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Il Mulino - Rivisteweb

Riccardo Viviani
La Post-2015 Agenda: il ruolo degli indicatori nel
contesto della globalizzazione
(doi: 10.1437/80152)

Politica del diritto (ISSN 0032-3063)


Fascicolo 1, marzo 2015

Ente di afferenza:
Universitgli studi dell’Insubria (uninsubria)

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LA POST-2015 AGENDA: IL RUOLO
DEGLI INDICATORI NEL CONTESTO
DELLA GLOBALIZZAZIONE

di Riccardo Viviani

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli Obiettivi del Millennio. - 2.1. L’Agenda


Post 2015. - 3. Indicatori e globalizzazione. - 3.1. Governance e indica-
tori.  -  3.2. Esperti non neutrali. - 3.3. Formalizzazione. - 4. Globalizzazione e
riforme giuridiche.  -  4.1. Indicatori come fattori di mutamento giuridico. - 4.2. La
complessità del diritto. - 5. Conclusioni.

1. Introduzione

«We are about to undertake an endeavour that will define the


development trajectory of future generations. Our common goal
must be an outcome of which we can be proud, that leaves a
lasting legacy, and establishes norms and frameworks that improve
human well-being and dignity. By committing to an ambitious
unified and universal post-2015 development agenda, we can
initiate a new dawn for development»1.
Il 25 settembre 2013, introducendo lo Special Event towards
achieving the Millennium Development Goals tenutosi presso il
Quartier Generale delle Nazioni Unite a New York, il Presi-
dente dell’Assemblea Generale, John W. Ashe, ha invitato tutti
gli Stati Membri ad intensificare la propria attività finalizzata al
raggiungimento degli Obiettivi del Millennio e ad impegnarsi per
definire le caratteristiche di un’agenda di cooperazione interna-
zionale successiva al 20152.

1
 J.W. Ashe, Remarks by he Ambassador John Ashe, President of the 68th Session
of the United Nations General Assembly, 25 settembre 2013, p. 5, disponibile all’indi-
rizzo: http://www.un.org/millenniumgoals/pdf/Opening%20of%20PGA%20Special%20
Event%20on%20MDGs_final.pdf.
2
  Ibidem, pp. 5-6.

POLITICA DEL DIRITTO / a. XLVI, n. 1, marzo 2015 95


Nel corso dell’incontro i leader mondiali hanno riconosciuto
il raggiungimento di notevoli risultati nella cooperazione allo svi-
luppo ma hanno allo stesso tempo concordato sulla necessità di
aumentare gli sforzi per contrastare l’estrema povertà, la fame e
le malattie, esprimendo la propria preoccupazione per le dispa-
rità e i divari che si riflettono nell’effettivo conseguimento dei
Millennium Development Goals3 in un presente che comporta il
delinearsi di sfide enormi e complesse4.
Con riferimento alla progettazione della nuova agenda, è stato
stabilito di organizzare un summit nel settembre del 2015 al fine
di adottare una nuova serie di obiettivi che si ispirino al concetto
di sviluppo sostenibile e si prefiggano dunque l’eliminazione della
povertà, il conseguimento di una vera e propria trasformazione
economica, l’avanzamento della giustizia sociale e la protezione
dell’ambiente5.
A questo proposito il Segretario Generale Ban Ki Moon ha
affermato che la nuova cornice di obiettivi deve essere ambiziosa,
deve presentare un disegno semplice, ma soprattutto deve essere
supportata da una rinnovata collaborazione internazionale per lo
sviluppo. Non solo, i nuovi obiettivi, pur riflettendo una natura
universale, devono anche sapere rispondere alle complessità con-
crete e ai bisogni dei singoli paesi.
Il Segretario Generale immagina un’agenda fondata sulla
protezione dei diritti, che ponga una particolare enfasi sulla si-
tuazione di donne, giovani e soggetti marginalizzati. Un’agenda
che salvaguardi le risorse naturali del pianeta, valorizzando il
consumo e la produzione sostenibile e affrontando efficacemente
il problema del cambiamento climatico6.
Infatti, soltanto attraverso una visione a lungo termine di
questo tipo sarà possibile individuare degli obiettivi che catturino
l’immaginazione e mobilitino il mondo così come sono riusciti a
fare i Millennium Development Goals7.

 Di seguito per brevità anche abbreviato con l’acronimo inglese mdgs.
3

 http://www.un.org/millenniumgoals/pdf/Press_release_Special_Event_FINAL.pdf.
4

 Vedi Assemblea generale Nazioni Unite, Documento Finale dell’Evento Speciale,


5

25 settembre 2013, disponibile all’indirizzo: http://www.un.org/millenniumgoals/pdf/


Outcome%20documentMDG.pdf.
6
 B.K. Moon, 25 settembre 2013, disponibile all’indirizzo: http://www.un.org/apps/
news/infocus/sgspeeches/statments_full.asp?statID=1992#.Um1JrflSiSo.
7
  Ibidem.

96
Nel corso dell’ultimo decennio gli Obiettivi del Millennio sono
diventati il progetto più rilevante nell’ambito della cooperazione
internazionale allo sviluppo8 ed è opinione diffusa che essi rap-
presentino un consenso globale senza precedenti sulle misure da
adottarsi per ridurre la povertà nel mondo9. Indubbiamente essi
hanno in qualche modo aumentato la consapevolezza pubblica e
la visibilità su questioni inerenti al tema dello sviluppo, andando
addirittura a cambiare il modo in cui le politiche internazionali
di cooperazione vengono decise ed attuate10.
L’esperienza dei Millennium Development Goals risulta inoltre
emblematica di come strumenti statistici e quantitativi vengano
oggi adoperati come strumenti di policy per mobilitare consape-
volezza, supporto e azione, facendoli confluire su determinate
problematiche sociali considerate come prioritarie11.
È sempre più frequente l’utilizzo di obiettivi, standards ed
indicatori come strumenti di cooperazione per lo sviluppo12, e i
mdgs rappresentano uno dei più significativi esempi dell’ormai
diffusa tendenza ad utilizzare indicatori e rankings come strumenti
di governance sia nazionale che globale.
Lo scopo di questo articolo consiste nel compiere una par-
ticolare analisi dei mdgs e dell’Agenda Post 2015. Un’analisi
che non si concentri sulla sterile elencazione di argomenti pro
e contro il possibile raggiungimento di risultati concreti di svi-
luppo da parte di questi progetti, ma che stimoli piuttosto una
più generale riflessione su questioni che si posizionano a monte
rispetto alla discussione riguardante l’efficacia degli Obiettivi del
Millennio e la creazione della nuova agenda: il fine che questo
elaborato si prefigge è infatti quello di indagare sui meccanismi

8
 P. Alston, Ships Passing in the Night: the Current State of the Human Rights and
Development Debate seen through the Lens of the Millennium Development Goals, in
Human Rights Quarterly, 27, 3, Agosto 2005, pp. 755-756.
9
 J. Waage et al., The Millennium Development Goals: a Cross-Sectoral Analysis
and Principles for Goal Setting after 2015, in The Lancet, 376, 9745, versione online,
13 Settembre 2010, p. 1.
10
  M. Darrow, The Millennium Development Goals: Milestones or Millstones? Human
Rights Priorities for the Post-2015 Development Agenda, in Yale Human Rights and
Development Law Journal, XV, marzo 2012, p. 56.
11
 S. Fukuda-Parr, Global Development Goal Setting as a Policy Tool for Global
Governance, in International Policy Centre for Inclusive Growth, Working Paper n.
108, aprile 2013, p. 20.
12
 R. Manning, Using Indicators to Encourage Development. Lessons from the
Millennium Development Goals, in Danish Institute for International Studies Report
2009, 2009, p. 5.

97
di governance innescati dall’utilizzo degli indicatori nel contesto
della globalizzazione e di comprendere criticamente gli effetti che
essi producono nell’ambito del diritto.
Alla base di tale studio vi è infatti la convinzione che non
sia possibile compiere una avveduta valutazione degli effetti dei
mdgs e della validità delle nuove proposte di Agenda Post 2015
e che sia, anzi, del tutto inutile compiere un esercizio di quel
tipo se non si intuisce quali siano le dinamiche che costituiscono
il motivo del diffondersi degli indicatori nel panorama globale e
quale sia il valore intrinsecamente politico di tali strumenti statistici.
Alla luce delle novità delineate dalla bozza di Agenda Post
2015 discussa recentemente a New York e degli effetti prodotti
nel corso degli anni dai Millennium Development Goals, il presente
articolo analizzerà dunque le conseguenze di carattere giuridico
prodotte dall’utilizzo degli indicatori nel moderno contesto della
globalizzazione.
In particolare, questo contributo si concentrerà sulle dina-
miche intrinseche agli odierni processi di trapianto normativo
fondate sull’utilizzo di strumenti di soft law come indicatori e
standards  per la promozione di pacchetti standardizzati di riforme.
Tali meccanismi, caratterizzati da una concezione formalistica e
superficiale del fenomeno giuridico, saranno oggetto di analisi
circa la loro utilità e legittimità: da un lato infatti gli approcci
one size fits all non riescono a tenere conto della complessità e
della dinamicità delle interazioni che si sviluppano tra i diversi
formanti dell’ordinamento, dall’altro pongono significativi problemi
di legittimazione democratica.
La prima parte dell’elaborato sarà dedicata alla descrizione cri-
tica dei Millennium Development Goals e della Post-2015 Agenda:
da un lato verranno analizzati gli aspetti principali del progetto
nato in seguito all’adozione della Millennium Declaration da parte
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dall’altro verranno
esaminate le novità e le modifiche proposte da diversi attori
per la definizione della Post-2015 Agenda e presentate nel corso
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’autunno del 2013.
La seconda parte dell’articolo riguarderà gli indicatori e
l’odierna tendenza al loro massiccio utilizzo da parte delle orga-
nizzazioni internazionali e si concentrerà sulle caratteristiche di
questi strumenti di governance, nonché sul ruolo giocato dagli
esperti nell’ambito della globalizzazione.

98
La terza ed ultima parte sarà invece dedicata agli effetti giu-
ridici prodotti dagli strumenti di comparazione quantitativa come
mdgs e Agenda Post 2015, ed in particolare alle problematiche
legate all’adozione di riforme eterodirette stimolate da obiettivi
ed indicatori che si presentano oggi come potenti promotori di
mutamento giuridico.

