti, I romanisti italiani in Europa, in
Annuario di diritto comparato e studi legislativi, 5 (2014), pp. 211-254.
2.
Credo si possa iniziare il nostro breve viaggio dalla Germania, che è la culla
della Storia del Diritto, e insieme il paese europeo che investe di più in ricerca e
formazione.
Grazie a questi investimenti, che sono rimasti considerevoli anche in
periodi di grave o gravissima crisi economica del paese, la Germania ha creato e
continua a finanziare l’unico istituto di ricerca pura destinato specificamente alla
Storia del Diritto, il Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte di
Francoforte. Seguire le principali propensioni scientifiche di questo istituto può
essere istruttivo per comprendere l’orientamento culturale che l’accademia
tedesca ha adottato nei confronti della nostra materia.
Fin dalla sua fondazione nel 1964, l’Istituto ha proposto un rilancio in
grande stile della tradizione tedesca nella storia del diritto. Il progetto del primo
direttore, Helmut Coing era maturato negli anni del dopoguerra, influenzato
dalla celebre posizione di Koschaker sulla funzione “civilizzatrice” del diritto
romano in Europa2, dalle spinte politiche verso una unificazione del continente e
dalla convinzione del valore unificante di una consapevolezza storica di lungo
periodo sul diritto del continente.
Rilanciando e rinnovando la prospettiva proposta da Koschaker, Coing vide
nel Medioevo Latino3 il grande tronco comune sul quale era possibile impiantare
una nuova visone del diritto europeo. Ottenne dalla Max-Planck-Gesellschaft la
fondazione di un istituto dotato di imponenti mezzi finanziari e di un certo
numero di posti di collaboratore per realizzare quella grande rilettura della storia
giuridica europea che dal 1973 in poi prese la forma del grande Handbuch
pubblicato dall’Istituto.
Per quanto rinnovata ed adattata alle esigenze politiche degli anni Sessanta,
l’idea di Coing era erede della tradizione tedesca, ed ebbe successo perché
2 Europa und das römisches Recht fu pubblicato per la prima volta nel 1947, poi ebbe diverse ristampe postume e
la traduzione italiana nel 1962 ad opera di A. Biscardi nella collana “I classici del diritto” diretta da Francesco
Calasso, che redasse anche una prefazione. Il libro riprendeva un precedente lavoro, P.K., Die Krise des
römischen Rechts und die romanistische Rechtswissenschaft, München und Berlin, s.d. ma 1938 (Schriften der
Akademie für Deutsches Recht. Gruppe Röm. Recht und fremde Rechte, 1). Sulla figura di Koschaker e su
talune ambiguità della sua difficile posizione di fronte al regime e all’ideologia nazista T. Giaro, Aktualisierung
Europas. Gespräche mit Paul Koschaker, Genova 2000.
3 Nel 1952 Coing aveva recensito per la Savigny Zeitschrift (RA 69, 530-533) un libro che non era certo di
diritto, ma che egli riteneva importante per la consapevolezza storica degli storici del diritto in quegli anni di
ricostruzione. Era il bellissimo volume di Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, uscito nel
1948. Curtius proponeva una visione che per Coing avrebbe dovuto orientare anche gli studi di storia del
diritto nel dopoguerra: superare le partizioni nazionali e le cronologie troppo rigide, e rivalutare la funzione
unificante dell’ideale rappresentato da Roma avrebbe consentito di proporre una storia del diritto europea e
di contribuire al processo di fondazione della nuova identità post-nazionalistica.
3.
rilanciava al livello europeo l’idea di storia del diritto che la Germania aveva
elaborato per la propria cultura giuridica nazionale. Poneva al centro della ricerca
il diritto privato, tendeva a presentare un quadro ordinato delle fonti che era
necessario conoscere per ricostruire la storia della scienza, annetteva valore
fondativo all’età del diritto comune, che costituiva il momento unificante della
tradizione europea, destinata poi a diramarsi nelle culture giuridiche nazionali.
e la sua visione della storia giuridica è assai più vicina a quella della
germanistica che al diritto romano. Così, l’interesse predominante per le
strutture giuridiche dello Stato moderno tendono a ridurre, nella sua visione,
l’importanza del Medioevo e della dogmatica privatistica che costituiva invece il
fulcro dell’attività scientifica dell’Istituto negli anni precedenti.
