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Torino, 1999
Realizzazione curata da I.P.L.A. S.p.A.
Foto in copertina Foto-1 Torrente Ripa in Alta valle di Susa presso Cesana Torrente in piena (foto Ferraris)
INDICE
1. INTRODUZIONE. .................................................................................................................................................. 4
2. FUNZIONE MECCANICA. ................................................................................................................................... 6
3. FUNZIONE NATURALISTICO-AMBIENTALE. ................................................................................................ 9
3.1 La vegetazione ripariale come sorgente di nutrimento e sua importanza nel controllo del bilancio energetico del
corso d’acqua........................................................................................................................................................... 9
3.2 Influenza del bosco ripario sulla temperatura dell’acqua. ............................................................................... 10
3.3 Ruolo del bosco ripario nell’intercettazione e filtrazione degli inquinanti...................................................... 11
3.4 Condizionamento del bosco ripario sulla biodiversità dei popolamenti. ......................................................... 13
4. CRITERI GENERALI DI INTERVENTO. ................................................................................................................. 14
4. CRITERI GENERALI DI INTERVENTO. ................................................................................................................. 15
5. OPERAZIONI INOPPORTUNE. ......................................................................................................................... 24
6. CHIAVE DI IDENTIFICAZIONE DEI POPOLAMENTI RIPARI..................................................................... 26
7. SCHEDE DEI POPOLAMENTI RIPARI............................................................................................................. 28
7.1 Formazione lineare dell’Appennino calcareo. ................................................................................................. 28
7.2 Pioppeto di greto dell’Appennino.................................................................................................................... 29
7.3 Alneto di ontano bianco dell’Appennino calcareo. ......................................................................................... 31
7.4 Saliceto di salice bianco delle Langhe............................................................................................................. 33
7.5 Pineta di pino silvestre di greto delle Langhe.................................................................................................. 35
7.6 Pineta di greto alpino....................................................................................................................................... 37
7.7 Acero-tiglio frassineto di forra. ....................................................................................................................... 39
7.8 Alneto di ontano nero. ..................................................................................................................................... 41
7.9 Alneto di ontano bianco delle Alpi.................................................................................................................. 43
7.10 Formazione lineare delle Alpi. ...................................................................................................................... 45
7.11 Pioppeto delle valli alpine. ............................................................................................................................ 47
7.12 Saliceto arbustivo di greto Alpino e Appenninico......................................................................................... 49
7.13 Lariceto di greto. ........................................................................................................................................... 51
8. CONCLUSIONI.................................................................................................................................................... 53
9. ALLEGATI. .......................................................................................................................................................... 54
9.1. Elementi di riconoscimento delle specie. ....................................................................................................... 54
9.2 Caratteristiche biologiche delle specie. ........................................................................................................... 73
10. BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................... 85
1. INTRODUZIONE.
Trascorsi gli anni in cui le operazioni di messa in sicurezza dei corsi d’acqua venivano per lo più
affidate ai sistemi di arginatura, senza tener nel dovuto conto il ruolo che poteva avere di volta in volta
il bosco ripario, oggi la vegetazione è considerata come strumento coadiuvante nel contenimento delle
acque in tutte quelle situazioni in cui l’argine non è strettamente necessario o la sua azione può essere
favorita da una fascia di vegetazione opportunamente gestita. Infatti, questa se presente lungo i corsi
d’acqua, può limitare gli effetti di un’onda di piena:
1. riducendo l’erosione spondale
2. rallentando la velocità della corrente
3. favorendo la deposizione del materiale fluitato (funzione filtro)
4. fungendo da serbatoio per lo stoccaggio temporaneo dell’acqua (limitato a fasce laterali di
territorio di una certa estensione) in aree che possono essere considerate delle “casse
d’espansione”.
Un aspetto indubbiamente interessante, è l’effetto di questi popolamenti sulla protezione delle sponde
dall’erosione, legata all’abbassamento del letto dei corsi d’acqua talvolta indotto dall’estrazione degli
inerti e dagli interventi di rimodellazione degli alvei: le sponde, sempre più alte e scoscese, possono
venire a contatto, allo sbocco in pianura, con i campi arati e ai prati, aumentando il pericolo, in caso di
piene, di trasporto di materiali terrosi o ciottolosi da parte della corrente, con conseguente accumulo
più a valle di detriti in alveo e perdita di terre coltivabili.
Foto-3 Torrente Varaita. Apparato radicale di frassino maggiore, specie che presenta
una fitta rete di radici in grado di difendere egregiamente la sponda dall’erosione
(foto Ferraris).
Anche la sostituzione della vegetazione riparia naturale, messa in atto per consentire l’impianto di
arboreti specializzati (non solo in pianura ma anche nelle parti inferiori degli ampi fondovalle) ha, in
alcuni casi, innescato preoccupanti fenomeni erosivi: i pioppi ibridi, in particolare, sfavoriti
dall’apparato radicale superficiale, se esposti direttamente alla violenza delle acque possono venire
facilmente scalzati, creando i presupposti per nuovi processi erosivi e accumulo a valle del materiale
legnoso fluitato dalle piene.
Pertanto una gestione oculata della vegetazione riparia, orientata al mantenimento di un elevato grado
di stabilità del popolamento, può evitare buona parte dei problemi di gestione dei corsi d’acqua minori.
La stabilità viene soprattutto ottenuta dotando il bosco pluristratificata, con un sottobosco ricco di
specie arbustive e un piano arboreo composto da soggetti giovani poco rastremati1.
1
Nel linguaggio comune poco “filati”, ossia con un equilibrato rapporto tra diametro e altezza.
É comunque doveroso sottolineare che l’azione consolidatrice del bosco ripario può venire totalmente a
mancare nel caso di eventi del tutto eccezionali di piena in cui la corrente riesca ad erodere al piede il
versante o la sponda con conseguente scivolamento della vegetazione in alveo.
Durante gli eventi alluvionali il bosco ripario, qualora si estenda su superfici di un certo rilievo, svolge
l’importante funzione di rallentare l’ondata di piena e di ritardare il raggiungimento del suo massimo,
fungendo da bacino di espansione; pertanto, esso può divenire un serbatoio per lo stoccaggio delle
acque, trattenendone ingenti quantità e rilasciandole gradualmente in un secondo tempo, durante la fase
di abbassamento del livello di piena. L’effetto positivo è quello di regolare il deflusso ed attenuare
sensibilmente le brusche variazioni del livello delle acque.
Foto-4 Alneto di ontano bianco sul Torrente Varaita. Una fascia di vegetazione
sufficientemente densa e stratificata si pone come valido strumento nel rallentare la
velocità della corrente e nell’arrestare temporaneamente materiale vegetale fluitato
dall’alto (foto Ferraris).
Altro elemento estremamente importante è quello del contenimento della velocità della corrente: il
corso d’acqua, oltre che scorrere nell’asta principale, penetra anche nella zona golenale boscata
laterale, dove, grazie all’attrito offerto dai fusti degli alberi, ma soprattutto dagli arbusti, subisce un
sensibile rallentamento. Il temporaneo abbassamento della velocità favorisce anche la sedimentazione
dei materiali in sospensione.
3. FUNZIONE NATURALISTICO-AMBIENTALE.
Solo negli ultimi vent’anni è stato accettato il concetto di “river continuum” (Vanote et al. 1980) che
considera la struttura e il funzionamento dell’ecosistema acqua dipendente non solo dall’apporto di
materia organica attraverso il gradiente monte-valle ma anche dalle relazioni trasversali con la
vegetazione ripariale. Alla luce di queste considerazioni si è portati a ritenere l’acqua un sistema
aperto, strettamente legato alle formazioni boschive limitrofe, qualora esistano, con la quale si verifica
un flusso continuo di energia. La vegetazione ripariale, in particolare, condiziona la struttura, la
produttività e l’evoluzione degli ecosistemi, esercitando un controllo sull’ambiente “acqua” attraverso
differenti influenze:
1. Apporto di materiale organico, come risorsa di nutrimento per gli organismi acquatici e
condizionamento della biodiversità dei popolamenti acquatici.
2. Ombreggiamento, con riduzione del riscaldamento dell’acqua in estate.
3. Intercettazione e filtrazione delle sostanze inquinanti.
3.1 La vegetazione ripariale come sorgente di nutrimento e sua importanza nel controllo del
bilancio energetico del corso d’acqua.
I corsi d’acqua vengono generalmente divisi in due categorie in base alle sorgenti di energia dalle quali
ottengono la sostanza organica necessaria al loro bilancio energetico. Nella prima ricadono quelli
dipendenti dalla produzione autoctona rappresentata dalla vegetazione acquatica (alghe e macrofite2)
mentre nella seconda sono inclusi quelli che ricevono il nutrimento sotto forma di foglie e detriti
vegetali provenienti dalla vegetazione terrestre. Nel tratto montano, dove l’ombreggiamento degli
alberi, la velocità della corrente, la temperatura e l’oligotrofia delle acque concorrono ad impedire lo
sviluppo delle alghe, prevale il sistema eterotrofo (secondo caso). Scendendo verso valle aumenta
l’irraggiamento, a causa dell’ampliamento della superficie del corso d’acqua e il progressivo
distanziamento tra le chiome degli alberi, con il conseguente aumento della penetrazione della luce,
mentre l’apporto di sostanza organica esterna diminuisce così come le dimensioni dei detriti vegetali
trasportati dalla corrente. Si ha inoltre il rallentamento della corrente e l’abbassamento del livello
2
Piante cosiddette “superiori”.
dell’acqua con la deposizione di materiale, fatti che favoriscono l’ingresso della vegetazione acquatica;
le alghe diventano abbondanti mentre sulle rive radicano le macrofite. L’ecosistema acqua tende verso
l’autotrofia3.
