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2^ LEZIONE

- Obiettivo della linguistica è trovare le leggi, i principi o le regole che governano il linguaggio
umano: la grammatica.
-è una disciplina descrittiva = scopo è di spiegare, riconducendolo a leggi generali, ciò che
effettivamente si dice
- Definizione di lingua naturale o madre: è la realizzazione concreta della facoltà del linguaggio,
della grammatica generativa. Definizione di lingua naturale.
Caratteristiche proprie del linguaggio umano:
- Proprietà della discretezza, proprietà della ricorsività, proprietà della dipendenza dalla struttura.
Sono proprietà che altri tipi di linguaggio diversi da quello umano, tipo quello degli animali, non è
discreto ma continuo, non è ricorsivo, non è dipendete dalla struttura. Il linguaggio artificiale come
quello della matematica è discreto, ricorsivo, ma non dipendente dalla struttura.
Proprietà della discretezza: gli elementi del linguaggio si distinguono gli uni dagli altri per
l’esistenza di limiti ben definiti es. [p] è diverso da [d] A tutti i livelli dell’analisi linguistica gli
elementi che riusciamo individuare li riconosciamo perché hanno delle proprietà intrinseche che li
distingue dagli altri.
Proprietà della Doppia Articolazione: si possono formare un numero altissimo di segni, cioè di
entità dotate di significante e significato, mediante un numero molto limitato di fonemi che non
hanno significato ma che hanno la capacità di distinguere significati
Proprietà della ricorsività: frasi> altri frasi. Capacità di produrre frasi di lunghezza potenzialmente
infinita.fare uso infinito di mezzi finiti. Lingua naturale: suoni, parole, affissi, significati
(grammaticali): questi sono i vari livelli della lingua. Questi vari livelli contengono elementi finiti,
ma se combiniamo i vari pezzi tra di loro possiamo creare strutture infinite e complesse applicando
delle regole, o la stessa regola più di una volta (=ricorsività).
Ricorsività è caratteristica tipica del linguaggio umano e non animale!!!
Proprietà della dipendenza dalla struttura.
Sistema complesso: sistema di elementi o entità che è soggetto a delle regole. Sistema complesso,
cioè sistema di sistemi, ovvero è un sistema composto da altri tanti sistemi. Infatti la lingua si
compone di livelli differenti: quelle delle parole che danno luogo a frasi, quello dei suoni, degli
affissi e dei significati (grammaticali). Ognuno di questi livelli possiede entità finite che operano
solamente ad ognuno del proprio livello e si combinano tra loro mediante delle regole.
Dipendenza dalla struttura: le regole che si applicano nei vari livelli per derivare delle sequenze (di
parole, o frasi o di suoni, ecc.) non guardano a dei criteri di adiacenza (cioè uno vicino all’altro) ma
a dei criteri di dipendenza dalla struttura.
Per esempio: regola dell’accordo verbale: il verbo deve accordarsi con il soggetto che non è detto
che sia adiacente, ma nella frase può esser posto a molta distanza.
I parlanti (quando un bambino inizia a parlare) non commette mai errori di accordo, quindi rispetta
le regole dalla dipendenza della struttura anche se è una regola complessa rispetto a quella della
adiacenza.
Questa dipenda dalla struttura è una proprietà che fa parte di ogni linguaggio umano e non solo
dei “parlanti dell’italiano” .

Definizione di grammatica di una lingua: sistema complesso di regole e di principi, legge che
descrivono le possibili combinazioni e le possibili relazioni che si devono realizzare tra gli elementi

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che appartengono ad una determinata lingua.
La definizione è apparentemente simile a quella di lingua naturale perché la lingua e la grammatica
sono strettamente legate. Possiamo pensare ad una automobile composta da due parti inscindibili:
la carrozzeria che corrisponde alla lingua naturale e il motore che corrisponde alla grammatica.
I linguisti esplicitano le regole della grammatica.
Ci sono regole dei suoni (per esempio p e r si può fare solo pr.. e no rp…. nelle parole italiane).
Ci sono regole nell’ambito delle parole astratte (per esempio la regola che ci permette di dire
lavabile ma non entrabile o dormibile, cioè la regola che non posso aggiungere il suffisso – bile a
verbi come entra o dorme ma a posso aggiungere a verbi come lava).
Ci sono regole che riguardano il significato.
E' difficile dare le motivazioni delle regole.

Linguaggio umano
E’ considerata una proprietà cognitiva dell’uomo e la grammatica generativa è una proprietà che
tutti noi abbiamo quando nasciamo.
Proprietà cognitiva: proprietà che fa parte del nostro bagaglio genetico. E’ una proprietà innata.
La facoltà del linguaggio non è caratteristica culturale. La facoltà del linguaggio è rappresentata da
una serie di principi astratti e universali: grammatica universale o grammatica generativa.
Chiomski dice che la competenza o conoscenza della lingua (o della grammatica) è determinata
dalla facoltà del linguaggio che è innata. Questa conoscenza o grammatica è in definitiva un
insieme di regole o principi che abbiamo appreso durante il periodo dell’acquisizione della nostra
lingua.
Questi principi sono astratti perché sono inconsci: riconosciamo le regole della lingua e gli errori
ma non riusciamo a dare la ragione di questo. E’ una conoscenza inconscia.
Dice sempre Chiomski: la competenza è innata ma nel parlare (nell’esecuzione) possiamo fare
errori che comunque riconosciamo. Gli errori possono esser dovuti a ragioni psicologiche o fisiche,
ma non cognitive.
Come si passa dalla facoltà del linguaggio alla conoscenza della grammatica di lingua particolare:
attraverso l’esperienza. L’esperienza è data da tutti i dati linguistici che noi veniamo a contatto dal
momento in cui nasciamo. I dati linguistici attivano la nostra facoltà del linguaggio fino ad arrivare
alla conoscenza o competenza di una specifica lingua. Se non abbiamo questi continui input non
riusciamo a imparare una lingua.
Quindi non si apprende solo per ripetizione, ma abbiamo qualcosa di innato: la grammatica
universale, proprietà cognitiva. L’apprendimento è spontaneo, avviene senza nessuno sforzo
apparente ed è rapido.
Avviene senza insegnamento esplicito.
A 8-9 anni, i parlanti hanno appreso tutta la grammatica della propria lingua: sono perfettamente
corretti dal punto di vista grammaticale.
I bambini quando stanno acquisendo la lingua, fanno errori, ma non commettono mai certi tipi di
errori: per esempio non sbagliano mai la regola dell’accordo verbale. C’è qualcosa di biologico che
impedisce certi tipi di errore: la grammatica universale. Inoltre c’è qualcosa che permette di
riconosce gli errori, propri e degli altri. C’è poi la creatività: ogni volta esprimiamo un concetto in
maniera diversa, con parole e costruzione della frase diverse.
Sulla base di questi paradossi, Chiomski dice che esiste la facoltà del linguaggio.

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L’obiettivo del linguista è quello di capire le proprietà della facoltà del linguaggio e per poterlo fare
deve studiare la grammatica delle diverse lingue naturali.
E quale è la funzione della facoltà del linguaggio?: è quello di apprendere velocemente, è quello di
conoscere gli errori, ecc. E’ quella di delimitare delle possibile grammatiche che un individuo può
elaborare sulla base esclusiva dell’esperienza.

Principi della grammatica universale (perché uguali per tutte le lingue) o della facoltà del
linguaggio
Principio della ristrettezza: il linguaggio è ristretto.
Principio della ricorsività: il linguaggio può costruire delle frasi replicando delle determinate regole
in maniera illimitata.
Principio della dipendenza dalla struttura: le regole non si stabiliscono mediante criteri di
adiacenza ma mediante criteri strutturali, di come gli elementi della lingua si strutturano tra di
loro.
Quello che differenzia una lingua dall’altra è il lessico, ma anche la struttura, cioè la possibilità di
combinazione degli elementi dei vari livelli

3^ LEZIONE

Chiomski e la teoria della facoltà del linguaggio come facoltà innata con una serie di principi
generali = grammatica universale (vedi sopra). Alla facoltà innata si aggiungono i dati
linguistici=esperienza. A 8-9 anni si raggiunge la competenza completa della propria lingua. Non è
detto che un bambino di 8-9 anni sappia parlare ed esprimersi benissimo, ma sa estrarre
mentalmente le regole della grammatica della propria lingua.

Come mai le lingue del mondo sono tante e molto diverse tra di loro, se tutti nasciamo con la
stessa facoltà del linguaggio?
L’ipotesi per giustificare le grandi differenze delle lingue è che questi principi, magari non tutti,
siano corredati da parametri. Cioè questi principi che sono universali abbiano anche delle variabili
aperte a cui noi individui assegnavo un valore particolare con l’esperienza di una determinata
lingua. E’ proprio la differenza di valore che assegniamo ai parametri associati alla grammatica
universale che fa la differenza tra le lingue.
Il valore del parametro da luogo ad una serie di proprietà della lingua che per noi parlanti
sembrerebbero indipendenti una dall’altra ma che in realtà non lo sono.
Esempio: principio della ricorsività (esempio con la subordinazione). A questo principio universale
è associato un parametro. Le lingue possono scegliere il lato ricorsivo che può essere a destra o a
sinistra. Per esempio, nella lingua italiana il lato ricorsivo è a destra “Credo che Gianni abbia detto
che verrà”. Credo è la categoria principale che permette la subordinazione. In italiano tutti i
complementi si mettono a destra. Questo parametro della ricorsività è della grammatica italiana.
(questa opzione ce l’abbiamo per l’italiano, lo spagnolo, l’inglese, ecc..). Nella lingua giapponese o
turca, non viene scelta questa opzione: il valore al parametro sceglie il lato sinistro. In giapponese
si dice “Gianni di ragazza”. In queste lingue il lato ricorsivo è a sinistra.
Si da luogo così a lingue che sono molto diverse tra di loro.
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Un altro principio della grammatica universale è il principio di proiezione esteso .
Enunciamo il significato: Le relazioni semantiche tra le unità di una lingua devono mantenersi
inalterate lungo tutta la derivazione. Tutte le frasi devono avere un soggetto.
Significa che nell’ambito della sintassi: nel lessico combiniamo le varie parole per fare le frasi. Per
questo dobbiamo rispettare alcune proprietà semantiche. Per esempio se io uso il verbo comprare
devo associare un soggetto (Gianni) e un oggetto diretto (il pane). Questa del fatto che comprare è
un verbo che ha bisogno di due argomenti è una proprietà sentamantica che fa parte del lessico
che abbiamo appreso. Perciò prendendo dal lessico il verbo comprare, dobbiamo rispettare le
proprietà semantiche del verbo: abbiamo bisogno di due argomenti.
Dal lessico passiamo alla sintassi e deriviamo una frase e le proprietà che le parole hanno nel
lessico devono essere riportate obbligatoriamente nella sintassi. Quando combiniamo queste
parole tra di loro per fare una frase non possiamo non tenere conto delle relazioni semantiche che
fanno parte del lessico altrimenti diamo luogo a frasi agrammaticali.
L’altra proprietà: tutte le frasi devono avere un soggetto. Inteso come posizione del soggetto,
strutturale e non lessicale. E a questo annunciato viene associato un parametro che si chiama
parametro del soggetto pronominale nullo. (Nullo= non significa che non c’è, ma che non si
realizza lessicalmente Esempi di soggetto pronominale nullo: “Sono arrivato tardi”. “Hai visto
papà?”). Viene enunciato così: il soggetto quando è pronominale può non essere pronunciato
lessicalmente. In alcune lingue, invece, il soggetto pronominale si deve sempre realizzare
lessicalmente.
Questo paramento ci permette di differenziare proprietà di alcune lingue da una parte, come
l’inglese, oppure dall’altra come l’italiano o lo spagnolo.
Avremo quindi due grammatiche diverse che vengono motivate e giustificate dal valore che viene
dato alla variabile aperta del parametro che fa parte della grammatica universale.
La scelta di ognuno di questi parametri da luogo alle varie grammatiche. L’esperienza chiude
queste variabili aperte e da luogo alla grammatica che sarà diversa da un’altra grammatica dove
viene scelta una variabile contraria.
Perciò, il parametro soggetto pronominale nullo è SI, nella lingua italiana, e anche se lessicamente
non si vede, il soggetto c’è e lo si evidenzia dall’accordo verbale. Nella lingua inglese è NO, e quindi
il soggetto va espresso lessicamente.
Una proprietà che deriva dal soggetto pronominale nullo è che in italiano il soggetto può avere
una posizione diversa, non solo pro-verbale: per esempio: E’ arrivato Gianni. In italiano il soggetto
è elastico, in inglese è più rigido in quanto a posizione. Eventualmente se il soggetto è in una
posizione strana, cioè posizione post-verbale, la posizione del soggetto rimane e si mette un
pronome espletivo there o it, che occupa, appunto, la posizione del soggetto e non ha altro
significato.
Un’altra proprietà è che in italiano con i verbi impersonali selezionano solo argomenti interni: per
esempio verbi metereologici non richiedono un attore che svolgano l’azione dettata dal verbo
Piove, nevica, ecc.. In questo caso il pronome non è associato lessicamente, quindi manca proprio,
in italiano non ci mettiamo niente. Altro esempio Sembra che Gianni ce la farà. Sembra è un verbo
che non richiede un soggetto che fa l’azione, per questo no si ha nulla (come soggetto). Invece in
inglese accade che mettono l’ it , cioè va messo un pronome espletivo, cioè un elemento a cui non
corrisponde nessun elemento semantico, ma che segnala solo la posizione (it rains).
Si vede così quante sono le poprietà che discendono da un unico valore, quello del soggetto
pronominale nullo.

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Per poter arrivare a capire le proprietà del linguaggio i linguisti devono studiare tutte lingue così si
possono verificare le ipotesi proposte oppure proporre altre ipotesi di come si costruisce una
lingua.

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Capitolo 3° LE LINGUE DEL MONDO
Si contano attualmente 6 mila lingue e tra queste sono escluse le lingue morte, quelle che non
sono sopravvissute ma sono state sostituite da lingue moderne. Tra queste 6.000 non fanno parte
neanche i dialetti.
Quando si parla di dialetti c’è l’dea che non siano lingue. Non è vero: anche i dialetti sono delle
lingue, hanno il loro sistema morfologico, lessicale, sintattico e grammaticale. La differenza è che la
lingua è un dialetto che è stato più “fortunato” degli altri, perché è riuscito ad imporsi sugli altri
dialetti (per motivi politici, sociologici e letterali) e diventare la lingua ufficiale. Quindi quando si
parla di differenza tra lingua e dialetto è che una ha avuto dietro un esercito e la letteratura che
l’ha fatta predominare sugli atri dialetti, il dialetto no.
Si studiano le lingue per classificarle in base alle proprietà comuni e diverse che hanno tra di loro.
E per poter classificare le lingue, dall’800 (quando si è iniziato a studiare le lingue), si sono utilizzati
più criteri.
I tre criteri maggiori di classificazione sono: il criterio genealogico, il criterio tipologico e il criterio
areale.
Il criterio areale: distinzione delle lingue a seconda di dove sono parlate
I criterio genealogico: cerca di raggruppare le lingue guardando ad una lingua antica da cui tutte
queste discendono, detta lingua originaria. Es latino rispetto all’italiano, spagnolo, rumeno,
catalano. A sua volta il latino deriva da un ceppo più grande, quell’indo-europeo, da cui derivano
altre lingue non latine, come l’inglese o il russo.

4^ LEZIONE – 10 ottobre 2017


Criterio genealogico: è il più antico rispetto al criterio tipologico. E’ stato sviluppato nell’800.
Genealogia linguistica: classificazione genealogica studiando le lingue e si vede quali sono le loro
proprietà in comune attraverso l’associazione ad una lingua originaria. Questa può essere una
conosciuta perché documenti scritti oppure ricostruita sulle base delle proprietà attuali o delle
lingue antiche.
Tutte le lingue sono suddivise in famiglie, che hanno degli ascendenti identici che a loro volta
hanno altri ascendenti.
Fino ad ora sono state proposte dalla linguistica una decina di famiglie (vedi capitolo 3). Per
esempio, quelle che accomunano le lingue che attualmente accomunano più parlanti sono quella
indoeuropea, afro-asiatica, uralica, silo-tibetana, nigercordofaniana, altaica, ecc.
L’ indoeuropea: appartiene l’italiano, inglese, tedesco, francese, russo, indi, ecc.: cioè le lingue
europee sono quasi tutte indoeuropee.
Afroasiatica: appartengono, per esempio, l’arabo e l’ebraico.
Uralico: ungherese, lettone e finlandese
Silotibetano: cinese con tutte le sue varietà
Altaico: mongolo e il turco
Alcune lingue fino ad ora non si è potuto inserire in nessuna famiglia e vengono dette isolate. Tra
queste lingue abbiamo in Europa il basco, poi il giapponese, il coreano.