D’altra parte anche gli storici del diritto più legati alla visione di lungo
periodo a al diritto romano si interessavano sempre più alle ricerche di sociologia,
lanciando progetti di rilettura storica delle dinamiche fra diritto e società. Non
trascuravano completamente, però, la tradizionale attenzione per le fonti:
nell’Istituto trova spazio una selezionata équipe di bizantinisti che si dedica
all’edizione critica di fonti orientali, mentre gli interessi pubblicistici e
amministrativistici di Stolleis promuovono edizioni di ordinamenti di polizia
dell’età moderna, schiudendo agli studiosi un universo di regolazioni minute
attraverso le quali i poteri centrali e locali disciplinano la vita sociale ed
economica delle comunità territoriali.
La Rechtswissenschaft, che era stata la grande protagonista delle ricerche della
storiografia giuridica tedesca per due secoli, comincia ad arretrare sullo sfondo, e
con essa la stagione del diritto comune, che in Germania si intendeva
tradizionalmente come epoca fondativa di un diritto propriamente scientifico.
Kötz non scrisse l’articolo. Spiegò i motivi del suo rifiuto in un altro saggio,
che pubblicò4 per la Juristenzeitung, che si apre con l’osservazione di Radbruch
che “le discipline che hanno occasione di occuparsi della propria dottrina
metodologica sono discipline malate”. Affermazione estrema, precisa Kötz; e
tuttavia, se forse non sono malate le discipline che si interrogano sul proprio
metodo, certamente lo sono quelle che formulano dubbi sulla propria “utilità”.
Nella sua visione, la storia del diritto marciava al fianco del diritto comparato nel
fornire alle discipline giuridiche - purtroppo sempre più professionalizzate - un
sostegno culturale adeguato, indispensabile per guidarle nel passaggio dalla
prospettiva nazionale a quella continentale. La storia dunque, insieme alla
comparazione, poteva offrire ai giuristi la consapevolezza dell’unità culturale del
continente. Come non vedere dietro a questa posizione una nuova
reinterpretazione della proposta di Koschaker, già rilanciata da Coing?
L’idea delle “discipline gemelle” venne infatti riproposta dal successore di
Kötz, il nuovo direttore dell’Istituto di Amburgo Reinhard Zimmermann, che si
trovò a rispondere, una decina d’anni più tardi, a una domanda molto simile a
quella che il suo predecessore aveva criticato.
Da Francoforte, infatti, si tornò ad aprire il dibattito sulla funzione della
storia del diritto. Dopo la chiusura del Rechtshistorisches Journal è stata la nuova
rivista del MPI, sotto la direzione di M.Th. Fögen, a rilanciare la questione in
modo ancora più esplicito, intorno alla domanda domanda: “Wozu
Rechtsgeschichte?”5
Così, nel 2003, undici anni dopo Hein Kötz, anche Reinhard Zimmermann
si sentì interpellare sull’utilità della storia del diritto per il comparatista, e la sua
risposta fu molto chiara: come ha dimostrato in una serie di lavori, diceva
Zimmermann, “conoscenze storico giuridiche possono facilitare la comprensione
del diritto vigente … pertanto la Storia del diritto può avere un significato attuale.
Ci può mostrare come e perché il diritto si è sviluppato così come noi lo
troviamo oggi”. “Questo compito della Storia del diritto è particolarmente
importante nei momenti di cambiamento. Noi stiamo vivendo in questo
momento uno di tali momenti di cambiamento nel campo del diritto privato e
della dottrina del diritto privato: tutti e due si stanno europeizzando”6 .
4 Was erwartet die Rechtsvergleichung von der Rechtsgeschichte?, in Juristenzeitung 47-1 (1992), pp. 20-22.
5 La rivista Rechtsgeschichte è disponibile interamente in accesso aperto sul sito del MPI für europ.
Rechtsgeschichte. Il dibattito su “Wozu Rechtsgeschichte” si trova nei numeri 3 (2003) e 4 (2004): http://
rg.rg.mpg.de/de/Rg03 e http://rg.rg.mpg.de/de/Rg04.
Il suo progetto sta avendo un cospicuo successo: egli dirige da anni l’istituto
Max-Planck per il diritto comparato di Amburgo, e recentemente un
comparatista che era stato suo collaboratore, Stephan Vogenhauer, è stato
designato dalla Max-Planck Gesellschaft come secondo direttore dell’Istituto per
la storia del diritto europeo di Francoforte, accanto a Thomas Duve.
Il “gemellaggio” (per riprendere Kötz) con il diritto comparato sembra
dunque sostenere le discipline storico giuridiche in Germania. La formula sembra
semplice ed efficace: se il diritto comparato prolifera, al suo seguito si sviluppano
anche le discipline storico giuridiche.
