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Il problema anima-corpo alla luce dell’etica tra Rinascimento e Settecento
testi • percorsi tematici • terminologia • censure
MARSILIO FICINO
EL LIBRO DELL’AMORE
Proemio di Marsilio Fecino fiorentino sopra El libro dell’Amore,
a Bernardo del Nero e Antonio di Tuccio Manetti, prudenti ciptadini
fiorentini, amici suoi carissimi.
allo amore, gli dichiarò che cosa fussi questo ardente desiderio
e per che via ne possiamo cadere al sommo male, e per che
via ne possiamo salire al sommo bene. Socrate rivelò questo
sacro mysterio al nostro Platone, Platone, philosopho sopra
gli altri pio, subito uno libro per rimedio de’ Greci ne com-
pose. Io per rimedio de’ Latini el libro di Platone di greca
lingua in latino tradussi e, confortato dal nostro magnifico
Lorenzo de’ Medici, e mysterii che in decto libro erano più
difficili comentai, e acciò che quella salutifera manna a Dio-
tima dal cielo mandata a più persone sia comune e facile, ho
tradocto di latina lingua in toscana e decti platonici mysterii
insieme col comento mio. El qual volume dirizzo principal -
mente ad voi Bernardo del Nero e Antonio Manetti, dilectis-
simi miei, perché son certo che l’amore el quale vi manda el
vostro Marsilio Fecino con amore riceverete, e darete ad in -
tendere a qualunque persona presumessi leggere questo libro
con negligentia o con hodio, che non ne sarà capace in sempi-
terno; imperò che la diligentia dello amore non si comprende
colla negligentia, e esso amore non si piglia con l ’odio. El
Santo Spirito, Amore Divino, el quale spirò Diotima, ci allu -
mini la mente e accenda la volontà in modo che amiamo Lui
in tutte le sue opere belle, e poi amiamo l’opere sue in Lui, e
infinitamente godiamo la infinita sua bellezza.
C APITOLO I
C APITOLO I
C APITOLO I
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tuire lo ’ntero, el quale poi che fia restituito, sarà l’umana ge-
neratione beata. La somma della nostra espositione è questa.
Gli huomini, cioè l’anime degli huomini, anticamente, e questo
è quando sono da Dio create, sono interi, perché sono l’anime
di due lumi ornate, naturale e sopra naturale, acciò che pe ’l na-
turale le cose equali e inferiori, pe’l sopra naturale le superiori
considerassino. Vollonsi aguagliare a Dio mentre che all ’unico
lume naturale si rivoltorono, e qui furono divise, perdendo
el sopra naturale splendore, quando solo al naturale si rivol -
sono, onde subito ne’ corpi caggiono. Se di nuovo insuperbi-
scono, di nuovo fieno divise, che s’intende: se troppo si confi-
deranno nel naturale ingegno ancora el lume naturale si spe -
gnerà in parte. Tre sessi avevano, l’anime maschie dal sole, le
femmine dalla terra, le composte dalla luna nate; cioè el ful -
gore divino alcune anime secondo la fortezza, la quale è ma -
schia, alcune secondo la temperanza, che è femmina, alcune
secondo la giustitia, che è composta, ricevettono.
Queste tre virtù in noi sono figliuole da altre tre virtù che
Dio possiede. Ma quelle tre in Dio si chiamano sole, luna e
terra; in noi maschio, femmina e composto. Poi che furono
divisi, el mezzo tirato fu al mezzo; l’anime già divise e immerse
ne’ corpi, quando giungono agli anni della età discreta, pe ’l
lume naturale che riserborono quasi per uno mezzo dell’anima
sono svegliate ad ripigliare, con studio di verità, quel lume
sopra naturale che già fu l’altro mezzo dell’anima, el quale
cadendo perdettono. E ricevuto questo saranno intere e nella
visione di Dio beate. Questa sarà la somma dell ’expositione
presente.
C APITOLO III
Che l’anima fu creata con due lumi e perché ella venne nel corpo.