2. Gli Obiettivi del Millennio

L’8 settembre 2000 i rappresentanti di 189 paesi del mondo


si riunirono a New York presso il quartier generale delle Nazioni
Unite per definire i temi che avrebbero costituito le sfide centrali
da affrontare nel nuovo millennio e per delineare il ruolo che
l’onu avrebbe giocato nel nuovo contesto geopolitico.
Il risultato raggiunto al termine dei lavori dell’Assemblea
Generale fu l’unanime approvazione della risoluzione A/res/55/2.
Si trattava della cosiddetta Millennium Declaration, un docu-
mento con il quale gli Stati Membri assunsero un fondamentale
impegno: «we will spare no effort to free our fellow men,
women and children from the abject and dehumanizing condi-
tions of extreme poverty, to which more than a billion of them
are currently subjected. We are committed to making the right
to development a reality for everyone and to freeing the entire
human race from want»13.
Il contenuto della dichiarazione esprimeva la volontà e la
determinazione dei Paesi Membri nell’impegnarsi al fine di rag-
giungere diversi obiettivi: sviluppo, sradicamento della povertà,
pace e sicurezza, tutela dell’ambiente, democrazia e diritti umani14.
Il cosiddetto Millennium Summit ebbe una forte risonanza e
determinò ufficialmente il ritorno delle Nazioni Unite al centro della
scena della definizione di obiettivi globali di sviluppo e soprattutto
della gestione delle dinamiche di cooperazione internazionale.
La scelta di rendere la riduzione globale della povertà un
elemento centrale nell’agenda delle Nazioni Unite fu fortemente

13
 Assemblea generale Nazioni Unite, A/res/55/2, 18 settembre 2000, par. 11,
disponibile all’indirizzo http://www.un.org/millennium/declaration/ares552e.pdf.
14
 S. Fukuda-Parr, Should Global Goal Setting Continue, and How, in the Post-
2015 Era, Working Paper 117, United Nations Department of Economics and Social
Affairs, luglio 2012, p. 1.

99
voluta dall’allora Segretario Generale Kofi Annan, il quale aveva
divulgato nella primavera precedente allo svolgimento dell’Assem-
blea un documento incentrato proprio sulla necessità di eliminare
la povertà nel mondo15: We the Peoples: the Role of the United
Nations in the 21st Century16. Lo scopo era quello di fornire alla
successiva Adunanza un documento essenziale sulla base del quale
iniziare a lavorare, proponendo una serie di obiettivi di sviluppo
che avrebbero fornito fondamentali spunti per le discussioni che
sarebbero sfociati nell’approvazione della Millennium Declaration.
La A/res/55/2 non comprendeva però al suo interno la lista
degli odierni Millennium Development Goals, i quali sarebbero
stati il frutto di un’elaborazione solo successiva.
Presto fu infatti chiaro come tale risoluzione necessitasse di
un programma di implementazione che mostrasse come il mondo
avrebbe potuto raggiungere concretamente gli scopi individuati nel
corso del Millennium Summit, primo su tutti la riduzione della
povertà. Si trattava dunque di dover individuare una lista degli
obiettivi, creare targets ed indicatori, organizzare un piano appli-
cativo funzionante su scala sia globale che nazionale e sviluppare
un meccanismo che assicurasse il mantenimento ed eventualmente
il rafforzamento dell’attenzione a livello di pubblico e media sul
tema della povertà17.
Fu così che, circa un anno dopo l’approvazione della Millennium
Declaration, l’allora Segretario Generale Kofi Annan pubblicò un
report che avrebbe costituito la Road Map18 di implementazione
delle promesse formulate nel Millennium Summit. Al termine di
quell’ampio testo si trovava un allegato di sole quattro pagine,
il quale conteneva una lista di otto obiettivi, diciotto targets e
quaranta indicatori: i Millennium Development Goals (mdgs)19.
Questi gli Obiettivi: sradicare la povertà estrema e la fame,
rendere universale l’istruzione primaria, promuovere la parità dei

15
 D. Hulme, The Millennium Development Goals (mdgs): A Short History of the
World’s Biggest Promise, Working Paper n. 100, Brooks World Poverty Institute, 2009,
pp. 25-26.
16
 Vedi K. Annan, We the Peoples: the Role of the United Nations in the 21st
Century, New York, United Nations Department of Public Information, 2000.
17
 D. Hulme, The mdgs: A Short History of the World’s Biggest Promise, cit., p. 36.
18
  Vedi Assemblea generale Nazioni Unite, A/56/326, 6 settembre 2001, disponibile
all’indirizzo: http://www.un.org/documents/ga/docs/56/a56326.pdf.
19
 A questo proposito va ricordato che nel 2005 sono stati aggiunti tre nuovi
target e dodici nuovi indicatori.

100
sessi e l’empowerment delle donne, ridurre la mortalità infantile,
migliorare la salute materna, combattere l’hiv/aids, la malaria e
le altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare
una partnership globale per lo sviluppo20.
Il testo dell’allegato chiariva come, al fine di aiutare a foca-
lizzare l’attenzione su determinate priorità, i mdgs fossero limitati
nel numero, stabili nel tempo e accessibili ad un ampio pubblico:
l’idea fondamentale era che la definizione di obiettivi numerici
chiari e duraturi potesse aiutare ad innescare azioni concrete e
a promuovere nuove alleanze per lo sviluppo21.
Inoltre esso ricordava che la determinazione degli Obiettivi
non era stata compiuta unilateralmente dal Segretariato dell’onu e
che, al fine di redarre questa Road Map, si erano tenute diverse
consultazioni tra i membri del Segretariato e i rappresentanti del
Fondo Monetario Internazionale, dell’oecd, della Banca Mondiale,
ed anche con organizzazioni locali e diversi esperti, con l’intento
di armonizzare il meccanismo di rapporto sugli obiettivi di svi-
luppo presenti nella Millennium Declaration22.
Come sommariamente esposto attraverso la ricostruzione delle
principali tappe che hanno portato all’individuazione degli otto
Obiettivi, si può affermare che non si è trattato di un percorso
lineare ed asettico, ma di un processo evolutivo caratterizzato
da intense trattative e negoziazioni politiche tra svariati attori,
le quali hanno prodotto un risultato di compromesso tra con-
trastanti interessi23.
Tra le diverse idee e i vari approcci allo sviluppo che hanno
trovato una sintesi nella creazione dei mdgs, due sono i modelli
che possono essere considerati di maggiore influenza rispetto sia
alla caratterizzazione che alle modalità di implementazione di
questi obiettivi di sviluppo: il concetto di Human Development
e l’approccio operazionale detto Results-Based Management24.

20
  Assemblea generale Nazioni Unite, A/56/326, Allegato, pp. 55 ss.; versione italiana
disponibile sul sito del Ministero degli Affari Esteri Italiano all’indirizzo: http://www.
cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Millennium/Millennium.html.
21
  Assemblea generale Nazioni Unite, A/56/326, Allegato, cit., p. 55.
22
  Ibidem.
23
 D. Hulme, The mdgs: A Short History of the World’s Biggest Promise, cit., pp.
43-45.
24
 D. Hulme, The Making of the Millennium Development Goals: Human Develop-
ment Meets Results-Based Management in an Imperfect World, Working Paper n. 16,
Brooks World Poverty Institute, 2007, p. 17.

101
L’idea di «sviluppo umano» è legata ad un’ampia nozione
di sviluppo, considerato come concetto multidimensionale e non
limitato alla mera crescita economica pro capite ma riguardante il
miglioramento delle condizioni della vita umana nella sua interezza25.
Questo concetto si è diffuso a partire dalla seconda metà
degli anni novanta in opposizione all’ortodossia neoliberista, nota
con il nome di Washington Consensus26, la quale promuoveva
l’adozione di politiche di privatizzazione, liberalizzazione e dere-
golamentazione da parte dei paesi in via di sviluppo nell’ambito
di programmi di aggiustamento strutturale imposti dalle istituzioni
finanziarie internazionali27.
Come noto, le forti critiche formulate nei confronti del Wa-
shington Consensus28, nonché l’opera di divulgazione del premio
Nobel per l’economia Amartya Sen, promotore di un approccio
allo sviluppo incentrato sul concetto di libertà umana29, porta-
rono, con il passare del tempo, a concentrare l’attenzione degli
attori della cooperazione internazionale anche su aspetti diversi
rispetto alla mera crescita economica, determinando un vero e
proprio cambiamento di paradigma testimoniato dal testo della
Comprehensive Frame of Development30 elaborata dall’allora Pre-
sidente della Banca Mondiale James Wolfensohn.
È in questo contesto che i mdgs vennero concepiti ed è
questo contesto che ne ha profondamente plasmato la forma e
la sostanza, rendendoli espressione di una nozione di sviluppo
complessa e multidimensionale.
Il secondo fattore che ha fortemente influenzato i mdgs  –  e lo
ha fatto in maniera evidente e diretta  –  è il cosiddetto approccio

25
 A. Sen intervista in N. Shaikh, The Present as History: Critical Perspectives on
Global Power, New York, Columbia University Press, 2007, p. 4.
26
 Vedi J. Williamson, What should the World Bank think about the Washington
Consensus, in The World Bank Research Observer, 15, 2, 2000.
27
 J. Williamson, From Reform Agenda to Damaged Brand Name. A Short History
of the Washington Consensus and Suggestions for What to do Next, in Finance and
Development, Settembre 2003, p. 11.
28
 Si veda tra gli altri J.E. Stiglitz, La Globalizzazione e i suoi Oppositori, trad. it.
di Daria Cavallini, Torino, Einaudi, 2003.
29
 A. Sen, What is the Role of Legal and Judicial Reform in the Development
Process?, discorso pronunciato alla World Bank Legal Conference, Washington dc,
5 giugno 2000, p. 25, disponibile all’indirizzo: http://siteresources.worldbank.org/
INTLAWJUSTINST/Resources/legalandjudicial.pdf.
30
 Vedi J.D. Wolfensohn, A Proposal for a Comprehensive Development Fra-
mework, 1999, disponibile all’indirizzo: http://web.worldbank.org/archive/website01013/
WEB/0__CO-87.HTM.