Il che consente alla storia del diritto di giocare il proprio ruolo fra le
discipline giuridiche, come aveva previsto 23 anni fa Hein Kötz.
7 La proposta metodologica di Reinhard Zimmermann ha suscitato un ampio dibattito, che non può essere
riassunto qui. Basti rinviare alle osservazioni di P. Caroni, La solitudine dello storico del diritto, Milano, Giuffré,
2009 (tr. it degli originali tedesco e spagnolo del 2005 e 2006), ove ulteriore bibliografia.
8Roman Law, contemporary Law, European Law, Oxford University Press 2001, riprende il testo delle Clarendon
Lectures, tenure a Oxford nel 1999.
9 R. Zimmermann, Roman Law, cit., 10-11. Cfr. Hermann U. Kantorowicz, Probleme der Strafrechtsvergleichung,
in Monatsschrift für Kriminalpsychologie, 4 (1908), pp. 108.
7.
Il Handbuch prodotto dall’Istituto, infatti, era dedicato alle fonti, riproponendo una versione ammodernata
11
della vecchia “storia esterna del diritto”. Coing però restò legato alla storia dogmatica, come dimostra il suo
Europäisches Privatrecht, nel quale si trovano pezzi ripresi pari pari da Windscheid.
12Thomas Duve, German Legal History: National Traditions and Transnanional Perspectives, in Max-Planck-Institute
for European Legal History Research Paper Series, 2014-05, pp. 16-48 (Open Access).
13Perspektiven der Rechtswissenschaft in Deutschland. Situation, Analysen, Empfehlungen Drs. 2558-12. Hamburg 09
11 2012, in Open Access. Cfr. spec. pp. 32-33.
8.
giuridica che sia concentrata soltanto sulla cosiddetta “evoluzione” degli istituti
giuridici appare così ormai funzionale ad una visione “interna” del fenomeno
giuridico, il quale invece ha bisogno di aprirsi al rapporto con le scienze che
studiano le dinamiche sociali. Trasferito sul piano storico, il bisogno di apertura si
traduce in un approccio che intenda la “storia” come l’insieme delle dinamiche
sociali e culturali analizzate in un certo tempo e in un certo ambito geografico.
Un recente intervento di Susanne Lepsius sottolinea proprio le voci che
hanno richiamato le discipline storiche a svolgere una funzione contestualizzante
nell’ambito delle scienze giuridiche, accostandosi più alla sociologia e alla filosofia
del diritto che alle materie strettamente dogmatiche14 . Le riflessioni sulla
formazione del giurista in Germania, e di conseguenza i piani didattici delle
Facoltà giuridiche, inseriscono la Storia del diritto nel novero delle
Grundlagenfächer, i fondamenti del diritto, che comprendono tutte quelle che noi
chiamiamo materie culturali per giuristi. Materie che anche nella prospettiva di
una preparazione rivolta alle professioni giuridiche sono sembrate da rinforzare,
non tanto per permettere una migliore comprensione delle logiche interne al
diritto, quanto per educare alla valutazione dei rapporti del diritto tecnicamente
compreso con la cultura, la politica e la società.
14S. Lepsius, Stellung und Bedeutung der Grundlagenfächer im juristischen Studium in Deutschland - unter besonderer
Berücksichtigung der Rechtsgeschichte, in Zeitschrift für Didaktik der Rechtswissenschaft 3 (2016), 206-241, in part.
216-17.
15J. Rückert, Zeitgeschichte des Rechts: Aufgaben und Leistungen zwischen Geschichte, Rechtswissenschaft,
Sozialwissenschaft und Soziologie, in ZSSt GA 115 (1998), 1-85; Lepsius, op. cit., 225-226.
16Una riflessione su questo processo e sull’attenzione che si è ad esso riservata da parte della scienza e
dell’educazione giuridica nella postfazione di Bernd Rüthers alla sesta edizione del suo fondamentale Die
unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der Privatrechtsordnung im Nationalsozialismus (prima ed. 1968), Tübingen
2005, 477-499.
9.
La dinamica che oppone una storia del diritto vista come “evoluzione di
istituti giuridici” ad un’approccio che valuta il fenomeno giuridico nel quadro dei
contesti sociali che vuole regolare si osserva anche in Francia.
Qui, la struttura particolarmente complessa delle istituzioni pubbliche di
insegnamento superiore favorisce una più evidente polarizzazione delle due
tendenze: da una parte c’è l’ambiente scientifico e didattico offerto dalle facultés
de droit, dall’altro quello, variegato e sperimentale, proposto dalle grandi écoles.