C APITOLO I
Di tutte queste cose seguita che ogni gratia del volto divino,
che si chiama l’universale pulchritudine, non solamente nell’an-
gelo e nell’animo sia incorporale, ma etiandio nello aspecto
degli occhi. Non solamente questa faccia tutta insieme, ma
etiandio le parti sue d’ammiratione commossi amiamo; dove
nasce particulare amore a particulare bellezza. Così poniamo
affectione a qualche huomo, come membro dell’ordine mon-
dano, maxime quando in quello la scintilla dell’ornamento
divino manifestamente risplende. Questa affectione da due ca -
gioni depende, sì perché la imagine del paterno volto ci piace,
sì etiandio perché la spetie e figura dell’uomo aptamente com-
posta, aptissimamente si confà con quel sigillo o vero ragione
della generatione humana, la quale l’anima nostra prese dal-
l’Auctore del tutto e in sé ritiene. Onde la imagine dell ’uomo
exteriore presa pe’ sensi, passando nell’animo, s’ella si di-
scorda dalla figura dell’uomo la quale l’animo dalla sua origine
possiede, subito dispiace, e come brutta odio genera; s’ella
si concorda, di fatto piace, e come bella s’ama. Per la qual
cosa accade che alcuni, scontrandosi in noi, subito ci piac -
ciono o vero dispiacciono, benché noi non sappiamo la ca-
gione di tale effecto. Perché l’animo, impedito nel ministe-
rio del corpo, non risguarda le forme che sono per natura
dentro a llui; ma per la naturale e occulta disconvenientia o
EL LIBRO DELL’AMORE, V, V 89
Stima Agatone che dagli iddii per amore sieno date l’arte
alla generatione humana. El regno da Giove; l’arte di saectare,
indovinare e medicare da Appolline; la fabrica de’ metalli
da Vulcano; la ’ndustria del tessere da Minerva; la musica
dalle Muse. Dodici deità sono sopra e dodici segni del zodiaco
Pallas sopra all’Ariete, Venere al Tauro, Apollo a’ Gemini,
Mercurio al Cancro, Giove al Lione, Cerere alla Vergine, Vul -
cano alla Libra, Marte allo Scorpione, Diana al Sagittario,
Vesta al Capricorno, Giunone allo Aquario, Neptunno a’
Pesci.
Da costoro sono tutte l’arti alla generatione nostra con-
cesse, perché quegli segni mettono le forze sue di ciascuna
arte ne’ corpi nostri; e quelle deità le mettono nello animo.
Così Giove, pe ’l mezzo del Lione, fa l’uomo aptissimo al go-
verno divino e humano, cioè al dispensare degnamente le cose
spirituali e le temporali; Appollo pe’ Gemini ci dà la industria
del medicare e saectare; Pallas per lo Ariete l’arte del tessere;
Vulcano per la Libra la fabrica de’ metalli, e così gli altri l’altre
arti. E perché eglino ci danno e loro doni per benignità di loro
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C APITOLO I
bella cosa, quella ancora non ama, come cosa ancora non
conosciuta da llui; e colui che la intera bellezza possiede, non
è stimolato dagli stimoli d’amore. Imperò che chi è colui che
desideri quello che fruisce? Seguita adunque che l ’animo in
quel tempo s’accenda d’ardente amore, quando egli, avendo
trovato alcuna spetiosa imagine di cosa bella e di quella gustato
qualche sapore nel suo giudicio, per tale saggio è incitato alla
intera possessione di quella. Con ciò sia adunque che l ’animo
in parte possegga essa cosa bella, e in parte ne manchi, ragio -
nevolmente in parte è bello e in parte non bello. E in tal modo
vogliamo che per tale mixtione l’Amore sia un certo affecto
medio tra bello e brutto, partecipante dell’uno e dell’altro. E
certamente per questa ragione Diotima, acciò che qualche
volta a llei torniamo, l’Amore chiamò demonio; imperò che
come e demonii sono spiriti medi tra gli spiriti celesti e terreni,
così l’Amore tiene el mezzo tra la bellezza e la privatione di
quella. Questa sua regione essere tra la bella natura e non bella,
assai l’accennò Giovanni nella sua prima e seconda oratione.
