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IL LATTE - Prof.

Guida" Appunti di Anna De Simone

La normativa di riferimento è il decreto del presidente della repubblica n.54 del 1997 ed
afferma che il latte è un prodotto ottenuto dalla mungitura ininterrotta e completa di un
animale in stato di salute e nutrizione.
Per capire di quale animale si tratta, ci si affida alla derivabilità, che, per quanto riguarda
il latte in commercio si tratta di “latte vaccino” cioè derivato dalle vacche, in particola
modo, si tratta della specie Bos Taurus.
Qualora dovesse essere commercializzato latte proveniente da altri animali, come la
pecora, la capra o latte di bufala, è necessario che il produttore ne specifichi la
provenienza.
Ben diversa è la definizione del latte che si trova sul dizionario, infatti qui è specificata
lʼorigine: il latte è un liquido bianco e dolce, secreto dalle ghiandole mammarie e che trova
ampio utilizzo nel settore alimentare.
La ghiandola mammaria è un insieme di capillari intrecciati con i cosiddetti alveoli.
Allʼinterno degli alveoli viene assorbita lʼacqua presente nel sangue e sono sintetizzate
molecole proteiche e grassi. Gli alveoli sfociano nei “dotti galattofori” dove si accumulano
molti batteri e si sintetizzano gli zuccheri.
Tutti i dotti galattofori sfociano a loro volta in un sito dʼaccumulo detto “cisterna del latte”,
questo è collegato allʼesterno con lʼorifizio del capezzolo dal quale è possibile estrarre il
latte mediante la mungitura.
In primis, negli alveoli viene convogliata lʼacqua proveniente dai capillari, infatti il latte è
costituito dallʼ87% da acqua e il restante 13% è diviso tra sali minerali (1%), proteine (3%),
grassi (4%) e zuccheri (lattosio 5%). Eʼ anche vero che non tutti i nutrienti si trovano nelle
stesse proporzioni in ogni tipo di latte. Quelle appena citate sono le quantità presenti nel
latte vaccino ma, ad esempio, nel latte umano ci saranno meno proteine ma molti più
zuccheri. Come è intuibile, il latte è una miscela eterogenea, più precisamente una
miscela di fasi dove ognuna di queste rappresenta una porzione omogenea.
Le fasi tendono fortemente a separarsi. Nella componente principale, lʼacqua, sono
sciolti gli zuccheri e i sali minerali, dando vita ad una vera e propria soluzione.
Le proteine e i fosfati, sono macromolecole e in acqua formano una soluzione colloidale,
ancora, ci sono i grassi che essendo idrofobi non si disciolgono affatto e creano un
emulsione. Infine sono presenti microrganismi e cellule che costituiscono quella fase
definita “sospensione” di cui le particelle sono visibili anche ad occhio nudo.

Soluzione: zuccheri e sali minerali disciolti in acqua -> siero di latte


Colloide: proteine e fosfati, macromolecole che non formano una soluzione -> caglio
Emulsione: grassi idrofobi che non si disciolgono affatto -> crema
*Sospensione: cellule e microrganismi visibili ad occhio nudo

Poiché le fasi tendono fortemente a separarsi, lasciando del latte crudo, cioè appena
munto, a temperatura ambiente, la prima componente a separarsi è lʼemulsione: questi si
stratificano in superficie andando a costituire la “crema”. A questo punto, ciò che resterà è
il cosiddetto latte scremato. Successivamente si coaguleranno le proteine e il colloide darà
vita alla cagliata, utilizzata per la produzione di formaggio. Gli zuccheri saranno espulsi
mediante il siero di latte.
Zucchero, proteine e lipidi rappresentano i metaboliti di numerosi batteri, dunque, da un
punto di vista igienistico si tratta di un alimento particolarmente interessante.
Proteine -caseina-: rischio deaminazione e decarbossilazione
Lipidi -trigliceridi-: rischio irrancidimento
Zuccheri -lattosio-: rischio fermentazione
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Fermentazione:
Il lattosio è un disaccaride costituito da glucosio e galattosio, questo può essere
trasformato e dar vita a fenomeni di fermentazione. Questi sono operati da batteri come lo
Streptococcus e Lactobacillus che trasformandolo in acido lattico daranno vita alla
fermentazione lattica. In concomitanza con lʼacido lattico potrebbe crearsi unʼaltra
sostanza, in questo caso la fermentazione non sarà omolattica ma sarà definita
“eterolattica”, un esempio è dato dal lievito Saccharomices cerevisiae che causa, oltre la
fermentazione lattica, anche quella alcolica, producendo alcol etilico.
Il Propinibacterium causerà fermentazione propionica con la formazione dellʼacido
propanoico. Questi particolari batteri, durante la fermentazione producono gas che nella
produzione alimentare, sono la causa dei buchi che si trovano nei formaggi.
Batteri come il Clostridium daranno vita alla fermentazione butirrica, quella che causa
lʼodore poco gradevole delle uova marce.
Anche E. coli è un batterio lattosio fermentante, ed agisce principalmente a livello del
nostro intestino: le persone con un deficit enzimatico di Lattasi, non scindono il lattosio nei
due zuccheri semplici, pertanto, il lattosio sarà accumulato nellʼintestino dove la sua
fermentazione ad opera di E. coli, formerà i coliformi.