17Una critica della tradizionale narrazione riproposta dagli storici del diritto francesi in J.-L. Halpérin, Est-il
temps de déconstruire les mythes de l’histoire du droit Français?, in Clio et Thémis, 5 (2012), in accesso aperto.
10.
italiani da decenni, sta avendo oggi una certa rivalutazione presso di noi e presso i
nostri colleghi giuristi18.
Yan Thomas era un giurista. Aveva servito alcuni anni nella magistratura,
che aveva lasciato per seguire il suo interesse per il diritto romano. Iniziò a
insegnare Histoire du droit a Rouen, ma i suoi lavori avevano attratto l’attenzione
di intellettuali di diverse discipline, ben al di là del cerchio dei giuristi. Nel 1989
fu eletto Directeur d’études all’EHESS, dove era allora l’unico giurista nel seno di
una comunità di studio molto selezionata che comprendeva storici, filosofi,
antropologi, sociologi.
Pur se Yan si sentiva innanzitutto giurista 19, egli sapeva che la sua
particolare visione della storia del diritto non avrebbe trovato adeguata
accoglienza all’interno delle facoltà di diritto, troppo legate all’insegnamento
tradizionale.
Io credo che il suo cruccio fosse proprio quello di essere un romanista tutto
diverso da quello descritto da Zimmermann. Non era un erudito perduto nelle
ricerche di dettaglio, ma conosceva analiticamente le fonti giuridiche romane,
alle quali accostava un forte interessamento per fonti meno praticate dagli storici
giuristi: le iscrizioni, le monete, le opere letterarie dell’antichità. Antichista, era
affascinato dalla scolastica medievale, tanto da lavorare a stretto contatto con
medievisti come Legendre, Chiffoleau, Mayali e (infimo fra gli altri) il
sottoscritto.
E d’altra parte sapeva interessare profondamente i giuristi puri: Olivier
Cayla, costituzionalista, ha scritto insieme a lui uno dei suoi libri più noti, Le droit
de ne pas naitre, tradotto anche in Italiano20 . Marie Angèle Hermitte, Olivier
Beaud, Stéphane Rials, Florence Bellivier, Otto Pfersmann, per citare solo alcuni
nomi, dialogavano con lui e talvolta comparivano ai suoi seminari all’École des
Hautes Études di Parigi. Non mancavano gli interlocutori anche fra i giuristi
italiani: da Stefano Rodotà a Giorgio Resta.
Va ricordato però che, accanto a giuristi di spicco, il suo lavoro ha ispirato
anche intellettuali non giuristi: da Giorgio Agamben a Bruno Latour, da Carlo
Ginzburg a John Scheidt, e Alain Boureau, Nicole Bériou, Christiane Klapisch, e
ancora molti altri.
18 Di recente l’editore Quodlibet ha pubblicato le traduzioni italiane di due suoi saggi apparsi in Francia in
forma di articolo, in traduzione curata da Michele Spanò:Y. Thomas, Il valore delle cose, a c. di Michele Spanò
(con un saggio di Giorgio Agamben), Macerata 2015; Id., Fictio legis. La finzione romana e i suoi limiti medievali, a
c. di M. Spanò (con un saggio di M. Spanò e M. Vallerani), Macerata 2016.
19Aldo Schiavone, L’Italie de Yan, in Aux origines des cultures juridiques européennes. Yan Thomas entre droit
et sciences sociales, Roma (Ecole Française de Rome), 2013, pp. 15-19, p. 17.
20 Yan Thomas, Olivier Cayla, Il diritto di non nascere. A proposito del caso Perruche, Milano (Giuffré), 2004.
11.
21 È noto che il caso Perruche, giunto fino al Conseil constitutionnel, muove dalla richiesta di risarcimento per
l’errore medico che determinò la decisione di Perruche di non interrompere la gravidanza che avrebbe dato
alla luce suo figlio gravemente handicappato.
12.
22Yan Thomas, L’extrême et l’ordinaire. Remarques sur le cas médiéval de la communauté disparue, ora in Y.Th., Les
opérations du doit, édition établie par Marie Angèle Hermitte et Paolo Napoli, Paris (EHESS), 2011, pp.
207-237.
23Nel suo libro Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita, Vicenza 2011, Giorgio Agamben riprende
alcune delle suggestioni emerse in questi ultimi seminari di Yan Thomas.
