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Teologia del Logos e la divina monarchia nel cristianesimo asiatico :

Giustino, Teofilo e Ireneo

[Manlio Simonetti, Il problema dell’unità di Dio da Giustino ad Ireneo,


in Studi sulla cristologia del II e III secolo, Roma 1993, pp. 71-107.]

All’inizio della seconda metà del secolo II il cristianesimo si trova davanti a tre tendenze
cristologiche diverse:
1) il quartiere giudeocristiano di “stretta osservanza” : Cristo, il messia di Dio, è un mero
uomo;
2) i giudeocristiani che amettono la trascendenza di Cristo ma che sentono obbligati a
sostenere il monoteismo rigido tradizionale dell’Antico Testamento e che, quindi, vedono Cristo
come un “angelo” – in posizione intermedia fra Dio e uomo;
3) altri cristiani che confessano che l’uomo Gesù è dotato anche di natura autenticamente
divina.

La convinzione di quest’ultimo gruppo, comunque, lo porta all’interrogativo; com’è compatibile la


divinità di Cristo con la fede della Chiesa in un solo Dio, il Padre di Cristo, il Dio dell’AT?

Tra scrittori cristiani durante la seconda metà che cercano di rispondere a questa domanda Giustino
e Ireneo rappresentano, respettivamente, l’inizio e il culmine di questa riflessione.

Fonti neotestamentarie

La questione della “divinità” di Cristo è stata affrontata in parte da san Paolo in Rom 9,4-5:
4
Essi sono Israeliti e possiedono l`adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto,
le promesse, 5 i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa,
Dio (theos) benedetto nei secoli. Amen.

come anche in 1 Cor 8,6, che, però, presenta la fede monoteista secondo una formula binaria:
5
E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dei sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dei
e molti signori, 6 per noi c`è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e
un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.

L’autore della Lettera agli Ebrei (1,4) polemizza con la tendenza giudeocristiana di interpretare
Cristo come angelo, dicendo:
3
Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto
con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla
destra della maestà nell’alto dei cieli, 4 ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più
eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
1
Il Vangelo di Giovanni (1,1; 1,18) chiama Cristo “Dio” (theos), senza, però, aggiungere l’articolo
(ho):

1
In principio era il Verbo,il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (theos) (Gv 1,1).

18
Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha
rivelato. (Gv 1,18)

È, quindi, principalmente il Vangelo di Giovanni (cfr. 10,30; 14,10; 10,38) che ha posto il problema
dell’unione del Figlio con il Padre, pur senza svilupparlo in modo esplicito.
30
Io e il Padre siamo una cosa sola. (Gv 10,30)
38
ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate
e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre. (Gv 10,38)
10
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da
me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. (Gv 14,10)

La letteratura cristiana successiva a Gv non sviluppa molto la questione dell’unione tra Padre e
Figlio, anche se qualche elemento in più si trova in alcune Lettere di Ignazio di Antiochia (cfr.
Magn. 8,2; Magn. 7,2; Rom. 3,3).

In ambito cristiano si può parlare di vera e propria riflessione teologica soltanto a partire dagli
gnostici. In questo corrente il Logos si configura come un dio minore, emanato dal Dio sommo per
provvedere alla creazione e al governo del mondo. Ovviamente, però, secondo questo concetto, il
mondo è considerato conseguenza di peccato, e perciò viene valutato in modo negativo.

Giustino

Giustino insiste che la specificità della religione cristiana è di credere non solo in Dio ma anche in
Cristo. Questo tema viene sviluppato in tutte le sue opere a noi pervenute: 1-2 Apologia (opere
antipagane), Dialogo con Trifone (opera antigiudaica).

Testo chiave è Dial. 48,2 [see excerpt]. Lì Giustino afferma che il Figlio del creatore dell’universo,
in quanto Dio (theos), preesiteva, ed è stato generato uomo per mezzo della Vergine.