102
di «Gestione per Obiettivi», o Results-Based Management. Si tratta
di una strategia di gestione diffusasi nel corso degli anni ’90 con
riferimento all’ambito delle riforme nel settore pubblico e volta a
raggiungere importanti cambiamenti nel modo in cui le agenzie
governative operano: lo scopo principale è il miglioramento delle
performances fatte registrare31.
Tale strategia prevede la formulazione di obiettivi chiari e
misurabili, l’individuazione di targets che vengano utilizzati per
giudicare la performance, l’identificazione di indicatori specifici
per ogni obiettivo, il monitoraggio regolare dei risultati, la loro
analisi e valutazione32.
Appare dunque evidente l’impronta che tale approccio ha im-
presso sui mdgs, definendo sia la struttura che la configurazione
di targets ed indicatori, modellando la specificità degli obiettivi
e determinando l’esclusione di obiettivi difficilmente misurabili
(come ad esempio la tutela dei diritti umani)33.
L’influenza di questi modelli ha reso il progetto dei Mil-
lennium Development Goals peculiare sotto diversi aspetti: esso
presenta infatti una natura non ristretta ma onnicomprensiva ed
è caratterizzato da un costante sforzo consistente nello specificare,
finanziare, implementare, monitorare e promuovere il raggiungi-
mento di ogni singolo obiettivo34.
Si tratta di differenze rispetto ai passati modelli di cooperazione
allo sviluppo che aiutano a spiegare per quale motivo proprio i
mdgs abbiano avuto un così manifesto successo nel catturare sia
l’energia sia addirittura l’immaginazione delle agenzie di sviluppo
internazionali e dei governi di molti paesi in via di sviluppo.
In primo luogo gli Obiettivi sono limitati e selettivi e riescono
di conseguenza a rendere prioritaria la risoluzione di determinate
problematiche rispetto ad altre, permettendo così la concentra-
zione di risorse per scopi ben definiti. In secondo luogo essi
vengono percepiti come elementi capaci di procurare trasparenza
all’operato di governi ed organizzazioni internazionali. In terzo
luogo i mdgs sono limitati nel tempo ed apportano quindi una

31
 A. Binnendijk, Results-Based Management in the Development Co-operation Agen-
cies: a Review of Experience, 2001, p. 6, disponibile all’indirizzo: http://www.oecd.org/
development/evaluation/1886527.pdf.
32
  Ibidem, p. 10.
33
 D. Hulme, The Making of the Millennium Development Goals, cit., p. 18.
34
  Ibidem, p. 2.

103
maggiore concretezza e soprattutto una qualche urgenza, elementi
che sarebbero mancati se tali obiettivi fossero stati semplicemente
soggetti ad una realizzazione progressiva. In quarto luogo essi sono
stati promossi da un ampio e significativo apparato istituzionale,
che ha elaborato progetti come il Millennium Project35, la Mil-
lennium Campaign36, report nazionali sui mdgs37 e innumerevoli
altre iniziative esplicitamente mirate a diffondere gli obiettivi
nell’immaginario collettivo globale38.

2.1. L’Agenda Post 2015

Il termine temporale posto per il raggiungimento degli Obiettivi


del Millennio è l’anno 2015.
Con l’avvicinarsi della data stabilita l’Assemblea Plenaria dell’onu
ha richiesto al Segretario Generale di riferire annualmente sui progressi
nell’implementazione dei mdgs e di adottare le raccomandazioni
necessarie per determinare le caratteristiche di una nuova agenda
delle Nazioni Unite per lo sviluppo39. Proprio al fine di soddisfare
la necessità di definire un nuovo paradigma di sviluppo, nel luglio
del 2012, Ban Ki Moon ha riunito un gruppo di esperti di alto
profilo, l’High Level Panel of Eminent Persons on the Post-2015
Development Agenda, comprendente leader sia della società civile,
che del settore privato, che di diversi governi nazionali40.
Il Segretario Generale ha attribuito a questi esperti il
compito di redigere raccomandazioni relative alla definizione
e alla formazione di un’agenda di sviluppo successiva al 2015,
individuando altresì i principi chiave necessari a rimodellare la
partnership globale per lo sviluppo41.
Dopo incontri e consultazioni tenutisi in diverse regioni del
mondo ed il coinvolgimento di organizzazioni della società civile,

35
  http://www.unmillenniumproject.org/.
36
  http://www.millenniumcampaign.org/.
37
  http://www.undp.org/content/undp/en/home/librarypage/mdg/mdg-reports/.
38
 P. Alston, Ships Passing in the Night, cit., p. 756.
39
  Assemblea generale Nazioni Unite, A/res/65/1, 17 settembre 2010, p. 29.
40
  http://www.post2015hlp.org/about/.
41
 Vedi Segretariato generale Nazioni Unite, Terms of Reference for the High-Level
Panel of Eminent Persons on the Post-2015 Development Agenda, 2012, disponibile
all’indirizzo: http://www.un.org/sg/management/pdf/ToRpost2015.pdf.

104
imprese multinazionali, accademici e parlamentari42, il 30 maggio
2013 l’High Level Panel ha presentato il proprio rapporto conclu-
sivo, intitolato A New Global Partnership: Eradicate Poverty and
Transform Economies through Sustainable Development43.
Si tratta di un documento che prende le mosse dal ricono-
scimento dei successi ottenuti dagli Obiettivi del Millennio e che
attesta come i mdgs abbiano determinato una delle più rapide
riduzioni della povertà nella storia dell’umanità44.
Gli esperti dell’High Level Panel non negano però che an-
che i mdgs presentino diversi problemi rimasti irrisolti, come il
non essere abbastanza concentrati sulla sorte degli esclusi e dei
più poveri, il non tenere in considerazione gli effetti di good
governance e rule of law nelle dinamiche di sviluppo, o, ancora,
il non preoccuparsi della necessità fondamentale di creare posti
di lavoro45.
Inoltre nel rapporto si nota come, in un mondo globaliz-
zato in continua e rapida evoluzione, il futuro prossimo porterà
certamente significativi cambiamenti nonché il sorgere di nuove
necessità ed opportunità46.
Alla luce di queste riflessioni e delle consultazioni compiute
nei nove mesi di ricerca, l’High Level Panel afferma che l’A-
genda Post 2015 deve essere un’agenda universale caratterizzata
da cinque grandi cambiamenti di paradigma, i quali sono stati
riassunti in cinque imperativi: Leave no One Behind, ossia la ne-
cessità di assicurarsi che a nessuno vengano negati diritti umani
e opportunità economiche di base47; Put Sustainable Development
at the Core, e quindi la richiesta di un rapido cambiamento di
mentalità verso modelli di produzione e consumo sostenibili e
verso il rallentamento di cambiamento climatico e degrado am-
bientale48; Transform Economies for Jobs and Inclusive Growth, che
sottolinea l’esigenza di addivenire ad una trasformazione econo-

42
 S.B. Yudhoyono et al., A New Global Partnership: Eradicate Poverty and Tran-
sform Economies through Sustainable Development, United Nations Publications, New
York, 2013, p. 2, disponibile all’indirizzo: http://www.un.org/sg/management/pdf/
HLP_P2015_Report.pdf.
43
 Vedi ibidem.
44
  Ibidem, p. 1.
45
  Ibidem, Executive Summary.
46
  Ibidem.
47
  Ibidem, p. 7.
48
  Ibidem, p. 8.

105
mica profonda che possa porre fine alla povertà estrema grazie
all’utilizzo di innovazione, tecnologia e libertà imprenditoriale49;
Build Peace and Effective, Open and Accountable Institutions for
All, perché la libertà dalla violenza, dai conflitti e dall’oppressione
sono essenziali per l’esistenza umana e di conseguenza non si
può che riconoscere la pace e la good governance come elementi
fondamentali di sviluppo50; Forge a New Global Partnership, che
è l’affermazione di un nuovo spirito di solidarietà, cooperazione e
responsabilità reciproca, fondato su principi di umanità e mutuo
rispetto, che deve sostenere l’Agenda Post 201551.
Così come i Millennium Development Goals, anche la nuova
agenda viene pensata come composta da un insieme di obiet-
tivi, targets ed indicatori: si ipotizza dunque l’individuazione di
un limitato numero di obiettivi altamente prioritari aventi un
chiaro orizzonte temporale, i quali siano supportati da indicatori
e misurazioni52.
In particolare questi obiettivi dovranno essere specifici, misu-
rabili, raggiungibili, rilevanti e limitati nel tempo53.
Non solo, gli esperti delle Nazioni Unite ritengono sia ne-
cessario intraprendere una vera e propria data revolution, una
rivoluzione nel trattamento dei dati attraverso l’utilizzo di nuove
tecnologie, del crowdsourcing e della sempre maggiore interconnes-
sione tra le persone. Secondo quanto esposto nel rapporto, una
simile rivoluzione tecnologica avrebbe la possibilità di migliorare
sensibilmente indicatori e statistiche in modo tale da permettere
la traduzione dei numeri raccolti in decisioni politiche concrete,
da promuovere il libero accesso ai dati assicurando un migliore
monitoraggio ed una migliore valutazione dei programmi di svi-
luppo e da garantire una maggiore trasparenza nell’operato di
governi e organizzazioni internazionali54.
Bisogna ricordare come A New Global Partnership non sia
stato l’unico contributo volto a delineare l’aspetto delle politiche
di cooperazione internazionale successive al 2015: esso costituisce,
al contrario, uno dei diversi elaborati che fanno parte del pro-

49
  Ibidem.
50
  Ibidem, p. 9.
51
  Ibidem, pp. 9-10.
52
  Ibidem, p. 13.
53
  Ibidem.
54
  Ibidem, pp. 23-24.

106
cesso di definizione della nuova agenda di sviluppo, concertato
dal Segretario Generale.
Tra i diversi rapporti e studi che hanno fornito spunti e rac-
comandazioni rilevanti ai fini di questo processo vanno ricordati:
An Action Agenda for Sustainable Development55 del Sustainable
Development Solutions Network, il quale mostra il punto di vista
di un network di esperti scientifici delle Nazioni Unite; Corporate
Sustainability and the United Nations Post-2015 Development Agenda56
dello un Global Compact che ha analizzato queste problematiche
dal punto di vista del settore privato; Realizing the Future We
Want for All57 dello un System Task Team, il quale comprende
le riflessioni di esperti provenienti da più di cinquanta agenzie
ed altre entità del sistema delle Nazioni Unite.
È anche sulla base di questi rapporti che, nel luglio del 2013,
nel corso della propria relazione annuale all’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite sui progressi dell’implementazione dei Millen-
nium Development Goals, il Segretario Generale Ban Ki Moon ha
delineato quali debbano essere le principali caratteristiche della
nuova visione che sarà alla base dell’Agenda Post 2015.
Affermando la necessità che tale agenda sia il risultato della
compenetrazione delle dimensioni sociale, economica ed ambientale
dello sviluppo sostenibile, Ban Ki Moon ha preliminarmente indi-
viduato quattro problematiche sulle quali è necessario che gli Stati
Membri trovino un accordo per potere addivenire alla definizione
di un programma comune: una lungimirante visione del futuro
fondata sul rispetto dei diritti umani nonché su valori e principi
universalmente accettati, un insieme di obiettivi e targets concisi
e volti a realizzare le priorità della nuova agenda, una partnership
globale per lo sviluppo che mobiliti strumenti di implementazione,
una cornice di monitoraggio partecipativa necessaria al fine di
tenere traccia dei progressi e solidi meccanismi di trasparenza58.
In particolare il Segretario Generale, nella propria relazione,
ha sottolineato quali siano i punti in comune che sono alla

55
 Vedi http://unsdsn.org/.
56
 Vedi http://www.unglobalcompact.org/.
57
  Vedi http://www.un.org/en/development/desa/policy/untaskteam_undf/report.shtml.
58
  B.K. Moon, A Life of Dignity for All: Accelerating Progress towards the Millennium
Development Goals and Advancing the United Nations Development Agenda beyond
2015, 26 luglio 2013, p. 12, disponibile all’indirizzo: http://www.un.org/millenniumgoals/
pdf/A%20Life%20of%20Dignity%20for%20All.pdf.

