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STUDI E RICERCHE SULLA GALLIA CISALPINA
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Collana diretta da

Gino Bandelli e Monika Verzár-Bass


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TRANS PADVM … VSQUE AD ALPES
Roma tra il Po e le Alpi:
dalla romanizzazione alla romanità
ATTI DEL CONVEGNO

Venezia 13-15 maggio 2014

a cura di
Giovannella Cresci Marrone

EDIZIONI QUASAR
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La pubblicazione del volume è stata finanziata grazie al fondo di cofinanziamento Prin 2009 coordinato
da Giovannella Cresci Marrone sul tema “Roma e la Transpadana: processi acculturativi, infrastrutture,
forme di organizzazione amministrativa e territoriale”.

In copertina:
Frammento bronzeo appartenente a una forma di catasto rinvenuto nel Capitolium di Verona

Tutte le relazioni pubblicate nel volume sono state sottoposte a procedura di doppia peer-review

© Roma 2015 – Edizioni Quasar di Severino Tognon srl


via Ajaccio 43, I-00198 Roma
tel. 0685358444, fax. 0685833591
http://www.edizioniquasar.it
e-mail: qn@edizioniquasar.it

ISBN 978-88-7140-606-0

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POPOLI E SPAZI ALPINI NELLA DESCRIZIONE ETNOGEOGRAFICA DI STRABONE

Elvira Migliario

Nella scia dell’ampio dibattito scientifico internazionale sulla romanizzazione, anche lo studio dei
fenomeni acculturativi e delle dinamiche dell’integrazione che hanno interessato i gruppi etnici stanziati
in area alpina o prealpina ha conosciuto uno straordinario impulso, soprattutto a seguito del notevo-
le incremento delle acquisizioni di materiali archeologici ed epigrafici registrato nel corso degli ultimi
decenni1, che da un lato ha suggerito nuove linee di ricerca, dall’altro ha stimolato a riconsiderare dati
il cui potenziale documentario era stato di fatto limitato o annullato dalla mancanza di utili elementi di
confronto. Gli studi più recenti hanno invece generalmente trascurato di riprendere in esame la cornice
istituzionale in cui si collocarono i processi culturali connessi con la romanizzazione delle Alpi, mentre
essa appare meritevole di una riconsiderazione complessiva che tenga conto sia delle evidenze epigrafi-
che e archeologiche ora eventualmente disponibili, sia di approcci teorico-metodologici messi a punto di
recente e già applicati ad altri aspetti del sistema imperiale romano. Tale riconsiderazione degli istituti e
delle pratiche via via adottati al fine di assimilare etnie e territori delle Alpi nel corpo dell’Italia romana
e dell’impero non può comunque prescindere dalla descrizione degli spazi e dei popoli alpini elaborata
dalle fonti letterarie antiche (in particolare Strabone e Plinio), assunte quali indicatori delle conoscenze
etnogeografiche che in grado e a livello differente avevano fornito la base teoretica dell’intervento roma-
no. Le stesse categorie descrittive e interpretative utilizzate dagli autori di età imperiale sono esplicative
di una rappresentazione delle diverse realtà alpine dalla quale da un lato avevano tratto legittimazione le
operazioni militari, e che dall’altro giustificava e anticipava, o in taluni casi presupponeva, i vari provve-
dimenti amministrativi applicati alle zone assoggettate.