Le comunità animali adattano la loro struttura e composizione ai cambiamenti che avvengono lungo il
gradiente longitudinale a causa delle variazioni di ossigenazione, temperatura e presenza di sostanza
organica nelle acque. Così diventano dominanti , nel tratto montano del corso d’acqua, gli invertebrati
che si cibano di sostanza organica composta da grandi particelle mentre verso valle aumentano gli
organismi consumatori di particelle fini, divenendo infine abbondanti nel tratto inferiore; nel tratto
medio i “brucatori” di alghe presentano il loro massimo sviluppo numerico.
L’ittiofauna segue un’evoluzione comparabile: si avranno gli insettivori (salmonidi) nel corso montano,
erbivori e carnivori nella parte media e i planctonofagi4 e limivori5 nel settore di valle in zone ormai
pianeggianti.
Risulta evidente l’importanza assunta dalla vegetazione ripariale nel bilancio trofico dell’idrosistema
ed appare altrettanto chiaro quanto possano essere devastanti le ripercussioni nel caso in cui esse
risultino mal gestite o addirittura assenti.
I boschi ripari, nei tratti montani, tendono ad acquisire una conformazione a “galleria”, ostacolando
l’ingresso della luce ed assumendo così una notevole importanza nella regolazione della temperatura
dell’acqua, specialmente nei tratti in cui la velocità della corrente è modesta. Numerosi sono gli studi
francesi che hanno evidenziato come la mancanza di copertura arborea sull’alveo sia responsabile di un
aumento del massimo termico annuale dell’acqua dell’ordine di 12° C.
Come confermato da alcune ricerche, gli eccessivi sbalzi di temperatura dovuti alla mancanza o alla
forte alterazione della vegetazione ripariale, determinano la scomparsa di alcuni invertebrati molto
sensibili (Plecotteri, Tricotteri e Efemerotteri), importanti nella catena alimentare della fauna ittica
(Berthelemy, 1973).
3
Situazione in cui il sistema riesce ad autoalimentarsi rendendosi indipendente dall’apporto di sostanze esterne.
4
Mangiatori di plancton.
5
Mangiatori di detriti fini di sostanza organica depositati sul fondo.
3.3 Ruolo del bosco ripario nell’intercettazione e filtrazione degli inquinanti.
Numerosi studi realizzati negli U.S.A. hanno evidenziato il ruolo determinante svolto dal bosco ripario
nel contenimento del processo di eutrofizzazione delle acque, dimostrandone l’elevata capacità di
filtrazione e depurazione dei nitrati e fosfati provenienti dalle attività antropiche.
Il bosco ripario è ormai riconosciuto da tutti come l’habitat ideale per un ampio spettro di specie
animali e vegetali in quanto caratterizzato da nicchie ecologiche estremamente diversificate a causa
della struttura dei sedimenti, della variabilità spaziale e temporale dell’idrosistema, della distribuzione
dei detriti e dello sviluppo della vegetazione acquatica. Esso è il luogo di sovrapposizione tra
l’ecosistema acqua e l’ecosistema terra; questa definizione corrisponde a quella di ecotono ovvero
luogo di transizione tra ecosistemi adiacenti di natura diversa. In quest’area sono presenti un numero ed
una densità di specie maggiore rispetto ai due ecosistemi separati. Risulta emblematico il risultato di
una ricerca realizzata in un tratto della valle del Rodano, a monte della città di Lione, in cui sono stati
censiti nell’alveo 118 specie di invertebrati contro i 170 trovati nell’ecotono spondale (Bournaud et
Cogèrino, 1986).
L’elemento che maggiormente concorre alla diversificazione dell’ambiente ripario è ovviamente
l’acqua, sia esercitando un’azione erosiva e di trasformazione continua, sia influenzando le fasce di
vegetazione mediante l’innalzamento e l’abbassamento della falda. Pertanto nelle aree maggiormente
interessate dai fenomeni meccanici saranno le specie pioniere erbacee (ad es. Typhoides arundinacea,
Agrostis stolonifera nei fondovalle collinari) e arbustive (prevalentemente salici) a prendere il
sopravvento mentre nelle aree meno disturbate si insedieranno le specie arboree, a carattere più o meno
igrofilo a seconda della loro collocazione rispetto al livello della falda.
I complessi fenomeni di successione dettati dalla dinamica fluviale sono riassumibili in 3 tipologie
(I.P.L.A.,1998):
1. Successione autogena. La dinamica del corso d’acqua non interviene ad influenzare la stazione. Si
assiste alla rinnovazione e allo sviluppo di altre latifoglie sotto la copertura o nelle chiarie dei
popolamenti ripariali costituiti specialmente da aggruppamenti di pioppo nero e salici bianchi al
riparo da eventi di piena stagionali per periodi decennali.
2. Successione allogena. La dinamica fluviale interviene in modo drastico a mutare le caratteristiche
stazionali (regressione o anticipazione). Si verifica la distruzione della vegetazione riparia con
ricostituzione delle fasi giovanili a struttura semplificata.
3. Successione auto-allogena. L’azione della dinamica fluviale interviene in modo moderato e
localizzato, modificando solo parzialmente la situazione preesistente.
Anche gli animali che vivono a stretto contatto con l’acqua traggono giovamento dalla diversità degli
ambienti ripari trovando luoghi idonei per nutrirsi, per trovare riparo e per completare il proprio ciclo
biologico (in particolare il fenomeno della nidificazione per l’ornitofauna acquatica).
4.
Nelle pagine seguenti verranno fornite alcune indicazioni sui criteri da adottare durante le fasi di
intervento e sulle operazioni inopportune. Tali prescrizioni derivano: da esperienze maturate mediante i
rilievi sul campo e durante le fasi di ricerca bibliografica (Criteri generali di intervento, punti
2,4,5,6,7,8,10,11,14,15- Operazioni inopportune (cap. 5), punti 1,3,4,5,6), dall’acquisizione di norme
contenute nelle P.M.P.F. (Criteri generali di intervento, punti 3,9- Operazioni inopportune (cap.5),
punto 2), dagli indirizzi tecnici forniti dalla Circolare P.G.R. 8/EDE 15/5/1996 (Criteri generali di
intervento,punto 1) e dalla Circolare, 99 “Indirizzi tecnici proceduali in materia di manutenzioni
idraulico-forestali” (Criteri generali di intervento, punto 12), e dalle leggi dello stato in materia di
sicurezza sul lavoro (Criteri generali di intervento, punto 13).
Gli interventi selvicolturali sulla vegetazione riparia devono tenere conto di molteplici criteri tecnici ed
ecologici nell’ambito di disposizioni legislative specifiche.
1. Interventi (taglio e sgombero) da eseguirsi sulla vegetazione che è di impedimento al regolare
deflusso delle piene ricorrenti con periodo di ritorno orientativamente trentennale (Circolare
P.G.R. 8/EDE 15/5/1996)
2. Continuità di finanziamenti per la realizzazione di interventi periodici (ogni 5-7 anni)
É necessario intervenire con scadenze regolari e ravvicinate; gli interventi, ciclici e mirati, consentono
di dotare gradualmente il bosco della struttura e della stabilità necessaria ad espletare tutte le sue
funzioni, di eliminare tempestivamente le eventuali cause di accumulo di biomassa in alveo ( alberi
scalzati, tronchi morti ecc..), senza eccedere con l’intensità dei tagli troppo distanziati tra loro nel
tempo.
3. Realizzazione degli interventi nei periodi previsti dalle PMPF6 (art 5) per le utilizzazioni dei
cedui, evitando di arrecare disturbo all’avifauna e all’ittiofauna durante le fasi di
riproduzione
Compatibilmente con il regime idrologico locale (evitare i periodi di piena statisticamente accertati) e
con le condizioni meteorologiche (neve, ghiaccio), le operazioni di gestione devono essere eseguite il
più lontano possibile dai periodi di deposizione delle uova dei pesci (novembre) e di nidificazione degli
uccelli (aprile- maggio).
4. Pianificazione degli interventi mediante sopralluoghi preliminari effettuati da personale
qualificato (le piante da abbattere devono essere martellate o segnate in modo indelebile)
6
Prescrizioni di Massima di Polizia Forestale
La delicatezza degli interventi e la fragilità dell’ecosistema ripariale richiedono, per la realizzazione dei
piani d’intervento, l’impiego di personale specializzato. L’applicazione delle misure di gestione allo
specifico caso deve essere preliminarmente valutata dal personale tecnico il quale evidenzierà sul
campo, con segno indelebile, i soggetti che dovranno essere eliminati.
5. I progetti di massima dovranno prevedere interventi differenziati per ogni settore del corso
d’acqua (letto maggiore, letto minore, casse di espansione)
In fase di progettazione si pianificheranno interventi differenziati in ognuno di questi tre settori
eventualmente presenti. In modo particolare nell’alveo principale, in cui la vegetazione viene
interessata con maggior frequenza dalle piene stagionali, dovrà essere garantito il regolare deflusso
delle acque rimuovendo la vegetazione che ne è di impedimento, con tagli frequenti e relativamente
intensi. Gli interventi nel letto secondario saranno più distanziati nel tempo (all’incirca ogni 10 anni) e
limitati all’asportazione della vegetazione arborea eventualmente cresciuta nell’alveo al fine di
preservarne la funzionalità impedendo ulteriori divagazioni del corso d’acqua; infine, per quanto
riguarda le casse di espansione, si consiglia di destinarle alla libera evoluzione della vegetazione.