C APITOLO III
cuore della più sottile parte del sangue, e di qui essendo sparso
per tutti e membri piglia le virtù dell’anima, e quelle comunica
al corpo. Piglia ancora per gli instrumenti de’ sensi le imagine
de’ corpi di fuori, le quale imagine non si possono appiccare
nell’anima, però che la sustantia incorporea, che è più excel -
lente ch’e corpi, non può essere formata da lloro per la re -
ceptione delle imagine, ma l’anima, essendo presente allo spi-
rito in ogni parte, agevolmente vede le imagine de’ corpi come
in uno specchio in esso rilucenti, e per quelle giudica e corpi,
e tale cognitione è senso da’ platonici chiamata. E in mentre
ch’ella riguarda, per sua virtù in sé concepe imagine simile a
quelle, e ancora molto più pure, e tale conceptione si chiama
imaginatione e fantasia.
Le imagine concepute in questo luogo conserva la me-
moria, e per queste è spesso incitato l’occhio dello intellecto a
riguardare le idee universali di tutte le cose, le quali in sé con-
tiene. E però l’anima in mentre che riguarda col senso uno
certo huomo, e quello concepe con la imaginatione, comu -
nemente per la sua innata idea contempla con lo intellecto la
natura e definitione comune a tutti gli huomini. Adunque
allo animo conservante la imagine dello huomo formoso, la
imagine dico appresso di sé una sola volta conceputa, e quella
avendo riformata, sarebbe abastanza l’avere veduto qualche
volta la persona amata. Nientedimeno all’occhio e allo spirito
è bisogno perpetua presentia del corpo exteriore, acciò che per
la illustratione di quello continuamente si rilluminino e si
confortino e si dilectino, e quali sì come specchi pigliano
EL LIBRO DELL’AMORE, VI, VI 125
Come in tutte le anime sono due amori, e nelle nostre sono cinque.
Queste due Veneri e questi due amori non solo sono nel -
l’anima del mondo, ma nell’anime delle spere, stelle, demoni
e huomini, e con ciò sia che tutte l’anime con ordine naturale
all’anima prima si riferiscono, è necessario che gli amori di
tutte all’amore di quella in tal modo si riferischino, che da
quello in qualche modo dependino. Per la qual cosa noi chia-
miamo questi amori semplicemente demoni, e quello chia -
miamo el gran demonio, secondo l’uso di Diotima, el quale
per lo universo mondo attende a ciascheduno e non lascia
impigrire e cuori, ma in ogni parte all’amare gli desta. E in
noi non sono solamente due amori ma cinque: e due amori
extremi sono demoni chiamati, e tre amori di mezzo non sola -
mente demoni, ma etiandio affecti. Certamente nella mente
dello huomo è uno eterno amore di vedere la bellezza divina,
e per gli stimoli di questo seguitiamo gli studi di philosophia,
e gli ufici della giustitia e della piatà. E’ ancora nella potenza del
generare uno occulto stimolo a generar figliuoli, e questo
amore è perpetuo, dal quale siamo continuamente incitati a
scolpire nella effige de’ figliuoli qualche similitudine della su-
perna bellezza. Questi due amori in noi perpetui sono. Quegli
dua demoni e quali dice Platone sempre all’anime nostre esser
presenti, de’ quali l’uno in su e l’altro in giù ci tiri, l’uno si
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Quale passioni sieno negli amanti per cagione della madre d’Amore.
dità del vedere e del toccare. Le qual’ cose observando gli an-
tichi medici, dissono l’amore essere una spetie d’omore malin-
conico e di pazzia, e Rasis medico comandò che e’ si curassi
pe ’l coito, digiuno, ebrietà e exercitio. E non solamente
l’amore fa diventare gli huomini tali quali decto abbiamo, ma
etiandio quegli che sono per natura tali sono allo amore incli -
nati; e coloro sono tali, ne’ quali signoreggia l’omore colle-
rico o malinconico. La collera è calda e secca, la malinconia è
secca e fredda: quella nel corpo tiene el luogo del fuoco e
questa el luogo della terra. E però quando dice Diotima « arido
e secco », intende lo huomo malenconico ad similitudine della
terra, e quando dice « squalido e giallo », intende l’uomo
collerico ad similitudine del fuoco. E collerici, per l ’impeto
dell’omore focoso, s’adventano nello amare come in uno pre-
cipitio; e malenconici, per la pigritia dell’omore terrestro,
sono allo amore più tardi, ma per la stabilità di decto omore,
dato che hanno nelle reti, lunghissimo tempo vi si rinvolgono.