107
base di tutti i succitati rapporti e li ha riassunti in un elenco
di principi cardine che dovranno costituire il nucleo della nuova
agenda: eliminare la povertà in tutte le sue forme, contrastare
l’esclusione e la disuguaglianza, dare potere alle donne, fornire
educazione di qualità e formazione continua, migliorare la salute,
affrontare il cambiamento climatico, affrontare le sfide ambientali,
promuovere una crescita inclusiva e sostenibile e un impiego
dignitoso, porre fine a fame e malnutrizione, affrontare le sfide
demografiche, accrescere il contributo positivo apportato dai
migranti, affrontare le sfide dell’urbanizzazione, costruire pace
e governance efficace fondata su rule of law e istituzioni solide,
promuovere una rinnovata partnership globale59.
Ban Ki Moon ribadisce come i mdgs abbiano dimostrato che
l’utilizzo di obiettivi concreti nelle politiche di sviluppo possa essere
un potente strumento di mobilitazione di azione comune ed auspica
che i nuovi obiettivi siano limitati nel numero, misurabili, facili da
comunicare e adattabili alle più diverse condizioni globali e locali60.
Il processo di avvicinamento al 2015 promosso dal Segretario
Generale e le linee guida tracciate con riferimento alle caratte-
ristiche della Post-2015 Agenda cercano di rispondere ad alcune
delle critiche più diffuse di cui erano stati oggetto i mdgs, nonché
di rendere la nuova agenda efficace nell’affrontare le sfide poste
dai grandi cambiamenti che sono avvenuti nel corso degli anni e
che si produrranno nel futuro più prossimo. Tuttavia, benché gli
studi compiuti per definire le caratteristiche della nuova agenda
introducano significativi cambiamenti rispetto al contenuto originario
degli Obiettivi del Millennio, essi non si spingono a compiere una
più profonda riflessione su problematiche di carattere strutturale.
Le questioni sviscerate dagli esperti delle Nazioni Unite ri-
guardano infatti l’opportunità di includere nella nuova agenda
obiettivi che misurino determinati aspetti della vita di un paese
piuttosto che altri, ma gli stessi esperti non sembrano invece
porsi domande essenziali circa gli effetti concreti che l’utilizzo
degli indicatori possa avere sullo sviluppo globale.
Una riflessione di questo tipo pare tuttavia essere oltremodo
necessaria se si vuole comprendere a fondo quale sia l’efficacia
concreta dell’utilizzo di targets ed indicatori per lo sviluppo.

59
  Ibidem, pp. 13-15.
60
  Ibidem, p. 17.

108
Più che un esame critico da compiersi a valle del percorso
di definizione degli obiettivi, sembra pertanto necessario realiz-
zare un’analisi a monte dell’intero processo, un’analisi che non si
limiti ad adeguarsi all’aura di verità e scientificità che circonda
gli indicatori quantitativi ma che sappia descrivere come questi
strumenti di governance vengano utilizzati e quali siano le con-
seguenze della loro diffusione.

3. Indicatori e globalizzazione

I Millennium Development Goals sono indicatori molto co-


nosciuti, ma costituiscono in realtà solo la punta dell’iceberg di
una tendenza sempre più diffusa.
L’utilizzo di indicatori, statistiche e classifiche si sta infatti rapi-
damente moltiplicando sia a livello nazionale che a livello globale61:
dal Rule of Law Index introdotto nell’ambito del World Justice
Project62 al Doing Business Project promosso dalla Banca Mondiale63,
dallo Human Development Index creato dall’undp64 al Corruption
Perceptions Index creato dall’ong Transparency International65.
Oggi riferimenti ad indicatori e classifiche internazionali si
trovano in qualsiasi quotidiano o periodico. Così come, nei diversi
campionati, le squadre di calcio vengono ordinate gerarchicamente
sulla base delle loro performances, anche i paesi sono collocati
in classifiche che rispecchiano la loro abilità di fornire un alto
tenore di vita ai loro cittadini, o il grado di protezione dei diritti
civili e politici, o la presenza di un ambiente imprenditoriale più
o meno favorevole alla crescita dell’economia nazionale66.
L’aumento dell’impiego degli indicatori risulta avere due prin-
cipali effetti: la conoscenza e la governance67.

61
 H.A. Garcia, What Indexes Leave Behind: Measuring Law in Colombia», in M.
Graziadei (a cura di), Annuario di Diritto Comparato e Studi Legislativi 2012, Napoli,
esi, 2012, p. 177.
62
  http://worldjusticeproject.org/rule-of-law-index/.
63
  http://www.doingbusiness.org/.
64
  http://hdr.undp.org/en/statistics/hdi/.
65
  http://www.transparency.org/research/cpi/overview.
66
  B. Høyland, K. Moene, F. Willumsen, The Tyranny of International Index Rankings,
in Journal of Development Economics, 97, 1, 2009, p. 2.
67
 S.E. Merry, Measuring the World: Indicators, Human Rights and Global Gover-
nance, in Current Anthroplogy, 52, 2011, p. 84.

109
Da un lato, infatti, gli indicatori e le statistiche costituiscono
forme di conoscenza che fondano la propria autorevolezza sull’aura
in qualche misura magica che circonda i numeri e sull’apparenza
di certezza e oggettività che essi esprimono68: una dimensione
chiave del potere degli indicatori consiste nella loro capacità di
convertire fenomeni complessi e caratterizzati da storie e contesti
diversi in misurazioni impersonali, chiare e non ambigue69. Essi
riescono a sommergere le particolarità e le idiosincrasie locali in
categorie universali, generando una conoscenza che è standardizzata
e comparabile tra le diverse nazioni e regioni70.
Dall’altro lato, invece, le misurazioni statistiche possono essere
considerate come un’importante tecnologia di governance71: esse
sono ampiamente utilizzate nell’attività di decision-making al fine
di definire ad esempio dove debbano essere inviati determinati
aiuti internazionali, quali diritti umani debbano essere maggior-
mente protetti, oppure quali paesi siano più aperti agli investitori
stranieri. L’utilizzo di informazioni statistiche ed indicatori pro-
voca un significativo spostamento nelle dinamiche di potere del
processo decisionale72.
Il crescente sviluppo degli indicatori in ambito transnazio-
nale ha determinato un’esponenziale crescita di importanza della
figura dell’esperto nel panorama globale, in quanto la creazione
e l’utilizzo di questi strumenti di conoscenza e governance si
fonda inevitabilmente sulla competenza scientifica di esperti73.
Questi soggetti oggi prendono decisioni che, pur sembrando
apparentemente restare sullo sfondo della politica internazionale,
si rivelano in realtà fondamentali nella definizione di problemi
come la povertà globale o la fame nel mondo. Addirittura molto
più importanti rispetto alle decisioni esplicitamente politiche prese
dai parlamenti e dai governi nazionali74.

68
 S. Fukuda-Parr, Global Development Goal Setting as a Policy Tool for Global
Governance, cit., p. 5.
69
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 84.
70
  Ibidem.
71
 S. Cassese, L. Casini, La disciplina degli Indicatori Globali, in M. Graziadei (a
cura di), Annuario di Diritto Comparato e Studi Legislativi 2012, cit., p. 99.
72
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 85.
73
 K.E. Davis, B. Kingsbury, S.E. Merry, Indicators as a Technology of Global
Governance, in Law Society Review, 46, 1, 2012, p. 73.
74
  D. Kennedy, Challenging Expert Rule: the Politics of Global Governance, in
Sidney Law Review, 27, 2005, p. 5.

110
Per meglio comprendere dunque lo sviluppo di dinamiche
strettamente correlate alla creazione ed implementazione dei mdgs
e della Post-2015 Agenda sarà necessario approfondire l’analisi
dell’utilizzo degli indicatori come strumenti di governance globale
e del ruolo che gli esperti svolgono in questo contesto.

3.1.  Governance e indicatori

Un indicatore può essere definito come la rappresentazione


in termini classificatori di una performance: questa raffigurazione
viene ottenuta grazie all’utilizzo di diverse unità che usano dati
numerici per semplificare un fenomeno sociale più complesso
ricorrendo a metodologia e perizia scientifica75.
Gli indicatori risultano essere particolarmente utili al fine della
comparazione di particolari unità di analisi e della valutazione
della loro performance in relazione a uno o più standard76.
Questi strumenti presentano tipicamente cinque principali
caratteristiche: un nome che ha il potere di definire il fenomeno
misurato e di semplificarlo; una struttura ordinale che permette
la comparazione, la collocazione in una classifica e la pressione
per il miglioramento delle performance misurate dall’indicatore;
una rappresentazione numerica che semplifica fenomeni sociali
complessi rendendoli facili da capire e da usare, ma che allo
stesso tempo li isola dal contesto; una giustificazione scienti-
fica fondata su una metodologia statistica adottata da esperti;
la potenzialità di essere usati per scopi valutativi sulla base di
determinati standard77.
Il progressivo affidamento alla comparazione quantitativa e
agli indicatori è determinato da diversi fattori. Innanzitutto si può
notare come, in un ordinamento globale continuamente in divenire
e non ancora definito, si senta effettivamente la mancanza di un
principio fondante dei sistemi giuridici nazionali come la certezza
del diritto: al fine di supplire a tale assenza gli esperti cercano di
porre delle basi ferme al diritto transnazionale utilizzando l’ogget-

75
 K.E. Davis, B. Kingsbury, S.E. Merry, Indicators as a Technology of Global
Governance, cit., p. 72.
76
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 86.
77
 K.E. Davis, B. Kingsbury, S.E. Merry, Indicators as a Technology of Global
Governance, cit., pp. 73-76.