Irrancidimento:
Gli attacchi degradativi sui grassi sono molto più semplici: si tratta di un alterazione del ph
causata dalla scissione dei trigliceridi.
I trigliceridi sono formati da una molecola di glicerolo su cui sono esterificate 3 molecole di
acido grasso. Se il latte è contaminato da lieviti con Lipasi Extracellulari, questo enzima
libererà gli acidi grassi abbassando il pH e causando il rancido.

Deaminazione e decarbossilazione:
Lʼattacco degradativo può avvenire anche sulla caseina. Questa proteina è piuttosto
complessa e può essere aggredita da enzimi di batteri come Pseudomonas, Proteus,
Bacillus... questi enzimi agiscono sulla coda carbossilica degli amminoacidi, liberandola e
producendo anche anidride carbonica che reagendo con lʼacqua del latte, produce acido
carbonico (H2CO3) che abbassa il livello di pH.
Lʼattacco può avvenire anche sulla coda amminica, anche in questo caso seguirà la
produzione di acido e lʼabbassamento del pH.

Anche batteri e muffe possono portare ad alterazioni, il latte appena munto presenta
sostanze antimicrobiche che vanno a contrastare lʼeffetto della gran parte di batteri.

* Fase: sospensione
Eʼ data da cellule somatiche e batteri. Le cellule somatiche provengono dal sangue e in
minor parte dallo sfaldamento dellʼepitelio mammario. Le cellule somatiche rappresentano
un indicatore di qualità, la loro conta, infatti, può segnalare la bontà del latte appena
munto. Le cellule somatiche presentano unʼattività proteolitica e la loro abbondanza
porterebbe alla degradazione della caseina. Inoltre, il numero di cellule somatiche
aumenta quando vi è unʼinfezione in corso nella ghiandola mammaria, è il caso della
mastite bovina. La quantità di cellule somatiche è regolata da una normativa sul latte, in tal
modo si è certi di non commercializzare latte facilmente degradabile e di cattiva qualità.
Nei dotti galattofori delle ghiandole mammarie si accumulano numerosi batteri come i
micrococchi e i GRAM(-), dunque è inevitabile la presenza di questi nel latte, anche se la
mungitura ha luogo in un ambiente asettico. Eʼ anche possibile la presenza di lieviti e e
batteri lattici -fermenti- come lacotobacilli e streptococco. Questi si ritrovano anche nello
Yogurt. La flora microbica è sempre presente, ma ovviamente, questo tipo di
contaminazione può essere ridotto o aumentato a causa delle condizioni della mungitura.
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Il latte ha un elevato valore nutrizionale ed è molto diffuso: il 90% della popolazione ne


assume quotidianamente almeno 100 ml per la prima colazione, introducendo così il
12-15% del RDA -razione giornaliera consigliata- di Calcio.
Eʼ proprio per lʼelevato valore nutrizionale -lattosio, caseina e trigliceridi- che il latte funge
da substrato per molti batteri e può essere veicolo di numerose malattie infettive.