1  Basterà qui ricordare gli studi scaturiti dalle iscrizioni, bilingui e non, di area piemontese ‘leponzia’, documenti la cui notevole
rilevanza è ora pienamente apprezzabile: Giorcelli Bersani 2002 e Cantino Wataghin 2011 (sulla stele bilingue di Vercelli);
Gambari, Solari 1999 (sulla stele di Briona); Giorcelli Bersani 2007 (sulle epigrafi valsesiane); Brecciaroli Taborelli 2011
e Cresci Marrone, Solinas 2013 (sulle iscrizioni di Cerrione). Ugualmente importanti sono parsi gli interventi recentemente
presentati al convegno Da Camunni a Romani: archeologia e storia della romanizzazione alpina (Breno-Cividate Camuno, 10-
11 ottobre 2013, a cura di S. Solano), da cui è emerso un aggiornato e utilissimo status quaestionis della ricerca archeologico-
epigrafica sulle Alpi italiane, con risultati in alcuni casi sorprendenti.
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In quest’ottica sto conducendo un riesame della sezione dedicata alle Alpi del quarto libro della
Geografia di Strabone (4, 6, 1-12), affiancato dalla lettura dei paragrafi ‘alpini’ del terzo libro della
Storia naturale di Plinio (3, 130-138)2. Da questo riesame è innanzitutto emersa con grande evidenza
l’inadeguatezza del metodo ‘combinatorio’ tradizionale, quello che mira a ottenere una descrizione il più
possibile esaustiva e coerente dei popoli e dei territori mediante l’assemblaggio e il confronto dei dati e
delle informazioni eventualmente forniti da entrambi3. Le difficoltà derivano dalla sostanziale incompa-
tibilità di due opere non soltanto scritte in due lingue e due linguaggi diversi, ma che offrono ciascuna
una rappresentazione delle Alpi e dei loro abitanti concepita ed elaborata in contesti storici e ideologici
non sovrapponibili, che utilizzano e valorizzano fonti solo incidentalmente e/o parzialmente coincidenti,
e che, soprattutto, rispondono a differenti esigenze, sia narrative sia di pubblico. Ciascuno dei due autori
risulta integrato in un proprio sistema stilistico e di contenuti, e produce un proprio discorso: in quanto
tale, è coerente solo con sé stesso e va pertanto considerato singolarmente e autonomamente4.
In linea generale si può dire che mentre in Strabone è riconoscibile la memoria recente delle opera-
zioni militari alla cui conclusione Augusto aveva avviato la riorganizzazione territoriale e amministrativa
delle Alpi, Plinio registra invece una situazione oramai stabilizzata. Infatti, nel corso dei pochi decenni
intercorsi fra la composizione del quarto libro di Strabone e quella del terzo libro dell’opera di Plinio5 non
solo il riassetto delle aree alpine si era consolidato, ma aveva potuto diffondersi una maggiore conoscenza
di zone rimaste pressoché ignote finché le guerre non le avevano portate in primo piano nell’orizzonte
degli interessi romani: la Naturalis historia, in quanto prodotto di un’epoca in cui “l’assetto dell’universo
romano era ormai compiuto”6, costituisce la testimonianza monumentale di un incremento conoscitivo
inscindibile dal controllo territoriale dell’impero, controllo che ovviamente si estendeva anche all’intera
regione alpina. Plinio può dunque limitarsi a dare poche notizie essenziali sull’etnografia delle Alpi (ben-
ché, attingendo all’opera di Catone, fosse probabilmente in grado di darne un resoconto più completo); a
sorvolare sui quadri amministrativi di riferimento, i quali sono per lo più taciuti (o solo incidentalmente
citati e/o allusi) perché estranei alle finalità espositive e narrative dell’opera; a ricordare solo pochi eventi
particolarmente rilevanti delle vicende delle popolazioni preromane, in quanto relativi a una ‘preistoria’
oramai priva di interesse per un pubblico inserito nella storia di un impero potenzialmente universale.
Qui si anticiperanno solo alcuni degli spunti interpretativi e di riflessione suscitati dalla rilettura dei
capitoli alpini della Geografia, e si farà riferimento a una casistica minima, ma sotto vari aspetti esem-
plare del modus operandi dell’autore. La descrizione straboniana – corrispondente a una lunga sezione
autonoma7 che conclude il libro dedicato alla Gallia e precede quello riservato all’Italia, e che dunque
non è paragonabile nemmeno per estensione alla sintesi di pochi paragrafi fornita da Plinio - utilizza

2  Della sezione alpino-cisalpina del terzo libro pliniano si sta specificamente occupando A. Baroni (con cui ho condiviso molte
delle riflessioni qui esposte, esito di un dialogo pluriennale su questi temi).
3  Migliario c.s.
4  Sulle differenze di metodo e di prospettiva fra i due autori si veda Thollard 2009, pp. 77-83.
5  Come è noto, la sezione alpina del quarto libro straboniano viene datata al 18 d.C. in base a 4, 6, 9 (ove l’anno corrente è
indicato esplicitamente come il trentatreesimo dalla conclusione della campagna alpina di Druso e Tiberio, cioè dal 15 a.C.); la
Naturalis historia sarebbe stata composta in “un arco cronologico esteso forse dal 50 ai primi anni settanta”: Barchiesi, Ranucci,
Frugoni 1982, p. lii; sulla descrizione pliniana dell’Italia, Bispham 2007, spec. pp. 46-53.
6  Conte 1982, p. xxi.
7  “Blocco narrativo a sé stante”: Tozzi 1988, p. 26.
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tutte le categorie interpretative presenti anche nelle sezioni della Geografia relative ad altri macrosi-
stemi montuosi, dando così forma a un racconto etnogeografico sulla montagna che all’analisi si rivela
costruito mediante stereotipi ricorrenti8. Alle Alpi viene riconosciuta la medesima funzione separatrice e
ordinatrice attribuita ad altri sistemi orografici maggiori9; Strabone le rappresenta come un enorme spar-
tiacque corrispondente a uno spazio geografico profondo e autosufficiente rispetto alle entità geografiche
limitrofe10, il cui tratto fisico più rilevante è appunto l’essere costituito da due ampi versanti, separati da
una successione ininterrotta di cime che a loro volta si articolano in almeno tre catene minori (4, 6, 9): il
sistema orografico alpino è dunque un’entità macroregionale ‘tridimensionale’ dotata di propria unità, che
si articola in un ‘al di qua’ e un ‘al di là’11.
All’interno di tale concettualizzazione, senz’altro non nuova, sono tuttavia presenti alcuni significati-
vi tratti di originalità. Innanzitutto, la rappresentazione straboniana delle Alpi implica l’avvenuto supera-
mento della definizione catoniana di “baluardo a difesa dell’Italia”, secondo la quale le creste montuose
si appiattivano lungo l’orizzonte a formare la linea di confine della penisola12; inoltre, ed è ciò che qui
maggiormente interessa, il sistema orografico alpino costituisce nel suo insieme anche un immenso siste-
ma etnografico, unitario benché articolato nei numerosi gruppi etnici che si distribuiscono su entrambi i
versanti.
Essi sono caratterizzati principalmente dal livello di acculturazione e/o integrazione giuridico-am-
ministrativa eventualmente raggiunto, che Strabone valuta in base alla distanza che separa ciascuno di
loro dall’originaria condizione di ‘barbarie’13; ma, come mi sembra emergere bene dal testo, lo status e
la considerazione più o meno favorevoli di cui essi singolarmente godono una volta concluso il processo
di annessione risultano di fatto determinati dalle modalità con cui questo si è svolto, se cioè è avvenuto
pacificamente oppure se ha richiesto l’impegno militare, secondo una schema che pare riconoscibile, pure
a fronte di una generale grave penuria documentale, nell’evoluzione diacronica della situazione giuridico-
amministrativa attestata per varie entità etnico-territoriali di area alpina e prealpina.
Le misure che dopo la conquista furono prese nei confronti delle varie etnie alpine, poi tradotte negli
istituti e nelle pratiche che vennero via via applicati e messi in atto, furono in primo luogo indotte dalle
potenzialità strategiche ed economiche delle aree coinvolte (si pensi in primis alle aree minerarie, a cui
non casualmente Strabone riserva un’attenzione particolare)14, ma senz’altro dipesero largamente anche
dalla reazione che l’ingerenza romana vi aveva provocato: nella Geografia sono riconoscibili tracce più o
meno consistenti dei differenti percorsi attraverso cui si era giunti all’annessione delle varie popolazioni

