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STUDIA BORROMAICA
Saggi e documenti di storia religiosa e civile
della prima età moderna
a cura di
Emanuele Colombo, Marina Massimi,
Alberto Rocca e Carlos Zeron
BIBLIOTECA AMBROSIANA
CENTRO AMBROSIANO
Pagina V
ISBN 978-88-6894-319-6
© 2018
Biblioteca Ambrosiana
20123 Milano (Italy) - Piazza Pio XI, 2
Proprietà letteraria e artistica riservata
ITL srl
20124 Milano - Via Antonio da Recanate, 1
tel. 02/6713161
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www.itl-libri.com
Pagina VI
SOMMARIO
Sommario
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Sommario
Abstract . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 341
Autori di «Studia Borromaica» 31, 2018 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 347
Indice dei nomi di persona a cura di Emanuele Colombo . . . . . . . . » 349
Organi direttivi ed elenco degli Accademici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 365
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Accademia Ambrosiana
Studia Borromaica
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ABBREVIAZIONI
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CARLOS ZERON
* Ringrazio il CNPq per la borsa che mi ha permesso di realizzare questa ricerca. Ringra-
zio Silvia Sebastiani ed Emanuele Colombo per la rilettura e la revisione della traduzione del
testo.
1
Decreti Gratiani, II, CXVII, q. IV, c. 37.
2
Sulla creazione di questa dottrina, da Aristotele agli Stoici e ad Agostino, si veda P. GARN-
SEY, Ideas of slavery from Aristotle to Augustine, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1996. J.
Dutilleul e J.F. Maxwell indagano sullo sviluppo di questa dottrina all’interno della Chiesa.
J. DUTILLEUL, Esclavage, in J.M.A. VACANT, Dictionnaire de théologie catholique, Paris, Letou-
zey et Ané, 1924, V, cols. 457-520; J. MAXWELL, Slavery and the Catholic Church, Chichester/
London, Barry Rose, 1975.
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Carlos Zeron
3
Vari testi di teologia morale includevano allora estese dispute sulla schiavitù, che era di-
venuta un’istituzione fondamentale delle società coloniali in cui i missionari agivano. Di con-
seguenza, i commenti di domenicani o gesuiti sulla schiavitù tracciarono una linea che separa-
va i cittadini, che avevano diritti politici e legali, dagli schiavi. Inoltre, i testi di teologia mo-
stravano anche la relazione tra schiavitù e tirannia che è diventata paradigmatica in Europa,
alla luce della teoria della legge naturale e del contrattualismo. Non svilupperò questi aspetti
qui, ma ho analizzato il primo in Linha de fé. A Companhia de Jesus e a escravidão no processo
de formação da sociedade colonial (Brasil, séculos XVI e XVII), São Paulo, Edusp, 2011 (2009).
4
Vieira non era un teorico della legge degli indiani ( J. VIEGAS, Le père António Vieira et
le droit des Indiens, in A. VIEIRA, La mission d’Ibiapaba. Le père António Vieira et le droit des
Indiens, Paris, Chandeigne/Unesco, 1998, pp. 169-171), quindi non ha sistematizzato alcuna
teoria sullo status giuridico degli schiavi neri in Africa o in Brasile. Tutto ciò che ha scritto su
di loro è stato motivato dalle circostanze conflittuali che hanno caratterizzato il processo di
formazione della società coloniale in America. A queste circostanze dobbiamo quindi neces-
sariamente riferirci per capire il significato dei sermoni di Vieira e di altri testi che ha scritto
sui temi della libertà, della schiavitù e dello schiavismo.
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Vieira in movimento
5
A. VIEIRA, Direções a respeito da forma que se deve ter no julgamento e liberdade no cati-
veiro dos índios do Maranhão, in Obras escolhidas, V, Lisboa, Sá da Costa, 1951, pp. 28-32. La
sua posizione può essere riassunta nello Schema riportato nella Figura 1.
6
Ho commentato il contesto in cui Vieira ha sostenuto tali posizioni in António Vieira e os
“escravos de condição”: os aldeamentos jesuíticos no contexto das sociedades coloniais, in E. FER-
NANDES (ed.), A Companhia de Jesus e os índios, Curitiba, Prismas, 2016, pp. 235-262.
7
A. VIEIRA, Informação sobre o modo com que foram tomados e sentenciados por cativos os
índios do ano de 1655, in Obras escolhidas, V, pp. 33-71.
8
Ibi, p. 56.
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1 – Schema delle Direções a respeito da forma que se deve ter no julgamento e liberdade no cativeiro dos índios do Maranhão
(le «circostanze» sono indicate in grassetto, nelle caselle con fondo grigio)
Vieira in movimento
9
«Non sono schiavi, né tantomeno vassalli. Non sono schiavi, perché non sono stati cat-
turati in una guerra giusta; e non sono neanche vassalli, perché così come lo spagnolo o il ge-
novese, benché prigioniero ad Algeri, rimane vassallo del suo re e della sua repubblica, così l’in-
diano, sebbene forzato e prigioniero, rimane un membro del corpo e della testa politica della
sua nazione, dal momento che, per la sovranità della libertà, la corona di piume ha lo stesso
valore della corona d’oro, e l’arco il medesimo valore dello scettro». A. VIEIRA, Voto sobre as
dúvidas dos moradores de São Paulo acerca da administração dos índios, in Obras escolhidas, V,
pp. 341-342.
10
Ibi, p. 355.
11
Ibi, pp. 356-357.
12
A sostegno della mia argomentazione, è particolarmente interessante notare che gli in-
diani di cui Vieira tratta nel Voto sobre as dúvidas dos moradores de São Paulo sono espressa-
mente distinti dai Tapuias: «Quelli che i Paulistas portarono dal sertão non erano Tapuias bar-
bari, ma indiani dei villaggi [aldeados], con case, colture e con i loro capi, ai quali ubbidivano
e che li governavano, con un modo di vita umano, e a loro modo politico». Ibi, pp. 350-351.
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Come sintetizzato da Pedro Calafate, «la natura era, quindi, un modello di razionalità,
universalità e intelligibilità». P. CALAFATE, Introdução. A Clavis Prophetarum no contexto do
pensamento de Vieira, in ID. – J. E. FRANCO (edd.), Obra completa do Padre António Vieira,
Lisboa, Círculo de Leitores, 2013-2014, III, V, p. 114.
14
De legibus, II, V, 12-13; II, VII, 5-6; II, VIII, 7-8.
15
Rm 2,14-15.