Vede anche Dial.127,4: [see excerpt]. Il Figlio è Dio (theos senza l’articolo) “per la volontà del
Padre”

La questione della compatibilità della divinità di Cristo con la fede in un Dio unico viene posto
subito a seguito nel Dialogo (50,1) e anche in un contesto antipagano nella 2 Apol. 6,1-3 [see
excerpt]. In questo ultimo passo Giustino parla di Cristo come del Figlio di Dio e specifica che egli

2
è il solo che possa essere definito Figlio in senso proprio e reale, in quanto “Verbo anteriore alle
creature (pro tōn poiēmatōn), coesistente con il Padre” (2 Apol. 6,3). A questo punto egli collega la
generazione del Figlio con la creazione del mondo: il Figlio è stato generato dal Padre al fine di
provvedere, per volere di quello, alla creazione e al governo del mondo (2 Apol. 6,3).

Giustino sembra ambiguo sulla ragione dietro la sua affermazione che Cristo è divino (vede sopra,
Dial. 48,2). In un passo (Dial. 126,2), egli deriva la divinità di Cristo dalla sua qualità di Figlio di
Dio (come sarà il caso nella teologia cattolica posteriore). Ma in un altro passo (1 Apol. 63,15)
collega la divinità di Cristo con la sola qualifica di Logos.

Ancora in altri luogi Giustino collega diversi appellativi di Cristo con la sua divinità, senza alcun
interesse sistematico. Nel Dialogo mostra che l’AT in innumerevoli luoghi parla storicamente,
allegoricamente e profeticamente di Cristo come di un essere divino all’opera del mondo fin dalla
sua creazione, in modi diversi relative appunto dai diversi nomi: è sapienza in quanto ha creato il
mondo, è angelo in quanto è apparso ai patriarchi, ecc.

Sembra a questo punto chiaro che Giustino vuole allargare il concetto di divinità dietro il
nominativo “il Dio” (ho theos). Così vuole sminuire, anche implicitamente, in polemica con
Trifone, il significato del rigido monoteismo giudaico, a beneficio di una concezione più articolata
della divinità (creando, così, la possibilità teologica di collegare al livello di divinità il Logos con il
Padre, senza diminuire la monarchia divina).

Giustino quando parla della generazione del Logos dal Padre non cerca di dimostrare che in qualche
modo i due restano uniti, ma cerca di rilevare l’alterità numerica dell’uno rispetto all’altro. L’unita
tra il Padre e il Logos è piuttosto di carattere volutivo e operativo : il Creatore del mondo, al di
sopra non c’è altro Dio, vuole che il Logos non faccia altro se non quello che egli dica. Come si
vede, l’unità del Padre e del Logos è concepita da Giustino in modo nettamente subordinante.

Il problema della compatibilità della monarchia divina con la divinità di Cristo è stato risolto da
Giustino sulla base di uno schema binario, articolato a due livelli: in alto Dio Padre, ho theos,
assolutamente trascendente rispetto al mondo, pur da lui creato; in posizione subordinata il Logos,
theos, da lui generato perché di fatto provvedesse alla creazione del mondo e al suo governo
providenziale. In questo governo è ovviamente implicata in primo luogo l’incarnazione del Logos.
Quanto alla creazione, il Logos vi ha una funzione strumentale (2 Apol. 6,3 [see excerpt]).

In questa soluzione Giustino non è originale: egli l’ha potuto conoscere sia dallo gnosticismo sia dal
medioplatonismo. Infatti egli ha inteso la monarchia divina non nel senso del rigido monoteismo
giudaico ma assumendo “monarchia” nel suo valore etimologico, cioè comando di uno solo, cioè di
un Dio supremo che esercita il suo potere per tramite di un altro Dio a lui nettamente subordinato.

Teofilo

Nacque attorno al 120, da una famiglia pagana, che gli diede la possibilità di ricevere la formazione
tipica del tempo. Lo studio delle sacre Scritture lo portò alla conversione. Nel 169 fu eletto sesto
vescovo di Antiochia e ivi rimase fino al 185 (HE 4,20).

