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RATZINGER, Cardinale Joseph, FEDE, VERIT E TOLLERANZA, Edizioni Cantagalli, Siena, 2003.

Traduzione di: GIULIO COLOMBI


ISBN: 88-8272-144-2

PREMESSA
In un mondo che si va facendo sempre pi "piccolo", la questione dell'incontro tra le religioni e le
culture divenuto un tema urgente, che riguarda non solo la teologia. Il problema della compatibilita
delle culture e della pace tra le religioni diventato anche un tema politico di prim'ordine. Ma sono
innanzitutto le religioni che si devono chiedere se esse siano in pace l'una con l'altra e se siano in grado
di offrire il loro contributo all"'educazione alla pace del genere umano". La fede cristiana partico-
larmente interessata da questa problematica, perch, in ragione della sua origine e della sua natura,
avanza la pretesa di conoscere e annunciare l'unico vero Dio e l'unico Salvatore di tutti gli uomini. In
nessun altro c' salvezza; non vi infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo
essere salvati (At 4,12), disse Pietro ai capi e agli anziani del popolo di Israele.
Oggi questa pretesa d'assolutezza ancora sostenibile? Come si rapporta con la ricerca della pace tra le
religioni e le culture?
Quando la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblic nel 2000 la dichiarazione "Dominus
Jesus", Sull'unicit e l'universalit salvifica di Ges Cristo e della Chiesa, un grido di indignazione
attravers la nostra societ, ma anche grandi culture non-cristiane come quella dell'India: un
documento di un'intolleranza e di un'arroganza religiosa che non dovrebbero pi avere alcuno spazio
nel mondo di oggi, si disse. Un cattolico avrebbe potuto solo proporre con tutta umilt la domanda che
Martin Buber pose una volta a un ateo: E se fosse vero?.
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Come si vede, dietro a tutti i vari problemi, l'autentico problema quello della verit. Si pu conoscere
la verit? O il problema della verit nell'ambito della religione e della fede puramente e
semplicemente inappropriato? Ma, allora, che cosa significa la fede, che cosa significa positivamente la
religione se non pu entrare in rapporto con la verit?
Piano piano si sono cos sviluppate diverse fasi di un dibattito nel quale, nell'ultimo decennio, sono
stato tirato in ballo per svariati motivi.
Anzitutto si dovrebbe cercare di comprendere che cosa sia la cultura e come le culture possano porsi
l'una rispetto all'altra. Si dovrebbe poi prendere in considerazione il fenomeno religione come tale,
evitando di partire da una massa indistinta di "religioni". Prima di formulare giudizi si dovrebbe ancora
cercare di comprendere le religioni in se stesse, nel loro sviluppo storico, nelle loro strutture e tipologie
essenziali, nella loro possibile solidariet cos come nella loro incombente ostilit. Andrebbe inoltre po-
sta la questione di fondo dell'uomo, di che cosa egli sia, di come possa divenire se stesso o invece
perdersi. E da ultimo sarebbe indispensabile cimentarsi con l'interrogativo se l'uomo sia creato per la
verit e in qual modo possa, e debba, porsi il problema della verit.
Ne emerge un programma vasto, al quale un piccolo libro, formatosi pi che altro a partire da
circostanze casuali, pu offrire un contributo assai modesto. Quando ho preso in esame le mie
conferenze degli ultimi dieci anni sul tema, ho visto che, da punti di partenza diversi, aveva preso
comunque forma qualcosa (molto frammentario e imperfetto, certo) che poteva costituire pur sempre
un in-
PREMESSA
tervento non del tutto inutile su una grande questione che ci tocca profondamente. Cos ho deciso di
presentare in questo libro la raccolta dei miei testi dell'ultimo decennio - a eccezione del primo
contributo, pubblicato gi nel 1964 -, che hanno per tema la fede, la religione, la cultura, la verit e la
tolleranza e di proporli alla discussione. Spero che un'opera del genere, pur con tutti i suoi limiti, possa
tuttavia riuscire d'aiuto ad affrontare una questione che riguarda tutti.
Roma, nella festa della Trasfigurazione di Cristo 2002
JOSEPH Cardinal RATZINGER
CAPITOLO I
UNIT E MOLTEPLICIT
DELLE RELIGIONI
IL POSTO DELLA FEDE CRISTIANA NELLA STORIA DELLE RELIGIONI
OSSERVAZIONE PRELIMINARE
Ho scritto questo contributo nel 1963 per la Miscellanea per il sessantesimo compleanno d Karl
Rahner, pubblicata nel 19641; stato ristampato poi in un volume, edito a cura di uno dei miei studenti
per il mio settantesimo compleanno, nel quale si offriva una rassegna delle mie opere .
Dal 1955 al 1963, nel quadro dei miei corsi di teologia fondamentale a Freising e a Bonn avevo
insegnato anche filosofia della religione e storia delle religioni e avevo scoperto l'importanza del tema
delle religioni. Nel 1964, quando apparve il contributo, il Concilio si trovava al suo acme; i grandi
dibattiti sulla Chiesa, sulla rivelazione, su Chiesa e mondo dominavano la produzione teologica. Il tema
delle religioni stava ancora in qualche misura al margine. Nel Concilio ha trovato un posto piuttosto
accidentale e marginale, se visto in termini quantitativi, nel
Goti in Welt. Festgabe fiir Karl Rahner zum 60. Geburtstag, a cura di H. Vorgrim-ler, Freiburg i. Br.
1964, II, pp. 287-305 (tr. it. La fede cristiana e le religioni del mondo, in Orizzonti attuali della
teologia, Roma 1967, II, pp. 319-347).
J. RATZINGER, Vom Wiederauffinden der Mille. Grundorientierungen, Freiburg i. Br. 1997, pp. 60-82.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
decreto Nostra aetate, pubblicato il 28 ottobre 1965. Originariamente, se ben rammento, si era pensato
solo a una dichiarazione sul rapporto tra Chiesa ed Ebrei, che appariva necessaria a causa dei
drammatici eventi accaduti al tempo del nazismo. A tema doveva essere una nuova riflessione sul
rapporto dei cristiani col popolo ebreo. I Cristiani d'Oriente, ritenendo che le esperienze storiche
dell'Occidente non li riguardassero, pensavano per che una dichiarazione del genere si poteva
giustificare solo se vi fosse stata collegata anche una parola sull'isiam. Dopo questo ampliamento
dell'orizzonte tematico, risult naturale parlare del mondo delle religioni non cristiane nel complesso.
Un decreto nato piuttosto casualmente, in seguito si sarebbe rivelato particolarmente profetico.
Mi sembrava opportuno rendere omaggio a Karl Rah-ner, in occasione del suo compleanno, con un
contributo su un tema che solo allora si stava gradualmente facendo largo nella coscienza teologica. Il
grande teologo, infatti, nel quinto volume dei suoi Scritti (1962), aveva inserito un saggio pubblicato
per la prima volta nel 1961, dal titolo Das Christentum una die nichtchristlichen Religionen (Cristiane-
simo e religioni non cristiane), nel quale richiamava l'attenzione sul fatto che, in una situazione in cui
ogni popolo e ogni ambito culturale divengono momento interno ad ogni altro popolo e ad ogni altro
ambito culturale, anche ogni religione esistente nel mondo era divenuta, a suo avviso, un problema e
una possibilit per ogni persona. Questo contributo, in cui Rahner coni il concetto di "cristiani
anonimi" come parola-chiave della sua risposta alla sfida delle religioni, poi divenuto il punto di
partenza di un dibattito talvolta acceso. Quel che egli intendeva con
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
quel concetto, lo sintetizz cos alla fine del suo articolo: Pu sembrare presuntuoso al non cristiano
che il cristiano valuti quel che salvo e santamente salvato* in cia-scun uomo come frutto della grazia
del suo Cristo e come cristianesimo anonimo, e consideri il non cristiano come cristiano non ancora
giunto in modo riflesso a cogliere se stesso. Ma il cristiano non pu rinunciare a questa "pretesa" (p.
158).
Con questa tesi io non ero d'accordo, ma comunque mi pareva sconveniente mettermi a discuterla in
una Miscellanea a lui3 dedicata: mi sembr pi giusto anzitutto allargare la questione da cui muovere
per poter condurre un dialogo con le religioni. Rahner aveva dato per scontato che l'unica questione
appropriata per il cristiano, nella riflessione sul fenomeno delle religioni, fosse quella della salvezza dei
non cristiani. A questo si univa un secondo presupposto, che cio, di fronte alla questione della salvez-
za, la differenza fra le varie religioni in ultima analisi fosse irrilevante. Questi due presupposti sono
rimasti determinanti per l'intero dibattito successivo. Anche i tre orientamenti di fondo su cui oggi si
discute quando si tratta di cristianesimo e religioni - esclusivismo, inclusivismo, pluralismo - risentono
di questa impostazione. Le religioni, in fondo, sono sempre trattate come massa indistinta, considerate
sempre sotto il profilo della possibilit di salvezza. La mia opinione, dopo gli anni dedicati allo studio
della
In tedesco v' un gioco di parole (das Heile und geheiligt Geheilte) di difficile resa in italiano.
Ho sviluppato questa posizione critica pi tardi - in relazione al Grundkurs des Gtaubens. Einfuhrung
in den Begriff des Christentums, Freiburg i. Br. 1976 (tr. it. Corso fondamentale sulla fede.
Introduzione al concetto di cristianesimo, Torino 19905) - nella mia opera: Theologische
Prinzipienlehre, Miinchen 1982, pp. 169-179 (tr. it. "Salvezza e storia", inj. RATZINGER, Elementi di
teologia fondamentale, Brescia 1986, pp. 97-120).
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
storia delle religioni, era che simili qualificazioni teologiche delle religioni dovessero essere precedute
da una ricerca fenomenologica non impegnata in primo luogo a valutare il valore sub specie
aeternitatis delle religioni e che perci evitasse di accollarsi un problema sul quale propriamente pu
decidere solo il Giudice del mondo. Ero del parere che in primo luogo si dovesse cercare di avere una
visione panoramica delle religioni nella loro struttura storica e spirituale. Mi sembrava che non si
dovesse discutere su di un non meglio definito (e praticamente neanche analizzato) insieme di
"religioni", ma che si dovesse in primo luogo cercare di vedere se vi siano stati sviluppi storici comuni
e se si possano riconoscere tipi fondamentali, sui quali semmai compiere poi delle valutazioni; infine
che occorresse indagare su come si rapportano tra loro questi tipi fondamentali e se ci pongano di
fronte ad alternative che potrebbero poi diventare oggetto di riflessioni e scelte filosofiche e teologiche.
Su questo problema gi allora c'era una ricca bibliografa, poich, a prescindere dalla teologia, la
scienza delle religioni, dal secolo XIX, aveva lavorato intensamente in quel campo. Ci che ha
direttamente contribuito al formarsi del mio pensiero entrato a far parte delle note di questo
contributo. Non mi sembrato giusto aggiornare questi dati bibliografici, che oggi possono dare l'im-
pressione di essere un po' datati, perch le bibliografe non sono diffcili da reperire. In realt bastava e
basta soltanto nominare gli autori dai quali ho imparato; solo in singoli punti, laddove poteva essere
realmente utile, ho fatto qualche piccola integrazione.
Nell'introduzione che allora avevo premesso al mio articolo, descrivevo cos il suo intento e i suoi
limiti: Que-
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
sto contributo non intende delineare una specie di "teologia della storia delle religioni", ma vorrebbe
unicamente abbozzare un lavoro previo, per definire con maggior precisione la posizione del
cristianesimo nella storia delle religioni e cos conferire di nuovo un senso pi concreto alle
enunciazioni teologiche sull'unicit e assolutezza del cristianesimo, ovvero essere l'occasione per
elaborare di nuovo il loro intrinseco valore teologico sulla base del loro significato concreto. Poich
questo intento mi sembra tuttora significativo, e poich la maggior parte del lavoro resta pur sempre da
fare, mi parso conveniente inserire il contributo in questo volume.
1. Posizione del problema
In fondo la fede cristiana ha gi da tempo formulato la posizione che assegna a se stessa nella storia
delle religioni: essa vede in Cristo l'unica salvezza reale e perci definitiva dell'uomo. Nei riguardi
delle altre religioni, dunque, possibile un duplice atteggiamento (cos sembra): ci si pu riferire ad
esse come prov-visorie (vor-laufi^ e dunque pre-corritrici (vor-luferiscfy rispetto al cristianesimo,
valutandole positivamente, in certo senso, nella misura, cio, in cui si possono inquadrare nell'attitudine
del pre-cursore (Vor-laufer). Naturalmente le si pu anche concepire come ci che insufficiente,
contrario a Cristo, contrapposto alla verit, qualcosa che fa credere all'uomo di offrire salvezza senza
mai poterla dare.
Il primo atteggiamento, nei confronti della fede di Israele, vale a dire della religione dell'Antico
Testamento, 2 tracciato esemplarmente da Cristo stesso. Solo in tempi recenti stato messo in rilievo
chiaramente e insistente-
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
mente che questo atteggiamento pu aver luogo in certo senso anche nei confronti di tutte le altre
religioni. Effettivamente si pu dire che il racconto della stipulazione dell'alleanza con No (Gn 8,20-
9,17) conferma la verit nascosta delle religioni mitiche. Nel ciclico "nascere e morire" del cosmo si
compie l'opera del Dio fedele, che legato da alleanza non solo con Abramo e la sua discendenza, ma
con tutti gli uomini4. E i Magi non sono forse pervenuti a Cristo (Mt 2,1-23) in virt della stella, vale a
dire tramite la loro "superstizione", tramite la loro religione (seppure soltanto mediante la deviazione
che passava per Gerusalemme, per gli scritti dell'Antico Testamento)? La loro religione non si
inginocchiata, per cos dire, davanti a Cristo, non si dimostrata tale da pre-correre, anzi da ac-correre
a Cristo? In tale contesto sembra quasi un luogo comune citare una volta di pi il discorso
dell'Areopago (At 12,22-32), tanto pi che la reazione degli ascoltatori, con il loro atteggiamento di
rifiuto di fronte al messaggio sul Risorto, sembra piuttosto smentire la teologia ottimistica di questo
discorso. Palesemente la religione delle persone l lusingate non converge verso Ges di Nazareth.
L'opposizione, alla quale essa invece spinge, richiama cos alla memoria l'altro aspetto - che
senz'altro molto pi evidente - della concezione biblica delle religioni "delle genti", presente fin
dall'inizio nella linea profetica: quella dura critica agli idoli bugiardi, che spesso, nella sua inesorabilit,
quasi non si distingue dal piatto razionalismo dell'illuminista (cfr., per esempio, Is 44,6-20). Un'analisi
particolareggiata dei dati biblici, d'altra parte, supererebbe l'intento di questo saggio;
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Cfr. J. DANILOU, Saggio sul mistero della storia (tr. iL, Brescia 19782, pp. 27ss.).
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
gi il poco che s' detto pu per bastare a confermare che si possono ritrovare nella Sacra Scrittura
entrambi gli atteggiamenti citati all'inizio nei riguardi delle religioni delle genti: tanto il parziale
riconoscimento guidato dall'idea della provvisoriet, quanto la negazione decisa.
La teologia del nostro tempo, come s' detto, ha messo in luce specialmente l'aspetto positivo e, ci
facendo, ha chiarito soprattutto l'estensione del concetto di provvisoriet: anche secoli "dopo Cristo",
cronologicamente parlando, si pu vivere ancora nella storia "avanti Cristo", legittimamente dunque nel
regime prov-visorio5. In sintesi, perci, possiamo dire che il cristianesimo, secondo la sua auto-
comprensione, sta al tempo stesso in un rapporto di "s" e di "no" rispetto alle religioni. Sa, da una
parte, che, se si tiene presente l'alleanza, ad esse congiunto; vive nella convinzione che, come la storia
e il suo mysterium, cos anche il cosmo e il suo mito parlano di Dio e possono condurre a Lui. Conosce
per un altrettanto deciso "no" alle religioni, vede in esse espedienti con cui l'uomo si assicura contro
Dio invece di abbandonarsi alla sua pretesa6. Nella sua teologia della storia delle religioni il cristianesi-
mo non prende affatto partito per l'uomo religioso, per il
K. RAHNER, Schriften, V, pp. 140ss. (tr. it. Cristianesimo e religioni non cristiane, in Saggi di
antropologia soprannaturale, Roma 1965, pp. 536ss.).
Soprattutto la cosiddetta teologia dialettica, sotto l'egida di Karl Barth, ha messo in risalto con grande
decisione questa prospettiva; essa, in rapporto alle religioni, fu approfondita nel modo pi coerente da
H. KRAEMER. ovvio che la sua "Urna grande opera, Religion und christlicher Glaube, Gottingen
1959, sia molto pi differenziata e cauta dei primi lavori. Cfr. le esposizioni equilibrate di H. FRIES,
Re-"gion: Handbuch theologischer Gmndbegriffe, li, pp. 428-441, specialmente pp. 438ss. (tr. rt-
Religione, in Dizionario Teologico, Brescia 1967, III, pp. 91-106; specialmente PP- 102ss.).
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
conservatore, che si attiene alle regole del gioco delle sue istituzioni ereditarie; il "no" cristiano agli di
significa piuttosto un'opzione in favore del ribelle che per amore della coscienza osa evadere dalle
consuetudini. Forse questo tratto rivoluzionario del cristianesimo stato tenuto coperto troppo a lungo
sotto modelli conservatori7.
Senza dubbio qui emergono gi una serie di deduzioni; per il momento le lasciamo da parte, per seguire
la nostra questione passo passo.
Se si presenta all'uomo di oggi la concezione delle altre religioni che il cristianesimo ha sviluppato, e
che ora abbiamo abbozzata, non si meraviglier. Da una parte, per lui un segno di presunzione
riconoscere solo un carattere precorritore alle altre religioni. Dall'altra, il "no" del cristianesimo a
queste religioni gli appare come l'espressione della contesa partigiana fra le diverse religioni, ciascuna
delle quali vuole affermarsi a spese delle altre: inconcepibilmente cieche, non riescono a vedere che in
realt sono una sola e medesima cosa. L'impressione preponderante dell'uomo di oggi quella che tutte
le religioni, pur con una policromia di forme e strutture, in ultima istanza sono e credono le stesse cose;
cosa che tutti notano tranne loro8. Alla pretesa di verit di una determinata
Ho cercato di mostrare nel mio volumetto Die Einheit der Nationen. Eine Vision der Kirchenvter,
Salzburg 1971, specialmente pp. 41-57 (tr. it. L'unit delle nazioni, Brescia 1973, pp. 57-79) come la
Patristica abbia chiaramente avvertito il carattere rivoluzionario del cristianesimo.
L'idea di una unit ultima di tutte le religioni sta sullo sfondo soprattutto delle diverse opere di F.
HEILER; cfr. da ultimo: Die Religionen der Menschheit, Stuttgart 1959, p. 52: Visto che la realt
sperimentata nella religione una sola, in fondo esiste anche una [sola] religione; cfr. pp. 877-889;
ID., Encheinungsformen und Wesen
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
religione, l'uomo contemporaneo molto difficilmente si opporr con un reciso "no"; si limiter soltanto
a relativizza-re la pretesa col dire: vi sono molte religioni9. Dietro c' sempre in qualche modo l'idea
che, entro strutture fungibili, per principio esse sono per uguali: ciascuno abbia dunque la propria.
Se vogliamo cercare di fare emergere quali siano le poche certezze caratteristiche di tale disposizione
spirituale corrente, potremmo dire: il concetto di religione che ha l'"uomo di oggi" (mi si consenta di
mantenere questa real-fiction) statico, di solito egli non contempla la possibilit del passaggio da una
religione all'altra, ma si aspetta che ciascuno rimanga nella propria e che la viva nella coscienza che,
nel suo nucleo spirituale, essa senz'altro identica a tutte le altre. Esiste dunque una specie di co-
smopolitismo religioso, che non esclude, ma include l'appartenenza a una determinata "provincia
religiosa", che non desidera un cambiamento della "cittadinanza" religiosa tranne che per singoli casi
esemplari; in ogni caso solleva una pesante riserva di fronte all'idea di missione, in fondo la rifiuta.
Una seconda cosa traspare in quanto s' detto. Il concetto di religione dell'uomo di oggi caratterizzato
dal simbolismo e dallo spiritualismo. La religione appare come un cosmo di simboli, che, pur in
presenza di un'ultima unit del linguaggio simbolico dell'umanit (che sia la psicologia sia la scienza
delle religioni oggi fanno risal-
der Religion, Stuttgart 1961. Un atteggiamento simile si trova in H. N. SFALDINO, The Divine
Universe, Oxford 1958.
Questo il titolo di un volumetto di J. THOM, che si occupa del problema dell'assolutezza del
cristianesimo.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
tare sempre pi chiaramente10), nei particolari differiscono in molti modi, ma intendono comunque tutti
la stessa cosa e dovrebbero solo cominciare a scoprire la loro profonda unit. Appena ci avvenisse,
l'unit delle religioni si realizzerebbe senza eliminare la loro pluralit: questa l'illusione piena di
promesse che, proprio persone religiosamente sensibili, oggi hanno davanti a s come unica reale
speranza per il futuro.
Finora nessuno stato in grado di proporre alla nostra generazione l'immagine di una religione
dell'avvenire (che a sua volta pu creare un "avvenire della religione"), in modo pi efficace, pi
convincente, pi caldo del presidente della Repubblica indiana Radhakrishnan, le cui opere finiscono
sempre per parlare di una imminente religione dello spirito, che coniugher in s un'unit di fondo con
una molteplice differenziazione . Di fronte a tali affermazioni proferite con atteggiamento profetico, la
cui portata umana e religiosa non si pu misconoscere, il teologo cristiano sembra un dogmatico fermo
al passato che non
Sono impressionanti in proposito soprattutto i lavori raccolti negli annuari Eranos; poi le varie
ricerche di M. ELIADE, specialmente // sacro e il profano, tr. it, Torino 1943; inoltre la sua grande
opera della maturit Storia delle credenze e delle idee religiose (tr. it. I, II e III, Firenze 1979, 1980 e
1989); ancora il volume a cura di C. LANCZKOWSKI Quellentexte, Freiburg i. Br. 1981. importante
la grande opera di P. RECH, Inbild des Kosmos. Bine Symbolik der Schopfiing, 2 voli., Salzburg 1966.
In questo contesto J. DANILOU richiama l'attenzione sull'opera di Rene Gunon che dominata
interamente dall'idea del simbolo (op. cit., pp. 134-158, pi precisamente pp. 143-158).
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Cfr. particolarmente le sue opere: The Hindu View of Life, 1926; Eastern Reli-gions and Western
Thought, 1939 (tr. it. Religioni orientali e pensiero occidentale, Milano 1966); Religion and Society,
1947; Recovery of Faith, 1956. Per la discussione con Radhakrishnan specialmente P. HACKER, Ein
Prasthnatraya-Kommentar des Neuhinduis-mus. Bemerkungen zum Werk Radhakrishnans, in OLZ
56 (1961), pp. 565-576; in forma divulgativa J. NEUNER, Gesprch mit Radhakrishnan, in StdZ 87
(1962), pp. 241-254. Vedi anche le opere di A. C. BOUQUET e di S. NEILL, come pure H.
KRAEMER, Religion und christlicher Glaube, Gttingen 1959, pp. 95-134.
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
riesce a liberarsi della sua arroganza, che la esprima con le maniere forti dei vecchi apologeti o con
quelle cortesi dei teologi odierni, i quali attestano all'altro quanto di cristiano egli inconsciamente gi
possiede. Tuttavia, se gli sta a cuore l'avvenire della religione, se convinto che il cristianesimo e non
un'indefinita religione dello spirito la religione dell'avvenire, il teologo cristiano si sentir spronato
nel continuare ad indagare ed a cercare di conoscere pi chiaramente il senso della storia delle religioni
e il posto del cristianesimo in essa.
2. // posto del cristianesimo nella storia delle religioni
La primissima impressione che si impone all'uomo quando incomincia, in materia di religione, a gettare
lo sguardo al di l dei confini della propria, quella di un illimitato pluralismo, di una molteplicit
addirittura opprimente, che a priori fa apparire illusoria la questione della verit. Noi, per, abbiamo
gi accennato al fatto che questa impressione non dura a lungo, ma molto presto cede il passo a
un'altra: quella di una nascosta identit delle aree religiose, che si distinguono certo nei nomi e nelle
immagini di superficie, ma non nei grandi simboli fondamentali e in ci che con essi si intende. In larga
misura questa impressione giusta. Di fatto esiste un'ampia area religiosa nella quale la comunanza
dell"'esperienza spirituale" (per parlare col linguaggio di Radhakrishnan) pi decisiva della diversit
delle forme esterne. In modo esplicito o implicito, tante religioni stanno in quella profonda, reciproca
comunicazione spirituale che nell'antichit si esprimeva nella facilit con cui le divinit potevano
essere scambiate da religione a religione, "tradotte", considerate
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
identiche nel loro significato. La diversit delle religioni assomiglia alla diversit delle lingue, che sono
traducibili l'una nell'altra, perch fanno riferimento alla stessa struttura di pensiero. Un analogo modo
di sentire, seppure di genere non esattamente identico, si manifesta quando religioni asiatiche possono
esistere contemporaneamente l'una nell'altra, quando per esempio una persona pu essere nello stesso
tempo buddhista e confuciana, buddhista e scintoista.
Come abbiamo detto, dall'impressione di piena pluralit, che per cos dire rappresenta un primo stadio
della riflessione, si sviluppa, in un secondo stadio, l'impressione di un'ultima identit. La filosofia
moderna della religione persuasa di poter persino addurre il fondamento di questa nascosta identit.
Secondo la sua concezione, qualsiasi religione, nella misura in cui "autentica", ha il suo punto di
partenza in quella forma d'intima esperienza del divino che i mistici di tutti i tempi e di tutti i luoghi,
uniti in ultima analisi, hanno sempre vissuto e vivono. Ogni religione in fondo poggerebbe
sull'esperienza vissuta del mistico, il quale solo consegue il contatto diretto col divino e poi ne
trasmette la cognizione a quei tanti a cui non dato compiere tale esperienza 12. Di conseguenza, la
religione sussisterebbe nell'umanit in una duplice forma (e solo in una duplice forma): nella forma
diretta della mistica, come religione "di prima mano", e, in secondo luogo, nella forma indiretta della
conoscenza soltanto "mutuata" dal mi-
Cos in modo particolarmente chiaro O. SPANN, Religionsphilosophie auf ge-schichtlicher Grundlage,
Wien 1947. Cfr. sul tema le esposizioni critiche di A. BRUN-NER, Die Religion, Freiburg i. Br. 1956,
pp. 57ss.
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Capitolo i - UNIT E MOLTEPLicrr DELLE RELIGIONI
stico, vale a dire nella forma della fede come rerigionex4-dL seconda mano". La religione fatta di
articoli e di formule dei molti sarebbe pertanto religione di seconda mano, mera partecipazione
all'esperienza vissuta mistica di per s ineffabile, ne sarebbe la traduzione secondaria in un linguaggio
dalle molteplici variazioni formali ma che non ha un significato proprio1 . Questa interpretazione
mistica della religione costituisce chiaramente lo sfondo di quello che prima abbiamo definito il
concetto di religione dell'uomo di oggi, concetto il cui senso e legittimit sta o cade insieme a tale
riduzione della religione alla mistica.
Ora finalmente risulta pi chiaro il punto da cui proseguire nell'indagine teologica, che possiamo ormai
definire in termini concreti come la questione circa il diritto all'in-terpretazione mistica della religione.
Non c' dubbio che tale interpretazione coglie in modo giusto gran parte del fenomeno religioso, non
c' dubbio che - come s' gi detto - esiste una segreta identit nel mondo molteplice delle religioni.
per altrettanto sicuro che essa non coglie l'intera realt, anzi, se lo volesse fare, giungerebbe a una
semplificazione errata. Quando si analizza la storia delle religioni nella sua totalit (nella misura in cui
la conosciamo) si ha l'impressione di una staticit molto minore, ci si imbatte in una imponente
dinamica, propria d'una storia reale (che progresso, non costante ripetizione simbolica dell'uguale); la
semplice in-distinzione a cui conduce l'interpretazione mistica viene meno a favore di uno
La distinzione largamente diffusa tra religioni di prima e di seconda mano sembra sia stata usata per
primi da psicologi americani della religione; cfr. E. BRUNNER, Offmbarung und Vernunft, Darmstadt
19612, p. 280.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
strutturarsi ben definito, che oggi risulta oramai evidente, in cui la via mistica emerge come una via del
tutto particolare tra svariate altre, in un punto assolutamente particolare della storia delle religioni, e
presuppone una intera serie di sviluppi indipendenti da essa.
In primo luogo troviamo sedimentato lo stadio delle antiche religioni (cosiddette primitive), che poi si
sviluppa nello stadio delle religioni mitiche, nelle quali le esperienze sparse dei primordi si raccolgono
in una coerente visione unitaria. Entrambi gli stadi non hanno nulla a che fare con la mistica nel senso
pi stretto, insieme, tuttavia, formano il vasto campo antecedente la storia delle religioni che rimane
costantemente importante come corrente sotterranea dell'intero fenomeno. Se il primo grande passo
della storia delle religioni, dunque, consiste nel passaggio dalle esperienze sparse dei primitivi al mito
in grande stile, il secondo passo, decisivo e tale da determinare l'attuale carattere della religione,
consiste nell'uscita dal mito. Tale passo storicamente si verificato in tre modi:
1. Nella forma della mistica, in cui il mito delude come mera forma simbolica e si rafforza l'assolutezza
dell'ineffabile esperienza vissuta. Di fatto poi la mistica si dimostra custode dei miti, rifonda il mito,
che spiega come simbolo della verit.
2. La seconda forma quella della rivoluzione monotei-stica, la cui forma classica si trova in Israele. In
essa il mito rifiutato come arbitrio umano. Viene affermata 1''assolutezza della chiamata divina
tramite il profeta.
3. Va aggiunto come terza forma V illuminismo (Aufklarung), il cui primo grande momento si verific
in
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
Grecia. In esso il mito come forma di conoscenza prescientifica viene superato e si instaura V
assolutezza della conoscenza razionale. L'elemento religioso diventa privo di significato, al massimo
gli rimane una certa funzione puramente formale di cerimoniale politico (= riferito alla polis).
La terza via si sviluppata pienamente solo nell'epoca moderna, anzi, propriamente, soltanto al
presente e sembra avere ancora un futuro davanti a s. Quel che ha di particolare che non rappresenta
una via all'interno della storia delle religioni, ma vuole piuttosto la fine di essa e desidera condurre
fuori da essa in quanto realt ormai superata. Tuttavia (o proprio per questo) non risulta affatto senza
rapporto con la storia delle religioni; si dovrebbe dire al contrario che per il futuro della religione e
delle sue chances nell'umanit, assumer importanza decisiva il modo in cui la religione sar in grado
di impostare il suo rapporto con questa "terza via". E noto che, nell'epoca della Chiesa antica, il
cristianesimo (la seconda forma nella nostra catalogaziene) era riuscito a legarsi in misura abbastanza
stretta alle forze dell'illuminismo. Oggi il peso di Radhakrishnan e della sua concezione poggia
sicuramente non solo sulla sua forza religiosa, ma sulla sorprendente alleanza con quelle che ora,
mutatis mutandis, potremmo chiamare le forze dell'illuminismo.
Ricapitolando quanto scritto fin qui, constatiamo che non esiste una generica in-distinzione delle
religioni e neppure la loro pluralit senza rapporto, ma si pu delineare una formula strutturale che
abbracci il momento della storicit (del divenire, dello sviluppo), il momento dell'essere
27