16
In Psalmum XXXV enarratio n. 19 (Patrologia Latina, J. MIGNE (ed.), aa. 1844-1865
cum appendicibus A. HAMMAN, 14, 962 A; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum,
Wien, 1866 sgg., 64/6, 63).
17
De sermone domino in monte, II, 9.
18
Suma teológica, I-II, q. 94, a. 6.
19
De iustitia et iure, I, 1, disp. 3.
20
Ad esempio, nella Informação sobre o modo com que foram tomados e sentenciados por
cativos os índios do ano de 1655, p. 60.
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Vieira in movimento
Agli altri autori citati, che sono quelli del nostro tempo e della nostra
scuola e che hanno la stessa opinione [sull’impossibilità dell’ignoranza
della legge naturale e di Dio], cosa devo dire? Solo questo: che essi sono
in Europa e scrivono dall’Europa. Ricordino quanto è grande la differenza
con cui si credono o giudicano le cose che entrano dalle orecchie e “quel-
le che vengono offerte agli occhi fedeli”. [...] Che vengano allora, e avendo
l’esperienza per giudicare, potranno decidere se insegnare diversamente
o se invece essi stessi vogliono essere d’accordo con noi. È inevitabile, oh
più illustre dei teologi, che riteniate che tra i vostri pensieri e i nostri
occhi ci sia un grande abisso, forse più grande dell’oceano che si estende
tra noi21.
***
Ma cosa dicono gli «oracoli» di Vieira? Hanno effettivamente adatta-
to i concetti teologico-giuridici ai contesti coloniali? Quali distinzioni
hanno identificato sulla legge e sul diritto naturale, alla luce della realtà
americana? Acosta, Solórzano e Alonso de la Peña dividono i barbari in
tre classi o categorie; da parte sua, Vieira distingue i Tapuias da tutti gli
altri, come se fossero una quarta classe.
Il termine Tapuia, secondo l’Arte della grammatica della lingua più
utilizzata sulla costa del Brasile di padre José de Anchieta, indica ogni in-
diano di gruppo tribale non-Tupi o ogni indiano che non parli la lingua
tupi predominante sulla costa atlantica sudamericana. Per estensione, il
termine può anche indicare i nemici dei Tupis, che erano i principali al-
leati dei portoghesi. Cioè, i Tapuias potrebbero essere tutti gli indiani
non sottomessi dell’interno del continente americano, compresi anche
coloro che ancora resistevano ai portoghesi sulla costa (Fig. 2)23; per
21
A. VIEIRA, Clavis Prophetarum. Chave dos Profetas. Livro III, A. DO ESPÍRITO SANTO (ed.),
Lisboa, Biblioteca Nacional, 2000, pp. 399-401; «quae sunt oculis subjecta fidelis» è in Quinto
Orazio Flacco, Ars poetica, V, 181.
22
Ibi, pp. 349, 351, 359. In secondo piano, Vieira cita Pietro Martire d’Anghiera e Tommaso
Bozio, qualificati come «insigni nelle lettere, nella religione e nell’autorità pubblica». Ibi, p. 367.
23
Nicholas Sanson D’ABBEVILLE, Le Bresil, dont la coste est possedée par les Portugais et
divisée en quatorze capitanieries [sic]: le milieu du pays est habité par vn tresgrand nombre de
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peuples la plus part jncogneus, et dont les positions sont fort jncertaines. Par N. Sanson d’Abbe-
ville, Geogr. Ord.re du Roy, in L’Amérique en plusieurs cartes, & en divers traittés de geographie
et d’histoire: là où sont descripts succinctement, & avec vne belle méthode & facile: ses empires,
ses peuples, ses colonies, leurs moeurs, langues, religions, richesse &c.: et ce qu’il y a de plus
beau, & de plus rare dans toutes ses parties & dans ses isles. Dediée à Monseigneur Monseigneur
Foucquet [...] Par N. Sanson d’Abbeville, Geographe Ordinaire du Roy, Paris, chez l’Autheur,
1657. Oltre alle capitanerie di Maranhão, Ceará ed Espirito Santo, dove si trovano gli indiani
Tapuias, la versione precedente di questa mappa, datata del 1656, identifica e distingue altri po-
poli dell’interno del Brasile, che però erano comunemente noti solo come Tapuias, per op-
posizione ai Tupis della costa. «In contrast to the relatively homogeneous Tupi and Guarani
cultures of the coast, those of the vast regions of the northeastern interior presented to the
early Portuguese chroniclers an enormous and bewildering diversity. This contrast formed the
basis for the fundamental dichotomy between the Tupi and “Tapuya” (Tapuia in Spanish
context) – a generic designation for “enemy others” originally used by the Tupi to refer to all
peoples of the interior – that shaped conceptions about the Indians of Brazil and most spe-
cially the northeast throughout the colonial period». R. WRIGHT – M. CUNHA, Destruction,
resistance and transformation. Southern Coastal, and Northern Brazil (1580-1890), in F. SALO-
MON – S.B. SCHWARTZ (edd.), The Cambridge history of the native peoples of the Americas,
Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1996-2000, 3, p. 335; si veda anche p. 297. Vieira, ad esem-
pio, scrive «Tapuias Aroãs» e «Tapuias Curutis», nella Relazione della missione della Serra di
Ibiapaba, che poi commenterò, o generalizza «Tapuias do mato», nella Resposta aos capítulos
que deu contra os religiosos da Companhia, em 1662, o procurador do Maranhão Jorge de Sam-
paio, in Obras escolhidas, V, pp. 76, 119, 281, 282, rispettivamente. Già una versione ottocen-
tesca di questa stessa mappa di Sanson d’Abbeville, designa uniformemente l’interno del Bra-
sile come territorio Tapuia.
24
In questo, condividono lo status giuridico dei minori, degli orfani, delle vedove e dei
malati.
25
A. DE LA PEÑA MONTENEGRO, Itinerario para párrocos de indios, en que se tratan las ma-
terias más particulares tocantes a ellos para su buena administración, Madrid, en la oficina de
Pedro Marín, 1771 (1668), IV, 3, 8.