Meritamente adunque l’Amore arido e giallo si dipigne, con ciò
sia che gli huomini che sono tali sogliono darsi all ’amore più
che gli altri, e questo credo che di qui nasca, perché e collerici
ardono per lo incendio della collera, e’ malenconici per l’asprezza
della malenconia si rodono; a questo affermò Aristotile nel
septimo libro dell’Etica. Sì che l’omore molesto affligge sempre
l’uno e l’altro, a constrigneli a cercare qualche conforto e
sollazzo, maximo e continuo, come rimedio contro alla con -
tinua molestia dello omore. Questo sollazzo è maximamente
nelle lusinghe della musica e dell’arte amatoria, imperò che
noi non possiamo ad alcuno dilecto tanto continuamente at -
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giamo uno bello obiecto, spesse volte adviene che quegli che
conversano co’ maschi, per volere rimuovere gli stimoli della
parte generativa, si mescolano con loro. Non era però conve-
niente così fare, ma era da considerare che gli incitamenti della
parte generativa non richiedevano naturalmente questo giptare
di seme invano, ma l’uficio di seminare per nascere, e però biso-
gnava l’uso di decta parte da’ maschi alle femine convertire.
Per questo errore stimiamo essere nata quella nepharia scele -
ratezza, la quale Platone nelle sue Leggi come spetie d’omicidio
agramente bestemmia. Certamente non è meno omicidiale colui
che interrompe l’uomo che debba nascere che colui che lieva di
terra el nato; più aldace è colui che uccide la vita presente,
ma colui è più crudele, che porta invidia ancora a chi ha a
nascere, e uccide e sua proprii figliuoli prima che naschino.
C APITOLO XV
Per che via si mostra che sopra al corpo è l’anima, sopra l’anima
è l’angelo, sopra l’angelo è Iddio.
C APITOLO I
vega. Dicesi ancora che Octaviano aveva gli occhi chiari tanto e
splendidi, che quando e’ fermava la luce in alcuno, vehemente-
mente lo constrigneva guatare altrove, quasi come se abba-
gliassi al sole; Tiberio ancora aveva gli occhi grandi, e alcuna
volta nelle nocturne tenebre vedeva per uno brieve tempo
svegliandosi dal sonno. Ma che el razzo che si manda fuori
per gli occhi tiri seco lo spiritale vapore, e che questo vapore
tiri seco el sangue, lo possiamo di qui intendere: che quegli
che fiso guardano negli occhi d’altri infermi e rossi, cascano
nel male degli occhi per cagione de’ razzi che vengono dagli
occhi infermi, dove apparisce che el razzo si distende infino a
colui che guarda, e insieme col razzo el vapore del sangue
corropto corre, per la contagione del quale l’occhio di chi
vede ammala. Scrive Aristotile che le donne quando sono
nel corso del sangue menstruo, spesse volte macchiano lo
specchio, guardando fiso, di gocciole sanguigne.
Credo che questo di qui nasca, perché lo spirito, che è
vapore di sangue, è quasi un certo sangue sottilissimo in modo
che non si manifesta agli occhi, ma questo vapore ingrossando
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Infino qui sia decto della spetie del furore che da malattia
procede; ma quella spetie di furore, la quale Dio c ’ispira,
inalza l’uomo sopra l’uomo e in Dio lo converte. El furore di-
vino è una certa illustratione dell’anima rationale, per la quale
Iddio l’anima, dalle cose superiori alle inferiori caduta, sanza
dubio dalle inferiori alle superiori ritira.
La caduta dell’anima da uno principio dello universo infino
a’ corpi passa per quattro gradi: per la mente, ragione, oppe-
nione e natura; imperò che essendo nell’ordine delle cose sei
gradi, de’ quali el sommo tiene essa unità divina, l’infimo tiene
el corpo, e essendo quattro mezzi e quali narramo, è neces -
sario qualunque dal primo cade insino all’ultimo per quattro
mezzi cadere. Essa unità divina è termine di tutte le cose e
misura, sanza confusione e sanza moltitudine. La mente ange -
lica è una certa moltitudine di idee, ma è tale moltitudine che
è stabile e eterna. La ragione dell’anima è moltitudine di no-
titie e d’argomenti, moltitudine dico mobile ma ordinata. L’op-
penione, che è sotto la ragione, è una moltitudine d’immagini
disordinate e mobili, ma è unita in una substanza e in uno punto,
con ciò sia che l’anima, nella quale habita l’oppenione, sia una
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