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La comunicazione non violenta (chiamata anche Comunicazione Empatica) si basa sul principio che

sentire empatia faccia parte della nostra natura e che le strategie violente, siano esse fisiche o
verbali, sono comportamenti appresi, che la cultura prevalente insegna e sostiene allontanandoci da
noi stessi e dagli altri.
La comunicazione empatica consiste dunque nel porsi in relazione con l’altro, a partire da uno
sforzo di comprensione delle sue parole e dei comportamenti, non scisso dalla capacità di sentire
quello che prova interiormente. L’ascolto del messaggio e di noi stessi viene compreso in un unico
processo, suddiviso da Rosenberg in quattro passi. I quattro passi devono essere pensati come
momenti per mezzo dei quali si ‘rallenta’ la ricezione del messaggio: piuttosto che cadere
nell’automatismo di percepire il comportamento/messaggio dell’altro come un ‘colpo diretto’ al
quale si reagisce con un altro ‘colpo’, i quattro passi permettono di attutire la ‘violenza’ dell’input
esterno. Cercare di ‘filtrare’/ ‘attutire’ ciò che proviene dall’esterno con gli strumenti della
comunicazione nonviolenta permette di non essere mossi passivamente dagli automatismi acquisiti
più o meno inconsciamente dai modelli educativi e autoritari interiorizzati nel passato.
Il processo di comunicazione nonviolenta può essere utilizzato in tre modi:
- Comunicare con noi stessi in modo oggettivo. Distinguere i bisogni che stanno alla base dei nostri
pensieri e dei nostri sentimenti (auto-empatia).
- Ascoltare i messaggi dell'interlocutore senza formulare giudizi. Individuare i bisogni che
sottendono la comunicazione (empatia).
- Esprimersi autenticamente. L'interlocutore sarà favorito nella comprensione del messaggio (auto-
espressione onesta).
E’ un processo di comunicazione, autentico e assertivo, indirizzato al benessere generale, proprio e
degli altri, strutturato in 4 fasi:
1) Stare ai fatti. In qualsiasi situazione è importante sforzarsi anzitutto di osservare con la massima
imparzialità e neutralità emotiva quello che sta effettivamente accadendo e non quello che pensiamo
stia accadendo: cosa stanno dicendo o facendo, esattamente, le persone coinvolte? Il trucco sta
nell’essere capaci di articolare le nostre osservazioni senza aggiungervi, esplicitamente o
implicitamente, nessun tipo di giudizio, di valutazione, o di interpretazione, ma dire semplicemente
quello che si può vedere.
2) Dichiarare sentimenti ed emozioni. Come ci sentiamo quando osserviamo i fatti di cui stiamo
parlando? Siamo feriti, impauriti, contenti, divertiti, irritati, ecc.? Sentimenti, emozioni e sensazioni
sono indicatori di bisogni soddisfatti o insoddisfatti. In generale, quando i nostri bisogni vengono
soddisfatti, proveremo e ci esprimeremo con emozioni collegabili alla gioia o sentimenti legati
all’amore, mentre quando i nostri bisogni non sono soddisfatti, come nel mezzo di un conflitto,
individueremo ed esprimeremo emozioni attinenti a rabbia, tristezza o paura, o sentimenti legati
all’odio. Occorre coraggio ad esprimere un sentimento, perché rende vulnerabile, mostra una parte
intima della persona che molte volte non si vorrebbe svelare. Ne consegue che non sono i
comportamenti degli altri a essere la causa diretta dei nostri sentimenti, bensì la soddisfazione o
meno dei nostri bisogni. Le azioni dell’altro che non accetto, che provocano il conflitto tra me e lui,
possono essere lo stimolo, ma non la causa , delle mie emozioni spiacevoli, nella misura in cui
negano il soddisfacimento di un mio bisogno. Nel ricevere messaggi negativi, quindi, la reazione
più sana ed efficace non è quella di incolpare l’altro, e magari pretendere da lui un cambiamento o
incolpare se stessi, quanto piuttosto individuare ed empatizzare con i propri sentimenti, oppure
empatizzare con i bisogni e i sentimenti dell’altro.
3) Dichiarare i bisogni emergenti. Quali sono i bisogni umani fondamentali che sono soddisfatti o
insoddisfatti da ciò che accade intorno a noi, e che sono all’origine dei sentimenti e delle emozioni
che stiamo provando? Riconoscere e dichiarare i propri bisogni emergenti è essenziale per la
comunicazione, perché costituiscono l’autentico terreno comune sulla base del quale gli esseri
umani possono arrivare a stabilire una connessione empatica e quindi a comprendersi davvero. Sul
piano dei bisogni, afferma la CNV, il conflitto è impossibile. Ma attenzione, i bisogni vanno
espressi in termini positivi (“Ho bisogno di pace” e non “Ho bisogno di non sentirmi in conflitto“),
senza coinvolgere altre persone e senza fare riferimento ad azioni concrete (“Ho bisogno di…” e
non “Ho bisogno che tu…“)
4) Esprimere una richiesta specifica. Cosa vorremmo esattamente che l’altra persona facesse, per
rendere più bella e piacevole la nostra vita? Facciamoglielo sapere, non pretendiamo che ci legga
nel pensiero o che lo indovini! Ma anche qui bisogna fare attenzione: la richiesta va rivolta a una
persona specifica (“Saresti d’accordo di…” e non “Qualcuno potrebbe aiutarmi?“), deve riguardare
il presente ed essere concreta, non astratta (“Stavolta puoi lavare tu i piatti?” e non “Dovresti
aiutarmi un po’ più spesso nei lavori di casa“), va espressa in forma positiva (evitando negazioni
come “non fare questo o quest’altro”, “smetti di…”, ecc.), deve richiedere qualcosa di realizzabile
(chiedere l’impossibile è il modo migliore per non ottenere niente), e deve lasciare la scelta
(“Saresti disposto a…” e non “Voglio che tu…“).

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