24 Si veda ad esempio la polemica relativamente recente fra André Castaldo, Jacques Krynen e Gérard
Giordanengo sul valore del diritto comune in Francia: A. Castaldo, Pouvoir royal, droit savant et droit commun
coutumier dans la France du Moyen Age. A propos de vues nouvelles. I. Le roi est-il le maitre du droit privé, via le droit
romain?, in Droits, 46 (2007), pp. 117-158; II. Le droit romain est-il le droit commun?, in Droits, 47 (2008), pp.
173-247. Castaldo polemizza con J. Krynen, Jus commune et “droit commun” en France, du XIIIe au XVe siècle, in
Droit romain, jus civile et droit français, ed. Krynen = Etudes d’histoire du droit et des idées politiques, 3 (1999),
pp. 219-247; e con G. Giordanengo, Le droit romain, droit commun de la France, in Droits, 38 (2003), pp. 21-35.
Una risposta a Castaldo in Y. Mausen, A demonio merediano? Le droit savant au parlement de Paris, in Droits, 48
(2009), pp. 159-177.
13.
25Dopo Yan Thomas, all’EHESS ci sono tre stranieri: Paolo Napoli, Rainer Kiesow e (a tempo parziale) il
sottoscritto. All’ENS insegna J-L. Halpérin, a SciencesPo Fréderic Audren, all’école des Chartes Patrick
Arabeyre, all’école Pratique, ha insegnato Pierre Legendre e insegna ora Laurent Mayali.
26 Per limitarci all’EHESS, dopo Olivier Cayla vi si è trasferito ora anche Otto Pfersmann.
27 L’espressione è di Yan Thomas, Le sujet de droit, la personne et la nature, in Le Débat, 100 (1998), p. 106;
ripresa da O. Beaud, Que peut apprendre un juriste de droit public en lisant Yan Thomas?, in Aux origines, cit., pp.
117-149, p. 146).
14.
28Purtroppo in Italia le Università godono di un’autonomia finanziaria più ampia che altrove (ad esempio in
Francia), ma non conservano per nulla un’autonomia culturale. È singolare che proprio l’autonomia culturale
non sia affatto perseguita dai professori, che altrove ne sono invece gelosi.
29Una buona sintesi in M.H. Hesselink, La nuova cultura giuridica europea, a c. di G. Resta, Napoli 2005, pp. 35
e ss.
30Cfr., per un orientamento generale, J.E. Herget e S. Wallace, The German Free Law Movement as the Source of
American Legal Realism, in Virginia Law Review 73 (1987), pp. 399-455; J.E. Grise, M. Gelter, R. Whitman,
Rudolf Jhering’s Influence on Karl Llewellyn, in Tulsa Law Review 48-1 (2012), pp. 93-116;
15.
Da due storici del diritto assai diversi fra loro, ma entrambi insoddisfatti
nei confronti del dogmatismo della pandettistica, venivano dunque le suggestioni
verso il Freirecht, negli anni fecondi e tragici che separano il disastro del ’18
dall’ascesa del nazismo. Gli studi eruditi sule fonti medievali non sono estranei a
questa posizione metodologica originale: Kantorowicz, in particolare, fu spinto a
rivalutare l’autonomia del giudice e la rilevanza della casistica giudiziaria dai suoi
lavori storico-filologici sul testo del Tractatus de maleficiis di Alberto Gandino, che
faceva parte di una letteratura medievale poco considerata dalla pandettistica
perché poco si prestava alle ricostruzioni dogmatiche.
31Ora, come abbiamo visto, il Wissenschaftsrat invita a recuperare il rapporto interdisciplinare proprio con
quelle scienze che all’inizio del Novecento si sono staccate dalla cultura giuridica, lasciandola tutto compreso
piuttosto isolata all’interno delle discipline che studiano la società.
32St. M. Feldman, The Transformation of an Academic Discipline: Law Professors in the Past and Future (or Toy Story
Too), in Journal fo Legal Education 54 (2004), pp. 471 e ss., p. 493.
16.
Ben noto il saggio di H.K., Was ist uns Savigny?, in Recht und Wirtschaft, 1 (1911/12), uscito anche come breve
33
formazione clinica, cioè basata su veri casi trattati all’interno delle strutture
universitarie per l’addestramento degli studenti. Si tratta - sia detto per inciso - di
una pratica davvero professionalizzante, perché insegna agli studenti a
confrontarsi con la realtà autentica della professione. Ma diminuisce gli spazi
disponibili per lo studio delle materie teoriche, fra le quali vi sono anche quelle a
forte contenuto storico.