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Se per Solórzano i costumi, intesi come una seconda natura, non giu-
stificano i reati commessi dagli indiani e legittimano l’uso della forza nei
loro confronti – un’idea che Acosta accetta con alcune sfumature e con-
dizioni – per Vieira sono proprio i costumi che giustificano i Tapuias; e-
gli, infatti, concede ai Tapuias «non solo un’ignoranza invincibile di Dio,
per tutto il corso della loro vita, ma anche l’ignoranza di tutto il diritto
naturale»26. In questo senso, alcuni atti che commettono sono «peccati
puramente filosofici e non teologici», mentre «il peccato dei Cristiani e
degli Idolatri contro la ragione naturale non è puramente filosofico, ma
è anche teologico»27. Per questo motivo «se i teologi d’Europa (che ne-
gano che in queste popolazioni l’ignoranza di Dio e del diritto naturale
26
A. VIEIRA, Clavis prophetarum. Resumo que dela escreveu o P. Carlos António Casnedi,
in Obras escolhidas, IX, p. 181.
27
Ibid.
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28
Ibi, p. 201.
29
«En lo particular hay muchos que bautizados en la infancia, se crian y viven despues en
los montes, sin tener mas Doctor ni Maestro que sus padres, que no tratan mas que comer y
beber, sin meterse en Theologías; que en estos bien se puede dar ignorancia inculpable en la
idolatría que cometen, movidos del egemplo de sus padres, que se la enseñaron desde que abrie-
ron los ojos de la razon, juzgandola siempre por ocasion de virtud». DE LA PEÑA MONTENE-
GRO, Itinerario, IV, 3, 9.
30
VIEIRA, Clavis prophetarum. Resumo que dela escreveu o P. Carlos António Casnedi, IX,
p. 178.
148
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***
Il contatto diretto di Vieira con gli indiani Tapuias, specialmente del-
le nazioni aroãs, curutis e tobajaras 32, avvenne principalmente nella mis-
sione alla Serra di Ibiapaba, nel Maranhão, sulla quale il gesuita scrisse
una lunga relazione33.
Il toponimo Ibiapaba deriva dal termine tupi yby’ababa, che significa
«terra tagliata», «terra fessa»34. Il nome deriva dalle sue caratteristiche:
un terreno ripido che si estende ad est, improvvisamente interrotto da
31
F. DE VITORIA, De indis recentis inventis et de iure belli Hispaniorum in bárbaros, Sala-
manca, s. ed., 1557.
32
Secondo Vieira, tutta la strada fino alla Serra di Ibiapaba era «infestata da diverse na-
zioni di Tapuias», mentre nelle montagne affrontò principalmente l’ostilità dei gruppi di To-
bajaras. VIEIRA, Relação da missão da Serra de Ibiapaba, in Obras escolhidas, V, p. 84. Infatti,
nel Maranhão e Grão-Pará, Vieira distingue «le nazioni dei Tupinambás, Poquiguaras, Catin-
gas, Bocas, Mapuás, Anajás, Mamaianas, Aroans, Paricis, Tapajós, Murucucus, Mariás, Juruú-
nas, Nonhunas, e gli Pocujus, Aroaquis e altri». A. VIEIRA, Protesto perante o Senado da cidade
de Belém do Pará, in ibi, pp. 155-156.
33
Ibi, pp. 72-134.
34
E. NAVARRO, Dicionário de tupi antigo: a língua indígena clássica do Brasil, São Paulo,
Global, 2013, p. 565; A. VIEIRA, Relação da missão da Serra de Ibiapaba, p. 96.
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una scarpata molto ripida, con altezze medie da 750 a 900 metri e lunga
circa 200 km, da nord a sud35. L’immagine di una terra fessa, tagliata,
non solo risponde al suo aspetto fisico (Fig. 3), ma anche alle difficoltà
di connessione tra lo stato del Maranhão e Grão-Pará e lo stato del Bra-
sile. Di fatto, non era praticabile navigare dal Maranhão al Brasile a cau-
sa degli alisei di nord-est e delle correnti sud-equatoriale e delle Guya-
nas. Secondo la testimonianza dello stesso Vieira:
35
«Il processo erosivo cenozoico, differenziale, ha abbassato una porzione dei terreni cri-
stallini, i più fragili, lasciando in rilievo le rocce sedimentarie e le litologie cristalline più resi-
stenti, creando una differenza di livello dell’ordine di 900 m, che corrisponde alla pendenza
del Glint di Ibiapaba e in cima ai massicci cristallini». V. CLAUDINO-SALES – M. V. VANDA E
LIRA, Megageomorfologia do noroeste do Estado do Ceará, Brasil. «Caminhos da Geografia»,
Uberlândia, 12, 38, jun. 2011, p. 207.
36
VIEIRA, Relação da missão da Serra de Ibiapaba, pp. 86-87.
37
Ibi, p. 87. Lo stesso Vieira rinunciò ad andare a Bahia per cercare altri missionari. Ibi,
p. 88.
38
La Missione del Maranhão fu in alcuni momenti subordinata alla Provincia del Brasile,
in altri momenti alla Provincia del Portogallo, nel secondo caso a causa di imperativi geografi-
ci legati a una maggiore facilità di comunicazione che, tuttavia, non ha impedito lo scoppio di
forti liti interprovinciali. Si veda A. S. LEITE, História da Companhia de Jesus no Brasil, Lisboa,
Portugália, 1938-1950, IV, pp. 213-222.
39
«Gli olandesi occuparono il Pernambuco e poco dopo divennero padroni della fortez-
150
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Tapuiani sarebbero migrati verso quella catena montuosa, così che, se-
condo Vieira, «Ibiapaba era rimasta veramente la Ginevra di tutti i ser-
tões del Brasile, perché molti degli indiani di Pernambuco nacquero e
crebbero tra gli olandesi», diventando «così calvinisti e luterani come se
fossero nati in Inghilterra o in Germania»40.
In questo senso, l’immagine e il toponimo di una «terra tagliata, fes-
sa» non solo si adattano alla geografia fisica, ma anche alla geopolitica: le
missioni che Vieira ha inviato alla Serra di Ibiapaba, quando era superio-
re della missione del Maranhão, nonché la sua propria presenza nella re-
gione, è spiegata dalla sua strategia di riunire i due territori, al fine di su-
perare non solo gli ostacoli geografici ma anche quelli geopolitici. Per
Vieira, «aver pacificato e placato le nazioni barbare di Tapuias, che ac-
za di Ceará e ridussero a se stessi tutti gli indiani di quelle vicinanze». VIEIRA, Relação da mis-
são da Serra de Ibiapaba, p. 77.
40
Ibi, pp. 81 e 114, rispettivamente.