Scrisse un’opera Ad Autolico (databile a subito dopo il 180), costituita non di tre libri, ma di tre testi
successivi indirizzati al pagano Autolico per convertirlo al cristianesimo. Quindi lo scopo dell’opera
è piuttosto apologetica e non dottrinale; la riflessione su Cristo e sulla Trinità è di un ordine molto

3
secondario rispetto all’aspetto apologetico. Ciò nonostante, Teofilo commenta su Gn 1,1 in alcuni
passi, ed in essi egli fornisce importanti puntualizzazioni sull’articolazione interna della divinità.
Per un verso egli continua l’impostazione binaria Dio/Logos che abbiamo visto in Giustino, però, da
un altro verso introduce un aspetto ternario allo schema, che rappresenta qualche importante novità.

Per vedere questo nuovo aspetto, si vede Ad Autolico II, 10 [see excerpt]. Qui riscontriamo la
concezione già rilevato in Giustino: un duplice stadio del Logos, da sempre (1) immanente in Dio e
(2) generato da lui in funzione della creazione del mondo. Però in questo passo la Sapienza sia
prima che dopo la generazione del Logos, occupa una posizione di rilievo, affiancandosi su piede di
parità al Logos nel suo rapporto con Dio. Dio ha immanenti in sé Logos e Sofia (Sapienza) e
ambedue li emette da sé, perché ambedue provvedano alla creazione del mondo. In questo Teofilo si
rivela innovatore. Però non è sempre coerente in quanto afferma riguardo alla Sapienza. Nel Ad
Autolico egli alterna tra i due schemi: binario e trinario. Quest’alternanza si coglie anche nei
riferimenti scritturistici che occorrono in questo passo (II, 10), cioè, Pv 8, 27-29 (con schema
ternario) e Gn 1,1 (con schema binario). Secondo Pv 8 nell’interpretazione di Teofilo, la Sapienza
sta accanto al Logos quando egli ordina i cieli e consolida le fondamenta della terra. Quindi essa
gioca un ruolo proprio nella creazione del mondo (anche se questo ruolo è inferiore a quello del
Logos). Però nello stesso passo (II, 10), Teofilo mantiene che Gn 1,1 dà responsibilità per la
creazione del mondo al Logos (= “in principio”, arché) senza menzionare la Sapienza.
Quest’affermanzione viene comunque contraddetta a I, 7, dove Teofilo parla di Dio che cura e
vivifica per mezzo del Logos e della Sapienza, che ha creato tutte le cose per mezzo del suo Logos e
della Sapienza.

A II, 18 [see excerpt], subito dopo aver detto che Dio ha fatto tuttle le cose per mezzo del Logos
(senza comunque menzionare la Sapienza), aggiunge che ha creato l’uomo per mezzo del suo Logos
e della sua Sapienza. In tal modo questo passo sembra stabilire una specie di gradazione di valore
fra la creazione di tuttle le cose, realizzata da Dio con l’assistenza soltanto del Logos, e la creazione
dell’uomo per la quale Dio si vale sia del Logos sia della Sapienza. (In Giustino, al contrario, la
Sapienza è soltanto un appellativo del Logos.)

Teofilo è ricordato per essere il primo testimone del termine “triàs” (triade, trinità: «Così anche i tre
giorni che esistettero prima dei luminari, sono tipo della Trinità: di Dio, del suo Verbo e della sua
Sapienza»: II, 15). In questo passo la Sapienza occupa il posto che già tradizionalmente era quello
dello Spirito santo. In effetti, nell’Ad Autolico il concetto di pneuma, pure risentendo chiaramente
l’influsso stoico (lo spirito che abbraccia tutta la creazione), interferisce solo marginalmente col
concetto di Dio. Lo spirito, per Teofilo, non designa l’essenza intima della divinità, ma un carattere
esteriore che si rapporta all’attività divina nel mondo.1

Conclusione. La Sapienza collabora con il Logos come ministra di Dio nella creazione del mondo,
con particolare accentuazione sulla creazione dell’uomo (II, 18). Invece il ruolo del Logos è più
esteso: egli non soltanto collabora con Dio alla creazione del mondo ora da solo ora insieme con la
Sapienza, ma è anche egli solo l’inviato, il ministro di Dio nell’azione di governo del mondo, in
quanto soggetto delle teofanie veterotestamentarie (II, 22). È in questo contesto che, sulla traccia di
Gv 1, 3, Teofilo definisce il Logos Dio, il che non è detto mai della Sapienza (II, 22).