8  Tarpin 1990, pp. 101-105; Tarpin 2000, pp. 15-18.


9  Tauro (Str. 2, 1, 1; 2, 5, 31; 11, 1, 2-4; 12, 6, 1), Caucaso (11, 2, 1-2; 11, 2, 15), e Pirenei (3, 1, 3; 3, 4, 1; 3, 4, 9): si vedano
Prontera 2000; Lebreton 2005; Counillon 2007; Migliario 2011-2012.
10  Strabone aveva chiaro “il valore dell’arco alpino, quale unità regionale individualizzata da una somma di caratteri del tutto
peculiari” (Gribaudi 1928, p. 75) e considera “la catena montuosa nei due versanti un nesso inscindibile” (Tozzi 1988, p. 28).
11  Così come il Tauro divide l’Asia in regioni ‘al di qua’ e regioni ‘al di là’: Str. 11, 1, 2-4 (Prontera 2000, p. 101).
12  Cato fr. 85 Peter (4, 10 Chassignet), ap. Serv. Aen. 10, 13 (cfr. Plb. 3, 54, 2; Cic. Pis. 81, Phil. 4, 37, Prov. 34; Liv. 21, 35, 8-9;
Isid. orig. 14, 8, 18): si veda Williams 2001, pp. 55-57; 132-133; ‘lineare’ è ancora la visione che delle Alpi ha Polibio: Gabba
2001, pp. 148-149.
13  Sulla categorizzazione di ‘barbarie’ e le sue applicazioni in Strabone e in genere negli autori di cultura grecoromana, si ve-
dano: Dauge 1981; Van Der Vliet 1984; Thollard 1987; Almagor 2005; García Quintela 2007; Gruen 2010; Woolf 2011.
14  4, 6, 7 (miniere d’oro nel paese dei Salassi); 4, 6, 12 (miniera d’oro presso i Taurisci, da Plb. 34, 10, 10-14 B.-W.); ma cfr. le
miniere di Elvezi e Galli in Posidon. fr. A159a Vimercati 2004 (240a Edelstein, Kidd 19892; 402 Theiler 1982).
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nell’impero. Va comunque preliminarmente tenuto presente che ci troviamo di fronte a una narrazione
prodotta da quella prospettiva che è stata definita come “le regard des autres”, e che nel caso di Strabone,
e a maggior ragione di Plinio, coincide con lo sguardo dei vincitori15.
Strutture portanti della descrizione straboniana delle Alpi sono gli spazi geografici – a loro volta scan-
diti dagli elementi oroidrografici e dalla viabilità - e le popolazioni che li abitano, con una connessione
fra contesti geospaziali e popoli che viene dichiarata nell’incipit della sezione alpina, dove il contenuto
dei capitoli che precedono è sintetizzato come “la Celtica al di là delle Alpi e i popoli che la occupano”, e
quello della parte che va a iniziare come “le Alpi stesse e coloro che le abitano”16. Significativo è il con-
fronto con la pianura cisalpina, descritta in apertura del quinto libro, che, seppure anch’essa fortemente
caratterizzata dall’idrografia e dalla viabilità, risulta articolarsi in primo luogo intorno alle sue città, le
quali hanno assorbito o cancellato le strutture etnico-territoriali precedenti (quando, come nel caso degli
Insubri, un ethnos si mantiene riconoscibile grazie alla propria consistenza demografica, se ne dà notizia
dicendo appunto che “esiste ancora”)17.
Strabone si pone innanzitutto il problema dei limiti territoriali dello spazio alpino nella sua interezza
e, seguendo probabilmente Posidonio (forse in polemica con Artemidoro), ne pone l’inizio fra Genova e
Vada Sabatia, all’incirca dove inizierebbero anche gli Appennini, in un punto che si è proposto di identi-
ficare con il Colle di Cadibona, mentre ne pone il termine al monte Ocra, che veniva comunemente collo-
cato in un tratto delle Alpi Giulie18. L’inesattezza di queste indicazioni geo-topografiche, che costituisce
una costante delle localizzazioni oroidrografiche generalmente fornite nel quarto libro della Geografia,
impone di non dimenticare che la dipendenza da fonti spesso discordanti rende inevitabilmente inutile,
oltre che metodologicamente inopportuno, tentare di identificare con precisione luoghi dei quali Strabone
non aveva alcuna conoscenza diretta, non essendosi probabilmente mai spinto più a nord dell’Etruria.
D’altronde, la letterarietà della descrizione geografica ancora praticata da Strabone è un dato acquisito
da tempo, così come la sua estraneità all’elaborazione di qualunque strumento cartografico19; ciò tuttavia
non esclude che, come è stato di recente convincentemente ipotizzato per la Gallia transalpina, egli possa
avere consultato e utilizzato almeno due rappresentazioni cartografiche, tra loro divergenti ed entrambe
non aggiornate rispetto alla situazione di età augusteo-tiberiana20.
In ogni caso, il comune inizio delle due catene alpina e appenninica vicino a Genua viene ribadito nel
quinto libro, dove la descrizione dell’Italia, assimilata com’è noto a una figura geometrica irregolare dai lati
arcuati, più simile a un quadrilatero che a un triangolo, prende avvio dalle Alpi appunto perché Strabone le
indica come la base della figura stessa21. Di questa configurazione geografica appare di particolare interesse