Contaminazioni
Le vie di contaminazione che riguardano questo alimento, coinvolgono lʼoperatore,
lʼanimale e ovviamente gli utensili adoperati.
Lʼoperatore, oltre a rispettare la comune igiene, deve prestare particolare attenzione al
ruolo che svolge: deve indossare guanti, camice e una mascherina ed egli stesso deve
essere in uno stato di buona salute. Questa ultima condizione è dettata dalla normativa di
riferimento -decreto n.54 del 1997- ed è tutelata mediante il libretto di lavoro
dellʼoperatore. Proprio come lʼoperatore, anche lʼanimale dovrà trovarsi in buono stato di
salute; a questo scopo, la normativa prevede un ambiente adeguato con pavimentazione
data da piastrelle facilmente lavabili, inoltre, dovrebbe essere concesso uno spazio di 40
mq per capo di bestiame.
Lʼanimale dovrà trovarsi in un ambiente tranquillo, in caso contrario sarà il produttore a
rimetterci: se lʼanimale dovesse produrre adrenalina -ad esempio, a seguito di uno
spavento-, lʼormone antagonizzerà lʼeffetto dellʼossitocina e la produzione di latte cesserà.
Lʼossitocina è lʼormone alveolo-stimolante, quindi induce la produzione di latte da parte
delle ghiandole.
La mungitura dovrà essere effettuata a mano, delicatamente, così da evitare ogni lesione
alla ghiandola mammaria. Dopo una lesione, potrebbe innescarsi unʼinfezione; molto
comune è la Mastite Bovina. Un infezione causerebbe maggior sfaldamento di cellule
della ghiandola, in tal modo aumenteranno le cellule somatiche presenti nel late così da
diminuirne la qualità e aumentare il rischio di degradazione proteica.
In caso in cui dovessero presentarsi difficoltà nella mungitura -causate dallʼinibizione
dellʼossitocina da parte dellʼadrenalina- lʼoperatore dovrà massaggiare le ghiandole così
da innescare la produzione di ossitocina e proseguire con lʼestrazione del latte dopo 6-7
minuti. Gli utensili devono essere rigorosamente igienizzati con agenti sanitarizzanti ma
non aggressivi.

Le Fasi della Produzione


Come intuibile, la prima fase è lʼestrazione del latte. Questo avviene mediante la
mungitura a seguito della quale vi sarà una “Filtrazione Grossolana” dove saranno
allontanati peli, capelli, polveri...
Dopo la filtrazione inizia quella che viene chiamata “Catena del Freddo” con la
“refrigerazione” dove il latte viene portato dalla temperatura di mungitura -circa 30°- alla
temperatura dei frigoriferi domestici, 4°.
Lʼabbassamento di temperatura è necessario per limitare la moltiplicazione microbica ma
non determina la distruzione di batteri, semplicemente ne rallenta la crescita.
La temperatura di 4° gradi è lʼideale per lo sviluppo di Pseudomonas, Enterobacter e
Flavobacter, pertanto, neanche in frigo il latte può essere conservato per più di 4-5 giorni.
La refrigerazione avviene nello stabilimento di mungitura e la catena del freddo viene
mantenuta anche durante il trasporto, effettuato con appositi camion che spostano il latte
fino al sito di stoccaggio. Qui il latte sarà centrifugato e avverrà la titolazione del grasso:
sul mercato è presente il latte intero, scremato o parzialmente scremato.
" Da un punto di vista produttivo è molto più semplice effettuare una scrematura
" completa e in base alla quantità di grassi del prodotto finito, avverrà la titolazione:
" sarà aggiunto il 3,5% di grassi nel caso di latte intero oppure, una proporzione
" minore qualora si trattasse di latte parzialmente scremato.
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La titolazione non è la fase finale, la catena produttiva continua con il processo termico
della pastorizzazione, sterilizzazione, impacchettamento in tetrapak o imbottigliamento.
" Uno studio effettuato al dipartimento di igiene ha messo in evidenza lʼimportanza
" della temperatura di conservazione: è stata confrontata la crescita batterica di
" alcuni campioni di latte tenuti a differenti temperature. Il campione a 4° non ha
" subito un elevata crescita batterica, solo dopo 72 h cʼè stato un leggero incremento,
" senza modificare lʼordine di grandezza di 103 . Il campione conservato a 10° ha
" subito un incremento batterico già dopo le prime 48 h passando da una grandezza
" di 103 a 104 e dopo 72 h. Nel campione tenuto a 16° la crescita batterica è
" esponenziale.
Gli inquinanti primitivi vengono persi a seguito del processo di sterilizzazione o
pastorizzazione quindi riguardano solo il latte crudo, appena munto, e comprendono la
mastite bovina, questa può derivare da tubercolosi, infezioni da Streptococchi,
Strafilococchi o da Campylobacter. Altri inquinanti primitivi possono derivare da
contaminazioni di tipo precario come infezioni da Salmonella o da E.coli -causate da
contaminazioni fecali-, oppure altre fonti come le polveri o la presenza di terreno; Iin ogni
modo, la gran parte di contaminanti può dar vita alla presenza di Brucelle o Bacillus
cereus. I trattamenti termici di risanamento bloccano la moltiplicazione dei batteri e
distruggono quasi tutti i batteri presenti. Il latte, prima di essere commercializzato,
dovrebbe essere sottoposto a trattamenti di sterilizzazione o pastorizzazione, ovvero,
dei processi di risanamento che abbattono e distruggono completamente la flora microbica
patogena.