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Ogni famiglia a sua volta è suddivisa i gruppi. I gruppi dell’indoeuropeo sono 11. Le lingue che
appartengono ai vari gruppi hanno delle proprietà che le distinguono dalle lingue degli latri gruppi.
 Gruppo slavo: con 3 sottogruppi.
1. slavo orientale: russo, bielorusso e ucraino.
2. Slavo occidentale: ceco, polacco e slovacco.
3. Slavo meridionale: bulgaro, serbo-croato, macedone e sloveno
 Gruppo germanico: 3 sottogruppi
1.germanico settentrionale Svedese, danese e norvegese; islandese
2: germanico occidentale: Inglese e frisone
3. Germanico neerlando-tedesco Tedesco, olandese e nederlandese
 Gruppo italico: due sottogruppi
1. Italico orientale: appartengono lingue morte: osco, umbro e sannita
2. Italico occidentale: latino (lingua estinta ma da cui discendono le lingue neolatine
romanze: portoghese, spagnolo, catalano, gallego, francese, italiano, romeno, ladino,
provenzale)

 Gruppo indo-iranico: come il sanscrito, indi, curdo, persiano, urdu


Gruppo tocario: tutte le lingue sono ormai estinte
 Gruppo anatolico con tutte lingue estinte
 Gruppo armeno: c’è solo l’armeno
 Gruppo albanese: unica lingua è l’albanese
 Gruppo baltico: lettone e lituano
 Gruppo ellenico: unica lingua greco (antico e moderno)
 Gruppo celtico: irlandese, gaelico, bretone e gallese

Criterio tipologico: guarda le proprietà comuni delle lingue senza guardare la genealogia ma
semplicemente studiando le loro combinazioni o proprietà interne.
Viene differenziato secondo le proprietà in tipo morfologico e tipo sintattico. Cioè nel primo caso
si raggruppano le lingue guardano le proprietà che le accomunano sulla base della formazione
delle parole e nel secondo caso si accomunano con la combinazione delle parole all’interno dei
sintagmi o frasi.
La classificazione tipoLOGICA
Il tipo morfologico guarda alla derivazione delle parole e a come si formano.
Si distinguono 4 tipi di lingue:
1) lingue di tipo isolante
2) lingue di tipo agglutinante
3) lingue di tipo flessivo
4) lingue di tipo polisintetico

1) Tipo isolante: lingue in cui le parole non presentano nessuna morfologia (non è specificata dal
genere, numero, tempo, caso, ecc..). Come si fa a capire la relazione che hanno gli elementi nella
frase? Attraverso la posizione e attraverso alcune particelle. Una lingua del tipo isolante è il cinese.
Anche l’inglese è in po’ isolante.
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Le lingue non sono al 100% di un tipo morfologico o di un altro.
2) Tipo agglutinante: per ogni affisso corrisponde una proprietà (contrario del tipo isolante): per
ogni affisso corrisponde un'unica proprietà: un affisso specifico che indica il caso, o un affisso
specifico che indica il genere, ecc. Una lingua di questo tipo è il turco.
3) Al tipo flessivo appartiene l’italiano, lo spagnolo, ecc. Un affisso che viene aggiunto alle parole
maggiori esprime più di una proprietà. Per esempio se in italiano si dice case l’elemento è l’e. L’E
esprime il genere (femminile, il numero (plurale). Per esempio se si dice andava, va è l’affisso che
esprime diverse proprietà nominali la persona (terza), il numero (singolare) e proprietà verbali,
come il tempo imperfetto, modo indicativo, aspetto imperfettivo. Si dicono anche flessive
sintetiche (tante proprietà in un unico affisso.)
4)lingue polisintetiche: come l’eschimese. Le parole non sono in generale libere ma sono degli
affissi, cioè hanno proprietà affisali: in eschimese un'unica parola corrisponde ad una frase sola. Le
parole si attaccano una alle altre e così danno luogo ad una unica parola lunga che corrisponde ad
una frase.

C’è una classificazione più recente che è sintattica. E’ stata proposta negli anni ’60.
Si raggruppano le lingue osservando l’ordine in cui si dispongono certe parole all’interno dei
sintagmi o delle frasi.(tipologia dell’ordine delle parole)
Si parte dalla frase, e dall’ordine delle parole maggiori (nome, verbo, aggettivo, ecc.) nella frase.
L’ordine della disposizione è tipico di certe lingue e non di altre.
L’ordine SVO, cioè soggetto, verbo e oggetto viene rispettato nell’italiano. Per esempio Gianni
mangia la mela. Anche lo spagnolo appartiene a questo tipo sintattico, anche il francese, l’inglese.
Il 42% delle lingue segue l’ordine SVO.
Poi c’è l’ordine SOV: ce ne sono abbastanza, di antiche e di odierne, come il latino, il giapponese, il
turco, il basco, il tedesco (solo nelle frasi dipendenti)
Ordine VSO: il soggetto segue il verbo così come l’oggetto segue il verbo. Le lingue che hanno
questo ordine sono poche, circa il 10%. Sono le lingue celtiche, tra cui l’irlandese, anche l’ebraico.
Ordine VOS: (mangia la mela Gianni) c’è solo una lingua, il mangascio e da alcune lingue
dell’America del Nord.
Nessuna lingua sembra avere l’ordine OVS o l’ordine OSV.

Lingue pre-posizionali (PR) e lingue pos-posizionali (PO): questa è un’altra classificazione che si
basa sulla posizione della particella che può essere prima del nome o dopo del nome. Per esempio:
preposizione - nome (nell’ italiano) a Francesca. Nelle lingue post-posizionali la particella è dopo il
nome Francesca a., come il giapponese.
In altre lingue il modificatore del nome può essere prima o e in altre dopo: per esempio l’aggettivo
precede il nome in alcune lingue e in altre lingue l’aggettivo è dopo il nome.
In italiano, per esempio, l’aggettivo va dopo il nome, in altre lingue, come l’inglese l’aggettivo
precede il nome. Ci sono lingue in cui il genitivo precede il nome, e in altre lo segue (come in
italiano: Il libro di Maria). Ci sono casi misti, come in inglese, dove c’è il genitivo sassone.

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FONOLOGIA

Disciplina all’interno della grammatica che si occupa dei suoni si chiama Fonologia
Si occupa di studiare le proprietà dei suoni della lingua. Quindi si occupa di studiare la competenza
fonologica dei parlanti, tale competenza viene descritta attraverso delle regole.

La FONOLOGIA SI OCCUPA DI:


1 di stabilire quali suoni siano portatori (distinguono) di significati e quali no, per ogni lingua
naturale= se a differenza di suoni corrisponde una differenza di significato
Esempio.
Un italiano sa (competenza) che esiste un unico suono che corrisponde alla erre. Un unico suono
della erre che ha un significato. La erre normalmente è vibrante alveolare, però anche la erre
pronunciata alla francese (suono ugulare) o moscia viene riconosciuta come erre come lo stesso
suono, meglio stesso significato. Sta al parlante decidere come pronunciarla, ma il significato sarà
sempre lo stesso perché è un unico suono mentale.
Ci sono, invece, altri suoni che nello stesso contesto di parola hanno significati diversi. Per esempio
la R e la M sono suoni che danno significati diversi: ramo e raro. Oppure le O e la I sono due suoni
diversi perché nello stesso contesto hanno significati diversi: rari e raro.
Le lingue hanno la possibilità, entro certi limiti, di scegliere quali sono i suoni che per loro
distinguono significati e quali no.
Per esempio, in italiano e in inglese.
In italiano abbiamo il suono nasale alveolare N e questo c’è anche in inglese. In italiano abbiamo
anche il suono N nasale e velare, come nella parola Incredibile. In italiano questi due suoni della
enne non distinguono significati diversi. In inglese, invece, le due enne fanno parte della
competenza del parlante che distingue due significati: vedi sing e seen.
In questo corso ci occupiamo dei suoni distintivi in italiano.
 distribuzione
 coppie minime
2. come i suoni si modificano in combinazione
S+fortunato -> [s]fortunato
S+regolato -> [z]regolato
3. come i suoni si combinano insieme
Es in italiano ci sono suoni come [ʃ] [t] [r] ma alcune combinazioni sono ammesse, altre no
La competenza fonologica di un parlante non è solo quella di distinguere quali suoni danno un
significato e quali no, ma anche quella di saper esprimere le modificazioni di suoni determinate
dal contesto.
Cioè un suono che viene considerato distintivo da un parlate italiano sistematicamente può essere
prodotto in modi diversi in base agli elementi sonori che lo precedono o lo seguono.
Questo fatto fa parte della competenza fonologica di un parlante ma la ricerca della regola che sta
sotto a questo è uno degli obiettivi della fonologia.
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In italiano abbiamo tre suoni nasali distintivi: N, M e GN. Se prendiamo il caso della nasale
alveolare N a seconda di dove questo elemento compare noi parlanti italiani lo pronunciamo in
maniera diversa. Lo pronunciamo come alveolare (Incapace) se preceduto da una vocale, da suono
velare, quando, invece è seguito da un suono bilabiale o fricativo (Fo o Po), lo pronunciamo in altro
modo, cioè labio-dentale.
ɱ prima di f,v (anfora)
n (Nano)
ɲ (gnomo)
ɳ prima di k, g (ancora)

La cosa è inconscia; il suono è diverso ma non ci accorgiamo.


Se la pronuncia è sbagliata, noi capiamo che la persona non è italiana perché non ha capito questa
regola che un italiano inconsciamente segue.

CONTESTO p. 88
Un suono ha una sua DISTRIBUZIONE = tipi di contesto o posizione in cui può comparire.
Vedi es 22 e 23 p. 88
FONI E FONEMI p. 88
FONI= suoni, rumori del linguaggio articolato
FONI DISTINTIVI= quando differenziano il significato
[p] [t]  suoni che contribuiscono a formare le
COPPIE MINIME= coppie di parole che si differenziano solo per 1 suono nella stessa
posizione (pare-tare, premo-tremo, carpa-carta)
 concreto> parole> esecuzione
FONEMI= 2 suoni che hanno valore distintivo. Non ha significato ma contribuisce a differenziare dei
significati. /t/
[pane] [pʰane]
 astratto>langue> competenza
Sul piano astratto, che corrisponde alla nostra competenza fonologica, contiene tutti quei suoni di
una lingua particolare che risultano distintivi (cioè i suoni che distinguono parole quando utilizzati
nello stesso contesto) p, n, a, ecc.. questi elementi che sono astratti sono chiamati fonemi: sono
cioè tutti quegli segmenti di suono astratti che noi durante il processo di acquisizione capiamo
essere distintivi.
C’è poi un livello concreto o livello articolatorio. Il livello concreto sarà in relazione con l’aspetto
dell’esecuzione. Qui ci sono tutti i suoni che sono linguisticamente rilevanti (sia distintivi sia non
distintivi). Linguisticamente rilevanti per ciascuna lingua. La concretizzazione dei suoni si chiama
FONI. I fonemi (astratti), cioè i segmenti di suoni distintivi, si rappresentano tra parentesi
oblique // i foni (concreti) tra le [ ]. Concreto= si associa all’esecuzione
VARIANTI LIBERE = il significato non cambia se pronuncio r o r moscia. Suoni intercambiabili. Nella
competenza mentale (astratto) abbiamo, per esempio, una unica erre, sul piano concreto la

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possiamo realizzare in tre modi diversi (vedi sopra). Sono chiamate varianti libere che dipendono
dal parlante che le esegue in modo diverso ma il suono mentale è unico.
ALLOFONI= [s] è diverso da [z] a livello fonetico
/s/ fonema a livello fonologico

Ci sono suoni linguistici distintivi che per questioni articolatorie che dipendendo dal contesto
obbligano a pronunciarli in un modo piuttosto che in un altro. Un esempio è la nasale n. tre
fonemi nasali sono N, GN, M. Quando realizziamo questi tre fonemi, non li realizziamo con tre foni,
ma con 5 foni diversi. M = M, GN= …….., N = . Queste non sono varianti libere, ma dipendono dal
contesto, agli altri elementi di suono che precedono o seguono uno di loro. Questi sono detti
allofoni o varianti combinatorie (cioè dovute al contesto, che ci obbligano a pronunciare la enne in
modo piuttosto che un altro in base al contesto).
Per esempio in inchiostro o inganno la enne è pronunciata come nasale velare.

Tratti distintivi

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Questi sono comportamenti fonologici sistematici. Come li descriviamo?
I fenomeni fonologici sistematici, sono dei processi che si applicano tra il livello astratto e il livello
concreto, cioè tra la nostra competenza e la nostra esecuzione. Sono delle generalizzazioni che ci
spiegano per quale motivo noi inconsciamente pronunciamo la enne in maniera diversa in base al
contesto.
Questi processi fonologici vengono descritti da regole: regole fonologiche. Questa alternanza tra
astratto e concreto ci fanno capire che i fonemi (cioè i suoni distintivi) non sono le unità più piccole
della grammatica, ma a loro volta sono differenziati in tratti (proprietà sonore o tratti distintivi :
pag. 94 e pag.95): ogni suono è a sua volta composto da una serie di proprietà (tratti) sonore. Ogni
suono distintivo deve essere rappresentato da un fascio di proprietà linguisticamente rilevanti.
Sono proprio queste proprietà che ci permettono di distinguere le differenze sonore degli allofoni.

I tratti distintivi permettono di dividere i suoni distintivi di una lingua in classi diverse e ci permette
di capire come si struttura la sillaba nelle diverse lingue.
I caratteri distintivi dipendono tutte dalle proprietà articolatorie.
Possono resistere altri tratti che compongono un fonema, ma non ci interessano se non sono
linguisticamente rilevanti.

Quello più importante è il tratto sillabico, che fa riferimento alla struttura della sillaba.
Le proprietà sono tutte evidenziate con un + o in -, cioè se la proprietà c’è o meno.
Tutte le consonanti in italiano saranno – per il tratto sillabico, cioè non sono nucleo di sillaba. (in
inglese, invece, ci sono alcuni casi in cui una consonante può essere nucleo di sillaba: per esempio
la enne finale o la laterale elle, viene considerato nucleo di sillaba).
Altro tratto importante è il tratto consonantico. Tratto consonantico: è un fonema la cui
realizzazione implica l’ostruzione del passaggio dell’aria. Il tratto – consonantico interessa tutte le
vocali
Tratto sonorante: i fonemi per la produzione dei quali l’aria esce più o meno liberamente. Le +
sonoranti sono poche: sono le liquide e le nasali e le approssimanti (J e W). Tutte le vocali sono
sonoranti logicamente
Tratto sonoro: suoni prodotti con le vibrazioni delle corde vocali: sono tutte le vocali, le liquide e le
nasali.

La suddivisione in astratto e concreto viene rappresentata con trascrizioni diverse. Il concreto viene
rappresentato con la trascrizione fonetica, invece l’astratto viene rappresentato con trascrizione
fonologica. Non c’è una corrispondenza biunivoca tra trascrizione fonologica e trascrizione
fonetica (nella trascrizione fonologica non ci sono gli allofoni ma i tratti distintivi, per esempio).
Nella trascrizione fonetica c’è una relazione biunivoca tra suono e simbolo (IPA) La trascrizione
fonologica ci permette di capire quale sono i fenomeni fonologici che si ripetono a seconda dei
contesti. Li rappresentiamo con trascrizione fonetica e fonologica e li descriviamo tramite regole.

La trascrizione fonologica è inclusa tra parentesi oblique //


Nella trascrizione fonologica si trascrivono tutti e solo gli elementi distintivi, per esempio l’accento
primario di parola. Invece nella trascrizione fonetica si descrivono tutte le proprietà articolatorie di
un dato fonema quando noi lo eseguiamo e quindi diamo luogo a questo continum fonico che può
cambiare il suono mentale in base ai fonemi precedenti o successivi

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Per esempio, l’accento primario di parola è un tratto distintivo quindi viene trascritto anche nella
trascrizione fonologica. Nella trascrizione fonologica sono riportati solo i tratti distintivi (nelle
barre / ci sono solo i tratti distintivi di parola/) L’allungamento vocalico non è un tratto distintivo
per cui non sarà riportato nella trascrizione fonologica.

Z e s sono allofoni. In sbadato si pronuncia la sonora Z perché è seguita da una consonate sonora
(B), invece in spendere si utilizza la sorda S, perché p è seguita da una consonate sorda P.
Poiché sono allofoni, nella trascrizione fonologica si utilizza la S.

Appunto riguardo la sillaba: prendiamo FIERA e FEUDO. In entrambi i casi abbiamo un dittongo.
Dal punto di vista fonologico non sembra possibile parlare di dittongo, perché significa unione di
due vocali. Nel primo caso è un dittongo ascendete, il secondo è un dittongo discendete. Dipende
dall’accento primario: se l’accento primario cade sulla seconda delle due vocali allora il dittongo è
ascendete, se cade sulla prima si dice discendete.
Il dittongo è formato da una vocale alta (I e U ) + una vocale medio-alta, medio-bassa e bassa (E, O,
A). il Dittongo può essere formato anche da due volali alte: es GUIDA, FIUME.
Parlare di dittonghi è più riferito alla scrittura che alla competenza del parlante. Alla fine non
parliamo mai di dittonghi, ma di approssimanti. Poiché le approssimanti non sono vocali,
fonologicamente non si parla di dittonghi perché non sono due vocali unite.

Regole fonologiche p.96


Sono delle istruzioni che descrivono come cambia un segmento di suono=sono delle istruzioni a
cambiare una data unità con un’altra unità in un determinato contesto.
Sono rappresentate secondo tre criteri diversi.
1. AB/___C (a diventa c nel contesto di b )
Es. amiko – amittʃi
k-> ttʃ/ ____+i (k diventa tʃt prima di i preceduto da un confine di morfema

2. AB/D___

3. AB/D___C
A è il contesto di suono interessato; B è il segmento di suono che cambia.
A passa a B quando si trova in un contesto che è seguito o preceduto o entrambe le cose da un
certo segmento di suono.
A subisce il cambiamento e B è il risultato in determinati contesti.
A può corrisponde anche ad un segmento zero (casi di inserzioni). Per esempio per scritto diventa
per Iscritto. In certi linguaggi specializzati viene scritto per scritto.
Oppure psicologo nesso sillabico malformato che qualcuno trasforma in pisicologo . Questi due
esempi sono esempi di iscrizione con l’inserimento della I epententica.