15  Briquel 1997, il quale tuttavia si riferisce all’idea che dei Romani si erano costruita i loro avversari; propriamente dello
sguardo degli autori grecolatini su Celti e Galli tratta Thollard 2006.
16  Str. 4, 6, 1. Sul rapporto fra entità etnica e realtà territoriale si veda Bourdin 2012, spec. pp. 361-369; 402-428; per l’origine
e il significato del coronimo Keltiké, Garcia 2006; Thollard 2009, pp. 115-123.
17  5, 1, 6: Tozzi 1988, p. 30.
18  4, 6, 1, con le note ad loc. di Lasserre 1966. L’inizio delle Alpi dal porto di Monaco era forse proposto da Artemidoro, visto
che Polibio le faceva partire “dietro Marsiglia” (2, 14, 6), cioè alle Alpilles, che secondo l’attuale classificazione SOIUSA (Sud-
divisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino) si trovano nelle Alpi/Prealpi di Provenza. Per il monte Ocra,
Bagnara 1969, pp. 67-71.
19  Prontera 1984a, spec. pp. 251-253.
20  Moret 2014; Moret c.s. (ringrazio M. Tarpin per avermi cortesemente segnalato e procurato i due lavori).
21  5, 1, 1-3.
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che le estremità delle Alpi vengano di fatto a coincidere con i confini dell’Italia preaugustea, visto che la
Liguria ne è chiaramente considerata al di fuori. Nel quarto libro infatti, dopo avere stabilito che la catena
trova inizio nei pressi di Genua, Strabone procede trattando della Ligustiké da Monaco al Mar Tirreno: passa
in rassegna popoli e insediamenti fra Albion Intemelion e Genua, poi ritorna a quelli fra Monaco e Marsiglia
(procede dunque dapprima in senso ovest-est, poi al contrario), considerando la regione come un’entità
etnico-geografica e spaziale a sé stante; tale estraneità all’Italia trova conferma nella descrizione di Genua
come emporion in cui i Liguri scambiano i loro prodotti con quelli che arrivano “dall’Italia”22. Il punto di
inizio delle Alpi presso Genua segnerebbe dunque anche il confine italiano, con un apparente recupero
dell’idea delle Alpi confine dell’Italia che sappiamo risalire al II secolo a.C. Nel quarto libro dunque la de-
scrizione della Liguria dipende senz’altro da una fonte (Posidonio?) anteriore non soltanto allo spostamento
dei confini italiani e all’estensione dell’Italia romana fino al Var (che non a caso per Plinio segna invece sia
il confine dell’Italia sia l’inizio delle Alpi)23, ma anche alla soppressione della provincia di Cisalpina; una
prospettiva che risulta invece corretta e aggiornata in apertura del quinto libro, dove, fondandosi evidente-
mente su fonti più recenti e su proprie conoscenze dirette, Strabone afferma che la denominazione di Italia
è arrivata a comprendere anche la Liguria “dai confini dei Tirreni al Varo”24.
Nel quarto libro, l’estraneità della Liguria all’Italia viene indirettamente ribadita dalla rassegna dei
popoli, liguri e non, stanziati sui versanti alpini che affacciano sulla Keltiké25, rassegna che parte appun-
to dalla costa ligure (Ingauni, Intemelii, Oxibii e Decieti)26, poi muove verso l’entroterra fra Monaco e
Marsiglia (Sallui)27 e risale verso nord attraverso le alture della Bassa Provenza (Albii e Albioci)28 fino ai
Vocontii29, che confinano con gli Allobrogi30: questi ultimi, stanziati fra Isère, Rodano e Lago Lemano,