111
tività degli indicatori78. In secondo luogo nell’odierno contesto di
globalizzazione mancano evidentemente meccanismi democratici che
possano legittimare le decisioni prese da organizzazioni internazio-
nali private e pubbliche e gli indicatori, grazie all’autorevolezza
legata alla loro scientificità, vengono considerati come una fonte di
legittimazione alternativa a quella democratica79. Infine in ambito
sia nazionale che internazionale indici e statistiche si presentano
come fattori neutrali e non ideologici: essi esprimono quelli che
sono solo fatti aldilà di dispute e contestazioni politiche, e, per
questa ragione, possono essere utilmente utilizzati in attività di
cooperazione internazionale allo sviluppo80.
Il successo in termini di diffusione di questi strumenti deve
essere attribuito in sostanza al fatto che i numeri trasmettono
un’aura di verità oggettiva e delineano la possibilità di compa-
razioni facilitate ed efficaci81.
Appare tuttavia opportuno sottolineare come tutti gli indicatori
presentino in realtà precise origini dottrinali e facciano riferimento
a determinate teorie di cambiamento sociale e attivismo che non
possono essere considerate come politicamente neutre82.
L’alone di oggettività che circonda gli indicatori rende tali
strumenti particolarmente efficaci nel provocare l’adozione di
riforme83: ponendo alcuni fatti o questioni sotto i riflettori, gli
indicatori riescono a spingere verso cambiamenti che l’affidamento
ai tradizionali processi di imposizione top-down di produzione
normativa non è in grado di produrre84.
Nel far questo però essi operano una standardizzazione delle
problematiche cui cercano di porre soluzione, diffondendo una
ben determinata visione della natura dei problemi globali esistenti:
l’identificazione degli obiettivi e la scelta di indicatori attraverso
i quali questi saranno perseguiti e valutati determinano impor-
tanti conseguenze di carattere decisionale poiché altre concezioni

78
 S. Cassese, intervento alla Conferenza «Misurare il Diritto», tenutasi a Firenze
il 26 ottobre 2012.
79
 S. Cassese, L. Casini, La disciplina degli Indicatori Globali, cit., pp. 100-101.
80
  K. Rittich, Governing by Measuring: the Millennium Development Goals in Global
Governance, in H. Ruiz, R. Wolfrum, J. Gogolin (a cura di), Select Proceedings of the
European Society of International Law, Oxford, Hart Publishing, 2010, vol. II, p. 466.
81
 S. Cassese, L. Casini, La disciplina degli Indicatori Globali, cit., p. 100.
82
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 83.
83
  Ibidem, p. 85.
84
 K. Rittich, Governing by Measuring, cit., p. 466.

112
delle stesse problematiche, così come anche questioni diverse ma
comunque legate ad esse, rimangono nell’ombra85.
Un esempio di tale considerazione può essere fornito dal Doing
Business Project, un programma sviluppato dalla Banca Mondiale, il
quale fornisce una misurazione quantitativa delle normative nazio-
nali di ambito economico e della loro applicazione in 189 paesi86.
Gli indicatori che formano questi rapporti della Banca Mon-
diale si fondano sull’esplicito assunto che la vivacità del settore
economico privato costituisca il miglior mezzo per raggiungere lo
sviluppo87, una prospettiva non estranea alla bozza di Agenda Post
2015 su cui stanno lavorando gli esperti delle Nazioni Unite: nel
rapporto dell’High Level Panel si afferma infatti che un aspetto
necessario per la creazione di posti di lavoro e il raggiungimento
di uno sviluppo sostenibile è la creazione di un ambiente stabile
e favorevole al prosperare del settore privato88.
Tuttavia, sostenere che lo sviluppo dipenda dalla crescita
del settore privato significa rigettare altre autorevoli tesi inerenti
all’innesco della crescita economica, come quella secondo cui
la chiave dello sviluppo si trova nell’allocazione di capitali alle
industrie attraverso banche specializzate89. Appare dunque chiaro
come l’enfasi posta dagli esperti della Banca Mondiale e delle
Nazioni Unite sull’attività economica privata costituisca in realtà
una scelta soggettiva e non politicamente neutra: sebbene sia
supportata da influenti basi teoriche, essa si fonda comunque su
una concezione dello sviluppo controversa e non inoppugnabile90.
Altra questione di particolare rilevanza in materia di affida-
bilità delle misurazioni quantitative consiste nel fatto che spesso
gli indicatori si trasformano in poco tempo da mezzo a fine
perdendo così di significato: quando raggiungere un buon posi-
zionamento nella classifica diventa un vero e proprio scopo per
i decision-makers nazionali, gli attori soggetti a tali misurazioni
tendono a comportarsi in maniera tale da manipolare l’indice e

85
  Ibidem, p. 467.
86
  http://www.doingbusiness.org/about-us.
87
 World Bank, Doing Business 2011 – Making a Difference for Enterpreneurs,
Washington DC, 2010.
88
 S.B. Yudhoyono et al., A New Global Partnership, cit., Annex II, p. 46.
89
 J.K.M. Ohnesorge, Legal Origins and the Tasks of Corporate Law in Economic
Development: a Preliminary Exploration, in Brigham Young University Law Review, 6,
2009, p. 1625.
90
  Ibidem.

113
ottenere così la registrazione di buoni risultati statistici pur in
assenza di eccellenti performances complessive91.
Esistono poi diversi altri motivi per cui gli indicatori non possono
essere utilizzati in modo acritico: innanzitutto ciò che è misurato dagli
indici può essere un sostituto imperfetto e contestabile degli obiettivi
che ci si propone di valutare; in secondo luogo gli indicatori possono
essere ingannevoli soprattutto se usati per la comparazione di paesi
che presentano storie e contesti molti diversi; infine le classifiche
utilizzate come strumenti di soft law spingono le comunità locali a
utilizzare risorse sulla base di criteri (im)posti da soggetti esterni92.
A quest’ultimo proposito si può notare come gli indici siano quasi
sempre creati nel mondo occidentale dove vengono stabiliti il fine,
il nome e i criteri della misurazione, mentre le raccolte dei dati
avvengono normalmente nei paesi in via di sviluppo93.
L’utilizzazione di valutazioni numeriche quantitative dunque,
pur presentando significative problematiche, crea un’impressione
di scientificità che riesce ad oggettivizzare e a legittimare dina-
miche politiche e di potere94. L’espansione degli indicatori nella
governance globale determina una situazione in cui discussioni
apertamente politiche sono sostituite da dibattiti tecnici su come
debba essere formato un indicatore, cosa debba essere misurato
e cosa rappresenti ogni misurazione. Il risultato di tali dispute
viene presentato come una forma di conoscenza mentre dovrebbe
essere più opportunamente considerato come una scelta politica95.
Gli indicatori costituiscono una transizione dall’ambiguità alla
certezza, dalla teoria ai fatti, da variazioni complesse e contesto
a numeri attendibili e comparabili. In altre parole il processo
politico consistente nel giudicare e nel valutare viene trasformato
in una serie di questioni tecniche di misurazione e conteggio dal
lavoro diligente degli esperti96.

91
  M. Graziadei, intervento alla Conferenza «Misurare il Diritto», tenutasi a Firenze
il 26 ottobre 2012.
92
 K. Rittich, Governing by Measuring, cit., pp. 475-476.
93
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 89.
94
 U. Mattei, intervento alla Conferenza «Misurare il Diritto», tenutasi a Firenze
il 26 ottobre 2012.
95
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 88.
96
  Ibidem.

114
3.2. Esperti non neutrali

È stato notato come, nonostante in generale l’utilizzo delle


statistiche nel processo decisionale possa determinare un aumento
della trasparenza democratica, questa tecnologia tenda a conso-
lidare il potere nelle mani di coloro che hanno una conoscenza
tecnica ben specifica97. Nella maggior parte delle situazioni la
svolta a favore degli indicatori non elimina il ruolo del potere
delle élites nel processo decisionale, ma lo rimpiazza con la com-
petenza tecnica e statistica degli esperti: decisioni che erano solite
essere prese da leader politici o dall’apparato giudiziario sono
oggi adottate da esperti, da tecnici che compiono misurazioni e
sviluppano processi di classificazione e calcolo98.
Il ruolo degli esperti nella governance internazionale appare
essere sempre più significativo ed è proprio a questo proposito
che David Kennedy afferma che il mondo è sempre più gover-
nato da esperti99.
Questi professionisti comunicano in tutto il mondo utilizzando
un linguaggio comune100 e condividono una storia intellettuale
comune, con idee che in alcuni momenti storici vanno di moda
ed in altri passano di moda: la scienza economica può sembrare
in un certo periodo più importante di quella politica e dopo
qualche tempo venire superata da una diversa impostazione,
così come, in un determinato momento, alcune idee economiche
possono sembrare più significative di altre101.
A questo proposito è stato sottolineato come lo staff delle
istituzioni internazionali sia generalmente assunto tra gli studenti
delle istituzioni accademiche occidentali più prestigiose e sia
accomunato da determinati modi di pensare e stili di vita102: i
dipendenti della Banca Mondiale si contraddistinguono ad esem-
pio per la condivisione di una propria cultura le cui regole non

97
 S. Cassese, L. Casini, La disciplina degli Indicatori Globali, cit., p. 99.
98
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 85.
99
  D. Kennedy, Challenging Expert Rule, cit., p. 6.
100
  Ibidem.
101
  Ibidem, p. 18.
102
 B.S. Chimni, International Institutions Today: An Imperial Global State in the
Making, in European Journal of International Law, 15, 1, 2004, p. 5.

115
scritte stabiliscono i limiti di ciò che può essere ragionevolmente
creduto e discusso all’interno dell’istituzione103.
Gli esperti influenzano il mondo che noi conosciamo. Lo
influenzano anche semplicemente quando immaginano l’econo-
mia come un’economia, o il diritto come un diritto e quando
ci convincono a immaginare le cose nella stessa maniera in cui
lo fanno loro: la perizia tecnica può modellare il modo in cui
i problemi sono definiti e restringere la varietà di soluzioni da
prendere in considerazione104.
Gli esperti stessi tendono a considerare queste operazioni e più
in generale il loro lavoro professionale, come l’esercizio di buon
giudizio accademico piuttosto che l’espressione di scelte politiche:
sono molti i professionisti e i professori universitari che cercano di
proteggere la propria reputazione di oggettività, scientificità e isola-
mento rispetto alla distorsione ideologica105. Tuttavia, nascondendosi
dietro alla neutralità della scienza, essi riescono forse a dissimulare
il fondamentale contributo da loro apportato alla governance globale,
ma non possono certo cancellare la realtà dei fatti106.
La difficoltà nel rilevare questo ruolo attivo di governance svolto
oggi dagli esperti in campo internazionale risiede nel sentimento
diffuso che il loro lavoro sia semplicemente apolitico o non con-
testabile poiché si tratta di tecnici, manager, pragmatici problem-
solvers, accademici. Le norme e le istituzioni di cui si occupano
si trovano sullo sfondo, dietro le quinte della politica globale, e il
loro lavoro professionale comprende il consigliare, l’implementare,
l’interpretare piuttosto che il decidere. Le loro scelte appaiono
come necessariamente determinate dal sapere scientifico e la loro
competenza raramente si esprime in forme che richiamino i termini
di un dibattito politico. Il loro vocabolario non è quello del potere
ma quello della tecnica e del know-how107.
Tuttavia la natura intrinsecamente politica delle scelte tecniche
e professionali compiute dagli esperti appare evidente quando tali
decisioni determinano una redistribuzione delle risorse tra diversi

  Ibidem.
103

  D. Kennedy, Challenging Expert Rule, cit., p. 17.


104
105
 D. Kennedy, The Methods and Politics of Comparative Law, in P. Legrand, R.
Munday (a cura di), Comparative Legal Studies: Traditions and Transitions, Cambridge,
Cambridge University Press, 2003, pp. 346-348.
106
  Ibidem, p. 354.
107
  Ibidem, p. 408.