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima


in costante rapporto e il momento delle diversit reali, irriducibili. La vicenda storica si potrebbe
presentare schematicamente come segue:
Esperienze primitive Religioni mitiche
Triplice uscita dal mito
/I\
Mistica Rivoluzione Illuminismo
monoteistica
In questo schema di massima si dovrebbe afferrare l'esito a cui pu condurre una "critica della ragione
storica" in materia di religione. Come s' detto, tra l'idea di una pluralit sconfinata e quella di una
altrettanto sconfinata in-distinzione siamo rimandati invece a un numero limitato di strutture, che sono
preordinate a un determinato sviluppo spirituale. Inoltre risultato che l'instaurarsi di un'assolutezza
non , come abitualmente si ritiene, una peculiarit della sola "via monoteistica", ma proprio di tutt'e
tre le vie sulle quali l'uomo ha abbandonato il mito. Come il "monoteismo" afferma l'assolutezza della
chiamata divina da esso udita, cos la mistica parte dall'assolutezza della spiritual experience come
l'unica cosa davvero reale in tutte le religioni, mentre fa passare tutto quel che dicibile e formulabile
per forme simboliche secondarie e fungibili. Risiede qui il vero e proprio nocciolo del malinteso tra
l'uomo di oggi, affascinato dalla teologia deil'in-di-stinzione della mistica spiritualistica, e il
cristianesimo.
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
L'uomo di oggi (manteniamo per ragioni di semplicit questo termine collettivo) urtato
dall'affermazione di assolutezza del cristianesimo, che gli sembra poco credibile di fronte a cos tante
relativit storiche a lui ben note, si sente molto pi compreso e attirato dal simbolismo e dallo
spiritualismo di un Radhakrishnan, che insegna la relativit di tutti i messaggi religiosi articolabili e la
validit della sola e unica esperienza spirituale mai adeguatamente dicibile, la quale (sebbene si
presenti di grado diverso) , a suo parere, una e la medesima. Per quanto significativa, questa opzione
poggia tuttavia su un cortocircuito. Infatti, solo in apparenza Radhakrishnan oppone al punto di vista
"partigiano" di chi cristiano una apertura super partes verso tutto ci che religioso; in verit, come
chi cristiano, egli parte da una dottrina dell'assolutezza che corrisponde alla sua struttura religiosa; e
per il cristianesimo (in genere per ogni tipo di vero e proprio "monoteismo") la pretesa della sua via
non rappresenta una pretesa minore di quella che l'assolutezza cristiana rappresenta per la propria.
Infatti, se egli insegna l'assolutezza dell'ineffabile esperienza spirituale e la relativit di tutto il resto,
chi cristiano nega la validit unica ed esclusiva dell'esperienza mistica e insegna l'assolutezza della
chiamata divina che s' fatta udibile in Cristo. In ultima analisi, inculcare per forza a chi cristiano
l'assolutezza della mistica quale sola realt vincolante costituisce una pretesa non inferiore al sostenere
di fronte a chi non cristiano l'assolutezza di Cristo.
Infine, bisognerebbe aggiungere che anche la terza delle vie da noi evidenziate, che abbiamo chiamato
"illuminismo", con cui si potrebbe designare l'emergere di una im-
28
29
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
postazione basata su una concezione della realt rigorosamente razionale, ha una sua propria
assolutezza: l'assolutezza della conoscenza razionale ("scientifica"). Dove la scienza diviene "visione
del mondo" (ed esattamente questo che dev'essere designato col termine "illuminismo"),
quest'assolutezza diventa esclusiva, diviene la tesi dell'esclusiva validit del conoscere scientifico e di
conseguenza diventa contestazione dell'assolutezza religiosa, che di per s si colloca su tutt'altro piano.
Anche in questo caso il credente, ovvero semplicemente l'uomo devoto, dovr indicare i limiti di questa
assolutezza. Essa si muove all'interno di determinati confini categoriali, entro i quali ha validit
rigorosa; ma affermare che l'uomo conosca in assoluto soltanto nell'ambito segnato da questi confini,
una decisione aprioristica, che per di pi viene smentita dall'esperienza 14. Tuttavia c' da dire che questa
terza via ha a che fare solo indirettamente con la scelta religiosa, e che la vera e propria problematica
religiosa investe la prima e la seconda via ("mistica" e "rivoluzione monoteistica"). necessario
dunque approfondire ancora un po' tale questione.
3. Mistica e fede
chiaro, dopo quel che s' detto, che tra le due vie da noi chiamate "mistica" e "rivoluzione
monoteistica", non si pu decidere in modo razionale n a favore dell'una n a favore dell'altra. Ci
presupporrebbe l'assolutezza pura e semplice della via razionale, che appunto abbiamo conte-
14
Offre riflessioni importanti su questo problema K. HUBNER, Glaube und Den-ken. Dimensionen
der Wirklichkeit, Tiibingen 2001.
30
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
stato. Questa decisione, in ultima analisi, piuttosto una questione di fede, seppure di una fede che si
avvale di preambula razionali. Quel che si pu fare sul piano scientifico , unicamente, tentare di
conoscere ancor pi da vicino la struttura delle due vie e la loro reciproca relazione.
Anzitutto necessario spiegare pi precisamente ci che nel nostro contesto si deve intendere col
termine "mistica". Dovrebbe risultare chiaro, da quanto finora si argomentato, che con tale termine
non si designa quella forma di piet religiosa che pu trovarsi anche nell'ordine a cui appartiene la fede
cristiana. Per "mistica" qui si intende pi radicalmente una via presente nella storia delle religioni, una
disposizione che non tollera nessuna realt so-vraordinata a s, considerando in ultima analisi le espe-
rienze ineffabili e misteriose del mistico come l'unica realt vincolante nell'ambito del religioso1 .
Questo atteggiamento caratteristico di Buddha come dei grandi pensatori religiosi del gruppo delle
religioni induiste, persine quando le loro posizioni sono cos opposte fra loro quanto quelle di Shankara
e di Ramanuja16. la via che, con molteplici varianti, costituisce comunque lo sfondo unitario delle
grandi religioni asiatiche. caratteristica di tale mistica l'esperienza dell'in-distinzione. Il mistico
sprofonda nell'oceano dell'Uno-tutto (che esso sia definito come "nul-
15
r>
Uvviamente anche la mistica cristiana pu giungere a questo atteggiamento,
la tentazione di questo passaggio sta in certo senso nella natura della mistica. Tuttavia allora essa
smette d'essere "cristiana"; il suo carattere cristiano dipende dal suo considerare se stessa come
subordinata. Proprio per questo motivo, si potrebbe addirittura definire la natura della mistica cristiana
partendo da tale ottica.
Cfr. i manuali di storia delle religioni, per esempio H. LOSCH, voce Ramanuja, in RGG2, V, col. 773s.;
ID., Shankara in RGG3, VI, coli. 6s., con ulteriore bibliografia. Vedi anche T. OHM, Die Liebe zu Goti
in den nichtchristlichen Religionen, Frei-burg, i. Br. 19772, Pp. 230ss.
31
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
la", in un'accentuata teologia negativa, o positivamente come "tutto", la stessa cosa). Nell'ultimo
stadio di tale esperienza, il "mistico" non dir pi al suo Dio: "io sono tuo", ma la sua formula sar: "io
sono Te"17. La distinzione relegata nella sfera del provvisorio, lo stadio definitivo la fusione, l'unit.
Il monismo assoluto il compimento del dualismo, con il quale inizia la coscienza devota, dice
Radhakrishnan18. Quest'esperienza intcriore di in-distinzione, in cui ogni separazione affonda e diventa
velo irreale che cela l'unit col fondamento di tutte le cose, poi il motivo della conseguente teologia
dell'in-di-stinzione, di cui si parlato prima diffusamente, nella quale tutte le diverse religioni, appunto
perch sono diverse, vengono assegnate al mondo del provvisorio, in cui la parvenza della separazione
copre ancora il mistero del-l'in-distinzione. L'equiparazione di tutte le religioni, che riscuote tanta
simpatia presso l'uomo occidentale contemporaneo, svela qui il suo presupposto dogmatico consistente
nell'asserita identit di Dio e del mondo, del fondo dell'anima e della divinit. Al tempo stesso risulta
chiaro perch, per la religiosit asiatica, la persona non sia un che di ultimo e perci Dio stesso non sia
concepito come persona: la persona, P"io" e il "tu" contrapposti, appartiene al mondo della
separazione; anche il confine che distingue l'"io" e il "tu" sprofonda, si rivela provvisorio nell'espe-
rienza che fa il mistico dell'Uno-tutto.
Cfr. J. A. CUTTAT, Vergeistigungs-'Technik" und Umgestaltung in Christus, in Kairos 1 (1959), pp.
18-30; ID., stlicher Advent und gnostisdie Versuchung, in ivi 2 (1960) pp. 145-163; H. W.
GENSICHEN, Die biblische Botschaft gegenilber dem Hinduis-mus, in RGG3, III, coli. 349-352, con
abbondanti dati bibliografici; in H. W. GENSICHEN, art. cit., a p. 350 la contrapposizione tra io sono
Te e io sono tuo. 18 Citato in H. W. GENSICHEN: RGG3, III, col. 351.
32
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
II tipo in cui si concretizza la rivoluzione monoteistica, al contrario, non quello del mistico, bens
quello del profeta. Per costui decisiva non affatto l'in-distinzione ma l'essere dalla parte opposta del
Dio che chiama e comanda. In questo modo si pu anche capire perch finora si sia parlato sempre di
"rivoluzione monoteistica", quando si doveva designare il contraltare alla via della mistica nella storia
delle religioni. Infatti, non ogni forma del cosiddetto monoteismo pu essere contrapposta alla "misti-
ca" come parte di un esodo veramente definitivo dal mito. Dobbiamo escludere a priori due forme di
monoteismo: anzitutto le diverse forme di fede in un Dio che si possono incontrare nell'ambito
primitivo e che non entrano nella dinamica storica delle grandi religioni; poi quel monoteismo
evolutivo, quale si andato formando fin dal Medioevo, diciamo, nell'India19. Il monoteismo dell'India
si distingue da quello di Israele per due motivi: in primo luogo esso ordinato alla mistica, il che
significa che tende al monismo e appare cos solo uno stadio preliminare di quanto pi definitivo,
vale a dire dell'esperienza del-l'in-distinzione; in secondo luogo sorto non, come in Israele, attraverso
una rivoluzione, ma tramite l'evoluzione, e questo ha come conseguenza che non giunto mai alla
caduta degli di, ma piuttosto a diverse forme di amichevole accomodamento tra Dio e gli di, tra la
fede in un solo Dio e quella in una pluralit di di20. Per contro,
19
Sul "monoteismo" in India cfr. H. VON GLASENAPP, Die fnf grofien Religio-nen, I, Dsseldorf
1952, pp. 34ss. Sul problema del monoteismo in genere cfr. R. PETTAZZONI, L'omncienza di Dio,
Torino 1955.
Specialmente R. Pettazzoni, nell'opera citata sopra, ha messo in rilievo la differenza nella storia delle
religioni tra monoteismo evolutivo e rivoluzionario. Cfr. anche H. DE LUBAC, L'origine de la
religion. Homme, Dieu, Univers, a cura dij. de Bi-vort de la Saude, Graz 1956, pp. 313-346,
specialmente 339ss.
33
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
il monoteismo sorse in Israele (anche quello di Zarathustra sorse cos) per via d'una rivoluzione, quella
di pochi uomini, che, animati da una nuova coscienza religiosa, distrassero il mito e abbatterono gli di
di cui parlava il mito. Solamente e unicamente questo esodo veramente definitivo dal mito rappresenta
il monoteismo in senso specifico come una via a s nella storia delle religioni. Esso ha avuto luogo in
Israele e, dalla radice d'Israele, nel cristianesimo e nell'isiam (con effetto storico di minor rilevanza
anche in Zarathustra ).
Gi questi pochi accenni potrebbero bastare a mostrare che nel "monoteismo" e nella "mistica"
abbiamo davanti a noi due realt fin dall'inizio strutturate in modo totalmente diverso. Nella mistica
vige il primato dell'interiorit, l'asso-lutizzazione dell'esperienza spirituale. Questo implica che Dio sia
puramente passivo in rapporto all'uomo e che il contenuto della religione non possa essere altro che
l'immersione dell'uomo in Dio. Non si da alcun agire di Dio, ma esiste solo la "mistica" dell'uomo, la
via dei diversi gradi dell'unione. La via monoteistica parte da una convinzione opposta: passivo
l'uomo, sul quale Dio agisce; qui l'uomo colui che da s non pu far nulla, ma in cambio v' un fare di
Dio, una chiamata che da Lui promana, e all'uomo si schiude cos la salvezza nell'obbedien-za
all'appello di Dio. Per tale ragione si potrebbe, invece della contrapposizione "mistica -- rivoluzione
monoteistica", scegliere anche la contrapposizione "mistica - rivela-
21
Sull'enigmatica figura di Zarathustra cfr. specialmente R. C. ZAEHNER, The Dawn and Twilight of
Zoroastrianism, London 1961; W. ElLERS, RGG3, VI, coli. 1866ss. (con bibliografia); G.
WlDENGREN, Die Religionen Irans, Stuttgart 1965, coli. 60-93; 98-112.
34
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
zione", e questo sul puro piano della fenomenologia della religione, senza far entrare in campo la fede
del monoteismo. Ci che caratterizza la prima via che la "mistica" avviene come esperienza spirituale
dell'uomo e che tale avvenimento viene considerato come l'ultimo e l'unico, in verit, perci come
l'avvenimento assoluto per la storia delle religioni. Stante questo punto di partenza, non pu darsi
nessuna "rivelazione" di Dio, essa sarebbe illogica in un contesto del genere. L'altra via caratterizzata
dal fatto che "rivelazione", che c' una chiamata di Dio e che, per l'umanit, questa chiamata
l'assoluto, da essa viene la salvezza per l'uomo .
Con questo superata anche l'obiezione che il monoteismo sia in fondo solo una mistica bloccata23 o
un'illuminismo bloccato in cui ci si sia dimenticati di includere nella caduta dei miti anche la figura del
solo e unico Dio. In verit "Dio" (anche nell'ambito della fenomenologia della religione) qualcosa
d'altro dagli di e in realt, come
A mio parere, questa differenza tra passivit del divino e attivit dell'uomo, da un lato, attivit primaria
di Dio e passivit, ovverosia attivit meramente derivata dell'uomo, dall'altro, fonda anche
l'opposizione, a cui si bada meno, tra pensiero greco e biblico; qui stava la difficolt centrale della
sintesi dei due mondi attuata dalla Patristica, sintesi i cui punti di cucitura possibile continuare a
rintracciare chiaramente nell'insegnamento dogmatico su Dio e nella teologia. Oggi, per cos dire,
sembrano scucirsi ds nuovo. Poich le principali affermazioni bibliche su Dio sono quelle della
creazione e della Rivelazione (incarnazione), entrambe presuppongono attivit e relazione di Dio ad
extra, ma entrambe queste realt sono impossibili se si parte dalla metafisica greca. Si avverte che la
sintesi patristica si trovava davanti agli stessi problemi che oggi ci pone con nuova urgenza l'incontro
con la storia delle religioni.
Questa l'idea che sta dietro alla tesi di Radhakrishnan del dualismo come inizio della coscienza
religiosamente pia.
Ho cercato di mostrare questo nella mia lezione inaugurale di Bonn Der Goti des Glaubens und der
Goti der Philosophen, Munchen - Ziirich 1960, ripubblicata in J. RATZINGER, Vom Wiederauffinden
der Mitte, a cura della cerchia dei discepoli, Frei-burg i. Br. 1997, pp. 40-59.
35
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
s' visto, c' a priori una struttura totalmente diversa da quella della "mistica". L'esperienza dell'operare
di Dio e del suo essere persona poggia su un rapporto complessivo con la realt del tutto diverso
dall'idea di in-distinzione del mistico e dalla riduzione, a essa collegata, della persona alla dimensione
impersonale. Il "monoteista" ritiene giusta la riduzione esattamente contraria: quella di tutta la
dimensione impersonale alla persona. Qui, come s' detto, non intendiamo discutere la legittimit delle
due posizioni; ci importava soltanto far comprendere il loro carattere autonomo e diverso. Recenti
analisi del vissuto dei mistici ritengono poter dimostrare addirittura il contrario di quanto risultava
dall'obiezione precedente, cio che il monoteismo sia una mistica bloccata. Secondo queste analisi,
l'esperienza vissuta dell'in-distinzione solo la prima tappa della via mistica oltre la quale ovviamente
solo pochi arrivano, e in questo sta la vera e propria tentazione della mistica;
10 stadio assai pi doloroso del distacco da se stessi e il passo per entrare nella trascendenza vera e
propria viene solo dopo. Questo stadio, secondo tali analisi, esige dall'uomo la crocifissione dello
strapparsi da s e dell'essere abbandonato nel vuoto assoluto, nel quale non v' pi nulla di terreno che
sostenga; ma solo cos all'uomo si presenta
11 vero volto di Dio. Avviene cos che, se all'uomo concesso il dono di prendere il largo in questa
mistica dell'oscurit e della fede, la mistica precedente della luce e della visione appare come un
piccolo preludio, che il mistico, non presago della profondit di Dio, prima era tentato di prendere per
la realt ultima e totale25.
25
R. C. ZAEHNER, Zwei Slromungen der muslimischen Mystik, in Kairos 1 (1959), pp. 92-99. P.
HACKER giunge agli stessi risultati da un altro punto di partenza, in Die Idee der Person ini Denken
voti Vednta-Phlosophen; in Studia Missionalia 13
36
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
Tali riflessioni ci sembra che aprano pi facilmente la strada a un fecondo dialogo tra le due vie, un
dialogo idoneo a superare la dualit insoddisfacente di "monoteismo" e "mistica", che da una parte non
assorbe il monoteismo in uno sterile sincretismo mistico e, dall'altra, non assoggetta le religioni
vincolate alla mistica a un falso e meschino assolutismo di forme storiche occidentali. Ma a tal fine
saranno ancora necessari nella ricerca religiosa di ambo le parti molta pazienza, tatto e onest.
4. La struttura delle grandi vie religiose
Rinunciamo a svolgere oltre questo compito, per il momento troppo impegnativo, per trarre invece
dagli spunti offerti alcune ulteriori conseguenze sulla struttura delle due grandi vie e per imparare, in
questo modo, a comprendere con maggior chiarezza cosa sia il cristianesimo e il posto che occupa nel
complesso del cammino religioso dell'umanit.
a) In precedenza abbiamo imparato a riconoscere che la vera differenza tra la via mistica e quella
monoteistica sta nel fatto che, nel primo caso, "Dio" rimane del tutto passivo e l'elemento decisivo
l'esperienza dell'uomo che sperimenta la sua in-distinzione rispetto all'essere di ogni ente, mentre, nel
secondo caso, si crede all'operare di Dio
1963), pp. 30-52. Si trovano inoltre importanti osservazioni sul problema in H. U. VON
BALTHASAR, Fides Christi, in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1961, pp. 45-79 (tr. it. con lo stesso titolo,
Brescia 1972, pp. 41-72). Ho cercato di esprimermi un po' pi Precisamente sulla mistica dell'oscurit e
della luce nella voce Licht, in Handbuch Aeologischer Grundbegri/e, II, coli. 44-54, specialmente coli.
49 e 52s. (tr. it. Luce, in Dizionario Teologico, II, Brescia 1969, pp. 232-243, specialmente pp. 238 e
240s.).
37
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
che chiama l'uomo. Da questo fatto consegue una differenza ancor pi profonda, che sul piano della
fenomenologia della religione balza particolarmente all'occhio e a sua volta genera una serie di ulteriori
conseguenze. Ne risulta infatti il carattere storico della fede che si basa sulla rivoluzione profetica e il
carattere astorico della via mistica. L'esperienza vissuta, da cui nella mistica tutto dipende, si esprime
solo in simboli, il suo nucleo identico in tutti i tempi. Non il momento cronologico dell'esperienza
vissuta ad essere importante, ma unicamente il suo contenuto, che equivale a un travalicamento e a una
relativizza-zione di ogni realt temporale. Al contrario, la chiamata divina, da cui il profeta sa d'essere
raggiunto, databile; ha un "qui" ed "ora", con essa ha inizio una storia, stabilita una relazione, e le
relazioni tra persone hanno carattere storico, esse sono quello che noi chiamiamo storia. Jean Danilou,
in particolare, ha messo in forte risalto questo fatto, sottolineando a pi riprese che il cristianesimo
essenzialmente fede in un evento, mentre le grandi religioni non cristiane affermano l'esistenza d'un
mondo eterno che si oppone al mondo del tempo. Esse ignorano il fatto dell'irruzione dell'eterno nel
tempo, che viene a dargli consistenza e a trasformarlo in storia b. La mistica, del resto, condivide
questo carattere dell'astoricit con il mito e con le religioni primitive, nelle quali, secondo Mir-cea
Eliade, tipica la ribellione contro il tempo concreto, la loro nostalgia d'un periodico ritorno al mitico
tempo originario27. D'altronde, qui sarebbe il caso di mettere in rilievo quanto ha di particolare il
cristianesimo nell'ambito
IC
J. DANILOU, Saggio sul mistero della storia, op. cit., p. 121.
27
Ivi. Cfr. M. ELIADE, // mito dell'eterno ritorno, tr. it., Roma 1982, p. 7.
38
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
della via monoteistica, poich si potrebbe mostrare che solo nel cristianesimo l'impostazione storica
stata seguita in modo del tutto rigoroso, e che quindi solo nel cristianesimo la via monoteistica ha
esplicato i suoi effetti in modo davvero autentico28.
b) Del resto, a partire dall'impostazione abbozzata, si capisce la notevole differenza che distingue i
patriarchi e i profeti di Israele dai grandi fondatori delle religioni dell'Asia orientale. Se si mettono a
confronto i protagonisti dell'Alleanza in Israele con le personalit religiose dell'Asia, in un primo
momento si pu essere colti da un senso di strano disagio. Abramo, Isacco, Giacobbe, Mos appaiono
con tutti i loro inganni e furbizie, con il loro temperamento e la loro inclinazione alla violenza, per lo
meno mediocri e miseri accanto a un Buddha, a un Con-fucio, a un Lao-Tzu29; ma persine grandi
personaggi profetici come Osea, Geremia, Ezechiele in un paragone del genere non fanno del tutto una
bella figura. una sensazione che gi ebbero i Padri della Chiesa quando la Bibbia e l'ellenismo si
incontrarono. Se Agostino, che aveva scoperto la bellezza della verit nelYHortensius di Cicerone e
aveva imparato ad amarla, trov la Bibbia, dopo averla presa in mano, indegna di essere associata alla
tulliana di-
Tratta la questione in modo particolareggiato E. BRUNNER, Offenbarung und Vernunft, Darmstadt
19612, pp. 242-261, specialmente pp. 250-261. Cfr. relativamente all'isiam anche le indicazioni di J.
DANILOU, op. cit., p. 123, che cita J. Mouba-rac: II pensiero maomettano ignora la durata e
conosce solo atomi, momenti del tempo (nt).
2()
Cfr. la presentazione di queste figure in K. JASPERS, Die grofien Philosophen, 1, Miinchen 1957, pp.
128-185; 898-933 (tr. it. I grandi filosofi, Milano 1957). La storia
Iella figura di Lao-Tzu viene per contestata in vari scritti (per esempio in H.
^INGGREN, A. STROM, Die Religionen der Volker, Stuttgart 1959, p. 425); per la com-parazione che
qui interessa, il problema non ha rilievo.
39
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
gnitas, si capisce quale possa essere stato lo shock di tale paragone: di fronte alla sublimit del pensiero
mistico, i protagonisti della storia della fede appaiono terra terra 30. Anche altri Padri della Chiesa
ebbero la stessa impressione: fu qui che Mario Vittorino incontr le sue difficolt, e ugualmente Sinesio
di Cirene, e, se si leggono i complicati tentativi di scagionare Davide nelle apologie di quel re scritte da
sant'Ambrogio, si avverte lo stesso problema e una perplessit che non superata certo da quei
ragionamenti. Non ha senso negare lo "scandalo", anzi solo questo che fa capire dove stia il punto.
Visti nell'ottica della storia delle religioni, Abramo, Isacco e Giacobbe non sono davvero "grandi
personalit religiose"31. Eliminare questo dato attraverso un'interpretazione significherebbe scartare per
via interpretativa proprio lo stimolo proveniente da un inciampo che conduce a quanto di particolare e
unico nel suo genere appartiene alla Rivelazione biblica. Questa particolarit e totale alterit sta nel
fatto che Dio, nella Bibbia, non contemplato, come avviene per i grandi mistici, ma sperimentato
come Colui che agisce rimanendo nell'oscurit (per l'occhio esteriore e intcriore). E questo a sua volta
dipende dal fatto che in questo caso non l'uomo, con un proprio sforzo per ascendere attraverso i
diversi strati dell'essere, a penetrare a fondo fino a ci che c' di pi interiore e spirituale, e cos a
trovare dove stia il divino. vero l'opposto: Dio che cerca l'uomo in mezzo alle cose del mondo e
della terra; Dio,
E noto che Fr. Nietzsche ha applicato questo epiteto ad Agostino: cfr. in proposito F. VAN DER MEER,
Augustinus der Seelsorger, Koln 1951, pp. 306s., (tr. it. Sant'Agostino pastore d'anime, Roma 1971). E
interessante come il giudizio di K. JASPERS, op. cit., pp. 394ss., sebbene diverso nella forma, tuttavia
non sia molto diverso nella sostanza.
Cfr. la nota seguente. 40
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
che nessuno pu scoprire da s, nemmeno l'uomo pi puro, a inseguire l'uomo e ad entrare in rapporto
con lui. Si potrebbe dire che la "mistica" biblica non una mistica dell'immagine ma della parola, la
sua rivelazione non visione dell'uomo, bens parola e atto di Dio. Essa non primariamente il trovare
una verit, ma l'agire di Dio stesso che da forma alla storia. Il senso di essa non risiede nel rendersi
visibile della realt divina all'uomo, ma nel rendere colui che riceve la rivelazione protagonista della
storia divina. Infatti qui, all'opposto della mistica, Dio che agisce, ed Lui a dare all'uomo la
salvezza. Ancora una volta Jean Danilou che l'ha riconosciuto con perspicacia. Le sue affermazioni
al riguardo meritano di essere abbondantemente citate: Per il sincretismo [cos egli dice. E noi
potremmo dire: "per le diverse vie religiose al di fuori della rivoluzione inaugurata dai profeti"], le
anime salve sono quelle capaci di interiorit, a qualsiasi religione appartengano. Per il cristianesimo,
salve sono quelle che credono, qualunque sia il loro grado di interiorit. Un piccolo fanciullo, un
operaio oppresso dal lavoro, se credono, sono superiori ai pi grandi asceti. "Noi non siamo grandi
personalit religiose", ha meravigliosamente detto Guardi-ni, "noi siamo i servitori della Parola". Cristo
aveva gi detto che san Giovanni Battista poteva essere "il pi grande tra i figli degli uomini ma che il
pi piccolo dei figli del Regno pi grande di lui" (cfr. Le 7,28). possibile che nel mondo vi siano
grandi personalit religiose al di fuori del cristianesimo, anche possibile persino che le pi grandi
personalit religiose si trovino al di fuori del cristianesimo: ci non ha alcuna importanza. Quel che im-
porta obbedire alla parola di Cristo32.
' J. DANILOU, op. cit., p. 126.
41
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
c) Infine, a partire da queste considerazioni, si capisce perch la differenza gi trattata (al numero 2) tra
religione di prima e seconda mano, che dal punto di vista della mistica rappresenta l'unica diversit
reale nell'ambito delle religioni, non riconosciuta dal cristianesimo, ovvero non vale all'interno del
cristianesimo. Contro l'ultima affermazione si potrebbe subito obiettare che comunque v' anche nel
cristianesimo la distinzione tra il santo e l'uomo semplicemente devoto, tra il mistico e il semplice
credente, a cui negata l'esperienza diretta del divino. Senza dubbio questa distinzione esiste, ma
secondaria. Non determina la differenza tra due modi di possedere la religione, tra l'avere la realt
religiosa e l'avere una religiosit meramente mutuata, che deve accontentarsi dei simboli perch manca
della forza dell'immersione mistica. Se si ritiene che la mistica sia l'essenza della religione e si consi-
dera tutto il resto solo come espressione secondaria di ci che avvenuto nel santuario dell'esperienza
mistica, allora solamente il mistico, in effetti, il reale detentorc della religione, tutti gli altri debbono
accontentarsi del mero involucro, sono "di seconda mano". Se per ci che decisivo non
l'esperienza spirituale personale, ma la chiamata divina, allora tutti coloro che credono a questa
vocazione, in ultima istanza, sono nella stessa condizione: ognuno identicamente chiamato. Mentre
nelle religioni mistiche il mistico "di prima mano" e il credente "di seconda mano", in assoluto "di
prima mano" qui solo Dio stesso. Gli uomini sono, tutti e ognuno, "di seconda mano": al servizio
della chiamata divina.
Tutto quel che s' detto non pu n deve servire a creare una comoda giustificazione razionale per la
fede cri-
42
Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
stiana nel conflitto delle religioni. Si voluto piuttosto definire un po' pi chiaramente (eppure ancora
in modo abbastanza generico) il posto del cristianesimo nel complesso della storia delle religioni, per
conoscere meglio noi stessi e la nostra propria via in rapporto agli altri. Se la questione ha posto in
primo piano ci che separa, non si deve tuttavia dimenticare ci che unisce: il fatto che noi tutti siamo
parte di un'unica storia che, in vari modi, in cammino verso Dio. Ci sembra che la conclusione
decisiva sia che, per la fede cristiana, la storia delle religioni non il ciclico ritorno di ci che sempre
uguale, di ci che non arriva mai al vero, che rimane al di fuori della storia. Chi cristiano ritiene che
la storia delle religioni sia una storia reale, una strada la cui direzione significa progresso, e il cui
cammino significa speranza. Costui deve svolgere il suo servizio come uno che spera, che
imperturbabilmente sa che il fine della storia, pur attraverso tutti i fallimenti e le contese degli uomini,
si compie: la trasformazione del tohuwabohu, del caos con cui il mondo ebbe inizio, si realizza nella
Gerusalemme eterna, in cui l'unico ed eterno Dio abita in mezzo agli uomini e splende ad essi come
loro luce per sempre (cfr. Ap 21,33; 22,5).
43
INTERLUDIO
II contributo precedente giunge ad affermare, come acquisizione centrale, che il panorama della storia
delle religioni ci pone di fronte soprattutto a una scelta di fondo tra due vie che io allora - abbastanza
inadeguatamente - avevo designato coi termini "mistica" e "monoteismo". Oggi invece parlerei
piuttosto di "mistica dell'in-distinzione" e di "comprensione di Dio come persona". In ultima analisi si
tratta di vedere se il divino sia "Dio", qualcuno che ci sta di fronte - cos che il termine ultimo della
religione, della natura umana, sia relazione, amore, che diventa unit (Dio tutto in tutti, ICor 15,28)
ma che non elimina lo stare di fronte dell"'io" e del "tu" - o se il divino stia al di l della persona e il
fine dell'uomo sia l'unirsi a- e il dissolversi nelPUno-tutto . Questa alternativa ci accompagner lungo
tutto il volume. Vorrei indicare gi qui le fondamentali conclusioni sul tema che recentemente ha tirato
J. Sudbrack nel suo libro sullo Pseudo-Dionigi Areopagita e sulla storia del suo influsso. Nel misterioso
scrittore del VI secolo che si celato sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita, Sudbrack scorge il pi
importante costruttore di
13
H. BURKLE, Der Mandi auf der Suche nach Goti - die Froge der Religiomn (Amateca 3), Paderborn
1996, p. 127 (tr. it. L'uomo alla ricerca di Dio. La domanda delle religioni, Milano 2000): II
superamento della tragica necessit, per l'individuo, d'essere niente altro che s avviene nella scoperta
della sua intrinseca, nascosta natura di Brahma. Allora il suo respiro gli sembra una cosa sola col fondo
dell'essere, con ['"anima del mondo". Egli non si percepisce pi come "io" separato, ma come parte
integrante d'un misterioso relazionarsi di ogni cosa.
45

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima


ponti tra l'Occidente e l'Oriente, tra il personalismo cristiano e la mistica asiatica. Egli formula
l'alternativa di fronte alla quale ci troviamo in questo modo: Si tratta del dissolversi nell'Uni-totalit o
della fiducia originaria in un "tu" infinito, in Dio o qualunque altro sia il nome che si possa dare a
quest'entit34. Egli analizza questo problema, secondo la via tracciata da Martin Buber. Il grande
pensatore ebreo, nel 1909, nella sua opera Confessioni estatiche, aveva favorito una specie di mistica
dell'unit. Dopo la sua conversione la rifiut cos radicalmente da proibire la ristampa del libro.
Nella sua nuova visione, non la fusione per giungere all'unit, ma l'incontro l'elemento fondamentale
dell'umana esperienza dell'Essere. Egli era giunto a capire che quando si parla di mistica spesso
vengono scambiati due tipi di accadimento: II primo l'unificarsi dell'anima, che rende l'uomo idoneo
all'opera dello Spirito. L'altro accadimento quella imprecisabile modalit dello stesso atto del
relazionarsi, in cui si immagina che due diventino uno. Sudbrack richiama poi l'attenzione sul modo in
cui Lvinas nella sua filosofia dell'"altro" ha approfondito queste vedute di Buber. Lvinas considera il
risolversi della molteplicit in una unit che tutto assorbe come uno smarrimento del pensiero e come
una forma di esperienza spirituale che non va fino in fondo. Per lui P"infinit" di Hegel rappresenta
l'esempio atto a dissuadere da una tale visione dell'unit. Bisogna opporsi al fatto che nella filosofa e
nella mistica dell'in-distinzione il "volto dell'altro", la cui libert non pu mai divenire un possesso, si
dissolva in una "totalit" senza nome. In realt, secondo lui, soltanto
J. SUDBRACK, Trunken vom hell-lichten Dunkel des Absoluten. Dionysius der Areo-pagite und die
Poesie der Gotteserfahrung, Einsiedeln 2001, p. 72.
46
Capitolo I - interludio
se si punta con fiducia sul libero "rimanere altro" dell'altro, si sperimenta la vera infinit. All'unit
fusionale, con la sua tendenza al dissolvimento, dev'essere contrapposta l'esperienza personale: l'unit
dell'amore superiore all'ineffabile in-distinzione.
Horst Brkle ha mostrato che non si pu rinunciare al concetto di persona, decisivo a livello della
pratica della vita sociale. Lo sviluppo dell'induismo dell'et moderna mostra che, anche per l'odierna
immagine indiana dell'uomo, questo modo di intendere la persona irrinunciabile [...]. Nelle
UpanishacL, l'esperienza dell'in-distinzione, del tal tvam asi ["questo tu sei"] non in grado di fondare
il valore e la dignit permanenti d'ogni singolo uomo. Valore e dignit che non si possono conciliare
con l'idea che la vita terrena sia solo una fase transeunte nel ritmo dei successivi gradi di rinascita. Il
valore proprio della persona e la sua dignit non si possono mantenere saldi in quanto stadio transitorio
e sotto la condizione della loro variabilit [...]. Le riforme dell'induismo nell'epoca moderna, pertanto,
prendono le mosse anche, coerentemente, dal problema della dignit umana. La maniera cristiana
d'intendere la persona viene assunta nel contesto complessivo dell'induismo senza essere per fondata
nel modo d'intendere Dio35. Non sarebbe diffcile mostrare che la concezione del singolo come
persona e la tutela del valore e della dignit d'ogni persona non si possono sostenere senza che siano
fondati nell'idea di Dio.
Nel prosieguo delle sue riflessioni, infine, Sudbrack mette in evidenza un criterio di differenziazione
non
H. BRKLE, op. cit., pp. 130ss.
47
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
meno fondamentale, dal quale emerge chiaramente cosa comporti la posizione dell'uni-totalit: II
problema del male come un rivolgersi contro l'assoluta bont di Dio rende pi chiara la differenza tra
gli schemi ontologici . In una filosofia dell'uni-totalit necessariamente la differenza tra bene e male
viene relativizzata. Si possono trovare importanti chiarificazioni su tale questione nel pensiero di
Guardini. Nella sua filosofa degli opposti, egli ha fatto emergere la differenza fondamentale tra
"opposizione" e "contraddizione", a cui alla fine si arriva. Gli opposti sono complementari,
costituiscono la ricchezza della realt. Nella sua pi rilevante opera flosofca egli ha fatto dell"'op-
posizione" il principio della sua visione della realt, vedendo la ricchezza dell'Essere nella multiforme
tensione di ci che vivo. Gli opposti rimandano l'uno all'altro, hanno bisogno l'uno dell'altro e solo
cos compongono la sinfonia del tutto. La contraddizione si stacca invece da questa sinfonia e la
distrugge. Il male non affatto - come reputava Hegel, e Goethe vuole mostrarci nel Faust - una parte
del tutto di cui abbiamo bisogno, bens la distruzione dell'Essere 7. Non lo si pu rappresentare, come fa
il Mefistofele del Faust, con le parole: io sono una parte di quella forza che perennemente vuole il
male e perennemente crea il bene. Il bene avrebbe bisogno del male e il male non sarebbe affatto
realmente male, bens proprio una parte necessaria della dialettica del mondo. Con questa filosofia
sono state giustificate le stragi del comunismo, che era edificato sulla dialettica di Hegel vlta in prassi
37
' J. SUDBRACK, op. di, p. 77.
Cfr. R. GUARDINI, Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendig-Kon-kreten, 19251,
Mainz 19853 (tr. it. L'opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Brescia 1997).
48
Capitolo I - interludio
politica da Marx. No, il male non appartiene alla "dialettica" dell'Essere, ma lo attacca alla radice. Il
Dio, che in quanto uno e trino rappresenta appunto la somma unit nella diversit, pura luce e pura
bont (cfr. Gc 1,17). Invece nella mistica dell'in-distinzione non esiste alcuna separazione ultima tra
bene e male. Bene e male, secondo il buddhismo, sono in originaria dipendenza reciproca. Non si da
una priorit dell'uno sull'altro. L'illuminazione [in senso buddhista] una realizzazione del mio essere
ancora prima della dualit di bene e male, dice al riguardo Sudbrack38.
L'alternativa tra Dio personale e mistica dell'in-distinzione davvero di natura non solo teoretica; essa,
dalla profondit pi recondita del problema dell'Essere, giunge a interessare la sfera pratica.
II
Come ho gi accennato brevemente nella Osservazione preliminare, nella teologia delle religioni, oggi
si distinguono tre posizioni fondamentali, che al tempo stesso sono ritenute le uniche possibili:
esclusivismo, inclusivismo e pluralismo. A favore dell'esclusivismo viene usualmente citato soprattutto
Karl Barth. Contenuto dell'esclusivismo sarebbe che solo la fede cristiana salva: le religioni non sareb-
bero via di salvezza. In proposito si deve fare attenzione al fatto che Barth non vede il cristianesimo
come la religione assoluta contrapposta a tutte le altre religioni, ma
J. sudbrack, op. dt., p. 78.
49
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
distingue tra fede, da un lato, e religione, dall'altro. Egli considera la "religione" come l'opposto della
fede: la religione per lui un intreccio di atteggiamenti umani mediante i quali l'uomo cerca di
ascendere verso Dio; viceversa la fede un dono proveniente da Dio che tende la mano verso l'uomo.
Non il nostro fare a salvarci, ma solamente la potenza benevola di Dio. Anche quanto nel
cristianesimo "religione" cade sotto il giudizio di Barth. Dietrich Bonhoeffer, partendo da l ha
delineato il programma di un cristianesimo senza religione, che ha trovato poi un'eco vivace negli anni
Cinquanta e Sessanta del XX secolo. Recentemente il teologo e filosofo della religione italiano Gianni
Baget Bozzo ha pubblicato un libro dal titolo: Profezia. Il cristianesimo non una religione^. Del resto,
pure Romano Guardini sottolineava la differenza essenziale tra fede e religione, anche se non
condivideva la radicalit della posizione di Barth40. Secondo me, il concetto di un cristianesimo senza
religione contraddittorio e irrealistico. La fede deve esprimersi pure come religione e nella religione,
anche se ovviamente non riducibile ad essa. Da questo punto di vista si dovrebbe studiare ex novo la
tradizione dei due concetti. Per Tommaso d'Aquino, per esempio, "religione" una sottoripartizione
della virt della giustizia e come tale necessaria, ma naturalmente qualcosa di totalmente altro
rispetto alla "virt infusa" della fede. A me sembra che una teologia differenziata delle religioni
richiederebbe come postulato prioritario il preciso chiarimento dei concetti di religione e di fede, che
per lo
9
Pubblicato da Mondadori, Milano 2002.
:0
Cfr. R. GUARDINI, Die Offenbarung. Ihr Wesen und ihre Formen, Wurzburg 1940; ID., Religion
und Offenbarung, I, Wurzburg 1958 (di entrambi i volumi sono in preparazione le traduzioni presso la
Morcelliana, Brescia).
50
Capitolo I - interludio
pi trapassano confusamente l'uno nell'altro e vengono entrambi generalizzati. Cos si parla di "fedi" al
plurale intendendo designare con questa espressione tutte le religioni, sebbene il concetto di fede non
ricorra in tutte e non sia affatto costitutivo per tutte, e, nella misura in cui in esse ricorre, significhi di
volta in volta cose assai diverse. D'altronde, anche la dilatazione del concetto di religione, come
espressione che designa complessivamente il rapporto dell'uomo con la trascendenza, ha luogo solo
nella seconda parte dell'epoca moderna41. Tale chiarimento urgente proprio in ordine al giusto modo
di intendere se stesso da parte del cristianesimo e in ordine alla modalit del suo rapporto con le
religioni. Ritorneremo pi avanti su questo problema.
Come Barth ritenuto il rappresentante principale della posizione esclusivistica, cos Rahner
considerato il sostenitore classico delPinclusivismo. Il cristianesimo, secondo lui, sarebbe presente in
tutte le religioni o, viceversa, tutte le religioni -- senza saperlo -- andrebbero verso di esso. Da questo
intrinseco ordinamento ad esso traggono la loro forza salvifica: portano alla salvezza nella misura in
cui, e per il motivo che, portano in s nascosto il mistero di Cristo. Secondo questa visione, da una
parte rimane fermo che unicamente Cristo e l'essere legati a Lui ha forza salvifica. D'altra parte si deve
riconoscere alle religioni un valore di salvezza - ovviamente, per cos dire, concesso in prestito -- e cos
si pu affermare che gli uomini
Cfr. U. DIERSE, Religion, in Historisches Worterbuch der Philosophie, a cura di J. Ritter e K.
Grunder, Vili, coli. 632s. Sono importanti sul tema soprattutto le diver->e pubblicazioni di E. FEIL, per
esempio Religio, 1986; Religio zwischen Reformation und Rationdismus, Gottingen 1997.
51
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
sono salvati anche al di fuori dell"'unica arca di salvezza" di cui parlano i Padri della Chiesa.
Contemporaneamente si pu sostenere ancora la necessit della missione, sebbene meno radicalmente
che sulla base dell'esclusivismo: ci che tutte le religioni offrono solo in modo impreciso, sotto cifre
oscure e in parte anche in modo deformato, divenuto visibile nella fede in Ges Cristo. Lui solo
purifica le religioni e le conduce a realizzare la loro propria natura, la loro pi profonda intima
aspirazione.
Come terza, infine, apparsa, soprattutto con i teologi anglicani operanti in America J. Hick e P.
Knitter, la posizione pluralista, il cui maggior fautore nell'ambito germa-nofono s' rivelato P. Schmidt-
Leukel42. Il pluralismo chiaramente rompe con la fede che la salvezza venga solo da Cristo e che la sua
Chiesa gli appartenga. La posizione pluralista ritiene che il pluralismo delle religioni sia voluto da Dio
stesso e che esse siano tutte vie salvifiche, o almeno lo possano essere, laddove a Cristo, in particolare,
pu essere assegnata senz'altro una posizione privilegiata, ma appunto non esclusiva. Le varianti, qui
come nel caso della cosiddetta posizione inclusivista, sono molte, cosicch qua e l le posizioni quasi
trapassano le une nelle altre.
Per questo motivo non mancano nemmeno tentativi di mediazione, tra i quali forse si dovrebbe
annoverare il libro ingegnoso di B. Stubenrauch, Dialogisches Dogma*0. Bi-
42
Cfr. particolarmente P. SCHMIDT-LEUKEL, Grundkun Fundamentaltheologie. Eine Einflihrung in
die Grundfragen des chrtlichen Glaubens, Munchen 1999. Su tutti i problemi qui solo brevemente
accennati ci si deve riferire a: H. J. KERN, H. J. POTTMEYER, M. SECKLER, Handbuch der
Fundamentaltheologie, I. Traktat Religion, Tiibingen - Basel 20002 (tr. it. Corso di teologia
fondamentale, I. Trattato sulla religione, Brescia 1990).
43
B. STUBENRAUCH, Dialogisches Dogma. Der christliche Auftrag zur interreligiosen Begegnung
(QD 158), Freiburg i. Br. 1995.
52
Capitolo I - interludio
sogna nominare per come rappresentante eminente del tentativo di mediazione soprattutto J. Dupuis,
che tuttavia i pluralisti classificano chiaramente come "inclusivista" 44. Della sua opera si occupata
anche la Congregazione per la Dottrina della Fede, perch - pur restando essa fedele all'unicit di Ges
Cristo - il lettore medio, nondimeno, non poteva che trame una spinta verso posizioni pluralisti-che. Il
dialogo port a una Notificazione, in cui di comune accordo furono chiariti i punti che per J. Dupuis
sono teologicamente essenziali, marcando chiaramente cos anche il confine rispetto al pluralismo.
La disputa tra queste tre posizioni non argomento di questo libro; questa problematica, per, ci
accompagner continuamente, perch la fede in Ges Cristo come unico Salvatore e la fede
nell'inseparabilit della Chiesa da Cristo stanno alla base di questo volume. Certo, io critico
l'impostazione del problema che sta a fondamento delle tre posizioni, in quanto, secondo la mia
convinzione, sono fondate, come ho gi detto, su un'identificazione precipitosa della problematica delle
religioni con la questione della salvezza e su una considerazione troppo indifferenziata delle religioni.
Chi dice che il tema della salvezza debba essere assegnato soltanto alle religioni? Non deve essere
affrontato in modo molto pi differenziato a partire dalla totalit dell'esistenza umana, e la ricerca non
deve essere sempre guidata anche dal supremo rispetto davanti al mistero dell'agire di Dio? Dobbiamo
per forza trovare una
44
J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Brescia 1997; cfr. al riguardo
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Notificatone a proposito del libro di J.
Dupuis, "Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso", Citt del Vaticano 2001.
53
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
teoria sul modo in cui Dio pu salvare senza recare detrimento all'unicit di Cristo? Non molto pi
importante comprendere dall'interno questa unicit e presagire cos anche l'ampiezza della sua
irradiazione senza doverla definire nei particolari?
A questo si aggiunge la trattazione indifferenziata delle religioni, che in verit non conducono affatto
l'uomo nella stessa direzione, e che, anche in se stesse, non sono uniformi. Per esempio, oggi abbiamo
dinanzi modalit chiaramente molto diverse in cui vissuto e pu essere inteso l'isiam: forme
distruttive e altre in cui ci sembra di riconoscere una certa vicinanza al mistero di Cristo. E possibile
che un uomo possa o addirittura debba rassegnarsi semplicemente alla forma della religione capitatagli,
che ha trovato gi esistente, praticata nel suo ambiente, o non deve in ogni caso essere in ricerca,
adoperarsi per avere una coscienza purificata e cos avvicinarsi - almeno questo! - alle forme pi pure
della sua religione? Se non possiamo n dobbiamo presupporre una tale disposizione intcriore in chi si
trova in cammino, viene meno anche il fondamento antropologico della missione. Gli Apostoli, la
prima comunit cristiana in genere, poterono trovare in Ges il salvatore solo perch tenevano lo
sguardo teso alla "speranza di Israele", perch non ritenevano sufficienti di per s le forme religiose
ereditate dal loro ambiente, ma erano uomini in attesa, in ricerca, dal cuore aperto. La Chiesa
proveniente dal paganesimo pot nascere solamente perch esistevano i "timorati di Dio", coloro che
facendo un passo oltre le loro religioni tradizionali tenevano lo sguardo teso verso qualcosa di pi
grande. Questa dinamica della "religione" vale in certo senso anche - questo l'aspetto giusto del
pensiero di Barth e di Bonhoeffer -
54
Capitolo I - interludio
nel cristianesimo stesso. Non si deve tramandare solo una compagine strutturata di istituzioni e di idee,
ma cercare sempre nella fede la sua pi intima profondit, il vero contatto con Cristo. Cos si
formarono - per ripeterlo ancora una volta - nel giudaismo i "poveri di Israele", cos devono
continuamente formarsi pure nella Chiesa, e cos possono e devono formarsi nelle altre religioni. Quel
che conduce le religioni l'una verso l'altra e porta gli uomini sulla via verso Dio la dinamica della
coscienza e della silenziosa presenza di Dio in essa e non la canonizzazione dell'esistente di volta in
volta incontrato, che esime gli uomini da una ricerca pi profonda.
55
CAPITOLO II
FEDE, RELIGIONE E CULTURA*
Le ultime parole del Signore risorto ai suoi discepoli sono parole con cui li invia fino alle estremit
della terra: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ci che io vi ho comandato (Mt 28,19s.; cfr. At 1,8).
Il cristianesimo entrato nel mondo con la coscienza di un mandato universale. I credenti in Ges
Cristo sapevano d'essere tenuti fin dal primo istante a trasmettere la loro fede a tutti gli uomini; essi
vedevano nella fede un bene che non apparteneva solo a loro, ma a cui tutti potevano aspirare. Sarebbe
stata un'appropriazione indebita non portare fino agli estremi confini della terra ci che avevano
ricevuto. Il punto di partenza dell'universalismo cristiano non fu la brama del potere, bens la certezza
d'aver ricevuto la conoscenza salvifica e l'amore che redime, a cui tutti gli uomini possono aspirare e
che attendono nel pi profondo del loro cuore. La missione non fu considerata un allargamento della
propria sfera di potere, ma la doverosa trasmissione di quanto era destinato a tutti e di cui tutti avevano
bisogno.
* Questo testo stato presentato con diverse variazioni come conferenza, sia alle Settimane
universitarie a Salisburgo nel 1992, sia in occasione di un incontro della Congregazione per la Dottrina
della Fede con le Commissioni per la fede delle Conferenze episcopali asiatiche a Hong Kong nel
1993, sia in una iniziativa di formazione a Sassari (Sardegna). Mentre il mio testo salisburghese
rimasto sostanzialmente inalterato, le "variazioni" sono state riscritte per questo libro.
57
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Oggi affiorano dubbi sull'universalit della fede cristiana. La storia di una missione estesa quanto il
mondo da molti non viene pi vista come storia della diffusione della verit e dell'amore che liberano,
ma in buona parte come storia di alienazione e di oppressione. Questa nuova coscienza ha trovato
probabilmente la sua espressione pi decisa all'interno della Chiesa nel testo per la Processione
penitenziale europea '92, in cui leggiamo: 1492-1992 sono date che nella prospettiva degli indigeni e
dei neri dell'America Latina designano una Via Crucis con innumerevoli stazioni di sofferenza e un
Venerd Santo che dura da 500 anni. I cristiani europei [...] conquistarono con la spada i corpi e
dominarono con la croce le anime [...]. Il cristianesimo apparve agli indigeni e agli africani fatti schiavi
come la religione dei nemici che li assoggettavano e li uccidevano. Il Vangelo non pot essere per essi
messaggio di gioia, ma fu una cattiva notizia che portava infelicit [...]. L'anno 1992 potrebbe
rappresentare il recupero delle loro religioni, che erano legittime e costituiscono il degno strumento con
cui Dio va incontro ai suoi popoli e con cui i suoi popoli imboccano la via verso di Lui'. La protesta
che emerge in queste parole va molto al di l del problema Vangelo e cultura. Contiene anche molto di
pi della giustificata denuncia contro tutti i peccati dell'Europa legati alla scoperta dell'America: in
ultima istanza solleva il problema della verit della fede cristiana e della legittimit della missione
come tale. Perci la nuova coscienza che qui si manifesta esige una riflessione radicale dei cristiani su
quel che essi sono e non sono, su
L. BOFF, I cinquecento anni della conquista dell'America Latina: Un "Venerd Santo" che dura ancora
oggi, citato secondo la versione italiana del testo diffuso il 25 gennaio 1992 dall'agenzia d'informazione
Adista.
58
Capitolo II - fede, religione e cultura
quanto credono e non credono, su ci che hanno e non hanno da dare. In questo contesto si pu fare
solo un parziale piccolo passo in questa grande riflessione. Non si tratta di giudicare gli avvenimenti
storici relativi all'incontro tra Europa e America dopo il 1492; non si tratta di tenere una
commemorazione del "Quinto centenario dell'America", su cui non mi sento competente e che neppure
mi richiesta. Il mio intento pi modesto e pi pretenzioso a un tempo: una riflessione sul diritto e
sulla capacit della fede cristiana di comunicarsi ad altre culture, di farle proprie e di passare in esse. In
fondo qui sono racchiuse tutte le questioni fondamentali dell'esistenza cristiana. Perch credere? Si da
verit per l'uomo, verit che sia accessibile a ognuno e appartenga a tutti, oppure sfioriamo solo
attraverso dei simboli un mistero che non ci si svela mai? Parlare di verit della fede presunzione o
dovere? Anche tali questioni qui non possono essere affrontate e discusse in tutta la loro portata.
Dovremo trattarle pi diffusamente in altre sezioni di questo libro. Qui dobbiamo tenerle presenti solo
come sfondo della problematica circa fede e cultura. In questo capitolo intendiamo solo parlare di come
l'unica fede si rapporti alla pluralit delle culture e come sia possibile una reale universalit, in tale
pluralit di culture, senza che qualcuna di esse si faccia passare per l'unica valida e si muti in
un'oppressione per le altre. Non c' bisogno di dire che questo problema copre l'intera durata della
storia e si estende a tutti i continenti. Dal viaggio di Colombo che cambi il mondo sono passati cinque
secoli, ma anche il primo incontro ravvicinato tra cristianesimo e Africa nera, nell'allora regno del
Congo, odierna Angola, ci riporta allo stesso periodo, e parimenti l'inizio della missione portoghese in
India, India
59
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
che per aveva alle spalle gi una lunga storia cristiana che rimontava probabilmente fino all'epoca
degli Apostoli. America, Africa, Asia sono i tre grandi ambiti culturali che da quel momento
conferirono all'espressione "confini della terra" e "tutti i popoli" un senso totalmente nuovo e
conferirono nuove dimensioni al mandato missionario. Forse per la coscienza dell'inadeguatezza dei
tentativi finora fatti per realizzare l'universalit cristiana divenuta cos acuta oggi perch ormai esiste
un'altra universalit, che realmente si spinta fino agli estremi confini della terra: l'unit della cultura
tecnica, che si impone grazie alle sue enormi potenzialit e ai suoi successi, ma che,
contemporaneamente, per il suo modo di concentrare il potere e per il suo sfruttamento della terra, ha
creato quella divisione del mondo in un Nord e in un Sud, in ricchi e poveri, che costituisce la vera e
propria piaga del nostro tempo. per questo che oggi si pone sempre pi fortemente l'accento sulla
necessit, perch la fede possa sussistere, della sua inculturazione anche nella moderna cultura tecnico-
razionale. Naturalmente, per, sorge la questione: si pu definire cultura, nello stesso senso delle grandi
culture che si sono sviluppate nei diversi ambiti di vita dell'umanit, l'unitaria civilt tecnica? La fede
pu in-culturarsi contemporaneamente nell'una e nelle altre? Quale identit essa pu ancora mantenere?
1. Cultura - inculturazione - incontro delle culture
Almeno indirettamente ritorneremo di nuovo su questi interrogativi. Dopo quanto siamo venuti
dicendo, non c' bisogno di dilungarci sulla importanza del problema che ormai dobbiamo affrontare:
che cos' propriamente la cul-
60
Capitolo II - fede, religione e cultura
tura? Come si rapporta con la religione, e in qual modo pu entrare in contatto con forme religiose che
originariamente le erano estranee?
Riguardo a questo tema dobbiamo dire, anzitutto, che solo l'Europa dell'epoca moderna ha sviluppato
un concetto di cultura che fa apparire questa come un'area a se stante diversa dalla religione o
addirittura ad essa contrapposta. In tutte le culture storiche conosciute la religione elemento
essenziale della cultura, anzi il suo centro determinante; ci che definisce la compagine dei valori e
dunque l'ordine interno del sistema della cultura. Ma, proprio perch le cose stanno cos,
l'inculturazione della fede cristiana in culture diverse appare ancora pi diffcile. Infatti non si riesce a
vedere come la cultura che intrecciata con la religione, intessuta e vive in essa, possa essere, per
cos dire, trapiantata in un'altra religione senza che entrambe, in questa operazione, vadano in rovina.
Se si sottrae a una cultura la religione che le propria, che la genera, la si deruba del suo cuore; se vi si
impianta un cuore nuovo - quello cristiano -, sembra inevitabile che l'organismo, non ordinato ad esso,
rigetti l'organo estraneo. Un esito positivo dell'operazione sembra diffcile da immaginare. Essa pu
essere davvero ragionevole solo se la fede cristiana e la religione di volta in volta interessata, insieme
con la cultura che ne vive, non si trovano in un rapporto di assoluta alterila tra loro; se c' in esse una
reciproca apertura, o, in altre parole, se la tendenza ad avvicinarsi l'una all'altra e ad unirsi davvero
fondata nella loro essenza. L'inculturazione presuppone quindi la potenziale universalit di ogni
cultura. Essa presuppone che in tutte sia operante la medesima natura umana e che in essa sia viva la
comune verit dell"'essere-uomini" che tende a
61