22  4, 6, 2. Sull’insediamento protostorico di Genova, Melli 2004.


23  Nat. 3, 132.
24  5, 1, 1.
25  Sulle trasformazioni delle società indigene e sullo sviluppo delle civitates galliche quale effetto e conseguenza dell’istituzione
della provincia di Narbonensis, Verdin 2006; Garcia 2010.
26  Ingauni e Intemelii (i rispettivi capoluoghi di Albingaunum/Albenga e Albintimilium/Ventimiglia divennero municipia in età
augustea) abitavano il litorale da Finale a Ventimiglia: Salomone Gaggero 2004; Massabò 2004; Martino 2007. Gli Oxibii/Oxu-
bii (Plb. 33, 9, 2 - 10, 1-11 B.-W.; Plin. nat. 3, 47; Ptol. geog. 2, 10, 5; Mela 2, 5; Flor. epit. 1, 19) occupavano il tratto costiero
corrispondente all’incirca all’Esterel, fra i torrenti Siagne e Argens, cioè a ovest di Grasse e Antibes, a est di Fréjus: Barruol
19752, pp. 212-215. Con questi confinavano i Decieti o Deciates (Plb. 33, 9, 2 - 10, 1-11 B.-W.; Plin. nat. 3, 47; Ptol. geog. 2,
10, 5; Mela 2, 5), stanziati nell’entroterra fra Grasse e Antibes, fra la Siagne a ovest e il Loup a est: Barruol 19752, pp. 215-217.
27  Le fonti danno grande rilievo ai Sallui/Salyes/Salluvii, ethnos ligure stanziato originariamente fra il massiccio di Vitrolles
e la catena dell’Etoile a sud e la Durance a nord, nell’entroterra di Marsiglia (Str. 4, 6, 3; Plin. nat. 3, 47; Barruol 19752, pp.
206-207), i quali, a seguito del processo di celtizzazione che interessò la Liguria transalpina nel IV-III secolo a.C. (donde la
denominazione di Keltoligyes) e che induce oramai a parlare di ‘Galli del Mezzogiorno’ anziché di ‘Celtoliguri’ (Arnaud 2008,
pp. 307-308), acquisirono una posizione di preminenza all’interno dei numerosi gruppi etnici stanziati fra il Loup a est, il basso
corso del Rodano a ovest, il Lubéron a nord: Liv. 21, 26, 3; Str. 4, 1, 11; Ptol. geog. 2, 10, 8; Avien. ora 701, su cui Maras 2004;
Salomone Gaggero 2004. Di qui l’idea di una ‘confederazione’ di popoli nell’orbita dei Sallui (Barruol 19752, pp. 187-221)
che è stata di recente oggetto di profonda revisione (Thollard 2009, pp. 140-144).
28  Stanziati intorno ad Apt, nella valle del Calavon, un affuente della Durance: Barruol 19752, pp. 273-277.
29  Dei Voconzi, stanziati in origine sulla riva destra della Durance, nel Sisteron (fra il Mont Ventoux e il massiccio del Vercors),
Strabone parla anche a 4, 1, 3 (e a 4, 1, 12), situandoli a nord del tratto Eburodonum (Embrun) - Caballio (Cavaillon) della via
Domitia, divenuta il grande asse stradale transalpino che attraverso il Monginevro collegava l’Italia settentrionale alle province
galliche e spagnole, dunque in una collocazione strategica al centro della valle della Durance che giustifica il rilievo loro attribui-
to dalle fonti fra i diversi gruppi etnici minori della regione di Gap e del Sisteron: Barruol 19752, pp. 278-283.
30  Notoriamente, il più potente e famoso fra i popoli gallici: Barruol 19752, pp. 295-305.
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fanno virare di nuovo la descrizione verso lo spazio alpino vero e proprio. A conclusione della sezione
narrativa dedicata alle entità etnogeografiche liguri e celtoliguri, la sua unitarietà è ribadita da una notizia
di carattere politico-amministrativo e di origine chiaramente recente riguardante tutti “i Liguri fra il Var e
Genova”: quelli sulla costa sono equiparati agli Italici (godono cioè del diritto romano e dell’autogover-
no), mentre a quelli dell’interno “viene inviato un prefetto di ceto equestre, così come ad altri che sono
completamente barbari”. Il passo è esemplare del metodo con cui Strabone procede, e merita attenzione
da più punti di vista: fattuale, di contenuti, perché, dipendendo evidentemente da fonti non anteriori all’e-
tà augustea, attesta che la responsabilità del governo delle civitates in Alpibus Maritimis nella fase imme-
diatamente successiva alla guerra di conquista (14 a.C.) era stata affidata a un praefectus31; ideologico e
stilistico, perché vi compare per la prima volta applicata alle etnie alpine la distinzione fra quelle oramai
approdate alla piena integrazione giuridico-amministrativa e quelle ancora “completamente barbare”32;
tecnico-compositivo, perché vi si dimostra chiaramente l’utilizzo parallelo di più fonti anche fra loro
cronologicamente assai lontane.
A quella che si può definire una vera e propria sezione alpino-ligure (4, 6, 1-4) seguono tre capitoli
che costituiscono a loro volta un nucleo narrativo a sé stante, a tema alpino-occidentale. Anche qui la ras-
segna percorre entrambi i versanti del settore considerato: le popolazioni dell’alta valle dell’Isère (Iconii
e Tricorii) e di quella dell’Arc, in Maurienne (Medulli)33 occupano il versante opposto a quello occupato
dai Taurini e da altri gruppi di etnia ligure, fra cui coloro che abitano nella terra di Donno e di Cozzio.
A questo punto Strabone produce un elenco dei popoli stanziati “dopo costoro e al di là del Po” (meta
de toutous kai ton Padon: ‘dopo’ e ‘al di là’ ovviamente per chi guarda alle Alpi muovendo dalla Liguria
alpina, cioè da sudovest)34 che comprende entrambi i versanti delle Alpi sia occidentali (Salassi, Ceutroni,
Caturigi, Veragri e Nantuati)35 sia orientali (Reti, Vennoni, Leponzi, Tridentini e Stoni). Si tratta di un’an-
ticipazione, in quanto i popoli alpini orientali verranno più diffusamente descritti nei capitoli successivi,
ma che consente di inserire il famoso passo – derivante da fonti sicuramente di età augustea – sulle attività
di ‘brigantaggio’ praticate per anni dalle popolazioni alpine ai danni degli abitanti del fondovalle italiano,
stroncate grazie alle operazioni militari e alla concomitante costruzione delle strade di valico che hanno
reso inoffensivi i montanari e reso i percorsi transalpini sicuri e agevolmente praticabili36.
L’importanza di questo passo, che è stata da più parti ampiamente sottolineata e trova riscontro nella
sua collocazione centrale all’interno della sezione alpina, deriva dalla rilevanza che Strabone attribuisce
alle strade nella storia degli spazi geografici e del loro popolamento, e di conseguenza nella rappresenta-