Lo schema ternario ha ascendenze più genuinamente giudeocristiane, poiché sfuma l’individualità


dei due e quindi preserva meglio l’unicità di Dio.

Mettendo Teofilo in rapporto con Giustino, possaimo affermare che, nonostante l’accentuato
carattere strumentale, Teofilo parla con chiarezza del venir fuori del Logos e della Sapienza di Dio,
1
R.M. Grant, Theophilus of Antioch to Autolycus, in Harvard Theological Review 40 (1947) 251ff.

4
distinguendo questo momento da quello precendente, in cui essi esistevano in Dio in forma
impersonale. In questo senso possiamo dire che egli ha concepito il Logos e la Sapienza come
persone divine e perciò ha affermato una concezione trinitaria di Dio. Questa concezione insieme
con quella binaria, con la quale interferisce, sono posizionate in modo chiaramente subordinante.
Quando perciò Teofilo parla di monarchia divina (II, 28; II, 35), la dobbiamo intendere alla maniera
di Giustino, come signoria che un unico sommo Dio esercita per mezzo di uno/due intermediari.

Aspetti soteriologici della Teologia del Logos negli apologisti greci

[Basil Studer, Dio salvatore nei Padri della Chiesa, Borla, Roma 1986, pp. 69-86.]

SINTESI: Secondo le sacre Scritture esiste una storia della salvezza, che abbraccia l’intera
creazione, e nella quale il Logos, mediante il quale Dio ha creato tutto, rivela Dio stesso a tutti gli
uomini. Attraverso questa rivelazione accessibile a tutta l’umanità, ebrei e pagani, il Logos ha vinto
le tenebre e ha portato al mondo la luce. La vittoria che egli ha già conseguito nella sua
incarnazione verrà rivelata in pienezza soltanto nella sua parusia, nella seconda e gloriosa venuta.

La cristologia del Logos degli apologisti greci procede secondo un metodo sia storico-salvifico che
filosofico. Questi teologi riflettono sopratutto sulla storia della salvezza perché cercano di confutare
le obiezioni alla visione di Cristo come salvatore da parte dei guidei e di mostrare agli intellettuali
pagani l’antichità della religione cristiana (che essa non ha l’inizio al momento della nascità di
Gesù). Contro questi avversari gli apologisti greci vogliono mostrare la pre-esistenza di Cristo,
Figlio di Dio, che è il Logos di Dio. Contro entrambi gruppi di avversari gli apologisti vogliono
difendere il tradizionale monoteismo cristiano. Quindi la presentazione di Cristo come Logos di Dio
va comunque accompagnata da una difesa della monarchia divina.

Nella teologia di Giustino l’importanza soteriologica nell’identificazione del salvatore (Gesù Cristo)
con il Logos si basa nel fatto che esso estende la storia della salvezza (A.T.- N.T.) per farla
abbracciare tutti gli uomini, e non soltanto gli ebrei. Il Logos, secondo Giustino, è il principio della
conoscenza in tutti gli uomini. Giustino parte da questa concezione per sostenere che la parola
(Logos) ha sempre parlato in tutti i guisti, negli ebrei e nei pagani, in Mosé come in Socrate, anche
se è divenuto presente in maniera piena e totale solo per i cristiani. In questa prospettiva, il Logos
vuole dire parola o discorso di Dio, e quindi principio di rivelazione e di educatione.

Questo ordinamento della dottrina del Logos permette a Giustino di confutare l’obiezione secondo
cui gli uomini prima di Cristo non avrebbero potuto avvalersi della loro personale responsibilità
rispondendo che tutti avrebbero potuto partecipare del Logos, vivere in conformità al Logos e
perciò resistere anche ai demoni (vede 1 Apol. 1, 22).