6. Nei tratti a monte dei centri abitati e delle infrastrutture (ponti, captazioni d’acqua irrigua
ecc.), devono prevalere gli interventi volti ad eliminare i potenziali pericoli per la stabilità
spondale derivanti dalla vegetazione (eliminazione dei detriti vegetali, alberi piegati ed alberi
di grandi dimensioni erosi al piede dalla corrente)
I settori dei corsi d’acqua a monte dei centri abitati e delle infrastrutture devono essere gestiti con
estrema attenzione privilegiando gli interventi finalizzati ad ottimizzare la funzione meccanica; si
procederà adottando misure preventive (abbattimento dei soggetti in precarie condizioni di stabilità,
stramaturi, con evidenti segni di deperimento, scalzati al piede, ecc.) e misure curative (eliminazione
sistematica dei detriti accumulati in alveo).
Foto-7 Torrente Gesso tra Andonno e Valdieri. Durante gli eventi alluvionali vengono
fluitati grandi quantità di legname che vengono depositati lungo il greto. Tali cataste se
presenti a monte di infrastrutture (ponti, prese d’acqua, ecc..,) devono essere
prontamente asportate (foto Ebone).
7. Effettuazione di interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante
L’estrema fragilità delle cenosi riparie impone l’esecuzione di interventi leggeri, ragionati e
commisurati in base alla densità e struttura del popolamento. Si dovranno privilegiare i tagli a scelta
rispetto ai tagli sistematici e, qualora l’esiguità della superficie boscata lo renda consigliabile, destinare
temporaneamente tali cenosi alla libera evoluzione.
Foto-8 Acero-tiglio-frassineto di impluvio laterale della valle Angrogna (Val
Pellice). Un intervento troppo intenso a carico del piano dominante sui pendii
ha causato lo schianto o l’incurvamento (a sinistra) di numerosi soggetti;
l’isolamento improvviso di individui filati, cresciuti in un popolamento fitto, in
concorrenza con le piante limitrofe, ne ha causato l’instabilità favorendo, in
occasione di eventi meteorici di una certa intensità, la possibile caduta di fusti
in alveo (foto Ferraris).
8. Gestione degli interventi in modo da conferire al popolamento una struttura densa,
irregolare e con la maggiore biodiversità possibile
La necessità di conservare un popolamento denso(1000-1200 p/ha), ma non chiuso, in modo da
consentire la presenza di un ricco strato arbustivo e pluristratificato nelle aree golenali, è giustificata
dal ruolo che il bosco ripario può svolgere nel rallentare la velocità della corrente dissipando l’energia
del corso d’acqua; la stratificazione verticale della vegetazione consente di avere un freno ad ogni
livello raggiunto dalla piena.
9. Adozione delle buone pratiche di utilizzazione, secondo quanto previsto dalle PMPF per
l’abbattimento dei cedui (art. 50 e segg.)
10. Utilizzazione della trazione animale, ove possibile e necessario, da privilegiare nelle
operazioni di esbosco
Questa è consigliabile in quanto permette di operare in spazi ristretti, non necessita di allestire accessi
specifici e limita al minimo l’impatto sull’ambiente circostante; consente inoltre di intervenire in
presenza di acqua e in terreni ancora saturi.
11. Adozione come struttura finale, ove necessario, il regime a ceduo per le specie idonee7
Nella fascia posta a diretto contatto con il corso d’acqua, il trattamento preferibile da applicare è quello
a ceduo; i motivi principali per cui si è propensi ad utilizzare tale governo è la possibilità di ottenere
soggetti con una maggior vigoria (almeno nel breve periodo), con maggior velocità di crescita, un più
rapido sviluppo dell’apparato radicale e una maggiore stabilità a causa di un minor sviluppo in altezza e
quindi minor peso. Il taglio di utilizzazione deve prevedere il rilascio di almeno un pollone, scelto
come tirasucchio tra quelli meno sviluppati, per evitare l’esaurimento delle ceppaie.
Viceversa, nel margine più elevato dove la corrente influisce con minore impatto e soprattutto
frequenza, è possibile il governo ad alto fusto rado; si consiglia a tal proposito di favorire le latifoglie
nobili per la produzione di legname di pregio (querce, tigli, ciliegio, frassino, olmo montano e aceri).
7
Da evitare per pioppi, salici, oltre i 15 anni di età, salicone e acero di monte di grandi dimensioni.
Foto-9 Corso d’acqua secondario in Valle Grande (Val
Vermenagna). Esempio di intervento equilibrato in cui si è ceduato
a raso solo la fascia prossima al corso d’acqua, preservando in
quella superiore numerosi polloni e soggetti ad alto fusto (foto
Ferraris).
12. Accastatamento immediato del legname di risulta dei tagli in luoghi sicuri “non raggiungibili
dagli eventi di piena straordinaria calcolata con tempi di ritorno pari a 200 anni” (Regione
Piemonte, 1999 “Indirizzi tecnici procedurali in materia di manutenzioni idraulico-forestali”).
Foto-10 Fiume Sesia nei pressi del ponte per Rassa. Alcune specie esotiche
localmente possono risultare particolarmente aggressive in ambito ripario. In
particolare la Reynoutria japonica (a sinistra della foto) tende a colonizzare
abbondantemente i greti del fiume Sesia impedendo la rinnovazione della
vegetazione autoctona. Dell’opportunità e dell’intensità degli interventi si
dovranno considerare le caratteristiche invasive di questa specie. Sulla sponda
opposta fitti arbusteti di salice; in fondo salici bianchi e pioppi neri (foto
Ebone).
15. Favorire mediante l’alleggerimento del piano arboreo dominante, la costituzione di un fitto
strato erbaceo e arbustivo sulle lenti ghiaiose e gli isolotti
La presenza di una buona copertura erbacea ed arbustiva del suolo può in parte arrestare l’azione
erosiva dell’acqua; si noti ad esempio che su suoli a granulometria fine (sabbia-limo) per innescare
fenomeni erosivi è sufficiente una velocità della corrente pari a 0,75-1,00 m/s; tale valore può essere
innalzato a 1,8 m/s (Autorità di bacino del fiume Po, 1996) grazie alla presenza di un fitto strato
erbaceo. Pertanto in tali zone, nelle parti in cui risulta deficitaria la componente erbacea ed arbustiva è
necessario interrompere la copertura arborea effettuando dei diradamenti (Fizaine, 1999).
Foto-13 Valle Grande (Val Vermenagna). Tratto di torrente sottoposto a taglio irrazionale dove
l’intero soprassuolo è stato asportato. É assolutamente indispensabile evitare interventi di tale
intensità salvo a monte dei ponti e altri manufatti; è importante, specialmente nelle formazioni
lineari com’era questa, rilasciare almeno un pollone per ceppaia a difesa delle sponde (foto
Ferraris).
Foto-14 Valle Grana. Seconda stagione vegetativa successiva ad un taglio raso sulle
basse sponde. Si noti l’abbondante emissione di polloni da parte delle ceppaie di
ontano bianco. Nonostante la buona facoltà pollonifera di queste specie non
pregiudichi la pronta ricostituzione del soprassuolo, la necessità di preservare alcuni
polloni sarebbe imposta da motivi di carattere naturalistico ed estetico (foto
Mondino).
Con queste avvertenze preliminari segue una chiave d’identificazione dei popolamenti ripari singoli
riconosciuti sul terreno nelle Alpi, Appennini e Colline interne piemontesi.
1. Formazione a salici arbustivi di greto in tutte le aree studiate con salice ripaiolo e salice rosso
dominanti, talvolta con la presenza di altre latifoglie nelle porzioni meno esposte all’influenza
delle piene.
Saliceto arbustivo di greto alpino e appenninico.
1. Formazioni con composizione del piano dominante a prevalenza di specie arboree.
2. Formazione della dorsale alpina.
3. Formazione arborea a sviluppo lineare composta in prevalenza da latifoglie (frassino maggiore,
ontano bianco e nero, tiglio selvatico, ciliegio e acero di monte) posta a ridosso del corso d’acqua
con ampiezza non superiore ai 5 m.
Formazione lineare delle Alpi.
3. Formazioni a sviluppo non lineare ovvero formanti una fascia arborata con ampiezza normalmente
superiore ai 5 m.
4. Quote comprese tra i 400 e gli 800 m.
5. Popolamento su corso d’acqua ad alveo non incassato a prevalenza di specie pioniere: pioppo nero
misto ad altre specie arboree (pioppo bianco, pioppo tremolo, frassino maggiore e betulla) e salici
arbustivi.
Pioppeto di greto delle Alpi.
5. Formazione di impluvio e di corsi d’acqua ad alveo incassato con frassino maggiore a prevalenza di
specie del bosco più maturo (talvolta dominante su altre specie), come subordinate specie ontano
bianco e ontano nero (solo alle quote inferiori) e tiglio selvatico.
Acero-tiglio-frassineti.
