Attorno al 505 Teodorico, re dei Goti, fa costruire a Ravenna la Basilica del Salvatore, consacrata al culto ariano. Si trattava probabilmente di una cappella palatina. Viene ricostruita in età giustinianea, e rappresenta uno dei primi esempî di introduzione dello stile bizantino in Italia, stile che sarà destinato a dominare per gran parte del Medioevo. L’impianto è basilicale; scompare il quadriportico, di cui sopravvive solamente il nartece, che in area ravennate prende il nome di ardica. Due navate laterali affiancano una lunga navata centrale che si conclude con un’abside semicilindrica, ma poligonale all’esterno, ora distrutta, e gli archi a tutto sesto che la delimitano sono dotati di pulvini, strutture troncoconiche che si immettono fra il capitello e l’impostatura dell’arco (conferiscono slancio e creano uno spazio più ampio). Lungo le pareti laterali corrono mosaici, che appartengono ad epoche differenti (alcuni di quelli risalenti all’età teodoriciana furono distrutti del tutto da Giustiniano per fare spazio ai nuovi), e che sono divisi in tre registri orizzontali. Il registro inferiore ospitava la raffigurazione di due processioni guidate da Teodorico e dalla regina; oggi rimane solo una veduta, in prospettiva ribaltata, del Palazzo di Teodorico. Le processioni teodoriciane sono state sostituite da una teoria (dal Palazzo si originano infatti due contrapposte processioni, a destra di Santi Martiri, a sinistra di Sante Vergini). Tra le finestre (registro centrale) stanno solide figure di profeti dalle vesti chiaroscurate e morbidamente panneggiate. Il registro superiore ospita scene di vita di Cristo attinte dai Vangeli (degna di nota è la raffigurazione dell’ultima cena, nella quale è più evidente il nuovo linguaggio introdotto durante la seconda fase di realizzazione dei mosaici). Nei mosaici che decorano le pareti della Basilica è possibile rintracciare infatti le prime tracce di un nuovo linguaggio, quello bizantino, che, introdotto in fase giustinianea, sarà destinato a dominare a lungo nell’ambito dell’arte italiana. Si tratta di un linguaggio fortemente anticlassico. I denominatori comuni riscontrabili nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo, che consentono di evincere le caretteristiche cardinali del nuovo stile, sono: a. ripetitività dei gesti; b. preziosità degli abiti; c. mancanza di volume (con il conseguente appiattimento o bidimensionalità delle figure); d. assoluta frontalità delle rappresentazioni (figure ieratiche e raggelate); e. fissità degli sguardi; f. quasi monocromia degli sfondi, nei quali prevale comunque l’oro (linguaggio antinaturalistico in cui le figure sono immerse in uno sfondo metafisico); g. impiego di elementi vegetali a scopo puramente riempitivo e ornamentale (quando è presente, il naturalismo non è autenticamente vissuto, ma è di assoluta maniera, e si traduce dunque in antinaturalismo); h. mancanza di un vero piano d’appoggio per le figure che, pertanto, appaiono come sospese e fluttuanti nello spazio.
2. Basilica di San Vitale
Se nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo sono rintracciabili i primi segni del nuovo linguaggio bizantino, la Basilica di San Vitale e i suoi mosaici rappresentano il primo autentico esempio del bizantinismo in Italia. Fu fondata nel 532 da Teodorico e dal Vescovo Ecclesio, e conclusa poi diversamente da Giustiniano e dal Vescovo Massimiano nel 547. La basilica si richiama alla tradizione paleocristiana, ma anche agli esempî di Chiese orientali, fra tutte quella di S. Sofia e dei SS. Sergio e Bacco a Costantinopoli (Istanbul). L’edificio è a pianta ottagonale, e quindi centralizzata (nella simbologia numerologica cristiana, l’otto rappresenta il numero della Resurrezione). L’ardica si addossa alla costruzione intercettando l’angolo, e crea dunque un doppio ingresso. Uno dei due ingressi è in asse con il presbiterio, seguito dall’abside; questa è affiancata da due piccoli ambienti caratteristici delle basiliche bizantine: a destra il diacònicon (dal greco bizantino diakonikòn, appartenente al diacono), per la conservazione delle suppellettili liturgiche e per la preparazione delle funzioni sacre, a sinistra la pròtesis (dal greco protìthemi, porre avanti) per la conservazione del pane e del vino consacrati. Il visitatore che entra nella basilica può percepire lo spazio in due distinte maniere dipendenti dall’aver scelto l’uno o