Per Giustino il Logos che si rivela è anche la potenza divina, la dynamis di Dio, che è venuta per
disperdere le tenebre di questo mondo. Bisogna tener presente il rigido dualismo che caraterrrizza la
concezione della vita durante il sec. II. Il mondo visibile e materiale viene così identificato sempre
di più con il male, mentre il divino è considerato come totalmente trascendente, non toccato da
questo mondo terreno. In questo contesto dualistico e demonologico i cristiani hanno sviluppato le
loro concezioni della lotta di Cristo contro i demoni. Cristo risulta invincibile sopra i demoni, come
conseguenza della sua passione e morte. La vittoria di Cristo sui demoni diviene, quindi, tema
soteriologico di rilievo negli scritti degli apologisti greci. È da questa teologia della vittoria di
Cristo sui demoni che nasce la teoria cristiana della redenzione.

5
Bisogna dire che per Giustino Gesù Cristo è anzitutto maestro e legislatore. Per Giustino Logos
significa principalmente parola di Dio, gli apologisti più tardi, Teofilo ad esempio, si sono
maggiormente interessati del Logos creatore (tema piuttosto ignorato da Giustino, per cui il prologo
di Gv non ha nessuna importanza negli scritti di Giustino, ma sarà citato da Teofilo).

La teologia del Logos introduce al cristianesimo anche l’idea di un Dio visibile. Il Logos non è
semplicemente identico con il creatore di tutte le cose. Il Logos rivelante, bensì un essere divino, è
anche sofferente e vittorioso.

La distinzione tra Padre e Figlio è fondato principalmente sui seguenti testi biblici:
a) Gn 1, 16: E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e
domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti
i rettili che strisciano sulla terra».
b) Sal 109, 1: Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i
tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi».
c) Sal 44, 7-14: 7Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno.
8
Ami la giustizia e l’empietà detesti: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza
dei tuoi eguali. 9Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia, dai palazzi d’avorio ti allietano le cetre.
10
Figlie di re stanno tra le tue predilette; alla tua destra la regina in ori di Ofir. 11Ascolta, figlia,
guarda, porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; 12al re piacerà la tua
bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui. 13Da Tiro vengono portando doni, i più ricchi del
popolo cercano il tuo volto. 14La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è il suo
vestito.
d) Pr 8, 22ss: 22Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera,
fin d’allora. 23Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra. 24Quando
non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
25
prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata.

Si prese a prestito dal medio platonismo la concezione secondo la quale il Dio invisibile e
immutabile si distingue rispetto a un secondo visibile e mutabile Dio, l’essere intermedio tra il
primo Dio e il mondo.

In connessione con Pr 8, 22 gli apologistic greci videro il fondamento della distinzione tra Padre e
Figlio in una generazione. L’incontestabile concezione greca circa l’immutabilità di Dio richiedeva
però di descrivere questa generazione come completamente spirituale. Allora Giustino si serve
dell’analogia della volontà dalla mente. Vede, ad esempio, Giustino, Dial. 128, 4. Teofilo fa un
passo avanti, ed egualia la generazione del Figlio dal Padre al venir fuori della parola esteriore
(logos prophorikos) dalla parola interiore (logos endiathetos). Vede Ad Autolico II, 22 [see excerpt].

Ireneo

L’interferenza di schema binario e schema ternario che abbiamo visto in Teofilo, è facilmente
ravvisabile anche in Ireneo. Si può anche postulare un rapporto diretto tra i due autori. Ireneo
sembra di aver utilizzato Teofilo.

Gli gnostici avevano distinto il Dio del NT dal Dio del AT e avevan accentuato nel pleroma divina
la derivazione di esseri divini uno dall’altro. Ireneo si contrappone a questo “divisismo gnostico” la
concezione unitaria di Dio. Per Ireneo Dio è il creatore di tutte le cose, assistito dal Logos (Adv.

6
Haer. 2,2,4; 2,27,2), mentre poche righe sotto la manifestazione di Dio Padre è riportata all’opera
solo del Logos (ibid.). Questo schema binario domina il 2° libro Adv. Haer., ma nel 3° libro si ha lo
schema ternario: Dio che opera per mezzo del Logos e della Sapienza (Adv. Haer. 3,24,2). Nel 3°
libro parla più spesso dello Spirito divino, Spirito santo, come ispiratore delle Scritture (3,6,5). Lo
Spirito non è mai menzionato in funzione cosmologica (creazione, governo dell’universo), e così
non interferisce mai con la prerogativa specifica della Sapienza (attività cosmologica). Invece lo
Spirito santo gioca un ruolo soteriologico. Perciò lo schema ternario appare molto più
frequentamente nei libri 4° e 5°, ove si tratta di più della soteriologia, che nei libri 2°-3° che trattano
più della creazione e, quindi, tendono più allo schema binario.