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di Ibiapaba ad aderire alla proposta dei gesuiti: separare «gli indiani del-
la ribellione di Pernambuco, che si erano ritirati lì»46, che sarebbero dovuti
migrare verso il Maranhão anche «costretti [...] con la forza»47, dagli altri
indiani che invece potevano rimanere nella regione di Ibiapaba sotto la tu-
tela spirituale e temporale dei missionari nelle riduzioni (aldeamentos)48.
Se confrontiamo la Relazione della missione della Serra di Ibiapaba
con il Voto sui dubbi degli abitanti di São Paulo, commentato sopra, no-
teremo che la distinzione che Vieira ha fatto tra Tupis e Tapuias è spie-
gata e dimostrata in modo diverso, secondo il contesto: a São Paulo, i Tu-
pis che erano già «strettamente legati» ai portoghesi potevano rimanere
nelle loro residenze e al loro servizio, mentre gli altri dovevano essere
ridotti negli aldeamentos sotto la tutela dei religiosi; nel Maranhão, i Ta-
puias che erano diventati i «più grandi dogmatici» della religione prote-
stante avrebbero dovuto essere consegnati ai portoghesi, anche «con la
forza», mentre gli altri avrebbero dovuto essere mandati negli aldeamen-
tos gestiti dai gesuiti.
D’altra parte, vale la pena notare la stretta affinità tra la Relazione del-
la missione della Serra di Ibiapaba (senza data, ma Vieira era lì nella pri-
ma metà del 1660) e il Sermone del sessantesimo, predicato nella Cappel-
la Reale nel 1655. I temi del «missionario operaio», del «disinganno» (di
indiani e portoghesi) e della «unità nella diversità», convergono nella de-
finizione del «vero significato» della missione, attraverso il quale la tri-
buna di Dio si erge sulla tribuna dei re. Quest’ordine induce un’alleanza
della Corona con la Compagnia di Gesù contro i portoghesi «cattivi cri-
stiani» nel Sermone del sessantesimo, e contro gli olandesi e un gruppo
particolare di Tapuias (i Tapuias tobajaras) nella Relazione della missione
della Serra di Ibiapaba.
Contro gli olandesi, serve soltanto la guerra49; contro i «cattivi cristia-
ni» e gli indiani nemici, quell’alleanza si manifesta e diventa possibile
ne si estenderanno anche in questa parte dell’America» (p. 133), preparando così la conver-
sione universale della razza umana nell’avvento del Quinto Impero.
46
VIEIRA, Resposta aos capítulos que deu contra os religiosos, p. 275.
47
VIEIRA, Relação da missão da Serra de Ibiapaba, p. 133.
48
Ibi, pp. 133-134.
49
In questo senso, si veda il primo testo conosciuto di Vieira, in cui i religiosi hanno un
ruolo predominante nella guerra contro gli olandesi che avevano occupato Bahia, nel 1624:
oltre ai gesuiti, che appoggiavano i combattenti portoghesi, Vieira mette in risalto l’atteggia-
mento del vescovo, che «si decise a sostituire il pastorale con la lancia, e la cotta con la gonna
a maglia e, da prelato ecclesiastico, divenne capitano di soldati». Lettera annua, al generale
della Compagnia di Gesù, 30 settembre 1626. Obra completa do Padre António Vieira, I, I,
122. La sua narrazione è in accordo con la posizione di Tommaso d’Aquino, Summae Theolo-
giae, II-II, q. 40, a. 2, «Utrum clericis et episcopis sit licitum pugnare».
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attraverso quelli che, nel Sermone del sessantesimo, Vieira chiama «stru-
menti»: una predicazione efficiente, che «disinganna» perché fatta di
«parole e opere», ma anche leggi civili positive che governino il compor-
tamento di questi uomini. Entrambi servono, poiché, per ragioni diverse
(cupidigia, costumi, ecc.), né i coloni né gli indiani erano in grado di ese-
guire adeguatamente la sinderesi.
Così, dopo aver analizzato le difficoltà della congiuntura del Maranhão,
nel 1655 Vieira aveva voluto cercare una legge in Portogallo. La legge
Sugli indiani del Maranhão 50, ottenuta in quello stesso anno, permise alla
Compagnia di Gesù di tutelare in modo sovrano la società coloniale, po-
nendola al di sopra degli indiani e dei «cattivi cristiani» portoghesi; in
effetti, la legge nominò Vieira come superiore della missione gesuita del
Maranhão, e affidò ai gesuiti la supervisione di tutte le spedizioni di cat-
tura e riscatti di indiani, così come la gestione esclusiva delle riduzioni.
In queste ultime erano riuniti indiani di diversi gruppi etnici, che costi-
tuivano la principale riserva di manodopera della colonia e l’esercito di
difesa delle conquiste portoghesi in America. La legge aveva come con-
tropartita varie forme di sottomissione e dipendenza degli indiani: la
schiavitù (compresa quella temporanea, chiamata «di condizione»), il la-
voro obbligatorio dei cosiddetti indiani «liberi», la tutela degli indiani
negli aldeamentos da parte dei sacerdoti gesuiti e, di conseguenza, il me-
ticciato culturale e biologico con i portoghesi. Ma per i Tapuias della
Serra di Ibiapaba che avrebbero potuto continuare a risiedere nella re-
gione, Vieira fece richiesta di «lettere di perdono» che offrissero loro
autonomia politica, lontano dei portoghesi, limitata solo dalla tutela dei
gesuiti.
Si può osservare la centralità del Sermone del sessantesimo nell’opera
di Vieira: questo testo va oltre le linee guida retoriche che prescrive,
grazie all’importanza da lui attribuita ai cosiddetti «strumenti» nell’atti-
vità dei missionari; strumenti che, lungi dall’essere limitati alla predica-
zione, includono anche tutte le forme di collaborazione e di accordo tra
le due spade.
Soddisfatto nella sua richiesta da un monarca che lo aveva sempre
ascoltato e seguito in materia di politica ‘indigenista’, la legge del 1655
collocò la Compagnia di Gesù al centro del dispositivo economico, poli-
tico e militare del Maranhão – in linea con il privilegio che il primo pro-
50
Lei que se passou pelo Secretário de Estado em 9 de Abril de 655 sobre os índios do Ma-
ranhão, «Anais da Biblioteca Nacional do Rio de Janeiro», Rio de Janeiro, Divisão de Obras
raras e publicações, 1948, LXVI, pp. 25-28. L’applicazione di questa legge spiega l’espulsione
dei gesuiti dal Maranhão, pochi anni dopo, nel 1661.