31  La titolatura è attestata da ILS 1349: si vedano Laffi 2001 (=1988), pp. 370-371, e Faoro 2011, pp. 124-127 e 130-131 (sulla
praefectura delle Alpi Marittime).
32  Distinzione già applicata da Strabone nei libri III e IV nella classificazione delle popolazioni galliche e iberiche: Migliario
2011-2012, p. 28. Ai popoli indicati da Strabone come teleos barbaroi sono state accostate le civitates Barbariae dell’iscrizione
di Fordongianus (Pais 1884-1888, 99 = AE 1921, 86), con una corrispondenza anche terminologica, probabilmente non casuale,
fra ‘barbari’ e governo prefettizio: Faoro 2011, p. 124.
33  Iconii, Tricorii, Medulli: Barruol 19752, pp. 318-325; 325-330; 334-337.
34  Non si tratterebbe dunque di una confusione topografica o di un’espressione maldestra (come invece ritiene Lasserre 1966,
nota ad loc.).
35  Per i Salassi, rimando a Migliario 2012 e Migliario c.s.; a Barruol 19752 per i Ceutroni (pp. 314-316), i Caturigi (pp. 340-
344), i Veragri e i Nantuati (pp. 310-311).
36  Migliario 2011-2012, p. 29-31; il tema, evidentemente molto sentito da Strabone e dalle sue fonti, è ripreso estesamente a
4, 6, 8-9.
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popoli e spazi alpini nella descrizione etnogeografica di strabone 335

