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I trattini di Bobbio

In morte di un filosofo che in vecchiaia ha sacrificato alla verità l’onnipotenza etica

Fu un mercoledì di novembre, l’11, quando la porta di casa Bobbio si aprì per il Foglio.
Era il 1999, il 18 ottobre, appena un mese prima, nel giorno del compleanno di Norberto Bobbio, giusto
per pura coincidenza erano apparse sul Foglio due letterine di auguri, una la Piccola Posta, l’altra il
Riempitivo. Nella prima finestra si rendeva giustamente omaggio al maestro, nel secondo riquadrino,
invece, gli auguri venivano formulati sotto forma di domanda, gli veniva chiesta insomma,
un’intervista. Più o meno si leggeva: visto che il grande regista Ingmar Bergan nel giorno del suo
compleanno ha chiuso i conti col passato rilasciando un’intervista, una confessione del tipo “il mio
nazionalsocialismo”, perché non ce la concede lei, lei che ha tutta la grandezza e l’autorità di discuterne
liberamente, “il mio fascismo”? Il filosofo – noto anche per aver scritto a Benito Mussolini chiedendo
di farla franca nel momento del carcere, esprimendo sentimenti di devozione quando altri andavano in
prigione – rispose con tanto di lettera, offrì la propria disponibilità: venga quando vuole, fu la risposta.
Fu sufficiente una telefonata e tutto l’equivoco, il rimosso, il non detto fabbricato addosso al potente
vecchio dell’intransigenza azionista, democratica e antifascista – al momento della domanda, “perché –
voi azionisti, democratici, antifascisti, non avete mai raccontato il vostro esservi compromessi con il
fascismo?” – si svelò nell’onesta orchestrazione di un sospiro fatto tutto di trattini: “Perché ce ne ver-
go-gna-va-mo”.
Ciò che graficamente – il trattino – rendeva agli occhi per come l’avevamo lasciato nelle orecchie, non
venne corretto dal filosofo l’indomani, quando prima di andare in stampa, venne appunto da lui
visionato tutto il testo: lasciò tutti e cinque i trattini, cancellò solo qualche aggettivo complimentoso,
non tolse nessuna frase di quel pomeriggio fatto di tre nastri registrati.
Ovviamente tutto ciò che si lesse in pagina non era il risultato della fedele sbobinatura, era solo un
foglio di giornale sottoscritto dal filosofo che vi si riconobbe al punto – gambe di ballerina comprese,
autore anche di rivista teatrale quale fu – di dover scrivere lui, sulla sua Stampa, due giorni dopo,
quando la polemica aveva preso fuoco – quando La Repubblica aveva tentato di liquidare l’intervista
come se il vecchio, come se fosse solo un rincoglionito, fosse stato preso nel sonno, quando la cerchia
più stretta dei suoi si rinchiuse ancora nel raccapriccio – fu appunto lui stesso a scrivere un colonnino
per confermare che il Bobbio del Foglio era proprio il Bobbio che voleva raccontarsi definitivamente.
Definitivamente sulla questione cruciale poi, quella dell’Errore, quella della Viltà, quella della Tirannia,
dunque quella rovina da cui tornare finalmente uscendo dall’obbligo dell’omertà democratica, laica e
antifascista, quella del rito torinese dove lui, senatore a vita, padre della patria, ne incarnava il crisma, il
suggello, l’onnipotenza etica.
La grandezza di un uomo
Non c’era solo l’eufemistico risvolto di copertina della sua bellissima autobiografia (Laterza), non
dunque “I temi e le angosce, le contraddizioni e il senso del Novecento”, c’era la grandezza di un uomo
davanti all’orrido di una finzione troppo a lungo ciancicata tra gli sghignazzi dei suoi falsissimi devoti
e le recriminazioni degli sconfitti, doverose forse, ma troppo rancorose per rendere giustizia a un
protagonista come Bobbio. C’erano quindi i trattini, pronunciati con la scansione ritmica e coraggiosa
del crescendo. Come a voler dire che il suo fascismo di giovane accademico – ormai solo perché i suoi
compagni prendevano la via del carcere, quella dell’esilio, quella della persecuzione – era appunto
quell’Errore, quella Viltà, quella Tirannia che lo trascinava lungo i confini della Repubblica sociale a
fare il suo lavoro di intellettuale con vergogna, per vergognarsene in silenzio dopo, quando la patria
repubblicana lo avrebbe additato tra i massimi esempi di civismo, costringendolo all’omertà della
comoda magniloquenza, quasi al ridicolo.
E invece no, di Norberto Bobbio che è stato tra i massimi militanti della democrazia, resterà anche la
scomoda magniloquenza dei trattini. Autore di “Profilo ideologico del Novecento”, autore di un libro
dove il profilo del Novecento viene adattato alle necessità ideologiche, quindi un profilo censorio,
monco, privo di quelle voci che hanno fatto il frastuono della stagione italiana, nella scomodità di quel
pomeriggio ripercorre anche il filo di pietà e omaggio a Giovanni Gentile, il filosofo ucciso e poi
cancellato nel catalogo comodo e magniloquente dell’Italia intransigente.
Quel pomeriggio di novembre, mercoledì, faceva impressione il disegno di Guttuso appeso al muro,
tutta la comitiva dei Cesare Luporini, degli Aldo Capitini, degli Umberto Morra e dei Guido Calogero.
Sembrava la certificazione di comprovata adesione all’elenco dei “candidati indipendenti di sinistra”.
Sembrava incorniciato tra i trattini.

Pietrangelo Buttafuoc IlFoglio 10 gen 2003

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