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima


diventare una. Esprimendoci in un altro modo: il proposito dell'inculturazione ragionevole solo se
non si fa torto a una cultura con l'aprirla e lo svilupparla, in virt di una nuova energia culturale, al di
fuori di un comune ordinamento a una superiore verit dell'uomo. Infatti, l'escludere tale apertura e tale
interscambio elemento di debolezza in una cultura, poich l'esclusione dell'altro contraria per natura
all'uomo. La dignit di una cultura si mostra nella sua apertura, nella sua capacit di dare e di ricevere,
nella sua capacit di svilupparsi, di lasciarsi purificare, di diventare cos pi conforme alla verit,
all'uomo.
A questo punto possiamo tentare di dare una qualche definizione di cultura. Potremmo dire: cultura la
forma di espressione comunitaria, sviluppatasi storicamente, delle conoscenze e dei giudizi che
caratterizzano la vita di una comunit. Cerchiamo ora di ponderare pi precisamente i singoli elementi
di questa definizione, cos da poter meglio concepire anche il possibile interscambio tra le culture, che
si deve sottintendere con la parola-chiave "incultura-
zione .
a) "Cultura" ha anzitutto a che fare con conoscenza e valori. Essa un tentativo di comprendere il
mondo e l'esistenza dell'uomo in esso, ma un tentativo di tipo non puramente teoretico, bens guidato
dagli interessi fondamentali della nostra esistenza. Il comprendere dovrebbe mostrarci come si fa ad
"essere-uomini", come ci si inserisce in modo giusto in questo mondo e si reagisce ad esso, per non
perdersi, per far s che la propria esistenza riesca, sia felice. Questa questione, a sua volta, nelle grandi
culture, non intesa in senso individualistico, come se ciascu-
Capitolo II - fede, religione e cultura
no per s potesse escogitare un modello per padroneggiare il mondo e la vita. Ciascuno lo pu fare
soltanto con gli altri; la questione della conoscenza adeguata quindi anche questione dell'adeguata
forma della comunit. Comunit che, da parte sua, il presupposto della possibilit che la vita del
singolo si realizzi. Nella cultura quel che conta un comprendere come conoscenza che apre alla
prassi, quindi una conoscenza a cui indispensabilmente appartiene la dimensione dei valori, della
moralit. Dobbiamo aggiungere ancora una cosa, che per il mondo antico era ovvia. Nel problema
dell'uomo e del mondo sempre incluso il problema della divinit, come problema previo e fondante.
Non si pu comprendere il mondo, e non si pu vivere in modo giusto, se rimane senza risposta l'in-
terrogativo sul divino. Anzi, il nocciolo delle grandi culture sta nell'interpretazione del mondo ordinata
al rapporto col divino.
b) "Cultura" in senso classico include dunque il superamento del visibile, dell'apparenza, per volgersi ai
fondamenti, ed , nel suo nocciolo, apertura al divino. Come abbiamo visto, a questo legato l'altro
processo, per cui, ci facendo, il singolo supera se stesso e si trova ad essere sostenuto entro un
soggetto comunitario pi grande, le cui conoscenze egli pu per cos dire prendere a prestito e
sviluppare. La cultura sempre legata a un soggetto comunitario, che accoglie in s le esperienze del
singolo e, a sua volta, da loro l'impronta. Il soggetto comunitario conserva e dispiega conoscenze che
vanno oltre le possibilit del singolo, conoscenze che si possono designare come pre- e sovrarazionali.
Le culture si appellano alla saggezza degli "antichi", i quali stavano pi vicino agli di; si ap-
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
pellano a tradizioni primordiali che hanno caratteri di rivelazione, quindi non derivano soltanto
dall'indagare e dal riflettere dell'uomo, ma da un contatto originario col fondamento di tutte le cose, da
una comunicazione del divino2. La crisi di un soggetto culturale insorge quando non gli riesce pi
collegare in modo convincente questo patrimonio previo sovrarazionale con nuove conoscenze critiche.
Allora risulta dubbio il carattere di verit del patrimonio previo, che, da verit, si cambia in mera
consuetu-dine, perdendo la sua forza vitale.
e) Questo comporta un'altra cosa: la comunit procede nel tempo e perci la cultura ha a che fare con la
storia. Lungo il suo cammino la cultura si sviluppa attraverso l'incontro con nuove realt e
l'assimilazione di nuove conoscenze. Non rimane chiusa in se stessa, ma coinvolta nella dinamica del
fluire del tempo, a cui per natura appartengono il confluire delle correnti e processi di unificazione.
Storicit delle culture significa la loro attitudine a procedere oltre, da cui dipende la loro attitudine ad
aprirsi e ad accogliere la trasformazione mediante l'incontro. Si usa distinguere, in verit, tra culture
cosmico-statiche e storiche. Le antiche culture orali rappresenterebbero essenzialmente il mistero del
cosmo che rimane sempre uguale, mentre il mondo culturale ebraico e quello cristiano, in particolare,
concepirebbero il cammino con Dio come storia e sarebbero pertanto contrassegnate dalla storia come
categoria fondamentale. Questo esatto solo fino a un certo punto, non dice tutto, perch anche le
culture di
Cfr. in proposito J. PlEPER, Uberlieferung. Begriff una Anspruch, Miinchen 1970; ID., Uber die
platonischen Mythen, Miinchen 1965.
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Capitolo II - fede, religione e cultura
orientamento cosmico rimandano alla morte e alla rinascita, all'essere-uomo come cammino.
Cristianamente diremmo: esse portano in s una dinamica di Avvento. Di essa dovremo parlare pi
precisamente .
Questo piccolo tentativo di chiarire le categorie fondamentali del concetto di cultura gi ci aiuta a
capire meglio la questione circa le diverse possibilit di contatto e di fusione tra culture. Ora infatti
possiamo dire che il legame di una cultura a una individualit culturale, a un determinato soggetto
culturale che fonda la molteplicit delle culture e anche la loro specificit, la loro particolarit. E pos-
siamo d'altra parte constatare che la loro storicit, il loro muoversi col tempo e nel tempo, che
determina la loro apertura. Le varie culture non vivono solo la loro propria esperienza di Dio, del
mondo e dell'uomo, ma lungo il loro cammino si incontrano inevitabilmente con altri soggetti culturali
e si debbono confrontare con le altrui differenti esperienze. Cos, a seconda della chiusura o
dell'apertura, a seconda della ristrettezza o della larghezza di un soggetto culturale, si giunge
all'approfondimento e alla purificazione delle proprie conoscenze e valutazioni. Ci pu portare a una
trasformazione profonda della forma di cultura vigente, cosa che non deve per equivalere a
oppressione o alienazione. Una eventuale trasformazione positiva dipende dalla potenziale universalit
di tutte le culture, che si concretizza nell'accoglienza di ci che altrui e nel cambiamento di ci che
proprio. Un processo
In particolare cfr. T. HAECKER - Vergil. Valer des Abendlandes, Leipzig 1931 e ristampato a Miinchen
1947 (tr. it. Virgilio padre dell'Occidente, Brescia 1935) - ha evidenziato il concetto di Avvento nel
"paganesimo" precristiano.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
del genere pu portare addirittura a far s che vengano a galla quei taciti allontanamenti dell'uomo dalla
verit e da se stesso che si celano in una cultura. La Pasqua pu risultare risanatrice di una cultura che,
nell'apparente morire, risorge, e soltanto allora diventa interamente se stessa.
Perci non dovremmo pi parlare propriamente di in-culturazione ma di incontro delle culture o - se
dovesse essere necessario un termine straniero [cio non tedesco, derivato dal latino] -- di
interculturalit. Infatti incultura-zione presuppone che una fede, per cos dire, culturalmente spoglia si
trasponga in una cultura religiosamente indifferente. Processo in cui due soggetti fino a quel momento
estranei si incontrano e realizzano una sintesi. Ora, questa rappresentazione artificiosa e irreale,
perch non esiste una fede priva di cultura e, al di fuori della moderna civilt tecnica, non esiste una
cultura priva di religione. Soprattutto per non si riesce a vedere come due organismi in s totalmente
estranei l'uno all'altro, possano tutto d'un tratto diventare una totalit vitale, in un trapianto che come
prima cosa li mutila entrambi. Solo se si tengono ferme la potenziale universalit di tutte le culture e la
loro reciproca apertura, l'interculturalit pu portare a nuove forme feconde.
Finora ci siamo mantenuti, per cos dire, sul piano fenomenologico, cio abbiamo registrato il modo in
cui le culture operano e si sviluppano, e abbiamo accertato che l'idea di fondo, essenziale per una storia
che miri ad unire, la potenziale universalit di tutte le culture. Ma ora ci si chiede perch le cose
stiano in questo modo. Perch tutte le culture, da un lato, sono solo particolari e perci
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Capitolo II - fede, religione e cultura
tutte diverse le une dalle altre e al tempo stesso sono tutte reciprocamente aperte, dotate di capacit di
mutua purificazione e di fusione? Non vorrei addentrarmi nelle risposte positive che, peraltro,
naturalmente, ci sono. Mi sembra che in questo caso non si possa proprio evitare il ricorso al piano
metafsico. L'incontro delle culture possibile perch l'uomo, nonostante tutte le differenze della sua
storia e delle sue creazioni comunitarie, un identico e unico essere. Quest'essere unico che l'uomo,
nella profondit della sua esistenza, viene intercettato dalla verit stessa. Solo il fatto che le nostre
anime sono toccate di nascosto dalla verit spiega la fondamentale apertura di tutti e di ciascuno verso
l'altro, e spiega le essenziali convergenze che esistono anche tra le culture pi remote. La diversit,
tuttavia, che pu portare fino alla chiusura, deriva anzitutto dalla finitezza dello spirito umano; nessuno
abbraccia la totalit, ma, attraverso molteplici conoscenze e forme, si compone una specie di mosaico,
che indica la complementarit di tutti tra loro. Per giungere alla totalit, tutti hanno bisogno di tutti.
Solo nella reciprocit di tutte le grandi creazioni culturali l'uomo si avvicina all'unit e alla totalit del
suo essere.
Non ci si pu peraltro fermare soltanto a questa diagnosi ottimistica. Infatti la potenziale universalit
delle culture si trova sempre davanti a ostacoli pressoch insormontabili, quando deve passare a una
universalit di fatto. Non v' solo la dinamica di ci che accomuna, v' anche quanto divide, la barriera
che oppone l'uno all'altro, la contraddizione che esclude, l'impossibilit del passaggio perch le acque
separatrici sono troppo profonde. Abbiamo parlato prima dell'unit della natura umana e del suo
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
essere nascostamente in contatto con la verit, con Dio. Ora siamo condotti a constatare che, per, deve
esserci anche un fattore negativo nell'esistenza umana, un'alienazione che impedisce la conoscenza e
che almeno parzialmente taglia fuori gli uomini dalla verit e per questo anche gli uni dagli altri. Il
dramma di tutto ci che si fa per l'incontro delle culture sta in questo innegabile fattore di alienazione.
Ha torto chi nelle religioni della terra vede solo idolatria deplorevole, ma ha torto pure chi vorrebbe
valutare le religioni solo in termini positivi e improvvisamente dimentica la critica della religione, il cui
fuoco fino a poco tempo fa non bruciava solo nell'animo di Feuer-bach e di Marx, ma di teologi del
calibro di Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer.
2. Fede e cultura
Siamo dunque arrivati alla seconda parte delle nostre riflessioni. Finora abbiamo spiegato la natura
della cultura e, a partire da qui, le condizioni dell'incontro culturale e della fusione verso nuove forme
di cultura. Ora bisogna passare dal piano dei principi a quello dei fatti. Prima per dobbiamo
ricapitolare ancora una volta il risultato essenziale delle nostre riflessioni e domandarci: che cosa pu
legare delle culture tra loro in modo tale che non siano, per cos dire, cucite l'una con l'altra, ma che dal
loro incontro scaturisca un'intima fecondazione e una purificazione? Il mezzo che le porta l'una
incontro all'altra non pu che essere la comune verit sull'uomo, nella quale sempre in gioco la verit
su Dio e sulla realt nel suo complesso. Quanto pi una cultura conforme alla natura umana, quanto
pi elevata, tanto pi aspirer alla verit
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Capitolo II - fede, religione e cultura
che fino a un certo punto le era rimasta preclusa, sar capace d'assimilare tale verit e d'immedesimarsi
con essa. qui che emerge la particolare autocomprensione della fede cristiana. Essa sa bene, se
vigile e non si lascia corrompere, che nei vari imprinting culturali c' molto di umano, ci sono molte
cose che hanno bisogno di purificazione e di apertura. certa tuttavia anche di essere, nel suo nocciolo,
il rivelarsi della verit stessa, e quindi di essere redenzione, poich la vera sciagura dell'uomo proprio
l'essere all'oscuro della verit. Ci che falsa il nostro agire, e ci mette gli uni contro gli altri, che non
vediamo chiaro in noi stessi, siamo alienati da noi stessi, staccati dal fondamento del nostro essere, da
Dio. Quando la verit fa dono di s, siamo tratti fuori dalle alienazioni, da quello che separa; subentra
un criterio comune che non fa violenza ad alcuna cultura, ma porta ciascuna al suo proprio cuore,
poich ognuna, in ultima istanza, attesa della verit. Questo non significa uniformit; al contrario,
solo quando accade questo che l'opposizione pu divenire complementarit, poich tutte le culture,
proprio in quanto sono centrate su un criterio regolatore, possono dispiegare la loro propria fecondit.
Questa la grande pretesa con cui la fede cristiana entrata nel mondo. Ci implica l'obbligo morale di
mandare tutti i popoli a scuola da Ges, poich Egli la verit in persona e perci la via per essere
uomini. Per il momento non vogliamo discutere se sia legittima questa pretesa, ma pi tardi,
ovviamente, dovremo ritornarci sopra. Ora ci chiediamo: che cosa ne consegue riguardo al concreto
rapporto della fede cristiana con le culture del mondo?
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Come prima cosa dobbiamo affermare che la fede stessa cultura. Essa non esiste nuda, come mera
religione. Gi per il fatto che dice all'uomo chi egli sia e come debba attuare il suo essere-uomo, la fede
crea cultura, cultura. Quanto dice non astratto, maturato in una lunga storia e all'interno di
molteplici fusioni interculturali in cui ha plasmato integralmente la forma della vita, il modo di trattare
se stessi e il prossimo, il mondo e Dio. La fede essa stessa cultura. Questo significa pure che essa un
soggetto a s: una comunit di vita e cultura che chiamiamo "popolo di Dio". Questo concetto
evidenzia in maniera particolarmente chiara che la fede ha carattere di soggetto storico.
Dunque la fede si pone come un soggetto culturale fra altri tanto che si dovrebbe scegliere se
appartenere a questo popolo come comunit culturale o appartenere a un altro popolo? No. Qui viene in
luce l'aspetto del tutto particolare e specifico della cultura della fede. Il soggetto "popolo di Dio" si
distanzia dai classici soggetti culturali definiti in base al lignaggio, all'etnia o ai confini costituiti da un
comune ambito di vita, perch esso sussiste in diversi soggetti culturali che per parte loro non cessano
d'essere, per il singolo cristiano, il soggetto primo e diretto della sua cultura. Pure da cristiani si rimane
francesi o tedeschi, americani o indiani e via dicendo. Anche nel mondo precristiano, nelle grandi
culture dell'India, della Cina, del Giappone, vige l'identit e l'indivisibilit del soggetto culturale. In
generale una doppia appartenenza impossibile. Il buddhismo per costituisce un'eccezione, perch
pu congiungersi con altri soggetti culturali come loro dimensione interiore, per cos dire. Ma, in
maniera del tutto coerente, lo sdoppiamento si presenta soltanto
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Capitolo II - fede, religione e cultura
nel cristianesimo, tanto che l'uomo vive in due soggetti culturali che si incontrano e si compenetrano in
lui: nel suo storico e in quello nuovo della fede. Questa non sar mai una sintesi totalmente compiuta;
essa implica la necessit di un permanente lavoro di riconciliazione e di purificazione; dovr essere un
continuo esercizio il passaggio al tutto, all'universale, che non un popolo empirico, ma appunto il
popolo di Dio, dunque lo spazio per tutti gli uomini. E viceversa, ci che comune dovr essere conti-
nuamente fatto passare in ci che particolare e dovr essere vissuto e sofferto nel concreto della
storia.
Da quel che s' detto deriva una conseguenza molto importante. Si potrebbe credere che la cultura di
volta in volta riguardi il singolo soggetto storico (Germania, Francia, America e cos via), mentre la
fede sarebbe alla ricerca di espressione culturale. Unicamente le singole culture le darebbero, per cos
dire, la sua corporeit culturale. La fede dovrebbe vivere sempre di culture prese a prestito, che per
rimarrebbero tutte esterne ad essa e potrebbero essere da essa staccate. Una forma di cultura presa a
prestito non riguarderebbe colui che vive in un'altra forma. In quest'ipotesi, l'universalit alla fine
diventerebbe fittizia. In fondo, questo modo di pensare manicheo, riduce la cultura a mera corporeit
fungibile; disincarna la fede rendendola puro spirito senza rapporto con la realt. Una concezione del
genere tipica dell'atteggiamento spirituale successivo all'Illuminismo. La cultura viene ridotta all'a-
spetto puramente formale, la religione all'inesprimibile, al puro sentimento o al puro pensiero. Cos
viene meno la feconda tensione che di per s dovrebbe nascere dalla coesistenza di due soggetti. Se la
cultura pi che pura for-
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
ma o pura estetica, se essa piuttosto gerarchla di valori di un modo di vita storico che non pu
prescindere dal problema del divino, non possibile sorvolare sul fatto che la Chiesa per il credente
un autentico soggetto culturale. Questo soggetto culturale Chiesa, popolo di Dio, anche in epoche di
cristianizzazione apparentemente totale di singoli popoli ( quel che si credeva si fosse verificato in
Europa), non coincide con nessuno di questi singoli soggetti storici, ma conserva la propria struttura di
propagazione, e proprio per questo significativo.
Se le cose stanno cos, allora, nell'incontro tra la fede e la sua cultura con una cultura fino a quel
momento a essa estranea, non si tratta di dissolvere questa dualit di soggetti culturali nell'una o
nell'altra direzione. Tanto l'abbandono del proprio retaggio culturale a favore di un cristianesimo senza
concreta impronta umana, quanto lo scomparire della fisionomia culturale propria della fede nella
nuova cultura, sarebbero errati. Proprio la tensione feconda, rinnova la fede e risana la cultura. Di
conseguenza sarebbe assurdo offrire un cristianesimo per cos dire "pre-culturale" o "de-culturalizzato",
che sarebbe destituito della forza storica che gli propria e degradato a vuoto insieme di idee. Non
dovremmo dimenticare che gi il cristianesimo del Nuovo Testamento porta in s il frutto di un'intera
storia culturale, una storia di acccttazione e rifiuto, di incontro e trasformazione. La storia della fede di
Israele, che con esso superata, ha trovato la sua forma nella lotta con le culture egizia, hittita,
sumerica, babilonese, persiana, greca. Tutte queste culture erano al tempo stesso religioni, grandi forme
storiche di vita, che, nella lotta di Dio a fianco di Israele e nella lotta delle sue gran-
72
Capitolo II - fede, religione e cultura
di figure profetiche, non senza sofferenza furono accolte e trasformate per predisporre un ricettacolo
sempre pi puro per la novit della Rivelazione dell'unico Dio; ma proprio cos quelle culture
conseguirono anche il loro definitivo compimento. Sarebbero sprofondate tutte nel passato remoto, se
non fossero state purificate ed elevate e non fossero rimaste presenti nella fede della Bibbia. Certo, la
storia d'Israele comincia con la chiamata di Abramo: Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla
casa di tuo padre (Gn 12,11); essa comincia con una frattura culturale. All'inizio di un'ora nuova della
storia della fede c' sempre una frattura simile con la propria storia precedente, un distacco del genere.
Questo nuovo inizio, per, dimostra di essere poi una forza di risanamento, che crea un nuovo centro di
attrazione che in grado di attirare a s tutto quel che veramente conforme all'uomo e che
veramente conforme a Dio. Quando sar elevato da terra, attirer tutti a me (Gv 12,31) - questa
parola che riguarda il Signore elevato conviene anche al nostro contesto: la croce dapprima frattura,
rigetto, essere innalzato da terra, ma proprio cos essa diviene il nuovo punto di gravitazione (che attira
verso l'alto) della storia del mondo, diviene raccolta di ci che era disperso.
Chi entra nella Chiesa deve avere coscienza di entrare in un vero e proprio soggetto culturale, con una
propria interculturalit storicamente sviluppatasi e stratificatasi. Senza una sorta di esodo, senza una
svolta radicale della vita a tutti i livelli non si pu diventare cristiani. La fede in effetti non una via
privata verso Dio; essa porta dentro il popolo di Dio e la sua storia. Dio ha legato se stesso a una storia,
che ora anche la sua e da cui non pos-
73
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
siamo staccarci. Cristo rimane uomo per l'eternit, mantiene un corpo in eterno; essere uomo ed essere
corpo per implicano storia e cultura, questa storia del tutto particolare, con la sua cultura, ci piaccia o
no. Noi non possiamo ripetere a nostro piacimento il processo dell'incarnazione nel senso di togliere
continuamente a Cristo la sua carne e di offrirgliene in cambio un'altra. Cristo rimane se stesso, anche
quanto al suo corpo. Tuttavia ci attira a s. Questo significa che, non essendo il popolo di Dio una strut-
tura culturale particolare, ma essendo radunato da tutti i popoli, anche la primitiva identit, risorgendo
dalla frattura, trova posto in esso; non solo, essa necessaria per far giungere l'incarnazione di Cristo,
del Logos, alla sua totale pienezza. La tensione dei molti soggetti entro un unico soggetto appartiene
per natura sua al dramma mai concluso dell'incarnazione del Figlio. questa la vera dinamica della
storia e sta sempre sotto il segno della croce, vale a dire ha sempre da combattere con la forza di gravita
opposta della chiusura e del rifiuto.
3. Fede, religione e cultura nel mondo tecnico
Tutto questo vero se Ges di Nazareth realmente il senso della storia fatto uomo, il Logos, il
mostrarsi della verit stessa. Allora chiaro che questa verit lo spazio aperto in cui tutti possono
reciprocamente incontrarsi e nulla perde il proprio valore, la propria dignit. qui che oggi s'innesca la
critica. Pretendere che le concrete affermazioni di una religione siano vere, oggi sembra non solo
presunzione arrogante, ma pure segno di mancanza di "lumi". Lo spirito della nostra epoca fu espresso
da Hans Kelsen quando propose la domanda di Filato Che cos'
74
Capitolo II - fede, religione e cultura
la verit? come l'unico atteggiamento adeguato, visti i problemi morali e religiosi dell'umanit, in
ordine alla configurazione della comunit statale. La verit sostituita dalla decisione della
maggioranza, cos egli dice, appunto perch, a suo avviso, non pu darsi la verit come entit
accessibile e vincolante per tutti gli uomini4. Cos la molteplicit delle culture diventa prova della
relativit di ognuna. La cultura viene contrapposta alla verit. Questo relativismo, che oggi, quale
sentimento base della persona "illuminata", si spinge ampiamente fin dentro la teologia, il problema
pi grande della nostra epoca. Questo anche il motivo per cui oggi la verit surrogata dalla prassi e
il fulcro delle religioni si spostato. Noi non sappiamo ci che vero, ma sappiamo quel che dobbiamo
fare: instaurare una societ migliore, il "Regno", come si dice volentieri con una parola desunta dalla
Bibbia e vlta in senso utopistico profano. Ecclesiocentrismo, cristoccntrismo, geocentrismo ora
sembrano tutti superati dal "regno-centrismo", la centratura sul regno quale compito comune delle
religioni. Esse dovrebbero incontrarsi unicamente sotto questo punto di vista e secondo tale criterio 5.
Non sussiste pi alcun motivo, dunque, per spingerle ad avanzare le une verso le altre nel loro
nocciolo, nel loro orientamento morale e religioso. Tutte sono destinate a subire la trasformazione della
loro essenza pi profonda, in quanto debbono servire quali strumenti per costruire il futuro,
Cfr. V. POSSENTI, Le societ liberali al bivio. Lineamenti di filosofia della societ, Genova 1991, pp.
315-345, specialmente 345ss.; W. WALDSTEIN, Teoria generale del diritto, Citt del Vaticano 2001.
Cfr. i riferimenti in J. DUPUIS, The Kingdom of God and World Religioni, in Vidyajyoti, Journal of
Theological Reflection 51 (1987), pp. 530-544; ID., Verso una teologia cristiana del pluralismo
religioso, Brescia 1997.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
compito che finora era loro estraneo e che in ultima analisi vanifica i loro contenuti.
Il dogma del relativismo, d'altra parte, influisce anche in un'altra direzione: l'universalismo cristiano,
che concretamente si realizza nella missione, non pi trasmissione obbligatoria di un bene destinato a
tutti, cio della verit e dell'amore; secondo tale visione, la missione diviene l'arroganza nuda e cruda di
una cultura che si reputa superiore e che avrebbe vergognosamente calpestato tante culture religiose,
togliendo cos ai popoli ci che di meglio e di pi caratteristico avevano. Da qui viene l'imperativo:
restituiteci le nostre religioni come le vie legittime per le quali i singoli popoli vanno verso il loro Dio e
Dio verso di loro; non violate le religioni dove sussistono ancora! Questa esigenza giusta? In ogni
caso in rapporto ad essa che si deve necessariamente dimostrare se il dogma del relativismo ha senso
o no nell'ambito delle culture e delle religioni.
di grande importanza, per questi problemi, il contributo di C. GNILKA, La conversione della cultura
antica vista dai Padri della Chiesa, in Cristianesimo nella storia 11 (1990), pp. 593-615, che mette
in rilievo le grandi intuizioni dei Padri sul problema dell'inculturazione, rispetto al relativismo della
tarda antichit. chiaro che il relativismo odierno rappresenta solo un ritorno alla teoria tardo-antica
della religione. Essa si vede per esempio nel dialogo Octavius di MlNUClO FELICE (intorno al 200
d.C.), dove il partner pagano dice che nell'esistenza umana tutto incerto, pi veri-simile che vero, e
che pertanto ci si deve attenere alle tradizioni religiose antiche. I cristiani sono designati ironicamente
come presidi della verit (antistites veritatis). La formulazione classica di questo pluralismo delle
religioni fondato sull'oscurit della verit si trova nel famoso memoriale di SlMMACO (f 402): uno
itinere non potest pervenni ad tam grande secretum (non si pu giungere a un cos grande mistero per
una sola strada). Giuliano l'Apostata si muove a partire dalla stessa filosofia e sottolinea che, a suo
parere, si deve rispettare la diversit delle culture e degli stili di vita nazionali e di conseguenza la
pluralit delle divinit e delle religioni. Il suo principale rimprovero contro il cristianesimo e la sua
unica obiezione contro il giudaismo sta nel suo "no" al primo comandamento: nel monoteismo, nella
nega-
76
Capitolo II - fede, religione e cultura
Come minimo si dovrebbero esaminare accuratamente le varie religioni per vedere se realmente
desiderabile il loro ripristino. Quando, per esempio, pensiamo che, nel 1487, in occasione della
consacrazione del tempio principale degli Aztechi appena ricostruito, in quattro giorni 20.000 uomini,
secondo le stime pi basse, morirono dissanguati come vittime umane in onore del Dio Sole sul-
l'altare di Tenochtitlan (la capitale degli Aztechi nell'altopiano del Messico), riuscir diffcile esigere il
ripristino di questa religione7. Tale immolazione fu compiuta perch il Sole viveva del sangue di cuori
umani e si poteva impedire la rovina del mondo solo mediante sacrifci umani. Anche le guerre in cui si
facevano prigionieri che servivano da vittime erano un comandamento divino. Gli Aztechi offrivano
agli di della terra e della vegetazione uomini e donne ai quali in genere veniva strappata la pelle,
agli di della pioggia, pensati come nani, si offrivano bambini, che venivano annegati in sorgenti, in
gore d'acqua e in punti determinati del lago di Tezcoco. V'erano rituali che comportavano torture. Tutto
ci, come asserisce W. Krickeberg, non derivava da un'innata propensione alla
zione degli di egli vede il peccato originale della religione cristiana e di quella ebraica. I cristiani
contrappongono a questa teoria delle molte vie la dottrina delle due vie (Mt 7,13): la via verso la
salvezza e la via verso la perdizione; le molte vie delle religioni pagane in realt sono solo una via, la
strada larga di cui parla il Vangelo. Gnilka mostra poi come i Padri parlino con molta consapevolezza
della conversione delle culture. La conversione, cos si esprimono, trasformazione (cambiamento),
non distruzione. Essa, in quanto cambiamento, vuoi dire sempre anche conservazione, un'idea che poi
viene elaborata concretamente anche riguardo all'atteggiamento verso templi e immagini di divinit e
riguardo al rinnovamento e alla continuit del linguaggio e del pensiero. C. GNILKA ha presentato in
modo pi dettagliato e pi ampio l'intera problematica nel suo libro Chrsis. Die Methode der Kir-
chenvter irti Umgang mit der antiken Kultur, 2 voli., Basel 1993.
7
Cfr. W. krickeberg, H. trimborn, W. muller, O. zerries, Die Religio-nen des alten Amerika, Stuttgart
1961, p. 49.
77
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
crudelt, ma dalla fede fanatica nel dovere degli uomini di assicurare la prosecuzione dell'esistenza
del mondo . Sicuramente questo un esempio estremo, ma mostra pur sempre che non si devono
vedere automaticamente in tutte le religioni vie di Dio verso l'uomo e dell'uomo verso Dio.
Dobbiamo per affrontare il problema pi in termini di principio. Possiamo semplicemente lasciar
sussistere le religioni, arrestare per cos dire la storia per quel che le riguarda? E ovvio che gli uomini
non possono essere dichiarati una "riserva" della storia delle religioni e della cultura, in cui all'epoca
moderna non sia consentito entrare. Tentativi del genere, che in ultima analisi indicano disprezzo per
l'uomo, non solo sono indegni, sono anche completamente irrealistici. L'incontro tra le culture e il
graduale concrescere dei vari spazi storici a formare un'unica storia comune dell'umanit risultano
fondati nella natura stessa dell'uomo. Non si possono sfruttare le possibilit della civilt tecnica e al
tempo stesso forzare gli altri ad accettare il proprio sogno romantico di un mondo pre-tecnico. In realt,
oggi, nessuno mette in dubbio che la diffusione della civilt dell'epoca moderna non solo sia di fatto
inarrestabile, ma che sia un problema di giustizia offrire i suoi strumenti alle culture che essa non ha
raggiunto. L'altra faccia della medaglia, per, che si deve procedere con maggiore cautela e si deve
mostrare maggior rispetto di quanto finora sia avvenuto per le tradizioni appartenenti a questi uomini.
Non l'ampliamento delle possibilit tecniche come tale a essere negativo,
M, pp. 50s.
78
Capitolo II - fede, religione e cultura
ma la presunzione illuministica con cui pi volte in questo processo sono state cancellate strutture
sviluppatesi spontaneamente e sono state calpestate le anime di uomini le cui tradizioni religiose ed
etiche sono state messe da parte senza scrupoli. Lo sradicamento spirituale e la distruzione della
compagine comunitaria sono sicuramente fra i principali motivi per cui l'aiuto allo sviluppo, finora, ha
portato raramente esiti positivi. Si credeva che bastasse sviluppare il know-how tecnico; si continua a
non tenere conto che l'uomo ha bisogno anche di tradizioni, di valori che lo sostengano dall'interno.
Ma ora ci si potrebbe chiedere: non si dovrebbe procedere in modo da trasmettere gradualmente la
tecnica lasciando sussistere le religioni cos come sono?
Quest'idea apparentemente cos evidente tuttavia fuorviante. Infatti non si possono conservare come
tali religioni sviluppatesi in situazioni totalmente diverse, rinchiuderle in una specie di "riserva"
religiosa, e al tempo stesso sovrapporre loro una visione tecnica del mondo. La civilt tecnica, in realt,
non affatto neutrale in materia religiosa e morale, anche se crede d'esserlo. Essa cambia i criteri e i
modi di comportamento. Essa cambia radicalmente l'interpretazione del mondo. In forza di essa
l'universo religioso entra inevitabilmente in movimento. L'irruzione di queste nuove possibilit di
esistenza come un terremoto che scuote il paesaggio spirituale fin dalle fondamenta.
D'altra parte si registra una tendenza crescente a liberarsi, per amore della propria autenticit, della fede
cristiana in quanto retaggio culturale europeo, e a ripristinare le religioni pagane, mentre, sebbene sia
anch'essa di prove-
79
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
nienza in buona misura occidentale, si accoglie e si utilizza con passione la tecnica.
Questo distinguere il retaggio occidentale in una parte utile, che si accetta, e in una parte estranea, che
si lascia, non porta d'altronde alla salvezza delle antiche culture. Infatti si vede che l'elemento di
grandezza, foriero di progresso, vorrei dire la dimensione d'Avvento insita nelle antiche religioni viene
meno, perch sembra inconciliabile con le nuove conoscenze sul mondo e sull'uomo e perde il suo
interesse. Invece il fattore magico, nel senso pi vasto del termine, tutto ci che promette potere sul
mondo, si conserva e diviene, esso s, assolutamente determinante per la vita. Le religioni perdono cos
la loro dignit, poich ne viene reciso il meglio e resta unicamente quanto le metteva in pericolo.
L'esempio del vod ne la chiara dimostrazione. Nella sua forma originaria esso in fondo porta
l'impronta di una anticipazione del mistero pasquale di morte e risurrezione; la questione
dell'iniziazione all'"esse-re-uomo", delle nozze dei sessi, del perdono dei peccati, tutte le grandi figure
sacramentali lo definiscono nella sua forma essenziale 9. Questa forma mitologica ha per bisogno di
una mediazione razionale, di un nuovo centro, che il vod non si pu dare da se stesso. Nella sua ora
storica esso era proteso verso ci che era ancora sconosciuto. Ma laddove tecnica e vod vengono
semplicemente giustapposti, questa tensione va in pezzi e restano le potenzialit magiche, che vengono
a costituire un mondo parallelo a-razionale accanto a quello tecnico e alla razionalit propria ad esso.
Ci sono sempre pi europei che smarriscono
Cfr. In proposito B. ADOUKONOU, Jalons pour une thologie africaine. Essai d'une hermneutique
chrtienne du Vodun dahomen, 2 voli., Paris - Namur 1980; Y. K. BAMU-NOBA, B. ADOUKONOU,
La mori dans la vie africaine, Unesco, Paris 1979.
80
Capitolo II - fede, religione e cultura
la fede cristiana e accettano queste forze irrazionali: e cos avviene una reale paganizzazione, l'uomo
tagliato fuori da Dio. L'uomo ormai va solo alla ricerca di sistemi di potere e cos distrugge se stesso e
il mondo. Questo per il modo sbagliato di un incontro fra culture, in fondo si tratta di un non-
incontro, in cui razionalismo ed irrazionalismo si legano a vicenda in modo fatale.
Le religioni, in un mondo storicamente in movimento, non possono semplicemente restare quali erano
o sono. La fede cristiana, che porta con s il retaggio cos grande delle religioni e al tempo stesso lo
apre verso il Logos, la vera ragione, potrebbe conferire alla loro pi profonda natura una nuova
consistenza e insieme rendere possibile quella vera sintesi tra razionalit tecnica e religione che pu
compiersi non mediante la fuga nell'irrazionale, ma solo attraverso l'apertura della ragione in tutta la
sua vera estensione.
Ecco apparire i grandi compiti del momento storico presente. Senza dubbio la missione cristiana deve
comprendere le religioni e accoglierle in modo molto pi profondo di quanto sia avvenuto finora, ma le
religioni, perch continui a vivere ci che c' in loro di meglio, hanno, a loro volta, bisogno di
riconoscere il loro carattere di Avvento, che le rimanda a Cristo. In questo senso, se ci mettiamo a
seguire le tracce interculturali alla ricerca della verit una e comune, verr fuori qualcosa di inatteso. Il
cristianesimo ha in comune con le antiche culture dell'umanit molto di pi di ci che ha in comune
con il mondo relativistico-razionalistico, che si staccato dalle cognizioni decisive e fondamentali
dell'umanit e cos relega l'uomo in un vuoto di senso che rischia d'essere mortale
81
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
se non gli si da risposta tempestivamente. Infatti il sapere relativo all'essere l'uomo destinato a Dio e
all'eternit, il sapere intorno al peccato, alla penitenza e al perdono, il sapere relativo alla comunione
con Dio e alla vita eterna e infine il sapere relativo alle norme morali fondamentali cos come sono
configurate nel Decalogo, un sapere che attraversa trasversalmente le culture. Non il relativismo a
essere confermato, bens l'unit della natura umana e il suo essere intercettata da una verit che pi
grande di noi.
82
VARIAZIONI SUL TEMA FEDE, RELIGIONE E CULTURA
INCLUSIVISMO E PLURALISMO
Dopo queste riflessioni sul rapporto tra religione, fede e cultura, si pu riprendere a trattare dei diversi
tipi di soluzione del problema delle religioni, che prima abbiamo delineato coi tre concetti di
esclusivismo, inclusivismo e pluralismo. L'esclusivismo, nel senso che a tutti i non cristiani sarebbe
negata la salvezza, oggi probabilmente non sostenuto da nessuno - del resto questo non lo pensava
nemmeno Karl Barth. Io anzi avevo gi cercato di indicare che il suo "esclusivismo" si riferiva al
fenomeno "religione" in generale e non specificamente alle "religioni" e dunque non toccava
direttamente neanche la questione della salvezza dei non cristiani. La sua posizione in fondo appartiene
a un altro ordine di problemi, che oggi probabilmente troppo dimenticato. Quindi, quanto alla que-
stione del rapporto della fede cristiana con le religioni, rimangono essenzialmente le due posizioni
delPinclusivismo e del pluralismo. Nel frattempo diventato usuale respingere anche l'"inclusivismo"
come una specie di imperialismo cristiano, come una pretesa di fronte alle religioni. Non giusto,
secondo questa opinione, vedere le religioni finalizzate a Cristo; come se, il cristianesimo se ne potesse
"appropriare". Ora, Karl Rahner aveva detto - l'abbiamo visto - che come cristiani noi non possiamo
rinunciare a questa pretesa. Chi ce la vuole togliere, contesta ai cri-
83
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
stiani il diritto alla loro fede, per la quale tutto stato creato in vista di Cristo ed Egli, come il "Figlio",
come Dio disceso dall'alto nella carne, l'erede di tutto -- per il semplice fatto che egli, come Verbo di
Dio creatore, la verit di tutte le cose e di tutti gli uomini. Ma la verit non fa violenza a nessuno.
Approfondendo ulteriormente questa idea, anche il concetto di "pretesa" pu essere superato
dall'interno. Abbiamo parlato della potenziale universalit delle culture. Le culture dell'umanit,
ciascuna delle quali forma un tutt'uno con la propria religione, non sono affatto blocchi giustapposti in
modo irrelato o schierati l'uno contro l'altro. In tutte operante quell'unico essere, l'"uomo", che vive
esperienze diverse e percorsi storici diversi, svariati traviamenti e pericoli; ma, alla fine, pur sempre
l'uomo che si esprime in essi. Poich in tutti gli uomini opera l'unica essenza dell"'uomo", tutti sono
idonei, anzi tutti sono chiamati ad entrare in comunione vicendevole. Nessuna vera cultura , in fondo,
impenetrabile per le altre, tutte sono idonee al contatto reciproco e ordinate le une alle altre. Perci vi
sono sempre stati nella storia - come abbiamo gi detto - lo scambio intercultura-le e la fusione delle
culture. L'"inclusivismo" appartiene all'essenza della storia delle culture e delle religioni dell'umanit,
storia che non si affatto edificata in forma di rigoroso pluralismo. Il pluralismo, nella sua versione
radicale, in ultima istanza smentisce l'unit dell'umanit e smentisce la dinamica della storia, che un
processo di unione.
Fin qui ci siamo mossi ancora in ambito puramente fenomenologico; in questo genere di affermazioni
non entra in gioco la fede. Essa viene alla ribalta solo quando si afferma che, di questo processo di
unione, la Rivelazione comunicata in Cristo il vero e proprio punto di riferi-
84
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
mento, appunto perch la fede in questa Rivelazione non proviene da una determinata cultura, ma si
deve a un intervento dall'alto, e pertanto non "assorbe" proprio nulla. Essa lascia spazio, in una
molteplice sinfonia, a tutte le grandi esperienze spirituali dell'umanit. E proprio questo che il cristiano
vede prefigurato nella storia del miracolo di Pentecoste, nel quale non prescritta un'unica lingua
(un'unica civilit) per tutti, come a Babilonia (tipo della cultura del fare e del potere), ma l'unit si attua
nella pluralit. Le molte lingue (culture) si comprendono nell'unico Spirito. Esse non vengono
eliminate, ma guidate a comporre una sinfonia. Da un punto di vista fenomenologico, il fatto di non
essersi stabilito affatto nella storia delle religioni come "religione assoluta" tra le "religioni relative"
anche se ci potrebbe essere un modo giusto di intendere questo concetto - dev'essere considerata come
la caratteristica nuova e particolare del cristianesimo. La fede cristiana, nei primi secoli, ha cercato i
suoi antecedenti storici preferibilmente nell'illuminismo, ovvero nel movimento della ragione contrario
a una religione tendente al ritualismo. I testi dei Padri sul "Verbo seminale" (e metafore analoghe), che
oggi si adducono come prova del valore salvifico delle religioni, in origine non si riferivano affatto alle
religioni, ma alla filosofa, a un "devoto" illuminismo dalla parte del quale sta Socrate, che era al tempo
stesso alla ricerca di Dio e illuminista. Su tutto questo torneremo. Questa linea di critica delle religioni
in senso "illuministico", propria della prima predicazione cristiana, anche il motivo per cui da parte
dell'Impero il cristianesimo stato catalogato come ateismo, come ripudio della pietas e dei rituali che
mantenevano in vita l'Impero. Non si deve per essere unilaterali. Sebbene il cristianesimo,
85
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
come s' detto, abbia riconosciuto i suoi antecedenti storici nell'illuminismo e non nelle religioni, si
riallacciato anche alla ricerca religiosa degli uomini, ha dato forma alla preghiera e al culto ricorrendo
al retaggio delle religioni. La sua prefigurazione storica - l'Antico Testamento - consiste dunque in una
tensione permanente tra il dissolversi nelle forme religiose dei popoli [dei "gentili"] e l'illuminismo
profetico che accantona gli di per trovare il volto di Dio. La posizione del cristianesimo nella storia
spirituale dell'umanit del tutto peculiare. Potremmo dire che consiste nel fatto che la fede cristiana
non ha separato, non ha contrapposto tra loro illuminismo e religione, ma li ha uniti insieme in modo
che ambedue si possano di continuo purificare e approfondire reciprocamente. Questa volont di
razionalit, che apre perennemente anche la ragione a un trascendimento di s, a cui essa volentieri
sfuggirebbe, appartiene all'essenza del cristianesimo. Potremmo anche dire: la fede cristiana, che
germinata dalla fede di Abramo, spinge inesorabilmente verso la questione della verit e dunque verso
ci che concerne tutti gli uomini e li lega tra loro. Poich tutti dobbiamo essere pellegrini della verit .
Nell'attuale momento storico l'ultima parola non pu essere costituita dal mero pluralismo delle
religioni quali blocchi che resterebbero giustapposti per sempre. Forse dovremo sostituire con concetti
pi adeguati il termine "inclusivismo", che peraltro negli studi di storia delle religioni era impiegato
fino a tempi recenti in un senso diver-
10
particolarmente importante su questo problema M. FlEDROWICZ, Apologie im fiiihen
Christentum. Die Kontroverse uni den christlichen Wahrheitsanspruch in den ersten Jahrhunderten,
Paderborn 2001 , specialmente pp. 227-315.
86
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
so. Non si prospetta certo l'assorbimento di una religione da parte delle altre, ma necessario che esse
si incontrino in un'unit che tramuti il pluralismo in pluralit. Incontro oggi fortemente ricercato. Il
monismo spirituale dell'India - la mistica dell'in-distinzione, a cui Radhakrishnan per primo ha dato la
sua formulazione classica - considera se stesso come la via che comprende e supera le altre: pu dare
spazio, sembrerebbe, a tutte le altre religioni, lasciarle intatte nel loro significato simbolico e al tempo
stesso oltrepassarle in forza di una pi grande profondit. Esso "relativizza" tutto il resto e al contempo
lo lascia sussistere nella sua relativit; l'assoluto con cui lo abbraccia al di l di qualsiasi definizione,
rigorosamente non-categoriale. Pu essere definito indifferentemente essere e non-essere, parola e
non-parola. Oggi, come si pu ben vedere, questa soluzione trova accoglienza da parte di un'ampia pla-
tea, tanto pi che, a modo suo, conferma il relativismo che in certo qual modo diventato la vera e
propria religione dell'uomo moderno.
A fianco di questa soluzione sta l'approccio cristiano dell'universalit, che non pensa che la realt
ultima sia l'innominabile in senso puro e semplice, ma quell'unit misteriosa che l'amore crea e che si
manifesta al di l di tutte le nostre categorie nel Dio unitrino, che a sua volta significa l'immagine
suprema della conciliazione di unit e molteplicit. L'ultima parola dell'essere non pi l'as-
solutamente innominabile, ma l'amore che poi si fa concretamente visibile in quel Dio che diviene Lui
stesso creatura e cos unisce la creatura al Creatore. Questa forma di soluzione per molti aspetti appare
pi complicata di quella "asiatica". Ma non sappiamo tutti che l'amore la parola suprema, l'ultima
vera parola su tutto il reale?
87
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Tutte le riflessioni sin qui fatte e tutte le successive servono a illustrare ulteriormente questo "modello"
cristiano come la vera forza dell'unione, come l'intima finalit della storia.
Infine viene l'isiam con la sua tesi secondo cui esso costituirebbe r"ultima" religione, che condurrebbe
oltre il giudaismo e il cristianesimo entro la vera semplicit dell'unico Dio, mentre il cristianesimo, con
la sua fede nella divinit di Cristo e nell'unit e trinit di Dio, sarebbe ricaduto in errori pagani. L'isiam
come religione universale in cui l'evoluzione religiosa dell'umanit sarebbe giunta alla sua meta fa a
meno del culto e del mistero. Senza dubbio il problema posto dall'isiam merita una adeguata discussio-
ne, che per non rientra negli intenti di questo libro, il quale si limita a discutere l'alternativa pi
fondamentale -a mio parere - tra mistica dell'in-distinzione e mistica dell'amore personale.
II IL CRISTIANESIMO UNA RELIGIONE EUROPEA?
Nel dibattito sulla storia della missione cristiana diventato usuale dire che, con la missione, l'Europa
(l'Occidente) ha cercato di imporre al mondo la sua religione. Si trattato - si dice - di colonialismo
religioso, parte del pi generale sistema coloniale. La rinuncia all'eurocentrismo dovrebbe dunque
includere anche la rinuncia alla missione. Riguardo a questa tesi v' qualcosa da criticare anzitutto sul
piano storico. Il cristianesimo - come noto - non sorto in Europa, ma nell'Asia Minore, nel punto
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
geografico in cui si incontrano i tre continenti asiatico, africano ed europeo. Questo contatto non mai
stato solamente geografico, ma delle correnti spirituali dei tre continenti. Per questo motivo
l'"interculturalit" appartiene alla forma originaria del cristianesimo. Anche la missione nei primi secoli
si estesa tanto verso Oriente quanto verso Occidente. Il punto focale del cristianesimo si trovava
nell'Asia Minore, nel Vicino Oriente, ma presto esso si spinse anche verso l'India; la missione
nestoriana giunse fino alla Cina e il cristianesimo asiatico pi o meno equivaleva numericamente a
quello europeo. Solo la diffusione dell'isiam ha sottratto al cristianesimo del Vicino Oriente gran parte
della sua forza vitale e al tempo stesso ha tagliato fuori le comunit cristiane dell'India e dell'Asia dai
centri di Siria, Palestina e Asia Minore e cosi ne ha determinato in buona parte la scomparsa.
In ogni caso da allora in poi il cristianesimo diventato una religione europea. S e no, si dovrebbe
dire. Infatti l'eredit dell'origine, che non era germinata in Europa, rimaneva la radice vitale di tutto e
rimaneva cos, sempre, anche criterio e critica di ci che era puramente europeo. Inoltre, con "europeo"
non si indica in verit un blocco monolitico. Dal punto di vista cronologico e culturale si indica una
realt estremamente stratificata. Vi si trova anzitutto il processo delP"inculturazione" nel mondo greco
e in quello romano, a cui segue l'"inculturazione" fra le diverse popolazioni ger-maniche, tra quelle
slave e neolatine. Tutte queste culture, dall'antichit al Medioevo, fino all'epoca moderna e con-
temporanea, hanno percorso ampi tratti di strada in cui il cristianesimo dovuto sempre nascere di
nuovo, per cos dire, non sussistette di per s. bene fecalizzare l'attenzio-
89
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
ne su questo con l'aiuto di alcuni esempi. Per i Greci il cristianesimo, come dice Paolo, era "stoltezza",
vale a dire barbarie rispetto alla elevatezza della loro cultura. Lo spirito greco ha fornito alla fede
cristiana strutture essenziali di pensiero e di discorso, ma non senza ostacoli: la comprensione cristiana
delle cose si dovette sottrarre allo spirito greco ingaggiando aspri dibattiti, che accolsero l'eredit greca,
ma al tempo stesso la trasformarono profondamente. Fu un processo di morte e rinascita. vero, esiste
il Piato christia-nus, ma sempre esistito anche il Piato antichristianus: il platonismo, da Piotino fino
alle sue configurazioni pi tarde, ha frapposto la pi veemente resistenza al cristianesimo, ha voluto
costituirne il polo opposto. Nell'ambito latino vediamo qualcosa di simile. Basta ricordare la storia
della conversione di Agostino. La lettura del libro di Cicerone Hor-tensius aveva fatto sbocciare in lui
la nostalgia per la bellezza eterna, per l'incontro e il contatto con Dio. In forza dell'educazione ricevuta
gli era chiaro che la risposta a questa nostalgia, che la filosofa aveva destato, poteva trovarsi nel
cristianesimo. Pertanto egli passa dall'Hortensius alla Bibbia e vive l'esperienza d'uno shock culturale.
Cicerone e la Bibbia - due mondi - cozzano tra loro, due culture si scontrano. "Allora la risposta non
questa!", si deve esser detto Agostino. La Bibbia gli apparve come pura barbarie, che non era all'altezza
dell'esigenza spirituale che la filosofa romana gli aveva trasmesso. Questo shock culturale in Agostino
pu riuscire sintomatico della novit e alterila del cristianesimo, che davvero non proveniva dallo
spirito latino, bench pure in esso vi fosse un'attesa di Cristo. Per poter divenire cristiano, Agostino
dovette - e il mondo greco-romano dovette - compiere un esodo, mediante il quale per riebbe in dono
ci che aveva perduto.
90
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
L'esodo, la frattura culturale, col suo "morire per rinascere", un tratto fondamentale del cristianesimo.
La sua storia ha inizio con Abram, con l'imperativo che viene da Dio: Vattene dal tuo paese, dalla tua
patria e dalla casa di tuo padre (Gn 12,1). L'esodo di Israele dall'Egitto, il vero e proprio evento
fondativo del popolo di Israele, anticipato nell'esodo di Abram, che come tale stato anche una
frattura culturale. Nella linea della fede di Abram, anche della fede cristiana possiamo dire che nessuno
se la trova davanti come cosa gi sua. Non viene mai da quel che nostro proprio. Irrompe dal di fuori.
sempre cos. Nessuno nasce cristiano, nemmeno in un mondo cristiano e da genitori cristiani. Il
cristianesimo pu avvenire sempre solo come nuova nascita. L'essere cristiano ha inizio col battesimo,
che morte e resurrezione (Rm 6), non con la nascita biologica.
Soprattutto Romano Guardini ha indicato un aspetto importante di questo tratto fondamentale della
fede cristiana, o meglio della fede biblica, che non emerge dal proprio interno, ma viene a noi dal di
fuori. Il cristianesimo, la fede cristiana, cos egli ci dice, non prodotto delle nostre esperienze
interiori, ma un evento che ci viene incontro dal di fuori11. La fede poggia sul fatto che ci
Mi sembra significativo che la scrittrice evangelica E. ZELLER nel suo romanzo autobiografico Nein
una Amen parli delle lezioni di Guardini che essa aveva ascoltate a Berlino prima della guerra e
riferisca quanto si impresso nella sua memoria: Mai e poi mai si pu desumere Dio - Guardini lo
dice con voce sommessa - da esperienze interiori; al contrario, Egli pu irrompere, a dispetto di tutte le
esperienze, muovendo da un'origine totalmente altra, che presuppone la nostra capacit di essere
toccati, presi. Cfr. J. SUDBRACK, op. cit., p. 222. efficace anche la valutazione conclusiva della
religione e delle esperienze religiose dell'umanit nel libro di R. GUARDINI Religion und Offmbarung
[Religione e Rivelazione, testo in preparazione presso la Morcelliana, Brescia], I, Wiirzburg 1958, pp.
227s.: Come impressione ultima rimane quella di una profonda vanit. Cose elevate stanno accanto a
realt basse, vili, libert accanto a avidit, nobilt accanto a volgarit... come
91
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
viene incontro qualcosa (o qualcuno) a cui la nostra esperienza di per s non riesce a giungere. Non
l'esperienza che si amplia o si approfondisce - come nel caso di modelli rigorosamente "mistici" - ma
qualcosa che accade. Le categorie di "incontro", "alterit" (alterile: Lvi-nas), evento, descrivono
l'intima origine della fede cristiana e indicano i limiti del concetto di "esperienza". Indubbiamente ci
che ci tocca ci procura esperienza, ma esperienza come frutto di un evento, non di una discesa nel
profondo di noi stessi. E proprio questo che si intende col concetto di Rivelazione: il non-proprio, ci
che non appartiene alla sfera mia propria, mi si avvicina e mi porta via da me, al di l di me, crea
qualcosa di nuovo. Questo ci che determina anche la storicit della realt cristiana, che poggia su
eventi e non sulla percezione della profondit del proprio intimo, che poi quel che si chiama
"illuminazione"12. La Trinit non oggetto della nostra esperienza, ma qualcosa che mi deve
se qualcosa fosse in ricerca confusa e quasi trovasse, lasciasse poi cadere nuovamente dalle mani
quanto ha trovato, si smarrisse, e si cominciasse di nuovo. Una grande malinconia si cela nella storia
religiosa dell'umanit; per anche una grande aspirazione nostalgica e un'attesa che veglia
continuamente in vedetta. Sul tema dell'esperienza religiosa importante anche il contributo di R.
BRAGUE, Was heift christliche Erfahrung?, in Ikaz 5 (1976), pp. 481-496, come anche quello di H.
U. VON BALTHASAR, Gotteserfahrung biblisch und patristisch, ivi, pp. 497-509.
istruttiva, in proposito, la contrapposizione tra gnosi e Pseudo-Dionigi l'Areopagita formulata da H.
BALL nel suo celebre saggio sullo Pseudo-Dionigi: Ora, caratteristico dello gnosticismo [...] il fatto
che al cuore della redenzione non stiano la passione e morte di Ges Cristo, non stia la crocifissione,
ma "il messaggio della via santa", la dottrina. Non attraverso il dolore, bens mediante la co-
municazione di una dottrina che si verifica Pilluminazione (in Dionysius Areopagita. Die Hierarchie
der Engel und der Kirche. Einfiihrung von Hugo Bali, Munchen - Pla-negg 1955, p. 53). Cfr. p. 59:
Paolo entr ancor pi veementemente in contrasto con lo gnosticismo con la sua dottrina della
redenzione terrena [...]. Il Ges ricco di sapere, taumaturgo, comunicatore degli gnostici passa in
secondo piano rispetto al Cristo obbediente, martirizzato, ucciso e risorto. Il battesimo non pi un
incantesimo di fuoco e di luce. Esso un'immersione nella morte di Cristo.
92
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
esser detto dall'esterno, mi si avvicina dal di fuori come "Rivelazione". Lo stesso vale per
l'incarnazione del Verbo, che appunto un evento e non pu essere trovato nell'esperienza intcriore.
Questo arrivare dal di fuori scandaloso per l'uomo, che tende all'autarchia e all'autonomia, una
pretesa eccessiva per qualunque cultura: quando Paolo dice che il cristianesimo uno scandalo per i
Giudei, e per i "gentili" stoltezza (ICor 1,23), con queste parole vuole appunto esprimere tale
peculiarit della fede cristiana, che per tutti viene "dal di fuori". Ma proprio questo nuovo intervento,
che fa breccia nel nostro spazio esperienziale, nella nostra coscienza che siamo una cosa sola col tutto,
ci porta entro uno spazio pi grande, e proprio cos ci apre anche la possibilit di superare il pluralismo
e di accostarci gli uni agli altri.
Ili ELLENIZZATONE?
opinione corrente oggi che il cristianesimo cattolico, e anche quello orientale, non sarebbe il
cristianesimo della Bibbia, ma poggerebbe su un amalgama tra la Bibbia, la filosofia greca e il diritto
romano. La Riforma del XVI secolo col suo principio della sola Scriptura ha inaugurato una
prospettiva del genere, che per altro era attenuata dalla conservazione del dogma cristiano primitivo
che era stato formulato in lingua greca e con mezzi speculativi greci. Dall'Illuminismo in poi, questa
differenziazione tra cristianesimo biblico e storico si radicalizzata; questa concezione ha trovato
espressione sintetica nell'espressione "ellenizzazione" del cristianesimo. Il grande storico del
93
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
dogma Adolf von Harnack ha approfondito quest'idea nel modo pi scrupoloso sul piano storico e sul
piano concettuale. Secondo lui la gnosi era l'ellenizzazione acuta del cristianesimo, mentre il
cristianesimo cattolico era la forma dello stesso processo sviluppatasi lentamente e divenuta
storicamente efficace13. Oggi gli storici sono unanimemente concordi nel considerare insostenibile
questa in-terpretazione della gnosi e del cristianesimo cattolico. Ma l'espressione "ellenizzazione" non
ha perduto nulla del suo fascino; pi diffusa e accettata di prima. Dalla teologia della liberazione alla
teologia pluralistica della religione essa conosce diverse varianti . Il contenuto di questo termine
divenuto molto semplice e chiaro: la Bibbia sarebbe espressione di esperienze religiose e avrebbe
sviluppato una prassi di vita morale; la Chiesa antica, influenzata dalla cultura greca, avrebbe
sovrapposto a questa prassi una teoria flosofca e avrebbe sviluppato un'ortodossia della lettera che
oggi non si potrebbe pi pretendere da nessuno. Persine teologi che vogliono muoversi all'interno del
consensus fdei della Chiesa universale e cercano di comprendere il dogma della Chiesa antica, fanno
capire che il dogma pu aver avuto un certo signi-
13
Cfr. A. VON HARNACK, Lehrbuch der Dogmengeschichte, I, Tiibingen 19315, pp. 243-290 (tr. it.
Manuale della storia dei dogmi, Piacenza 1910; Mendrisio 1912-1914):
Gnosi come mondanizzazione del cristianesimo, pp. 496-796; Fissazione e graduale zione del
cristianesimo come dottrina della fede. Il cambiamento di direzione rispetto a questa visione chiaro
nel pi recente disegno di una storia dei dogmi vista secondo la prospettiva evangelica: W. BlENERT,
Dogmengeschichte, Stuttgart 1997, pp. 27-115. Sul tema dell'ellenizzazione nel suo complesso: J.
DRUMM, Hellenisierung, in LThK, IV, coli. 1407-1409; bibliografa ivi. Vorrei rimandare
particolarmente ai contributi di A. Grillmeier, L. Scheffczyk, M. Lutz-Bachmann.
caratteristica l'importanza della ellenizzazione della fede nella cristologia di J. SOBRINO, La f en
Jesucristo. Ensayo desde las mctimas, San Salvador 1999, pp. 437-465, come in diversi contributi della
rivista Vidyajyoti, Delhi 1975ss.
94
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
ficato per una determinata epoca e in determinati ambiti culturali, ma non riguarda la Chiesa
complessivamente, non le culture verso le quali la fede in cammino. Quella greca o greco-latina del
cristianesimo sarebbe appunto una delle forme culturali, ma altre culture potrebbero non essere
obbligate ad essa.
Qui naturalmente entra in gioco di nuovo l'intera questione di cultura e fede, che ora non possiamo di
nuovo sviluppare. In questo libro il problema dell'ellenizzazione si affaccer continuamente, da diversi
lati, e da diversi lati trover risposta. Bastino qui due accenni, che dovranno essere ripresi in altri
capitoli.
1. L'incontro tra pensiero greco e fede biblica non si attuato soltanto nella Chiesa primitiva, bens
all'interno dello stesso cammino biblico: Mos e Piatone, fede negli di e spregiudicata critica
illuministica degli di, ethos teologico e direttive etiche tratte dalla "natura" si incontrano gi nella
Bibbia stessa. La definitiva breccia che, nell'esilio, apr alla chiarezza della fede in un solo Dio, la lotta
per una nuova fondazione de\V ethos dopo il fallimento del nesso colpa-pena (Giobbe, diversi salmi e
cos via), come, infine, la critica ai sacrifci di animali celebrati nel Tempio e la ricerca di una
concezione del culto e del sacrifcio conforme al volere di Dio - furono processi in cui il contatto tra i
due mondi avvenne da s. La traduzione greca dell'Antico Testamento, la LXX, che fu la Bibbia del
Nuovo Testamento - come oggi sappiamo - da considerare non una trasposizione ellenizzante del
testo masoreti-co (dell'Antico Testamento ebraico), ma costituisce un insieme di tradizioni a se stante;
entrambi i testi sono testi-
95
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
monianze con valore autonomo dello sviluppo della fede biblica15. Coerentemente, la Chiesa antica ha
continuato a sviluppare un incontro interculturale che era ancorato nel nucleo della fede biblica stessa.
2. Le grandi decisioni dei Concili antichi, che si sono sedimentate nelle professioni di fede, non
riducono la fede a una teoria filosofca, ma danno forma linguistica a due costanti essenziali della fede
biblica: esse garantiscono il realismo della fede biblica e impediscono un'interpretazio-ne puramente
mitologico-simbolistica; garantiscono la razionalit della fede biblica, che supera quel che proprio
alla ragione e alle sue possibili "esperienze" ma comunque si appella alla ragione e si presenta con la
pretesa di enunciare la verit, di aprire all'uomo l'accesso al nucleo vero e proprio della realt. Vorrei
illustrare questo -come ho gi fatto altre volte - attraverso un esempio fondamentale, quello di un
termine puramente flosofico e certo non biblico che entrato nel grande Credo e pertanto divenuto
anche esempio paradigmatico per dimostrare P"ellenizzazione" del cristianesimo. Intendo l'affermazio-
ne che Ges Cristo, Figlio unigenito di Dio, homosios col Padre, della sua stessa sostanza. noto
come si sia dibattuto intorno a questa parola, come si siano cercati annacquamenti, compromessi - per
motivi politici, come anche per cercare una mediazione tra gli opposti, una
importante in proposito A. SCHENKER, L'criture sainte subsiste m plusieurs formes canonques
simultanee!, in L'interpretaziune della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede, Citt del Vaticano
2001, pp. 178-186. In proposito sono degne di nota le riflessioni di E. Lvinas sull'ebraico come prima
lingua e sul greco come necessaria seconda lingua della Bibbia; cfr. sul tema J. WOHLMUT, Die Tor
spricht die Sprache der Menschen, Paderborn
2002, pp. 28-35.

Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura


pace nella Chiesa -, e come alla fine per si sia fissato questo termine come garanzia della fedelt alla
fede biblica"'. Forse qui si canonizza una filosofia estranea alla fede, si innalza a dogma una metafisica
che appartiene comunque a una cultura? Per rispondere a questo interrogativo, dobbiamo richiamare il
problema in questione: il Nuovo Testamento parlava di Ges come del Figlio di Dio. Ora, anche le
religioni nel cui mondo entr la missione cristiana, parlavano di figli di Dio e degli di. Questo Ges di
Nazareth era un figlio di Dio di questo genere? Si trattava di una locuzione poetica e iperbolica,
"mitologica", come si usa magari tra innamorati che vogliano assolutizzare la persona da loro amata ma
naturalmente non vogliono fare alcuna affermazione sulla realt delle cose in quanto tale? Si trattava di
un discorso metaforico, o quell'espressione pretendeva dire qualcosa di reale? Da questo interrogativo
dipende la decisione su che cosa sia il cristianesimo, se Ges debba essere annoverato tra gli avataras
[manifestazioni], le molteplici forme di apparizione della divinit nel mondo, se il cristianesimo sia una
variante religiosa tra altre o se invece abbiamo a che fare con una realt di altro tipo. Lo homosios
risponde a questo interrogativo. Esso dice: la parola "figlio" non si deve intendere in senso poe-tico-
allegorico (mitologico, simbolico), ma totalmente realistico. Ges lo veramente, non ne ha solo il
nome. Viene difeso il realismo della fede biblica, null'altro, la seriet dell'evento, del nuovo
accadimento che viene dal di fuori. In questo "" echeggia lo "Io Sono" della formula del roveto
ardente (Es 3,14), quale che sia stato il suo senso sto-
b
Cfr. C. KANNENGIESSER, Homoosios, in LThK, V, coli. 252s. (bibl.); M. SlMONETTI,
Homoosios, in Dictionnaire encydopdique du Christianisme ancien, I, coli. 1190s.
96
97
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
rico originario. "Io lo sono" ha detto Ges pi di una volta e con questa frase ha espresso tutto il
realismo della fede biblica. La formula del Credo, apparentemente presa a prestito, lo homosios, in
ultima istanza ci dice soltanto che possiamo prendere alla lettera la Bibbia, che essa, nelle sue
enunciazioni pi decisive, vale alla lettera e non in senso puramente allegorico . Prendendo la loro
decisione, i Padri avevano capito molto bene che la Bibbia non vuole introdurre semplicemente una
qualche "ortoprassi". La sua pretesa pi elevata. Essa ritiene l'uomo capace di verit e vuole metterlo
di fronte alla verit stessa, svelargli la verit, che in Ges Cristo si presenta come persona. La
caratteristica che contrassegnava la filosofia greca era il non accontentarsi delle religioni tradizionali e
delle immagini del mito, e il porre con tutta seriet il problema della verit. Qui si pu forse
riconoscere la mano della provvidenza, perch l'incontro tra la fede della Bibbia e la filosofa greca
stato veramente "provvidenziale".
IV ABRAMO E MELCHISEDEK
Nel Canone romano, cio la prima preghiera eucaristica del Messale riformato da papa Paolo VI, si
rivolge a Dio la preghiera che voglia guardare sereno e benigno all'offerta della Chiesa, come un
tempo aveva guardato ai
Cfr. in proposito l'esposizione pi dettagliata in J. RATZINGER, Der Goti Jesu Christi, Miinchen
1976, pp. 70-76 (tr. it. // Dio di Ges Cristo, Brescia 1978, pp. 65-70).
98
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
doni di Abele il giusto, al sacrifcio di Abramo nostro padre nella fede e all'oblazione pura e santa
di Melchi-sedek tuo sommo sacerdote. Questa preghiera suscit la collera di Luter e fu
vigorosamente criticata anche da settori del movimento liturgico come fraintendimento della liturgia
cristiana, come "regresso" all'Antico Testamento, alla realt precristiana. La Chiesa antica, la fede e la
preghiera della quale si esprimono in questo testo, la pensava in modo diverso. Per essa non c'era
frattura tra la preghiera dei popoli, la preghiera di Israele e la preghiera della Chiesa. Certo, la "novit"
del cristianesimo era una categoria fondamentale della fede cristiana: il Signore aveva portato qualcosa
di veramente nuovo, il nuovo per eccellenza, ma questo nuovo era stato preparato, e la storia, pur con
tutti i suoi travagli e deviazioni, era incamminata verso di esso. Certo, bisognava distinguere tra ci che
portava a Cristo e ci che gli si opponeva. Bisognava sottoporre tutto a un processo di purificazione e
di rinnovazione, che per non era distruzione e completa frattura, ma rinnovamento e risanamento. La
fede appare come criterio e critica della storia delle religioni, ma non come sua totale negazione.
Pertanto la preghiera Supra quae del Canone romano, da cui sono desunte le precedenti citazioni, aiuta
il discernimento spirituale, una interpretazione critica e allo stesso tempo positiva dei percorsi
precristiani del culto reso a Dio. La scelta delle figure caratteristica sotto diversi punti di vista. Abele
il primo martire, uno che non ha ucciso, ma si lasci uccidere e divent lui stesso l'"agnello",
anticipando la sorte di Cristo, il vero agnello pasquale. Abramo pronto a sacrificare Isacco, l'unico
figlio, rinunciando cos al suo futuro, al contenuto della promessa; al posto del figlio subentra l'agnello,
l'arie-
99
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
te - attraverso molteplici rifrazioni gi si irraggia in anticipo la luce di Cristo. Melchisedek, re di
Salem, sacerdote di El Eljon, il "Dio altissimo"; egli offre pane e vino. Il giudaismo delle origini cos
come la Chiesa primitiva si sono sempre interessati a questa figura misteriosa; la Lettera agli Ebrei
vede rappresentato in lui il sacerdozio di Ges Cristo in contrapposizione a quello levitico. Facciamo
attenzione ai due predicati che gli vengono attribuiti: sedek significa giustizia, diritto; Salem rimanda a
Gerusalemme ed una variante di shalom, pace. Giustizia e pace sono i suoi contrassegni. Egli rende
culto al "Dio altissimo", non a di qualsiasi, ma al solo Dio che sta al di sopra degli di. Non offre
animali, ma i doni pi puri della terra: pane e vino. Ancora una volta in vari modi traspare Cristo. A
buon diritto i Padri hanno visto, nelle tre figure richiamate, "tipi" di Cristo. Oggi di moda prendersela
con la tipologia come violenza fatta al testo e certo vi sono state anche applicazioni sbagliate della
tipologia. Ma proprio qui viene in luce con grande chiarezza che il suo nucleo legittimo e il suo
contenuto essenziale: c' un filo che percorre la storia della fede e del culto. Vi si trovano profonde
analogie, vie aberranti, ma anche la via che ha una direzione; non si pu negare l'intima consonanza
con la figura di Ges Cristo, col suo messaggio e col suo essere, nonostante la diversit dei contesti e
degli stadi storici. Ecco il giusto senso di quel che chiamiamo "inclusivismo". Non si tratta di un
assorbimento dal di fuori, costruito a partire da un postulato teologico che fa violenza al fenomeno, ma
di una corrispondenza dall'interno, che possiamo senz'altro indicare come una finalit: in queste figure
Cristo in cammino nella storia, possiamo dire con i Padri.
100
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
Dobbiamo fare qualche altra osservazione riguardo a queste figure: Abele e Melchisedek sono -
esprimendosi in termini tradizionali - "pagani", vale a dire non appartengono direttamente alla storia
particolare della fede di Israele. Abramo il capostipite di Israele, nostro padre, dice pertanto il Canone
rifacendosi alla teologia paolina. Diventare cristiani vuoi dire entrare nella storia della fede cominciata
con Abramo e cos averlo per padre. Il sacrifcio di Abramo, richiamato nel Canone romano, segna il
trapasso dai culti "pagani" al culto purificato di Israele e, con l'offerta dell'agnello (che collega pure
Abramo ad Abele), si va verso il culto cristiano, al cui centro sta l'Agnello immolato (Ap 5,6): Cristo,
che nella notte della Passione si offerto a Dio e nel suo amore ci riconcilia con Dio e ci attira in alto.
Questo testo come una sintesi dell'intera storia delle religioni, che conduce ad Abramo (Israele) e
quindi a Cristo, da cui interpretata, da Lui che ci dona anche il criterio per le necessarie distinzioni,
anzi Lui stesso il criterio.
Qui dobbiamo sgombrare il campo da un ulteriore fraintendimento, che si verifcato pi volte nella
storia, circa la preghiera Supra quae del Canone romano. Il nostro pregare Dio perch volga dall'alto
sulle nostre offerte il suo sguardo sereno e benigno non significa - come si potrebbe ritenere - che
consideriamo Cristo sacrificato come una cosa che noi porgiamo a Dio, pi o meno come nel caso
dell'agnello, senza la certezza che questa vittima -Cristo - gli piaccia o no. Un'interpretazione del
genere, in cui si potrebbe incorrere e si incorsi stando alla pura lettera del testo, si contrappone
assolutamente alla logica intrinseca di esso. Si tratta piuttosto di implorare la disposizione intcriore di
Abele, di Abramo, di Isacco, e cos di
101
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
poterci avvicinare a Cristo, di conformarci alla sua disposizione, di divenire una sola cosa con Lui,
come Abele, Abramo, Isacco, Melchisedek, i suoi "tipi", la sua presenza anticipata nella storia. E quindi
noi preghiamo affinch lo sguardo della riconciliazione, che in ultima istanza sempre stato ed
diretto a Cristo, si posi su di noi, dal momento che abbiamo gli stessi sentimenti che furono in lui (FU
2,5).
Melchidesek nel racconto veterotestamentario non presentato come un personaggio isolato, facciamo
la sua conoscenza nel suo incontro con Abramo. Costui, chiamato da Dio, si separato dagli di della
sua patria e si tenuto lontano dagli idoli cananei e dal loro culto. Egli segue il "suo Dio", il Dio che
l'ha chiamato. Ma incontra Melchisedek, il re che serve il Dio altissimo quale sacerdote ed contrasse-
gnato dagli attributi di "giustizia" e di "pace". Egli riconosce il culto di questo re come suo culto; adora
il suo Dio, riceve da lui la benedizione, e gli da "la decima di tutto" (Gn 14,18-20), come si sarebbe
fatto soltanto nei confronti di un sacerdote legittimo. Avviene un incontro nella fede. Ci tuttavia non
significa che le "religioni" vadano trattate come un blocco unico e vadano considerate alla pari. C'
incontro delle religioni, s, ma questo incontro comporta anche delle distinzioni. Il Canone romano ci
insegna entrambe le cose: la profonda contiguit delle religioni e la necessit della distinzione, di cui
criterio Cristo, il Figlio del Dio altissimo, il re della giustizia e della pace.
Gi all'interno dell'Antico Testamento possiamo trovare la convinzione che l'uomo, nella sua relazione
con Dio, non completamente privo di un criterio; pur nella estraniazione, non gli precluso un sapere
interiore che pu mostrar-
102
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
gli il cammino. Da questo punto di vista, trovo particolarmente istruttiva la storia di Giona. Egli
annuncia alla malvagia Ninive la rovina. E gli abitanti di Ninive credettero a Dio, ci dice il testo
biblico (Gio 3,5). Ninive era una citt pagana, una citt con molti idoli. Ma di fronte all'appello del
profeta i niniviti credono a Dio. Sanno nel proprio intimo che esiste l'unico Dio e riconoscono la sua
voce nella predicazione del profeta straniero. Neanche il peccato riuscito a estinguere nel cuore
dell'uomo la capacit di riconoscere la voce dell'unico Dio.
V DISTINGUERE CI CHE CRISTIANO
Nel 1994 l'Ufficio per le relazioni interreligiose del Consiglio mondiale delle Chiese e il Pontificio
Consiglio per il dialogo interreligioso dettero vita ad una riflessione comune sulla preghiera
interreligiosa. Un primo approfondimento fu dedicato a una rassegna delle esperienze religiose fatte
da diverse Chiese su questo tema. Una seconda tappa, nel 1996, consistette in una consultazione
svoltasi a Bangalore, in India, a cui partecip un numero limitato di persone provenienti da diverse
tradizioni cristiane che avevano fatto esperienze di preghiera interreligiosa. Vari teologi esposero i
loro giudizi e le loro opinioni. Il tutto si concluse con un fnal statement: Findings of an Exploratory
Consultation on Interreligious Prayer. Infi-
Bollettino del Pontili cium Consilium pr dialogo inter religiones 2 (1998), pp. 231-236.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
ne a Bose (Italia) un piccolo gruppo di teologi provenienti da diverse Chiese, nel 1997, ha elaborato un
documento sui fondamenti teologici della preghiera interreligiosa .
Mentre il documento di Bose nonostante vadano sollevati molti interrogativi -- pu essere considerato
un lavoro accurato e che fa davvero compiere un passo in avanti, il testo di Bangalore desta in me
un'impressione di deplorevole superficialit e dilettantismo. Vorrei fare solo un esempio: la preghiera
interreligiosa viene giustificata, tra l'altro, con la categoria dell'hospitality. Bangalore ci dice che la
preghiera interreligiosa non solo risposta ad esigenze che scaturiscono da certe situazioni, ma
espressione della nostra fedelt al Vangelo. Come prova biblica a favore viene addotto il passo Le
10,7: Ges stesso ci spingerebbe a ricevere l'ospitalit come a darla. Questo essere ospitati non si
dovrebbe limitare al mangiare e al bere, ma si dovrebbe estendere a ci che quelli che ci sono vicini
ritengono prezioso: preghiera e culto20. Chi sfoglia il Nuovo Testamento, dopo queste affermazioni, e
legge in Le 10,1-12 l'invio dei 72 discepoli da parte di Ges, non pu che sbarrare gli occhi stupefatto
per una simile esegesi. Ges da ai discepoli il mandato di annunciare agli uomini con parole e azioni
(guarigioni) la vicinanza del Regno di Dio. Nel corso di questo servizio, hanno diritto a essere ospitati
(cfr. Le 10,5-7). Ma quando entrerete in una citt e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite:
Anche la polvere della vostra
M, pp. 237-243. Findings, doc. cit., p. 233.
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Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
citt che si attaccata ai nostri piedi noi la scuotiamo contro di voi; sappiate per che il Regno di Dio
vicino. Io vi dico che in quel giorno Sodoma sar trattata meno duramente di questa citt (Le 10,10-
12). La missione dei 72 (70 ovvero 72 era ritenuto il numero dei popoli della terra) un'anticipazione
della missione post-pa-squale, quando i discepoli sono chiamati a portare il Vangelo del Regno a tutti i
popoli; laddove, dopo la Pasqua, risulta chiaro che Ges il Regno in persona, e quindi l'annuncio del
Regno deve essere l'annuncio di Lui. La mancata accoglienza degli annunciatori e del loro annuncio
sotto pena di giudizio. Far diventare la richiesta di ospitalit per gli annunciatori uno scambio di culto e
di preghiera non ha davvero pi nulla a che fare col testo biblico. Ci si potrebbe attendere un po' pi di
seriet nell'argomentazione.
Ma, a prescindere da tali insufficienze nell'argomentazione, nel testo ne va di qualcosa di pi
fondamentale, vale a dire dell'interrogativo: chi o che cosa Dio? Come rispondiamo a Lui? Egli ci
conosce? Il testo di Bangalore dice a tale riguardo che la preghiera interreligiosa offre lo spunto per
discutere alcuni importanti temi teologici, per esempio: che cosa significa quando diciamo che Dio
uno? Preghiamo tutti un medesimo Dio, anche se le nostre immagini e le nostre concezioni (un-
derstandings) di Dio sono diverse e distinte? Come concepire la nostra dottrina su Dio in ambiti non
teistici?. Dobbiamo trovare, cos dice il testo, nuovi modi di articolare la nostra fede riguardo al posto
da assegnare alle religioni nell'economia salvifica e oltrepassare le categorie di esclusivismo,
inclusivismo e personalismo, trovando vie
105
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
originali per leggere teologicamente l'operare dello Spirito in altre religioni21.
Nel documento non sono proposte tesi, certo, ma solo interrogativi. Tuttavia pur vero che questi
interrogativi insinuano che i confini tra Dio e gli di, tra il modo personale e impersonale di intendere
Dio, non debbano essere necessariamente netti, che, a monte di queste differenze, alla fine si intende la
stessa realt. Verrebbe da pensare che la differenza tra Dio e gli di, tra immagine personale di Dio e
mistica impersonale dell'in-distinzione sia una differenza tra immagini e concetti, quindi una differenza
su ci che secondario, che non tocca la realt pi profonda, poich tutti i concetti e le immagini sono
secondari rispetto all'inesprimibile realt dell'assoluto. La differenza vera e propria - se ne potrebbe
dedurre - non affatto tra queste diverse forme concettuali e queste diverse immagini, bens quella tra
qualsiasi genere di discorso su Dio fatto dall'uomo e la realt dell'ignoto che sta al di l delle parole e si
raggiunge con esse sempre solo da lontano, in fondo solo per approssimazione. Questa concezione, in
certo qual modo, affascina l'uomo contemporaneo; essa sembra esprimere anche la pi grande
reverenza di fronte al mistero di Dio, sembra manifestare la pi grande umilt davanti all'assoluto e,
nella sua tolleranza verso tutto e tutti, sembra essere pi grande, tanto religiosamente quanto
speculativamente, dell'insistenza sul Dio personale come dono irrinunciabile proveniente dalla
Rivelazione. incontestabile che nel frattempo queste opinioni si diffondano proprio tra i cristiani e
divengano prassi nella "preghiera interreligiosa".
Ivi, p. 234.
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Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
Davvero questa concezione "pi devota"? E soprattutto: pi vera? Chiediamoci in termini concreti:
quale cambiamento produce? Che ne del nostro credere e pregare?
Anzitutto, se la concezione personale e quella impersonale di Dio si equivalgono, sono fungibili, allora
la preghiera diviene finzione, poich se Dio non un Dio che vede e che ode, se Egli non mi conosce e
non mi sta davanti, la preghiera si leva nel vuoto. Essa risulta essere solo una forma di autocoscienza,
di relazione intrattenuta con se stessi, non un dialogo. Pu essere allora un'iniziazione all'assoluto, il
tentativo di ascendere dalla condizione di separazione dell'io a un infinito a cui nel profondo sono
identico e nel quale voglio inabissarmi. Ma tale preghiera non ha alcun punto di riferimento su cui ci si
possa misurare e dal quale ci si possa attendere una qualche forma di risposta. Ancor pi: se posso
lasciarmi alle spalle la fede in Dio come "persona", quasi si trattasse di una forma di rappresentazione
accanto a quella impersonale, allora questo Dio non sarebbe pi soltanto un Dio che non ascolta e non
parla (Logos), ma un Dio che non ha neppure una volont (conoscere e volere infatti sono i due
contenuti essenziali del concetto di persona). Dunque non esisterebbe una volont di Dio. Dunque non
ci sarebbe nemmeno un'ultima differenza tra bene e male: bene e male - come abbiamo gi visto - non
costituirebbero pi una contraddizione, ma solo un'opposizione in cui l'uno sarebbe complementare
all'altro. Tanto l'uno quanto l'altro sarebbero flussi dell'essere. E io non sarei soggetto ad alcuna misura.
Dunque non cambierebbe solo qualche immagine o uno schema concettuale, ma tutto risulterebbe
profondamente cambiato. Se invece Dio persona, allora la realt ultima e somma anche la pi
concreta, allora
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
io mi trovo sotto lo sguardo di Dio e nell'orbita della sua volont, del suo amore.
Poich le cose stanno cos, lo Shema' Israel sia per Israele, sia per la Chiesa, il fondamento
inamovibile della nostra esistenza: Ascolta Israele! Il Signore il nostro Dio, il Signore uno solo. Tu
amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (Dt 6,4s.). Per questa
fede sono morti i martiri di Israele come quelli di Ges Cristo. Il primo comandamento: Non avrai
altri di al di fuori di me (Es 20,3; Dt 5,7), non solo numericamente, ma anche per rango il primo
comandamento, sul quale poggia tutto il resto. Nel racconto delle tentazioni, Cristo ce l'ha presentato di
nuovo in forma lapidaria come fondamento dell'esistenza cristiana: Adora il Signore Dio tuo e a Lui
solo rendi culto (Mt 4,10). Tra Dio e gli di, tra modo personale e impersonale di concepire Dio non si
da alcuna mediazione, tanto vero che anche nel politeismo come nella mistica del-l'in-distinzione si
trovano verit che hanno posto nella fede cristiana, ma possono mostrare il loro vero significato solo se
prima si distinto ci che cristiano, e il "volto di Dio" non scomparso n dalla vista n dal cuore.
Soltanto sulla base della fede in Dio si pu comprendere in modo giusto la fede della Chiesa in Cristo.
L'unicit di Cristo legata all'unicit di Dio e ne la forma concreta. Cristo non un avatar di Dio -
magari particolarmente stupefacente -, una delle molteplici forme finite dell'apparire del divino nelle
quali impariamo a presagire l'infinito. Non una "apparizione" del divino, ma Dio. In Lui Dio ha
mostrato il suo volto. Chi lo vede, ha visto
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Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
il Padre (cfr. Gv 14,9). Qui si giunge realmente all"'esse-re": questa la vera e propria linea di
demarcazione della storia delle religioni e proprio in questo sta anche la forza della loro possibile
unificazione. Per questo l'incontro con l'ontologia dei Greci - con la questione dell'"essere" non stata
una distorsione flosofca della fede cristiana, ma la sua indispensabile espressione.
A partire da qui, si possono comprendere, infine, altri due concetti fondamentali della fede cristiana,
oggi diventati quasi due parole proibite: conversione (conversio) e missione. opinione comune oggi
che, in pratica, bisognerebbe intendere la conversione solo come inversione del cammino spirituale, ma
non come passaggio da una religione all'altra, quindi nemmeno come passaggio al cristianesimo. La
tolleranza e il rispetto per l'altro sembra che impongano l'idea dell'equivalenza di tutte le religioni; di
conseguenza si dovr rispettare la decisione del singolo che ha deciso di cambiare religione, ma non si
potr chiamare conversione, perch questo in verit porrebbe la fede cristiana su di un piano pi
elevato e in tal modo contraddirebbe l'idea di uguaglianza. Chi cristiano deve opporsi a questa
ideologia dell'uguaglianza. Non perch egli sia qualcosa di pi - nessuno cristiano da s, abbiamo
detto; ciascuno lo solo in virt della "conversione". Chi cristiano per crede che il Dio vivente ci
chiama in Cristo in un modo singolare, unico, che richiede obbe-dienza e appunto conversione. Ci
presuppone che nel rapporto tra le religioni svolga un ruolo la questione della verit e che la verit per
ciascuno sia un dono, non un'alienazione. A questo problema di fondo sar dedicata la seconda parte di
questo libro.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Con ci si gi detto l'essenziale anche sul concetto di "missione". Se vige l'uguaglianza di principio
delle religioni, allora la missione non pu che essere una specie di imperialismo religioso, al quale si
deve resistere. Se per in Cristo ci offerto un dono nuovo, il dono essenziale - la verit - allora
dovere farne dono anche all'altro, liberamente, si capisce, poich altrimenti la verit non pu operare n
essere amore.
VI PREGHIERA MULTIRELIGIOSA E INTERRELIGIOSA
Nell'epoca del dialogo e dell'incontro delle religioni sorto inevitabilmente il problema se si possa
pregare insieme gli uni con gli altri. A questo proposito oggi si distingue preghiera multireligiosa e
interreligiosa. Il modello per la preghiera multireligiosa offerto dalle due giornate mondiali di
preghiera per la pace, nel 1986 e nel 2002, ad Assisi. Appartenenti a diverse religioni si radunano.
Comune la sofferenza per le angosce e le miserie del mondo e per la sua mancanza di pace, comune
l'anelito all'aiuto dall'alto contro le forze del male, affinch possano entrare nel mondo pace e giustizia.
Da qui la volont di porre un segno pubblico di questo anelito, che dovrebbe scuotere tutti gli uomini e
rafforzare la buona volont, che condizione della pace. Tuttavia le persone radunate sanno pure che il
loro modo di intendere il "divino" e quindi la loro maniera di rivolgersi a esso sono cos diversi che una
preghiera comune sarebbe una finzione, non sarebbe nella verit. Esse si raccolgono per dare un segno
del comune anelito, ma pregano - an-
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Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
che se in contemporanea - in sedi separate, ciascuno a modo proprio. Naturalmente "pregare", nel caso
di un modo impersonale di intendere Dio (legato spesso al politeismo), qualcosa di completamente
diverso dal pregare nella fede nel Dio unico e personale. La differenza si manifesta visibilmente, ma in
modo tale che quel pregare possa essere anche un grido che implora il risanamento delle nostre
divisioni.
In riferimento ad Assisi -- tanto nel 1986 quanto nel 2002 - ci si chiesti ripetutamente e in termini
molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penser che si finge una
comunanza che in realt non esiste? Non si favorisce cos il relativismo, l'opinione che in fondo siano
solo differenze secondarie quelle che si frappongono fra le "religioni"? Non si indebolisce cos la se-
riet della fede, non si allontana ulteriormente Dio da noi, non si consolida la nostra condizione di
abbandono? Non si possono accantonare con leggerezza tali interrogativi. I pericoli sono innegabili, e
non si pu negare che Assisi, particolarmente nel 1986, da molti sia stato interpretato in modo errato.
Sarebbe per altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa
cos come l'abbiamo descritta. A me sembra giusto legarla a condizioni che corrispondano alle esigenze
intrinseche della verit e della responsabilit di fronte ad una cosa cos grande come l'implorazione
rivolta a Dio davanti a tutto il mondo. Ne individuo due:
1. Tale preghiera multireligiosa non pu essere la norma della vita religiosa, ma deve restare solo come
un segno in situazioni straordinarie, in cui, per cos dire, si leva
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Capitolo II - variazioni sul tema fede, religione e cultura
un comune grido d'angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il
cuore di Dio.
2. Un tale avvenimento porta quasi necessariamente a interpretazioni sbagliate, all'indifferenza rispetto
al contenuto da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento della fede reale. Perci
avvenimenti del genere - quali quelli di cui al punto 1 - devono restare eccezioni, e dunque della
massima importanza chiarire accuratamente in che cosa consistano. Questo chiarimento, in cui deve
risultare nettamente che non esistono "le religioni" in generale, che non esiste una comune idea di Dio e
una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l'ambito delle immagini e delle forme
concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime - questo chiarimento importante, non solo per i
partecipanti all'avvenimento, ma per tutti quelli che ne sono testimoni o comunque ne sono informati.
L'avvenimento deve presentarsi in se stesso e davanti al mondo in modo talmente chiaro da non
diventare dimostrazione di relativismo, perch si priverebbe da solo del suo senso.
Mentre nel caso della preghiera multireligiosa si prega nello stesso contesto, ma separatamente, la
preghiera inter-religiosa significa un pregare insieme di persone o gruppi di diversa appartenenza
religiosa. possibile fare questo in tutta verit e onest? Ne dubito. Comunque devono essere garantite
tre condizioni elementari, senza le quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:
1. Si pu pregare insieme solo se sussiste unanimit su chi o che cosa sia Dio e perci se c' unanimit
di principio su che cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io parlo a un Dio che in grado di
udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche
l'atto intcriore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso
di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, dev'essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al
di sopra degli di, col Creatore del ciclo e della terra, col mio Creatore. Dev'essere chiaro dunque che
Dio "persona", vale a dire che pu conoscere e amare; che pu ascoltarmi e rispondermi; che Egli
buono ed il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. A partire da Melchisedek, possiamo
dire, dev'essere chiaro che Egli il Dio della pace e della giustizia. Qualsiasi commistione tra la
concezione personale e quella impersonale di Dio, tra Dio e gli di, dev'essere esclusa. Il primo
comandamento vale anche nell'eventuale preghiera inter-religiosa.
2. Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una concezione fondamentalmente identica su
ci che degno di preghiera e pu diventare contenuto di preghiera. Io considero le richieste del Padre
nostro il criterio di ci che ci consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno di Lui. In esse
si vede chi e come Dio e chi siamo noi. Esse purificano la nostra volont e fanno vedere con che tipo
di volont stiamo camminando verso Dio, e che genere di desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe
contro di Lui. Richieste che fossero in direzione opposta alle richieste del Padre nostro, per un cristiano
non
112
113

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima


possono essere oggetto di preghiera interreligiosa, di nessun tipo di preghiera.
3. L'avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo tale che la falsa interpretazione
relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio non riguarda solo chi
cristiano, che non dovrebbe essere indotto in errore, ma, alla stessa stregua, anche chi non cristiano, il
quale non deve avere l'impressione dell'inter-scambiabilit delle "religioni" e che la professione fonda-
mentale della fede cristiana sia di importanza secondaria e sia dunque surrogabile. Per evitare tale
errore bisogna pure che la fede dei cristiani nell'unicit di Dio e in quella di Ges Cristo, il Redentore
di tutti gli uomini, non sia offuscata davanti a chi non cristiano. Il documento di Bose sopra citato, al
riguardo, dice, a ragione, che la partecipazione alla preghiera interreligiosa non pu mettere in
discussione il nostro impegno per l'annuncio di Cristo a tutti gli uomini22. Se chi non cristiano potesse
o dovesse trarre, dalla partecipazione di un cristiano, una relativiz-zazione della fede in Ges Cristo,
l'unico Redentore di tutti, allora tale partecipazione non dovrebbe aver luogo. Infatti essa, in questo
caso, indicherebbe la direzione errata, orienterebbe all'indietro invece che in avanti nella storia delle vie
di Dio.
PARTE SECONDA
LA QUESTIONE DELLA VERIT E LE RELIGIONI
p. 241. 114
Theological Reflections on Interreligious Prayer: Fimi Statemmt, Bose, doc. cit.,
OSSERVAZIONE PRELIMINARE
Abbiamo dedicato la prima parte di questo libro al problema del rapporto della fede cristiana con le
culture e le religioni. Abbiamo tentato di capire il termine "religione", che cosa significhi fede e che
cosa si intenda precisamente col concetto di cultura, per sondare le possibilit di un fecondo incontro di
queste tre realt. emerso in maniera sempre pi chiara che la problematica dell'incontro, del dialogo,
come anche quella della missione, ci pone inevitabilmente di fronte alla questione della verit. Non la
si pu sfuggire, per quanto essa possa apparire inattuale. Sollecitazioni provenienti dall'ufficio che
svolgo e riflessioni sulla sua ragion d'essere sono all'origine dei capitoli che formano questa seconda
parte, in cui cercher di affrontare tale questione, che esaminata da prospettive diverse nel tentativo
di chiarire i vari aspetti del problema.
Ho preparato il primo capitolo per l'incontro fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e i
presidenti delle Commissioni per la Dottrina della Fede delle diverse Conferenze episcopali
dell'America Latina, avvenuto a Guadalajra in Messico, nel 1996. In quell'occasione l'ho presentato
come conferenza; doveva costituire un'introduzione ai nuovi problemi emersi dopo la svolta del 1989.
Il secondo capitolo cerca di affrontare direttamente la questione se, in qual modo e con quale
significato si possa parlare di verit nell'ambito della fede. Nel 1998, ad Amburgo, ho tenuto una
conferenza sul tema del primo paragrafo del secondo capitolo (Fede tra ragione e sentimento) e a
Parigi, sul secondo, nel 1999. Il terzo paragrafo era nato semplicemente come un'introduzione
all'enciclica Filli
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
des et ratto e si lentamente sviluppato fino a raggiungere la forma attuale in occasione di conferenze
tenute a Pa-derborn, San Francisco, Cracovia e Madrid.
Siccome oggi la pretesa della conoscenza della verit sembra minacciare la tolleranza e la libert, ho
dovuto trattare anche questo problema. A Lugano, nel 2002, davanti a un pubblico cospicuo, ho
proposto alla discussione il primo paragrafo del terzo capitolo; sul secondo paragrafo, ho svolto una
conferenza a Padova nel 1995, su invito di l giuntomi.
118
CAPITOLO I
LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI
NEGLI ANNI NOVANTA SULLA SITUAZIONE
DELLA FEDE E DELLA TEOLOGIA OGGI
1. La crisi della teologia della liberazione
Negli anni Ottanta la teologia della liberazione apparve, nelle sue forme radicali, come la provocazione
pi incalzante alla fede della Chiesa, che esigeva risposta e chiarimento. Essa infatti offriva una
risposta nuova, plausibile e al tempo stesso pratica, alla questione fondamentale del cristianesimo:
quella della redenzione. La parola "liberazione" doveva anzi esprimere, solo in modo diverso e pi
comprensibile, la stessa cosa che nel linguaggio tradizionale della Chiesa era stata chiamata
"redenzione". Di fatto il problema fondamentale resta sempre lo stesso. Noi sperimentiamo un mondo
che non tale da corrispondere a un Dio buno: povert, oppressione, dominio dell'ingiustizia d'ogni
genere, sofferenza dei giusti e degli innocenti sono i segni del tempo, di ogni tempo. E ogni uomo sof-
fre, nessuno pu dire a questo mondo e alla propria vita: dura per sempre, perch sei cos bella!. La
teologia della liberazione diceva, guardando a tali nostre esperienze: questa situazione, che non pu
permanere, pu essere mutata solo mediante un cambiamento radicale delle strutture del nostro mondo,
che sono strutture di peccato, del male. Se dunque il peccato esercita il suo potere sulle strutture e ne
deriva necessariamente una situazione di miseria, allora
119
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
il superamento d'esse non pu avvenire attraverso la conversione individuale, ma solo mediante la lotta
contro le strutture dell'ingiustizia. Sennonch questa lotta, ci si disse, deve essere una lotta politica,
perch le strutture sono consolidate e mantenute dalla politica. Cos la redenzione divenne un processo
politico, per il quale la filosofia marxista offriva le direttive essenziali di marcia. Essa divenne un
compito che gli uomini stessi possono prendere in mano, anzi, lo debbono fare e divenne insieme, con
questo sviluppo, una speranza interamente pratica. La fede divenne, da "teoria", prassi, un agire
redentivo concreto nel processo di liberazione.
Il crollo dei sistemi di governo europei ispirati marxisti-camente fu, per questa teologia della prassi
politica reden-tiva, una specie di "crepuscolo degli di": proprio dove l'ideologia marxista della
liberazione era stata applicata con coerenza, si era costituita la radicale mancanza di libert, i cui orrori
sono diventati visibili ora, smascherati agli occhi del pubblico mondiale. Quando la politica vuoi essere
redenzione, promette troppo. Quando essa vorrebbe fare l'opera di Dio, non diventa divina, bens
demoniaca. Gli eventi politici del 1989 hanno cambiato cos anche lo scenario teologico. Il marxismo
era stato fino allora l'ultimo tentativo di offrire una formula universalmente valida per conferire la
forma giusta all'agire storico. Esso credeva di conoscere la forma atta a costruire la storia nel mondo e,
pertanto, di poter mostrare come tale storia possa essere definitivamente portata sulla retta via. Porre
come fondamento di questa costruzione metodi in apparenza rigorosamente scientifici, e perci
sostituire per intero alla fede il sapere e fare del sapere una prassi, conferiva al marxismo il suo enorme
fascino. Tutte le promesse inadempiute del-
120
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
le religioni sembrava potessero essere mantenute da una prassi politica scientificamente fondata. La
caduta di questa speranza dovette per necessit comportare un'immane disillusione che non stata
ancora del tutto "elaborata". Io ritengo senz'altro pensabile che ci si presenteranno nuove forme
dell'immagine marxista del mondo. Per prima cosa, ci che rimase fu sgomento. Il fallimento dell'unico
sistema per una soluzione scientificamente fondata dei problemi umani non poteva che dar ragione al
nichilismo o comunque al relativismo totale.
2. Relativismo - - la filosofa dominante
Cos effettivamente il relativismo divenuto il problema centrale per la fede nella nostra epoca. Esso
per non appare affatto solo come rassegnazione davanti all'incommensurabilit della verit, ma si
definisce anche positivamente, movendo dai concetti di tolleranza, di conoscenza dialogica e di libert,
che sarebbe limitata dall'affermazione di una verit valida per tutti. Il relativismo appare cos
contemporaneamente come il fondamento della democrazia la quale, secondo esso, poggia appunto sul
fatto che nessuno possa pretendere di conoscere la strada giusta, vive della condizione per cui tutti i
cammini si riconoscono reciprocamente come frammenti del tentativo indirizzato al meglio e nel
dialogo ricercano la comunanza, mentre ad essa appartiene per anche la competizione tra le
conoscenze, che impossibile in ultima analisi siano portate a una forma comune. Un sistema della
libert per sua essenza, secondo questa filosofa, deve essere necessariamente un sistema di posizioni
relative che si accordano e inoltre dipendono da combinazio-
121
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
ni storione e devono restare aperte a nuovi sviluppi. Una societ liberale (fieiheitlicH) una societ
relativista, solo per questo presupposto essa in grado di rimanere libera e aperta ad un ulteriore
cammino.
Nell'ambito politico questa concezione ha ampiamente ragione. Non esiste un'opzione politica che sia
l'unica giusta. L'elemento relativo, la costruzione della convivenza umana ordinata secondo libert, non
pu essere assoluto - il crederlo fu appunto l'errore del marxismo e delle teologie politiche. Per anche
nella sfera politica con il relativismo totale non se ne viene a capo. Ve dell'ingiustizia che non pu
diventare mai giustizia (per esempio uccidere innocenti; negare a singoli o a gruppi il diritto alla loro
dignit umana e a condizioni corrispondenti); v' giustizia che non pu divenire mai ingiustizia. Di
conseguenza non si pu disconoscere un certo diritto al relativismo nell'area politico-sociale. Il
problema sta nel suo concepire se stesso come illimitato. Esso viene ora applicato in modo pienamente
consapevole anche al campo della religione e dell'etica. Posso rimandare solo con pochi accenni agli
sviluppi che attualmente determinano in questa tematica il dialogo teologico. La cosiddetta teologia
pluralista delle religioni si era gi affermata gradualmente fin dagli anni Cinquanta, ma solo oggi
passata interamente al centro della consapevolezza cristiana'. Per la veemenza della sua
1
Una panoramica sugli esponenti di maggior rilievo della teologia pluralista si trova in P. SCHMIDT-
LEUKEL, Dos pluralistische Modell in der Theologie der Religionen. Ein Literaturbericht in
Theologische Revue 89 (1993), pp. 353-370. Per una critica: M. VON BRUCK, J. werbick, Der
ein&ge Weg zum Heil? Die Herausforderung des christlichen Absolutheitsanspruchs durai
pluralistische Religionstheologien, (QD 143), Frei-burg i. Br. 1993; K. H. MENKE, Die Einzigkeit
Jesu Christi im Horizont der Sinnfrage, Freiburg i. Br. 1995, specialmente pp. 75-176. Menke offre
un'eccellente introduzione alle posizioni di due rappresentanti principali di questa corrente: J. Hick e P.
F. Knitter; me ne servo ampiamente per le riflessioni che seguono. Nella trattazione di
122
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
problematica e per la sua presenza nei pi diversi settori culturali essa assume ora il posto che nel
decennio scorso spettava alla teologia della liberazione; del resto si riallaccia in molteplici modi a
quest'ultima e tenta di presentarne un volto nuovo e attuale. Le sue varianti sono molto diverse, per cui
impossibile ridurla ad una formula unica e delinearne brevemente i tratti essenziali. Da un lato essa
un prodotto tipico del mondo occidentale e delle sue forme di pensiero filosofico, ma dall'altro si pone
in contatto con le intuizioni filosofiche e religiose dell'Asia, soprattutto con quelle del subcontinente
indiano, ed proprio anzi il collegamento tra questi due mondi ci che determina la sua particolare
forza d'impatto sul momento storico che stiamo vivendo.
3. // relativismo in teologia: l'abolizione della cristologia
Questa situazione pu essere colta con particolare evidenza nelle affermazioni di uno dei fondatori ed
esponenti principali di tale teologia, il presbiteriano americano J. Hick, che prende le mosse
filosoficamente dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno: non siamo in grado di raggiungere
la realt ultima in se stessa, ma sempre solo di vederla nel suo apparire attraverso varie "lenti" nel
nostro modo di percepire. Tutto quello che percepiamo non la realt vera e propria, come in se
stessa,
questi problemi, nella seconda parte della sua opera, Menke offre molti elementi rilevanti e degni di
considerazione, ma purtroppo, a una visione complessiva, rimane insoddisfacente. Un interessante
tentativo sistematico di affrontare le questioni delle religioni in una prospettiva cristologica quello di
B. STUBENRAUCH, Dialogisdus Dogma. Der christliche Auftrag zur intemligiosen Begegnung (QD
158), Freiburg i. Br. 1995. Del problema della teologia pluralista delle religioni si occupa anche un do-
cumento della Commissione Teologica Internazionale pubblicato nel 1996.
123
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
ma solo il riflesso nel nostro sistema di misura. Questo approccio, che Hick in un primo tempo aveva
tentato di formulare ancora in un contesto cristocentrico, dopo un soggiorno in India, durato un anno,
con una rivoluzione copernicana del suo pensiero (come egli stesso afferma) stato da lui trasformato
in una nuova forma di teocentrismo. L'identificazione di una singola figura storica, Ges di Nazaret
con il reale stesso, ossia con il Dio vivente, viene respinta ora come una ricaduta nel mito; Ges viene
di proposito relativizzato come uno dei tanti geni religiosi. Ci che assoluto, oppure Colui che
l'assoluto, non pu darsi nella storia, dove si hanno solo modelli, figure ideali che ci rinviano al
totalmente Altro, il quale non si pu appunto afferrare come tale nella storia. E chiaro che con questa
tesi anche la Chiesa, il dogma, i sacramenti non possono pi avere il valore di necessit assoluta.
Attribuire a questi mezzi finiti un carattere assoluto, considerarli anzi come incontri reali con la verit,
valida per tutti, del Dio che si rivela, significherebbe assolutizza-re ci che proprio, particolare e
travisare perci l'infinit del Dio totalmente altro.
Sulla base di questa concezione, che ha assunto oggi una posizione rilevante, molto al di l delle teorie
di Hick, il ritenere che vi sia realmente una verit, una verit vincolante e valida nella storia stessa,
nella figura di Ges Cristo e della fede della Chiesa, viene qualificato come fondamentalismo, che si
presenta come un autentico attentato contro lo spirito moderno e come minaccia multiforme contro il
suo bene supremo, la tolleranza e la libert. Anche il concetto di dialogo, che nella tradizione platonica
e cristiana aveva acquisito senz'altro una funzione significativa, ha assunto ora un senso ampiamente
di-
124
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
verso. Diventa addirittura la sintesi del Credo relativista e il concetto opposto rispetto alla
"conversione" e alla missione: in una concezione relativista, dialogo significa porre su uno stesso piano
la propria posizione ovvero la propria fede e le convinzioni degli altri, e in linea di principio non
ritenerla pi vera della posizione dell'altro. Solo se suppongo per principio che l'altro abbia tanto
ragione quanto me, o anche di pi, sono realmente all'altezza del dialogo. Il dialogo dovrebbe essere
uno scambio tra posizioni per principio paritetiche e perci relative tra loro, con lo scopo di
raggiungere il massimo di cooperazione e di integrazione tra le varie forme religiose2. Il dissolvimento
relativista della cristologia e pi che mai dell'ecclesiologia diventa perci un precetto fondamentale
della religione. Per tornare a Hick: la fede nella divinit di uno solo, cos egli dice, condurrebbe al
fanatismo e al particolari-smo, alla dissociazione tra fede e amore; ma questo appunto ci che si deve
evitare3.
4. // richiamo alle religioni asiatiche
Nel pensiero di J. Hick, che qui consideriamo in particolare come l'esponente di maggior spicco del
relativismo religioso, la filosofa postmetafsica dell'Europa si collega singolarmente alla teologia
negativa dell'Asia, per la quale il divino, in se stesso e svelatamente, non pu mai entrare nel mondo
dell'apparenza, nel quale viviamo: si mostra
Cfr. in proposito l'editoriale assai istruttivo della Civilt Cattolica, quaderno 1, 1996, pp. 107-120: //
cristianesimo e le altre religioni. In esso ci si confronta particolarmente con J. Hick, P. Knitter e R.
Panikkar.
Cfr. per es. J. HICK, An Interpretation of Religion. Human Responses to Transcen-dent, London 1989;
K. H. MENKE, op. di, p. 90.
125
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
solo in riflessi relativi e resta al di l di tutte le parole e al di l di ogni pensiero, nella sua trascendenza
assoluta4. Queste due filosofe, in s, sono radicalmente diverse nei loro presupposti fondamentali e per
la direzione che propongono all'esistenza umana. Ma nel loro relativismo metafsico e religioso esse
sembrano confermarsi a vicenda. Il relativismo religioso e pragmatico dell'Europa e dell'America pu
mutuare dall'India una specie di consacrazione religiosa, che sembra conferire alla sua rinunzia al
dogma la dignit di un timore reverenziale pi nobile di fronte al mistero di Dio e dell'uomo. Viceversa
l'appellarsi del pensiero europeo ed americano alla visione flosofca e teologica dell'India si ripercuote
rafforzando la relativizzazione di tutte le figure religiose, caratteristica per la cultura indiana. Sembra
perci ora imperativo anche per la teologia cristiana in India privare la figura di Cristo, considerata
occidentale, del suo carattere di unicit e collocarla quindi sullo stesso piano dei miti indiani di
salvezza: il Ges storico (cos si pensa ora) non il Logos in assoluto, come non lo qualsiasi altra
figura di salvatore o redentore che appartenga alla storia . Il fatto che il relativismo si raccomandi,
all'insegna dell'incontro delle culture, come la vera filosofa dell'umanit, gli conferisce (come gi
abbiamo accennato) in Oriente e in Occidente a vista d'occhio una forza di penetrazione che in pratica
non sembra consentire pi una resistenza. Chi vi si contrappone non prende
4
Cfr. E. FRAUWALLNER, Geschichte der indischen Philosophie, 'i. voli., Salzburg 1953 e 1956; H.
VON GLASENAPP, Die Philosophie der Inder, Stuttgart 19854; S. N. DASGUPTA, History of hdian
Philosophy, 5 voli., Cambridge 1922-1955; K. B. RAMAKRISHNA RAD, Ontology of Advaita with
special referente to Maya, Mulki 1964.
Si muove chiaramente in questa direzione F. WlLFRED, Beyond settled founda-tions. The Journey of
Indian Theology, Madras 1993; ID., Some tentatine reflections on th language of Christian
uniqueness: An Indian Perspective, in Pont. Cons. Pro Dialogo inter Religiones, Pro Dialogo.
Bulletin 85-86 (1994/1), pp. 40-57.
126

Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA


solo posizione contro la democrazia e la tolleranza, che sono i precetti fondamentali della convivenza
umana, ma si irrigidisce anche ostinatamente sulla preminenza della propria cultura, quella occidentale,
e rifiuta l'incontro tra le culture, che oggi manifestamente l'imperativo pi urgente. Chi vuoi rimanere
nella fede della Bibbia e della Chiesa si trova relegato anzitutto in una terra di nessuno, e deve trovare
nuovamente l'orientamento solo nella "stoltezza di Dio" (ICor 1,18), per potervi riconoscere la vera
sapienza.
5. Ortodossia e ortoprassi
Per ricercare a tastoni questa sapienza, che si trova nella stoltezza della fede, pu essere d'aiuto tentare
di accertare, almeno per sommi capi, a che cosa serva la teoria relativista della religione, sostenuta da
Hick, e quali strade essa indichi all'uomo. In ultima analisi, per Hick la religione significa che l'uomo
passa dalla self-centredness, che caratterizza l'esistenza del vecchio Adamo, alla reality-cen-tredness,
che contraddistingue l'esistenza dell'uomo nuovo, e quindi si proietta al di fuori del proprio Io verso il
Tu del prossimo6. Questo bello a parole, ma, a ben guardare, quanto al contenuto insignificante e
vuoto, come gi l'appello di R. Bultmann all'autenticit, che egli aveva tratto da M. Heidegger. Per
questo non c' bisogno della religione. P. Knitter, ex-sacerdote cattolico, avvertendo chiaramente questa
difficolt, ha cercato di superare il vuoto di una teoria della religione, che si riduce in sostanza all'im-
perativo categorico, con una nuova e pi concreta sintesi
6
J. HICK, va and th God of Lave, Norfolk 19754, pp. 240s.; ID., An Interpreta-tion of Religioni, pp.
236-240; cfr: K. H. MENKE, op. cit., pp. 81s.
127
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
tra Asia ed Europa, pi ricca nel suo contenuto7. La sua proposta quella di conferire una nuova
concretezza alla religione collegando la teologia pluralista della religione con le teologie della
liberazione. In tal modo il dialogo in-terreligioso viene semplificato radicalmente e nello stesso tempo
viene reso efficace sul piano pratico in quanto resta fondato su di un'unica premessa: il primato
dell'ortopras-si sull'ortodossia8. Questa preminenza accordata alla prassi rispetto alla conoscenza
anch'essa un'eredit marxista bell'e buona, ma il marxismo da parte sua concretizza soltanto quanto si
presenta come una conseguenza logica, una volta che si sia rinunciato alla metafisica: se la conoscenza
diventa impossibile, rimane ormai solo l'agire. Per Knitter, l'assoluto non lo si pu concepire, ma
certamente fare. La questione per : vera questa affermazione? Da dove mi pu venir suggerito il
retto agire, se non so che cosa giusto? Il fallimento dei regimi comunisti dovuto proprio al fatto che
si cambiato il mondo senza sapere ci che buono per il mondo e ci che non lo , senza sapere in
quale direzione esso deve essere mutato, per diventare migliore: la semplice prassi non una luce.
A questo punto si deve per necessit chiarire criticamente il concetto di ortoprassi. La storia delle
religioni meno recente aveva stabilito che le religioni dell'India non conoscono in genere un'ortodossia,
ma solo un'orto-
7
L'opera principale di P. KNITTER: No Other Nume! A Criticai Survey of Christian Attitudes towards
th World Religioni, New York 1985, stata tradotta in molte lingue. Cfr. in proposito K. H. MENKE,
op. cit., pp. 94-110. A. Kolping ne presenta un'accurata valutazione critica nella sua recensione in:
Theologische Revue 87 (1991), pp. 234-240.
Cfr. K. H. MENKE, op. cl, p. 95.
128
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
prassi; di qui probabilmente questo concetto passato alla teologia moderna. Ma in riferimento alle
religioni dell'India esso aveva un senso ben preciso: si voleva dire per suo tramite che queste religioni
non conoscono una dottrina della fede che sia fondamentalmente vincolante e che l'aderirvi non
condizionato dall'accettazione di un Credo determinato. Queste religioni conoscono per senza dubbio
un sistema di pratiche rituali, che viene considerato necessario per la salvezza e distingue i "fedeli"
dagli infedeli. Esso non caratterizzato da particolari contenuti dottrinali, ma all'adesione scrupolosa
ad un rituale che interessa tutta quanta la vita. Ci che l'ortoprassi significa, ci che dunque un "retto
agire", viene definito in modo molto preciso: si tratta di un codice di riti. Del resto il termine ortodossia
nella Chiesa primitiva e nelle Chiese orientali aveva pi o meno lo stesso significato. In questa parola
infatti l'elemento - dossia si riferisce a dxa, che non veniva certo inteso nel senso di "opinione" (la
giusta opinione): per i Greci le opinioni sono sempre relative. Dxa era inteso invece nel senso di
"gloria", "glorificazione". Essere ortodosso significa perci conoscere e praticare il modo esatto in cui
Dio deve essere glorificato. Si riferisce al culto e dal culto viene proiettato nella vita. In questo senso si
getterebbe certo un ponte solido per un dialogo fruttuoso tra l'Oriente e l'Occidente.
Ma torniamo all'adozione del termine ortoprassi nella teologia moderna. Qui nessuno ha pi pensato al
fatto di seguire un rituale. La parola ha assunto dunque un significato del tutto nuovo, che non ha nulla
a che fare con le concezioni autentiche dell'India. Resta per una cosa: se l'esigenza di un'ortoprassi
deve avere un suo significato e
129
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
non deve servire solo a mascherare l'assenza di un vincolo, vi deve essere allora anche un'ortoprassi
comune, riconoscibile da tutti, che vada al di l del discorso generico circa l'incentrarsi sull'Io e il
mettersi in relazione con un Tu. Se si esclude il significato rituale, come lo si intendeva in Asia, il
termine "prassi" pu essere adottato in senso etico o politico. L'ortoprassi richiederebbe, nel primo
caso, un'etica chiaramente definita nel suo contenuto. Questo per viene espressamente escluso nella
discussione sull'etica di impronta relativista: non esisterebbe ci che bene in s e ci che male in s.
Se si intende ortoprassi in senso politico-sociale, sorge analogamente il problema di ci che debba
essere un retto agire politico. Le teologie della liberazione, le quali erano convinte che il marxismo ci
dicesse chiaramente qual era la retta prassi politica, potevano usare il termine ortoprassi in modo
sensato. In quest'ambito non si riscontrava l'assenza di un vincolo, ma una forma di prassi giusta,
fissata per tutti, ossia una vera ortoprassi che si estendeva a tutta la societ e ne escludeva coloro che
rifiutavano il retto agire. In questo senso, le teologie della liberazione di ispirazione marxista erano a
loro modo logiche e coerenti. Come si pu constatare, questa ortoprassi si fonda certamente su una
qualche ortodossia (in senso moderno), ossia su una struttura di teorie vincolanti che definiscono la via
che conduce alla libert. Knitter resta vicino a questo assunto, quando afferma che il criterio che
permette di distinguere Torto-prassi dalla pseudoprassi la libert 9. Ma egli deve ancora spiegarci in
maniera persuasiva e pratica che cosa sia la libert e che cosa porti alla reale liberazione dell'uomo:
9
Cfr. K. H. menke, op. tit., p. 109.
130
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
certo non l'ortoprassi marxista, come abbiamo constatato. Una cosa per chiara: le teorie relativista
sfociano senza eccezioni nella mancanza di un vincolo, si rendono perci superflue, oppure
stabiliscono criteri assoluti che ora si trovano nella prassi ed erigono degli assolutismi proprio l dove
in realt non possono avere alcun posto. certo comunque che oggi anche in Asia vengono divulgate
palesemente delle idee fondate su una teologia della liberazione, le quali sono presentate come forme di
cristianesimo che si ritengono pi aderenti allo spirito dell'Asia e traspongono sul piano politico gli
elementi essenziali dell'agire religioso. Dove il mistero non conta pi, la politica che diventa per
necessit religione. Ma proprio questo profondamente contrario alla concezione della religione
originaria dell'Asia.
6. // New Age
II relativismo di Hick, Knitter e teologie analoghe si fonda in ultima analisi su un razionalismo il quale,
alla maniera di Kant, ritiene che la ragione non possa conoscere ci che metafisico10; la rifondazione
della religione segue una strada pragmatica, che assume una tonalit pi etica o pi politica. Vi per
anche una reazione espressamente antirazionalista all'esperienza che "tutto relativo", e che si
riassume nell'etichetta polivalente del New Age11. Qui la via di uscita dal dilemma della relativi-
Knitter e Hick, nel rifiutare l'assoluto nella storia, si richiamano a Kant; cfr. K. H. MENKE, op. cit., pp.
78 e 108.
Il concetto di New Age, o era dell'Acquario, stato coniato verso la met del nostro secolo [1900, n.d.t]
da Raul Le Cour (1937) e Alice Bailey (la quale afferm di aver ricevuto nel 1945 dei messaggi relativi
ad un nuovo ordine universale e una
131
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
t non viene individuata in un nuovo incontro di un Io con un Tu o con il Noi, ma nel superamento del
soggetto, nel ritorno estatico entro il processo circolare cosmico. Come gi la gnosi antica, questa via
ritiene di essere in sintonia plenaria con tutto quanto la scienza insegna e pretende inoltre di valorizzare
le conoscenze scientifiche di ogni genere (biologia, psicologia, sociologia, fsica). Nello stesso tempo
per, partendo da queste premesse, intende offrire un modello del tutto antirazionalista di religione, una
moderna "mistica": l'assoluto non lo si pu credere, ma sperimentare. Dio non una persona che sta di
fronte al mondo, ma l'energia spirituale che pervade, dominandolo, il Tutto. Religione significa la
vibrazione del mio Io inserito nella totalit cosmica, il superamento di ogni divisione. K. H. Menke
descrive molto precisamente la svolta spirituale che ne deriva, quando afferma: II soggetto, che
pretendeva sottomettere a s ogni cosa, vuole ora togliersi e risolversi nel "Tutto" 12. La ragione
oggettivante -- cos ci avverte il New Age - ci sbarra la via che conduce al mistero della realt; l'essere
Io ci esclude dalla pienezza della realt cosmica, sconvolge l'armonia del Tutto ed la causa autentica
per cui non siamo redenti. La redenzione consiste nello svincolamento dell'Io, nell'immersione nella
pienezza della vita, nel ri-
nuova religione universale). Tra il 1960 e il 1970 anche sorto in California l'istituto Esalen. Oggi
l'esponente pi famosa del New Age Marilyn Ferguson. M. FUSS (New Age: Supermarkt alternativer
Spiritualitt, in Communio 20, 1991, pp. 148-157) vede nel New Age una combinazione di elementi
giudeo-cristiani con il processo di secolarizzazione, in cui confluiscono anche correnti gnostiche ed
elementi delle religioni orientali. Un utile orientamento su questa tematica si trova nella lettera pasto-
rale del card. G. DANNEELS, tradotta in diverse lingue, Le Christ ou le Verseau (1990). Cfr. anche K.
H. MENKE, op. cit., pp. 31-36; J. Le Bar (a cura di), Cults, Sects and th New Age, Huntington,
Indiana, s.d.
K. H. menke, op. cit., p. 33.
132
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
torno in patria entro il Tutto. Si cerca l'estasi, l'ebbrezza dell'infinito, che si pu sperimentare nel suono
della musica, nel ritmo, nella folle danza della luce e dell'oscurit, nella massa umana. Cos facendo,
non solo si capovolge la strada dell'epoca moderna volta al dominio assoluto del soggetto; al contrario
l'uomo stesso, per essere redento, deve lasciarsi riassorbire. Ritornano gli di. Essi sono divenuti pi
credibili di Dio. Bisogna rinnovare i riti primordiali, con i quali l'Io viene iniziato ai misteri del Tutto e
viene liberato da se stesso.
Questo rinnovarsi delle religioni e dei culti precristiani, che oggi viene ricercato in molte maniere,
trova diverse spiegazioni. Se non vi una verit comune che abbia valore proprio perch vera, il
cristianesimo diventa solo un prodotto importato dall'esterno, un imperialismo spirituale, che bisogna
scuotersi di dosso al pari di quello politico. Se non si realizza un incontro con l'unico Dio vivente di
tutti gli uomini nei sacramenti, essi diventano dei riti privi di contenuto, che non ci dicono e non ci
danno nulla, o tutt'al pi ci fanno percepire il numinoso che domina in tutte le religioni. pi sensato
allora cercare ci che ci appartiene originariamente, piuttosto che lasciarci imporre quanto estraneo e
antiquato. Ma soprattutto, se la "sobria ebbrezza" del mistero cristiano non ci pu rendere ebbri di Dio,
bisogna allora evocare l'ebbrezza reale delle estasi efficaci, la cui passione ci eccita e ci rende di
almeno per un attimo, ci fa sentire per un momento il gusto dell'infinito e ci fa dimenticare la miseria
del finito. Quanto pi si rende manifesta l'inutilit degli assolutismi politici, tanto pi potente diventa
133
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
l'attrattiva dell'irrazionalit, la rinuncia alla realt del quotidiano13.
7. // pragmatismo nella vita quotidiana della Chiesa
Oltre a queste soluzioni radicali e al grande pragmatismo delle teologie della liberazione, vi anche
per il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale in apparenza ogni cosa procede
normalmente, ma in realt la fede si logora e sprofonda nella meschinit. Penso qui a due fenomeni, ai
quali guardo con preoccupazione. Il primo riguarda il tentativo, che si manifesta a diversi livelli di
intensit, di estendere il principio della maggioranza alla fede e ai costumi e quindi di "democratizzare"
decisamente la Chiesa. Ci che non appare chiaro alla maggioranza non pu essere vincolante, cos
sembra. Ma di quale maggioranza si tratta, propriamente? Domani sar diversa da oggi? Una fede che
siamo in grado di stabilire noi stessi non una vera fede. E nessuna minoranza pu lasciarsi imporre
una fede da una maggioranza. La fede e la sua pratica ci provengono dal Signore attraverso la Chiesa e
la sua amministrazione dei sacramenti, altrimenti esse non esistono. Molti rinunciano a credere perch
sembra loro che la fede possa essere definita da qualche istanza burocratica, che sia cio una specie di
programma di partito; chi ne ha il potere, pu definire ci che bisogna credere, e quindi tutto dipende
dal fatto di
Bisogna rilevare a questo proposito che si vanno configurando sempre pi chiaramente due diverse
correnti del New Age. una gnostico-religiosa, che ricerca l'Essere trascendente e transpersonale e in
esso l'Io autentico, e una ecologico-moni-sta, che adora la materia e la Madre Terra e nell'eco-
femminsmo si collega al fem-
minismo.
134
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
giungere al potere nella Chiesa stessa oppure - cosa pi logica e pi plausibile - di non credere affatto.
L'altro punto, su cui volevo richiamare l'attenzione, riguarda la liturgia. Le varie fasi della riforma
liturgica hanno fatto sorgere l'idea che la liturgia possa venir mutata a piacere. Se c' qualcosa in essa
che non si pu cambiare, questo riguarderebbe tutt'al pi le parole della consacrazione, mentre tutto il
resto lo si potrebbe fare anche diversamente. Ne deriva subito la conseguenza logica: se questo lo pu
fare un'autorit centrale, perch non anche le istituzioni locali? E se le istituzioni locali, perch allora
non anche la stessa comunit? Essa dovrebbe pur potersi esprimere e ritrovare se stessa nella liturgia.
Dopo le tendenze razionaliste e puritane degli anni Settanta e anche degli anni Ottanta, ci si stancati
oggi delle pure liturgie dei discorsi e si desidera una liturgia dell'esperienza, che si avvicina molto agli
orientamenti del New Age: si ricerca l'atteggiamento inebriato ed estatico, non la logik latreia, la
rationabilis oblatio (la liturgia secondo ragione, conforme al logos), di cui parla Paolo e con lui la
liturgia romana (Rm 12,1).
Certo lo ammetto, esagero un po'; quello che voglio sottolineare non si riferisce alla situazione normale
delle nostre comunit. Ma queste tendenze ci sono. Si richiede perci una vigilanza, perch sottomano
non sia sostituito un vangelo diverso da quello che il Signore ci ha donato, pietre invece di pane.
135
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
8. Compiti della teologia
Ci troviamo dunque, in sostanza, di fronte ad una strana situazione: la teologia della liberazione aveva
tentato di dare al cristianesimo, stanco di dogmi, una nuova prassi attraverso la quale la redenzione
doveva farsi ancora una volta evento. Ma questa prassi ha lasciato dietro di s delle rovine, invece di
instaurare la libert. rimasto quindi il relativismo e il tentativo di adattarsi a esso. Ma quello che ne
derivato ancora una volta cos vuoto, che le teorie relativiste cercano aiuto presso la teologia della
liberazione, per poter trovare attraverso di essa uno sbocco nella prassi. Il New Age giunge a dire:
abbandoniamo l'esperimento del cristianesimo, che fallito, e torniamo invece agli di, perch l si vive
meglio. Ma allora sorgono diversi problemi. Accenniamo solo a quello pi pratico: come mai la
teologia classica si mostrata cos impreparata di fronte a questi eventi? Dove si trovano i punti deboli
che l'hanno resa cos inattendibile, non degna di fede?
Desidero solo rilevare due punti, che emergono dalle posizioni di Hick e Knitter. Questi ultimi si
appellano all'esegesi per giustificare la loro revoca della fede in Cristo: l'esegesi avrebbe provato che
Ges non ha ritenuto di essere il Figlio di Dio, il Dio incarnato, ma che solo in seguito i suoi seguaci
gradualmente lo avrebbero reso tale14. Ambedue - anche se Hick in modo pi chiaro rispetto a Knitter -
si richiamano inoltre all'evidenza filosofica. Hick ci assicura che Kant avrebbe dimostrato
inconfutabilmente che l'assoluto, o Colui che l'assoluto, non pu essere co-
Le prove sono esposte in K. H. MENKE, op. cit., pp. 90 e 97.
136
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
nosciuto nella storia e come tale non pu trovarsi in essa15. In base alla struttura della nostra
conoscenza - secondo Kant -, non pu essere possibile quello che afferma la fede cristiana: i miracoli, i
misteri e i mezzi della grazia sono una fede illusoria, cos spiega Kant nella sua opera La religione
entro i limiti della semplice ragione16. Penso che il problema dell'esegesi e quello dei limiti e delle pos-
sibilit della nostra ragione, ossia delle premesse filosofi-che della fede, costituiscano effettivamente il
vero punto critico dell'odierna teologia, per il quale la fede - e in misura crescente anche la fede dei
semplici - entra in crisi.
Vorrei solo tentare qui di delineare il compito che ne deriva per noi. Anzitutto, per quanto riguarda
l'esegesi, bisognerebbe dire in primo luogo che Hick e Knitter non possono certo appellarsi all'esegesi
in genere, come se tutto ci fosse un risultato indiscutibile e riconosciuto da tutti gli esegeti. Ci non
possibile nell'ambito della ricerca storica, che non conosce questo tipo di certezza. Ed an-cor meno
possibile quando si tratta di un problema che non puramente storico o letterario, ma implica decisioni
su valori, le quali vanno al di l di una semplice registrazione del passato e di una pura interpretazione
di un testo. E esatto per che, se si guarda all'esegesi moderna globalmente, si pu ricavarne
un'impressione che corrisponde a quella di Hick e Knitter.
Cfr. nota 10.
B 302. M. KRIELE, Anthroposophie una Kirche, Erfahrungen eines Grenzgngen, Freiburg i. Br.
1996, delinea con molta chiarezza per esperienza propria il clima spirituale che s' sviluppato da questa
filosofa e che finora rimasto in larga misura caratterizzante; cfr. specialmente pp. 18ss..
137
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Quale grado di certezza vi si pu attribuire? Pur supponendo che la maggioranza degli esegeti pensi
cos (il che per resta da provare), rimane il problema di vedere su che cosa si fondi una tale opinione
della maggioranza. La mia tesi la seguente: se molti esegeti pensano come Hick e Knitter e
ricostruiscono la storia di Ges in modo simile, ci dovuto al fatto che condividono la loro filosofia.
Non l'esegesi che prova la filosofa, ma la filosofa che produce l'esegesi17. Se so a priori (come
Kant) che Ges non pu essere Dio, che i miracoli, i misteri e i mezzi della grazia sono tre forme di
fede illusoria, allora non posso neppure ricavare dai testi sacri come un dato di fatto quello che tale non
pu essere. Posso solo cercare di vedere come si sia giunti a simili affermazioni, come esse si siano
formate gradualmente.
Ma vediamo le cose un po' pi da vicino. Il metodo storico-critico uno strumento eccellente per
leggere fon-
Questo si pu constatare molto chiaramente nell'incontro fra A. Schlatter e A. von Harnack alla fine del
secolo scorso, come descritto accuratamente in base alle fonti in W. NEUER, Adolf Schlatter. Ein
Leben fur Theologie und Kirche, Stuttgart 1996, pp. SOlss.. Schlatter cos scrive al riguardo in una
lettera: Abbiamo definito la differenza religiosa; egli riteneva che la parola del profeta: "Ah, se tu
squarciassi il ciclo!" (Is 64,1} fosse appunto inadempiuta; noi saremmo [a suo parere] circoscritti al
piano psicologico, al credere... (p. 306). Quando Harnack nella cerchia dei colleghi dichiara: Dal
collega Schlatter mi distingue solo il problema del miracolo!, Schlatter in mezzo esclam: "No, il
problema di Dio!" Schlatter vedeva concretamente nella cristologia la differenza fondamentale. "Se ci
fosse mostrato Ges come Egli ..., o se il Nuovo Testamento scomparisse dietro la nostra 'scienza',
questo era il problema..." (p. 307). In cento anni non si cambiato nulla in rapporto a questo status
quaestionis. Cfr. anche in M. KRIELE, op. cit., il capitolo su Perdita della fede attraverso la teologia.
Ho cercato di esporre la mia opinione su questo problema nella Quaestio disputata da me curata:
Schriftauslegung im Widerstreit, Freiburg i. Br. 1989, pp. 15-44. Cfr. anche l'opera collettiva: I. DE LA
POTTERIE, R. GUARDIMI, J. RATZINGER, G. COLOMBO, E. BIANCHI, L'esegesi cristiana oggi,
Casale Monferrato 1991.
138
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
ti storiche ed interpretare testi. Ma esso racchiude anche una sua filosofa, alla quale in genere quasi
non si da peso, per esempio quando si tratta di conoscere la storia degli imperatori medievali. Con esso
infatti voglio conoscere il passato, e nulla pi. Anche in questo caso per non si pu prescindere dai
valori, e perci pure in questo senso il metodo ha i suoi limiti. Se si prende in considerazione la Bibbia,
subentrano inoltre due altri fattori. Il metodo intende conoscere il passato come passato. Vuole afferrare
il pi possibile ci che avvenuto allora, nella propria realt di quel tempo, nel punto preciso in cui
accaduto. E ci presuppone che la storia in linea di principio sia uniforme: l'uomo in tutta la sua
variet, il mondo in tutte le sue differenziazioni, definito dalle medesime leggi e dai medesimi limiti,
per cui io sono in grado di escludere ci che impossibile. Quello che oggi non pu accadere in nessun
modo, non poteva accadere neppure ieri e non potr accadere domani.
Se questo si applica alla Bibbia, viene a dire che un testo, un evento, una persona restano fissati
rigidamente nel loro passato. Si vuole ricavare ci che l'autore di allora ha detto allora o pu aver detto
o pensato a quel tempo. Tutto dipende dalla "storicit", da ci che definito dalP"aHora". Perci
l'esegesi storico-critica non mi trasmette la Bibbia nell'oggi, nella mia vita attuale. Questo resta escluso.
Al contrario, essa la allontana da me e me la mostra rigorosamente insediata nel passato. Questo il
punto su cui Drewermann ha giustamente criticato l'esegesi storico-critica, in quanto ritiene di essere
autosuf-fciente. Per sua natura essa non parla dell'oggi, di me, ma di ci che era ieri, di un'altra cosa.
Perci essa non
139
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
pu mai mostrarmi il Cristo di oggi, di domani e dell'eternit, ma soltanto, se vuole restare fedele a se
stessa, il Cristo di ieri.
Vi poi il secondo presupposto, l'omogeneit del mondo e della storia, quello cio che Bultmann
chiama la moderna visione del mondo. M. Waldstein con un'accurata analisi ha mostrato che la teoria
della conoscenza di Bultmann influenzata completamente dal neokantismo di Marburgo18. Di qui egli
ha tratto l'idea di quel che pu esistere o non esistere. Altri esegeti possono avere una coscienza
flosofca meno caratterizzata, ma i presupposti che derivano dalla teoria kantiana della conoscenza si
fanno sentire ugualmente, anche se solo nel sottofondo, come approccio ermeneutico ovvio che guida il
cammino della critica. Stando cos le cose, l'autorit ecclesiastica non pu semplicemente imporre
dall'esterno che si debba giungere a una cristologia della figliolanza divina. Essa tuttavia certo pu e
deve esortare a esaminare criticamente la filosofa che soggiace al metodo che si adotta. Infine, nella
rivelazione divina si tratta proprio dell'irrompere di Lui, il Vivente e il Vero, in questo mondo e cos del
suo aprire il carcere delle nostre teorie, con le cui sbarre tentiamo di difenderci contro questa venuta di
Dio nella nostra vita. Per fortuna, nonostante la crisi della filosofa e della teologia, che stiamo
vivendo, si venuta affermando oggi nell'esegesi una nuova riflessione sui princpi fondamentali,
elaboratasi non da ultimo grazie ai dati emersi da una spiegazione storicamente ac-
M. WALDSTEIN, The foundations of Bultmann's work, in Communio am.
1987, pp. 115-145. 140
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
curata dei testi . Essi ci aiutano a liberarci dal carcere di presupposti filosofici, che paralizza l'esegesi:
la Parola ci si apre nuovamente in tutta la sua vastit.
Il problema dell'esegesi, come abbiamo visto, coincide ampiamente con il problema della filosofa. Le
gravi difficolt della filosofa, ossia quelle in cui si dibattuta la ragione orientata in senso positivista,
sono diventate le gravi difficolt della nostra fede. Quest'ultima non pu divenire libera, se la ragione
stessa non si apre nuovamente. Se rimane chiusa la porta della conoscenza metafsica, se restano
invalicabili i confini posti da Kant alla conoscenza umana, la fede destinata ad atrofizzarsi: le manca
il respiro. Certo, il tentativo di volersi tirare fuori dalla palude delle incertezze, per cos dire prendendo
se stessi per i capelli, attraverso una ragione rigorosamente autonoma, che non vuole sapere nulla in
fatto di fede, non pu avere successo. La ragione umana infatti non per nulla autonoma. Essa vive
sempre in particolari contesti storici. Essi le offuscano la vista (come possiamo constatare); perci essa
ha bisogno anche di venir soccorsa sul piano storico, per poter superare le barriere che le provengono
dalla storia20. Ritengo che il razionalismo
Cfr. per es. il volume collettivo, curato da C. E. Braaten e R. W. Jensson: Redaiming th Bible far th
Church, Cambridge (USA) 1995, e in particolare il contributo di B. S. CHILDS, On Redaiming th
Bible far Christian Theology, ivi, pp. 1-17.
L'aver trascurato questo e l'aver voluto cercare un fondamento razionale della fede che fosse
presumibilmente del tutto indipendente da essa (una posizione che non persuade per la sua pura
razionalit astratta) a mio avviso l'errore essenziale, sul piano flosofico, del tentativo compiuto da H.
J. VERWEYEN, Gottes letztes Wort, Dusseldorf 1991, di cui parla K. H. MENKE, op. cit., pp. 111-
176, anche se quello che egli dice contiene molti elementi importanti e validi. Ritengo invece pi
fondata storicamente e obiettivamente la posizione di J. PlEPER (si veda la nuova edizione dei suoi
libri: Schriften yim Philosophiebegriff, Hamburg 1995).
141
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
neoscolastico sia fallito nel suo tentativo di voler ricostruire i praeambula fdei con una ragione
rigorosamente indipendente dalla fede, con una certezza puramente razionale; tutti gli altri tentativi,
che vorrebbero fare lo stesso percorso, otterranno alla fine gli stessi risultati. Su questo punto aveva
ragione Karl Barth, nel rifiutare la filosofa come fondamento della fede indipendente da essa: la nostra
fede si fonderebbe allora, in fondo, su mutevoli teorie flosofche. Ma Barth sbagliava nel definire per
ci stesso la fede come un puro paradosso, che pu sussistere solo contro la ragione e in totale
indipendenza da essa. Una delle funzioni della fede, e non tra le pi irrilevanti, quella di offrire un
risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di
ricondurla appunto nuovamente a se stessa. Lo strumento storico della fede pu liberare nuovamente la
ragione come tale, in modo che quest'ultima -messa sulla strada della fede - possa vedere di nuovo da
se. Dobbiamo sforzarci di ottenere un simile rapporto nuovo tra fede e filosofa, perch esse hanno
bisogno l'u-na dell'altra. La ragione non si risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa
umana.
9. Prospettiva
Se si osserva l'attuale situazione nella "storia dello spirito", di cui ho cercato di presentare qualche
elemento illustrativo, deve addirittura apparire un miracolo che nonostante tutto si continui ancora a
credere cristianamente, non semplicemente nelle forme sostitutive di Hick, Knitter e altri, ma con la
fede piena e gioiosa del Nuovo Testamento, della Chiesa di tutti i tempi. Come mai la fede ha
142
Capitolo I - LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA
ancora in assoluto una sua possibilit di successo? Direi perch essa trova corrispondenza nella natura
dell'uomo. L'uomo infatti possiede una dimensione pi ampia di quanto Kant e le varie filosofe
postkantiane gli abbiano attribuito. Kant stesso con i suoi postulati lo ha anche dovuto ammettere in
qualche modo. Nell'uomo vi un'inestinguibile aspirazione nostalgica verso l'infinito. Nessuna delle
risposte che si sono cercate sufficiente; solo il Dio che si reso finito, per lacerare la nostra finitezza
e con-durla nell'ampiezza della sua infinit, in grado di venire incontro alle domande del nostro
essere. Perci anche oggi la fede cristiana torner a trovare l'uomo. Il nostro compito quello di servire
a lui con umile coraggio, con tutta la forza del nostro cuore.
143
CAPITOLO II VERIT DEL CRISTIANESIMO?
i
LA FEDE TRA RAGIONE E SENTIMENTO
1. L'attuale crisi della fede
Nelle sue conversazioni "intorno alla fsica atomica", Werner Heisenberg riferisce di un dialogo
svoltosi nel 1927 a Bruxelles con alcuni giovani fisici, al quale parteciparono, oltre ad Heisenberg
stesso, anche Wolfgang Pauli e Paul Dirac. Ci si trov a discutere del fatto che Einstein parlava spesso
di Dio e Max Planck sosteneva l'opinione che non ci sia alcuna contraddizione tra scienze della natura e
religione e, idea allora abbastanza sorprendente, che possono benissimo convivere. Heisenberg
interpret questa apertura dello scienziato verso la religione in base alle esperienze fatte nella casa
paterna. Secondo Heisenberg, a fondamento di tale apertura stava la concezione che scienze naturali e
religione sono due sfere totalmente diverse, che non sono in concorrenza reciproca: quel che conta
nelle scienze naturali l'alternativa tra vero e falso, nella religione l'alternativa tra bene e male, tra
valore e disvalore. Le due sfere si indirizzano l'una al lato oggetti-vo, l'altra a quello soggettivo del
mondo. Le scienze naturali sono, in certo senso, il modo con cui andiamo incontro al lato oggettivo
della realt [...]. La fede religiosa, viceversa, l'espressione di una decisione soggettiva, con
145