A 4,6,7 [see excerpt], Ireneo introduce una specie di professione di fede trinitaria, ma altrove
l’oggetto della fede è proposto in formulazione binaria (4,13,4; 4,16,5; 4,28,2).

Ireneo ha insisto più di Giustino o Teofilo sull’unità di Dio (la divina monarchia) in vista della sua
forte opposizione al divisismo degli gnostici. Per di più, Ireneo di suo tavolta unifica l’articolazione
Padre/Logos/Sapienza fino alla vera e propria identificazione, nella quale i due ministri appaiono
soltanto come aspetti, facoltà operative dell’unico Dio (cfr. 4,6,7 [see excerpt]).

Ireneo a volte subordina il Logos al Dio Padre (2,28,8), ma a volte lo unisce al Dio Padre (2,25,3;
2,17,8; 3,6,2; 3,13,2; 4,6,5; 4,6,6). See also 4,6,7 [see excerpt]. Questi ultimi passi fanno pensare al
Padre e al Figlio come a due aspetti della stessa realtà: il Padre è Dio in sé, il Figlio Dio aperto
verso il mondo. In sostanza Ireneo associa il Logos al Padre in tutte le sue opere, ma in ruolo
talmente strumentale da ribadire l’identificazione Padre = Logos e Sapienza.

A 2,28,6 Ireneo rifiuta d’indagare il modo ineffabile della generazione divina del Logos, che solo il
Padre e il Figlio possono conoscere. Appellandosi all’imperscrutabilità del mistero, Ireneo da una
parte può parlare di Cristo come Figlio reale di Dio, Logos divino, e dall’altra affermare la sua unità
strettissima col Padre, fino alla vera e propria identificazione. Queste esigenze unitarie in Ireneo, a
causa della sua opposizione al divisismo gnostico, saranno sviluppate da altri teologi in modo
radicale, dando luogo ad esiti “monarchiani” (quindi, in un certo senso si può dire che la teologia di
Ireneo ha preparato il terreno ai monarchiani). Allo stesso tempo in senso opposto continuerà a
svilupparsi la teologia del Logos con esiti che alla fine saranno vincenti.

Rigurado all’umanità di Cristo, questo tema viene molto sviluppato in Ireneo contro gli gnostici.
Egli torna spesso ad insistere sull’importanza della sarx, dalla formazione nel seno della Vergine.
Cristo, Dio e uomo, si pone far i due estremi del cosmos, fra l’ambito spirituale ed eterno dove
dimora Dio, e quello materiale in cui dimora l’uomo materiale. Cristo dà all’uomo la sua unità tra
Dio e uomo. In quanto mediatore è consustanziale a Dio e all’uomo, mostrando nella sua persona il
paradigma dell’uomo perfetto, fattosi Dio nella carne. Il peccato di Adamo necessità la redenzione,
opera salvifica di Cristo, diventato salvatore dell’uomo caduto. Dalla redenzione l’uomo passa in
Cristo alla divinizzazione.

Con l’incarnazione il Logos riconcilia l’uomo carnale con il Logos divino; successivamente, nel
corpo della sua carne, riappacifica l’uomo, suo fratello, con Dio suo Padre. Ecco la salus carnis,
motivo della redenzione in Ireneo.

Ireneo insiste sulla componente carnale di Gesù contro Marcione ed il docetismo degli gnostici. Ma
lascia fuori considerazione la psiche di Cristo, che comunuque viene trattato da Marcione e gli
gnostici, che vedono la salvezza unama in termini puramente psichici/spirituali e non carnali.
Quindi, lo schema che Ireneo segue è piuttosto quello Logos-sarx.