Lo stesso può essere che B sia zero.. Quindi fenomeno fonologico di cancellazione. Qui gli esempi
sono tanti: bell’amica; l’anatra; questo quest’anno.
I casi di inserzione o cancellazione si danno sempre ai limiti della parola, cioè all’inizio (inserzione)
o alla fine (cancellazione) della parola.
Lo stesso vale per i suffissi (contentocontentezza) la O viene eliminata, passa a zero, nel contesto
seguito da EZZA.

Se volessimo attraverso le regole fonologiche descrivere gli allofoni N, dobbiamo utilizzare i tratti
distintivi, perché questi ci dicono qual’è la proprietà sonora che da luogo ad un’altra
concretizzazione di un suono mentale.
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N si velarizza quando è seguita da K e G
Da meno arretrato si passa da più arretrato…. (vedi appunti di qualcuno)

Regola fonologica per distinguere il cambiamento di suono da S e Z. Tra le due suoni tutti i tratti
distintivi sono uguali, l’unica differenza è che S è sorda e la Z è sonora.
La regola è …….

Fenomeni fonologici (pag.98 in poi)

Vediamo i fenomeni fonologici che sono alla base delle regole.


I fenomeni fonologici sono di 4 tipi.
1. Cambiare i tratti
2. Inserire segmenti di suoni
3. Cancellare segmenti di suoni
4. Cambiare l’ordine dei segmenti (metatesi) questo fenomeno non esiste in italiano.

1. Cambia uno o più tratti di un segmento di suono.


Questo fenomeno è associato al fenomeno fonologico dell’assimilazione.
Un segmento di suono cambia uno o più tratti distintivi che lo caratterizza perché assimila uno o
più tratti che contraddistinguono un segmento di suono che lo precede o lo segue. Coarticolazione:
(è un fenomeno articolatorio). Per esempio, potrà essere allungata la proprietà articolatoria del
segmento di suono che precede. Si parla di assimilazione anticipatoria (regressiva) e assimilazione
perseverativa (progressiva). E l’assimilazione bidirezionale.
L’assimilazione può essere parziale o totale.
Anticipatoria: il segmento di suono anticipa le proprietà del segmento di suono che viene dopo.
Esempio: N che passa velare o labio-dentale. Sono casi di assimilazione anticipatoria. N + arretrato
se seguito da una consonante …
L’assimilazione anticipatoria può essere parziale, quando cambiano solo alcuni tratti o totale,
quando cambiano tutti i tratti distintivi.
In italiano non c’è l’assimilazione perseverativa. In italiano un segmento di suono cambia solo a
causa di un segmento di suono che lo segue, e mai per un segmento di suono che lo precede. In
inglese, invece, può succedere.

Un altro caso di assimilazione anticipatoria parziale è il caso della S che diventa Z: cambia solo il
tratto della sonorità. Questo succede quando il segmento che lo segue è + consonantico e + sonoro
(es: sbattere o sleale o sgranare).

Nell’italiano settentrionale il passaggio della S a Z ce l’abbiamo anche quando si trova tra due suoni
non consonatici (due vocali o una vocale e una semiconsonante). In questo caso si parla di
assimilazione bi-direzionale. Es: disegno. La pronuncia standard prevedrebbe la S, ma nell’italiano
settentrionale lo pronunciamo con Z, cioè la facciamo più sonora. Questo quando è preceduta da
tratti – consonantici (che sono le vocali e le semiconsonanti).

Un altro caso di assimilazione anticipatoria parziale molto comune sono i casi chiamati
palatalizzazione
Questo avviene ai confini di parola, cioè tra una parola e un affisso… Es: elettrico. Se aggiungo un
suffisso derivativo –ità, succede che la K diventa TS, questo è dovuto alla presenza della vocale I o E
che segue. Questo determina il cambiamento della K in TS o della G in ddʒ. La palatalizzazione non
è sistematica, ci sono casi che non succede.
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per esempio nell’aggettivo sporco, al plurale non dico sporci, ma sporchi: non c’è palatalizzazione,
oppure chirurgo al plurale dico chirurghi e non chirurgi.
La palatalizzazione c’è sempre, comunque, nell’ambito della flessione verbale. Esempio: leggo o
legga, diventa leggi.

Assimilazione perseverativa: c’è in inglese (pensiamo ai plurali)

LEZIONE DEL 7 NOVEMBRE 2017


I processi fonologici sono sistematici e dipendono dal contesto fonologico.
Sono divisi in tre tipi diversi.
Ci sono fenomeni fonologici che possono cambiare uno o più tratti di un fonema, oppure inserire
segmenti di suono oppure cancellare segmenti di suono, oppure cambiare l’ordine dei segmenti.
Quest’ultimo fenomeno non c’è in italiano.
Nell’altra lezione abbiamo visto il fenomeno dell’assimilazione. E’ motivata dalla coarticolazione.
Esempio di assimilazione totale anticipatoria: la N nasale alveolare si assimila completamente alla
consonante che segue quando questa consonante è caratterizzata dal tratto sonorante, cioè
quando il segmento di suono è + consonantico e + sonorante. Queste sono le liquide (laterali
vibranti) e le nasali. Allora la N diventa anche lei + sonorante e + consonante.
Esempio: legale. In-legale diventerà il-legale; resistibile In-resistibile diventerà ir-resistibile..
Morale sarebbe in-morale, diventa invece im-morale.

La dissimilazione è un altro processo fonologico.


Significa che un segmento di suono diventa diverso da un altro segmento di suono identico che
compare nel continum di fonico, non deve essere adiacente, ma apparire in una sillaba precedente.
Per esempio, prendiamo il suffisso - ale che da luogo ad aggettivi relazionali, per esempio
autunno, si aggiunge il suffisso – ale, diventa autunnale (cioè relativo all’autunno). Avverbio -ale
diventa avverbiale (proprietà relativo all’avverbio.) Liceo –ale liceale (relativo al liceo).

Se nella parola base, nella sillaba precedente ad –ale, compare una laterale, allora la L passa a R, l
cioè da laterale diventa vibrante. Questo è sistematico.
Per esempio la parola milite, diventa militare e non militale, cioè la L di a-ale si dissimila per
l’azione della stesso segmento di suono che compare nella sillaba precedente (non è necessaria,
però la adiacenza).
Altro esempio: Luna, cioè relativo alla luna diventa lunare e non lunale, perché c’è la laterale L in
una sillaba precedente. Quando nella parola c’è una sillaba con una laterale, la laterale L del
suffisso -ale, diventa una vibrante R.
Polo diventa polare.
Un altro esempio di dissimilazione è il caso del pronome clittico SI, che può avere diversi valori:
riflessivo (3^persona plurale o singolare Gianni Si lava), oppure un significato impersonale (a
Treviso SI vive bene) o un valore passivo (Si distribuivano le fotocopie) o reciproco (Maria e
Giovanni SI odiano) o un valore inaccusativo (congratularSI).
E’ possibile utilizzare il SI con due valori diversi, riflessivo o impersonale contemporaneamente.
Succede che la consonante del primo di questi elementi, si dissimila, cioè in questa città ci si lava
molto il SI corrisponde all’impersonale, il Ci sarebbe il Si riflessivo. Questo è un processo di
dissimilazione.
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Un altro fenomeno estremamente frequente è il fenomeno della Cancellazione.
Anche questo fenomeno avviene al limite della parola ed è giustificato mediante la struttura della
sillaba. Viene sistematicamente prodotto per evitare la composizione o formazione di sillabe
malformate. Tutte le volte che attiviamo un processo di formazione di parola aggiungendo un
suffisso, operiamo un processo di cancellazione dell’ultima vocale della parola base. Questo
succede quando il suffisso che aggiungiamo inizia per vocale.
Per esempio: tavolo aggiungiamo il suffisso diminutivo – ino, il risultato sarà tavolino ed è stata
cancellata lo O. Foglio diventa foglietto senza lo O finale.
Se il suffisso non inizia per vocale, non avremo nessun tipo di cancellazione.
per esempio: mutare, se ci aggiungo –mento (suffisso che indica una azione) avremo mutamento.
Il fenomeno di cancellazione ha delle restrizioni: la cancellazione l’abbiamo sempre sulla vocale
finale della parola base quando aggiungiamo un suffisso che inizia per vocale, se questa vocale
della parola base non porta accento primario di parola. In caso diverso, non possiamo cancellarla.
Es: virtù (accento primario di parola cade sulla u finale) quando aggiungiamo il suffisso –oso
diventa virtuoso. Altro esempio: caffè diventa caffeina.
Cancellazione nell’ambito dei determinanti: quando i determinati precedono dei nomi maschili al
singolare che iniziano per una vocale, per una consonante o per un nesso consonantico (due
consonati attaccate insieme) il determinante subisce una cancellazione.
Per esempio: lo albero, diventa l’albero. Papavero: non uno papavero ma un papavero. Oppure:
Prete, non quello prete ma quel prete. Questo fenomeno è sistematico.
Quando ci sono i fenomeni di cancellazione con i determinanti dobbiamo chiedere quandoi ci
mettiamo l’apostrofo e quando no. Anche per questo c’è una regola. Dipende dai contesti in cui si
verifica la cancellazione. Se la cancellazione è davanti a parole che iniziano per vocale ma anche
davanti a parole che iniziano per consonante non mettiamo mai l’apostrofo. Se invece la
cancellazione ce l’abbiamo solamente quando la parola che segue inzia per vocale ma mai quando
la parola che segue inizia per consonante, allora l’apostrofo lo dobbiamo mettere sempre una
vocale o una approssimante.
Per esempio: un bravo ragazzo e uomo. Con ragazzo non c’è cancellazione (bravo ragazzo) e quindi
nella parola che inizia per vocale (uomo), si mette l’apostrofo. Oppure quest’uomo perché si dice
questo ragazzo, non diciamo quest ragazzo. Sant’ Agostino si scrive con l’apostrofo perché non
abbiamo un sant Michele ma un santo Michele (cioè non c’è cancellazione).

Se il nesso consonantico è composto con S più una consonante o da S più due consonanti, la
cancellazione non si effettua mai: si dice, per esempio, quello scrittore. Questo perché in italiano il
nesso consonantico costituito da una S e un'altra consonante è un nesso consonantico
malformato.

Un altro fenomeno fonologico è l’inserzione si realizza al limite della parola per risolvere una
sillaba malformata. In italiano c’è un caso, ma è marginale. E’ quello di inserire una vocale I (detta
vocale non marcata), quando combinando insieme delle parole diamo luogo a delle sillabe
malformate: per scritto diciamo per iscritto (l’inserimento della I epententica). Lo stesso fenomeno
è molto frequente nello spagnolo (che prevede l’inserimento della E ), che si è evidenziata quando
si è passato dal lattino allo spagnolo.
I italiano si può inserire anche una consonate per risolvere un nesso consonantico problematico
per la struttura della sillaba. Si aggiunge la consonante D, che è una consonante poco marcata.
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Esempio: invece di dire a Ancona diciamo ad Ancona.. Oppure e ecco Marino… , ma ed ecco
Marino. Oppure: ieri od oggi.
Attenzione quello che si fa in questo caso è ipercorregere, si aggiunge l’inserzione anche quando la
parola che segue inizia non per la stessa vocale. Per esempio non si dice ad Empoli (questo è un
ipercorrettismo) ma a Empoli.

Altro fenomeno riduzione o rafforzamento


E’ un fenomeno frequente. Significa che un determinato segmento deve può cambiare di qualità o
raddoppia (geminazione) oppure riduciamo ad un solo segmento due segmenti uguali
(degeminazione) oppure diamo luogo a due nuclei sillabici (dittongazione).
1. Cambio di qualità di un segmento. Per esempio quando c’è il passaggio della vocale medio alta E
a medio, bassa E. Questo è un fenomeno di riduzione qualitativa di tipo sonoro. Questo accade
sistematicamente quando questa vocale porta l’accento primario di parola ma poi per qualche
motivo morfologico, l’accento di parola cambia e quindi la vocale riduce la sua qualità sonora. Per
esempio Bello, se si aggiunge il suffisso _ ezza, si cambia l’accento primario di parola, e la
pronuncia è bellezza, le E diventano meno sonora. Lo stesso è il caso della O: per esempio se a
coro ci aggiungo un suffisso – ale, si cambia l’accento primario di parola, che cadrà su un’altra
vocale e non sulla O. Quindi in corista la O diventa meno sonora.
C’è il contrario, E e O passano da poco sonore a molto sonore., Questo quando acquisiscono
l’accento primario di parola, diventano più sonore. Esempio: Ironia, se ci aggiungiamo un suffisso –
ico, diventa ironico, dove sulla O c’è l’accento primario di parola e quindi questa diventa più
sonora. Altro esempio con isteria e isterico.
2.Allungamento di vocale in sillaba accentata e libera. Quando una sillaba che compare all’intero
di parola riceve un accento primario e risulta una sillaba aperta allora in italiano questa vocale si
allunga spontaneamente. Questo è un rafforzamento di una vocale.
3. Geminazione di consonate o raddoppiamento sintattico.
Anche questo è sistematico. Questo avviene ai confini di due parole: quando una termina per
una vocale che porta accento primario di parola e l’altra inizia con una consonante, la consonante
automaticamente gemina. Per esempio che stai a fare, perché leggi. Nel linguaggio romano, a
volte, gemina una consonaste interna di parola (Fabbio).
4. Dittongazione.
Sono processi fonologici che si sono formati nel passaggio dal latino classico al latino volgare e poi
nelle lingue romanze. Tutte le vocali che portavano accento primario di parola e che erano medio
basse (E e O) in latino sono state sistematicamente dittongate con l’aggiunta di una
approssimante. Per esempio: eri è diventata ieri; venit diventi vieni; locum che diventa luogo-.
Portan, invece, diventa porta perché non compare la sillaba aperta, quindi non abbiamo
dittongazione.

Struttura della sillaba


Abbiamo visto che molti fenomeni fonologici dipendono dalla struttura della sillaba.
La cancellazione riduce delle sillabe o risolve delle sillabe che potrebbero essere problematiche.
L’allungamento, invece, della vocale accentata all’interno di parola serve per creare armonia
all’interno della sillaba e ridurre la pesantezza della rima. Cioè molti dei fenomeni fonologici per
poter essere spiegati bisogna far ricorso alla struttura della sillaba. La sillaba fa anche parte della
competenza di noi parlanti. Infatti noi sappiamo riconoscere le sillabe.
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La sillaba è un’ unità fonologica che consiste di un elemento rappresentato dal nucleo. Perché
esista una sillaba ci deve essere un nucleo. Il nucleo deve essere caratterizzato secondo i tratti
distintivi dal tratto + sillabico. La rappresentazione della sillaba si fa utilizzando il simbolo ∑ sigma.
Il nucleo deve essere + sillabico e – consonantico (in italiano), cioè in italiano come nucleo di sillaba
possiamo avere solo le vocali. Non è sempre così per le altre lingue. In inglese le laterali possono
rappresentare in certo un contesto il nucleo di sillaba.
Una sillaba può contenere degli elementi consonantici che compaiono prima del nucleo, e quindi
dare luogo ad un segmento consonante-vocale. Questo segmento sillabico è una delle strutture
sillabiche più generali (o meno marcate) perché si trova in tutte le lingue.
Per esempio in italiano, la sillaba rappresenta da una consonate più vocale è quella più frequente
(60% delle sillabe).
La vocale è il nucleo sillabico, tutto il materiale consonantico che precede la vocale viene chiamato
incipit o attacco o unset (rappresenta la posizione occupata all’interno della sillaba).
In italiano la posizione di incipit della sillaba, può essere occupata da qualsiasi consonante, cioè
qualsiasi tipo di segmento +sillabico e –consonantico.
TA VO LO ognuna delle consonanti appare in posizione di incipit.
Oltre questo schema, in italiano possiamo avere anche due consonanti. Si dice incipit complesso,
cioè formato da due consonanti.
In questo caso abbiamo delle restrizioni che hanno a che vedere con la gerarchia di sonorità
all’interno della sillaba. Se nella prima consonante possiamo realizzare quasi tutte le consonanti,
nella seconda posizione consonantica dell’incipit abbiamo delle restrizioni: possono comparire solo
certe consonanti, cioè solo le consonanti laterali e vibranti (liquide). Se consideriamo i tratti
distintivi diremo una consonante + sonorante + continua e + anteriore, cioè una L o una R. Questa
sono le uniche consonanti che possiamo avere in seconda posizione quando abbiamo un incipit
complesso. Pri-ma Clo-ne. Questi sono i due unici schemi possibili in italiano.
C’è però un altro schema: avere tre consonanti nell’incipit. Questo si chiama incipit malformati e
quindi deve essere in qualche modo risolto. Per esempio: STRA P-PARE.
Le sillabe che terminano per vocale (Ta-Vo-Lo), sono denominate sillabe aperte o sillabe libere,
cioè dopo il nucleo non esiste più nulla. La struttura della sillaba prevede infatti che dopo il nucleo
appaia qualche altro segmento di suono che può essere anche + consonantico. In questo caso lo
schema è il seguente: consonante-vocale –consonante, consonante-consonate-vocale-consonate.
L’elemento dopo il nucleo di sillaba, si chiama coda. La cosa deve essere caratterizzata dal tratto +
consonatico. Anche in questo caso abbiamo delle restrizioni: non tutte le consonanti possono
apparire nella coda, ma solo consonati + sonoranti. Quindi + consonatico-sillabico+sonorante è
l’elemento di suono che può comparire nella coda (Es. cal-ma). In questo caso di dice sillaba chiusa.
La consonante chiude la sillaba. (se è una vocale con la quale termina la sillaba si parala di sillaba
aperta.
I suoni sonoranti solo le liquide e le nasali. (L, M, allofoni di N, R).
AN-FI-BIO.
aperta
sonorante