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda


la quale stabiliamo quali debbano essere i nostri valori di riferimento nella vita1. Questa decisione, a
suo avviso, conosce molti condizionamenti, nella storia e nella cultura, nell'educazione e nell'ambiente,
ma - Heisenberg si muove sempre secondo la visione del mondo dei suoi genitori e secondo quella di
Planck - in ultima analisi soggettiva e non quindi sottoposta al criterio del "giusto o errato". La
decisione di Planck per il mondo dei valori cristiani stata dunque soggettiva; in questo modo, i due
ambiti -lato oggettivo e soggettivo del mondo - rimangono per nettamente separati. A questo punto
Heisenberg aggiunge: Devo ammettere che non mi trovo a mio agio con questa separazione. Dubito
che, alla lunga, delle comunit umane possano convivere con questa netta scissione tra sapere e
credere2. A un certo punto interviene Wolfgang Pauli e rafforza il dubbio di Heisenberg, addirittura lo
eleva al grado di certezza: La separazione completa tra sapere e credere soltanto un espediente
d'emergenza per un tempo molto limitato. Per esempio, nell'ambito culturale occidentale, potrebbe
venire in un futuro non troppo lontano il momento in cui le parabole e le immagini della religione qual
stata finora non possiederanno pi alcuna forza di persuasione neppure per la gente semplice; allora,
temo, anche l'etica finora vigente in breve tempo croller e accadranno cose di una atrocit che non ci
possiamo neppure immaginare3. Gli interlocutori del dialogo, all'epoca, nel 1927, non potevano sapere
che di l a poco sa-
1
W. HEISENBERG, Der Teil una das Gan&. Gesprche im Umkreis der Atomphysik, Miinchen 1969,
p. 117.
3
Ivi.
Ivi, p. 118; cfr. p. 295.
146
Capitolo II - verit del cristianesimo?
rebbero iniziati quei nefasti dodici anni, nei quali effettivamente avvennero cose "di una atrocit" che
prima doveva sembrare impossibile. Certo, ci fu un buon numero di cristiani, nomi noti e altri rimasti
anonimi, che, in forza della loro coscienza cristiana, si opposero al potere del demonio. Ma nel
complesso la forza della seduzione risult maggiore, il seguire l'andazzo diede via libera al male.
Nella ripresa del dopoguerra, era viva la fiducia che tale vicenda non potesse pi accadere. La legge
costituzionale allora approvata nella responsabilit davanti a Dio voleva essere espressione del
legame di diritto e politica con i grandi imperativi morali della fede biblica. Oggi, nella crisi morale
dell'umanit che assume forme nuove e inquietanti, la fiducia di allora svanisce. Il crollo di antiche
sicurezze religiose, che settant'anni addietro sembravano ancora reggere, nel frattempo diventato un
fatto compiuto. Pertanto diviene pi forte e generalizzato il timore che questo porti inevitabilmente a
un collasso del senso di umanit tout court. Ricordo soltanto i moniti di Joachim Fest, che impegnato
con la difficile dialettica tra libert e verit, tra ragione e fede: Nel momento in cui tutti i modelli
utopici [...] conducono a strade senza uscita, e contemporaneamente le certezze cristiane [...]
precipitano ormai prive di forza, ci si deve rassegnare al fatto che non vi siano pi risposte all'anelito
verso la trascendenza4. Per nessuno degli appelli, che in questa situazione sono diretti all'uomo, gli
sa dire come possa vivere senza aldil e senza timore del Giudizio finale, e tut-
J. FEST, Die schwierige Freiheit. Uber die offerte Flanke der offenen Geselhchaft, Ber-lin 1993, p. 75.
147
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
tavia, come possa, di volta in volta, lottare contro i suoi egoismi e le sue cupidigie . In questo contesto
Fest rammenta una parola di Spinoza, che conferma ancora una volta la insostenibile dialettica tra
soggettivo e oggettivo, tra rinuncia alla verit e voglia di valori, che avevamo incontrato prima nel
mondo borghese-postcristiano rappresentato da Planck: Visto che devo essere ateo, vorrei almeno
vivere come un santo.
Non voglio qui dilungarmi su come Heisenberg con i suoi amici, tanto nel colloquio del 1927 come in
un altro dialogo del 1952 dopo gli orrori nazionalsocialisti, cerchi di tracciare la via d'uscita da questa
schizofrenia dell'epoca moderna, come si sforzi, muovendo da un pensiero scientifico che s'interroga
sui propri fondamenti, di spingersi verso un centro ordinatore, che divenga bussola del nostro agire e in
certo senso appartenga sia all'ambito soggettivo sia a quello oggettivo6. Vorrei cercare di avanzare per
un'altra strada nella stessa direzione.
Cominciamo per, anzitutto, a riassumere e precisare quanto finora venuto in luce. L'Illuminismo
aveva come bandiera l'ideale della "religione nei limiti della pura ragione". Tuttavia questa religione
della pura ragione si disgreg rapidamente, ma soprattutto non aveva la forza di sostenere la vita. La
religione, che dovrebbe essere forza trainante per la totalit della vita, indubbiamente ha bisogno di una
certa ragionevolezza. La rovina delle antiche
5
Ivi, p. 79.
6
W. heisenberg, op. tit., pp. 288ss.
148
Capitolo II - verit del cristianesimo?
religioni cos come la crisi del cristianesimo nell'epoca moderna mostrano che quando la religione non
pi in consonanza con le certezze elementari di una visione del mondo, essa si dissolve. D'altra parte
per, la religione ha bisogno anche di un mandato superiore a quanto da essa stessa pensato, poich
solo cos possibile accettare la sfida incondizionata che essa impone all'uomo. Cos, dopo la fine
delPIlluminismo, sulla base della coscienza delPirrinunciabilit al "religioso", si cercato un nuovo
spazio per la religione, in cui essa doveva poter vivere al riparo dall'attacco delle conoscenze sempre
nuove della ragione, su di un astro, per cos dire, non pi raggiungibile e non minacciato da questa.
Pertanto alla religione era sta^o assegnato il "sentimento" come suo proprio ambito di esistenza nella
vita umana. Schleiermacher fu il grande teorico di questo nuovo concetto di religione: La prassi arte,
la speculazione scienza, la religione senso e gusto dell'infinito7, egli afferma. divenuta classica la
risposta di Faust alla domanda di Margherita sulla religione: II sentimento tutto. Il nome rumore e
fumo.... Ma la religione, per quanto necessaria sia la sua distinzione dal piano della scienza, non pu
essere confinata in un settore. Essa esiste proprio per reintegrare l'uomo nella sua totalit, per legare tra
loro sentimento, intelletto e volont, per fare mediazione e per dare una risposta alla provocazione del
tutto, alla provocazione del vivere e del morire, della comunit e deu""io", del presente e del futuro.
Non pu arrogarsi il diritto di risolvere problemi che hanno proprie leggi, ma deve rendere capaci di
decisioni ultime,
F. SCHLEIERMACHER, Uber die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verdchtern (Meiner,
Philosophische Bibliothek 225), Hamburg 1958, p. 30 (tr. it. Sulla Religione. Discorsi a quegli
intellettuali che la disprezzano, Brescia 1992, p. 74).
149
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
nelle quali sempre in gioco la totalit dell'uomo e del mondo. Proprio questo il nostro dramma, che
oggi suddividiamo il mondo in settori, in modo da poter disporre di esso teoricamente e praticamente in
una misura prima impensabile, e cos per gli ineludibili interrogativi sulla verit e sul valore, sulla vita
e sulla morte, si fanno sempre pi irrisolvibili.
La crisi attuale dipende proprio dal venir meno di una mediazione tra l'ambito soggettivo e quello
oggettivo, dal fatto che la ragione e il sentimento prendono direzioni divergenti, tanto da ammalarsi
entrambi. Infatti, se la ragione specializzata enormemente forte e capace, non consente per pi, a
causa della standardizzazione di un unico tipo di certezza e di razionalit, lo sguardo panoramico sui
problemi fondamentali dell'uomo. Ne segue un'ipertrofa dell'ambito del conoscere tecnico-pragmatico
a cui fa da contraltare una contrazione nell'ambito dei fondamenti: da qui deriva un turbamento
dell'equilibrio che pu divenire mortale per Vhumanum. D'altra parte la religione oggi non per nulla
congedata. Da molti punti di vista, si registra addirittura una congiuntura favorevole per il fatto reli-
gioso, che per si frammenta in particolarit, non di rado si distacca dai suoi grandi contesti spirituali e,
invece di incoraggiare l'uomo, gli promette pi potere e la soddisfazione di bisogni. Si cerca
l'irrazionale, il superstizioso, il magico; nel rapporto con potenze e forze occulte incombente la
minaccia di una ricaduta in forme anarchico-distruttive.
Si potrebbe essere tentati di dire che oggi non vi alcuna crisi della religione, ma una crisi del
cristianesimo. Io non lo direi. Infatti la mera diffusione di fenomeni reli-
150
Capitolo II - verit del cristianesimo?
giosi o di tipo religioso non ancora una fioritura della religione. Se le forme patologiche della
religiosit conoscono una congiuntura favorevole, questo conferma che la religione non va in rovina,
ma comunque mostra che in stato di seria crisi. E ingannevole anche l'apparenza che, al posto di un
cristianesimo appesantito, ora le religioni asiatiche o l'isiam siano in ascesa. Si sa che in Cina e in
Giappone le grandi religioni tradizionali non sono state in grado di sostenere la pressione delle
ideologie dell'epoca moderna, o lo hanno fatto insufficientemente. Ma pure la vitalit religiosa
dell'India non impedisce affatto che anche l finora non sia riuscita alcuna felice combinazione tra le
nuove domande e le antiche tradizioni. Rimane parimenti da chiedersi in quale misura la nuova
avanzata del mondo islamico sia alimentata da forze realmente religiose. In molti luoghi - lo vediamo -
anche per l'isiam incombe la minaccia di una patologica indipendenza del sentimento, che non fa che
rafforzare la minaccia delle atrocit di cui ci parlavano Pauli, Heisenberg e Fest.
Non c' altra strada: ragione e religione devono di nuovo tornare a incontrarsi, senza risolversi l'una
nell'altra. Non si tratta di tutelare gli interessi di antiche corporazioni religiose. Si tratta dell'uomo, del
mondo. Ed entrambi non si possono salvare se Dio non viene presentato in modo convincente. Nessuno
pu pretendere di sapere compiutamente attraverso quale via pu essere risolto questo dramma. Non
possibile, perch in una societ libera la verit, per affermarsi, non pu e non deve cercare altro mezzo
che la forza della convinzione, una convinzione, peraltro, che, nella molteplicit di impressioni e di esi-
genze che incalzano l'uomo, si forma solo faticosamente.
151
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Ma il tentativo di trovare la via va fatto, anche per creare di nuovo una plausibilit, attraverso
convergenze che si offrono, a favore di cose che spesso si trovano fuori dall'orizzonte dei nostri
interessi immediati.
2. // Dio di Abramo
Qui non vorrei riprendere il tentativo, compiuto da Heisenberg, di trovare, muovendo dalla logica
propria del pensiero scientifico, l'autotrascendimento della scienza e l'accesso al "centro ordinatore",
per quanto vantaggioso e indispensabile sia tale sforzo. In questa analisi il mio tentativo mira a mettere
in luce, per cos dire, l'intima razionalit del cristianesimo. Lo dovremo fare indagando su cosa abbia
conferito al cristianesimo, nel declino delle religioni del mondo antico, quella forza di persuasione me-
diante la quale esso, da un lato fu in grado di fermare la decadenza di quel mondo, e, al tempo stesso, di
trasmettere le sue risposte alle nuove forze in ascesa sulla scena della storia mondiale, ai Germani e
agli Slavi. Nonostante parecchie distorsioni e fratture si costitu cos una forma di comprensione della
realt capace di reggere per un millennio e mezzo, in cui il vecchio e il nuovo mondo poterono
fondersi.
Qui ci imbattiamo in una difficolt. La fede cristiana non un sistema. Non pu essere presentata come
un edificio teorico chiuso. E una via, e una via si riconosce solo imboccandola e percorrendola. Questo
vale in un duplice senso: il fatto cristiano non si dischiude a nessuno se non nell'esperienza
dell'accompagnarvisi; e nella sua totalit consente di essere colto soltanto come cam-
152
Capitolo II - verit del cristianesimo?
mino storico, di cui vorrei accennare a grandi tratti il percorso essenziale.
Il cammino ha inizio con Abramo.
Dato che ne do solo un abbozzo, ovviamente non posso n voglio entrare nel groviglio delle molteplici
ipotesi su ci che, negli antichi racconti, si possa considerare come opera storiografica o meno. Qui ci
interessa indagare soltanto come i testi che alla fine sono diventati trasmettitori di storia, vedano quel
cammino.
La prima cosa da dire che Abramo era un uomo che sapeva che un Dio gli aveva rivolto la parola, e
impost la sua vita a partire da questo colloquio. Si potrebbe fare un paragone con Socrate, al quale un
"daimnion" comunic un singolare genere di ispirazione, nulla di concreto, in realt, ma che gli sbarr
la strada quando egli volle dedicarsi esclusivamente alle sue idee o uniformarsi alla mentalit comune .
Che cosa possiamo dire circa questo Dio di Abramo? Egli non si presenta ancora con la pretesa
monoteistica d'essere l'unico Dio di tutti gli uomini e del mondo intero, ma ha comunque una
fisionomia molto specifica. Non il Dio di una determinata nazione, di un determinato paese; non il
Dio d'una determinata sfera, per esempio quella dell'aria o dell'acqua e via dicendo, che nel contesto
religioso di allora erano alcune delle forme pi importanti di manifestazione del divino. il Dio di una
persona, appunto di Abramo. Questa peculiarit di
II carattere negativo di questa "voce" viene per esempio messo chiaramente in rilievo in Apologi 31 d:
epcovri iiq yevou.vti [...] dei aTto-cpjiEi [...] TtpcxytpTOi 8 osjiote). Cfr. sulla struttura di
questa voce R. GUARDINI, Der Tod des Sokrates, Mainz - Paderborn 19875, pp. 87s. (tr. it. cit., pp.
97ss.).
153
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
non appartenere a un paese, a un popolo, a una sfera di vita, ma di essere legato a una persona, ha due
conseguenze degne di nota.
La prima conseguenza che questo Dio, per l'uomo che gli apparteneva, scelto da Lui, aveva potere
dappertutto. Il suo potere non legato a determinati limiti geografici o d'altro tipo, ma pu
accompagnare, difendere, condurre la persona dovunque Egli voglia e dovunque la persona si rechi.
Anche la promessa della terra non ne fa il Dio di una terra che poi sia esclusivamente sua. La promessa
mostra invece che Egli pu assegnare terre o paesi come vuole. Possiamo dunque dire: il Dio personale
opera translocalmente.
Vi si aggiunge, come seconda conseguenza, il suo operare anche transtemporalmente, anzi, il suo modo
di parlare e di agire essenzialmente il futuro. La sua dimensione appare essere - almeno in un primo
tempo - principalmente l'avvenire, poich nel presente Egli da veramente poco. Tutto l'essenziale dato
nella categoria della promessa, di ci che deve venire: la benedizione, la terra. Questo significa che
Egli palesemente pu disporre del futuro, del tempo. Per l'uomo in questione questo comporta un
atteggiamento del tutto particolare. Egli deve vivere sempre al di l della realt presente, vivere proteso
verso qualcosa d'altro, di pi grande. Il presente viene relativiz-zato.
Se infine - questa potrebbe essere una terza conseguenza - si definisce col concetto di "santit" la
particolare caratteristica dell'unico Dio, il suo essere diverso rispetto ad altri e ad altro, risulta chiaro
che questa sua santit, il suo essere se stesso, ha a che fare con la dignit dell'uomo,
154
Capitolo II - verit del cristianesimo?
con la sua integrit morale, come mostra la storia di Sodoma e Gomorra. In essa viene in luce da un
lato l'indulgenza, la bont di questo Dio, che per amore di alcuni buoni disposto a risparmiare anche i
malvagi, ma anche quel "no" all'attentato contro la dignit dell'uomo, da cui scaturisce appunto la
condanna delle due citt.
3. Crisi e sviluppo della fede di Israele nell'esilio
Nel successivo sviluppo, dalla federazione delle dodici trib alla conquista del paese, al sorgere della
monarchia, all'edificazione del Tempio, fino a una legislazione cultuale molto dettagliata, la religione di
Israele sembra diventare una religione del tipo di quelle del Vicino Oriente. Il Dio dei Padri, il Dio del
Sinai, divenuto ora il Dio di un popolo, di un paese, di un determinato sistema di vita.
Nel periodo dell'esilio si vede che questo non tutto, che qualcosa di particolare rimane e, nei vari alti
e bassi della vita religiosa in Israele, l'elemento proprio, altro della sua fede in Dio, si mantiene, anzi va
ulteriormente prendendo forma. Normalmente un Dio che perde la sua terra, abbandona il suo popolo
sconfitto e non in grado di tutelare il suo tempio un Dio detronizzato. Non ha pi nulla da dire.
Scompare dalla storia. Sorprendentemente, nel caso dell'esilio di Israele, avviene il contrario. La
grandezza di questo Dio, la sua alterit totale rispetto alle divinit delle diverse religioni spicca, la fede
di Israele acquista solo ora la sua grande statura. Questo Dio pu permettersi di rimettere la propria
terra ad altri, poich non legato ad alcuna terra. Pu lasciar sconfiggere il suo popolo, per risvegliarlo
proprio cos dai suoi falsi sogni religiosi. Non alle dipendenze di questo popolo, ma nella
155
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
disfatta tuttavia non lo abbandona. Non dipende neppure dal Tempio e dal culto che vi si celebra, come
si potrebbe pensare: gli uomini nutrono gli di, e gli di tengono in vita il mondo. No, Egli non ha
bisogno di questo culto, che in un certo senso celava la sua essenza. Cos, insieme con un'immagine pi
profonda di Dio, si sviluppa anche una nuova idea del culto. Probabilmente gi dall'epoca salomonica
si era compiuta l'equiparazione del Dio personale dei Padri col Dio dell'universo, col Creatore che tutte
le religioni conoscono ma che in genere escludono dalla venerazione in quanto non competente per le
loro richieste. Questa identificazione, compiutasi in linea di principio, sebbene verosimilmente fino
allora poco operante come coscienza, diventa ora la forza per sopravvivere. Israele non ha affatto un
Dio particolare, ma rende culto solo a quello che in assoluto l'unico Dio. Questo Dio ha parlato ad
Abramo e ha scelto Israele, ma in realt il Dio di tutti i popoli, il Dio universale, che guida tutta la
storia.
La purificazione dell'idea del culto appartiene a questo contesto. Dio non ha bisogno di alcun sacrifcio,
non deve essere mantenuto dagli uomini, perch tutto gli appartiene. Il vero sacrificio l'uomo che
diventa conforme a Dio. Trecento anni dopo l'esilio, nella crisi ugualmente seria della soppressione
ellenistica del culto del Tempio, il Libro di Daniele afferma: Ora non abbiamo pi n principe, n
capo, n profeta, n olocausto, n sacrifcio, n oblazione, n incenso, n luogo per presentarti le
primizie e trovar misericordia presso di te. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito
umiliato (Dn 3,38s.).
Contemporaneamente, mancando d'un presente che corrisponda alla potenza e alla bont di Dio, appare
di
156
Capitolo II - verit del cristianesimo?
nuovo con forza nella fede di Israele l'elemento del futuro, o meglio appare la relativizzazione del
presente, che pu essere padroneggiato e compreso in maniera giusta solo in un orizzonte pi vasto,
che trascenda l'istante, anzi, il mondo intero.
4. // cammino verso la religione universale dopo l'esilio
I cinquecento anni dopo l'esilio fino all'apparire di Cristo sono contrassegnati soprattutto da due nuovi
fattori.
Ve anzitutto il nascere della cosiddetta letteratura sa-pienziale e del movimento spirituale che ne sta alla
base. Accanto a "Legge" e "Profeti", dai cui libri lentamente cominci a costituirsi un canone della
Scrittura come criterio della religione di Israele, appare un terzo pilastro, appunto la "Sapienza" 9. Essa
subisce in primo luogo l'influsso delle tradizioni sapienziali dell'Egitto, ma poi lascia trasparire sempre
pi anche il contatto con lo spirito greco. In essa viene approfondita principalmente la fede in un solo
Dio, e si radicalizza la critica degli di, che si trovava gi presso i Profeti. Il monoteismo si chiarisce
ulteriormente e acquisisce forza razionale mediante il collegamento col tentativo di comprendere il
mondo in termini razionali. La saldatura, per cos dire, tra idea di Dio e interpretazione del mondo si
trova appunto nel concetto della Sapienza. La razionalit presente nella struttura del mondo concepita
come un riflesso della Sapienza creatrice, da cui ha origine. La visione della realt che ora si viene
formando po-
Come sempre fondamentale per la comprensione della letteratura sapienzia-le dell'Antico Testamento
G. VON RAD, Weisheit in Israel, Neukirchen 1970 (tr. it. La sapienti in Israele, Casale Monferrato
1975); cfr. anche L. BOUYER, Cosmos, Paris 1982, pp. 99-128.
157
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
trebbe rispondere all'interrogativo formulato da Heisen-berg nei colloqui da me citati all'inizio, quando
dice: completamente privo di senso immaginarsi, dietro alle strutture ordinatrici del mondo, una
"coscienza", di cui esse siano "intenzione"?10. Nel dibattito attuale sulla cooperazione tra natura e
spirito nell'uomo, ad esempio, viene discussa la questione della riduzione: il fenomeno dello spirito si
pu ridurre a materia, o rimane un'"eccedenza" inspiegabile?" Qui si potrebbe partire dal rovescio: lo
spirito in grado di produrre materia e dev'essere considerato il vero e proprio punto di partenza della
realt, muovendo dal quale si spiega la totalit; resta la domanda se non esista un'oscura "eccedenza",
che non sia possibile pi ricondurre a quell'origine. Ci si deve chiedere se tale modo di vedere sia meno
probabile dell'opinione formulata da Monod e per certi aspetti senz'altro rappresentativa del pensiero
attuale, secondo cui l'intera sinfonia della natura emergerebbe da rumori di disturbo12; vale a dire la
razionalit proverrebbe dall'irrazionale.
10
W. heisenberg, op. cit., p. 290.
Una buona informazione sull'attuale dibattito sul tema fornita da G. BEIN TRUP, Dos Leib-Seele-
Problem. Eine Einfihrung, Stuttgart 1996. Cfr. anche O. B. LlNKE, M. KURTHEN, Paralklitdt von
Gehirn una. Seele. Neurowissenschaf una Leib-Seele-Problem, Stuttgart 1988.
J. MONOD, Zufall una Notwendigkeit. Philosophische Fragen der modernen Biologie, tr. ted.,
Miinchen 19735, p. 149; cfr. pp. 141s. (tr. it. // caso e la necessit, Milano 1974): cos ne consegue di
necessit che unicamente e solamente il caso sta alla base di qualsiasi innovazione, di qualsiasi
creazione nella natura animata. Il puro caso, nulla se non il caso, l'assoluta, cieca libert come
fondamento del mirabile edifcio dell'evoluzione - questa cognizione centrale della biologia moderna
oggi non pi solo una tra le ipotesi possibili o concepibili; essa l'unica immaginabile, poich essa
sola coincide con i dati di fatto dell'osservazione e dell'esperienza. Cfr. J. ratzinger, Im Anfang schuf
Goti, Einsiedeln - Freiburg i. Br. 19962, pp. 53-59.
158
Capitolo II - verit del cristianesimo?
La visione dei Libri sapienziali, che congiunge Dio e mondo mediante l'idea della Sapienza, che
concepisce il mondo come riflesso della razionalit del Creatore, consente poi al tempo stesso il
collegamento tra cosmologia e antropologia, tra comprensione del mondo e moralit; poich la
Sapienza, che costruisce la materia e il mondo, anche una sapienza morale, che da le direttive
essenziali dell'esistenza. L'intera Tarati, la Legge di vita di Israele, ora viene intesa come
autopresentazione della Sapienza, quale sua traduzione in discorso e istruzione umani. Ne risulta una
vicinanza allo spirito greco, da un lato a motivi del platonismo, dall'altro alla coniugazione stoica di
inter-pretazione divina del mondo e morale.
Il problema dell'eccedenza di ci che non divino, dell'irrazionale nel mondo, che abbiamo prima
toccato, nella letteratura sapienziale assume la forma di un drammatico conflitto con la teodicea:
l'esperienza del soffrire nel mondo diviene il grande tema - quello di un mondo in cui il diritto, il bene,
la verit sono continuamente perdenti di fronte alla mancanza di scrupoli dei potenti. Ora, questo, da un
altro punto di vista, comporta un approfondimento della morale, che si stacca dalla questione del
successo e cerca il suo senso proprio nella sofferenza, nella sconftta della giustizia. Alla fine, fuori dei
confini di Israele1*, appare, in Giobbe, la figura dell'uomo devoto per eccellenza e al tempo stesso
dell'uomo sofferente per eccellenza.
Su Giobbe si deve confrontare il grande commento di G. RAVASI, che approfondisce anche le
interpretazioni filosofiche e teologiche della figura: Giobbe. Traduzione e commento, Roma 19913.
159
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Al profondo avvicinamento al mondo spirituale greco, alla sua razionalit e alla sua filosofa,
corrisponde poi logicamente un secondo passo importante: il trapasso del giudaismo entro il mondo
greco, che si compiuto soprattutto ad Alessandria d'Egitto quale luogo centrale dell'incontro delle
culture. L'avvenimento pi rilevante in questo processo fu la traduzione dell'Antico Testamento in
greco, il cui blocco di base - il Pentateuco - fu approntato gi nel III secolo avanti Cristo. Fino al I
secolo si and formando poi un canone greco dei Libri sacri, che venne assunto dai cristiani come loro
canone dell'Antico Testamento14. La designazione di questa traduzione greca della Bibbia
veterotestamentaria come Septuaginta (Libro dei LXX) basata sull'antica leggenda secondo cui la
traduzione sarebbe stata l'opera di 70 eruditi. Il numero dei popoli del mondo, infatti, secondo Dt 32,8,
era 70. Pertanto questa leggenda pu significare che in tale traduzione l'Antico Testamento esce da
Israele e va verso i popoli della terra. Questo fu in realt l'effetto di tale libro, che nella sua traduzione,
sotto molti riguardi, accentu ancor pi il carattere universalistico della religione di Israele - non da
ultimo nell'immagine di Dio, se ora il nome di Dio, JHWH, non appare come tale, ma viene sostituito
dal termine Kyrios, "Signore". Cos viene portato a ulteriore progresso il concetto spirituale di Dio
dell'Antico Testamento, cosa che era oggettivamente conforme all'intrinseca natura dello sviluppo
accennato.
14
Sulle questioni del rapporto tra canone ebraico e greco e l'Antico Testamento dei cristiani, cfr. C.
DOHMEN, Der Biblische Kanon in der Diskussion, in Theologi-sche Revue 91 (1995), pp. 451-460;
A. SCHENKER, Septuaginta und christliche Bibel, in ivi, pp. 459-464.
160
Capitolo II - verit del cristianesimo?
La fede di Israele, tradotta in greco, come si manifestava nei suoi Libri sacri, esercit subito un fascino
sullo spirito illuminato dell'antichit, le cui religioni, fin dalla critica socratica, avevano perso sempre
pi credibilit. Nel pensiero socratico tuttavia - in opposizione alle correnti sofstiche - non era
determinante lo scetticismo o addirittura il cinismo o il mero pragmatismo; contemporaneamente ad
esso era nato l'anelito verso la religione adeguata, e tale da trascendere la capacit propria della
ragione. Cos, da un lato si va in cerca delle promesse dei culti misterici che provengono dall'Oriente,
dall'altro la fede giudaica appare come la risposta salvifica. Qui si trova una congiunzione tra Dio e il
mondo, tra razionalit e rivelazione, che risponde esattamente ai postulati della ragione e all'anelito
religioso. Qui si trova quel monoteismo che non viene dalla speculazione flosofca, e che pertanto
rimaneva religiosamente privo di forza poich non si possono adorare i prodotti del proprio pensiero, le
proprie ipotesi filosofiche. Questo monoteismo proviene da un'esperienza religiosa originaria e ora
conferma dall'alto, per cos dire, quanto il pensiero aveva cercato a tastoni. La religione d'Israele deve
aver esercitato sulle cerehie migliori della tarda antichit un fascino simile a quello che sent per il
mondo cinese l'Europa occidentale all'epoca dell'Illuminismo, quando si riteneva (a torto, come sappia-
mo oggi) di aver trovato finalmente una societ senza rivelazione n mistero, una religione della pura
morale e della ragione. Cos nel mondo antico si formata una rete di cosiddetti "timorati di Dio" che
si appoggiavano alla sinagoga e al suo puro culto della Parola, e sapevano d'essere in contatto con
l'unico Dio appoggiandosi alla fede di Israele. Questa rete di "timorati di Dio", in confor-
161
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
mit con la fede d'Israele grecizzata, fu il presupposto della missione cristiana. Il cristianesimo era
quella forma di giudaismo ampliata fino ad attingere l'universalit, nella quale ora veniva pienamente
donato quanto l'Antico Testamento fino allora non era stato in grado di dare.
5. // cristianesimo come sintesi di fede e ragione
La fede di Israele presentata nella Septuaginta mostrava l'accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e
mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un
determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di
Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del
Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica
profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare
posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere "proselito", poich l'appartenenza piena era
legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in
quale misura, l'elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse
tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o
superato. Una piena universalit non era possibile, poich non era possibile un'appartenenza piena. A
questo livello stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad abbattere il muro (j^f
2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono pi necessari, poich il
legame con Ges a determinare la piena appartenenza, la vera parentela.
162
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Ognuno pu ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a
divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano pi, essi sono
divenuti un precedente storico, poich nella persona di Ges Cristo tutto ricapitolato e chi lo segue
porta in s e adempie l'intera essenza della Legge. Il culto antico non pi in vigore, stato abrogato
con l'offerta di s che Ges ha fatto a Dio e agli uomini. essa ora il vero sacrifcio, il culto spirituale,
in cui Dio e l'uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l'Eucaristia, ne risulta
la reale e certa garanzia sempre presente. Forse la pi bella e concisa espressione di questa nuova
sintesi cristiana si trova in una professione di fede della Prima Lettera di Giovanni: Noi abbiamo
creduto all'amore (JGv 4,16). Per queste persone Cristo era diventato la scoperta dell'amore creatore,
la ragione dell'universo si era rivelata come amore, come quella razionalit pi grande che accoglie in
s e risana anche quanto oscuro e irrazionale.
Cos il movimento spirituale riconoscibile nel cammino di Israele era giunto al suo traguardo,
l'universalit senza crepe era diventata possibilit pratica. Ragione e mistero si incontravano; proprio il
concentrarsi della totalit in uno solo aveva aperto le porte a tutti: tutte le persone possono divenire
fratelli e sorelle in virt del Dio unico. E anche il tema della speranza e del presente riceve una forma
nuova: il presente corre verso il Risorto, verso un mondo in cui Dio sar tutto in tutti. Ma, proprio per
questo motivo, anche nel suo stato presente diventa un mondo significativo e prezioso, poich gi ora
contrassegnato
163
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
dalla vicinanza del Risorto e la morte non ha pi l'ultima parola.
6. Alla ricerca di una nuova evidenza
Questa evidenza, che tocc le corde pi segrete del mondo antico e lo trasform, pu essere ripristinata
o irrevocabilmente perduta? Che cosa le si oppone?
Vi sono molte ragioni che spiegano il suo attuale declino, ma direi che la pi importante consiste
nell'autoridu-zione della ragione, basata paradossalmente sui successi di questa. Le leggi del suo
metodo che hanno determinato il suo successo, a causa della loro generalizzazione si sono mutate in
una prigione. La scienza naturale, che ha foggiato il nuovo mondo, poggia su un fondamento flosofico
che in ultima analisi va cercato in Piatone15. Copernico, Galileo, anche Newton, erano platonici.
Fondamentalmente si basavano sul presupposto della strutturazione matematica, spirituale del mondo e,
di conseguenza, a partire da tale presupposto, sulla possibilit di decifrarne l'enigma e,
nell'esperimento, di renderlo comprensibile e insieme utilizzabile. La novit consiste nella
congiunzione di platonismo ed empirismo, di idea ed esperimento. L'esperimento si basa su una idea
interpretativa previa ad esso, che poi nel tentativo pratico viene saggiata, corretta e ulteriormente
approfondita. Solo questa base matematica permette