116
gruppi o diversi individui (uomini e donne, ricchi e poveri, città
e campagne, agricoltura e industria) all’interno di una società,
oppure quando esse incidono sulla distribuzione del potere tra
posizioni ideologiche che sono associate con punti di vista politici
tradizionali di sinistra, centro o destra108.

3.3. Formalizzazione

Al fine di comprendere più approfonditamente il ruolo degli


esperti nell’ambito della politica internazionale appare opportuno
soffermarsi sulla descrizione di un caso emblematico che possa
chiarire come si delinei l’attività di questi professionisti nell’attuale
contesto di governance.
Nell’ambito del pacchetto di riforme istituzionali proposte
dalle organizzazioni finanziarie internazionali a partire dall’ini-
zio degli anni ’90 al fine del raggiungimento dello sviluppo da
parte dei paesi in via di sviluppo o in transizione, particolare
attenzione è stata dedicata alle politiche di formalizzazione dei
property rights109. Ancora oggi la convinzione che il processo di
formalizzazione sia un elemento strettamente legato allo sviluppo
può essere riscontrata proprio nel rapporto redatto dall’High
Level Panel: tra i nuovi targets proposti dal documento A New
Global Partnership si annovera infatti la valutazione della sicurezza
nei property rights come elemento indicativo del raggiungimento
dell’Obiettivo numero uno, ossia la fine della povertà110.
Più specificamente alcuni esperti sostengono che l’attuazione
di programmi di formalizzazione determini il miglioramento della
razionalità e dell’efficacia della burocrazia, l’assicurazione di
prevedibilità e affidabilità, la trasparenza, la riduzione dei costi
transattivi111.

108
 D. Kennedy, The Rule of Law, Political Choices and Development Common
Sense, in D. Trubek, A. Santos (a cura di), The New Law and Development: a Critical
Appraisal, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 95.
109
 H. De Soto, The Mistery of Capital: Why Capitalism Triumphs in the West and
Fails Everywhere Else, New York, Basic Books, 2000, pp. 66-67.
110
 Si veda S.B. Yudhoyono et al., A New Global Partnership, cit., p. 30.
111
 D. Kennedy, Law and Development Economics: Towards a New Alliance, in
D. Kennedy, J. Stiglitz (a cura di), Law and Economics with Chinese Characteristics:
Institutions for Promoting Development in the 21st Century, Oxford, Oxford University
Press, 2013, p. 54.

117
Tuttavia, nonostante tali affermazioni, l’associazione della
formalizzazione allo sviluppo economico, appare essere discu-
tibile: innanzitutto l’urgenza di formalizzare sostenuta da molti
economisti minimizza il ruolo della discrezionalità nei sistemi
giuridici delle economie sviluppate112; in secondo luogo l’en-
fasi posta sulla formalizzazione misconosce il ruolo svolto dal
settore informale nella vita economica di un paese113; infine
nell’ortodossia neoliberista manca sia la coscienza della pos-
sibilità di scelte di politica economica diverse, sia un’analisi
delle conseguenze che diversi tipi di formalizzazione avrebbero
sullo sviluppo114.
Nel saggio Il Mistero del Capitale, l’economista peruviano
Hernando De Soto sostiene che gli occupatori abusivi dovreb-
bero ricevere il riconoscimento di un titolo formale in relazione
alla terra su cui si sono stabiliti: ciò porterebbe infatti alla
creazione di capitale utile permettendo loro di allontanare gli
intrusi e di avere la sicurezza di poter migliorare la proprietà
o di venderla a soggetti che la utilizzerebbero in modo più
produttivo115. Un’analisi critica della situazione rivela però che
allo stesso tempo tale soluzione determinerebbe da un lato la
distruzione del capitale degli attuali proprietari del terreno e la
riduzione delle possibilità economiche per intrusi e futuri squat-
ters, dall’altro una ridistribuzione del potere tra gli occupatori
abusivi (es. un passaggio del potere di gestione della proprietà
dalle donne agli uomini della famiglia)116. In sostanza anche
questa scelta non si presenta come neutrale e apolitica ma pro-
voca la definizione di nuovi winners e nuovi losers all’interno
del sistema economico117.
Si può inoltre ricordare come gli assunti presenti negli studi
di De Soto secondo cui gli squatters utilizzerebbero il terreno
più produttivamente rispetto agli intrusi, o secondo i quali la
formalizzazione sarebbe più efficiente di una soluzione consue-

112
 D. Kennedy, Laws and Developments, in A. Perry Kessaris, J. Hatchard (a cura
di), The New Law and Development: Facing Complexity in 21st Century, London,
Cavendish Publishing, 2003, pp. 21-22.
113
 D. Kennedy, Law and Development Economics, cit., p. 56.
114
  Ibidem.
115
 H. De Soto, The Mistery of Capital, cit., pp. 50-51.
116
 D. Kennedy, Law and Development Economics, cit., p. 57.
117
 D. Kennedy, Law and Developments, cit., p. 22.

118
tudinaria caratterizzata da un utilizzo misto del terreno tra pro-
prietari, occupatori abusivi e intrusi, non sono stati confermati
dall’esperienza empirica118.
In definitiva l’esempio appena riportato dimostra che, no-
nostante l’operato degli esperti all’interno delle organizzazioni
internazionali venga presentato come un’attività scientifica, me-
ramente tecnica e quindi oggettiva, il lavoro di questi specia-
listi risulta essere in realtà caratterizzato da elementi di natura
eminentemente politica che devono essere valutati criticamente.
In questo panorama rientrano evidentemente anche i Millen-
nium Development Goals o la Post-2015 Agenda che, nonostante
l’autorevolezza fornita dalla reputazione delle Nazioni Unite,
non possono essere affatto considerate come fattori di sviluppo
neutri o apolitici.
Tale riflessione fornisce lo spunto per osservare quali siano
gli effetti prodotti delle dinamiche sopra analizzate nel mondo
del diritto.

4. Globalizzazione e riforme giuridiche

L’utilizzo di indicatori, dati statistici e misurazioni quantitative,


volto alla promozione di cambiamento e sviluppo, assume una
rilevanza significativa in una prospettiva di carattere giuridico,
nella quale il cambiamento interno all’ordinamento si configura
come riforma giuridica.
Una riflessione riguardo agli effetti che obiettivi ed indicatori
producono sul mondo del diritto risulta particolarmente necessaria
in ragione della significativa considerazione offerta al fenomeno
giuridico nell’ambito della definizione dell’Agenda Post 2015: gli
esperti delle Nazioni Unite appaiono infatti convinti della necessità
di introdurre diversi indicatori che misurino elementi prettamente
giuridici come, da un lato, la formalizzazione dei property rights
di cui si è detto e, dall’altro, la presenza di rule of law all’interno
di un paese119.

118
 D. Kennedy, Law and Developments, cit., p. 23.
119
 Vedi S.B. Yudhoyono et al., A New Global Partnership, cit.; B.K. Moon, A
Life of Dignity for All, cit.; un System Task Team on the Post-2015 un Develop-
ment Agenda, Realizing the Future We Want – Report to the Secretary General, New

119
Prescindendo ora da una valutazione circa la desiderabilità
dell’introduzione di un obiettivo volto al rafforzamento della rule
of law o di un target che misuri il grado di formalizzazione dei
property rights, pare opportuno concentrarsi piuttosto sullo svol-
gimento di un’analisi che guardi a questi strumenti quantitativi
come a strumenti di riforma globali.
Un’analisi degli odierni meccanismi di cambiamento giu-
ridico, di cui gli obiettivi di sviluppo sono parte integrante,
permette infatti di addivenire ad una conoscenza critica degli
effetti sia della nuova che della vecchia agenda delle Nazioni
Unite per lo sviluppo: da un lato l’individuazione delle cause
e lo studio delle dinamiche che hanno portato al diffondersi di
questi strumenti di new governance lascia emergere interrogativi
essenziali riguardo alla legittimità democratica dell’adozione di
riforme eterodirette in nome della costruzione di un supposto
«miglior diritto»; dall’altro la cognizione della complessità del
fenomeno giuridico mette necessariamente in discussione l’il-
lusione di sviluppo creata da mutamenti giuridici meramente
positivi e stereotipati.
In sostanza la comprensione dei meccanismi di sviluppo in-
nescati dagli Obiettivi del Millennio non può prescindere dalla
comprensione delle attuali modalità di mutamento giuridico.

4.1. Indicatori come fattori di mutamento giuridico

Mentre gli studiosi di diritto comparato individuavano tradi-


zionalmente l’imposizione120 e il prestigio121 come i due principali
fattori di cambiamento delle regole di un ordinamento, recentemente
si è dovuto annoverare accanto ad essi un nuovo e fondamentale
fattore di mutamento giuridico, ossia l’esportazione da parte delle
organizzazioni internazionali e transnazionali di modelli normativi

York, 2012, disponibile all’indirizzo http://www.un.org/en/development/desa/policy/


untaskteam_undf/report.shtml.
120
 U. Mattei, T. Ruskola, A. Gidi, Schlesinger’s Comparative Law: Cases, Texts,
Materials», in Foundation Press, VII ed., New York, 2009, p. 235.
121
  R. Sacco, Introduzione al Diritto Comparato, in Id. (a cura di), Trattato di Diritto
Comparato, Torino, utet, 2008, p. 148.

120
–  prevalentemente occidentali  –  verso paesi in transizione o in via
di sviluppo122.
È così che si delinea una profonda trasformazione riguardo
agli aspetti procedurali del mutamento giuridico e del trapianto
normativo.
Fino a non molto tempo fa un progetto di riforma era ca-
ratterizzato dal riconoscimento, da parte dei soggetti preposti
alla produzione del diritto, di un modello normativo considerato
ideale per ragioni di carattere politico-istituzionale123.
Oggi, invece, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, il
processo di identificazione di best practices e standards viene
compiuto da attori diversi, in gran parte tecnici ed esperti, e
il controllo sulle dinamiche di riforma giuridica non risulta più
essere nella piena disponibilità degli attori politici tradizionali,
ossia parlamenti e governi124.
La legittimazione di questi nuovi processi di riforma risiede in
un approccio di carattere funzionale fondato sul riconoscimento
di un nesso di causalità esistente tra le best practices individuate
dalle principali istituzioni internazionali e le performances eco-
nomiche registrate dagli indicatori nei singoli ordinamenti125: i
motivi sottesi al prodursi di un mutamento giuridico rispecchiano
sempre più insistentemente ragioni di efficienza economica ed
esigenze del commercio transnazionale, prospettate da soggetti
perlopiù esterni all’ordinamento nazionale e soprattutto estranei
a qualsiasi meccanismo di responsabilità politica.
L’alterità dei pacchetti di riforme promossi nell’ambito dei
programmi di sviluppo non viene tuttavia ritenuta problematica,
in quanto il diritto è considerato come un fenomeno neutro,
indifferente rispetto alle caratteristiche di una determinata so-
cietà: è proprio grazie a questa supposta autonomia del dato
normativo in relazione al dato sociale e culturale che gli esperti

122
 M. Graziadei, Comparative Law as the Study of Transplants and Receptions, in
M. Reimann, R. Zimmermann (a cura di), The Oxford Handbook of Comparative Law,
Oxford, Oxford University Press, 2008, p. 471.
123
 G. Ajani, Trapianto di norme informato e globalizzazione: alcune considerazioni,
in G. Ajani et. al. (a cura di), Studi in Onore di Aldo Frignani, Napoli, Jovene
Editore, 2011, p. 4.
124
 G. Ajani, Legal Change and Institutional Reforms, in Ret tog Tolerance: Festkrift
til Helge Johan Thue, Oslo, Glydendal Norsk Forlag, 2007, p. 469.
125
 G. Ajani, Trapianto di norme informato e globalizzazione: alcune considerazioni,
cit., p. 5.

