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20 aprile 2019 - 07:14 > Versione online

“In Germania e Uk la ricerca è più libera


perché ci sono fondi. Tornare? No, all’estero
sono soddisfatta”
di Raffaele Nappi | 20 Aprile 2019

Elisa dopo la triennale in Biotecnologie a Urbino ha cominciato a cercare una posizione di ricerca
all’estero. E dopo la Germania ora è ad Oxford per un dottorato in fisiologia e scienze della vita.
"Non critico il mio paese e sono emigrante per scelta. Ma non voglio rientrare in Italia"
di Raffaele Nappi | 20 Aprile 2019 32



Più informazioni su: Cervelli in Fuga Regno Unito, Ricerca Scientifica, Ricercatori
Quando Elisa comincia a rispondere alle domande per l’intervista, mette subito in chiaro una
cosa: “No, non mi va di essere retorica, di passare come quella che è andata all’estero e ora critica
il suo Paese. È solo che qui mi trovo bene, sono un’emigrante per scelta e non solo per necessità,
e la mia ricerca è libera. Il problema più grande, se me lo chiedi, è proprio questo: in Italia si
investe veramente poco nella ricerca; senza contare gli stipendi bassi e in aggiunta la progressione
nella carriera universitaria, non sempre basata sul merito”. Elisa Vergari ha 33 anni e viene da un
piccolo paesino nella provincia di Pesaro, Piandimeleto. Dalla sua frazione che ha meno di 100
abitanti è riuscita a ottenere un dottorato a Oxford, passando prima per la Germania poi per il
Canada. Il suo ultimo studio è stato pubblicato su Nature Communications.
Dopo la triennale in Biotecnologie a Urbino Elisa ha cominciato a cercare una posizione di
ricerca all’estero: “Ho letto e appreso che in Germania il cosiddetto ‘NebenJob’ (lavori per
studenti, ndr) era retribuito, a differenza dell’Italia: sarei riuscita a pagarmi i miei studi e a non
dover più dipendere dai miei genitori”, racconta. Così ha fatto un biglietto di sola andata per
Amburgo: “Ho ottenuto una borsa di studio Erasmus Placement per andare a fare un tirocinio alla
Sigma-Aldrich, una famosa multinazionale nel settore delle Life Sciences”.
Elisa arriva in Germania senza conoscere il tedesco. “Il mio mentore alla Sigma, Michael, mi ha
accolta con un fantastico benvenuto, spiegando per dettaglio quali sarebbero state le mie
mansioni. Abbiamo fatto un giro per la città, poi sono stata presentata al resto del team”. Elisa
frequenta corsi serali e, intanto, cerca di cavarsela con l’inglese. “La voglia di restare era tanta”.
Mentre è impegnata ancora col suo tirocinio ad Amburgo riceve un’offerta dalla Technische
Universität Dresden, affiliata con il famoso Max Planck Institute, per fare un Master in Molecular
Bioengineering. “Un sogno che diventava realtà: ho accettato immediatamente”. Da lì, il passo
definitivo ad Oxford, per un dottorato in fisiologia e scienze della vita.
La borsa di dottorato che mi ha offerto il Wellcome Trust copriva tutte le spese per la mia ricerca,
tasse universitarie incluse. E lo stipendio è buono
Anche in Inghilterra l’accoglienza è positiva. “La borsa di dottorato che mi ha offerto il

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Wellcome Trust copriva tutte le spese per la mia ricerca, tasse universitarie incluse (che in
Inghilterra sono abbastanza alte) garantendo uno stipendio soddisfacente”. La giornata tipo?
“Quando si pensa a un ricercatore si immagina immediatamente il camice bianco, occhiali
protettivi e guanti – spiega Elisa –. La mia è molto variegata, ed è forse proprio questo l’aspetto
più interessante”. Si può passare dagli esperimenti alla formulazione delle ipotesi (che possono
poi essere confermate o confutate), dalla supervisione degli studenti all’ordine dei materiali, dai
corsi di formazione ai meeting, dagli articoli alle tesi.
Differenze? È inutile ribadire che ci siano dei vantaggi dal punto di vista economico. Elisa precisa
che ha avuto una sola esperienza lavorativa in Italia, ma una cosa è certa: “Nel mio laboratorio
italiano al tempo della mia tesi di laurea sperimentale triennale non c’erano molti fondi, per cui si
era molto limitati negli approcci sperimentali, perché certi composti chimici erano troppo costosi
e certi esperimenti non li potevamo fare. Sia in Germania che in Inghilterra non ho mai avuto di
questi problemi quindi la mia ricerca era, per così dire, più libera”.
La difficoltà più grande finora è stata la lontananza dalla famiglia, oltre al fatto di imparare nuove
lingue. Elisa, però, vede il suo futuro ancora all’estero: “Spero di tornare, un giorno? No. La mia
scelta di rimanere a vivere e lavorare all’estero è una decisione personale perché mi sento più
soddisfatta e non solo per il vantaggio economico”. E poi “anche all’estero non mancano
problemi e, soprattutto, anche ricercatori inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, svedesi passano
periodi di ricerche in altri Paesi. Fa parte del mestiere”.
Il suo studio fatto in collaborazione con i colleghi dell’Università di Oxford e pubblicato su
Nature Communications potrebbe “migliorare, se non salvare la vita delle migliaia di pazienti
diabetici sottoposti al trattamento di insulina”. Il momento più bello rimane però l’incontro con
sua mamma dopo un anno di separazione: lei era stata in Canada per preparare la sua tesi di
master, la mamma non era mai stata all’estero prima: “Insomma, questi figli emigranti – conclude
Elisa – a volte sono una buona scusa per far viaggiare i genitori”.
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