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vinciale del Brasile, Manuel da Nóbrega, aveva già ottenuto per i gesuiti
di quella provincia nella metà del XVI secolo51. Nóbrega, tuttavia, predi-
cava la soggezione con la forza degli indiani «crudeli e bestiali»52, men-
tre, per quanto riguarda la collaborazione e gli accordi tra le due spade,
Vieira si distingue anche dagli altri autori che egli stesso cita nella Clavis
prophetarum.
Occorre sottolineare che ciascuno ha una posizione diversa: Acosta è
abbastanza convenzionale su questo punto, Solórzano attribuisce gran-
de importanza alla donazione e alla concessione del papato in favore del-
la corona di Castiglia, mentre Alonso de la Peña attribuisce la prima re-
sponsabilità della conversione all’encomendero (di cui il prete non è più
che un sostituto) e al corregedor 53.
Così, mentre Acosta e Solórzano comprendono la società coloniale
come frutto della provvidenza divina (e sono autori di alcuni passaggi
sulla disponibilità di metalli preziosi nelle terre americane che sconfina-
no nel cinismo)54, e Nóbrega condiziona l’ottenimento di «grossi redditi
in queste terre» alla soggezione degli indiani indomabili55, Vieira afferma
che «Dio ha provveduto non provvedendo»:
51
Si veda ZERON, Linha de fé.
52
«La prova di ciò è che questi di Bahia, essendo ben trattati e indottrinati, sono peg-
giorati, vedendo che non si punivano i cattivi e i colpevoli delle morti passate; ma con severità
e punizioni si umiliano e si sottomettono. [...] Se il Gentile fosse dominato o scaricato, come
potrebbe essere con poco lavoro e spese, e avesse una vita spirituale, conoscendo il suo crea-
tore e il vassallaggio a V.A. e l’obbedienza ai cristiani, tutti vivrebbero meglio e in abbondanza
e V.A. avrebbe grossi rendimenti in queste terre». Lettera di Manuel da Nóbrega a Miguel de
Torres, Bahia, 8 maggio 1558. A. S. LEITE (ed.), Monumenta Brasiliae, Roma, Monumenta Hi-
storica Societatis Iesu, 1957-1968, II, pp. 447-448.
53
In altre parole, tutti gli indiani sono «capaci di grazia» (cioè possono essere salvati) a
condizione che i missionari adottino metodi appropriati, a cominciare dalla loro riduzione al-
l’urbanizzazione negli aldeamentos, doctrinas, reducciones e pueblos, dove essi potevano vivere
sotto un regime di tutela; i diversi autori hanno posizioni diverse riguardo alla designazione
del tutore.
54
«Habrá que admirar profundamente la bondad y providencia de Dios, que se acomoda
a la condición de los hombres, y para traer a gentes tan remotas y bárbaras al Evangelio, pro-
veyó tan copiosamente estas tierras de metales de oro y de plata como para despertar con ello
la codicia de los nuestros. Si no nos estimula la caridad por las almas, ¿será, al menos, cebo
suficiente la codicia de oro?» J. DE ACOSTA, De procuranda indorum salute, Madrid, CSIC,
1984-1987, I, p. 533; «parece, que las previno, y, dispuso Dios por espuelas, para aguijarnos a
tan largas, y peligrosas jornadas». J. DE SOLÓRZANO PEREIRA, Politica indiana, Madrid, Ma-
theo Sacristan, 1736 (1647), I, 8, 27; e: «No es el deber de humanidad, sino la sed de la avari-
cia, por la que se mueven. ¿Quién podría negarlo? Pero no pensemos ahora lo que hace la
maldad de los hombres, sino en los derechos que concede la propia común utilidad». ID., De
indiarum iure, Madrid, CSIC, 1994-2001 (1626), II, 13, 3.
55
LEITE (ed.), Monumenta Brasiliae, pp. 447-448.
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56
VIEIRA, Clavis Prophetarum, pp. 465-467. Corsivo mio. Ecco perché, nota Pedro Cala-
fate, Vieira scrive «salvezze», al plurale: «Esiste quindi una salvezza più comunemente men-
zionata dai teologi, quella che risulta dal processo di conversione degli infedeli e li conduce
nel seno della Chiesa, alla “perfetta salvezza”, cioè alla vita eterna nel Cielo e alla visione bea-
tifica della divinità. Questa è la salvezza dei fedeli. Ma c’è anche una salvezza dei Gentili, co-
me furono gli indiani prima della predicazione dei portoghesi e degli spagnoli, che, sebbene
“imperfetta e ridotta alla metà, è quella che basta per salvare compassionevolmente dalla pena
eterna dei sensi gli stessi infedeli che vivono e muoiono nella loro infedeltà senza colpa, a cau-
sa dell’ignoranza invincibile dello stesso Dio”». CALAFATE, Introdução. A Clavis Prophetarum
no contexto do pensamento de Vieira, p.122.
57
Durante l’anno 1653, in una lettera al principe D. Teodósio (J. L. DE AZEVEDO [ed.],
Cartas do Padre António Vieira, Coimbra, Imprensa da Universidade, 1928, I, pp. 290-293), in
due lettere al padre André Fernandes (ibi, pp. 294-298, 299-300) e in un’altra al Provinciale
del Brasile, Francisco Gonçalves (ibi, pp. 316-55). Si veda anche la lettera a D. João IV, del
6.4.1654 (ibi, pp. 431-441).
156
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Vieira in movimento
Ci sono qui degli ecclesiastici e canonici così neri come il carbone, ma co-
sì composti, così autorevoli, così devoti, così grandi musicisti, così di-
screti e morigerati, da poter invidiare quelli che vediamo [in Portogallo],
nelle nostre cattedrali58.
Sono persone dalla natura servile, dure e capaci di ogni lavoro, e che sop-
portano e vivono per molti anni, se la fame e i maltrattamenti non li fini-
scono59.
58
Lettera al Padre André Fernandes, Cartas do Padre António Vieira, I, p. 295.
59
VIEIRA, Resposta aos capítulos que deu contra os religiosos, pp. 298-299. Aristotele defi-
nisce la schiavitù naturale in Politica, 1254a-1255a.
60
Vale la pena sottolineare che, anche a fronte di difficoltà di misurazione, gli studi di de-
mografia storica convergono su stime della mortalità indigena tra l’80% e il 90% nelle aree di
contatto (o anche di più, in regioni con maggiore concentrazione di popolazione), durante i
periodi di conquista e formazione delle società coloniali americane. Si vedano, per esempio:
N. COOK – W. G. LOVELL (edd.), “Secret judgments of God”: Old World disease in colonial Spa-
nish America, Norman, Univ. of Oklahoma Press, 1991; W. DENEVAN (ed.), The native popula-
tion of the Americas in 1492, Madison, University of Wisconsin Press, 1992; K. KIPLE (ed.),
The Cambridge world history of human disease, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1993, pp.