l’altro degli accessi. Infatti, chi è penetrato attraverso l’ingresso posto di fronte all’abside avverte di essere in uno spazio basilicale, esteso in una sola direzione. Chi, invece, ha attraversato l’accesso sul lato contiguo, ha di fronte e attorno a sé uno spazio centrico ed avvolgente. Cambia dunque, rispetto alla prima età paleocristiana, il rapporto con il fedele: se nell’impianto basilicale la fuga prospettica delle colonne serviva a rendere il più vicino possibile l’altare (ogni aspetto della vita era permeato dalla solida fede cristiana), nell’impianto centralizzato il rapporto è decentrato, dinamico, destabilizzante (il cristiano è l’essere in un labirinto che cerca la via della salvezza). Compositivamente gli spazî sono ottenuti dalla complessa compenetrazione di solidi geometrici elementari quali prismi, piramidi, cilindri e porzioni di cono. Inoltre, le facce del corpo prismatico principale, rinforzate da contrafforti che si ispessiscono in corrispondenza degli spigoli, sono divise da una cornice in due parti corrispondenti al doppio loggiato interno. Il volume centrale del tiburio ottagonale, infine, nasconde la cupola. La struttura è data da un doppio anello: 1. deambulatorio (esterno); 2. doppio ordine di colonne (interno). L’esterno è semplicissimo, con mattoni di terracotta a vista, scandito da lesene e ritmato da ampie finestre, ed è in antitesi con l’interno (il buon cristiano cura l’interiorità, ovvero l’anima, e trascura l’esteriorità, ovvero il corpo). La struttura, pur massiccia, degli otto pilastroni angolari stempera il proprio carattere di sostegno nella preziosità del marmo che la riveste, e i capitelli di marmo proconnesio sormontati dai pulvini colorati, probabilmente arrivati da Costantinopoli, sembrano perdere ogni materialità a causa del lavoro di traforo che li adorna. I mosaici del presbiterio, eseguiti fra il 546 e il 548, sono senza dubbio i più importanti della Basilica (tutte le pareti della Basilica sono infatti riccamente decorate con mosaici e pitture). In particolare sono degni di nota i due pannelli, leggermente concavi per essere posti nell’innesto della conca dell’abside, raffiguranti Giustiniano (sulla sinistra), e la consorte (sulla destra), la regina di rara bellezza Teodora, accompagnati dai dignitarî e dalle dame di corte. Da un punto di vista decorativo e narrativo, i due mosaici si collocano nella grande tradizione del rilievo storico romano, benché l’evento che in essi è raffigurato non sia, in realtà, mai accaduto. Giustiniano e Teodora sono infatti colti nel sacrificio dell’eucaristia il giorno dell’inaugurazione della Chiesa; l’imperatore porta il pane, la sua consorte il calice con il vino. Nel primo pannello, al centro sta Giustiniano, al suo fianco il vescovo Massimiano e una figura che porta un libro e una cassa di denari (si tratta probabilmente del vescovo Ecclesio o di Filippo Argentario, il ricco benefattore che aveva finanziato la costruzione della Basilica). Nell’altro pannello Teodora, sontuosamente vestita e decorata (il manto è decorato con la scena dei Magi), tiene in mano il calice; in prospettiva rovesciata sta una fontana, con capitello di foglie d’acanto (S. Vitale era una Chiesa palatina, adiacente alla dimora dell’esarca). Accanto a Teodora stanno le dame di corte e le donne del suo seguito, raffigurate in maniera fortemente astratta e convenzionale. Il catino absidale ospita la raffigurazione di un Cristo Pantocrator che, seduto sulla sfera celeste,tiene in mano la corona che sta offrendo a S. Vitale, affiancato dal vescovo Ecclesio. Cristo, a sua volta, è attorniato da due angeli. Ecclesio è colto nell’atto di offrire il modellino della Chiesa. Le figure sono convenzionali, avvolte da un naturalismo di assoluta maniera, che si traduce dunque in antinaturalismo. La tecnica rappresentativa è molto schematica. Lo spazio è metafisico (dato dallo sfondo dorato, una delle costanti dello stile bizantino), i piedi non poggiano (le figure perdono volume e consistenza materica), le figure sono rigide nelle pose e convenzionali nelle espressioni, rigidamente frontali, e completamente bidimensionali; sono ieratiche, austere, poste su un unico piano di affioramento. Il bizantinismo è un linguaggio di forte astrazione formale; questo processo di astrazione e concettualizzazione porterà l’arte lontana dalla vita quotidiana e dall’immediata leggibilità del linguaggio classico.