15
Sull'origine platonica della scienza naturale moderna cfr. N. SCHIFFERS, Fra-gen der Physik an die
Theologie, Diisseldorf 1968; W. HEISENBERG, Dos Naturbild der heutigen Physik, Hamburg 19597.
Cfr. anche J. MONOD, op. cit., per esempio p. 133, dove egli presenta espressamente la biologia
moderna come in debito col platonismo. Con le moderne conoscenze, egli dice, le speranze dei pi
convinti "platonici" si sono pi che realizzate. Anche B. D'ESPAGNAT, La physique actuelle et la
phi-losophie, in Revue des sciences morales et politiques 3 (1997), pp. 29-45, ammette una certa
vicinanza della fisica moderna alle intuizioni di Piatone e Piotino.
164
Capitolo II - verit del cristianesimo?
poi generalizzazioni e la scoperta di leggi che rendono possibile operare in modo adeguato. Tutto il
pensiero scientifico e ogni applicazione tecnica sono basati sul presupposto che il mondo sia ordinato
secondo leggi spirituali, abbia in s spirito, che pu essere imitato dal nostro spirito. Ma al medesimo
tempo la sua percezione collegata al controllo mediante l'esperienza. Ogni pensare che pretendesse di
scavalcare questo collegamento, che volesse scorgere lo spirito in se stesso o conoscere in anticipo il
mondo presente, contraddirebbe la disciplina del metodo scientifico, e perci sarebbe messo al bando
come modalit di pensiero prescientifco o non scientifico. Il Lgos, la Sapienza, di cui da un lato
parlavano i Greci, dall'altro Israele, stato riassorbito nel mondo materiale e, al di fuori di esso, non
pi accessibile. All'interno dello specifico cammino delle scienze naturali, questa limitazione esatta e
necessaria; se per questa viene dichiarata la forma invalicabile del pensare umano, il fondamento della
stessa scienza diventa contraddittorio. Infatti essa, nel medesimo tempo, afferma e nega lo spirito. Ma
soprattutto, una ragione che si limiti cos una ragione mutilata. Se l'uomo non pu pi interrogarsi
razionalmente sulle realt essenziali della sua vita, sulla sua origine e sul suo fine, sul suo dovere
morale e su quanto gli lecito, sulla vita e sulla morte, ma deve rimettere questi problemi decisivi a un
sentimento separato dalla ragione, allora non la innalza, ma la priva del suo onore. La disintegrazione
dell'uomo, che in tal modo si attua, provoca tanto la patologia della religione quanto quella della
scienza. ovvio che oggi, nel distacco della religione dalla sua responsabilit di fronte alla ragione, si
sviluppino diverse forme patologiche di religione. Ma quando pensiamo a progetti scientifici
165
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
che disprezzano l'uomo - come la clonazione umana, la produzione di feti, vale a dire persone, allo
scopo di utilizzare organi per allestire prodotti farmaceutici, o anche in genere per lo sfruttamento
economico, o la strumentalizzazione della scienza per fabbricare mezzi sempre pi terribili di
distruzione dell'uomo e del mondo - allora palese che c' anche una scienza patologica: la scienza di-
viene patologica e pericolosa per la vita, laddove si congeda dal contesto dell'ordine morale proprio
dell'essere-uo-mini e ormai si permette di riconoscere solo le sue proprie possibilit come unico criterio
ammissibile.
Ci significa che il raggio della ragione deve allargarsi di nuovo. Dobbiamo tornare a evadere dalla
prigione da noi stessi costruita e riconoscere altre forme di verifica in cui giochi il suo ruolo l'uomo
nella sua interezza. Ci di cui abbiamo bisogno qualcosa di simile a ci che troviamo in Socrate: una
disponibilit in attesa, che si mantiene aperta e appunta lo sguardo al di l di se stessa. Questa
disponibilit a suo tempo port i due mondi spirituali - Atene e Gerusalemme - a incontrarsi e rese
possibile un nuovo frangente storico. Abbiamo bisogno di una nuova disponibilit alla ricerca e anche
dell'umilt, che consente di orientarsi. Il rigore della disciplina metodologica non pu essere fatto
soltanto di voglia di successo, deve essere anche fatto di voglia di verit, disponibilit ad essa. Il rigore
metodologico, che si sente sempre in obbligo di sottomettersi a quanto si trovato e a non imporre i
pro-pri desideri, pu costituire una grande scuola di umanit e rendere l'uomo capace di verit.
L'umilt, che si piega alla realt trovata e non la manipola, non pu tuttavia divenire una modestia
sbagliata, che toglie il coraggio della
166
Capitolo II - verit del cristianesimo?
verit. Deve opporsi ancor pi alla ricerca del potere, che ormai non vuole altro che dominare il mondo
senza rispettare pi la sua logica intrinseca, la quale pone limiti alla nostra volont di dominio. Le
catastrofi ecologiche potrebbero divenire un ammonimento a vedere dove la scienza si fa non pi
servizio alla verit, ma distruzione del mondo e dell'uomo. L'attitudine ad ascoltare tali moniti, la
volont di lasciarsi purificare dalla verit, sono indispensabili. Aggiungerei: si dovrebbe rinvigorire di
nuovo il talento mistico dello spirito umano. La capacit di interiorit, una maggiore apertura dello
spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto chiassoso e invadente, devono tornare ad
apparirci mete da annoverare tra le nostre priorit. In Paolo troviamo l'esortazione a rafforzarsi
nell'uomo interiore (Ef 3,16). Siamo onesti: oggi v' un'ipertrofa dell'uomo esteriore e un
indebolimento preoccupante della sua energia interiore.
Per non rimanere troppo nell'astratto, vorrei in conclusione chiarire quanto intendo con una immagine
che desunta da un'esperienza storica. Papa Gregorio Magno (t 604), nei suoi Dialoghi, narra delle
ultime settimane di vita di san Benedetto. Il fondatore dell'Ordine benedettino si era ritirato a dormire
nel piano superiore di una torre, al quale si saliva con una ripida scala diritta. Egli poi, racconta
Gregorio, si era alzato prima del tempo della preghiera notturna, per una veglia. Stava alla finestra e
supplicava Dio onnipotente. Mentre nell'oscurit della notte guardava fuori, improvvisamente vide una
luce che si effondeva dall'alto e dissipava tutta la tenebra notturna... Qualcosa di assolutamente
meraviglioso si compiva in questa visione, come pi tardi narr egli stesso: il mondo
167
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
intero gli si present davanti agli occhi come dentro un unico raggio di sole1 . Contro questo racconto
leva un'obiezione l'interlocutore di Gregorio, con la stessa domanda che farebbe l'ascoltatore di oggi:
Quello che hai detto, cio che a Benedetto fu consentito di vedere dinanzi agli occhi l'intero mondo
dentro un unico raggio di sole, cosa di cui non ho mai vissuto l'esperienza e nemmeno me la posso
immaginare. Come pu un uomo contemplare il mondo come totalit?. La frase essenziale nella ri-
sposta del santo papa la seguente: Quando egli [...] vide davanti a s il mondo intero come un'unit,
non divennero piccoli ciclo e terra, ma grande l'animo di chi contemplava .
In questa immagine sono significativi tutti i particolari: la notte, la torre, la ripida scala, la stanza al
piano superiore, lo stare alzato, la finestra. Tutto questo, al di l della descrizione topografica e
biografica, ha una grande profondit simbolica: quest'uomo, con un lungo e faticoso cammino iniziato
in una caverna presso Subiaco, asceso sulla montagna e infine sulla torre. La sua vita fu un salire
interiore, un gradino dopo l'altro, sulla scala diritta. giunto nella torre e da l nella stanza al piano
superiore, che fin dagli Atti degli Apostoli viene considerata come simbolo del raccoglimento volto
verso l'alto, dell'ascesa, nel distacco dal mondo dell'operare e del fare. Egli sta alla finestra: ha cercato e
trovato il posto per gettare lo sguardo al di fuori, il posto in cui si apre una breccia nel muro
6
GREGORIO MAGNO, Dialogi II, 35, 1-3. Utilizzo l'edizione latino-tedesca dell'btekonferenz di
Salisburgo: GREGOR DER GROSSE, Der heilige Benedikt, Buch II der Dialoge, St. Ottilien 1995. La
mia interpretazione si appoggia largamente sull'eccellente introduzione che vi si trova, specialmente
pp. 53-64.
17
M, II, 35, 5 e 7.
168
Capitolo II - verit del cristianesimo?
del mondo e lo sguardo si spalanca nell'aria libera. Egli sta in piedi. Lo stare ritti, nella tradizione
monastica, immagine simbolica dell'uomo che si raddrizzato da un incurvamento, non pi
rannicchiato cos da dover guardare solo per terra, ha riacquistato il portamento eretto e cos lo sguardo
libero verso l'alto18. Cos egli diviene uno che vede. Non il mondo a farsi piccolo, ma la sua anima a
divenire grande, poich egli non pi assorbito dalle cose, dagli alberi che non lasciano riconoscere il
bosco, ma ha conseguito uno sguardo sul tutto. Egli pu vedere meglio, perch scorge il tutto dall'alto,
e sa trovare questa postazione perch divenuto interiormente grande. Si pu avvertire qui l'eco
dell'antica tradizione dell'uomo come microcosmo, che abbraccia il mondo intero, ma l'essenziale
appunto questo: l'uomo deve imparare a salire, deve divenire grande. Deve stare alla finestra. Deve
stare in vedetta. E allora la luce di Dio pu toccarlo, egli la pu riconoscere e in virt di essa acquisire
uno sguardo d'insieme. Non ci si pu fissare sulla terra in modo cos esclusivo da diventare inetti
all'ascensione, al portamento eretto. I grandi uomini, che, nella paziente salita e sopportando
purificazioni della loro vita, sono diventati capaci di vedere e perci pietre miliari, segnavia dei secoli,
possono dirci qualcosa anche oggi. Ci mostrano come pure nella notte si possa trovare la luce e come
possiamo far fronte alle minacce montanti dagli abissi dell'esistenza umana, come si possa andare
incontro al futuro capaci di speranza.
18
Cfr. l'interpretazione nel dato citato a p. 17, pp. 60-63.
169
II
IL CRISTIANESIMO - LA RELIGIONE VERA?
Al termine del secondo millennio cristiano, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua
originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa alla verit.
Questa crisi ha una doppia dimensione: innanzitutto ci si domanda con sempre maggiore insistenza se
sia giusto, in fondo, applicare il concetto di verit alla religione; in altri termini, se sia dato all'uomo
conoscere la verit propriamente detta su Dio e le cose divine. L'uomo contemporaneo si ritrova molto
meglio nella parabola buddhista dell'elefante e dei ciechi: una volta, un re dell'India del Nord riun in
un posto tutti gli abitanti ciechi della citt. Poi davanti ai presenti fece passare un elefante. Lasci che
gli uni toccassero la testa, e disse: Un elefante cos. Altri poterono toccare l'orecchio o la zanna, la
proboscide, il dorso, la zampa, la parte posteriore, i peli della coda. Dopo di che il re chiese a ciascuno:
Com' un elefante?. E, secondo la parte che avevano toccato, rispondevano: come un cesto
intrecciato..., come un vaso..., come la bure di un aratro..., come un magazzino...,
come un pilastro..., come un mortaio..., come una scopa.... Allora - continua la parabola - si
misero a discutere, urlando: L'elefante cos, no, cos, si scagliarono gli uni sugli altri e si
presero a pugni, con gran divertimento del re13. La disputa tra le religioni
19
Cfr. H. VON GLASENAPP, Die flnf'groJSen Religionen, II, Diisseldorf 1957, p. 505; vi si trovano
anche un elenco delle fonti, (Udna 6,4) e indicazioni bibliografiche.
170
Capitolo il - verit del cristianesimo?
sembra agli uomini di oggi come questa disputa tra ciechi nati. Poich sembra che di fronte al mistero
di Dio siamo nati ciechi. Per il pensiero contemporaneo il cristianesimo non si trova assolutamente in
una prospettiva pi favorevole rispetto alle altre religioni, anzi: con la sua pretesa alla verit, sembra
essere particolarmente cieco di fronte al limite di ogni nostra conoscenza del divino, sembra
caratterizzato da un fanatismo particolarmente stolto, che incorreggibilmente scambia per il tutto la
porzione toccata nella sua propria esperienza.
Questo scetticismo del tutto generale nei confronti della pretesa alla verit in materia religiosa
ulteriormente consolidato dai dubbi che la scienza moderna ha sollevato riguardo alle origini e ai
contenuti del cristianesimo. La teoria evoluzionistica sembra aver superato la dottrina della creazione,
le conoscenze che concernono l'origine dell'uomo sembrano aver superato la dottrina del peccato
originale; l'esegesi critica relativizza la figura di Ges e mette punti interrogativi sulla sua
consapevolezza d'essere il Figlio; l'origine della Chiesa in Ges appare dubbia, e cos via. La "fine
della metafisica" ha reso problematico il fondamento flosofico del cristianesimo, i metodi storici
moderni hanno posto le sue basi storiche in una luce incerta. Cos naturale anche ridurre i contenuti
cristiani a simboli, non attribuire loro nessuna verit maggiore di quella dei miti della storia delle
religioni, considerarli come una modalit di esperienza religiosa che dovrebbe collocarsi umilmente a
fianco di altre. In questo senso si pu ancora - a quanto pare - continuare a rimanere cristiani; ci si
serve sempre delle forme espressive del cristianesimo, la cui pretesa per radicalmente trasforma-
171
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
ta: quella verit, che era stata per l'uomo una forza obbligante e una promessa affidabile, diventa ormai
una forma di espressione culturale della sensibilit religiosa generale, espressione che ci suggerita a
causa dell'accidentalit della nostra origine europea.
Ernst Troeltsch, all'inizio del secolo XX, ha formulato filosoficamente e teologicamente questo ritirarsi
del cristianesimo dalla sua pretesa originariamente universale, che poteva fondarsi solo sulla
rivendicazione della verit. Egli era arrivato alla convinzione che le culture sono insuperabili e che la
religione legata alle culture. Il cristianesimo quindi solo il lato del volto di Dio rivolto verso
l'Europa. Le particolari caratteristiche legate alla cultura e alle razze e le caratteristiche delle sue
grandi formazioni religiose che abbracciano un contesto pi ampio assurgono al rango di ultima
istanza: Chi si azzarderebbe a formulare dei giudizi di valore davvero decisivi in proposito? una
cosa che potrebbe fare solo Dio stesso, Lui che all'origine di queste differenze 20. Un cieco nato sa
che non nato per essere cieco e di conseguenza non smetter di interrogarsi sul perch della sua cecit
e su come uscirne. Solo in apparenza l'uomo si rassegnato al verdetto di essere nato cieco davanti a
quel che gli appartiene, alla sola realt che in ultima istanza conta nella nostra vita. Il titanico tentativo
di prendere possesso del mondo intero, di trarre dalla nostra vita e
20
Cfr. H. B0RKLE, Der Mensch auf der Suche nach Goti - die Froge der Religionen, (Amateca 3),
Paderborn 1996, pp. 64-67. La citazione tratta da E. TROELTSCH, Die Absolutheit des Christentums
und die Religionsgeschichle, Tubingen 19292, p. 79 (tr. it. L'assolutezza del cristianesimo e la storia
delle religioni, Napoli 1968).
172
Capitolo II - verit del cristianesimo?
per la nostra vita tutto il possibile, mostra, cos come le esplosioni di un culto dell'estasi, della
trasgressione e della distruzione di s, che l'uomo non si accontenta di questo giudizio. Infatti, se non sa
da dove viene e perch esiste, non forse in tutto il suo essere una creatura mancata? L'addio
apparentemente indifferente alla verit su Dio e sull'essenza del nostro io, l'apparente soddisfazione per
non doversi pi occupare di tutto questo, ingannano. L'uomo non pu rassegnarsi a essere e restare,
quanto a ci che essenziale, un cieco nato. L'addio alla verit non pu mai essere definitivo.
Stando cos le cose, necessario riproporre la domanda fuori moda della verit del cristianesimo, per
quanto superflua e insolubile a molti possa apparire. Ma in quale modo? Di sicuro, la teologia cristiana
dovr esaminare attentamente, affrontandole senza timore, le diverse istanze che sono state sollevate
contro la rivendicazione, da parte del cristianesimo, della verit nel campo della filosofa, delle scienze
naturali, della storia. Ma, d'altra parte, occorre anche che essa cerchi di acquisire una visione di insieme
del problema concernente l'essenza autentica del cristianesimo, la sua collocazione nella storia delle
religioni e il suo posto nell'esistenza umana. Vorrei fare un passo in questa direzione, mettendo in luce
come, alle sue origini, il cristianesimo stesso ha visto questa sua rivendicazione nel ksmos delle
religioni.
Che io sappia, non esiste alcun testo del cristianesimo antico che getti sulla questione tanta luce quanto
il confronto di Agostino con la filosofa religiosa del pi erudito tra i romani, Marco Terenzio
Varrone
173
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
(116-27 a.C.)21. Varrone condivideva l'immagine stoica di Dio e del mondo; defin Dio come animarti
motu ac ratio-ne mundum gubernantem (come l'anima che regge il mondo tramite il movimento e la
ragione)22, in altri termini: come l'anima del mondo che i Greci chiamano ksmos: hunc ipsum
mundum esse dcuni*3. Questa anima del mondo, tuttavia, non riceve alcun culto. Non oggetto di
religio. In altri termini: verit e religione, conoscenza razionale e ordinamento cultuale sono situati su
due piani totalmente diversi. L'ordinamento cultuale, il mondo concreto della religione, non appartiene
all'ordine della res, della realt come tale, ma a quello dei mores - dei costumi. Non sono gli di che
hanno creato lo Stato, lo Stato che ha istituito gli di, la cui venerazione essenziale per l'ordine dello
Stato e per il buon comportamento dei cittadini. La religione nella sua essenza un fenomeno politico.
Varrone distingue cos tre tipi di "teologia", intendendo per teologia la ratio, quae de diis explicatur - la
comprensione e la spiegazione del divino, potremmo tradurre. Tali sono la i/teologia mythica, la
theologia civilis e la theolo-gia naturalis (physik)24. Tramite quattro definizioni egli spiega poi che
cosa si debba intendere con queste "teolo-
Doctissimus Romanorum chiamato in Seneca, Helv. 8,1; cfr. AGOSTINO, De ci-vitate Dei VI, 2
(d'ora in poi abbreviato in DcD), che cita CICERONE, Acad. Ili, il quale parla di Varrone come homine
omnium facile acutissimo et sine ullo dubio doctissi-mo (CCL XLVII, 167). Su Varrone, cfr. P. L.
SCHMIDT, in Der Kleine Pauly. Lexikon der Antike, V, coli. 1131-1140. Con le argomentazioni
seguenti affronto di nuovo l'analisi della discussione di Agostino con Varrone, che avevo tentato quasi
quaran-t'anni fa nella mia dissertazione Volk und Hans Gottes in Augustins Lehre voti der Kit-che,
Miinchen 1954, St. Ottilien 1972 (d'ora in poi citato J. RATZINGER, Volk, tr. it. Popolo e casa di Dio
in sant'Agostino, Milano 1991).
22
DcD IV, 31,2, in op. cit., pp. 125, 24ss., J. RATZINGER, Volk, p. 267, nota 5.
21
DcD VII, 6, in op. cit., pp. 191, 4s. DcD VI, 5, in op. cit., pp. 170s.
174
Capitolo II - verit del cristianesimo?
gie". La prima definizione fa riferimento ai teologi associati a queste tre teologie: i teologi della
teologia mitica sono i poeti, perch hanno composto canti sugli di e sono cos cantori della divinit; i
teologi della teologia fisica (naturale) sono i filosofi, cio gli eruditi, i pensatori, che, andando al di l
delle consuetudini, si interrogano sulla realt, sulla verit; i teologi della teologia civile sono i "popoli",
che hanno scelto di non collegarsi con i filosofi (con la verit), ma con i poeti, con le loro visioni
poetiche, con le loro immagini e con le loro figure.
La seconda definizione riguarda i luoghi nella realt a cui sono associate le singole teologie. Alla
teologia mitica corrisponde il teatro, che aveva senz'altro un rango religioso, cultuale; secondo
l'opinione comune, gli spettacoli erano stati istituiti a Roma per ordine degli di 25: alla teologia politica
corrisponde Yurbs, lo spazio della teologia naturale sarebbe il ksmos.
La terza definizione designa il contenuto delle tre teologie: la teologia mitica avrebbe per contenuto le
favole sugli di, create dai poeti; la teologia di Stato il culto; la teologia naturale risponderebbe alla
domanda su chi sono gli di. Vale la pena ora di prestare maggiore attenzione: Se - come in Eraclito -
essi [gli di] sono fatti di fuoco o - come in Pitagora - di numeri, o - come in Epicuro -di atomi, e altre
cose ancora che le orecchie possono sopportare pi facilmente all'interno delle mura scolastiche
piuttosto che fuori, sulla pubblica piazza26, ne deriva con assoluta chiarezza che questa teologia
naturale una de-mitologizzazione, o meglio una razionalit, che guarda cri-
25
Cfr. J. RATZINGER, Volk, p. 269, nota 12.
26
DcD VI, 5, in op. cit., p. 171, 23-29.
175
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
ticamente cosa c' dietro l'apparenza mitica e la dissolve attraverso la conoscenza scientifico-naturale.
Culto e conoscenza risultano divergenti l'uno dall'altra. Il culto resta necessario fintante che una
questione di utilit politica; la conoscenza ha un effetto distruttore sulla religione e non dovrebbe
quindi essere messa sulla pubblica piazza. Infine c' la quarta definizione. Il contenuto delle diverse
teologie da che tipo di realt costituito? La risposta di Varrone questa: la teologia naturale si occupa
della "natura degli di" (che di fatto non esistono), le altre due teologie trattano dei divina instituta
hominum - delle istituzioni divine degli uomini . Ne consegue che tutta la differenza si riduce a quella
che c' tra la fisica nel significato proprio dell'antichit classica e la religione cultuale dall'altra parte.
La teologia civile non ha in ultima analisi alcun dio, soltanto la "religione"; la "teologia naturale" non
ha religione, ma solo una divinit . Certo, non pu avere nessuna religione, perch al suo Dio (fuoco,
numeri, atomi) non pu essere rivolta la parola in termini religiosi. Cos religio (termine che designa
essenzialmente il culto) e realt, la conoscenza razionale del reale, si configurano come due sfere
separate, l'una accanto all'altra. La religio non trae la sua giustificazione dalla realt del divino, ma
dalla sua funzione politica. E un'istituzione di cui lo Stato ha bisogno per la sua esistenza.
Indubbiamente ci troviamo qui di fronte ad una fase tardiva della religione, nella quale infranta
l'ingenuit dell'atteggiamento religioso ed quindi innescata la sua dissoluzione. Ma il legame
essenziale della religione con la
27
DcD VI, 5, in op. cit., p. 179, 55s.
28
J. ratzinger, Volk, p. 270.
176
Capitolo II - verit del cristianesimo?
compagine statale decisamente molto pi profondo. Il culto in ultima istanza un ordinamento
positivo, che come tale non pu essere commisurato al problema della verit. Mentre Varrone, nel suo
tempo, in cui la funzione politica della religione era ancora sufficientemente forte, per giustificarla
come tale poteva ancora difendere una concezione piuttosto cruda della razionalit e dell'assenza di
verit del culto motivato politicamente, il neoplatonismo cercher presto un'altra via di uscita dalla
crisi, su cui l'imperatore Giuliano [l'Apostata] bas poi il suo sforzo per ristabilire la religione romana
di Stato: quello che i poeti dicono sono immagini che non si devono intendere fsicamente, ma sono
comunque immagini che esprimono l'ineffabile per tutti quegli uomini ai quali la via maestra
dell'unione mistica sbarrata. Bench non siano vere come tali, le immagini sono giustificate come
approssimazioni a qualcosa che sempre deve restare ineffabile .
Con ci abbiamo anticipato qualcosa di quel che diremo. La posizione neoplatonica, infatti, da parte
sua gi una reazione contro la presa di posizione cristiana sul problema della fondazione del culto
cristiano e del posto della fede che ne alla base, nella tipologia delle religioni. Torniamo dunque ad
Agostino. Dov' che egli situa il cristianesimo nella triade varroniana delle religioni? Quello che
stupisce che senza la minima esitazione Agostino attribuisce al cristianesimo il suo posto nell'ambito
della "teologia fsica", nell'ambito della razionalit flosof-
29
Breve panorama sullo sviluppo del platonismo in Piotino e nella sua scuola in C. REALE, D. antiseri, //
pensiero occidentale dalle orgini ad oggi, I. Antichit e Medioevo, Brescia 1985, pp. 242-268.
177
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
ca30. Si trova cos in perfetta continuit con i primi teologi del cristianesimo, gli Apologisti del II
secolo, e anche con la posizione che Paolo assegna al cristianesimo nel primo capitolo della Lettera ai
Romani che, da parte sua, si basa sulla teologia anticotestamentaria della Sapienza e risale, al di l di
essa, fino ai Salmi che scherniscono gli di. Il cristianesimo ha, in questa prospettiva, i suoi precursori e
la sua preparazione nella razionalit filosofica, non nelle religioni. Il cristianesimo non affatto basato,
secondo Agostino e la tradizione biblica, che per lui normativa, su immagini e presentimenti mitici, la
cui giustificazione si trova in ultima istanza nella loro utilit politica, ma si richiama invece a quel
divino che pu essere percepito dall'analisi razionale della realt. In altri termini: Agostino identifica il
monoteismo biblico con le vedute flosofiche sulla fondazione del mondo che si sono formate, secondo
diverse varianti, nella filosofa antica. questo che si intende quando il cristianesimo, a partire dal
discorso paolino dell'Areopago in poi, si presenta con la rivendicazione di essere la religio vera. Il che
significa: la fede cristiana non si basa sulla poesia e la politica, queste due grandi fonti della religione;
si basa sulla conoscenza. Venera quell'Essere che sta a fondamento di tutto ci che esiste, il "vero Dio".
Nel cristianesimo, la razionalit diventata religione e non pi il suo avversario. Perch ci avvenisse,
perch il cristianesimo si comprendesse come la vittoria della demitologizzazione, la vittoria della
conoscenza e con essa della verit, doveva necessariamente considerarsi come universale ed essere
portato a tutti i popoli: non come una religione specifica che ne
1
J. ratzinger, Volk, pp. 271-276.
178
Capitolo II - verit del cristianesimo?
soppianta altre in forza di una specie di imperialismo religioso, ma come la verit che rende superflua
l'apparenza. Ed proprio questo che all'ampia tolleranza dei politeismi doveva necessariamente
apparire come intollerabile, addirittura come nemico della religione, come "ateismo"; non si fondava
sulla relativit e sulla convertibilit delle immagini, disturbava perci soprattutto l'utilit politica delle
religioni, e metteva cos in pericolo i fondamenti dello Stato, nel quale non voleva essere una religione
tra le altre, ma la vittoria del pensiero sul mondo delle religioni.
D'altra parte, a questa posizione del cristianesimo nel ksmos di religione e filosofa risale anche la
forza di penetrazione del cristianesimo. Gi prima dell'inizio della missione cristiana, alcuni circoli
colti dell'antichit avevano cercato nella figura del "timorato di Dio" il nesso con la fede giudaica, che
appariva loro come un'immagine religiosa del monoteismo flosofco corrispondente alle esigenze della
ragione e allo stesso tempo al bisogno religioso dell'uomo, bisogno a cui la filosofa da sola non poteva
rispondere: non si prega un Dio meramente pensato. L dove invece il Dio trovato dal pensiero si lascia
incontrare nel cuore della religione come un Dio che parla e agisce, il pensiero e la fede sono
riconciliati31.
In quel collegamento con la sinagoga, rimaneva ancora qualcosa che non soddisfaceva: il non ebreo
infatti restava sempre un estraneo, non poteva mai arrivare ad
Sul fenomeno dei "timorati di Dio" cfr. M. SlMON, Gottesjurchtiger, in RAG XI, coli. 1060-1070; L.
H. FELDMANN, Jews and Gentile* in th Ancient World, 1993,
pp. 342-384.
179
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
una totale appartenenza. Questo nodo sciolto nel cristianesimo dalla figura di Cristo cos come la
interpret Paolo. Solo allora il monoteismo religioso del giudaismo divenne universale, e quindi l'unit
tra pensiero e fede, la religio vera, divenne accessibile a tutti.
Giustino il filosofo, Giustino il martire (t 167), pu servire da figura sintomatica di questo accesso al
cristianesimo: aveva studiato tutte le filosofe e alla fine aveva riconosciuto nel cristianesimo la vera
philosophia. Era convinto che diventando cristiano non aveva rinnegato la filosofia, ma che solo allora
era diventato pienamente filosofo32. La convinzione che il cristianesimo sia una filosofa, la filosofa
perfetta, quella che ha potuto spingersi fino alla verit, rester in vigore ancora a lungo dopo l'epoca
patristica. ancora assai attuale in modo del tutto ovvio nel XIV secolo nella teologia bizantina di
Nicolas Cabasilas33. Certo, non si intendeva la filosofa come disciplina accademica di natura
puramente teoretica, ma anche e soprattutto, su un piano pratico, come l'arte del ben vivere e del ben
morire, che tuttavia pu riuscire solo alla luce della verit.
La fusione tra razionalit e fede, che si realizz nello sviluppo della missione cristiana cos come nella
costruzione della teologia cristiana, port per correttivi decisivi all'immagine filosofca di Dio, di cui
due soprattutto devono essere menzionati. Il primo consiste nel fatto che il
32
Su Giustino cfr. H. BURKLE, op. cit., pp. 45s. nota 2; C. P. VETTEN, Justin der Martyrer in S.
DOPP, W. GEERLINGS, Lexikon der antiken christlichen Literatur, Frei-burg i. Br. 1998, pp. 365-369;
JUSTIN MARTYR, Oeuvres compltes, Bibliothque Mi-gne, Brepols 1994.
Nel Libro sulla vita in Cristo la concezione del cristianesimo come vera filosofia un motivo
ricorrente.
180
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Dio al quale i cristiani credono e che venerano, a differenza degli di mitici e politici, davvero natura
Deus; questo soddisfa le esigenze della razionalit flosofica. Ma nello stesso tempo vale l'altro aspetto:
non tamen omnis natura est Deus - non tutto ci che natura Dio . Dio Dio per sua natura, ma la
natura come tale non Dio. Si crea una separazione tra la natura universale e l'Essere che la fonda, che
le da l'origine. Solo allora la fsica e la metafsica giungono a una chiara distinzione l'una dall'altra.
Solo il vero Dio che possiamo riconoscere nella natura, tramite il pensiero, oggetto di adorazione. Ma
di pi che la natura. La precede, essa la sua creatura. A questa separazione tra la natura e Dio si
aggiunge una seconda scoperta, ancora pi decisiva: il Dio, la natura, l'anima del mondo o qualsiasi
cosa fosse non si poteva pregare; non era un "Dio religioso", abbiamo constatato. Adesso, ed quello
che gi dice la fede dell'Antico Testamento, e pi che mai quella del Nuovo Testamento, quel Dio che
precede la natura si volto verso gli uomini. Non un Dio silenzioso, proprio perch non solo natura.
entrato nella storia, venuto incontro all'uomo, e cos adesso l'uomo pu incontrarlo. Pu legarsi a
Dio perch Dio si legato all'uomo. Le due dimensioni della religione, che erano sempre separate l'una
dall'altra, la natura che domina in eterno e il bisogno di salvezza dell'uomo che soffre e lotta, sono
legate l'una all'altra. La razionalit pu diventare religione, perch il suo Dio entrato Lui stesso nella
religione. Ci a cui propriamente la fede aspira, cio che Dio parli nella storia, infatti il presupposto
perch la religione possa ormai volgersi ver-
DcD VI, 8, op. cit., p. 176, 6; J. RATZINGER, Volk, p. 272.
181
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Capitolo II - verit del cristianesimo?
so il Dio flosofco, che non pi un Dio puramente f-losofico e che tuttavia non respinge la
conoscenza della filosofa, ma l'assume. Qui si manifesta una cosa stupefacente: i due princpi
fondamentali del cristianesimo apparentemente in contrasto, il legame alla metafsica e il legame alla
storia, dipendono l'uno dall'altro e appartengono l'uno all'altro; costituiscono insieme l'apologi del cri-
stianesimo in quanto religio vera05.
Se dunque si pu dire che la vittoria del cristianesimo sulle religioni pagane fu resa possibile non da
ultimo dalla sua rivendicazione di ragionevolezza, occorre aggiungere che a questo legato un secondo
motivo della stessa importanza. Esso consiste innanzitutto, per dirlo in modo assolutamente generale,
nella seriet morale del cristianesimo, che, del resto, Paolo aveva gi allo stesso modo messo in
rapporto con la ragionevolezza della fede cristiana: ci che in fondo intende la Legge, ci che essen-
zialmente esige dagli uomini l'unico Dio, come mette in luce la fede cristiana, coincide con quel che
l'uomo, ogni uomo porta scritto nel cuore, cosicch quando gli si presenta, lo riconosce come Bene.
Coincide con quanto buono per natura (Rm 2,14s.). L'allusione alla morale stoica, alla sua
interpretazione etica della natura, qui manifesta tanto quanto in altri testi paolini, per esempio nella
Lettera ai Filippesi (FU 4,8: Tutto quello che vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello
che virt e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri).
Svolgimento pi particolareggiato in J. RATZINGER, Volk, pp. 274s.
182