4. Quote superiori agli 800 m.
6. Formazione a latifoglie con dominanza quasi assoluta di ontano bianco, talvolta con salice ripaiolo
nella fascia più prossima al corso d’acqua.
Alneto di ontano bianco.
6. Bosco ripario con piano arboreo composto in prevalenza da conifere.
7. Bosco ripario a netta dominanza di pino silvestre.
Pineta di greto di pino silvestre.
7. Bosco ripario a larice europeo su greti con massi di grosse dimensioni.
Lariceto di greto.
2. Altri rilievi collinari o montuosi.
8. Altre formazioni riparie dell’Alta Langa.
9. Formazioni a latifoglie con netta dominanza di salice bianco riscontrabili sulle barre di meandro
all’interno delle arginature fluviali.
Saliceto di salice bianco delle Langhe.
9. Popolamento rade a pino silvestre dei depositi alluvionali consolidati.
Pineta di pino silvestre delle Langhe.
8. Altre formazioni riparie della dorsale appenninica.
10. Formazione arborea a sviluppo lineare di pioppo ibrido e pioppo bianco misti a ontano nero e
robinia con ampiezza non superiore ai 5 m.
(Formazione lineare dell’Appennino).
10. Formazioni a sviluppo non lineari.
11. Popolamento a prevalenza di pioppo nero e ibrido, talvolta con pioppo bianco, salice bianco, ontano
nero e ontano bianco nella fascia prossima al corso d’acqua.
Pioppeto di greto dell’Appennino calcareo.
11. Formazioni a ceduo con dominanza di ontano bianco.
Alneto di ontano bianco.
7. SCHEDE DEI POPOLAMENTI RIPARI.
8
Nel tratto di Appennino a substrato non calcareo (serpentinoso e conglomerato-arenaceo) sono praticamente assenti le
cenose riparie.
Criteri di gestione ed interventi.
L’ontano bianco esplica un’efficace azione di contenimento dell’erosione delle sponde sebbene il suo
apparato radicale venga in parte scoperto ma non sottoescavato. Gli interventi in queste condizioni
sono semplici e si possono limitare alla ceduazione ogni 10-15 anni dell’ontano, lasciando comunque
1-2 polloni per ceppaia al fine di assicurarne la vitalità. Inoltre dovranno essere effettuati tagli
fitosanitari e di ripulitura dell’alveo con asportazione dei detriti vegetali eventualmente presenti in una
fascia di 100 m a monte dei ponti.
Il bosco di carpino nero con pino silvestre, prima accennato, posto all’esterno dell’alneto, non può più
considerarsi facente parte del bosco ripario in quanto non interviene nella dinamica idraulica del
fondovalle.
Interventi proposti:
1. Ceduazione delle ceppaie nella fascia a ridosso del corso d’acqua.
2. Tagli fitosanitari.
3. Asportazione dei detriti in alveo nei tratti prossimi ai ponti.
9
Sia sulle Alpi che negli Appennini il salice bianco è presente solo sporadicamente nell’interno delle valli.
Criteri di gestione e interventi.
I boschi ripari a salice bianco esplicano una ottima funzione di difesa contro l’erosione spondale;
sebbene il salice non disponga di un apparato radicale particolarmente profondo, esso risulta comunque
ampio, notevolmente ramificato e quindi adatto a trattenere il suolo. É necessario tuttavia intervenire
periodicamente al fine di rinnovare il soprassuolo, eliminando quei soggetti che hanno raggiunto
dimensioni tali da essere più facilmente soggetti allo sradicamento da parte della corrente anche perché,
oltre una certa età, le ceppaie di salice non emettono più polloni.
Interventi proposti:
1. Taglio dei salici bianchi, prima che raggiungano i 15 anni di età, e dei pioppi con altezze superiori
a 15-20 m.
2. Eliminazione delle piante sradicate presenti in alveo.
Localizzazione.dei rilievi
Valle Stura di Demonte (tra Demonte e Vinadio).
7.12 Saliceto arbustivo di greto Alpino e Appenninico.
Le tredici tipologie di popolamenti ripari qui descritti sicuramente compendiano la maggior parte di
quelle esistenti lungo i corsi d’acqua piemontesi; ulteriori informazioni in merito potrebbero emergere
dall’analisi della vegetazione sviluppata nella realizzazione dei Piani Territoriali Forestali.
Si ritiene opportuno nuovamente sottolineare come le indicazioni contenute in questo testo potrebbero
essere vanificate nel caso in cui gli interventi non fossero eseguiti con periodicità (ogni 5-7 anni); così
infatti, è più facile sviluppare in modo graduale nel bosco una struttura idonea ad espletare tutte le e
funzioni, cosa impossibile quando si deve ricorrere solo a tagli condotti in condizioni di emergenza,
che spesso si rivelano di intensità troppo elevata. Appare altrettanto importante sottolineare la necessità
di effettuare dei sopralluoghi lungo le aste fluviali periodicamente e ogni qual volta si verifichino
eventi alluvionali di una certa importanza. Infatti l’eventuale asportazione della vegetazione, i
cambiamenti della morfologia fluviale e l’accumulo di biomassa in alveo rendono necessari interventi
immediati per rimuovere gli ostacoli al regolare deflusso delle acque e ripristinare la funzionalità
dell’alveo.
Infine si auspica la creazione di una base di dati a livello regionale, nella quale inserire anche le
informazioni inerenti gli interventi eseguiti a carico della vegetazione riparia; tale strumento potrà
essere particolarmente utile nella pianificazione degli interventi di gestione dei popolamenti ripari su
scala regionale.
9. ALLEGATI.
Vengono di seguito descritte le specie arboree e arbustive dell’ambiente studiato. In corsivo sono
indicati i caratteri più importanti per il riconoscimento delle specie arboree che sono inserite nelle
schede dei popolamenti.
10
Infiorescenze formate da un asse principale ramificato.
11
Frutto composto da due semi saldati ciascuno dei quali porta un’ala espansa per la disseminazione tramite il vento.
Betulla (Betula pendula).
Si tratta di un albero alto fino a 25 m con chioma rada, ovale-cilindrica espansa soprattutto nella
parte alta. Il fusto è diritto con scorza sottile, bianca, desquamantesi in foglietti sottili di
consistenza cartacea. Le foglie sono piccole di forma romboidale, alterne, picciolate e caduche;
hanno apice acuto, base arrotondata e margine doppiamente dentato. I fiori maschili sono portati in
amenti12 pendenti, quelli femminili sono eretti, brevi e sottili; la fioritura avviene all’inizio della
primavera.
Specie eliofila e frugale, predilige suoli anche poco profondi soprattutto acidi, sui quali si comporta
da pioniera e consolidatrice oppure come invadente di aree già a coltura o pascolate; è diffusa sulle
Alpi fino ad una quota di 1500 (1800) m. Non è molto frequente nei boschi ripari.
Biancospino (Crataegus monogyna).
É un arbusto (talvolta alberetto) alto fino a 6 m, con corteccia compatta, grigio-bruna; alla base dei
rami portanti le infiorescenze sono presenti spine acute. Le piccole foglie, lungamente picciolate,
hanno forma ovale con alcune profonde incisioni e sono dentellate solo nella parte terminale. I fiori,
con petali bianchi, sono portati in gruppi di 4-5dopo l’emissione delle foglie; i frutti sono dei pomi13
assai piccoli e rossi contenenti un solo seme. Il biancospino è una specie rustica e pioniera presente
all’interno e ai bordi dei boschi di latifoglie e, ancora, negli arbusteti di invasione dei pascoli
collinari e montani soprattutto sui suoli calcarei. É presente fin oltre 1200 m su Alpi e Appennino. É
sporadico nelle boscaglie riparie.
12
Infiorescenza in forma di spiga a fiori privi di petali e di peduncolo.
13
Frutti simili a piccole mele.
Carpino nero (Ostrya carpinifolia).
Albero di norma alto10-15 m circa, governato sempre a ceduo non matricinato, possiede una
corteccia bruno rossiccia, da giovane con evidenti lenticelle che si screpola abbastanza
profondamente con l’età; i rami sono ascendenti. Le foglie sono ovali, acuminate14, seghettate e
simmetriche alla base; la fioritura avviene in aprile, i fiori maschili sono portati in amenti15
allungati, di colore giallo-verde; i frutti, rigonfi per la disseminazione tramite il vento, sono raccolti
in grappoli simili all’infiorescenza del luppolo.
In ambiente ripario s’incontra di rado (salvo nelle vallette secondarie dove può formare cedui puri o
quasi) e solo sull’Appennino e le Langhe; di rado è presente oltre gli 800 m.
14
Appuntite.
15
Vedi nota 12.
16
Coperte da peluria fine.
17
Piccole appendici in numero di due poste alla base del picciolo fogliare che in questa quercia si mantiene tutto l’anno.
Ciliegio a grappoli (Prunus padus).
Piccolo albero o arbusto, generalmente con fusto policormico18, alto 2-10 (15) m, ha una corteccia
bruna che emette un odore decisamente sgradevole. I rami si espandono quasi perpendicolarmente
al fusto principale. Le foglie, alterne e picciolate, hanno forma ovata con apice acuto e base
allargata o cordata; la pagina superiore è glabra mentre quella inferiore è glaucescente. I fiori sono
bianchi, profumati, portati in racemi penduli. I frutti, piccoli e sferici, sono lucidi, di colore rosso
scuro, con polpa succosa, appetiti dagli uccelli.