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Le approssimanti (-consonantico, -sillabico) possiamo trovarle sia nella posizione di consonate
quando l’incipit è semplice, sia nella posizione della seconda consonate, oltre alle liquide, quando
l’incipit è complesso.
L’italiano ammette anche consonanti nella coda che siano diverse dal tratto sonorante, questo è
un’eccezione. Può essere ammesso solamente se la sillaba successiva possiede nella posizione di
incipit la stessa consonate. Questo spiega tutti i casi di geminazione. La sillabificazione di fatto è
FAT.TO. Quindi una non sonorante è accettata come coda se l’incipit della sillab successiva
contiene la stessa consonate.
L’attacco e coda si costruiscono mediante un processo di tipo gerarchico. Infatti all’interno della
sillaba in tutte le lingue, quello che risulta molto importante è il nucleo e la coda insieme, cioè
quello che viene definito la rima.
Quindi la struttura della sillaba risulta la seguente da: attacco o incipit è il costituente immediato
della sillaba, poi l’altro costituente immediato è la rima, costituita dal nucleo e la coda (consonate-
consonate-vocale-consonate).
La rima deve avere una pesantezza propria, perché è questa pesantezza che giustifica l’accento
primario di parola. La pesantezza giustifica l’allungamento vocalico che c’è quando non c’è la coda.
Attenzione che lo incipit e la coda sono facoltativi, solo il nucleo è obbligatorio, quindi ci sono
sillabe che sono composte solo da vocali.
La coda può avere solo un'unica consonante e non può mai esserci un approssimante.
Come si diceva ci sono gli incipit malformati: con tre consonanti. Il primo di questi incipit è sempre
l’elemento S (Str, SBR, ecc.). La S è sempre un problema per la sillaba sia in incipit che in coda.
Quando c’è S più un'unica consonante e una vocale, quindi solo due consonanti, in molti casi
questa seconda consonante non rispetta la restrizione di essere sonorante.
Es: SCARPA, la seconda è una velare sorda, non è una liquida (L o R).
Un altro problema causato dal suono S è la coda. Poche parole hanno la S in posizione di coda. La
coda sappiamo deve essere sempre occupata da una unica sonorante ( a meno che nella sillaba
successiva non ce ne sia una uguale), ci sono parole come REBUS, LAPIS, ci sono sillabe come .US, S
è l’ultima sillaba della parola. La S viola anche le proprietà della coda in italiano.
Perché questo? Sono fenomeni di malformazione della sillaba.
Prendiamo per esempio FI.NE.STRA, i bambini sbagliano costantemente: loro fanno FI.NES. TRA.
Questo errore ci suggerisce che S+consonante+consonante è una struttura sillabica malformata
che viene risolta dai bambini mettendo la S come coda della sillaba precedente. Questo è anche
quello che fa la fonologia per risolvere casi problematici di questo tipo.
Anche nei determinanti ci sono problemi riguardo le sillabe malformate: perché si dice il PRE.TE e
lo SPA.ZIO? Questo lo si fa perché in qualche modo risolviamo la malformazione, cioè la S + una
consonate non liquida. Utilizzano l’articolo lo creo una sillaba con un nucleo rappresentato da O
che può accogliere come coda la S successiva. Si attua un processo chiamato risillabificazione.
Quando ci troviamo di fronte a sillabe malformate, quando possiamo (non sempre si può),
cerchiamo di risolvere queste sillabe malformate , rifacendoci a dei ricorsi fonologici in modo tale
che l’elemento che da disturbo della sillaba malformata vada a far parte della sillaba successiva.
La risillabificazone fonologica come FINESTRA, sarà: FI. NES. TRA. In questo caso si risolve il
problema spostando al S nella sillaba precedente mettendola nella coda.
Tra due sillabe malformate, si preferisce che la coda di quella precedente ad essere malformata,
piuttosto che l’incipit della successiva.

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La sillabazione, quindi, non è uguale alla sillabificazione. La sillabazione ha a che fare con la
scrittura, la sillabificazione invece è la suddivisione in sillabe nel continum sonoro (fonico). La
nostra competenza segue la sillabificazione, mentre la sillabazione entra a che fare con la scrittura,
è una proprietà culturale.
Esempio: COSTRUZIONE. La sillabificazione sarà COS.TRU.ZIO.NE.
Gerarchia di sonorità della sillaba: se la sillaba oltre al nucleo è formata da altri segmenti di suono,
tutti i segmenti che precedono o seguono il nucleo devono rispettare una gerarchia di sonorità:
quelli che sono più vicini al nucleo devono avere una sonorità maggiore rispetto a quelli che sono
più lontani dal nucleo.
Ci sono altre consonanti che non rispettano la gerarchia di suono: PN o PS: PNEUMATICO o
PSICOLOGO: la sillaba PNEU o PSI hanno la rima allungata. In entrambi i casi si vede che la seconda
consonante dell’incipit, non rispetta la gerarchia di sonorità, perché non sono liquide. Anche
queste sono sillabe malformate, quindi vengono risolte dal punto di vista fonologico vengono
risolte scegliendo l’articolo LO invece che IL. Anche il fatto che non c’è la cancellazione (quello
psicologo e non quel psicologo) serve per dara la possibilità di risillabificazione….
In altre lingue, come lo spagnolo, si risolvono queste sillabe malformate con la E epentetica
Quindi, per esempio: CROSTACEO= CRO.STA.CE.O la sillabificazione è CROS.TA.CE.O.. Avremo la
prima sillaba che troverà come posizione di coda la S, poi la seconda sillaba che è aperta e quindi si
allunga e l’ultima sillaba rappresentata solo dal nucleo.
PARTE= perché la sillabificazione corretta è PAR.TE e non PA.RTE? perché in questo caso si verrebbe
creare una sillaba in cui la seconda consonante dell’incipit non è liquida, inoltre non ci sarebbe
l’armonia di sonorità (principio di sonorità), cioè andando verso il nucleo la sonorità deve
aumentare (R è +sonorante, mente T è-sonora).
Ci sono esercizi da fare
Correzione esercizi (alcuni)
sbadato: SBA.DA.TO perché l’incipit della prima sillaba è malformata perché c’è una S seguita da
una B e in questo caso non abbiamo nessuna possibilità di risoluzione. Ma se abbiamo lo sbadato
possiamo fare questa sillabificazione LOS.BA.DA.TO: la sillaba malformata la risolviamo spostando
la S nella sillaba precedente.
Ha le scarpe slacciate anche qui abbiamo un segmento di suono formato da più parole, da un
punto di vista fonologico abbiamo un’unica sequenza di suoni. La sillabificazione sarà:
HA.LES.CAR.PES.LAC.CIA.TE La C non è una sonorante, ma nell’incipit della sillaba successiva
abbiamo lo stesso segmento di suono.

DALLA PAROLA AI TRATTI DISTINTIVI


VEDI ES. P. 104 ES. cane
FATTI SOPRASEGMENTALI

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Un’altra competenza del parlante è individuare le proprietà dei sovrasegmenti: sono delle
proprietà sonore che si aggiungono ai segmenti di suono. Servono a distinguere dei significati in
alcune lingue.
La fonologia cerca di capire le proprietà di questi sovrasegmenti.
Quali sono i sovrasegmenti? L’accento (accento primario di parola), il tono, l’intonazione e
lunghezza. In alcune lingue i sovrasegmenti servono a distinguere il significato.
1. ACCENTO Per esempio in italiano l’accento di parola è distintivo, distingue i significati (es. ancora
e ancora) Perché?: non c’è nessuna regola in italiano che serve per determinare dove cade
l’accento di parola. In altre lingue si può determinare dove cade l’accento di parola , perché ci sono
delle regole (per esempio, in francese cade sempre sull’ultima sillaba), in ungherese nella prima..
In queste lingue l’accento non è distintivo di parola.
L’accento nella trascrizione fonetica viene evidenziato con un ‘ in alto prima della sillaba dove cade
In italiano l’accento primario di parola è distintivo, cioè serve a distinguere i significati e quindi
non può essere predetto da delle regole. Cioè non possiamo applicare una regola per dire dove
capita l’accento nella parola, perché dove cade da significati diversi.
Quando non esistono delle regole che possono descrivere delle cose significa che ci sono delle
proprietà distintive che apprendiamo durante il nostro processo di acquisizione della lingua.
(nb. Sillaba atona e tonica)

2.Il tono è una proprietà sovrasegmentale delle vocali, ma in italiano il tono non è distintivo come
c’è nella lingua cinese, per esempio.
Il tono può essere usato per distinguere le frasi, per esempio frase interrogativa ha un tono diverso
da quella affermativa.
3. intonazione: l’altezza dei suoni non è uniforme ci sono dei picchi e degli che producono un
effetto percettivo di tipo melodico avvallamenti
3.Lunghezza del suono (quanto si protrae la lunghezza di una vocale o di una consonante nel
tempo) non è distintiva per le vocali, ma lo è per le consonanti. La lunghezza vocalica la utilizziamo
quando la vocale che protraiamo porta accento primario di parola e si trova in una sillaba aperta e
significa che la sillaba termina con la vocale stessa. Es: casta e casa.

La lunghezza consonantica in italiano è distintiva, invece. Si distinguono parole diverse attraverso la


lunghezza delle consonanti (pala e palla: allungamento diverso della consonante). Quindi può
essere spiegata attraverso una regola.
Differenza dell’accento di parola: ci sono parole piane, parole sdrucciole e parole tronche.
Questa differenziazione è determinata da dove cade l’accento di parola.
Le parole piane sono le più frequenti e sono quelle dove l’accento cade nella penultima sillaba.
Es: libro (cade sulla i). Piede: è una parola tronca perché l’accento cade sul dittongo pie.
Sono le più frequenti tendiamo a pronunciare le parole che non conosciamo come se fossero piane

Le parole tronche hanno l’accento primario che cade nell’ultima sillaba (perché, virtù). Di solito le
parole che terminano per consonante sono tronche (come molti cognomi veneti: casarin, zanon,
coin, ecc..)
Le parole sdrucciole sono quelle dove l’accento cade nella terz’ultima sillaba (tavolo).

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Ci sono le parole che vengono denominiate bisdrucciole, (cade nella quart’ultima, quint’ultima,
ecc. sono di solite che vengono derivate dalla giunzione di pronomi (segnalamelo).
Dove cade l’accento primario di parola la vocale può essere pronunciata diversamente.
Per esempio ma’lefici e male’fici, la E è pronunciata in maniera diversa.

LEZIONE DEL 17 OTTOBRE 2017


Il sistema dei suoni delle lingue
SUONI DISTINTIVI: suoni che in uno stesso contesto danno modo di cambiare il significato, cioè
sono apportatori di significato diverso quando vengono inseriti in un contesto sonoro. Si dice suoni
con valore fonematico (es vago e varo).
Mentre R, D e G sono distintivi i vari tipi erre che danno suoni di versi in pratica non lo sono,
perché il parlante il sente come fosse lo stesso suono (vedi lezione precedente).

Un altro compito della fonologia è quello di descrivere le varie modificazioni sonore che uno stesso
fonema può esprimere all’interno di un contesto linguistico e di descrivere le regole che noi
applichiamo inconsciamente per descrivere queste modificazioni sistematiche. Sono delle varianti
che noi parlanti produciamo dovute alla variazione del contesto sonoro. = Varianti sonore
sistematiche (le varianti di sopra non dipendono invece dal contesto, ma dalla scelta del parlante
su come riprodurle).
Le varianti sonore sistematiche dipendono dal suono che le precede o che le segue.
In italiano, per esempio, inizia un unico suono nasale alveolare, però a seconda del contesto
sonoro noi siamo obbligati a pronunciarlo diversamente: es la enne pronunciata diversa inadatto e
incapace (la enne è prodotta arretrando la lingua e facendola avvicinare al velo del palato). In
infallible si ha un’altra produzione dello stesso suono. Qui la enne si produce avanzando la parte
alveo-dentale.

FONETICA p.76
F.ACUSTICA= studia la natura fisica del suono e la sua propagazione
22
F:UDITIVA= studia l’aspetto della ricezione del suono da parte dell’ascoltatore
SUONI=FONI
La fonologia ha bisogno della fonetica. Cos’è la fonetica? E’ una disciplina che ha lo scopo di
descrivere le caratteristiche fisiche di ogni suono linguistico che viene usato nelle lingue naturali.
La fonetica descrive quali sono gli organi fonatori che vengono coinvolti per dare
rappresentazione di ognuno dei suoni utilizzati nella diversa lingua.
La fonetica si concentra sull’aspetto fisico del suono, la fonologia, invece, sull’aspetto mentale del
suono del parlante.
Per classificare un suono, si usano tre parametri: la sonorità, il punto di articolazione e il modo di
articolazione. Combinando questi tre parametri tra di loro si possono descrivere tutti i suoni
utilizzati nelle diverse lingue naturali.
Ci concentriamo sui suoni distintivi dell’italiano.

1. Sonorità
In italiano il percorso che l’aria fa per produrre dei suoni non è immissivo ma solo emissivo. L’aria
viene immagazzinata, poi viene emessa dai polmoni, poi, bronchi, laringe, naso o bocca. (guarda
pagina 76)
Nella glottide ci sono le corde vocali che sono due lamelle che si aprono o si chiudono. Quando
sono chiuse producono una vibrazione e quando l’aria passa si producono suoni sonori. Tutte le
vocali sono suoni sonori. Quando le lamelle sono aperte e l’aria esce naturalmente e le lamelle no
vibrano si producono suoni sordi. La maggior parte delle consonanti sono sorde ma alcune sono
sonore. Per questo le consonanti si suddividono in coppie minime in base se sono sorde o sono
sonore (vedi pag. 75-86).

23
2. Punto di articolazione pag. 81
Si creano dei blocchi nella fuoriuscita dell’aria all’interno della cavità orale, dovuti
all’avvicinamento dei vari organi fonatori (ugola, parte alveolare, lingua, denti, labbra, palato molle,
ecc...). La combinazione di come si muovono gli organi fonatori determina il suono. Oltre di far
uscire l’aria è importante il punto dove la lingua tocca per far uscire un certo suono.
-1 quando il punto di articolazione sono le labbra, cioè quando l’aria è bloccata dalle labbra,
abbiamo suoni bilabiali (P, B, M).
-2 Poi ci sono i suoni dove i punti di articolazione sono combinati tra denti e labbra: sono i suoni
labiodentali (V, F) di invincibile: guardare sul libro come sono rappresentati foneticamente).
3- Punto di articolazione denti e punta della lingua: suoni dentali. (T, D: hanno lo stesso punto di
articolazione, ma sonorità diversa).
4- Suoni alveolari: il punto di articolazione è l’alveolo combinato e la punta o la lama della lingua
(R, S, Z, N, L, ZH)
5-Suoni palato-alveolari: la lingua non batte nell’alveolo, ma batte nella parte precedente nel
palato che tocca l’alveolo, ha il corpo arcuato. (SC ʃ, C ttʃ, G dtʒ)
6-Suoni palatali dove la lingua, parte superiore della lingua, tocca il palato duro (GN ɲ, GL ʎ, LL ʝ) In
italiano sono pochi i suoni palatali.
7- suoni velari: parte posteriore della lingua e il velo (la parte ancora più arretrata del palato) (C di
casa k, G di gatto g)
Suoni Labio-velari. U di uomo. U di uomo è un suono distintivo.

2. Modo di articolazione
E’ il modo con il quale gli organi fonatori (labbra, lingua,velo palatino) si avvicinano o meno l’uno
all’altro per pronunciare un suono.
In base al modo di articolazione i suoni (CONSONANTI)si definiscono in:
-Occlusivi: i due organi fonatori si toccano tra di loro impedendo di far passare l’aria e poi si aprono
di colpo e l’aria passa. (P, B, K, G) P è un suono occlusivo, bilabiale, sordo.
- Fricativi: i due organi fonatori si avvicinano molto ma c’è un piccolo pertugio per il quale passa
l’aria (F, V, S, SC ʃ) l’aria deve passare attraverso una fessura piuttosto stretta. Fricativi possono
essere sordi o sonori, ecc.

24
- Affricati: combinano le due proprietà di sopra (occlusione + fricatività). Prima si chiude il
passaggio dell’aria, poi si apre il pertugio di poco. I suoni affricativi sono in italiano: C di ciao ttʃ, , G
di geranio dtʒ. Z di zaino tts

- Nasali: l’aria esce dal naso. I suoni sono N ɴ , M ɱ e GN ɲ di ragno.


- Laterali: sono suoni dove l’aria esce dalle parti esterne della cavità orale perché la lingua blocca
l’uscita dalla parte centrale. Solo L ʟe Gli ʎ. L è sonora, alveolare e laterale
- Vibranti: in italiano c’è solo la R come suono distintivo vibrante. R alveolare, vibrante e sonora.
Viene anche chiamata polivibrante. Mentre in spagnolo è monovibrante.
I suoni laterali e vibranti vengono chiamati anche suoni liquidi (si spiegherà in seguito)
- Approssimanti: gli organi coinvolti nel delimitare il flusso d’aria dai polmoni verso l’esterno, si
approssimano solo, non si avvicinano del tutto. In italiano i suoni sono solamente due: U W di
uomo e ll j di ione.