zione che egli ne dà: i settori delle Alpi di cui dimostra di avere una conoscenza geografica ed etnografica
più dettagliata sono quelli attraversati dalle grandi direttrici. Esemplare è il caso del territorio dei Salassi,
la cui importanza strategica di area attraversata dalla strada che biforcandosi consente di raggiungere
l’Alpis Poenina e l’Alpis Graia giustifica almeno parzialmente37 l’ampia trattazione di cui è fatto oggetto;
ma su tutte le grandi strade che portano al di là delle Alpi Strabone tornerà nuovamente in conclusione
della sezione alpina, confrontando ammirato i valichi divenuti agibili e la rete stradale della sua epoca con
quelli dei tempi di Polibio38, pochi e tecnologicamente ‘primitivi’.
Rispetto all’accuratezza con cui tratta della rete viaria, significativa è la vaghezza che Strabone ri-
serva all’idrografia alpina: i fiumi a lui noti sono pochi, e anche per questi le sue conoscenze si limitano
ai tratti mediani e inferiori del loro corso, corrispondenti alle parti più frequentate delle rispettive valli
fluviali, che di solito coincidono con i percorsi viari: anche nei contesti montuosi viene cioè applicata la
prospettiva odologica tradizionale, secondo la quale i fiumi venivano seguiti risalendo a ritroso dal loro
punto di sbocco sulla costa; nel racconto dell’idrografia alpina non vi sono i riferimenti a schematizzazio-
ni geografiche o a coordinate spaziali che sono stati riconosciuti nella descrizione dei fiumi della Gallia
transalpina, e attribuiti all’utilizzo di carte geografiche39. Quanto alle sorgenti, la loro topografia è sempre
più o meno fantasiosa, con gravi errori e fraintendimenti che rivelano l’assenza o la penuria di informa-
zioni disponibili, e che non risparmiano neppure il Po, la cui origine è collocata addirittura nel massiccio
del Monginevro40: di conseguenza, a differenza di quanto avviene per la descrizione della Pianura Pada-
na, di cui il Po costituisce il principale elemento ordinatore41, l’idrografia non ha peso nella definizione
degli spazi alpini, né viene assunta quale criterio organizzatore del popolamento.
La descrizione delle popolazioni alpine ne prevede la collocazione e l’inquadramento in spazi che
non sono solo geoambientali, ma anche temporali. La dimensione diacronica della loro vicenda – alme-
no per quanto riguarda i popoli di cui Strabone non si limita a riportare il solo etnico - è rivelata dalla
scansione in due piani cronologici, indicati come “prima” (proteron) e “adesso” (nun); le due espressioni,
già oggetto di ampio dibattito, vengono ora comunemente interpretate intendendo nun come ‘nella mia
generazione’, ovvero ‘da cinquant’anni a questa parte’ (un arco di tempo che oltre all’attualità di epoca
tiberiana comprende anche il passato recente dell’età di Augusto), mentre gli eventi del proteron sareb-
bero collocabili in un orizzonte cronologico dai cinquanta fino ai cento anni indietro (e talvolta anche
oltre)42. È dunque possibile distribuire le notizie che Strabone dà delle varie popolazioni alpine secondo
un time-line ideale che va all’incirca dal 145-144 a.C.43 fino all’età tiberiana (per la precisione, almeno
fino al 18 d.C., secondo quanto indicato dallo stesso Strabone a 4, 6, 9), e distinguervi innanzitutto le

37  Il rilievo dato alla vicenda storica dei Salassi è effetto innanzitutto dell’appetibilità del loro territorio, ricco di risorse aurifere
oltre che in posizione geografica strategica rispetto ai percorsi di valico, poi della durata e dell’asprezza del conflitto che li aveva
opposti a Roma: rimando a Migliario 2012.
38  4, 6, 10-11; Plb. 34, 10, 8-9 B-W. L’utilizzo da parte di Strabone di fonti (anche cartografiche) che registrano per la rete stra-
dale della Gallia meridionale una situazione aggiornata all’età augustea è sostenuto convincentemente da Thollard 2009, pp.
101-103.
39  Moret c.s. L’utilizzo di cartografia ‘datata’ da parte di Strabone non può comunque essere escluso a priori neppure per quanto
riguarda l’idrografia alpina.
40  4, 6, 5; ivi anche la sovrapposizione delle due Dore, Baltea e Riparia (su cui Migliario 2012, pp. 113-114).
41  Tozzi 1988, p. 27.
42  Pothecary 1997.
43  Anno da cui Posidonio faceva iniziare le sue Storie dopo Polibio: Malitz 1983, pp. 60-64; Vimercati 2004, p. 11.
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popolazioni che sono state assoggettate prima dell’età di Augusto da quelle la cui definitiva sottomissione
è conseguente alle guerre augustee.
Le vicende che hanno coinvolto queste ultime sono infatti inserite in un modulo narrativo costante
che prevede, dopo una premessa in cui si elencano più o meno dettagliatamente (o si citano brevemente)
i comportamenti variamente pericolosi imputabili al gruppo etnico in questione (scorrerie, assalti o altre
attività genericamente rubricabili come lest(r)ikà, cioè ‘atti di brigantaggio’), il resoconto del successivo
intervento romano, con cenni sullo svolgimento delle operazioni militari che si sono inevitabilmente
concluse con la sconfitta e l’assoggettamento del nemico, nonché eventualmente sulla sua situazione at-
tuale. Di tale schema, che si trova applicato e ripetuto per tutte le popolazioni retiche, celtico-germaniche
(Vindolici, Norici) e illiriche coinvolte nelle campagne condotte fra il 35 e il 9 a.C. (4, 6, 6; 4, 6, 8; 4, 6,
9; 4, 6, 10), è com’è noto stata suggerita la derivazione da un panegirista di età augustea44, con un’ipotesi
che pare oramai suscettibile di profonda revisione, se non altro alla luce del resoconto appianeo delle ope-
razioni condotte in area alpina negli anni 35-34 a.C., che presenta soluzioni narrative e stilistiche molto
simili e che fu dichiaratamente prodotto attingendo al de vita sua di Augusto45.
Appare invece più articolata, e non riconducibile a un unico schema, la narrazione degli eventi collo-
cabili nell’orizzonte cronologico del proteron, databili cioè a prima dell’età augustea. Per quanto riguarda
lo spazio storico-cronologico compreso fra la metà del II e quella del I secolo a.C., accanto a numerose no-
tizie sparse riferibili a diversi contesti etnico-territoriali, i due blocchi narrativi più consistenti (e pertanto
particolarmente meritevoli di ulteriore approfondimento) risultano quelli dedicati l’uno ai Sallui/Salluvi
delle Prealpi provenzali (4, 6, 3), l’altro, assai più ampio e dettagliato, ai Salassi della valle della Dora
Baltea (4, 6, 7). Per l’uno e per l’altro popolo46, il ricordo delle vicende che li coinvolsero per decenni –
con svolgimenti ed esiti diversi, ma per cause e con motivazioni largamente simili – serve innanzitutto a
introdurre e a dare ragione della condizione e della situazione di ciascuno dei due nel presente augusteo,
come pure a segnalare l’esemplarità ‘storica’ di quelle vicende e delle loro conseguenze. Entrambi i po-
poli emergono alla storia per effetto dello scontro con Roma, che è in primo luogo determinato dalla loro
collocazione geografica su percorsi di primaria importanza strategica e commerciale, quindi dai contrasti
intervenuti con comunità confinanti già entrate nell’orbita romana; la durata e l’asprezza del conflitto
impongono a loro volta le soluzioni da adottare (eliminazione almeno parziale dell’elemento indigeno,
fondazioni coloniarie, tracciati stradali) per il conseguimento di un controllo completo e definitivo del
territorio. La descrizione straboniana degli spazi etnicoterritoriali alpini è evidentemente costruita e con-
dotta partendo dai singoli contesti storico-cronologici di riferimento, connotati da alcuni tratti comuni
bene individuabili, che condizionano fortemente la selezione e l’utilizzo dei dati geografici: quella delle
Alpi appare forse più di altre una geografia che si fonda e trae senso dall’essere incardinata nella storia.