Si diffonde talvolta nelle formazioni ripariali non interessate da frequenti piene su suoli umidi (in
specie con gli ontani) con discesa sino al piano basale; è presente sulle Alpi sporadicamente sino a
1500 m.
18
Pianta con molti fusti
19
Disposti intorno al fusto principale più o meno alla stessa altezza.
20
Frutto con parte esterna carnosa e nocciolo legnoso.
Frangola comune (Frangula alnus).
Arbusto di piccole dimensioni alto 1-3 m, ha un fusto con scorza grigio-violetta chiara e rami eretti,
rosso-pubescenti nel primo anno. Le foglie sono alterne, ovali, prive di peli, con picciolo rossastro e
margine intero; hanno lamina leggermente acuminata all’apice e arrotondata alla base. I fiori, molto
piccoli,verdognoli, sono portati in fascetti di 2-9 all’ascella delle foglie. Il frutto è una bacca
subrotonda di colore nero delle dimensioni di un pisello.
Specie abbastanza frequente nelle cenosi riparie, si stanzia nelle stazioni più umide, su suoli
idromorfi21 anche molto acidi.
É presente dalla pianura fino ad una quota di 1100 m circa.
21
Sempre saturi d’acqua.
22
Foglia composta da foglioline ovali non seghettate disposte in numero dispari lungo la nervatura centrale.
23
Senza peduncolo.
24
Frutto composto da un singolo seme alato.
Fusaggine (Euonymus europaeus).
Si tratta di un arbusto alto 1-5 m, in cui i fusti presentano una corteccia rossastra che lascia
trasparire macchie verdi. Le foglie, opposte, picciolate e dentellate, hanno forma ellittica e sono
portate da rametti quadrangolari verdi; le foglie sono glabre, ovato-acute con pagina inferiore verde
più chiara. I fiori, molto piccoli, riuniti a 4-5, piccoli e verdastri, a 4 petali, sono sorretti da un
peduncolo ascellare. I frutti vistosi e rossi sono composti da 4 segmenti rotondeggianti che a
maturità si aprono assumendo le sembianze del copricapo del sacerdote (altro nome: berretta da
prete) mettendo in mostra i semi aranciati. Specie diffusa nei boschi ombrosi fino ad una quota di
800 m, è presente nei boschi ripari solo se in evoluzione.
25
Brevissimi rami laterali portanti le foglie, inseriti sui normali rami di allungamento (normoblasti).
26
Infiorescenza appiattita composta da peduncoli che portano i fiori tutti alla stessa altezza.
Nocciolo (Corylus avellana).
Pianta a portamento alto-arbustivo, alta (5-6 m) , con corteccia grigio bruna e lucida, dapprima con
numerose lenticelle27, nei polloni più vecchi con lunghe fessure longitudinali. I rami dell’anno sono
ricoperti, nella parte distale, da una fitta peluria; le foglie hanno picciolo breve, lamina ellittica o
subrotonda, base cuoriforme, apice acuto e doppia dentatura. I fiori maschili sono portati in
amenti28 penduli di colore giallo-oro (periodo fine-invernale, emessi prima delle foglie); i frutti
(nocciole) sono riuniti in gruppi di 2-5 e avvolti ognuna da due brattee29 erbacee pubescenti. Specie
tollerante l’ombreggiamento ed esigente in umidità; si adatta a tutti i tipi di terreno anche quelli
acidi; è diffusa dalla pianura fino ad una quota di 1500 m su Alpi e Appennino. Sporadico nei
boschi ripari ( più frequente in quelli già in evoluzione).
27
Aperture nella corteccia per lo scambio gassoso dei tessuti con l’esterno.
28
Vedi nota 12.
29
Espansione a forma di linguetta o ala che sorregge l’infiorescenza.
30
Malattia di origine fungina microscopica.
31
Vedi nota 24.
Olmo montano (Ulmus glabra).
Albero alto sino a 20 m, con rami in fase giovanile pubescenti, presenta foglie piuttosto grandi
scabre32 su entrambe le facce, con lamina asimmetrica alla base, margine acutamente denticolato e
picciolo cosparso di peli. Sulla pagina inferiore sono molto evidenti le nervature alla cui
biforcazione sono presenti ciuffi di peli bianchi. La fioritura avviene prima dell’emissione delle
foglie; i fiori sono piccoli, numerosi, poco vistosi, riuniti in ombrellette e peduncolati. Il frutto è una
samara33 ellittica, brevemente peduncolata.
Specie sporadica nei boschi misti di latifoglie ad una quota compresa tra 400-1300 m. É presente
nelle fasce riparie associato ad altre latifoglie mesofile, limitatamente però alle porzioni di bosco
più evolute.
32
Ruvida.
33
Vedi nota 24.
Ontano nero (Alnus glutinosa).
Pianta arborea a portamento conico, con fusto diritto che può oltrepassare i 25 m di altezza. Le
branche sono inserite ad angolo retto nella parte inferiore e media del fusto mentre verso la cima
formano con quello un angolo acuto; la chioma è molto densa, di colore verde scuro. La corteccia è
grigio scura, con grosse lenticelle da giovane; negli esemplari adulti presenta placche di forma
rotondeggiante e irregolare. Le foglie sono ovali/arrotondate, ottuse o retuse34 all’apice, con
denticolatura irregolare non molto evidente. I fiori precocissimi, sono portati separatamente sullo
stesso individuo; quelli maschili sono in amenti35 penduli, mentre quelli femminili, molto più piccoli
e brevi, danno luogo a infruttescenze simili a piccole pigne un po' legnose. Specie esigente di luce e
acqua anche stagnante; forma boschetti puri nelle paludi , torbiere e lungo i corsi d’acqua.
É presente in Piemonte a partire dalla pianura fino ad una quota di 800-1000 m.
34
Rientranti all’apice.
35
Vedi nota 12.
36
Non nere come nel frassino maggiore.
37
Non lanceolate come nel frassino maggiore.
38
Vedi nota 24.
Palle di neve (Viburnum opulus).
Arbusto caducifoglio alto 2-5 m, con rami prima verdi poi brunastri a sezione esagonale. Le foglie
sono opposte, picciolate, palmate , con margine profondamente dentato verso l’apice e intero verso
la base; la pagina superiore è verde chiaro e vellutata, quella inferiore ruvida e tomentosa39. I fiori
sono portati in infiorescenze ad ombrella; i fiori periferici, sterili e vistosi, hanno maggiori
dimensioni e colore bianco; per contro, quelli interni, fertili, sono molto più piccoli e di colore
crema talvolta sfumato di rosa. I frutti sono delle drupe, lucide e rosse, delle dimensioni di un
pisello. Specie poco esigente in fatto di luce, è legata alle formazioni riparie nelle quali si colloca
nelle stazioni più umide (sovente con l’ontano nero). É presente nelle Alpi fino ad una quota di
1000 m circa.
39
Coperta da peli fini molto corti e fittissimi a formare una specie di feltro.
Pioppo bianco (Populus alba).
Albero di grandi dimensioni (35 m) con chioma ampia e irregolare. Il fusto, dapprima un po’
tortuoso, diventa diritto e colonnare con diametri notevoli e grosse ramificazioni portate in alto
sulla chioma. La corteccia in età giovanile è biancastra e liscia poi diventa rugosa, scura e
screpolata nella parte inferiore del fusto. Le foglie sono palmate, con 5 lobi, candide e tomentose40
nella pagina inferiore; la fioritura avviene in primavera più o meno avanzata a seconda delle quote;
i fiori sono portati in amenti41 pelosi. Esigente in fatto di luce, lo è meno per quanto riguarda
l’acqua del pioppo nero non sopportando la sommersione tanto che può invadere coltivi
abbandonati anche se in modo transitorio; predilige suoli con tessitura meno grossolana rispetto al
pioppo nero. É sporadico lungo fiumi e torrenti alpini mentre è più frequente e anche gregario
nell’Appennino fino da una quota di 800-1000 m.
40
Vedi nota 39.
41
Vedi nota 12.
Pioppo tremolo (Populus tremula).
Albero alto fino a 20 m, con fusto diritto e chioma raccolta in alto, ha una scorza liscia grigio-
verdastra che si screpola a partire dalla base nei soggetti adulti. Le foglie presenti sui rami di
allungamento sono ovato-triangolari, lisce sulla pagina superiore, pelose su quella inferiore; i rami
laterali hanno foglie più piccole e arrotondate e margine grossolanamente dentato; entrambi i tipi di
foglie hanno un lungo picciolo appiattito lateralmente che stormiscono anche sotto l’azione di un
vento leggero, da cui il nome dell’albero. I fiori sia maschili che femminili sono portati in amenti
pelosi lunghi 10-12 cm, prima dell’emissione delle foglie. Specie eliofila e pioniera , colonizza ex-
coltivi, prati-pascoli abbandonati e aree denudate dando origine talvolta a boschetti puri. É una
specie caratteristica del piano montano delle Alpi anche se è diffusa in modo abbastanza localizzato
in pianura (sino a 1600 m raramente); entra sporadicamente a far parte anche delle cenosi riparie.
42
Sostanza cerosa biancastra.
Robinia (Robinia pseudoacacia).
Specie arborea esotica di origine nordamericana (15-20 m), spinescente per aculei abbinati molto
robusti posti alla base delle foglie sui fusti giovani; ha chioma leggera, ampia, arrotondata, con
ramificazione rada e irregolare. Le foglie sono composte e imparipennate43formate da foglioline
ovali. Ha la caratteristica di crescere molto rapidamente e di espandersi facilmente a macchia d’olio,
su terreni scoperti, per la notevole produzione di polloni radicali.