305-333, 535-543; J. VERANO – D. UBELAKER (edd.), Disease and demography in the Americas,
Washington, Smithsonian Institution Press, 1992 e M. LIVI BACCI, Conquista. La distruzione
degli indios americani, Bologna, il Mulino, 2009. Si veda anche J. HEMMING, Red Gold: the con-
quest of the Brazilian Indians, Cambridge, Harvard Univ. Press, 1978.
157
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Carlos Zeron
Vieira si pronunciò solo poche volte sulla schiavitù degli africani, fa-
cendolo in un modo più moderato soltanto nei tre sermoni (XIV, XX e
XXVII) rivolti ai neri della confraternita di Nostra Signora del Rosario.
L’analisi di questi sermoni deve tener conto delle differenze tra i testi
effettivamente pronunciati e la revisione per la pubblicazione, in cui essi
hanno subito un processo di riscrittura, prima di essere pubblicati in due
volumi, nel 1686 e 1688 61. Il sermone XIV fu probabilmente pronuncia-
to in un mulino di Bahia, alla Confraternita dei Neri del Rosario, nel 1633,
in occasione della festa della santa patrona. Non abbiamo nessuna infor-
mazione sulle circostanze della predicazione del sermone XX, eccetto il
riferimento alla stessa festa62. Il sermone XXVII, infine, è una predica pro-
nunciata sempre nella festa del Rosario, a Bahia, nel 1680. La revisione
dei sermoni per la pubblicazione è segnata principalmente dalle varie
rivolte che seguirono la promulgazione della legge del 1680 (che, su sug-
gerimento dello stesso Vieira, dichiarava la libertà degli indiani senza la
solita restrizione dei titoli di guerra giusta e di riscatto63) e del fallimento
degli attacchi al quilombo (comunità di schiavi africani) di Palmares, si-
tuato nel sertão, non lontano da Recife e a mille chilometri della Serra di
Ibiapaba, che fu sottomesso soltanto verso la fine del XVII secolo64.
61
J. P. PAIVA, Padre António Vieira, 1608-1697. Bibliografia, Lisboa, Biblioteca Nacional,
1999, pp. 233-241.
62
«Domenica scorsa, parlando nella lingua della terra, i bianchi hanno celebrato la loro
festa del Rosario, e oggi, in un giorno e in una cerimonia separata, i neri, e solo i neri, celebra-
no la loro». A. VIEIRA, Sermões, Porto, Livraria Lello e Irmão, 1945-1948, XII, p. 85.
63
Per le circostanze e le motivazioni di Vieira quando adotta questa posizione, si veda
C. ZERON, From farce to tragedy. Antonio Vieira’s hubris in a war of factions, « Journal of Jesuit
Studies», 2/3, 2015, pp. 387-420.
64
Il quilombo più grande che esisteva nell’America portoghese, e probabilmente quello
che durò più a lungo, era il quilombo dei Palmares. La sua formazione avvenne quasi subito
dopo l’inizio della grande importazione di schiavi neri in Brasile nel 1570: i primi riferimenti a
un quilombo nella regione chiamata Palmares risalgono al 1580. Si formò da schiavi fuggiaschi
dalle piantagioni e dai mulini di Pernambuco e Bahia. Alla fine del XVI secolo, è stato stimato
che il quilombo – in realtà diversi quilombos interconnessi – occupava una vasta area ricoperta
da palme che si estende dal Capo di Santo Agostinho al fiume São Francisco, nella Serra da
Barriga, lunga circa 350 chilometri. Un secolo più tardi, il quilombo si concentrava su alcune
‘enclavi’, ancora interconnesse, in Una, Serinhaém, Porto Calvo e São Francisco. Il culmine
del quilombo si verificò al momento dell’invasione olandese del Brasile (1624-1625 e 1630-
1654): con i disordini nelle routine dei mulini, ci fu una crescita della popolazione nei Palma-
res, dove si formarono diverse mocambos. Anche se non siamo in grado di specificare il nu-
mero dei suoi abitanti, dal momento che la popolazione oscillava in balia delle circostanze, gli
storici stimano che nel 1670, Palmares raggiunse circa 20.000 abitanti (su una popolazione
nera in Brasile di circa 150 mila individui); ma, si deve considerare che, oltre agli schiavi
fuggiaschi, africani o creoli, i mocambos alloggiavano anche alcuni indiani, meticci e persino
bianchi. Dopo l’espulsione degli olandesi, nel 1654, la mancanza di manodopera per la ripresa
della produzione dei mulini nella regione fu evidente. A quel punto, considerando il prezzo
158
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Vieira in movimento
Molti studi sono già stati fatti sulla retorica dei sermoni di Vieira e
sul modo in cui ha conquistato sia l’affettività dell’ascoltatore e del letto-
re e ha contribuito alla sua istruzione teologica. Uno dei suoi principali
studiosi, Alcir Pécora, ha proposto un metodo analitico che stabilisce
un’analogia tra tre linee semantiche presenti nei sermoni, relativi alle
commemorazioni dell’anno ecclesiastico o liturgico (cioè il tempo san-
to), ai brani del Vangelo determinati dal calendario liturgico e, infine, al-
le circostanze del tempo storico (che, secondo l’ortodossia cattolica, non
è in contraddizione con il tempo santo)65. João Lúcio de Azevedo, a pro-
posito dei sermoni del Rosario, si è domandato cosa avessero capito i
«rozzi africani» di tutta questa «pomposa retorica», e si è risposto che in
fondo poco importava, poiché «lo scopo del predicatore era di instillare
il conformismo»66.
È, in effetti, l’impressione che si ha della lettura di questi tre sermoni.