Elvira Migliario
Università degli Studi di Trento

44  Lasserre 1966, pp. 110-112.


45  App. Ill. 9, 15, 42-43; ne è in corso uno studio da parte di chi scrive.
46  Per i Salassi: supra, note 35 e 37. Per i Sallui, discussione delle fonti sulle campagne di Furio Flacco e Sestio Calvino (124-
123 a.C.) in Hermon 1978, pp. 135-143; in generale, per le fasi iniziali della conquista della Transalpina, Goudineau 1989; Le
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340 Elvira Migliario

RIASSUNTO

Nel IV libro della Geografia straboniana le Alpi sono presentate come uno spazio geografico autonomo, un’entità macroregiona-
le costituita in un sistema coerente, allo stesso tempo oro-idrografico ed etnografico. A titolo esemplificativo viene presa in esame
la descrizione straboniana del settore alpino occidentale compreso fra la costa ligure e le Alpi Cozie. I criteri classificatori adottati
da Strabone sono da un lato il livello di acculturazione raggiunto dalle varie etnie, riflesso dallo status giuridico-amministrativo
di cui esse singolarmente godono, dall’altro il loro stanziamento in spazi geografici caratterizzati e/o scanditi dall’idrografia e
dalla viabilità. I corsi d’acqua sono assunti quali elementi identificativi delle varie subregioni alpine o prealpine, il cui accesso
è condizionato dall’agibilità di valli fluviali che determinano il tracciato dei maggiori percorsi stradali, oltre a definire e gerar-
chizzare anche le varie unità etnico-territoriali in cui ciascuna subregione si articola. Ma la descrizione dei popoli alpino-liguri
è condotta secondo categorie interpretative che, pur muovendo da stereotipi ricorrenti nel discorso etnogeografico antico sulle
aree e sui popoli marginali o periferici, presuppongono anche criteri valutativi originali, ispirati dalla riorganizzazione giuridica
e dalla razionalizzazione amministrativa che avevano progressivamente coinvolto i diversi gruppi etnici come effetto dell’assog-
gettamento compiuto in età augustea e dell’avanzata del processo di municipalizzazione fino ai piedi delle Alpi. Risulta evidente
l’ampio ricorso a fonti proprie di orizzonti storico-cronologici diversi (indicati come un ‘prima’ e un ‘adesso’), riconducibili a un
arco temporale complessivo che parte dagli ultimi decenni del II secolo a.C. e giunge all’età augusteo-tiberiana; la descrizione
etnogeografica acquista senso e prospettiva dalla storia variamente esplicitata o allusa delle varie fasi dell’assoggettamento delle
Alpi.

PAROLE CHIAVE: Strabone, conquista e organizzazione delle Alpi, spazi geografici ed etnie, idrografia e viabilità, Liguria
alpina e prealpina.

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