I fiori sono papilionacei44, bianchi, portati in grappoli e hanno un profumo gradevole. Il frutto è un
legume45 coriaceo, appiattito e nerastro che, durante l’inverno, persiste sulla chioma e contiene
semi duri, rotondi e appiattiti.
È una specie frugale, eliofila e ubiquitaria; è in grado di spingersi dalla pianura fino ad una quota di
700 (1000) m. Può far parte della vegetazione riparia solo alle quote inferiori (non oltre i 500-600 m),
in zone particolarmente disturbate dall’uomo.
43
Vedi nota 22.
44
Paragonati a farfalle, simili a quelli del fagiolo della fava e del pisello, tipici della famiglia delle fabacee (leguminose).
45
Frutto simile a quello del fagiolo.
Salice bianco (Salix alba).
Il salice bianco è una specie arborea (sino a 20-25 m di altezza), con foglie lanceolate46 a margine
finemente seghettato e fitta peluria setosa da adulte sulla pagina inferiore (pelosità su entrambe le
pagine in quelle giovani). I fiori (maschili e femminili su piante diverse), sono raccolti in amenti47,
compaiono unitamente alle foglie in primavera. Specie ad areale molto ampio è comune in tutte le
zone umide fino da una quota di 1000 m, meno frequente, rispetto agli altri salici, nei boschi ripari
dei fondovalle alpini.
46
In forma di lancia.
47
Vedi nota 12.
48
Liscio privo di peli.
49
Vedi nota 17.
50
A forma di cuore.
Salice delle capre (Salix caprea).
Arbusto o piccolo albero, alto al massimo 15 m, presenta una scorza verdastra da giovane e poi
grigia e fessurata in maglie romboidali; i rami sono glabri51e grigio-verdi da giovani, in fase adulta
diventano rossastri; il legno dei rami giovani sotto la corteccia è liscio.
Le foglie hanno forma variabile dall’ovale all’ellittica, con margine più o meno dentellato; la pagina
superiore è verde, sparsamente pelosa, specialmente lungo la nervatura centrale; la pagina inferiore
è densamente e brevemente pelosa. Il picciolo è abbastanza lungo; i fiori sono portati in amenti52,
ovali, eretti e peduncolati. La fioritura è molto precoce e precede la fogliazione.
Specie ad ampio areale, evidenzia caratteristiche pioniere; predilige i terreni umidi o anche
moderatamente asciutti, dalla pianura fino ad una quota di 1000 (1500) m; sporadico nei
popolamenti ripari.
Salice nero (Salix daphnoides).
Piccolo albero o arbusto bene sviluppato (3-10 m), possiede rami inizialmente pelosi (1° anno) e
fragili all’inserzione, poi glabri e con corteccia bruno-rossastra salvo i giovani getti più vigorosi che
si riconoscono facilmente per una vistosa cerosità di colore azzurrognolo. Le foglie sono lanceolate,
con la parte più larga posta poco sopra la metà della foglia; l’apice è cuneato, la base allargata e il
margine finemente seghettato. Alla base delle foglie presenti sui rami di allungamento sono presenti
le stipole53. Sia i fiori maschili che quelli femminili sono portati in amenti54 brevemente
peduncolati.
Specie esclusiva del piano montano delle Alpi nelle vallate continentali in un intervallo di quota
compresa fra 1000 e 1600 m, si insedia puro o misto nelle formazioni riparie; predilige suoli
ciottolosi a falda quasi affiorante.
51
Vedi nota 48.
52
Vedi nota 12.
53
Vedi nota 17.
54
Vedi nota 12.
Salice ripaiolo ( Salix eleagnos).
Arbusto di 3-4 m (raramente alberello sino a 10-15 m d’altezza, ma solo nelle aree a migliore
alimentazione idrica), è caratterizzato da rami tenaci, quelli giovani giallo-rossastri e tomentosi55 da
giovani poi lucenti. Le foglie sono più strette e allungate rispetto al salice rosso, ondulato-
denticolate al margine; in fase giovanile si presentano interamente bianche e tomentose, da adulte
mantengono tale caratteristica solo sulla pagina inferiore. Più spesso è presente su greti ciottolosi
con falda non superficiale; è molto diffuso in questi ambienti su Alpi e Appennino fino ad una
quota di 1800 m.
55
Vedi nota 39.
56
Vedi nota 48.
57
Vedi nota 26.
Sambuco rosso (Sambucus racemosa).
Arbusto alto 1-5 m, estremamente ramificato, ha una corteccia bruno-violetta con lenticelle
biancastre disposte longitudinalmente. Le foglie sono imparipennate, composte da 3-7 segmenti
lanceolati, acuminati nella parte apicale, seghettati e lucidi nella pagina inferiore. I fiori bianco-
giallastri, di ridotte dimensioni, sono portati in infiorescenze a grappolo. Il frutto è una drupa
subsferica di colore rosso. Specie presente in tutto il Piemonte sulle Alpi, entra sporadicamente a far
parte delle cenosi riparie; può essere presente con una certa frequenza negli alneti di ontano bianco
ad una quota compresa tra i 900 e i 1300 m.
58
Vedi nota 26.
59
Vedi nota 20.
60
Vedi nota 22.
61
Vedi nota 23.
Spincervino (Rhamnus catharticus).
É un arbusto di altezza variabile tra 1 e 5 m, con corteccia bruno-rossastra e rami spinescenti
all’apice. Le foglie sono ellittiche o subrotonde, dentellate sul bordo e portate da peduncoli più
lunghi delle stipole62. I fiori sono molto piccoli, di colore giallo–verde, in gruppi di 2-8; il frutto è
una bacca nerastra. Specie eliofila, è diffusa soprattutto sulle Alpi, prevalentemente su substrati
calcarei, fino ad una quota di 800-1000 m su suoli asciutti e ciottolosi.
Può essere presente nelle radure delle boscaglie riparie tendenzialmente xerofile.
62
Vedi nota 17.
63
Vedi nota 29.
9.2 Caratteristiche biologiche delle specie.
Si riportano, per comodità di confronto, alcune caratteristiche biologiche delle specie prese in
considerazione perché aventi particolare influenza sulle tecniche di gestione selvicolturale da
applicarsi.
Acero di monte.
Radicamento: apparato radicale relativamente profondo e folto.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera (limitatamente alle fasi giovanili) e buona capacità
rigenerativa per via agamica; anemocora.64
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: media o elevata (superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: specie stabilizzatrice delle alluvioni nelle valli incassate, susseguente allo
stanziamento dell’ontano bianco, con altre latifoglie nobili.
Betulla.
Radicamento: radicamento superficiale, non fittonante , ma ben ramificato.
Rigenerazione: buona moltiplicazione sia gamica che agamica.
Accrescimento: rapido.
Longevità: media (di poco superiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: come il larice.
Biancospino.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: polloni radicali; disseminazione tramite gli uccelli (endozoocora65).
Accrescimento: lento.
Longevità: inferiore al secolo.
Posizione ciclo evolutivo: specie sporadica nei boschi ripari con inizi di evoluzione.
64
Disseminazione tramite vento.
65
Attraverso il tubo digerente degli animali.
Carpino nero.
Radicamento: profondo, fittonante (su substrato ciottoloso).
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera.
Accrescimento: abbastanza rapido in giovane età (polloni.).
Longevità: non molto longevo ( difficilmente supera i 100 anni, è praticamente ovunque governato
a ceduo su cicli brevi, 15-20 anni).
Posizione ciclo evolutivo: nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione, è sporadico e per lo
più marginale, salvo negli impluvi minori privi di acqua per gran parte
dell’anno dove può formare cedui puri o con l’orniello.
Cerro.
Radicamento: profondo, fittonante.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera.
Accrescimento: medio.
Longevità: elevata (alcuni secoli).
Posizione ciclo evolutivo: nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione è accidentale o
marginale.
Ciliegio a grappoli.
Radicamento: apparato radicale profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie accompagnatrice dell’ontano nero nei suoi boschi stabili in
ambienti paludosi.
Ciliegio selvatico.
Radicamento: profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali e facile disseminazione endozoocora.66
Accrescimento: medio.
Longevità: intorno ai 100 anni.
Posizione ciclo evolutivo: come il cerro, ma talvolta anche presente sulle Alpi.
66
Vedi nota 64.
Corniolo.
Radicamento: apparato radicale espanso.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera e possibilità di riproduzione per talea.
Accrescimento: medio.
Longevità: qualche decennio.
Posizione ciclo evolutivo: rara e marginale nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione.
Frangola comune.
Radicamento: apparato radicale espanso, profondo e ben ramificato.
Rigenerazione: buona sia gamica che agamica per polloni radicali.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: poco frequente nei boschi ripari dove invade suoli scoperti paludosi e
acidi.
Frassino maggiore.
Radicamento: apparato radicale profondo e fittonante ma molto ramificato.
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa sia agamica che gamica.
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: media (superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: come l’acero di monte
Fusaggine.
Radicamento: abbastanza superficiale.
Rigenerazione: modesta per via agamica; rinnovazione uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie sporadica nei boschi ripari con inizi di evoluzione.
Ginepro.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: possibile per talea prelevata in inverno.