Nel sermone XIV, ad esempio: «Ciò che può sembrare esilio, cattività e
disgrazie [...] non è altro che un miracolo e grande miracolo!»67. E sin
dalla prima parte del sermone XXVII, il gesuita identifica il commercio
degli schiavi con la «trasmigrazione da Babilonia»: sebbene il commer-
cio transatlantico gli sembrasse una «tratta disumana» e una «merce
diabolica», il traffico conteneva comunque un «senso mistico» e un «mi-
stero»:
piuttosto elevato degli schiavi africani, soprattutto a causa della concorrenza della produzione
dei Caraibi, gli attacchi contro Palmares si intensificarono, con l’obiettivo di riconquistare i
suoi abitanti. D’altra parte, la prosperità di Palmares catalizzò l’attenzione e suscitò la paura
della società coloniale, così che il governo coloniale fu costretto a imporre il proprio dominio
nella regione. Da allora, i quilombolas subirono pesanti perdite, ma ci sono notizie di resisten-
za nella regione fino al primo quarto del XVIII secolo. Tuttavia, intorno al 1710, il quilombo
era già finito. A proposito di Palmares, si vedano: E. CARNEIRO, O quilombo dos Palmares,
1630-1695, São Paulo, CEN, 1988; D. FREITAS, Palmares. A guerra dos escravos, Porto Alegre,
Mercado Aberto, 1984; S. H. LARA, Palmares & Cucaú, o aprendizado da dominação, Campi-
nas: IFCH, 2008.
65
A. PÉCORA, Para ler Vieira: as 3 pontas das analogias nos sermões, «FLOEMA. Caderno
de teoria e história literária», I, 1, 2005, p. 30.
66
J. L. DE AZEVEDO, História de António Vieira, Lisboa, Clássica, 1992 (1918-1920), II,
pp. 245, 246.
67
VIEIRA, Sermões, XI, p. 305.
68
Ibi, XII, pp. 335, 357.
159
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69
Vieira inserisce un’analogia tra i neri e i figli di Core nella Bibbia (Num, 16). Ibi, p. 305.
Nel Sermão da Epifania, pregado na Capela Real em 1662, Vieira afferma: «Un etiope, se si lava
nelle acque dello Zaire, rimane pulito ma non diventa bianco; tuttavia, nell’acqua del battesi-
mo sì, una cosa e l’altra». Ibi, II, p. 48.
70
Ibi, XII, p. 338; SENECA, De Beneficiis, III, 20. «È invece il suo corpo che la sorte ha asse-
gnato a un padrone: questo egli compra, questo vende, mentre la parte che sta al suo interno
non può essere data in proprietà». SENECA, Sui benefici, trad. it., Roma, Laterza, 2008, III, 20.
71
VIEIRA, Sermões, XII, p. 364.
72
Ibi, p. 347.
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Beati voi, se saprete conoscere la fortuna del vostro stato, e con la con-
formità e l’imitazione di una così alta e divina somiglianza, godere e san-
tificare il lavoro! In un mulino siete imitatori del Cristo crocifisso: Imita-
toribus Christi crucifixi, perché soffrite in un modo molto simile a come il
Signore stesso ha sofferto nella sua croce e in tutta la sua passione; [...]
imitazione che, se accompagnata da pazienza, avrà anche il merito di mar-
tirio74.
Solo un mezzo era efficace e valido per ridurli veramente, che V[ostra]
A[ltezza] e i suoi signori concedessero loro spontanea, liberale e sicura li-
bertà, vivendo in questi luoghi come gli altri indiani e gentili liberi, e che
poi i sacerdoti fossero i loro parroci e li indottrinassero come gli altri.
Tuttavia, questa stessa libertà così considerata costituirebbe la distruzione
73
Ibi, p. 361.
74
Ibi, XI, pp. 309-310.
75
Si veda supra, nota 64.
161
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totale del Brasile, perché conoscendo gli altri neri che con questo mezzo
riuscirebbero a liberarsi, ogni città, ogni villaggio, ogni località e ogni
mulino sarebbero presto tanti altri Palmares, ed essi fuggirebbero e si da-
rebbero alle macchie con tutto il loro patrimonio, che non è altro che il
loro stesso corpo76.
76
Lettera a Roque Monteiro Paim (2.7.1691), in Cartas do Padre António Vieira, III, pp.
620-621. Vieira accetta, tuttavia, la rivolta degli indiani, basandosi su premesse diverse da quel-
le che egli applica agli africani. Dopo la missione presso la Serra di Ibiapaba, nel 1662, egli
fece una severa critica alla complicità dello Stato portoghese, della Chiesa e persino dei gesuiti
stessi nella perdita illegittima del dominio degli indiani: «Non solo acconsentiamo che i pove-
ri Gentili che abbiamo convertito perdano tutto questo, ma li persuadiamo affinché lo perda-
no. [...] Non solo permettiamo che quei Gentili perdano la loro patria, ma siamo noi che, con
persuasioni e promesse (che non sono mantenute), li strappiamo dalle loro terre, portando in-
teri insediamenti a vivere o a morire nelle nostre. [...] E non solo acconsentiamo che questi
Gentili perdano la naturale sovranità con cui sono nati e vivono esenti da ogni soggezione; ma
siamo noi quelli che li sottopongono al giogo spirituale della Chiesa, e li costringiamo anche,
al potere temporale della Corona, facendo giurare loro vassallaggio». Sermão da Epifania, in
Sermões, II, pp. 46-47.
77
A. VIEIRA, Sobre o Padre João de Almeida (trecho inédito de António Vieira), in J. L. DE
AZEVEDO, História de António Vieira, I, p. 351.
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che, nel 1684, i due tomi di sermoni sul Rosario intitolati Maria Rosa Mi-
stica, che contengono i tre sermoni ai neri della confraternita di Nostra
Signora del Rosario, interrompono la serie di dodici volumi78.
Insomma, Dio provvede tanto ai neri che vivono schiavi in Brasile
quanto ai Tapuias, che vivono liberi e ignoranti nelle loro terre. L’analisi
sistemica della congiuntura sud-atlantica dell’impero portoghese da par-
te di Vieira lo portò a proporre alla Corona di sostituire o completare la
forza lavoro indigena con quella dei neri79, a chiedere l’obbedienza degli
schiavi neri e in particolare la sottomissione del quilombo di Palmares, a
fare concessioni ai coloni nelle regioni di confine delle conquiste porto-
ghesi80 e a negoziare un patto con i Tapuias della Serrra di Ibiapaba. Il
predicatore capì che queste proposte erano convergenti per la costruzio-
ne dell’impero, nel senso provvidenziale che attribuiva allo Stato porto-
ghese; un impero universale che, come appare chiaramente dai testi, sa-
rebbe cominciato con la conversione della ‘gentilità’ amerindia e africana
in Brasile, sotto gli auspici della Corona di Braganza.