La Pastorizzazione
Esistono due processi di pastorizzazione, lʼHTST (high temperature short time) e la
pastorizzazione propriamente detta. In entrambi i casi si tratta di un processo termico.
La pastorizzazione propriamente detta porta un flusso di latte alla temperatura di 72° gradi
per un intervallo di tempo ininterrotto di 15 secondi. Con lʼHTST, il latte viene esposto per
3-4 secondi ad 80-84°, in ogni caso, la temperatura non dovrà mai raggiungere i 100°.
La pastorizzazione distrugge tutti i microrganismi patogeni, gli unici batteri che
sopravvivono sono i fermenti lattici e la flora saprofita che sono generalmente presenti
anche dopo il trattamento termico. La pastorizzazione limita le alterazioni chimico-fisiche
ed organolettiche e la quantità proteica denaturata è minima; per garantire il corretto
funzionamento del processo di pastorizzazione, viene effettuata la prova della fosfatasi
alcalina. La fosfatasi è un enzima presente normalmente nel latte crudo, questo enzima si
denatura a 72° esattamente alla temperatura della classica pastorizzazione. Eʼ chiaro che
se il latte raggiunge in modo corretto la temperatura di 72°, la fosfatasi si dissiperà,
dunque, non saranno presenti fosfatasi dopo il processo termico. La pastorizzazione
determina una shelf-life di 3-4 giorni a temperatura di 4°.
Shelf-life= non si riferisce allo spazio temporale in cui il prodotto può essere consumato
senza ledere alla salute del consumatore, bensì alla sua durabilità da banco.Il latte si trova
nella sua “catena del freddo” a 4° gradi e per non subire uno shock termico e non
denaturare le proteine, il processo di Pastorizzazione prevede un primo
preriscaldamento con il quale, il latte raggiunge una temperatura di circa 35° 40° gradi,
successivamente vi sarà lʼomogenizzazione che vedrà i grassi titolati, ridotti a piccoli
globuli così da diminuire la tendenza alla separazione della “fase emulsione”. Il latte
omogeneizzato sarà degasato e poi potrà raggiungere i 72° per 15 secondi
(pastorizzazione propriamente detta) o 84° per un intervallo di tempo più breve (3-4 sec),
con la High Temperature Short Time. A questo punto il latte sarà riportato nuovamente alla
temperatura di 4° (raffreddamento), ci sarà il confezionamento e quindi la distribuzione.
Pastorizzazione: preriscaldamento (35-40°). omogenizzazione degasamento.
pastorizzazione (72° o 84°). raffreddamento (4°). confezionamento. distribuzione.
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La Sterilizzazione
Anche la sterilizzazione è un processo termico, unʼapplicazione di calore che distrugge
lʼintera carica microbica, compresi i batteri lattici, immuni al processo di pastorizzazione.
Come è intuibile, la sterilizzazione è un trattamento più drastico, infatti viene impedita del
tutto la proliferazione batterica e distrutte eventuali forme sporali.
Esistono due differenti metodiche di questo processo invasivo:
Latte autoclavato -a due stadi-: avviene una prima bollitura dove il latte viene portato a
130° per pochi secondi, ci sarà lʼimbottigliamento e successivamente sarà trattato con
vapore a temperatura di 120-130° per 15-20 minuti. La shelf-life sarà di 6 mesi.
Latte UHT: la sterilizzazione è meno invasiva e può subire una seconda classificazione, in
quanto, avviene in un solo stadio che può essere diretto ed indiretto. Lo stadio in
questione è quello che avviene durante il post-imbottigliamento dellʼautoclavato;
Con il latte UHT, lʼacqua raggiungerà i 150° e sterilizzerà il latte.
UHT diretto - la sterilizzazione avviene con vapore acqueo in diretto contatto con il latte.
Sterilizzazione
UHT indiretto - il latte è posto su di una piastra adiacente alla piastra che contiene il
vapore. In tal modo, il calore raggiunge il latte in seguito ad uno scambio, cioè, per
conversione da una piastra allʼaltra.
Con la sterilizzazione UHT, il latte avrà una shelf-life di 3 mesi. Per quanto riguarda le
caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche, vediamo che un latte UHT subirà meno
alterazioni rispetto ad un latte autoclavato.
Con la sterilizzazione, oltre la prova della fosfatasi alcalina negativa, dovrà risultare
negativa anche lʼanalisi della perossidasi, unʼenzima che si denatura a 120-130°.

