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Andando a ritroso nel tempo, la nozione di dialetto era inevitabilmente legata a quella di 'lingua dei
poveri'; il dialetto era una lingua che, a causa del pregiudizio sociale dell'epoca, ha dovuto soffrire
una forte sanzione socioculturale tanto che alcuni credevano di dover assistere prima o poi al suo
declino. Cosi non fu: a partire dagli anni Novanta del XX secolo il dialetto subì una svolta epocale
che gli permise di riacquistare la sua dignità e di riguadagnare un posto all'interno del panorama
linguistico italiano. All'epoca, grazie al rafforzarsi dell'italiano e quindi alla competenza linguistica
raggiunta dai parlanti, il rapporto tra i due codici si stabilizzò tanto che si registrarono cambiamenti
importantissimi come la ristrutturazione del sistema linguistico dei parlanti e la rivalutazione
dell'atteggiamento verso l'idioma materno. Ma chi parla dialetto? L'uso del dialetto è strettamente
legato all'età, esso cresce proprio col crescere dell'età; a tale proposito possiamo dire che il dialetto
continua ad essere parlato soprattutto dagli anziani e meno dai giovani che, a causa delle sanzioni
imposte dalla scuola e dai genitori, sono stati i primi ad abbandonarlo.
Non si può dire, tuttavia, che l'uso del dialetto dipenda dal genere: le donne e gli uomini registrano
percentuali uguali nell'uso del dialetto e, invece, percentuali differenti nell'uso dell'italiano che
generalmente viene scelto maggiormente dalle donne e non dagli uomini, soprattutto in contesti
famigliari.
Piuttosto, l'uso del dialetto varia anche geograficamente: come ci suggeriscono le percentuali
ISTAT, le regioni nelle quali si parla più dialetto sono quelle del Nord-Est (in Veneto viene parlato
in famiglia per il 42% e con gli amici per il 38%); nelle regioni del Nord-Ovest il dialetto registra
percentuali basse ed in Toscana l'uso del dialetto è pressoché assente. Nel Mezzogiorno si privilegia
l'uso misto di italiano e dialetto sia in contesti famigliari che esterni.
Berruto, a seguito di un'indagine sulla situazione linguistica di due centri differenti – a Nord-Ovest
il Piemonte e a Sud-Est il Salento – rileva come, i parlanti di questi due poli linguistici e geografici,
utilizzino il dialetto anche fuori dalla famiglia e quindi nella comunicazione quotidiana.
➢ LE VARIETÀ DIALETTALI
Con il termine 'dialetto' ci riferiamo ad un sistema linguistico autonomo che ha caratteri strutturali
propri. Un dialetto si parla in un'area geografia limitata ed è utilizzato in ambiti sociali ristretti, non
in situazioni formali. Tuttavia, è impossibile identificare il numero e l'estensione geografica di ogni
dialetto poiché i tratti linguistici che distinguono i diversi dialetti sfumano da una varietà all'altra
negandoci la possibilità di tracciare confini netti. È possibile però fare una grande suddivisione
dell'Italia in 3 AREE delimitate da due confini linguistici (insieme di linee immaginarie che
delimitano l'area in cui si estende un fenomeno linguistico):
• la linea La Spezia-Rimini;
• la linea Roma-Ancona.
All'interno di queste 3 AREE (settentrionale, centrale e meridionale) si distinguono 6 GRUPPI
dialettali:
1. settentrionali: dialetti gallo-italici (lombardo, piemontese, ligure ed emiliano-romagnolo),
dialetti veneti e dialetti friulani;
2. toscani;
3. mediani (laziale settentrionale, marchigiano centrale e umbro centro-settentrionale);
4. meridionali (laziale centro-meridionale, marchigiano meridionale, umbro meridionale,
abruzzese, molisano, pugliese, campano, lucano, calabrese settentrionale);
5. meridionali estremi (calabrese centro-meridionale, salentino e siciliano);
6. sardo (nelle sue cinque varietà).
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1a) DIALETTI GALLO-ITALICI (parlate affini agli idiomi francesi d'Oltralpe)
• presenza delle vocali turbate (fonema vocalico che presenta combinati caratteri propri di
vocali diverse: per es., la ü, che richiede la posizione della lingua propria di i e la posizione
delle labbra propria di u), ovvero di [ø ] e [y];
• la caduta di vocali atone finali diverse da -a ed -i (cavallo = ka'val);
2. DIALETTI TOSCANI
• monottongazione di wo in o (uomo = omo; nuovo = novo);
• gorgia, cioè spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche -p-, -t-, -k-;
• passaggio del suffisso -ariu > -aio;
3. DIALETTI MEDIANI
• passaggio di ld a ll (caldo = kallu);
• passaggio a vibrante r o a palatale j di l + consonante (soldato = sordato);
4. DIALETTI MERIDIONALI
• armonizzazione vocalica (chiusura di e chiusa tonica in i e di o chiusa tonica in u quando
una parola termina per i o u);
• sonorizzazione della sorda dopo nasale (ancora = angora);
• betacismo ovvero il passaggio di v a b, o anche al contrario di b a v (barba = varva);
• passaggio dalla fricativa s ad affricata nei nessi ls, ns, rs (salsa = saltsa pronunciato come
salza).