121
globali ritengono di poter confezionare un insieme standardizzato
di regole tecnicamente perfette, volte alla creazione del «miglior»
diritto126. Un diritto strutturalmente perfetto capace di portare
ogni comunità nazionale al raggiungimento dello sviluppo sia
economico che sociale.
Le ragioni che hanno portato al delinearsi di questa evolu-
zione nelle dinamiche di mutamento normativo sono diverse e
complesse. Esse vanno dalla divulgazione di teorie economiche
inerenti al rapporto tra funzionamento del mercato e diritto come
la New Institutional Economics127, al diffondersi negli ambienti
scientifici di convinzioni di carattere universalistico secondo cui
la presenza di determinate norme promuoverebbe invariabilmente
lo sviluppo128, all’accelerazione del margine temporale ritenuto
sufficiente per valutare gli effetti di una riforma129.
A quest’ultimo proposito va osservato che la globalizzazione
si presenta come un processo rapido con tempistiche che sono
segnate da valutazioni a breve termine. Si tratta di un contesto
che produce effetti significativi sul mutamento normativo: da un
lato il successo delle riforme tende ad essere valutato in tempi
brevi senza tenere conto della lenta assimilazione culturale del dato
giuridico130, favorendo una sopravvalutazione della fonte scritta for-
malizzata131; dall’altro si è addivenuti ad un sempre maggior ricorso
ad indicatori e strumenti statistici, in quanto tali forme di analisi
quantitativa rendono possibili una valutazione a breve termine e
facilmente intellegibile degli effetti delle riforme giuridiche132.
Gli indicatori globali si presentano dunque come strumenti
di conoscenza e di valutazione del dato normativo: essi hanno
di fatto sostituito la valutazione qualitativa degli esiti dei pro-

126
 Association H. Capitant, Les droits de tradition civiliste en question: à propos
des rapports Doing Business de la Banque mondiale, Paris, 2006, p. 9, disponibile
all’indirizzo http://www.henricapitant.org/sites/default/files/Les_droits_de_tradition_ci-
viliste_en_question.pdf.
127
  Si veda tra gli altri D.C. North, Istituzioni, Cambiamento Istituzionale, Evoluzione
dell’Economia, trad. it. di W. Santagata, Bologna, Il Mulino, 1994.
128
  Vedi ad esempio R. La Porta et al., The Economic Consequences of Legal Origins,
in Journal of Economic Literature, 46, 2008.
129
 G. Ajani, Trapianto di norme informato e globalizzazione: alcune considerazioni,
cit., p. 4.
130
  Ibidem, p. 12.
131
  Ibidem, p. 13.
132
  Ibidem, p. 12.

122
getti di riforma133, rivestendo i risultati quantitativi ottenuti con
un’aura di veridicità ed oggettività che allontana le discussioni
e le critiche inerenti ai presupposti teorici delle riforme e alle
loro conseguenze134.
Gli indicatori non costituiscono solamente forme di cono-
scenza, ma sono essi stessi configurabili anche come strumenti di
governance. Infatti, se è vero che essi vengono utilizzati al fine di
conoscere, di valutare in termini quantitativi le performances dei
singoli ordinamenti nazionali, è altrettanto vero che essi hanno
l’effetto di spingere tali ordinamenti a voler migliorare le pro-
prie prestazioni e ad adottare quelle normative che permettano
di raggiungere buoni risultati ai fini della misurazione compiute
dagli indicatori stessi.
In quest’ultimo senso indicatori e statistiche possono essere
considerati come fondamentali elementi di new governance.
La new governance è una strategia che si fonda infatti sull’utilizzo
di strumenti come il benchmarking o la pressione dei pari, i quali
permettono la promozione di determinate politiche economiche
o sociali aldilà dell’utilizzazione di meccanismi coercitivi135. Tale
modello si contraddistingue dunque per l’abbandono dei processi
di produzione normativa tradizionali fondati su strutture di im-
posizione top-down e per l’idea secondo cui l’identificazione di
scopi e obiettivi quantificabili, il controllo regolare di progressi o
peggioramenti nel raggiungimento di tali obiettivi e l’indicazione
delle best practices adottate dai migliori performatori, costituiscano
il modo più promettente per stimolare il cambiamento136.
Oggi gli indicatori globali appaiono creare un meccanismo
reputazionale di crescente importanza, soprattutto nell’area della
regolamentazione dell’attività economica, spingendo i paesi che
cercano di attrarre gli investimenti internazionali nelle proprie
economie a modificare la propria legislazione in conformità con
gli standard prestabiliti dagli esperti137.

133
 A. Santos, The World Bank’s uses of the Rule of Law Promise in Economic
Development, in D. Trubek, A. Santos (a cura di), The New Law and Development:
A Critical Appraisal, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 292.
134
 S.E. Merry, Measuring the World, cit., p. 88.
135
 K. Rittich, Governing by Measuring, cit., p. 474.
136
  Ibidem.
137
 J. Braithwaite, P. Drahos, Global Business Regulation, Cambridge, Cambridge
University Press, 2000, p. 519.

123
Attraverso questi strumenti di soft law, dunque le istituzioni
internazionali forniscono non solo l’input per l’adozione di riforme
giuridiche, ma individuano anche quali debbano essere le linee
guida del cambiamento, indicando come modello le normative e
le best practices dei paesi che meglio figurano negli indicatori138.
Un’applicazione concreta di quanto descritto può essere
fornita dalla prospettazione di un’Agenda Post 2015 che misuri
quantitativamente il grado di consolidamento della rule of law
nei diversi ordinamenti nel mondo.
Tale misurazione comporterebbe una valutazione dei singoli
sistemi giuridici in termini di maggiore o minore avvicinamento
rispetto ad un modello ideale, tendenzialmente simile al modello
occidentale, preferibilmente anglosassone. Venendo così attribuito
un giudizio di valore ad alcune caratteristiche dell’ordinamento,
si metterebbe in moto il meccanismo reputazionale di cui si è
appena parlato, il quale porterebbe i paesi in via di sviluppo
a cercare di adeguarsi al modello proposto, al fine di ottenere
un miglior risultato nelle misurazioni registrate dagli indicatori.
Tutto ciò avverrebbe aldilà di una consapevole discussione interna
relativa all’opportunità politica della riforma ed aldilà di una
approfondita riflessione circa gli effetti che mutamenti di questo
tipo potrebbero avere nel concreto contesto economico-sociale
del paese ai fini del raggiungimento dello sviluppo.
Queste dinamiche si presentano dunque come intrinseche
alla individuazione di obiettivi di sviluppo e vanno certamente
considerate ai fini della definizione della nuova agenda, in quanto
determinano il delinearsi di problemi sostanziali che non debbono
essere sottovalutati.

4.2. La complessità del diritto

In particolare i dubbi e gli interrogativi che sorgono in rela-


zione all’utilizzo di indicatori e statistiche riguardano la correttezza
scientifica dell’approccio utilizzato, nonché la reale efficacia di
progetti di riforma che appaiono sottovalutare pericolosamente
la complessità del mutamento giuridico.

138
 G. Ajani, Trapianto di norme informato e globalizzazione, cit., p. 6.

124
Il diritto è un fenomeno caratterizzato da un’estrema complessità.
Ciò deriva dal fatto che molte componenti di un ordinamento
interagiscono tra loro dinamicamente e caoticamente andando ad
influenzare outcomes di tipo sociale ed economico139. Peraltro tale
complessità viene oggi addirittura accresciuta dai processi della
globalizzazione che introducono una nuova dimensione transnazio-
nale e globale al discorso giuridico e ne aumentano la dinamicità
in termini sia spaziali che temporali140.
Per questi motivi il rischio principale che si corre nel volere
valutare quantitativamente il diritto in base alle performances fatte
registrare rispetto al raggiungimento di determinati obiettivi, è
quello di cadere in uno sterile riduzionismo e di non riuscire a
prendere in considerazione gli aspetti dinamici ed eterogenei del
sistema giuridico.
Nel momento in cui si arriva a semplificare eccessivamente la
realtà giuridica, riconducendola a quanto determinati indici rie-
scono a misurare, si corre il pericolo di non essere più in grado
di comprendere l’olistica complessità del sistema e di raggiungere
quindi una conoscenza solamente superficiale delle interazioni che
si sviluppano all’interno dell’ordinamento141.
D’altronde è il contesto stesso di globalizzazione che favorisce
l’adozione di un approccio riduzionista: come si è già accennato,
la rapidità dei processi di globalizzazione porta ad enfatizzare
l’impatto che le riforme hanno sul breve periodo142, determinando
una ricaduta dell’analisi giuridica nel positivismo. Il fatto che si
ritenga necessario valutare gli effetti di una riforma in poco tempo
impedisce infatti di considerare accuratamente quali siano tutti
gli effetti, i mutamenti e i rimodellamenti che essa ha provocato
in relazione ai diversi formanti dell’ordinamento: è comprensibile
dunque che si opti per una valutazione quantitativa e non qua-
litativa, fondata sul mero dato positivistico.
Si tratta di una valutazione dell’efficacia del mutamento giu-
ridico che si delinea però come riduttiva e non soddisfacente.

139
 K.E. Davis, M.B. Kruse, Taking the Measure of Law: the Case of the Doing
Business Project, in Law and Social Inquiry, 32, 4, 2007, p. 1104.
140
 M.M. Siems, Numerical Comparative Law: Do We Need Statistical Evidence in
Law in Order to Reduce Complexity?, in Cardozo Journal of International and Com-
parative Law, 13, 2005, pp. 529-530.
141
 M.M. Siems, Numerical Comparative Law, cit., p. 529.
142
 G. Ajani, Trapianto di norme informato e globalizzazione, cit., p. 12.