Lʼefficacia del processo di sterilizzazione dipende dalla qualità del latte, quindi dellʼintero
processo di produzione. Questo perché con la sterilizzazione viene abbattuta “solo” una
grossa percentuale di batteri, ma non il 100%. Dunque, per avere del latte non
contaminato è necessario che i procedimenti siano adeguati fin dallo stabilimento di
mungitura: è proprio per questo che lʼambiente e lʼoperatore sono considerate delle vie di
contaminazione. Se lʼoperatore non segue le norme di “buona igiene”, il latte rischia di
giungere alla fase di sterilizzazione con una quantità di microrganismi troppo elevata.
Come già detto, la sterilizzazione è un processo invasivo che altera le proprietà native del
latte, infatti, non è solo il sapore a risentirne: alcune vitamine come la B6, vengono
dissipate ad alte temperature. Alcuni studi effettuati, hanno dimostrato che tutto dipende
dal tempo di esposizione al calore. Sono necessarie elevate temperature per elidere
batteri ed inattivare le spore, ma lʼinattivazione delle spore avviene anche se lʼesposizione
al calore è di pochi secondi. Le tecnologie devono puntare su questo, un tempo
abbastanza corto da non alterare le vitamine del latte, ma temperature abbastanza alte da
completare lʼinattivazione delle spore.
Grazie allʼavvento di una nuova tecnologia, infatti, sul mercato è presente una qualità di
latte “Microfiltrato”, cioè, che dopo il processo di pastorizzazione, ha subito, una
filtrazione molto più elaborata di quella grossolana. Il latte viene filtrato attraverso delle
particolari membrane che fungono da setaccio riuscendo a discriminare una grossa
percentuale di microrganismi, tanto da non rendere necessaria la sterilizzazione per avere
una shelf-life più lunga. Senza la sterilizzazione, il latte è considerato “fresco” così è nato il
“latte Blu”, un latte commercializzato che pur essendo fresco, ha una durata di 10 giorni.
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Burocrazia, in Italia.
In un primo memento, il latte microfiltrato ha portato problemi burocratici fino alla modifica
della legge sullʼetichettatura del 1989. Inizialmente, questa normativa affermava che un
latte, per essere considerato fresco, doveva comprendere la dicitura “Da consumarsi in
3-4 giorni”, con la microfiltrazione e lʼaumento della Shelf Life, è stata aggiunta una
postilla che prevede lʼesclusione dalla dicitura suddetta. La ammette una shelf life
superiore ai 3-4 giorni, nel caso in cui il latte sia stato trattato con un processo di
microfiltrazione. La parte burocratica è piuttosto cavillosa, in quanto, il decreto 54 del
presidente della repubblica recepisce la direttiva 46-47 dellʼUE del 92, dunque ci sono
voluti 5 anni per mettere a punto il decreto di riferimento per il latte, in Italia, il primo
decreto di riferimento risale solo al 1997. 5 anni dopo la direttiva!
Inoltre vi sono grosse differenze tra la Shelf Life del latte italiano e quello francese, questo
ultimo ha una durata di vita più lunga e il motivo non è legato alle proprietà chimico-fisiche
del latte, ma solo alla differente trattazione a livello legislativo.

Diatribe: Il latte fa male?


Le polemiche che abbracciano il latte non riguardano solo le dinamiche burocratiche, la
dubbia salubrità dellʼalimento. Da un poʼ di anni a questa parte si afferma che il latte nuoce
alla salute, questo perché è stata trovata una correlazione tra lʼuso di latte e lʼinsorgenza
di diabete infantile; la causa è stata imputata alla differenza di genere tra le proteine
presenti nel latte materno e quelle presenti nel latte vaccino.
Le proteine in questione porterebbero alla distruzione di alcuni siti presenti sul pancreas
con unʼinsorgenza tumorale. Per ora è stata messa in evidenza solo la relazione, quindi
non cʼè nulla di certo.
Altre affermazioni vedono il latte come la causa di carenze di ferro. Questo è vero solo se
lʼindividuo, in particolar modo, lʼinfante, si nutre quasi esclusivamente di latte!!!

Unʼaltra relazione è stata trovata tra il consumo di latte e la sterilità femminile: il


galattosio accumulandosi negli ovociti, ne determina la distruzione. Per dare valore alla
relazione è stato condotto uno studio su popolazioni, questo ha messo in evidenza
lʼassenza di sterilità in quei popoli che non trascrivono lʼenzima lattasi, quindi che non
ingeriscono latte; al contrario, la sterilità tocca valori più alti tra le popolazioni che
consumano più latte.

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