Affricate ts dz ttʃ ddʒ

25
VOCALI
Le consonanti in Italiano sono 26. U W II J sono considerate consonanti (semiconsonanti). Le vocali
distintive in italiano sono 7 e non 5. (Botte e botte hanno significati diversi a seconda della vocale
O, che può essere aperta o chiusa; anche venti e venti hanno significati diversi a seconda se la E è
aperta o chiusa). In Italiano la E aperta e la E quella chiusa e la O aperta e la O chiusa sono vocali
distintive di parola (di significato), dunque!
Quello che differenzia le vocali dalle consonanti è la sonorità: le vocali sono sonore per eccellenza.
Parametri per classificare le vocali:
-posizione delle labbra, se sono arrotondate o no,

26
- posizione della lingua all’interno della bocca. La lingua può essere più portata verso l’esterno,
oppure rimanere inerte, oppure può arretrarsi e andare verso il velo.
L’associazione della combinazione di questi tre criteri (sonorità, posizione delle labbra e posizione
della lingua, si possono descrivere le vocali).
Sentire lezione 17 ottobre: 1.10-1.20

palatali velari
alta

medio-alte

medio-basse

bassa

Il fatto che le vocali E aperta e chiusa e O aperta e chiusa siano suoni (fonemi) distintive di parola,
dobbiamo chiedere ogni volta come si pronunciano, non esiste una regola che ci dica quando si
pronunciano chiuse o aperte. Siamo spesso influenzati dal nostro dialetto e per sapere bene come
si pronuncia una parola bisogna usare il dizionario.

CLASSI DI SUONI
1.CONSONANTI (26), aria vien bloccata o passa attraverso una fessura sorde/sonore
2.VOCALI (7), aria non incontra ostacoli  sonore
3.SEMICONSONANTI, proprietà delle vocali e delle consonanti
Vocali
Semiconsonanti SONORANTI  PAROLE SONORANTI
≠ OSTRUENTI
Liquide
nasali

COMBINAZIONI DI SUONI p.82


Le consonanti possono combinarsi insieme e formare i NESSI CONSONANTICI
MA ci sono delle restrizioni
Es. [pr][tr][fr] -> nessi consonantici possibili in italiano (prendere, treno, francese)
Alcune combinazioni sono possibili in posizione iniziale di parola o all’interno
ES. [p+r] è possibile in posiz iniziale (prendi) e in posiz interna (apri)
Ma
[r+p] è possibile SOLO in posiz interna (arpa)
Se una parola inizia con 3 consonanti, la prima è sempre è [s]
Es. strano, sbrodolarsi
27
- combinazione di vocali e approssimanti in una sillaba
-> DITTONGHI -> Ascendenti (fienile) approssimante+vocale
->Discendenti (cauto) voc acccentata+vocale
-TRITTONGHI (miei)
IATO= combinazione di due vocali appartenenti a 2 sillabe diverse
Es. follia be.ato i.de.a

SUONI E GRAFIA p.83


[b] suono <--> simbolo
Ma in italiano ci sono delle incongruenze => l’italiano non è un sistema coerente
La fonetica per poter rappresentare i suoni decide di individuare un simbolo per ogni suono.
Questa è una relazione biunivoca tra simbolo e suono. Questo si è fatto guardando tutti i suoni
linguisticamente rilevanti.
La rappresentazione fonetica dei suoni di una lingua non è la rappresentazione grafica.
Una lettera può corrispondere a più suoni (per esempio in ciabatta, la ci rappresenta un unico
suono), oppure un suono può essere rappresentato da più lettere.
Quindi la forma grafica non corrisponde alla rappresentazione fonetica. Nella fonetica ad un unico
simbolo corrisponde un unico suono linguistico rilevante. In questa maniera non ci possono essere
problemi nelle trascrizioni fonetiche tra una lingua e un’altra.
Certi simboli in italiano non esistono perché non utilizziamo i suoni corrispondenti.

TRASCRIZIONE FONETICA
La trascrizione fonetica di una parola viene di solito
-messa tra parentesi quadre []
- viene sempre messo l’accento primario di parola [‘] che viene messo prima della vocale sulla cui
sillaba cade l’accento.

28
-Quando la vocale su cui cade l’accento primario di parola non è seguita da una consonante (cioè è
libera) ma termina con la vocale stessa, questa ha un allungamento del suono. Questo
allungamento non è distintivo ma sistematico e viene rappresentato da due puntini [ :]

LEZIONE DEL 24 OTTOBRE 2017


Nella trascrizione fonetica abbiamo tutte le informazioni che caratterizzano una sequenza di parole
sia segmentali che sovrasegmentali.
ballo /'ballo/ se il simbolo fonetico è uno solo si ripete due volte nelle geminate 8in questo caso l)
nell’accento primario di parola la vocale no si allunga se seguito da consonanti doppie
(geminate)
amico [a'mi:ko]
chiaro ['kja:ro] la i è un approssimante
ghiro ['gi:ro]
giro [ddʒi:ro]
sbadato [zba’da:to]
spendere [’spɛndere]

ascia ['a∫∫a] tutte le palatali precedute da una vocale geminano (si raddoppiano). Vedi esercizi 2
sciame ['∫a:me]

vedi esercizi 2 risolti

CONFINI -> sono importanti per la trascrizione fonetica


-sillaba
-morfema
-parola
1. CONFINE DI SILLABA [.]
Ie.ri ot.to.bre vir.tù ve.lo.ce.men.te

2.CONFINE DI MORFEMA [+]


Morfema=unità più piccola dotata di significato in una lingua
Ieri ottobre virtù veloce+mente bar+ista in+abil+tà

3. CONFINE DI PAROLA [#]


#ieri# #ottobre# #virtù#

29
Lezioni 21, 27 novembre e 5 dicembre
MORFOLOGIA
Dal livello dei suoni passiamo al livello delle parole
La morfologia è la disciplina che si occupa di descrivere le regole o principi che utilizziamo per
formare le parole di una lingua.
Queste regole potrebbero sembrare troppo potenti descrivendo parole che non esistono in una
lingua.
Per esempio se dobbiamo formare degli aggettivi che hanno valore negativo, si aggiunge un affisso
-IN (capace + non = non capace = IN capace, ecc..). La morfologia ci spiega perché possiamo usare
il suffisso IN in certi casi e non in altri: per esempio non possiamo dire INveneto (uno che non è
veneto), oppure INtavolo (per dire che un oggetto non è un tavolo). La regola proposta è una
regola potente, cioè che prevenderebbe parole che non esistono (cioè potremo creare parole tipo
INbello o INambiguo, che non esistono nel dizionario).
Le regole potenti si giustificano per descrivere una proprietà che interessa la lingua, ma in
particolare il lessico. La lingua è dinamica, è in costante trasformazione, in particolare nel lessico:
ci sono continuamente parole nuove (neologismi) e parole che diventano vecchie e vengono
eliminate (arcaismi). Le regole sono potenti rispetto alla lingua che invece è dinamica.

La lingua è formata da sistemi diversi: sistema dei suoni: fonetica e fonologia


sistema della formazione parole: morfologia
sistema della combinazione delle parole: sintassi
sistema dell’interpretazione delle frasi: logica

L’obiettivo della morfologia è descrivere la competenza che hanno i parlanti nel formare le parole
che fanno parte della grammatica della propria lingua: quindi descrivere le regole della formazione
delle parole possibili della propria lingua.
Quando creiamo un neologismo, comunque applichiamo delle regole di base della morfologia.
- p.124 I processi morfologici della formazione delle parole più comuni che troviamo in tutte le
lingue sono sostanzialmente di tre tipi: derivazione, composizione e flessione.
La derivazione e la composizione formano parole nuove a partire da parole di base.
La flessione è un processo morfologico diverso: non si formano parole nuove ma aggiungiamo dei
tratti flessivi che hanno un valore esclusivamente grammaticale ad una parola perché si possa
combinare ad altre nel comporre una frase. La flessione ha indicazioni anche nella sintassi, non si
limita solamente a formare parole nuove: è un fenomeno di natura sintattica.
Derivazione
Raggruppa tre tipi di processi e consta dell’aggiunta di una forma legata (AFFISSO) a una forma
libera. Questi processi sono: la prefissazione, l’infissazione e la suffissazione.
30
La prefissazione: ad una parola base viene aggiunto un affisso che si aggiunge a sinistra della
parola stessa. In questo caso viene chiamato prefisso. Per esempio ad una parola base: fortunato
aggiungo un affisso S a sinistra e la parola diventa sfortunato.
(gli affissi sono degli elementi che non possono esistere da soli ma che si appoggiano ad una parola
base: prefisso, infisso suffisso).
Adatto + affisso IN viene fuori Inadatto: una parola nuova.

Nella suffissazione, il suffisso viene aggiunto alla fine della parola, cioè a destra. Fortunato e
affisso come mente (con significato modo o maniera) viene fuori una nuova parola
fortunatamente. Fortunatamente è una parola derivata e fortunato è la parola base.
Adatto ci aggiungiamo il suffisso mento (che ha il compito di adattare il participio passato dei verbi
e dare una parola nuova) e viene fuori la parola adattamento.
[]x [[]x+suf]y
X=categoria lessicale di base
Suf=suffisso
Y= categoria di uscita

Infissazione: l’infisso legato viene inserito all’interno della parola, di solito tra la radice e la vocale
tematica. Questo tipo di fenomeno è molto poco frequente in italiano. Per esempio il verbo
mangia, viene inserito tra la radice e la vocale tematica (a) un infisso iucchi e si ha mangiucchia.

Esistono poi altri processi morfologiciche non consistono propriamente nell’aggiunta di un


morfema e sono:

-Ricategorizzazione lessicale o conversione


E’ la possibilità di una parola che appartiene ad una categoria grammaticale di entrare in sintassi
come altra categoria grammaticale. E’ un processo di derivazione: ad una parola viene aggiunto un
suffisso zero e così facendo cambia categoria. Per esempio: giovane - aggettivo, aggiungiamo un
suffisso zero diventa un nome: giovane.
= cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto. Es. vecchio
-> il vecchio volere-> il volere
-REDUPLICAZIONE=raddoppiamento di un segmento
Es. in Nuova Guinea Giak= mandare  gigiak= messaggero
-PARASINTESI
E’ un processo di formazione di parole che prevede l’aggiunta simultanea di un suffisso e prefisso.
ad una parola base.
Un parasintentico è il verbo abbellire o ingrassare. Come si formano questi verbi; si parte da una
parola base che è un aggettivo (bello o grasso)e si aggiungono simultaneamente un prefisso a e un
suffisso: bello prefisso a e suffisso i; grasso un prefisso in e un suffisso a Ad entrambi si aggiunge
l’affisso ire dell’infinito e si avrà abbellire ed ingrassare.
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I due affissi si aggiungono simultaneamente e non in modo sequenziale perché in italiano non c’è
nessuna parola che corrisponde ad abello oppure nessuna parla che corrisponde ad bellire.

Composizione
Consiste nell’unire tra di loro due parole base, due unità che possono anche comparire
indipendentemente nella sintassi.
Esempio: capostazione: è una parola composta formata da due parole capo e stazione.. Altro
esempi di parole composte: agrodolce, lavapiatti, ecc.
La composizione segue delle proprietà di tipo sintattico: le parole che si aggiungono tra di loro per
formare la parola composta hanno dal punto di vista sintattico una qualche dipendenza.
Capostazione: stazione è il complemento di capo (capo della stazione); agrodolce: relazione
sintattica di congiunzione (perché simultaneamente una certa entità condivide la proprietà di
essere agra e la proprietà di essere dolce); lavapiatti: c’è una relazione di verbo-complemento.

Flessione
La flessione è il processo che unisce degli affissi a delle parole, ma a differenza degli infissi, suffissi
e prefissi, questi affissi esprimono solo proprietà grammaticali e non semantiche come nelle
derivazione. Questi affissi esprimono genere, numero, caso, persona, tempo, modo, aspetto, voce.
Genere, numero, caso e persona sono delle proprietà di carattere nominale. Per esempio i pronomi
personali esprimono la persona (io, tu, egli, ecc.). In italiano ci sono solo due generi, maschile e
femminile. Riguardo al numero sono due: singolare e plurale. Il caso in italiano non c’è (c’era in
latino), sono nati gli articoli e le proposizioni che mostrano il caso.
Il tempo, il modo, l’aspetto e la voce sono di natura verbale, cioè sono tutti affissi flessivi che
troviamo nel verbo.
In italiano il tempo ha affissi che differenziano il presente il passato e il futuro (e sottoparti di
futuro, di passato, ecc..).
Il modo è indicativo, congiuntivo, ecc..
La voce corrisponde a quella che viene chiamata diatesi: passiva o attiva. In latino avevamo dei
suffissi specifici che esprimevano la diatesi (amo e amor), in italiano non abbiamo degli affissi ma
usiamo delle perifrasi (ausiliare più participio passato, ecc..).
L’aspetto è una proprietà verbale: modo di azione. Dal punto di vista grammaticale suddivide i verbi
in forme: verbi che esprimono un aspetto perfettivo e verbi che esprimono un aspetto
imperfettivo.
Aspetto imperfettivo è espresso da affissi flessivi che si combinano al verbo per esprimere il
presente o l’imperfetto. Va e andava. Mettono in evidenza solo una parte dell’evento, non quello
che c’è prima o dopo (Gianni andava scuola ma non ci arrivò mai).
Aspetto perfettivo vede dell’evento anche la parte finale. Affissi flessivi che esprimono tutto
l’evento sono il passato remoto o passato prossimo (andò e andato: ieri Gianni andò a scuola).
L’aspetto è molto importante perché in base all’aspetto i verbi possono ammettere o no certi
complementi temporali.
La flessione è sempre obbligatoria con tutte le parole, non solo quelle derivate, che entrano
nell’ambito della sintassi.
Nella graduazione dei processi morfologici, la flessione si applica alla fine degli altri processi
morfologici.
32
Abbiamo descritto i processi morfologici più frequenti.
Abbiamo fatto riferimento a due concetti: il concetto di PAROLA e il concetto di AFFISSO.
Le nozioni di PAROLA e di AFFISSO sono state introdotte negli studi linguistici negli ultimi tempi.
Prima si parlava di MORFEMA e MORFO.
MORFEMA nell’ analisi morfologica tradizionale rappresentava l’unità più piccola astratta
provvista di un significato univoco.
Al MORFEMA corrisponde una realizzazione concreta che è detto MORFO (come fonema e fono). Il
morfo non necessariamente si realizza in un’unica forma, ma può realizzarsi mediante forme
diverse dipendendo dal contesto fonologico. Per cui così come abbiamo allofoni, abbiamo
allomorfi. Per esempio: pensiamo al suffisso IN (negazione)che in può anche realizzarsi in altri
modi (il, per esempio) per cui il morfema IN può anche realizzarsi con IL (illegale): IL è un
allomorfo. Oppure IR di irregolare, oppure IM di immorale. Questi sono tutti allomorfi.
Oppure A come significato di negazione (apolide), può esprimersi come morfema anche come AN
di analfabeta. Per cui A e An che portano lo stesso significato ma sono diverse per questioni
fonologiche sono morfemi allomorfi.
Secondo questa analisi abbiamo
morfemi liberi, cioè morfemi che possono apparire in sintassi così come sono,
morfemi legati, cioè gli affissi, che possono avere a loro volta valore lessicale o valore
grammaticale. Gli affissi liberi possono avere solo valore lessicale.
Questa suddivisione risulta problematica per l’italiano, perché in italiano sono molto pochi i
morfemi liberi: la maggior parte è sottoposto ad un processo di flessione. E’ per questa ragione che
si sostituisce morfema libero e legato con parola e affisso.
Per esempio: la parola RAGAZZA che usiamo in sintassi è stata sottoposta a flessione: il suffisso
flessivo A significa femminile singolare. In sintassi non abbiamo mai una parola come ragazz (in
inglese, invece si hanno molti morfemi: boy, girl).
Inoltre in italiano abbiamo molti morfemi a cui non corrisponde un significato ma che vengono
inseriti come elementi che riaggiustano la struttura di una parola derivata.
Per esempio pensiamo ai casi in cui costruiamo avverbi da un aggettivo a cui viene aggiunto –
mente. La O viene sistematicamente cancellata e viene aggiunto per aggiustamento la A: certo
diventa certamente; pieno diventa pienamente. A non ha nessun significato (non significa
singolare femminile, per esempio). Questo è un morfema che non ha significato.
L’italiano è una lingua flessiva cioè provvista di affissi ognuno dei quali apporta più di un proprietà
grammaticale. Per quanto riguarda gli affissi flessivi non possiamo dire che si parla di morfema,
perché il morfema porta un significato univoco. Per esempio O che si aggiunge ad un verbo, come
AMA, amO’, l’O esprime persona (singolare 3^ persona), tempo (passato remoto), modo
(indicativo) e aspetto (perfettivo).