• suoni cacuminali, ovvero suoni che si articolano appoggiando la parte anteriore della lingua
sul palato (madre = maʈɽe);
• l'infinito viene sostituito da modi finiti introdotti da ku (voglio venire = oju ku b:eɲu);
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IL DIALETTO NELL'ITALIANO, L'ITALIANO NEL DIALETTO
Il processo di italianizzazione dei dialetti è la conseguenza del contatto tra due varietà di lingua
o di dialetto nello stesso repertorio linguistico. In Italia ciò accadde nel secondo '900 con il
passaggio da una società sostanzialmente agricola ad una industriale e, inoltre, con il
mutamento di una situazione linguistica generale di diglossia (impiego dei due codici
italiano/dialetto rispettivamente considerati come varietà alta e bassa) ad una di bilinguismo
(impiego alternato di italiano e dialetto). Cosi, le aree dialettali esposte all'italianizzazione si
intensificano e aumenta il numero di prestiti lessicali dell'italiano al dialetto.
L'italianizzazione dei dialetti si diversifica anche in relazione a fattori sociolinguistici e al
contesto d'uso: per esempio, concetti astratti quali i termini della burocrazia, della religione e
del commercio vennero italianizzati più precocemente rispetto alle sfere linguistiche più
conservative delle attività agricole e artigianali, della vita famigliare.
• → LESSICO
• termini specifici vengono sostituiti da termini generici;
• entrano nel lessico termini che designano oggetti e concetti nuovi;
• entrano parole italiane con veste fonetica dialettale che formano coppie sinonimiche col
termine dialettale (nel Salento 'uitu/ 'komitu = gomito). La formazione di queste coppie
può comportare diverse situazioni come l'affermazione del termine italiano a scapito di
quello dialettale, la specializzazione di entrambi i significati del termine o, ancora, la
coesistenza dei due termini nello stesso dialetto con uso differente in base all'età,
all'istruzione del parlante e al grado di formalità della situazione.
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LE COINÈ DIALETTALI
Il termine coinè si riferisce alla koinè diàlektos (lingua comune) dell'antica Grecia che
comprendeva quattro varietà a seconda dell'area geografica (ionico, dorico, eolico, attico).
Inizialmente col termine coinè ci si riferiva alla varietà sovraregionale di stampo attico che si
era imposta in tutta la Grecia; in un secondo momento, il termine coinè veniva utilizzato per
designare la lingua comune che si diffonde su un territorio linguisticamente frazionato in più
aree dialettali.
In Italia la formazione delle coinè dialettali è legata ai cambiamenti linguistici che si avviarono
quando il dialetto locale di piccole aree entrò in contatto con il dialetto 'civile' o con l'italiano
delle grandi o medie aree circostanti. I parlanti furono spinti ad abbandonare i tratti tipici e
distintivi dei loro dialetti per accostarsi alle varietà cittadine o all'italiano in modo da evitare
una valutazione negativa. Le prime coinè si svilupparono attorno ai grandi centri come Milano,
Torino, Napoli e Venezia e si suddivisero in coinè attive (quelle diffusesi dai grandi centri
urbani verso i dintorni) e in coinè passive (quando la pressione dell'italiano attenua le
differenze dialettali più marcate). Purtroppo, non possediamo un quadro generale e completo
delle coinè dialettali d'Italia; è possibile però tracciare una mappa sommaria:
• Piemonte e Lombardia: ben conosciute due coinè attive che fanno capo a Torino e
Milano, diverse dai dialetti locali;
• Veneto: la coinè veneta è l'esempio più illustre di coinè attiva;
• Emilia Romagna: area priva di coinè;
• Toscana: presenza di micro-coinè attive;
• Roma: il romanesco che al di fuori della città viene percepito come coinè attiva;
• Campania: la coinè a base napoletana non solo è la più illustre nell'area meridionale ma
è anche accettata al di fuori dei confini regionali;
• Puglia: dopo Napoli, l'area intorno a Bari è il più grande e dinamico centro del
Mezzoggiorno;
• Calabria: coesistenza di micor-coinè passive (soprattutto tra la borghesia dialettofona) e
di micor-coinè attive intorno a Reggio Calabria;
• Sicilia: nell'isola non c'è un'unica coinè regionale nonostante Palermo e Catania
esercitino una forte influenza sul repertorio lessicale dell'isola;
• Sardegna: presenza di piccole coinè attive attorno alle città più importanti.