Accrescimento: lento.
Longevità: qualche decennio.
Posizione ciclo evolutivo: raro nelle radure delle boscaglie nei greti appenninici.
Lantana.
Radicamento: relativamente profondo ed espanso.
Rigenerazione: facile sia gamica che gamica; rinnovazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: sporadico nei boschi ripari di pino silvestre delle Langhe e nelle radure
dei greti appenninici.
Larice.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: anemocora.67
Accrescimento: rapido nelle fasi giovanili.
Longevità: molto longeva (plurisecolare).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero e relativamente stabile nei greti se non soggetto all’azione di
inghiaiamento o erosiva delle alluvioni.
Melo selvatico.
Radicamento: profondo e allargato.
Rigenerazione: discreta capacità pollonifera; disseminazione tramite animali (zoocoria).
Accrescimento: lento.
Longevità: superiore al secolo.
Posizione ciclo evolutivo: sporadico e marginale nei greti appenninici.
67
Vedi nota 63.
Nocciolo.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: buona propagazione per talea ed eventuale ceduazione; rinnovazione da seme
tramite roditori.
Accrescimento: inizialmente rapido.
Longevità: ceppaia con vitalità in genere inferiore al secolo con ricambio dei polloni ogni 15-20
anni.
Posizione ciclo evolutivo: specie piuttosto esigente, sporadica nei boschi ripari con inizi di
evoluzione.
Olmo campestre.
Radicamento: apparato radicale profondo e “tracciante”, allargato.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali; anemocora.
Accrescimento: medio.
Longevità: oggi poco longevo (pochi decenni o anche meno) a causa degli attacchi di grafiosi; un
tempo era specie molto longeva (più secoli).
Posizione ciclo evolutivo: un tempo specie d’accompagnamento nei boschi planiziali umidi, a
contatto esterno con quelli ripari, oggi qui del tutto sporadico.
Olmo montano.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: discreta facoltà pollonifera da ceppaia.
Accrescimento: medio.
Longevità: oggi poco longevo (pochi decenni o anche meno) a causa degli attacchi di grafiosi; un
tempo era specie molto longeva (più secoli).
Posizione ciclo evolutivo: specie stabilizzatrici delle alluvioni nelle valli incassate, susseguente allo
stanziamento dell’ontano bianco, con altre latifoglie nobili.
Ontano bianco.
Radicamento: profondo e ramificato, resistente all’apporto di materiale ciottoloso (ottima azione
antierosiva).
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera da ceppaia; facile rinnovazione tramite vento
68
(anemocora ).
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longeva (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: pioniera e spesso stabile nei greti con falda elevata (talvolta anche in
Appennino).
Ontano nero.
Radicamento: profondo e fascicolato.
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera e capacità di affrancamento dei polloni; diffusione
anemocora69.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longeva (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: stabile lungo i torrenti, misto ad altre latifoglie o puro nelle zone
paludose.
Orniello.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera e buona disseminazione anemocora.
Accrescimento: medio.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: invadente zone scoperte (sporadico nei greti appenninici).
68
Vedi nota 63.
69
Vedi nota 63.
Palla di neve.
Radicamento: apparato espanso ma poco profondo.
Rigenerazione: buona per via agamica (polloni radicali e per talee); disseminazione per via
endozoocora.70
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie non frequente, d’accompagnamento nel sottobosco dei boschi
paludosi di ontano nero
Pino silvestre.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: rinnovazione tramite vento (anemocora).
Accrescimento: rapido da giovane.
Longevità: media o elevata(superiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero sui greti ciottolosi dove può comportarsi come specie stabile
(salvo alluvioni) nelle valli alpine continentali e, talvolta, nelle Langhe.
Pioppo bianco.
Radicamento apparato radicale poco profondo.
Rigenerazione: discreta facoltà pollonifera (abbondante emissione di polloni radicali) e
riproduzione per talea più o meno buona a seconda degli individui.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: come il pioppo nero.
70
Vedi nota 64.
Pioppo nero.
Radicamento: apparato radicale poco profondo.
Rigenerazione: modesta facoltà pollonifera in giovani esemplari e ottima riproduzione per talea.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: specie pioniera e stabile sui greti, mista ad altre specie riparie, negli
Appennini e sulle Alpi.
Pioppo tremolo.
Radicamento: apparato radicale profondo e ben sviluppato.
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera (abbondante emissione di polloni radicali).
Accrescimento: rapido (inizialmente).
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Prugnolo.
Radicamento: apparato radicale tenace e ben sviluppato anche se non profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali; rinnovazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie di bordo, del tutto sporadica nei boschi ripari.
Robinia.
Radicamento: apparato radicale molto ampio e profondo con elevato potere consolidante.
Rigenerazione: elevata capacità pollonifera e abbondante emissione di polloni radicali (si riproduce
soprattutto agamicamente tramite ceduazione).
Accrescimento: inizialmente rapido.
Longevità: poco longevo come pollone.
Posizione ciclo evolutivo: invadente zone scoperte (anche greti ma solo a bassa quota), stabile e in
ulteriore diffusione se ceduata.
Roverella.
Radicamento: profondo, fittonante.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera.
Accrescimento: lento.
Longevità: molto longevo (alcuni secoli).
Posizione ciclo evolutivo: come il cerro.
Salice bianco.
Radicamento: apparato radicale poco profondo, limitato dall’altezza della falda.
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talea) e buona capacità pollonifera
fino a circa 15 anni.
Accrescimento: modesto.
Longevità: scarsa (non superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: tipica specie riparia che si dissemina rapidamente sulle alluvioni recenti
formando boschetti puri o quasi a bassa quota, relativamente stabili
(salvo l’azione delle alluvioni).
Salice da ceste.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto(con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa per via agamica (talee); diffusione del seme tramite il
vento ma del tutto subordinata a quella del salice bianco.
Accrescimento: medio.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero delle alluvioni sabbiose con il salice bianco (vedi), ma con
presenze sporadiche.
Salice delle capre.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva almeno
superficiale).
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa per via agamica (talee), buona facoltà pollonifera
(limitata alle fase giovanile).
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: invadente suoli scoperti e di riporto, freschi, quale specie preparatoria;
poco frequente nei boschi ripari.
Salice nero.
Radicamento: apparato radicale profondo e ben sviluppato.
Rigenerazione: buona riproduzione per talee caulinari a radicali da raccogliere durante la fioritura.
Accrescimento: rapido nelle fasi giovanili.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).
Salice ripaiolo.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talee) legata però al periodo di riposo
vegetativo.
Accrescimento: rapido.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: lungo i torrenti alpini ripariolo può costituire boschetti misti con l’ontano
bianco..
Salice rosso.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talee), anche se in vegetazione.
Accrescimento: rapido.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: tipica pioniera con il salice ripaiolo.
Sambuco nero.
Radicamento: superficiale.
Rigenerazione: buona propagazione per talea.
Accrescimento: lento.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: specie d’accompagnamento nitrofila (soprattutto nei robinieti).
Sambuco rosso.
Radicamento: superficiale.
Rigenerazione: buona propagazione per talea.
Accrescimento: lento.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).
Sanguinello.
Radicamento: non molto profondo.
Rigenerazione: per seme dopo macerazione dei frutti o per via endozoocora.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: talvolta frequente nei boschi ripari umidi.
71
Vedi nota 63.
Spincervino.
Radicamento: profondo nei terreni ciottolosi.
Rigenerazione: disseminazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: sporadico nelle aree scoperte dei greti.
Tiglio selvatico.
Radicamento: apparato radicale fittonante e robusto.
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera.
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: elevata (plurisecolare).
Posizione ciclo evolutivo: come l’acero di monte.
10. BIBLIOGRAFIA.
Foto-1 Valle Curone. Formazione lineare dell’Appennino a pioppo bianco e pino silvestre. Si tratta di popolamenti
importanti sotto l’aspetto protettivo e di elevato valore estetico-paesaggistico; pertanto devono essere evitati interventi
sistematici di eliminazione dello strato vegetale qualora non siano strettamente necessari (foto Ferraris).
Localizzazione.
Questa formazione si colloca lungo i corsi d’acqua minori e secondari dei fondovalle appenninici
fino ad una quota di 400-600 m.
Formazioni diffuse in Val Borbera, Val Curone e localmente nella Valle
Scrivia.
Struttura e vegetazione
Si tratta di formazioni lineari, di parziale origine antropica talvolta ottenute inserendo
pioppi ibridi frammenti alle specie spontanee, in cui si susseguono gruppi di alberi
governati ad alto fusto con altri governati a ceduo; i soggetti dominanti raggiungono
facilmente i 20 m di altezza. Le specie presenti sono pioppo ibrido, pioppo nero,
pioppo bianco, noce, salice bianco, pino silvestre (raro) ontano nero e robinia; queste
ultime si trovano generalmente allo stato di ceduo.
L’alveo, nelle zone di maggiore ampiezza (3-5 m), può essere parzialmente
colonizzato da salice bianco, in forma arbustiva o arborea allo stadio di spessina.
Foto-2 Formazione lineare della bassa Valle Borbera. Tratto di corso d’acqua secondario in cui sono visibili alcuni
salici bianchi capitozzati ed un esemplare di pioppo ibrido. E’ assolutamente necessario asportare prontamente i pioppi
giunti a maturità per scongiurare, in caso di piene, una loro eventuale caduta in alveo (foto Ferraris).