7
Secondo Ireneo, effettivamente, la salvezza consiste nel fatto che l’uomo raggiunge quel destino che
Dio gli ha inizialmente assegnato quando lo ha creato a sua immagine e somiglianza. La strada per
questo compimento, che comprenderà tanto il singolo che l’intera umanità, passa necessariamente
attraverso l’incarnazione; in essa Dio si è fatto del tutto vicino all’uomo, in essa l’uomo ha potuto
conoscere il suo destino e la sua somiglianza con Dio è stata definitivamente convalidata.
L’addattamento sempre crescente dell’uomo a Dio ha avuto il suo inizio con Gesù. In questo senso
Ireneo parla dell’economia di salvezza (cfr. Adv. Haer. 3,16,6 [see excerpt].), intendendo con questa
l’unica omnicomprensiva manifestazione salvifica di Dio: la creazione, il mondo, gli uomini, la
salvezza, l’Antico e il Nuovo Testamento. Se egli vi distingue nondimeno momenti differenti, li
concentra però in modo tale nell’incarnazione, che essi costituiscono un tutto unico. La stessa cosa
vale del tema della ricapitolazione (anakephalaiosis), parola di vario significato con la quale Ireneo
sviluppa ulteriormente il concetto di economia salvifica.

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Teofilo di Antiochia, Ad Autolico

II 10. Dunque Dio, avendo il suo Logos immanente nel suo seno, lo generò con la sua sapienza (sofìa),
avendolo emesso prima di tutte le cose. Ha avuto questo Logos ministro delle cose che ha creato e per mezzo
di questo ha fatto tutte le cose. Questo è detto principio perché è primo e signore di tutto ciò che è creato per
suo mezzo. Questi, che è spirito di Dio (pneuma theoù) e principio e sapienza e potenza dell’Altissimo,
discendeva sui profeti e per loro mezzo parlava della creazione del mondo e di tutte le altre cose. Infatti i
profeti non c’erano quando il mondo fu creato, ma c’era la sapienza di Dio che stava in lui e c’era il suo
santo Logos che stava sempre con lui. Per questo la sapienza dice per bocca del profeta Salomone: «Quando
egli ordinò il cielo, io ero accanto a lui, e quando consolidò le fondamenta della terra, io stavo presso di lui
mettendo ordine» (Pr 8,27). Mosè poi, che visse molti anni prima di Salomone, o meglio, il Logos di Dio che
si servì di lui come di uno strumento, dice: «In principio Dio fece il cielo e la terra» (Gn 1,1).

II 18. Dio infatti, avendo creato col Logos tutte le cose e ritenendole tutte accessorie, sola opera propria
degna delle sue mani ritiene la creazione dell’uomo. E inoltre, quasi che avesse bisogno di aiuto, troviamo
Dio che dice: «Facciamo l’uomo a immagine e somiglianza» (Gn 1,26). Non ad altri ha detto facciamo se
non al suo Logos e alla sua Sofìa.

II 22. Dio, Padre dell’universo, non è localizzabile e non si trova in un posto determinato; non c’è infatti
luogo in cui cessi la sua azione. Ma il suo Logos, per mezzo del quale egli ha fatto tutte le cose e che è la sua
Potenza e la sua Sapienza, assumendo il volto del Padre e Signore dell’universo, veniva al paradiso nella
persona visibile di Dio e conversava con Adamo. La stessa Scrittura ci insegna infatti che Adamo dice di
averne udito la voce (Gn 3,10). La voce, che altro può essere se non il Logos di Dio, cioè il suo Figlio? Non
come i poeti e i mitografi raccontano intorno ai figli delle divinità, nati da unione carnale, ma come la verità
ci istruisce sul Logos che è dall’eternità immanente nel cuore di Dio. Prima della creazione lo ebbe come suo
consigliere (Pv. 8), perché è la sua Mente e il suo pensiero. Quando Dio volle creare quello che aveva
stabilito, generò questo Logos emesso, primogenito di ogni creatura; non rimase però privo lui del Logos, ma
dopo averlo generato si intrattiene sempre con il suo Logos…

Il Logos dunque è Dio ed è nato da Dio; e il Padre dell’universo, quando vuole lo manda in qualche luogo;
egli vi giunge, è ascoltato, è veduto, essendo inviato da Dio e si trova allora presente in ogni luogo.

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