Si è deciso quindi che l’unità minima non sia il morfema ma la parola e gli affissi. La parola nella
sua forma astratta. La differenza è che la parola possiede un suo significato semantico e può
apparire in sintassi solo dopo la flessione, mentre gli affissi sono delle unità morfologiche che non
possono apparire da sole solamente con il processo della flessione in sintassi, ma devono invece
combinarsi con una parola. Gli affissi possono essere di natura grammaticale o di natura lessicale
(prefissi, infissi, suffissi).
Esempi nella categoria verbo: MANGIA è una parola, perché è una sequenza di suoni che
corrisponde ad una categoria grammaticale, composta da una radice (mangi) che ha un significato
33
e da una vocale tematica. Una parola è composta da una radice + una vocale tematica.
La vocale tematica è quel elemento che ci permette di definire a quale classe appartiene quella
parola. Nel caso dei verbi la vocale tematica ci indica che un verbo appartiene ad una data
coniugazione.
Dalla parola base possiamo costruire delle parole derivate: per esempio possiamo aggiungere il
suffisso –TORE = MANGIATORE, oppure il suffisso – BILE = MANGIABILE.
Altra categoria grammaticale: il nome. Certi nomi possono differenziarsi in genere. Per esempio
RAGAZZO, possiamo considerarla una parola astratta, quella che noi abbiamo nel lessico. La
possiamo scomporre nella radice (ragazz) e nella vocale tematica (o). La o finale indica che può
prendere diversi affissi (a, e, i, ecc.).
Altro esempio CANE, si può considerare una parola astratta, dove la vocale tematica e, indicherà
che la parola cane potrà essere modificata solo nella forma plurale.
Anche negli aggettivi, per esempio BELLO, che possiamo considerare come parola astratta, con la
radice BELL che apporta significato e O che è la vocale tematiche che indica la classe di
appartenenza (maschile, femminile, maschile plurale, ecc.).

Approfondiamo ora i processi della formazione delle parole derivazione e composizione


La derivazione unisce una parola ad una affisso, che compare o davanti o alla fine o in mezzo.
La composizione mette insieme due parole per formare una parola nuova.
Nella derivazione, tra la prefissazione e la suffissazione ci sono delle differenze oltre alla posizione
dell’affisso. Per esempio nella prefissazione non cambia l’accento primario di parola: attivo e
Inattivo, sono tutte due parole piane. Morale e immorale: l’accento primario di parola non cambia.
Nella suffissazione l’accento primario di parola cambia quasi sempre: attivo e attività, attivo è una
parola piana, mentre attività è una parola tronca. Morale e moralmente o moralismo o moralità,
bello e bellezza, l’accento primario cambia sempre.
Un’altra cosa che differenzia la prefissazione dalla suffissazione è che nella prefissazione non
cambia la categoria grammaticale di appartenenza della parola base, invece questa cambia quasi
sempre nella suffissazione.
Esempio: attivo e inattivo: la categoria aggettivo non cambia, scrive e riscrive, la categoria
grammaticale non cambia: rimane sempre verbo.
Nella suffissazione cambia la categoria grammaticale: per esempio attivo e attività, quest’ultimo
non è più aggettivo ma un nome, oppure morale e moralmente, quest’ultimo diventa un avverbio.
se non cambia la categoria grammaticale, cambia il tratto semantico: forno e fornaio, sono due
nomi ma hanno significati diversi.

Le parole, dunque, hanno una struttura interna che ha delle caratteristiche precise per un linguista
che deve descriverne la competenza (le regole).
La struttura interna di una parola composta o derivata deve essere specificata dalla parola base di
cui si deve definire anche la categoria grammaticale. Questo è importantissimo perché tantissimi
prefissi e suffissi sono sensibili alla categoria grammaticale della parola a cui si aggiungono. Poi si
deve specificare la categoria grammaticale di uscita. A volte è necessario specificare altri tratti,
magari di tipo semantico che sono aggiunti alla parola base e poi è necessario specificare il
significato della parola derivata che è dato spesso dal significato della parola base più il significato
dell’affisso.

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Esempio: il suffisso –bile, si aggiunge ad un verbo con una classe semantica di appartenenza +
transitivo. La parola di uscita è un aggettivo che ha come significato: che può essere x.
Raggiungibile= che può essere raggiunto. Non si può aggiungere –bile ad un verbo intransitivo: non
si può dire sternutibile, uscibile, ecc. Inoltre sempre per il suffisso –bile, non posso avere come
parola base un nome.
Questo è un esempio di regola che sottende alla formazione delle parole.
Un altro esempio è il suffisso –oso. Come possiamo descrive la regola per la formazione delle
parole derivate con questo suffisso? Famoso, ozioso, pomposo: la parola base deve essere un
nome al quale si aggiunge –oso e abbiamo come parola di uscita un aggettivo con significato: che
ha le qualità di X. Famoso significa che ha la qualità della fama.
Ma questa regola non è sufficiente, io non possono dire giannoso o bambinoso (che ha le proprietà
di un bambino). Quindi il nome a cui posso aggiungere –oso, deve essere specificato per alcuni altri
tratti che sono: nome + comune – animato. Gianni non è un nome comune e bambino è un
nome comune ma è animato.
Altro esempio è il prefisso –in. Quali sono le regole? Poiché è un prefisso la parola base deve
essere un aggettivo. Es: adatto per diventare inadatto, giusto che diventa ingiusto. La categoria in
uscita sarà sempre un aggettivo. La parola in uscita, inoltre deve avere un significato transizionale
tra la parola base e il prefisso, quindi sarà non X, che non ha le proprietà di X.
La regola non è sufficiente, la parola base deve essere un aggettivo con un altro tratto semantico,
cioè deve essere un aggettivo che esprime una qualità. Certi tratti di aggettivi non ammettono il
suffisso - in: per esempio quelli che esprimono un colore o che esprimono una provenienza non
possono essere modificati con questo prefisso.
Le regole sono potenti, eccessive, nel senso che ci possono essere parole che non seguono le
regole, ma le regole spiegano come possono formarsi le parole nuove, nel senso che i neologismi
sono costretti a seguire le regole.
Le regole di derivazione possono applicarsi anche ripetutamente e se si vuole determinare l’ordine
in cui si applica un suffisso o un prefisso è possibile solamente conoscendo queste regole.
Per esempio la parola trasformazionalmente quanti suffissi e prefissi si troviamo? Trans, mente,
zione, ale (o are). La parola base è forma. Il suffisso che segue e il prefisso sono due affissi che
possono aggiungersi solo a verbi. Quindi questa forma non può essere un nome ma un verbo. Però,
in realtà, è un nome che passa a verbo attraverso il processo di ricategorizzazione, aggiungendo un
prefisso zero. Si capisce che la parola base è un nome perché il verbo formare vuol dire dare forma,
quindi deriva dal nome forma. Al verbo forma cosa aggiungiamo prima?
Prima aggiungiamo tras, perché questo affisso si lega solo a verbi. Se aggiungessimo prima zione,
avremo trasformazione che è un nome e non un verbo e quindi non potremo più aggiungere il
prefisso tras = trasforma, che è ancora un verbo. A questo punto possiamo aggiungere –azione
(che si lega a una base normale e da luogo a nome che esprimono il significato del verbo), cosi
abbiamo trasformazione. Poi abbiamo tutti suffissi da aggiungere. Qui non ci sono regole da
seguire se non che si mettono prima quelli interni, quindi prima – ale per formare trasformazionale
(ale da aggettivi relazionali che hanno significato relativo a ) e poi – mente che si lega solo ad
aggettivi per formare avverbi di modo o di maniere in modo x.

Qualche altra riflessione sui processi morfologici.

La Composizione è uno dei processi dove di notano più irregolarità ed è molto meno sistematica degli altri
processi morfologici. Quindi è difficile da descrivere mediante regole.
Esempio è la formazione dei plurali delle parole composte che non ha regole fisse.
35
E’ difficile anche prevedere quali composti si possono formare, però possiamo sapere quali composti non
possiamo formare.
Per esempio, pensando alle relazioni sintattiche tra le categorie delle parole che vengono coinvolte, non si
avrà mai composti di verbo+ aggettivo (es: guardabello). Questo perché d un punto di vista sintattico i verbi
non prendono mai come complemento un aggettivo (possono avere una frase, o una espressione
nominale).
Si possono avere composti dove c’è una preposizione e un nome, ma solo se la preposizione è prima del
nome. Es: senzatetto. Infatti le preposizioni si chiamano PREposizioni, precedono sempre il nome.

Quando lavoriamo con la composizione, la parola in uscita come la determiniamo?


Di solito (ma abbiamo molte eccezioni) la parola di uscita delle composizioni viene determinata dalla parola
base che è la testa del composto. La categoria grammaticale della parola testa determinerà la categoria
grammaticale della parola composta.
Come si può individuare la parola testa?
Prima di tutto dalla posizione, perché in italiano, quasi sempre, ce l’abbiamo a sinistra. Questo si spiega con
il principio di ricorsività che dice che il lato ricorsivo si trova a destra.
Poi dall’ interpretazione. Esempio: camposanto. La parola testa è campo, santo è il modificatore.
Si vede che camposanto appartiene alla stessa categoria grammaticale di campo (nome).
Altro esempio è capostazione. La parola testa è capo, quella che compare a sinistra.
Questi sono composti edocentrici. Endocentrico significa che possiede un nucleo, e questo nucleo è la
testa.
In moltissimi altri casi, però, è impossibile trovare una testa tra le due parole della composizione.
Esempio: lavapiatti c’è un parola verbo che si aggiunge ad una parola nome, con una parola verbo e una
parola complemento. In questo caso la parola testa è un verbo, ma la parola in uscita è un verbo! E
lavapiatti non è lava (come capostazione corrispondeva a capo della stazione) ne piatti. Quindi ne lava ne
piatti possono essere parola testa.
In questo esempio, quindi, non abbiamo una testa e questo tipo di composti si dicono esocentrici.
Esocentrico: non ha una testa.

Correzione esercizi 6
Incredibilmente.
Incredibilmente
Processo morfologico: derivazione ciclica
Parola base: [crede]V
Affissi: in- (prefisso); -bile (suffisso); -mente (suffisso)
E’ una parola che ha subito un processo di derivazione ciclica, cioè la derivazione può applicarsi
più volte, con un certo ordine.
La parola base è crede (verbo)
Dobbiamo vedere quale di questi affissi va messo prima: il 1° è il suffisso bile, perché abbiamo
credibile e non la parola increde
Applicazione delle regole: [[in[[[crede] V i] V bile] A] A mente] AVV
L’ordine lo rappresentiamo attraverso le parentesi quadre, mettiamo la parola base a cui
aggiungiamo la categoria grammaticale che è obbligatoria e importantissima perché non tutti gli
affissi e suffissi si applicano alle parole base. Per esempio –bile = che si può credere, ha un valore
passivo. –bile si aggiunge solo alla categoria verbo. – bile che ha un valore passivo si può
aggiungere a verbi transitivi..Quindi abbiamo credibile, che un aggettivo.
Poi aggiungiamo –in che si aggiunge solo agli aggettivi che esprimono una qualità e non agli
avverbi e raramente a nomi. Abbiamo quindi una nuova parola che è ancora un aggettivo
incredibile.
36
A questo punto aggiungiamo il suffisso –mente, che esprime modo o maniera e quindi lo rende
avverbio.
Qui c’è anche una regola di riaggiustamento: la vocale tematica e passa a i. Questo è un processo
sistematica quando –bile si aggiunge a verbi della seconda coniugazione.

Qualunquismo
Processo morfologico: derivazione
Parola base: [qualunqu(e)]Q
Affissi: -ismo (suffisso)
Applicazione delle regole: [[qualunque] Q ismo] N
Si è applicato il processo di derivazione che presuppone su aggiunta di un suffisso.
Parola base è qualunque, aggettivo, a cui viene aggiunto un unico affisso -ismo. _ismo di solito si
aggiunge ad aggettivi per dare luogo a nomi. Cambia l’accento primario di parola. Si può aggiunge
anche a nomi.

Pizzeria
[pittse'ri:a] /pittse'ria/
Processo morfologico: derivazione
Parola base: [[pizza] N
Affissi: -eria (suffisso)
Applicazione delle regole: [[pizza] N eria] N

Derivazione semplice, a una parola base pizza si aggiunge il suffisso –eria che è un locativo (luogo
dove si vende, si produce qualcosa, ecc..). Cambia in questo caso il tratto semantico.
Saliscendi
[ˌsa:li∫'∫ɛn.di] /ˌsali'∫ɛndi/
Processo morfologico: composizione
Parole base: [sali] V e [scendi] V
Applicazione delle regole: [[sali] V [scendi] V] N
Composizione di due verbi che diventano un nome come parola composta.
Ricordiamo che il nome composto segue delle proprietà, delle regole (vedi lezione precedente): in
questo caso abbiamo una coordinazione.

Diseguale
[dize'gwa:le] /dise'gwale/
Processo morfologico: derivazione
Parole base: [eguale] A
Affissi: dis- (prefisso)
Applicazione delle regole: [dis [eguale] A] A
Parola derivata, con la parola base eguale che è un aggettivo, al quale aggiungiamo il prefisso
-dis, che ha un valore di negazione. Dis si può aggiungere sia ad aggettivi che a nomi (disafettivo)

Inaspettato
[inaspet'ta:to] /inaspet'tato/
Processi morfologici: derivazione e flessione
Parole base: [aspetta]V
Affissi: in- (prefisso) e Ø (suffisso per ricategorizzazione lessicale)
Applicazione delle regole: [in[[[aspetta] V to] V Ø] A] A

37
La parola base è un verbo: aspetta.
Qui ci sono due e processi morfologici: la derivazione e la flessione. Ad aspetto aggiungiamo
mediante i processi della flessione il suffisso –to. aspettato risulta essere un verbo. Poi c’è un
processo di ricategorizzazione lessicale per cui aspettato verbo diventa aspettato aggettivo.
A questo punto aggiungiamo il prefisso –in e diventa un altro aggettivo – inaspettato.
Quando si ha più di un processo di formazione di parola c’è sempre una ciclicità, un ordine ciclico:
prima si aggiunge un processo, poi l’altro, guardando soprattutto le proprietà categoriali della
parola base.

Fermacarte
[ˌfer.ma.'karte] /ferma'karte/
Processo morfologico: composizione
Parole base: [ferma] V e [carte] N
Applicazione delle regole: [[ferma] V [carte] N] N
Parola composta, formata da due parole indipendenti: ferma (verbo) e carte (nome). La parola
composta fermacarte è un nome.
Inettitudine
[inetti'tu.dine] /inetti'tudine/
[[inett(o)]a +itudine]n
Processo morfologico: derivazione
Parola base: [inetto]A
Affissi: -itudine (suffisso)
Applicazione delle regole: [[inetto]A itudine] N

Processo di derivazione. La parola base è inetto , aggettivo a cui si aggiunge –itudine è un suffisso
che normalmente si aggiunge ad aggettivi per dare luogo a nomi con significato di esprime una
qualità o uno stato. Quindi, inettitudine è un nome che esprime la qualità di esser inetto
(beatitudine: nome che esprime la qualità di essere beato).

Pericoloso
[periko'lo:zo] /periko'loso/
Processo morfologico: derivazione
Parola base: [pericolo]N
Affissi: -oso (suffisso)
Applicazione delle regole: [[pericolo]N oso] A

Processo di derivazione: alla parola base pericolo si aggiunge il suffisso –oso. Questo suffisso si
aggiunge a solo nomi per derivare degli aggettivi, che significano avere la proprietà del nome dai
quali derivano. Pericoloso = avere la qualità del pericolo; famoso= avere la qualità della fama, ecc.

Irrituale
[irritu'a:le] /irritu'ale/
Processo morfologico: derivazione
Parola base: [rituale]A
Affissi: in- > ir- (suffisso)
Applicazione delle regole: [ir[rituale]A] A

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Processo di derivazione di rituale (sarebbe rito, ma rituale è una formazione antica che deriva da
rito), che è la parola base, alla quale si aggiunge il prefisso negativo –in che si realizza come
allomorfo –ir

Inchiodare
[iŋkjo'da:re] /inkjo'dare/
Processi morfologici: parasintesi e flessione
Parola base: [chiodo]N
Applicazione delle regole: [[in [chiodo] N a] V re] V
Processo morfologico di parasintesi. Parola base chiodo.
I parasintetici in generale sono dei verbi e la parola sono o un aggettivo o un nome.
a chiodo si aggiunge simultaneamente il prefisso –in e la vocale tematica –a , che da luogo ad un
verbo.. E’ una parasintesi perché non c’è nessuna parola derivata che sia inchiodo, ne un verbo che
sia chiodare .

Correzione esercizi 7
GENERALIZZAZIONE
Parola base: genere (nome) a cui si aggiunge il suffisso -ale, che da luogo ad un aggettivo
(aggettivo relazionale perché -ale, significa relativo a….).
Si aggiunge poi il suffisso -izza (suffisso che si aggiunge ad aggettivi per dare il significato i
rendere).
poi si aggiunge -zione che forma la parola derivata generalizzazione che diventa un nome. (-zione
è un suffisso che si aggiunge a dei verbi per dare dei nomi che esprimono un processo).
PORTAOMBRELLI
portaombrelli: composizione [[porta]V + [ombrelli]N]N
Processo morfologico di composizione. Porta è un verbo, ombrelli è un nome, insieme danno
luogo a delle relazioni sintattiche (ombrelli è un complemento di porta) e quindi ad una parola
composta che è un nome.

CONTRORIVOLUZIONARIO
controrivoluzionario: derivazione significato: seguace della controrivoluzione
[[contro [rivoluzione]N ]N ario]A
Parola base: rivoluzione N
si aggiunge il prefisso -contro
si aggiunge il suffisso -ario che si aggiunge a nomi per dare forma ad aggettivi di relazione

DISUMANIZZARE
disumanizzazione: derivazione
[[[dis [umano]A ]A izza]V zione]N

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Parola base: [umano] A
si aggiunge prima -dis , poi -izza (verbo) e poi -zione (nome, che indica un processo).