125
Lo studio del diritto comparato dimostra infatti che il mu-
tamento del mero formante legislativo non risulta essere suffi-
ciente a determinare significative innovazioni all’interno di un
ordinamento, poiché i cambiamenti prodotti dalla riforma sul
dato legislativo possono essere normalizzati dall’azione di altri
formanti. Inoltre, a causa dell’interdipendenza dei fattori facenti
parte di un sistema giuridico, l’adozione di una riforma legislativa
determina il prodursi di conseguenze anche sugli altri formanti
e questo potrebbe provocare conseguenze impreviste e diverse
rispetto a quanto si intendeva raggiungere. Infine è possibile che
siano dei formanti differenti da quello legislativo a svolgere le
funzioni su cui le riforme intendono incidere, di conseguenza, il
mutamento di disposizioni codicistiche o di regolamenti potrebbe
non produrre alcun effetto143.
Sulla scorta di queste osservazioni non si può fare a meno di
notare come la fiducia postulata dagli esperti delle organizzazioni
internazionali nella facilità del processo di trapianto normativo
sia in realtà del tutto mal riposta: il processo di trasferimento
di una norma da un ordinamento ad un altro non è affatto
semplice, bensì intrinsecamente problematico144. Infatti non è
sufficiente trapiantare formalmente un sistema di corti di stampo
occidentale per consolidare effettivamente la rule of law all’in-
terno di un ordinamento e non è sufficiente introdurre riforme
di formalizzazione dei property rights per ottenere una migliore
sicurezza dei diritti afferenti ai proprietari dei beni.
Un trapianto determina essenziali mutamenti sia nel sistema
giuridico ricevente, sia nella stessa norma trapiantata: la regola
che viene trasferita nel nuovo sistema giuridico appare essere
molto diversa sia dal punto di vista sostanziale che dal punto
di vista formale rispetto alla norma che appartiene al sistema
esportatore145.
Peraltro, mentre la new governance tende a non prestare
particolare attenzione alle modalità con cui le riforme vengono
adottate negli ordinamenti nazionali, è stato osservato che il
modo in cui il trapianto viene ricevuto dalla società locale è un

143
 R. Sacco, Introduzione al Diritto Comparato, cit., p. 45.
144
 G. Frankenberg, Constitutional Transfer: the ikea Theory Revisited, in Interna-
tional Journal of Constitutional Law, 8, 3, 2010, p. 568.
145
 M. Graziadei, Comparative Law as the Study of Transplants and Receptions,
cit., p. 471.

126
elemento fondamentale per valutare la sua riuscita146: i trapianti
normativi funzionano solo se sono ricevuti dalla comunità nazionale
attraverso un processo di trial and errors rispondente a richieste
locali di regolamentazione e se sono adattati al contesto nazionale
con il coinvolgimento di tutti gli attori dell’ordinamento. In caso
contrario prestiti normativi imposti dall’esterno sono destinati a
creare istituzioni meno efficaci e molto più deboli147.
I programmi di sviluppo che adottano misurazioni quantitative
presentano spesso un approccio «a taglia unica», fondato sulla
convinzione dell’universale desiderabilità dell’adozione di determi-
nate norme ai fini dello sviluppo di una nazione. Tale convinzione
è riscontrabile anche nei Millennium Development Goals e nella
Post-2015 Agenda, poiché questi progetti sono costruiti proprio
sull’idea secondo cui il raggiungimento di determinate performan-
ces socio-economiche, derivante dall’introduzione di nuove regole
all’interno dell’ordinamento, coincida con lo sviluppo stesso.
Si tratta di un atteggiamento universalistico, connesso alla
concezione semplicistica del mutamento giuridico sopra descritta,
che non tiene conto del fatto che le società tra loro variano e
che, variando, modificano l’impatto che una stessa riforma può
produrre nei diversi ordinamenti148.
Le società possono essere tra loro diverse, riflettendo concezioni
di sviluppo differenti: è possibile infatti che una popolazione dis-
senta rispetto all’idea che lo sviluppo sia calcolato con riferimento
al pil pro capite o sulla base dello Human Development Index o
in termini di raggiungimento dei Millennium Development Goals
e prenda in considerazione una particolare nozione di sviluppo
che comprenda un determinato bilanciamento tra uguaglianza e
crescita economica, o la riduzione della disoccupazione e così
via. Ovviamente in questo caso, anche se fosse possibile che una
particolare regola producesse identici effetti in società diverse, il
suo impatto sullo sviluppo sarebbe valutato diversamente da parte
delle differenti popolazioni149.

146
 D. Berkowitz, K. Pistor, J.F. Richard, The Transplant Effect, in The American
Journal of Comparative Law, 51, 1, 2003, p. 167.
147
  Ibidem, p. 189.
148
 K.E. Davis, Legal universalism: Persistent Objections, in New York University
Research Paper, 2008, p. 2, disponibile all’indirizzo: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.
cfm?abstract_id=1618899.
149
  Ibidem, p. 4.

127
Le società possono poi variare in maniera tale da alterare la
connessione causale tra diritto e risultati socio-economici150: da un
lato il diritto può non essere necessario per ottenere un determi-
nato risultato perché la presenza di altri fattori appare essere già
di per sé sufficiente al raggiungimento di quell’obiettivo151; d’altro
lato il diritto può non essere sufficiente per generare l’outcome
desiderato in quanto possono esistere nella società degli elementi
che sono complementari al diritto, elementi in assenza dei quali
il dato legislativo non ha alcun impatto152.
È utile infine sottolineare come l’approccio universalista e
riduzionista adottato dagli esperti delle istituzioni internazionali
non presenti solo aspetti particolarmente discutibili dal punto
di vista teorico, ma si sia anche dimostrato spesso fallimentare
all’esame della storia: molti paesi sottopostisi alle ricette one size
fits all nell’ex urss, nell’Africa Subsahariana, e in America Latina
non hanno infatti raggiunto significativi livelli di sviluppo econo-
mico ma hanno visto una grossa fetta della propria popolazione
precipitare nella povertà153.
Contemporaneamente gli esempi forniti da paesi come la Cina
o la Corea del Sud dimostrano che, non solo le prescrizioni delle
istituzioni finanziarie internazionali non rappresentano l’unica via
percorribile verso lo sviluppo, ma anche che esse non costitui-
scono nemmeno la via più efficace. Allontanandosi dalle ricette
standardizzate promosse da fmi e Banca Mondiale questi paesi
sono riusciti a trovare una strada alternativa verso lo sviluppo e
hanno conosciuto momenti di grande crescita154.

5. Conclusioni

Nel corso del presente elaborato sono stati analizzati diversi


aspetti riguardanti l’utilizzo di obiettivi di sviluppo e indicatori nel
contesto del mondo globalizzato, con una particolare attenzione

150
  Ibidem, p. 5.
151
  Ibidem, p. 6.
152
  Ibidem.
153
 J.E. Stiglitz, Is there a Post-Washington Consensus Consensus?, in N. Serra, J.E.
Stiglitz (a cura di), The Washington Consensus Reconsidered: Towards a New Global
Governance, Oxford, Oxford University Press, 2008, p. 43.
154
 J.E. Stiglitz, La Globalizzazione e i suoi Oppositori, cit., p. 183.

128
al progetto dei Millennium Development Goals ed all’Agenda
Post 2015.
La descrizione delle principali caratteristiche di obiettivi
quantitativi, indici e standards globali e le riflessioni svolte circa
le problematiche relative alla loro implementazione hanno ri-
velato peculiarità e problematiche fondamentali degli Obiettivi
del Millennio. L’analisi critica del ruolo degli esperti nell’attuale
governance internazionale ha messo a nudo dinamiche di potere
che sono alla base anche della realizzazione dei mdgs e dell’ado-
zione della nuova agenda di sviluppo. La disamina degli effetti di
carattere giuridico prodotti dall’utilizzo di tali strumenti di new
governance ha dimostrato quanto sia considerevole l’impatto che
obiettivi di sviluppo ed indicatori producono sul mondo reale e
quali essenziali interrogativi facciano emergere, come esemplificato
dall’approfondimento sulla formalizzazione dei property rights.
L’avvicinarsi dell’anno 2015 porta con sé il delinearsi di una
sfida delicata ed estremamente importante che consiste nella crea­
zione di una nuova agenda, di un nuovo modello di sviluppo
sostenibile, in un mondo che è ormai profondamente diverso
da quello che ha visto nascere e poi evolversi il progetto degli
Obiettivi del Millennio.
Questo delicato periodo di transizione tra la fine del progetto
degli Obiettivi del Millennio e la genesi di una nuova agenda
di sviluppo delle Nazioni Unite costituisce una fondamentale
opportunità di riflessione per tutti gli attori che su diversi livelli
operano nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo.
Un’opportunità che non può e non deve essere sprecata.
È per questi motivi che, oltre ad una sempre necessaria onesta
valutazione dei risultati raggiunti in questi anni dai Millennium
Development Goals, la definizione della Post-2015 Agenda, pro-
prio per la sostanziale importanza che essa riveste ai fini del
raggiungimento dello sviluppo nel mondo, necessita il prodursi
di un’approfondita ed articolata riflessione sui temi che sono
stati esaminati nel corso del presente elaborato: il rapporto tra
obiettivi quantitativi e sviluppo, la non neutralità degli esperti
che modellano indicatori e standard globali, il doppio aspetto
di strumento di conoscenza e di governance che caratterizza ogni
indicatore, il riduzionismo necessario e allo stesso tempo proble-
matico insito nella valutazione quantitativa di fenomeni complessi
come il fenomeno giuridico.

129
L’individuazione di obiettivi di sviluppo di così ampia visibilità
come i Millennium Development Goals ha certamente costituto
un’importante risorsa nell’ambito della cooperazione internazio-
nale allo sviluppo, ma la definizione della nuova agenda non
può basarsi su una superficiale accettazione dei risultati prodotti
da quegli obiettivi e deve piuttosto essere fondata su un’analisi
critica delle dinamiche insite nell’utilizzo di questi strumenti di
governance: prescindere da una riflessione di questo tipo signifi-
cherebbe chiudere gli occhi su alcune caratteristiche estremamente
problematiche insite nella natura stessa della comparazione di
carattere quantitativo.
È stato in precedenza sottolineato come gli indicatori non rie-
scano a dare conto di tutti gli aspetti del reale e misurino quindi
sostituti imperfetti degli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere,
come essi comparino quantitativamente elementi che presentano
storie e contesti molto diversi tra loro, come portino gli attori
a comportarsi in maniera tale da manipolare le misurazioni per
ottenere il riconoscimento di buoni risultati, come oggettivino e
legittimino scelte tecniche discutibili.
È solo dunque a seguito di una costruttiva discussione su questi
temi che sarà possibile addivenire alla definizione di un’Agenda
Post 2015 efficace ed incisiva, che prenda in considerazione la
complessità dei processi di cambiamento, non si presenti come
priorità normativa predefinita ma come strumento di monito-
raggio, e sappia valorizzare le potenzialità concrete delle singole
comunità nazionali per realizzare uno sviluppo che coincida con
la concezione autoctona del termine.

130

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