***
Se Vieira non giustifica in alcun modo i neri africani, tuttavia porta al
limite estremo l’esonero dalla colpa degli indigeni Tapuias che ancora
resistevano e, in questo modo, delimitavano i confini dell’impero porto-
ghese. Tale distinzione si basa su un relativismo insolito all’interno del
78
Ibi, II, p. 242.
79
In una lettera indirizzata alla Camera di Belém del Pará poco prima dell’espulsione dal
Maranhão, Vieira sosteneva che i riscatti degli indiani dal sertão non erano sufficienti a soddi-
sfare la domanda di questa manodopera, e propose che fossero sostituiti da schiavi provenien-
ti dall’Angola: «E venendo al rimedio, che viene sottolineato dagli schiavi [indiani riscattati]
del sertão, dal momento che lo approvo molto, e l’ho richiesto a El-rei, insistendo V.A. che
tutti fossero liberi, vedo comunque che detto rimedio da solo non è sufficiente; perché, non
importa quanti schiavi siano fatti, sempre molti di più sono quelli che muoiono, come mostra
l’esperienza di ogni giorno in questo Stato, e lo ha mostrato in Brasile, dove gli abitanti non
hanno mai avuto alcun rimedio, se non dopo essersi serviti di schiavi dell’Angola, perché gli
indiani della terra sono meno capaci di lavorare e meno resistenti alle malattie e, poiché sono
più vicini alla loro terra, o fuggono o muoiono di nostalgia». Cartas do Padre António Vieira,
I, pp. 580-581. Vieira propose nuovamente la sostituzione degli indiani con i neri nel 1662
(Resposta aos capítulos que deu contra os religiosos, pp. 298-299), nel 1669 (Resposta a uma
consulta. Parecer ao Príncipe Regente sobre o aumento do Estado do Maranhão e missões dos
índios, in Obras escolhidas, V, pp. 318-319) e nel 1678 (Informação que por ordem do Conselho
Ultramarino deu sobre as cousas do Maranhão ao mesmo Conselho, ibi, pp. 336-337).
80
Su queste concessioni fatte ai coloni portoghesi, rimando di nuovo alle Direções a re-
speito da forma que se deve ter no julgamento e liberdade no cativeiro dos índios do Maranhão e
al Voto sobre as dúvidas dos moradores de São Paulo acerca da administração dos índios, com-
mentati sopra, pp. 28-32, 340-358.
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suo lavoro, ma anche tra gli autori della prima età moderna. Dice Vieira:
«Sono inclini all’inganno gli eleganti ragionamenti fatti da lontano, con i
quali giudichiamo altri uomini per noi stessi, quando dovremmo prima
conoscerli e poi valutarli per loro stessi»81.
Così, dopo aver esaminato le distinzioni tra Tupis, Tapuias e neri, è
necessario evidenziare brevemente, in conclusione, come queste distin-
zioni implichino una rottura in relazione alla dottrina stoico-cristiana del-
la schiavitù e della legge naturale.
Secondo Seneca, «La virtù non è preclusa a nessuno; essa è accessibi-
le a tutti, invita e ammette tutti, liberi e liberti, schiavi, re ed esuli; non
sceglie in base al casato o alla ricchezza, le basta l’uomo nudo»82.
Nella rilettura di Agostino, l’enfasi viene ribaltata e la differenza rie-
merge: «Prima causa della schiavitù è il peccato per cui l’uomo viene
sottomesso all’uomo con un legame di soggezione»83. Per Agostino, in
effetti, la schiavitù è istituita come punizione inflitta dall’ordine divino
contro l’errore umano84; una punizione che è stata vestita come un atto
d’amore, perché è anche un rimedio contro i peccati di presunzione che
lo portano a violare l’ordine naturale85. Oltre a questo, Agostino osserva
che il mondo «è diverso nei costumi, leggi e istituzioni», ma «sebbene di-
verso nelle varie nazioni, è diretto tuttavia al solo e medesimo fine della
pace terrena se non ostacola la religione, nella quale s’insegna che si de-
ve adorare un solo sommo e vero Dio»86. Sono queste formulazioni che
spiegheranno e giustificheranno la moderna schiavitù dal punto di vista
della Chiesa e delle Corone, le cui pratiche e leggi sono legittimate dalla
Chiesa.
Anche Vieira nota la diversità, ma, almeno nella Clavis prophetarum,
conclude in modo opposto, concedendo e tollerando l’invincibile igno-
ranza di Dio e delle leggi naturali da parte dei Tapuias87. Sulla scia di que-
sta affermazione Vieira cita i suoi «oracoli», opponendosi non ad Agosti-
81
VIEIRA, Clavis Prophetarum, p. 385.
82
«Nulli praeclusa virtus est; omnibus patet, omnes admittit, omnes invitat, et ingenuos
et libertinos et servos et reges et exules; non eligit domum nec censum, nudo homine conten-
ta est». SENECA, De Beneficiis, III, 18, 2. Si veda, anche, Epistulae morales ad Lucilium, 44, 5-6.
83
S. Agostino, Città di Dio, XIX, 15.
84
«Ma questo non avviene senza il giudizio di Dio, nel quale non v’è ingiustizia». Ibid.
85
L’uomo nasce libero e riceve il dominio solo sugli animali. Gen, I, 26.
86
S. Agostino, Città di Dio, XIX, 17. Corsivo mio.
87
«Bisogna affermare con fermezza non solo la possibilità che esista un’invincibile igno-
ranza di Dio, ma anche il fatto che essa esista davvero. Tuttavia, poiché dopo questa afferma-
zione la stessa domanda è già un dato di fatto, abbiamo bisogno solo di testimoni, non di filo-
sofi o dottori. E per dimostrarlo, presenterò testimoni in modo tale che tra i testimoni non ci
siano solo testimoni oculari, ma i più dotti tra i dotti». VIEIRA, Clavis Prophetarum, p. 337.
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88
In un articolo sulla A ideia de comunidade universal em Francisco Suárez («IHS. Anti-
guos jesuitas en Iberoamerica», 5, 2, Jul.-Dec. 2017), Pedro Calafate ricorda che Suárez, a
differenza di Vieira, non aderiva all’impero universale, poiché non era un’imposizione della
legge naturale o della legge delle nazioni (si veda SUÁREZ, De legibus, VI, 10-11): «La figura
medievale dell’imperatore è ora sostituita dall’autorità universale della legge naturale e dal-
l’autorità ‘quasi universale’ della legge delle genti». Ibi, p. 55. A mio avviso, questo spiega la
differenza tra i due teologi.
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