DISAPPASSIONARE
disappassionare: parasintesi, derivazione e flessione
[[dis [aP [passione]N a]V ]V re] V
parola base: passione N
parasintesi perché aggiungiamo contemporaneamente un affisso -aP e ….
poi processo i derivazione aggiungendo il prefisso -dis, (significato negativo: non appassionare) che da
ancora come risultato un verbo e poi si applica un processo di flessione (tratto flessivo dell’infinito -re).

ILLECITAMENTE
illecitamente: derivazione
[[[iL [lecito]A ]A a]A mente] AVV
parola base: lecito A
poi si aggiunge prima -il (con significato negativo), e poi si aggiunge -mente che da luogo ad un avverbio che
ha significato nel modo di
Qui c’è anche una regola, che dice che tutti gli aggettivi che finiscono in O a cui si aggiunge il suffisso
-mente, cambiamo la O in A

SINTASSI
(Scalise cap.7 e Salvi e Vanelli cap. 3 e 4 e di Cecchetto il cap. 3)
La sintassi è la disciplina che descrive la competenza sintattica dei parlanti, cioè la capacità dei parlanti di
prendere le parole che fanno parte del lessico della propria lingua e metterle insieme in un certo modo per
combinare delle frasi.
Quando noi facciamo delle frasi mettiamo in atto molte regole e compito della sintassi è individuare queste
regole permettono di fare delle frasi grammaticali.
L’unità di analisi più piccola della sintassi è la parola e l’unità di analisi più grande è la frase.
Le parole che fanno parte del lessico della nostra lingua le incrementiamo durante il processo di
acquisizione della lingua. Tutte le parole contenute nel lessico, che immagazziniamo nella nostra mente,
vengono specificate per certe proprietà. A queste proprietà dobbiamo dare dei nomi, dobbiamo cioè
classificarle, esplicitarle tramite categorie grammaticali e i tratti contestuali=argomenti e aggiunti
Tratti contestuali: proprietà che permettono alle parole di combinarsi tra loro in un certo modo per
realizzare delle frasi.
Per esempio, prendiamo una parola appartenete alla categoria VERBO: incontrare.
Oltre al verbo incontrare devo esprimere una proposizione, cioè esprimere i suoi argomenti = tratti
contestuali. Per questi tratti contestuali noi possiamo dire: Gianni ha incontrato Maria e non potrò mai dire
Gianni ha incontrato. Incontrare per poter essere portato in sintassi ha bisogno di due elementi che
chiamiamo argomenti: 1) Gianni cioè il soggetto e 2)Maria cioè l’oggetto diretto.
Questa proprietà che non appartiene solo ai verbi ma anche ad altre categorie grammaticali, come le
preposizioni, gli aggettivi, i nomi, viene chiamata valenza.
Valenza (termine preso dalla chimica): significa che il verbo deve saturare un certo tipo di valenza che in
questo caso è rappresenta da due argomenti (Gianni e Maria) per poter esprimere il proprio contenuto
denotativo.

40
Possiamo dire per spiegare meglio che ogni verbo evoca una scena, affinché questa scena possa realizzarsi è
necessaria la presenza di un uno o due attori o argomenti. A seconda del numero di argomenti che un verbo
ha, possiamo determinarne la valenza.
Per esempio un verbo come incontrare, mangiare, sbucciare, ecc. ha bisogno per realizzare i suoi tratti
contestuali, o le sue proprietà di valenza, di due argomenti, uno che corrisponde al soggetto e uno
all’oggetto. Questi verbi vengono chiamati bivalenti o biargomentali.
Queste proprietà contestuali giustificano il fatto che non possiamo dire Gianni ha sbucciato, perché
abbiamo bisogno di due argomenti: il soggetto e il complemento diretto.
Altri verbi hanno valenza diversa, per esempio hanno bisogno di un unico argomento per esprimere il loro
contenuto denotativo: verbi come dormire, ridere, arrivare. L’unico argomento di cui hanno bisogno è il
soggetto. Questi verbi vengono chiamati monovalenti o monoargomentali.
(mangiare può essere bivalente che monovalente, però ha significato diverso)
Ci sono altri verbi che esprimono tre argomenti (tre attori): dare o mettere, ecc.
Per esempio: Gianni ha dato a Maria un libro. Non posso dire Gianni ha dato a Maria o Gianni ha dato un
libro. Questo verbi vengono denominati verbi trivalenti o triargomentali.
Ci sono poi verbi che non prevedono nessun attore cioè nessun argomento per esprimere il contenuto
denotativo: per esempio piove e tutti i verbi metereologici. Questi verbi vengono denominati zerovalenti o
zeroargomentali.

In una frase realizziamo anche altre espressioni linguistiche che non sono solo il verbo e i suoi argomenti.
Queste espressioni linguistiche non sono argomenti, cioè non fanno parte dei tratti contestuali del verbo,
ma le produciamo per esprimere altre informazioni e vengono denominate aggiunti.
Esempio: prendiamo il verbo baciare e lo portiamo in sintassi per formare una frase. Il verbo baciare è
bivalente e quindi: Gianni bacia Maria.
In questa proposizione posso aggiungere altri elementi linguistici, per esempio, posso dire, Giani bacia
Maria... alla stazione… con passione…. mentre passa un autobus.
All’azione denotata dal verbo baciare sono state aggiunte altre informazioni. Queste espressioni linguistiche
che aggiungono informazioni sono denominate aggiunti.

Gli aggiunti li utilizziamo per esprimere coordinate spazio-temporali (alla stazione= locativi, mentre passa
un autobus = temporale, con passione = modo, ecc..). Questa è una differenza semantica, cioè
interpretativa, tra argomenti e aggiunti: gli argomenti sono espressioni linguistiche imprescindibili per
esprimere il contenuto denotativo del verbo, mentre gli aggiunti sono delle informazioni che esprimono
circostanze dell’azione denotata dal verbo. Le circostanze possono essere di tipo modale, locativo,
temporale, dell’azione del verbo.
Dal punto di vista sintattico questa differenza semantica tra argomenti e aggiunti si esprime con il fatto che
mentre gli argomenti sono obbligatori, gli aggiunti invece possiamo ometterli, sono facoltativi.
Gli argomenti possono realizzarsi linguisticamente in forme diverse.
Per esempio: prendiamo il verbo dire, verbo bivalente.
Gianni ha detto la verità ma anche Gianni ha detto che sarebbe arrivato presto.
Gli argomenti non devono obbligatoriamente realizzarsi sintatticamente in un'unica forma: dal punto di vista
sintattico possono esprimersi come una espressione nominale o come una frase. Ma, in entrambi i casi,
corrispondono allo stesso argomento e in entrambi i casi devono obbligatoriamente realizzarsi, non posso
ometterli.
Inoltre gli argomenti non sempre si devono realizzare in una stessa posizione all’interno della struttura o
nella stessa forma. Posso dire Gianni l’ha detto. L’argomento in questo caso non si esprime dopo il verbo
(come nei primi due esempi), ma si esprime in un’altra posizione e anche in una forma diversa, cioè tramite
un pronome. L’argomento può essere in una posizione ancora diversa e in una forma ancora diversa. Per

41
esempio: Che cosa ha detto Gianni.
Ma che cosa ci fa capire che un’espressione si riferisce allo stesso argomento? Possiamo recuperarlo solo
attraverso le relazione semantiche che si stabiliscono tra il verbo e il proprio argomento, perché queste
relazioni sono stabili. Gli argomenti possono stare all’interno della frase in posizioni diverse e in forme
diverse, ma la relazione semantica che si stabilisce tra gli argomenti e la categoria che seleziona questi
argomenti, come proprio tratto contestuale, rimangono stabili.
La grammatica generativa per poter descrivere queste relazione semantiche utilizza il termine di ruoli
tematici.
Viene anche proposta una teoria che si chiamata criterio tematico (cap. 3 libro di Cecchetto): “Ogni
argomento deve ricevere uno e un solo ruolo tematico e un ruolo tematico è assegnato ad un solo
argomento.”. In partica, ogni argomento per poter esistere deve essere legato semanticamente
all’elemento che lo selezione (che lo prende come argomento).
E’ questo che ci fa capire per quale motivo una frase come Maria bacia a Francesco è impossibile, perché a
Francesco non è un argomento del verbo baciare, perché baciare seleziona due argomenti e non lo è perché
baciare non può assegnare un ruolo tematico a Francesco ma solamente ai sui due argomenti.
I ruoli tematici si distinguono tra di loro, non tutti gli argomenti ricevono uno stesso ruolo semantico.
Le relazioni che si stabiliscono tra un verbo e tutti i suoi possibili argomenti sono relazioni semantiche di
tipo diverso.
Le relazioni semantiche più comuni assegnati dai verbi, ma non solo dai verbi, anche dagli aggettivi, nomi,
ecc.. ; ai proprio argomenti sono:
1. Ruolo tematico di agente: esprime una relazione stabile che si realizza tra il verbo e uno dei suoi
argomenti. L’agente rappresenta l’entità che compie volontariamente l’azione denotata dal verbo.
per esempio Gianni picchiò Maria, Gianni volontariamente fa l’azione espressa dal verbo. Il poliziotto
arresta il ladro. Il poliziotto in questo caso acquisisce il ruolo tematico di agente (è l’entità che da inizio
volontariamente all’azione espressa dal predicato: arrestare il ladro).
2.Ruolo tematico di causa: La causa è l’entità che provoca l’azione espressa dal predicato.
Il terremoto provocò molti danni: il terremoto, che in questo caso è uno dei due argomenti del verbo,
costituisce la causa e non l’agente, perché nel terremoto non c’è nessuna volontarietà.
Le reazioni del professore preoccupano lo studente: anche preoccupare è un verbo bivalente, cioè seleziona
due argomenti, e uno di questi argomenti che corrisponde le reazioni del professore, esprime la causa e non
l’agente.
3.Ruolo tematico dello strumento: lo strumento è l’entità individuata per realizzare l’azione denotata dal
verbo.
La chiave aprì la porta. In questo caso la chiave, che è il soggetto, non può esprimere la relazione semantica
di agente, ma è uno strumento, perché corrisponde all’entità utilizzata per realizzare l’azione denotata dal
verbo.
Gianni ha aperto la porta con la chiave, con la chiave non è un argomento del verbo aprire, perché questo
verbo è bivalente. Con la chiave è un aggiunto, ci da una informazione ulteriore rispetto al modo con cui
Gianni ha aperto la porta.
4.Ruolo tematico tema o di oggetto . La reazione semantica Tema paziente oggetto: è l’entità interessata
dall’azione espressa dal verbo.
Per esempio: Gianni baciò Maria, Gianni, che è uno dei due argomenti del verbo (baciare è un verbo
bivalente) è l’agente (da inizio volontariamente all’azione del verbo), Maria, che è l’altro argomento,
stabilisce con il verbo una relazione semantica che corrisponde al tema (Maria è l’entità interessata
dall’azione espressa dal verbo).
Altro esempio: I vandali saccheggiarono Roma. I vandali sono l’agente e Roma è il tema.
5.Ruolo tematico di esperiente. Denota quell’entità che sperimenta uno stato, di solito psicologico,
espresso dal verbo.
Maria teme i temporali: il verbo temere è bivalente: l’argomento che si realizza come soggetto, Maria, è
l’esperiente e i temporali è il tema (cioè l’entità coinvolta dall’azione espressa dal verbo).
Le reazioni del professore preoccupano lo studente: Lo studente è l’esperiente.

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A Maria piace la musica classica: piacere è un verbo bivalente e la musica classica è il tema, A Maria è
l’esperiente.

I ruoli tematici non necessariamente si relazionano alle funzioni grammaticali.


Uno stesso ruolo tematico, a seconda dei verbi diversi, può essere rappresentato da espressioni nominali a
cui viene assegnato funzioni grammaticali diverse. Nel caso di temere i temporali è il soggetto che è
l’esperiente, nel caso di preoccupare è l’oggetto diretto che è l’esperiente, nel caso di piacere è l’oggetto
diretto che risulta essere l’esperiente.
Solo l’agente, che è il ruolo tematico più preminente, non può che essere il soggetto.
Altri ruoli tematici intermedi, meno prominenti, possono essere realizzati da espressioni nominali che
ricevono diverse funzioni grammaticali a seconda del verbo.
Tutti i verbi psicologici (temere, preoccupare, piacere) e altri verbi come quelli di percezione sensibili,
selezionano un esperiente.
I verbi di percezione, ma non di percezione sensibili, come ascoltare (che è diverso di sentire) selezionano
un agente e non un esperiente: sentire è diverso di ascoltare, vedere è diverso da guardare.
Anche verbi di percezione intellettuale, come sapere, conoscere, selezionano un argomento che è un
esperiente e non un agente. Per esempio: Maria sa l’inglese, Maria in questo caso è l’esperiente, non
l’agente, cioè quello che fa volontariamente una azione.
Anche con il verbo dormire, chi dorme è l’esperiente non l’agente.

6.Ruolo tematico di benefattivo


Benefattivo significa l’entità che beneficia psicologicamente, intellettivamente, logisticamente dell’azione
del verbo. Questo ruolo tematico spesso si associa ad aggiunti del verbo e non ad argomenti.
Gianni organizzò una festa per Maria. Organizzare è un verbo bivalente. Per Maria è un aggiunto, cioè a
benefici di Maria. Quindi Maria è il beneficiario che ha una relazione con l’azione denotata dal verbo, quindi
in qualche modo il verbo è coinvolto nella realizzazione del complemento, anche se questo complemento
non fa parte della struttura argomentale del verbo, cioè Per Maria non rappresenta un argomento del
verbo.
Anche chi possiede è un benefattivo. Esempio: Gianni ha gli occhi blu: Gianni, che stabilisce una relazione di
possesso con gli occhi blu, viene considerato un benefattivo.
I miei genitori possiedono una casa in montagna. I miei genitori viene denominato come un benefattivo.

7.Ruolo tematico di destinatario (o meta o fine)


Il ruolo tematico di destinatario corrisponde all’entità che riceve qualcosa da un’ altra entità.
Esempio: Il professore consegnò le fotocopie agli studenti. In questo caso il verbo consegnare è un verbo
trivalente (qualcuno consegna qualcosa a qualcun’altro). L’argomento che si esprime come soggetto è
l’agente (in questo caso il professore). Le fotocopie riceve il ruolo tematico di tema. Agli studenti,
corrisponde la meta o destinatario: l’entità che riceve un’altra entità.
Quasi tutti gli oggetti indiretti ricevono il ruolo tematico di destinatario o meta.
Maria ha detto la verità a Francesco: a Francesco è il destinatario dell’azione denotata dalla verità.

8. Ruolo tematico di locativo


E’ quella entità che esprime un luogo dove si trova un’altra entità o dove si trova l’azione denotata dal
verbo. Di solito questo luogo tematico è introdotto da preposizioni locative.
Esempio: Gianni è andato al mare. Al mare è un argomento di andare riceve il ruolo tematico locativo, cioè
il luogo dove termine o dove ha fine l’azione denotata dal verbo.
Non sempre, però, il ruolo tematico di locativo è introdotto da una preposizione locativa. Per esempio: La
scatola contiene 20 cioccolatini. 20 cioccolatini rappresenta il tema ma la scatola non è un agente o uno
strumento, ma è il luogo che contiene un’altra entità. Quindi anche una espressione nominale può avere il
ruolo tematico di locativo, in questo caso coincide con il soggetto.
43
Abbiamo visto che il soggetto, a seconda del verbo, può essere diverse cose: un agente, un esperiente, un
locativo, un benefattivo, uno strumento, ma anche un tema. Per esempio: Gianni è caduto, cadere è un
verbo monovalente e Gianni non è un agente o un esperiente, ma è un tema, perché è l’entità interessata
dall’azione del cadere. Gianni non fa l’azione volontariamente, ma la subisce.

Come possiamo capire che una espressione nominale che può assumere ruoli tematici differenti a seconda
del verbo (agente, esperiente, ecc.) è il soggetto?
In generale, perché noi parlanti ricorriamo ad una certa gerarchia dei ruoli tematici che consideriamo
universale, perché certe relazioni semantiche sono più vicine all’azione denotata dal verbo mentre altre
invece lo sono di meno.
Questa gerarchia dei ruoli semantici ci dice quanto segue: il ruolo tematico di tema è il ruolo tematico più
interno, cioè è quello che sta più vicino alla denotazione espressa dal predicato, quello di beneffattivo e
quella di destinatario è più esterno, cioè è più prominente, quello di esperiente lo è ancora di più e quello di
agente/causa/strumento lo è ancora di più. VEDI GRIGLIA TEMATICA

INT. Rt Tema
benefattivo/destinatario
esperiente
EST. Agente/causa/strumento
Se c’è un verbo che seleziona due argomenti, per esempio preoccupare, di cui risulta un argomento essere
la causa e l’altro l’esperiente, come si fa a determinare quale tra causa ed esperiente è il soggetto e quale
l’oggetto? Facendo riferimento alla gerarchia dei ruoli tematici. Il soggetto sarà quello che ha il ruolo
tematico più esterno al contenuto denotativo del verbo. Tra causa ed esperiente, la causa è la più esterna
cioè la predominante. Pertanto sarà la causa che è il soggetto e l’esperiente sarà l’oggetto diretto.
Altro verbo comprare, anche questo seleziona due argomenti di cui uno è l’agente e l’altro è il tema, perciò,
per la gerarchia dei ruoli tematici, l’agente è il soggetto e il tema è l’oggetto. Quando c’è l’agente, questo
non può essere altro che il soggetto. Se c’è un tema, poiché ha la posizione più interna tra tutti i ruoli
tematici, questo non può essere che l’oggetto diretto. Quindi, quando abbiamo più ruoli tematici e c’è un
tema, questo sarà sicuramente l’oggetto e l’agente/causa/strumento sarà sicuramente il soggetto.
Tutti gli altri ruoli tematici possono essere espressi mediante preposizioni.
Quando si parla di soggetto si parla sempre di argomento esterno, mentre quando si parla di oggetto
diretto, parliamo sempre di argomento interno (è l’argomento più coinvolto dall’azione denotata dal verbo).
Valore metaforico: la metafora è possibile abbinando il valore del verbo al valore dell’argomento interno:
mangiare la foglia.
Cadere seleziona un unico argomento, che comunque è un tema, poiché però è l’unico argomento,
corrisponde al soggetto.