INTERVENTI.
• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Ontano nero.
• Albero che può oltrepassare i 25m.
• Chioma molto densa di colore verde scuro.
• Corteccia grigio-scura, con grosse lenticelle e placche rotondeggianti.
• Foglie rotondeggianti ottuse o rientranti all’apice con denticolatura
poco evidente.
• Fiori separati; maschili in infiorescenze pendule a forma di spiga,
femminili simili a piccole pigne.
Pioppo bianco.
• Albero di grandi dimensioni (35 m).
• Chioma ampia e irregolare sorretta da grosse ramificazioni.
• Corteccia in età giovanile biancastra e liscia poi rugosa, scura e
profondamente screpolata nella parte inferiore del fusto.
• Foglie palmate con 5 lobi e con fitta peluria bianca nella pagina
inferiore.
Pioppo nero.
• Albero di prima grandezza di 25-30 m.
• Chioma espansa.
• Foglie piccole, lisce e di forma romboidale.
• Fiori maschili e femminili separati, costituiti da amenti privi di
peluria.
• Fioritura in marzo-aprile, prima dell’emissione delle foglie.
Salice bianco.
• Albero alto sino a 20-25 m.
• Foglie lanceolate a margine finemente seghettato e fitta peluria setosa
sulla pagina inferiore.
• Fiori maschili e femminili su piante diverse, raccolti in amenti.
Robinia.
• Albero alto fino a 15-20 m.
• Chioma leggera, ampia.
• Presenza di aculei abbinati alla base delle foglie.
• Foglie divise in foglioline ovali in numero dispari lungo la nervatura
centrale.
• Fiori bianchi, portati in grappoli : hanno un profumo gradevole.
• Frutto coriaceo, appiattito e nerastro.
PIOPPETO DI GRETO DELL’APPENNINO
Foto-1 Pioppeto di pioppo nero misto a salice bianco e pioppo bianco tra Volpedo e S. Sebastiano
Curone in Valle Curone. I pioppeti di greto presenti nella Val Curone pur avendo una struttura
simile a quella osservata nei popolamenti della vicina Valle Borbera, ne differiscono per non essere
mai in purezza ma misti ad altre specie quali: salice bianco, pioppo bianco, ontano nero e ontano
bianco (foto Mondino).
Localizzazione.
Questa formazione boschiva, diffusa nei tratti iniziali e medi delle vallate
appenniniche, si insedia lungo i corsi d’acqua minori, soprattutto alla
confluenza con i torrenti, e sui greti ciottolosi posti nelle immediate
vicinanze. Le formazioni di maggiore estensione si trovano sui depositi
alluvionali recenti , posti a circa 1-1,5 m sul livello medio della falda, nelle
zone in cui le piene stagionali hanno una modesta azione erosiva.
Formazioni diffuse in Val Borbera e Val Curone.
Struttura e vegetazione
Sono boschi in gran parte coetanei, a struttura biplana (a due piani verticale), poco
estesi e diffusi in piccoli gruppi lungo i fiumi e i torrenti; i soggetti dominanti
possono raggiungere e superare 25 m di altezza e 40 cm di diametro. L’alto fusto è
composto in prevalenza da pioppo nero, pioppo bianco e pioppo ibrido. Nel
sottobosco si trovano ontano nero, olmo campestre, ciliegio, robinia, orniello e
arbusti di biancospino, sanguinello, fusaggine e nocciolo.
Foto-2 Interno di pioppeto di pioppo bianco tra Volpedo e S. Sebastiano Curone in Valle Curone.
Qualora i pioppi spontanei o ibridi posti a ridosso della sponda abbiano raggiunto la maturità,
devono essere utilizzati, in quanto la loro presenza in alveo, date le grandi dimensioni che essi
possono raggiungere, costituisce un notevole impedimento al regolare deflusso delle acque in caso
di piene che ne provochino lo sradicamento(foto Mondino).
INTERVENTI.
• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Pioppo nero.
• Albero di prima grandezza di 25-30 m.
• Chioma espansa.
• Foglie piccole, lisce e di forma romboidale.
• Fiori maschili e femminili separati, costituiti da amenti privi di
peluria.
• Fioritura in marzo-aprile, prima dell’emissione delle foglie.
Pioppo bianco.
Ontano nero.
Ciliegio.
• Albero di 20 m, con tronco eretto, cilindrico.
• Rami robusti e ascendenti, all’inizio quasi verticillati.
• Corteccia liscia, con lenticelle evidenti, rossastra e lucida da giovane
negli adulti con screpolataure anulari intorno al tronco.
• Fiori bianchi, vistosi, riuniti in fascetti.
ALNETO DI ONTANO BIANCO DELL’APPENNINO
Foto-1 Alneto di ontano bianco dell’Appennino nei pressi di Fabbrica Curone lungo torrente confluente nella Val Curone.
Formazione a ceduo, con sviluppo tendenzialmente lineare, costituita da soggetti di piccolo diametro ed altezze inferiori ai 10 m (foto
Mondino).
Localizzazione.
Cenosi boschiva presente ai bordi dei ruscelli affluenti dei torrenti
principali intorno a 400-500 m, nelle vallate appenniniche su substrato
calcareo (calcareo-marnoso). Sono popolamenti a sviluppo quasi lineare e
frammentati lungo corsi d’acqua di portata molto modesta dove il basso
livello della falda non consente un’ulteriore affermazione laterale delle
specie riparie.
Formazioni presenti in Val Curone.
Struttura e vegetazione
Si tratta di cedui dove la specie principale è l’ontano bianco quasi puro con qualche
esemplare di Salix eleagnos, sanguinello, frangola e nocciolo; la vitalba è presente ai
bordi.
Il piano arbustivo è generalmente reso frammentario dalla notevole copertura
esercitata dall’ontano bianco; sono comunque da rilevare: sanguinello, lantana,
biancospino, frangola comune e carpino nero.
Foto-2 Alneto di ontano bianco dell’Appennino nei pressi di Fabbrica Curone lungo torrente confluente nellaVal Curone.
Nella foto presa in esame risulta evidente la necessità di intervenire in tempi brevi per asportare i soggetti instabili e per ceduare le
ceppaie di ontano, preservando almeno un pollone per ceppaia con funzione di tirasucchio (foto Mondino).
INTERVENTI.
1. Ceduazione delle ceppaie nella fascia a ridosso del corso d’acqua con
rilascio di almeno 1 pollone con funzione di tirasucchio.
2. Tagli fitosanitari.
3. Asportazione dei detriti in alveo in un tratto di 100 m a monte dei ponti.
• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Ontano bianco.
Salice ripaiolo.
Nocciolo.
Carpino nero.
• Albero di 10-15 m circa.
• Corteccia bruno-rossiccia, liscia da giovane, si screpola con l’età.
• Foglie ovali, acuminate, seghettate e simmetriche alla base.
• Fiori maschili portati in lunghi amenti penduli di colore giallo-verde.
• Frutti raccolti in grappoli simili all’infiorescenza femminile del luppolo.
SALICETO DI SALICE BIANCO
Foto1-Valle Belbo. Si tratta di giovani e pure perticaie di salice bianco interessate periodicamente
dalle piene ordinarie che impediscono processi di ulteriore evoluzione.
Localizzazione.
Le formazioni di maggiore estensione sono presenti lungo i fiumi ed i corsi
d’acqua dei fondovalle dell’Alta Langa; si collocano a circa 0,5 m sul
livello della falda sui depositi sabbiosi di recente formazione che si
originano nell’alveo ed in prossimità delle sponde.
Popolamenti diffusi in Valle Bormida di Millesimo e in Valle Belbo.
Struttura e vegetazione
Si tratta di popolamenti coetanei, a struttura biplana e a rapido accrescimento in cui i
soggetti dominanti possono raggiungere 15 m di altezza.
Il piano arboreo è formato da soggetti ad alto fusto, generalmente giovani, di salice
bianco unitamente a sporadici individui di ontano nero, ontano bianco e pioppo
bianco; nello strato arbustivo prevalgono salice ripaiolo, salice da ceste, salice delle
capre, sanguinello e, nelle aree sopraelevate e marginali rispetto al normale corso
delle acque, rinnovazione di ontano nero, ontano bianco, carpino nero e robinia.
Foto 2- Valle Belbo. Visione interna di giovane fustaia di salice bianco in cui lo strato erbaceo composto da alte erbe
nitrofile indica la presenza di notevole sostanza organica nel suolo.
INTERVENTI.
1. Taglio dei salici bianchi e dei pioppi con altezze superiori a 15-20 m.
2. Eliminazione dei detriti vegetali presenti in alveo
3. Tagli fitosanitari e di messa in sicurezza dei soggetti inclinati, schiantati o
morti.
Prima dell’intervento. Dopo l’intervento.
• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Salice bianco.
• Albero alto sino a 20-25 m.
• Foglie lanceolate a margine finemente seghettato e fitta peluria setosa sulla
pagina inferiore.
• Fiori maschili e femminili su piante diverse, raccolti in amenti.
Ontano nero.
Ontano bianco.
Pioppo bianco.
• Albero di grandi dimensioni (35 m).
• Chioma ampia e irregolare sorretta da grosse ramificazioni.
• Corteccia in età giovanile biancastra e liscia poi rugosa, scura e screpolata
nella parte inferiore del fusto.
• Foglie palmate con 5 lobi e con peluria bianca nella pagina inferiore.