Come si è detto all’inizio, la sintassi ha come unità minima la parola che viene specificata sia per la categoria
grammaticale sia per i propri tratti contestuali, cioè i ruoli tematici.
L’unità maggiore è rappresentata dalla frase.

FRASE (vedi Scalise pag. 174-1776 e pg. 178-191)


La frase è costituita da parole, però le parole si combinano in un certo modo piuttosto che in un altro.
Per fare una frase un parlante deve seguire molte regole per combinare le parole.
Come si definisce una frase? Ci sono diverse definizioni.
Una definizione che usa criteri semantici è “La frase è una sequenza di parole che esprime un significato
completo”. Ma cosa vuol dire significato completo? Questo è un problema. Gianni spera che Maria possa
superare un esame. Questa frase potrebbe ricevere un significato completo. Ma noi parlanti riconosciamo
anche che Maria possa superare un esame è una frase. Non ha significato completo, però è una frase.
Altri preferiscono usare criteri di tipo morfologico per definire che una sequenza di parole corrisponde ad
una frase. “La frase è definita da una sequenza di parole in cui compare un verbo flesso”. Gianni spera che
Maria possa superare l’esame. Ma anche superare un esame è una frase.

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Neanche l’ipotesi morfolgica è utile per definire la frase.
La grammatica generativa dice che la frase non deve essere descritta utilizzando criteri semantici o
morfologici, la frase deve esser descritta utilizzando criteri di tipo strutturali, perché la frase non è altro che
“una unità di costruzione basata su criteri gerarchici (con una gerarchia interna) che esprime una relazione
di predicazione”.
Una relazione di predicazione significa che all’interno di una frase troviamo sempre un predicato che è in
relazione con un’ entità (che risulta essere il soggetto).
Che cosa significa criteri gerarchici? Significa che noi parlanti prendiamo dal lessico delle parole e le
combiniamo insieme tenendo conto delle proprietà di queste parole e creiamo delle sequenze che vanno
crescendo piano, piano fino a raggiungere il livello di espansione frasale. All’interno delle frasi troviamo
sempre delle parole che stringono relazioni tra di loro e che altre parole non stringono.
Quindi ci sono livelli diversi in cui si compone la struttura della frase dando luogo ad una frase finale.
Come possiamo renderci conto dell’esistenza di questa sequenza di parole che sono più relazionate tra loro
rispetto ad altre all’interno di una frase mentre si va componendo? Attraverso i costituenti.
I costituenti sono delle sequenze di parole che riusciamo a delimitare molto precisamente all’interno della
frase. Questa delimitazione fa parte della nostra competenza: noi sappiamo molto bene quali sono i
costituenti. E’ proprio sulla base del riconoscimento dei costituenti che noi applichiamo regole
grammaticali. I costituenti si raggruppano tra loro in un certo modo, poi si raggruppano con un altro
costituente e poi con un altro fino a costituire una frase.
I costituenti possono essere composti da un’unica parola oppure da più parole.
Dal punto di vista grammaticale ci sono delle prove che ci permettono di riconoscere o giustificare i
costituenti. (cap. 1 di Cecchetto e pag. 166 -167 di Scalise).
“Gianni ha incontrato la ragazza carina”. Questa frase è composta di più parole e a livelli diversi è composta
da costituenti sempre maggiori: “La ragazza carina” sono 3 parole e forma un costituente
(Un costituente può essere formato da un solo elemento), ciò che indica il costituente in questo caso è
l’accordo (genere femminile, numero singolare) tra il nome, l’articolo e l’aggettivo.
Come possiamo giustificare dal punto di vista sintattico che queste tre parole rappresentano un costituente?
Mediante dei criteri di tipo sintattico. Se un gruppo di parole soddisfa uno di questi criteri allora è un
costituente.

1. Il primo criterio è la frase scissa: La frase scissa è una frase con un valore informativo particolare e che
può essere rappresentata solamente da un costituente che segue il verbo essere e che poi è preceduto da
una frase introdotta da un che (detto completatore). In questo caso si può creare una frase scissa se
prendiamo tutto l’insieme di parole: è- la ragazza carina - che Gianni ha incontrato.
La frase scissa focalizza l’informazione sul costituente contrastandolo con un altro eventuale costituente
sintattico (è la ragazza carina che Gianni ha incontrato e non quella brutta). La ragazza carina è una frase
grammaticale: non si può infatti formare una frase scissa se la frase non è grammaticale.

2. Criterio del movimento: quando un gruppo di parole può essere spostato all’interno della frase, questo
gruppo di parole è un costituente.

3. Un altro criterio è l’enunciazione in isolamento: solamente quella sequenza di parole che all’interno di
una frase può essere enunciata come una risposta ad una domanda rappresenta un costituente.
Esempio: Gianni ha incontrato la ragazza carina. Si può rispondere alla domanda: Chi ha incontrato Gianni?
La risposta sarà: la ragazza carina. Questa è l’unica possibile risposta. Non si può rispondere con ragazza
carina o semplicemente con carina, devo per forza esprimere tutta la sequenza ed è quindi tutta la
sequenza la ragazza carina è un costituente.

4. Un altro criterio per riconoscere i costituenti è la sostituzione: solamente quelle espressioni nominali che
costituiscono un costituente possono essere sostituite da altri costituenti più complessi o più piccoli o
essere sostituiti da una forma pronominale. La ragazza carina può essere sostituito dal pronome la, per
esempio, e la frase sarà la ha incontrata. Non si può sostituire solamente ragazza carina, o solamente
ragazza, viene fuori una forma agrammaticale (Gianni la ha incontrata la).

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Tutto il costituente la ragazza carina, può essere sostituito anche da un altro costituente formato da una
unica parola Gianni ha incontrato Maria, dove Maria, sostituisce la ragazza carina. Oppure Gianni ha
incontrato il nuovo vicino che ha conosciuto l’anno scorso durante le vacanza estive, in questo caso il
costituente la ragazza carina è stato sostituito da un altro lungo costituente.

Criterio della coordinazione: più che in costituente questo criterio ci fa capire la natura dei costituenti. Le
sequenze di parole che formano un costituente possono essere coordinate ad un altro costituente di stessa
natura sintattica.
Esempio: Ho visto la ragazza carina. La ragazza carina è un costituente ed è anche argomento del verbo
vedere, può essere mosso (la ragazza carina ho visto ieri), può essere la risposta ad una domanda (chi hai
visto ieri? La ragazza carina), ma può essere anche coordinato ad un costituente della stessa natura (“ho
visto la ragazza carina e il ragazzo simpatico”). “Il ragazzo simpatico” è un costituente e può esser
combinato con la ragazza carina, perché entrambi hanno la stessa categoria grammaticale. Non potrò,
invece, mai coordinare “la ragazza carina” con un altro costituente “con gli occhiali”, cioè non posso dire
“ho visto la ragazza carina e con gli occhiali”.

La nozione di costituente è una nozione molto importante nella sintassi perché ci permette di applicare
delle regole in maniera adeguata e corretta, perché si fa riferimento sempre a costituenti quando formiamo
una frase.

I costituenti sono importanti anche perché ci permettono di riuscire a spiegare certe ambiguità
interpretative che non riusciremo a spiegare in nessun altro modo.
Esempio: Il professore parlava con gli studenti di linguistica. Si può osservare che questa frase è una frase
ambigua dal punto di vista interpretativo, perché può significare due cose: il professore parlava agli studenti
sull’argomento di linguistica, oppure il professore parlava agli studenti che frequentano il corso di
linguistica.
Questa ambiguità la possiamo spiegare solo utilizzando la definizione di costituente: infatti, se studenti di
linguistica forma un unico costituente, allora vuol dire che studenti che frequentano il corso di linguistica, se
di linguistica è un complemento , allora il professore parla dell’argomento linguistica.

I costituenti dal punto di vista rappresentativo, vengono denominati anche sintagmi., anche se il costituente
può contenere anche più sintagmi.
Il costituente viene definito utilizzando il concetto di sintagma: i costituenti formano una relazione
sintagmatica.
Il sintagma è una rappresentazione grafica delle relazioni che si stabiliscono all’interno della frase a diversi
livelli.
La grammatica generativa, osservando che i sintagmi all’interno di una frase condividono tutti una stessa
struttura e quel che cambia è il tipo di categoria grammaticale che costituisce la testa o il nucleo di questo
sintagma, propone la teoria della X-barra.
La teoria della X-barra (Cecchetto, cap.2): ogni categoria grammaticale proietta un proprio sintagma e
questo sintagma poi dopo serve a sua volta per rappresentare la struttura interna della frase.
Un sintagma è costituito da un nucleo (X), che ha relazioni con altre parole all’interno della lingua
(costituente), cioè proietta un livello intermedio (X-barra), che contiene oltre al nucleo anche un eventuale
complemento, il quale a sua volta si proietta dando luogo al livello massimo (sintagma di X).
Il sintagma di X, domina sia il livello X-barra, sia un eventuale specificatore che si colloca a sinistra della testa
del sintagma o del nucleo.
Il nucleo X può avere qualsiasi categoria grammaticale che può essere lessicale o funzionale (preposizione,
verbo, aggettivo, avverbio, determinante, quantificatore, ecc.)
Se il nucleo è aggettivo, proietterà un sintagma aggettivo, se è un verbo, proietterà un sintagma verbale, se
è un determinativo, proietterà un sintagma determinante, ecc. ecc.

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Per esempio la sorella di Gianni è una espressione nominale perché il nucleo di questa espressione è
rappresentato da un nome, sorella. Il sintagma, quindi è un sintagma nominale.
Il sintagma, poi, può cogliere all’interno materiale linguistico, relazionato al nucleo stesso, che può apparire
nella posizione di specificatore, che è ad un livello superiore del nucleo e un complemento. IL complemento
sta allo stesso livello della testa (nucleo). Lo specificatore, se esiste, modifica o domina sia il contenuto della
testa che quello del complemento.
Non tutte le teste devo obbligatoriamente realizzare uno specificatore o un complemento.
Il complemento si dispone sempre a destra del nucleo (lato ricorsivo).
Il complemento e lo specificatore sono delle posizioni all’interno della struttura, se abbiamo lo specificatore
sarà a sua volta un sintagma, il complemento sarà a sua volta un sintagma.

In questo caso di Gianni rappresenta un complemento di sorella ed è a sua volta un sintagma. Questo avrà
come nucleo una preposizione, sarà quindi un sintagma preposizionale, perché il nucleo è rappresentato
dalla preposizione di. Di a sua volta selezionerà il suo complemento, che abbiamo visto essere obbligatorio,
perché le preposizioni devo esprimere un complemento, sarà Gianni, che corrisponde ad un sintagma
nominale, dove compare solo il nucleo, Gianni, perché è un nome proprio.

Gli aggiunti e i modificatori non compaiono solo nel lato ricorsivo, cioè il lato destro della testa (nucleo), ma
anche nel lato sinistro.
Gli aggettivi, per esempio possono precedere o seguire un nome. Gli aggettivi sono degli aggiunti del nome,
lo specificano. Esempio Il libro bello: il nucleo è il libro. Oppure possiamo avere il bel libro.

La struttura della frase.


Anche la frase deve essere considerata un sintagma, il sintagma di rappresentazione massimo. Quale sarà il
nucleo della frase? Saranno i tratti di flessione. Infatti la flessione ha il compito morfologico di legare un
soggetto al proprio predicato (verbo). Se i tratti di flessione sono espressi possiamo avere un soggetto
lessicale, se non sono espressi nessun soggetto lessicale può realizzarsi.
I tratti di flessione, quindi, costituiscono il nucleo della frase.
Tratti di flessione astratti: + o – tempo; + o – accordo.
In questa struttura come si posizionano gli altri due elementi maggiori della frase, cioè il soggetto e il
predicato? Il predicato risulta essere il complemento, mentre invece il soggetto sarà il predicatore.
I tratti di flessione sono separati dal verbo, anche se in italiano i tratti di flessione sono incorporati aò verbo.
Vengono separati perché nelle altri lingue i tratti possono comparire indipendentemente da verbo (Will, in
inglese, che indica il futuro, per esempio).
………………………………………. ……………………………….. ……………………………….. boh!
Rappresentazione della frase.
Modalità dichiarativa: Gianni ha mangiato una mela. Il contenuto proposizionale viene classificato come
vero e quindi può essere falsificato.
Modalità interrogativa: Che cosa ha mangiato Gianni?; Mi domando se Gianni ha mangiato la mela. (1.21)

Correzione esercizio 4 del 19 dicembre (36.01-39.55)


Correzione esercizio 5 del 19 dicembre (47.35 –1.09) vedere anche esercizi nel front office)

CAP. 11 L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO

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1. CHE COSA SI INTENDE PER Povertà DI STIMOLO?
Si osserva nel bambino una discrepanza tra lo stimolo (ciò che sente o gli viene insegnato) che è
povero, discontinuo e svariato e la rapidità , uniformità e solidità con cui sviluppa una lingua. Il
bambino non sembra procedere per tentativi ma segue un percorso predefinito e autonomo da
quello che gli viene detto. Questa predisposizione all’apprendimento della lingua è istintuale.
2. perché è IMPORTANTE DISTINGUERE IL PIANO DELLA PRODUZIONE DA QUELLO DELLA
COMPRENSIONE/PERCEZIONE?
La comprensione precede cronologicamente la produzione. Il bambino capisce molte più cose
prima di dirle.
3. COME SI STUDIA LA COMPETENZA DEI NEONATI?
Con il paradigma della suzione non nutritiva ossia si usa un succhiotto collegato a sensori che
misurano la frequenza e l’intensità della suzione. Al bambino si fa ascoltare un suono e inizia a
succhiare con più vigore, poi se il suono diventa costante il bambino inizierà a succhiare in maniera
normale ma se si cambia suono allora riprenderà la suzione più vigorosamente. Questo vuol dire
che il bambino ha una competenza fonologica sviluppata.
Dal sesto mese di vita in poi si usa il paradigma di preferenza nell’orientamento della testa ossia si
danno degli input sonori e si vede se il bambino gira o meno la testa
4. A COSA SI RIFERISCE L’ESPRESSIONE “APPRENDIMENTO PER DIMENTICANZA”?
È lo sviluppo della percezione fonologica nei primi 8 mesi di vita.
Il neonato percepisce e memorizza le più sottili differenze tra suoni ma a un certo punto comincia
dimenticare quelle che non gli servono per imparare la propria lingua(discriminazione acustica)
5. CHE COS’è L’ESPLOSIONE DEL VOCABOLARIO?
Inizialmente l’apprendimento è lento (10 parole al mese) ma quando il bambino ha imparato circa
50 parole si verifica un cambiamento radicale nella natura dell’apprendimento lessicale,
l’esplosione del vocabolario, il bambino impara fino a 9 parole al giorno, 50+alla settimana
6. QUALI SONO LE CARATTERISTICHE TIPICHE DELLA FASE OLOFRASTICA?
È la fase che generalmente va dai 12 ai 18 mesi , in questo periodo i loro enunciati sono formati da
una parola accompagnata da un’intonazione appropriata e sono prodotti con un’intenzione
comunicativa precisa. Il significato è riconoscibile solo in base al tono e al contesto

7. CHE COS’è IL PERIODO CRITICO?


Il periodo critico per lo sviluppo del linguaggio è una fase della vita di un organismo in cui questo
presenta una spiccata sensibilità agli stimoli esterni che sono necessari allo sviluppo di una
determinata abilità. Se l’organismo non riceve lo stimolo appropriato durante questo periodo
critico diventa difficile o impossibile sviluppare l’abilità in questione.

9. COSA SONO LE INTERLINGUE E COSA SI INTENDE PER FOSSILIZZAZIONE?


Le interlingue sono delle lingue provvisorie lontane anche dalla lingua obiettivo . sono i vari passi
che compie chi impara una L2.la fossilizzazione si ha quando l’apprendente si ferma, smette di
rielaborare i dati e si fossilizza in un’interlingua.
10. CHE Cos’è LA COMMUTAZIONE DI CODICE (CODE SWITCHING) E COME LA SI Può INTERPRETARE
DAL PUNTO DI VISTA DELLA COMPETENZA BILINGUE?
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La commutazione di codice è naturale nei bilingue e non è casuale ma vengono rispettate le
grammatiche delle lingue in gioco. Ad esempio i bambini o gli adulti evitano la commutazione di
codice in quelle aree della frase in cui le grammatiche confliggono.

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