Cos la fondamentale unit (bench critica) con la razionalit flosofca, presente nel concetto di Dio, si
conferma e si concretizza ora nell'unit, critica anch'essa, con la morale flosofca. Come nel campo del
religioso il cristianesimo superava i limiti di una saggezza flosofca di scuola proprio per il fatto che il
Dio pensato si lasciava incontrare come un Dio vivente, cos qui ci fu un passaggio dalla teoria etica a
una praxis morale, comunitariamente vissuta e messa in atto, nella quale la prospettiva flosofca era
tradotta e trasposta nell'azione reale, particolarmente grazie alla concentrazione di tutta la morale nel
duplice comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Il cristianesimo, si potrebbe dire
semplificando, convinceva grazie al legame della fede con la ragione e grazie all'orientamento
dell'azione verso la caritas, la cura amorevole dei sofferenti, dei poveri e dei deboli, al di l di ogni
differenza di condizione sociale. Che fosse questa l'intima forza del cristianesimo lo si pu sicuramente
e chiaramente vedere nel modo in cui l'imperatore Giuliano cerc di ristabilire il paganesimo in una
forma rinnovata. Lui, il pontifex maximus della ripristinata religione degli antichi di, si mise ad
istituire, cosa che non era mai esistita prima, una gerarchla pagana fatta di sacerdoti e metropoliti. I
sacerdoti dovevano essere esempi di moralit; dovevano dedicarsi all'amore di Dio (la divinit suprema
tra gli di) e del prossimo. Erano obbligati a compiere atti di carit verso i poveri, non era pi permesso
loro di leggere le commedie licenziose e i romanzi erotici, e dovevano predicare nei giorni di festa su
un argomento flosofco per istruire e formare il popolo. Teresio Bosco dice giustamente, a questo
riguardo, che l'imperatore in questo modo cercava, in realt, non di ristabilire il paganesimo ma di
183
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cristianizzarlo -- in una sintesi tra razionalit e religione, ora delineata come culto degli di 36.
Retrospettivamente, possiamo dire che la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione
mondiale consistita nella sua sintesi fra ragione, fede e vita: precisamente questa sintesi che
raccolta nell'espressione religio vera. E a maggior ragione si impone allora la domanda: perch questa
sintesi non convince pi oggi? Perch la razionalit e il cristianesimo sono, al contrario, considerati
oggi come contraddittori e addirittura reciprocamente escludentisi? Che cosa cambiato nella prima e
che cosa nel secondo?
Un tempo il neoplatonismo, in particolare Porfirio, aveva opposto alla sintesi cristiana un'altra
interpretazione del rapporto tra filosofia e religione, una interpretazione che intendeva essere una
rifondazione filosofica della religione politeista. Quella a cui si rifece Giuliano l'Apostata e che fall.
Oggi tuttavia proprio questo modo di armonizzare la religione e la razionalit che sembra imporsi
come la forma di religiosit pi adatta alla coscienza moderna.
Porfirio formula cos la sua prima idea fondamentale: Latet orane veruni1 la verit nascosta.
Ricordiamoci della parabola dell'elefante, contrassegnata proprio da questa concezione, in cui
buddhismo e neoplatonismo si incontrano, in base alla quale non c' alcuna certezza sulla verit, su
Dio, ma solo opinioni. Nella crisi di
T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, Torino 1995, pp. 206ss.
17
Citato in MACROBIO, Somn. 1,3,18; 1,12,9. Cfr. C. GNILKA, Chrsis. Die Me-thode der
Kirchenvter im Umgang mit der antiken Kultur, II. Kultur und Convenion, Ba-sel 1993, p. 23.
184
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Roma del tardo IV secolo, il senatore Simmaco l'opposto di Varrone e della sua teoria della religione
-ha riportato la concezione neoplatonica ad alcune formule semplici e pragmatiche, che possiamo
trovare nel discorso tenuto nel 384 davanti all'imperatore Valentiniano II, in difesa del paganesimo e in
favore della ricollocazione della dea Vittoria nel Senato di Roma. Cito solo la frase decisiva divenuta
celebre: la medesima cosa quella che noi tutti veneriamo, una sola quella che pensiamo,
contempliamo le stesse stelle, uno solo il ciclo che sta sopra di noi, lo stesso il mondo che ci circon-
da: che cosa importano i diversi tipi di saggezza attraverso i quali ciascuno cerca la verit? Non si pu
arrivare a un mistero tanto grande attraverso un'unica via .
E esattamente ci che sostiene oggi la razionalit: la verit in quanto tale non la conosciamo; con le
immagini pi diverse, in fondo, intendiamo la medesima cosa. Mistero cos grande, il divino non pu
essere ridotto a una sola immagine che escluda tutte le altre, a un'unica via che vincolerebbe tutti. Vi
sono molte vie, vi sono molte immagini, tutte riflettono qualche cosa del Tutto e nessuna di loro il
Tutto. L?ethos della tolleranza appartiene a chi riconosce in ciascuna di esse un frammento di verit, a
chi non pone ci che gli proprio pi in alto di ci che gli estraneo, e si inserisce con disposizione
pacifica nella sinfonia polimorfa dell'eternamente inaccessibile, che si vela dietro a simboli, i quali
nondimeno sembrano l'unica nostra possibilit di arrivare in una certa maniera al divino.
38
Citato secondo C. GNILKA, op. di. Questo studioso offre alle pp. 19-26 un'analisi a fondo del testo.
185
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
La rivendicazione del cristianesimo di essere la religio vera sarebbe dunque superata dal progresso
della razionalit? Il cristianesimo dunque costretto ad abbassare le sue pretese e a inserirsi nella
visione neoplatonica o buddhista o ind della verit e del simbolo, a contentarsi, come aveva proposto
Ernst Troeltsch, di mostrare della faccia di Dio la parte rivolta verso l'Europa? Si deve forse andare
oltre Troeltsch, che considerava ancora il cristianesimo la religione adatta all'Europa, tenendo conto del
fatto che oggi l'Europa stessa dubita che sia adatta? Questa la vera domanda alla quale oggi la Chiesa
e la teologia devono far fronte. Tutte le crisi all'interno del cristianesimo che osserviamo ai giorni nostri
si basano solo del tutto secondariamente su problemi istituzionali. I problemi delle istituzioni cos come
delle persone, nella Chiesa, derivano in ultima istanza dal potente impatto di questa questione. Nessuno
si aspetter, alla fine del secondo millennio cristiano, che questa provocazione radicale trovi, anche
solo lontanamente, risposta definitiva in una conferenza. Non pu assolutamente trovare risposte
puramente teoriche, cos come la religione, in quanto atteggiamento supremo dell'uomo, non mai solo
teoria. Esige quella combinazione di pensiero e di azione, su cui era fondata la forza persuasiva del
cristianesimo dei Padri.
Ci non significa in nessun modo che ci si possa sottrarre all'urgenza che il problema ha dal punto di
vista intellettuale, rinviando alla necessit del rapporto con la prassi. Cercher, per finire, solo di aprire
una prospettiva che potrebbe indicare la direzione. Avevamo visto che l'originaria unit relazionale,
tuttavia mai completamente incontestata, tra razionalit e fede, alla quale infine Tom-
186
Capitolo II - verit del cristianesimo?
maso d'Aquino aveva dato una forma sistematica, stata lacerata meno dallo sviluppo della fede che
dai nuovi progressi di tale razionalit. Come tappe di questa mutua separazione si potrebbero citare
Descartes, Spinoza, Kant. La nuova ampia sintesi che Hegel tenta non restituisce alla fede il suo posto
flosofico, ma tende a convertirla interamente in ragione ed eliminarla come fede. A questa assolutezza
dello spirito, Marx oppone l'unicit della materia; la filosofa deve allora essere completamente ricon-
dotta alla scienza esatta. Ormai l'esatta conoscenza scientifica la conoscenza toutcourt. Con ci
congedata l'idea del divino.
La profezia di Auguste Comte, il quale disse che un giorno ci sarebbe stata una fsica dell'uomo e che le
grandi domande finora lasciate alla metafisica in futuro sarebbero state trattate positivamente proprio
come tutto ci che gi oggi scienza positiva, ha lasciato un'eco impressionante nel nostro secolo, nelle
scienze umane. La separazione tra la fsica e la metafsica operata dal pensiero cristiano sempre pi
tralasciata. Tutto deve ridi-
r- 39
ventare fisica .
La teoria evoluzionistica si andata cristallizzando come la strada per far sparire definitivamente la
metafsica, per rendere superflua l'ipotesi di Dio (Laplace) e formulare una spiegazione del mondo
rigorosamente "scientifica". Una teoria evoluzionistica che spieghi in modo comprensivo l'insieme di
tutto il reale diventata una specie di "filosofa prima" che rappresenta per cos dire l'autentico
fondamento della comprensione raziona-
w
Su A. Comte cfr. H. DE LUBAC, Le drame de l'humanisme athe, Paris 19832 (tr. it. // dramma
dell'umanesimo ateo, Brescia 1996 ; tr. ted. Uber Goti hinaus. Tragedie des humanistischen Atheismus,
Einsiedeln 1984).
187
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
le40 del mondo. Ogni tentativo di fare entrare in gioco cause diverse da quelle che una teoria "positiva"
elabora, ogni tentativo di "metafisica" appare necessariamente come una ricaduta al di qua della
ragione, come un abbandono della pretesa universale della scienza. In tal modo l'idea cristiana di Dio
necessariamente considerata come non scientifica. A quest'idea non corrisponde pi nessuna theologia
physica: l'unica theologia naturalis , in questa visione, la dottrina evoluzionistica, ed essa non co-
nosce alcun Dio, n alcun Creatore nel senso del cristianesimo (del giudaismo e dell'isiam), e neppure
alcuna anima del mondo o dinamismo intcriore nel senso della Stoa. Eventualmente si potrebbe, in
senso buddhista, considerare il mondo intero come un'apparenza, e il nulla come l'autentica realt, e
giustificare in questo senso forme mistiche di religione che siano almeno non in diretta concorrenza
con la razionalit.
detta cos l'ultima parola? La ragione e il cristianesimo sono cos definitivamente separati l'una
dall'altro? Comunque stiano le cose, non v' strada che possa passar oltre la discussione sulla portata
della dottrina evoluzionistica come filosofa prima e l'esclusivit del metodo positivo come unico tipo
di scienza e razionalit. Occorre che questa discussione venga affrontata da entrambe le parti con
serenit e disponibilit ad ascoltare, cosa che finora accaduta solo in scarsa misura. Nessuno potrebbe
Rimane classico per questo tentativo J. MONOD, Le hasard et la necessiti, Paris 1976 (tr. it. // caso e
la necessit, Milano 1974; tr. ted. Zufoli und Notwendig-keit, Miinchen 1971). Per il dibattito sull'intero
gruppo di problemi, cfr. R. CHAN-DEBOIS, Pour en finir amo le Darwinisme. Une nauseile logique
du vivant, Montpellier 1993.
188
Capitolo II - verit del cristianesimo?
mettere seriamente in dubbio le prove scientifiche dei processi microevolutivi. Reinhard Junker e
Sieghfried Scherer dicono a questo proposito nel loro Kritisches Leh-rbuch sull'evoluzione: Tali
fenomeni [i processi microevolutivi] sono ben conosciuti a partire dai processi naturali di variazione e
di formazione. Il loro esame per mezzo della biologia evolutiva ha portato a conoscenze significative a
proposito della capacit di adattamento dei sistemi viventi, che appare geniale 41. Dicono in questo
senso che si pu a ragione caratterizzare la ricerca sull'origine come la disciplina regina della biologia.
La domanda che un credente pu porsi di fronte alla ragione moderna non su questo, ma sul fatto che
arriva ad essere una philosophia universalis che ambisce a diventare una spiegazione generale del reale
e tende a non consentire pi nessun altro livello di pensiero. Nella stessa dottrina evoluzionistica il
problema si presenta quando si passa dalla micro alla macroevoluzione, passaggio a proposito del quale
Eors Szathmary e Maynard Smith, entrambi convinti sostenitori di una elaborata teoria evoluzionistica,
ammettono anch'essi: Non ci sono motivi teorici che lascino pensare che delle linee evolutive
aumentino in complessit col tempo; non ci sono neanche prove empi-riche che ci avvenga 42.
L'interrogativo che ora bisogna porre va pi in profondit: si tratta di sapere se la dottrina
evoluzionistica pu presentarsi come una teoria universale di tutto il reale, al di l della quale le
ulteriori domande sull'origine e
p. 5.
42
R. JUNKER, S. SCHERER, Evolution. Ein kritisches Lesebuch, GieBen 19853,
E. SZATHMARY, M. SMITH, The mayor evolutionary transitions, in Nature 374, pp. 227-232;
citato secondo R. JUNKER, S. SCHERER, op. cit., p. 5.
189
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
la natura delle cose non siano pi lecite n necessarie, o se domande ultime del genere non superino
comunque il campo della pura ricerca scientifico-naturale. Vorrei porre la domanda in modo ancora pi
concreto; dice veramente tutto una risposta come quella che troviamo, per esempio, nella seguente
formulazione di Popper: La vita, come noi la conosciamo, consiste di "corpi" fisici (meglio: di
processi e strutture) che risolvono problemi. Questo le diverse specie hanno "imparato" tramite la
selezione naturale, cio tramite il metodo di riproduzione pi variazione; metodo che, da parte sua, fu
imparato secondo lo stesso metodo. una regressione, ma non infinita...?43 Non credo proprio. In fin
dei conti si tratta di un'alternativa che non si pu pi risolvere n semplicemente a livello delle scienze
naturali e in fondo neanche della filosofia. Si tratta di sapere se la ragione, o il razionale, si trova o no
al principio di tutte le cose e a loro fondamento. Si tratta di sapere se il reale nato sulla base del caso e
della necessit (o, con Popper, d'accordo con Butler, del luck and cunning [caso fortunato e previ-
sione])44, e quindi da ci che senza ragione; se, in altri termini, la ragione un casuale prodotto
secondario dell'irrazionale, insignificante, alla fine, nell'oceano dell'irrazionale, o se resta vera quella
che la convinzione fondamentale della fede cristiana e della sua filosofia: In principio erat Verbum -
al principio di tutte le cose c' la forza creatrice della ragione. La fede cristiana oggi come ieri
l'opzione per la priorit della ragione e del ra-
13
K. POPPER, Ausgangspunkte. Meine intellektuelle Enlwicklung (dall'ingl.), Hamburg 1979, p. 260.
44
K. POPPER, op. cit., p. 262.
190
Capitolo II - verit del cristianesimo?
zionale. Questo problema ultimo non pu pi, come gi si detto, essere risolto tramite argomenti tratti
dalle scienze naturali, e il pensiero filosofico stesso qui giunge al suo limite. In questo senso non si pu
fornire alcuna prova ultima dell'opzione cristiana fondamentale. Ma la ragione pu davvero, senza
rinnegare se stessa, rinunciare alla priorit del razionale sull'irrazionale, al Lgos come principio
primo? Il modello di spiegazione offerto da Popper, che con diverse varianti si trova in altre presen-
tazioni della "filosofa prima", dimostra che la ragione non pu che pensare anche l'irrazionale secondo
la sua misura, e quindi razionalmente (risolvere problemi, apprendere metodi!), ristabilendo cos
implicitamente proprio il primato contestato della ragione. Con la sua opzione a favore del primato
della ragione, il cristianesimo resta ancor oggi "razionalit", e penso che una razionalit che si sbarazzi
di questa opzione significherebbe per forza, contrariamente a tutte le apparenze, non un'evoluzione ma
un'involuzione della razionalit.
Abbiamo visto prima che nella concezione del cristianesimo primitivo le nozioni di natura, uomo, Dio,
ethos e religione erano indissolubilmente connesse l'una all'altra e che proprio quel nesso aveva aiutato
il cristianesimo, nella crisi degli di e nella crisi dell'antica razionalit, ad essere pensiero. L'orientarsi
della religione verso una visione razionale del reale, V ethos come parte di questa visione e la sua
applicazione concreta sotto il primato dell'amore, si legavano l'uno all'altro. Il primato del Logos e il
primato dell'amore si rivelavano identici. Il Logos non appariva pi solo come ragione matematica alla
base di tutte le cose ma come amore creatore fino al punto di diventare com-passione verso la creatura.
La dimensione
191
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cosmica della religione che venera il Creatore nella potenza dell'essere, e la sua dimensione
esistenziale, la questione della redenzione, si compenetravano e diventavano una cosa sola. Di fatto,
una spiegazione del reale che non pu fondare un ethos in modo sensato e comprensivo resta
necessariamente insufficiente. Ora, un fatto che la teoria evoluzionistica, l dove si accinge ad
allargarsi in philosophia universalis, tenta di fondare un nuovo ethos sulla base dell'evoluzione. Ma
questo ethos evoluzionistico, che trova ineluttabilmente la sua nozione chiave nel modello della
selezione, e quindi nella lotta per la sopravvivenza, nella vittoria del pi forte, nell'adattamento riuscito,
ha poco di consolante da offrire. Anche l dove si cerchi di abbellirlo in vari modi, resta alla fine un
ethos crudele. Lo sforzo per distillare il razionale a partire da una realt praticamente priva di
razionalit fallisce qui in modo lampante. Tutto ci serve a ben poco per quello di cui abbiamo
bisogno: un'etica della pace universale, dell'amore concreto del prossimo e del necessario andare oltre
il particolare.
Il tentativo di ridare, in questa crisi dell'umanit, un senso comprensibile alla nozione di cristianesimo
come religio vera deve, per cos dire, puntare ugualmente sul-l'ortoprassi e sull'ortodossia. Al livello
pi profondo il suo contenuto dovr consistere, oggi - come sempre, in ultima analisi -, nel fatto che
l'amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera
l'amore e l'amore la ragione vera. Nella loro unit essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il
reale.
192
III
FEDE, VERIT E CULTURA
RIFLESSIONI IN COLLEGAMENTO CON L'ENCICLICA FIDES ET RATIO
Di che cosa si tratta propriamente nella Lettera enciclica Fides et Ratio? essa un documento
unicamente per specialisti, un tentativo di ristabilire dalla prospettiva cristiana una disciplina caduta in
crisi, la filosofia, e quindi interessante solo per i filosofi, o pone un problema, che riguarda noi tutti? Si
pu formulare anche diversamente: la fede ha realmente bisogno della filosofa, o la fede, che secondo
un'espressione di sant'Ambrogio fu trasmessa a pescatori e non a dialettici, interamente indipendente
dall'esistenza o non esistenza di una filosofa aperta verso la fede? Se si considera la filosofa soltanto
come una disciplina accademica tra le altre, allora di fatto la fede ne indipendente. Il Papa tuttavia
intende la filosofa in un senso molto pi ampio e molto pi conforme all'origine d'esso. Il suo
problema se l'uomo possa conoscere la verit, le verit fondamentali su se stesso, sulla sua prove-
nienza e il suo futuro, o se viva in un crepuscolo che impossibile illuminare e debba in ultima analisi
necessariamente ridursi alla questione dell'utile. la peculiarit della fede cristiana nel mondo delle
religioni l'affermare di dirci la verit intorno a Dio, al mondo e all'uomo e di rivendicare d'essere la
religio vera, la religione della verit. Io sono la via, la verit e la vita, in questa frase di Cristo tratta
dal Vangelo di Giovanni (Gv 14,6) espressa la rivendicazione fondamentale della fede cristiana. Su di
essa si base la tendenza missionaria della fede: solo se la
193
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
fede cristiana verit, concerne tutti gli uomini; se essa meramente una variante culturale delle
esperienze religiose dell'uomo, cifrate nei simboli e mai decifrabili, deve per necessit rimanere entro
la sua cultura e lasciare le altre nelle loro.
Ma ci significa che il problema della verit quello essenziale della fede cristiana in assoluto, e in
questo senso essa ha ineludibilmente a che fare con la filosofa. Se dovessi caratterizzare brevemente
l'intento determinante dell'Enciclica, direi che essa vorrebbe riabilitare il problema della verit in un
mondo contrassegnato dal relativismo; vorrebbe anche far valere di nuovo come compito razionale e
scientifico il problema della verit, nella situazione della scienza contemporanea che cerca s delle veri-
t, ma squalifica in ampia misura come non scientifica appunto tale questione. L'Enciclica vorrebbe
molto semplicemente ridare il coraggio di affrontare l'avventura della verit. In tal modo essa parla
largamente oltre lo spazio della fede, ma anche al centro del mondo della fede.
1. Le parole, la Parola e la verit
Come non sia moderno oggi interrogarsi sulla verit, l'ha presentato spiritosamente lo scrittore e
filosofo C. S. Lewis in un libro di successo apparso per la prima volta negli anni Quaranta, The
Screwtape Letters (Le lettere di Berlicche]. Si tratta di un piccolo libro che mette in luce i problemi e i
pericoli dell'uomo moderno in modo spiritoso ed ironico sotto la forma di immaginarie lettere di un
diavolo di grado pi elevato, che ad un principiante nell'opera di seduzione dell'uomo trasmette
istruzioni, su come
194
Capitolo II - verit del cristianesimo?
egli debba ben comportarsi. Il piccolo diavolo aveva espresso preoccupazioni al suo superiore per il
fatto che proprio persone particolarmente intelligenti leggessero i libri della sapienza degli antichi ed in
tal modo potessero mettersi sulle tracce della verit. Berlicche lo tranquillizza, ricordandogli che
l'approccio storico, al quale fortemente gli studiosi del mondo occidentale sono stati convinti dagli
spiriti infernali, significa appunto questo, che l'unico problema, che con sicurezza non si porr mai,
quello della verit di quanto si letto; ci si interrogher invece su influssi e dipendenze, sullo sviluppo
dello scrittore interessato, sulla storia degli effetti della sua opera e cos via '. Jo-sef Pieper, che nel
suo trattato sull'interpretazione ha ripreso questo brano di C. S. Lewis, ricorda al riguardo che le
edizioni, ad esempio di Piatone o di Dante, stampate nei paesi dominati dal comunismo, facevano
precedere sistematicamente alle opere stampate un'introduzione, che aveva l'intenzione di fornire al
lettore una comprensione "storica" e cos escludere la questione della verit 46. Una scientificit
esercitata in tal modo diviene un'immunizzazione nei confronti della verit. La domanda se e quanto
ci che l'autore esprime sia vero, sarebbe una domanda non scientifica; condurrebbe anzi fuori
dall'ambito del documentabile e del dimostrabile, facendo ricadere nell'ingenuit del mondo precritico.
In tal modo viene neutralizzata anche la lettura della Bibbia: possiamo spiegare quando e in quali
condizioni una frase ha avuto origine e l'abbia-
45
C. S. LEWIS, The Screwtape Letters, London 196515, pp. 139ss. Qui la citazione tratta da J.
PlEPER, Was heifit Interpretation? in ID., Schriften zum Philosophiebegriff, in Werke, III, a cura di B.
Wald, Hamburg 1995, pp. 226ss. (tr. it. Lettere di Berlicche, Milano 1979).
Ivi, p. 227.
195
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
mo cos incasellata nell'ambito storico, che in ultima analisi non ci riguarda. Dietro questa forma di
"interpretazione storica" sta una filosofa, un atteggiamento di principio nei confronti della realt, che
ci dice: non ha senso interrogarsi su ci che ; possiamo solo domandarci che cosa possiamo fare con le
cose. Non in questione la verit, ma la prassi, il dominio delle cose a nostra utilit. Nei confronti di
una simile limitazione apparentemente evidente del pensiero umano sorge per l'interrogativo: che cosa
veramente ci utile? E per quale fine ci utile? Per quale scopo noi stessi esistiamo? A chi osserva con
attenzione, si manifestano in questo atteggiamento moderno contemporaneamente una falsa umilt e un
falso orgoglio: la falsa umilt, che non riconosce all'uomo la capacit di verit, e il falso orgoglio, con
il quale egli si colloca al di sopra delle cose, al di sopra della verit stessa, in quanto eleva a fine di
tutto il suo pensiero l'ampliamento del suo potere, il dominio delle cose. Quel che in Lewis appare nella
forma dell'ironia, lo possiamo trovare presentato scientificamente nella scienza della letteratura. In essa
il problema della verit congedato in termini del tutto espliciti, come non scientifico. L'esegeta
tedesco Marius Reiser ha recentemente rimandato all'espressione di Umberto Eco nel suo romanzo di
successo // nome della rosa, in cui dice: L'unica verit significa: liberarsi dalla morbosa passione per
la verit47. Il fondamento essenziale di questo inequivocabile rifiuto della verit consiste in quello che
oggi si chiama "svolta linguistica": al di l del linguaggio e delle sue immagini non si pu, secondo lui,
ritornare; la ragione
47
M. REISER, Bibel und Kirche. Eine Antwort an U. Luz, in TThZ 108 (1999), pp. 62-81; a questo
proposito, p. 72; U. ECO, // nome della Rosa, Milano 1980 (tr. ted. Der Nume der Rose, Miinchen
1982, p. 624).
196
Capitolo II - verit del cristianesimo?
condizionata linguisticamente e legata da vincoli linguistici48. Gi nell'anno 1901 F. Mauthner aveva
coniato la frase: Quanto per si chiama il pensare, solo vacuo linguaggio . M. Reiser in tale
contesto parla della rinuncia alla convinzione che con mezzi linguistici ci si possa riferire a quel
che extralinguistico . L'importante esege-ta protestante U. Luz constata - interamente nel senso di
quanto avevamo udito all'inizio da Berlicche - che la critica storica nell'epoca moderna ha abdicato di
fronte al problema della verit. Egli si crede obbligato ad accogliere questa capitolazione e ad
ammettere che oggi non si pu pi trovare la verit al di l dei testi, ma solo proposte e offerte di verit
concorrenti, che si devono presentare nel discorso pubblico sulla piazza del mercato delle
Weltanschauungen .
Chi riflette su queste vedute, si sentir rammentare quasi irresistibilmente un passo profondo dal Fedro
di Piatone. Socrate vi racconta a Fedro una storia che avrebbe udita dagli antichi i quali avevano
scienza del vero. Una volta Thot, il padre delle lettere alfabetiche e il dio del tempo, sarebbe
andato dal re egizio Thamus. Egli avrebbe istruito il sovrano su diverse arti inventate da lui e cos
particolarmente anche sull'arte dello scrivere da lui escogi-
M. REISER, op. cit., p. 63 con rimando a O. TRACY, Theologie ah Gesprch. Eine postmoderne
Hermeneutik, Mainz 1993, pp. 73-97.
49
F. MAUTHNER, Beitrge zii einer Kritik der Sprache, 3 voli., Stuttgart 1901-1902, 19232, ristampa
Frankfurt 1982, citazione al voi. Ili, p. 635. Cfr. M. REISER, op. cit., p. 73.
>0
M. reiser, op. cit., pp. 73ss.
51
Cfr. M. REISER, op. di. p. 631, U. Luz, Kann die Bibel heute nodi Grundlage fur die Kirche sein?
Uber die Aufgabe der Exegese in einer religios pluralistischen Ge-sellschafi, in NTS 44 (1998), pp.
317-339.
197
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
tata. Esaltando la sua invenzione, avrebbe detto al re: Questa conoscenza, o re, render gli egiziani pi
sapienti e capaci di ricordi, perch stata inventata quale ausilio per il ricordo cos come per la
sapienza. Ma il re non si lascia impressionare. Egli prevede come conseguenza dell'abilit nella
scrittura il contrario. Questo produrr oblio [...] nelle anime per la trascuranza dell'esercizio del ricor-
do, in quanto esse ora affidandosi allo scritto proveniente dall'esterno [...] attingono il ricordo non
dall'interno, da se stesse. Non per il ricordo, ma per l'annotazione tu hai inventato un mezzo, e ai tuoi
discepoli tu procuri solo l'apparenza della sapienza, non la realt in se. Poich essi sono uditori di molte
cose, senza ammaestramento, e cos penseranno di essere persone di molto sapere, l dove tuttavia in
segreto non sanno nulla e sono gente con cui diffcile trattare, in quanto sono saggi in apparenza, non
sapienti52. Chi oggi pensa come programmi televisivi inondino l'uomo con un profluvio di
informazioni, e in questo modo lo facciano una persona dal sapere apparente; chi pensa alle vaste
possibilit del computer e di internet, che per esempio consentono a chi ricerca d'avere sotto mano
subito tutti i testi di un Padre della Chiesa riferiti a una parola, senza per essere penetrato nel suo
pensiero, non riterr esagerati questi ammonimenti. Piatone non rifiuta la scrittura come tale, come noi
non ricusiamo le nuove possibilit dell'informazione e ne facciamo perci uso con gratitudine; ma egli
innalza un segnale d'allarme, la cui seriet viene documentata quotidianamente attraverso le
conseguenze della svolta linguistica cos come molte al-
52
Fedro nn. 274 d - 275 b. Cfr. in proposito H. SCHADE, Lamm Gottes und Zei-chen des Widders,
Freiburg i. Br. 1928, pp. 27s.
198
Capitolo II - verit del cristianesimo?
tre circostanze comuni a noi tutti. H. Schade rileva il nocciolo di quel che Piatone ha da dirci con
questo testo: il sopravvento di un metodo filologico e la perdita di realt che con esso procede,
quello da cui Piatone mette in
j. 53
guardia .
Dove la scrittura, lo scritto diventa la barriera contro il contenuto, divenuta essa stessa l'antiarte, che
non rende l'uomo pi sapiente, ma lo relega in una malata sapienza apparente. A. Kreiner osserva
quindi a ragione in rapporto alla svolta linguistica: la rinuncia alla convinzione di rapportarsi con
mezzi linguistici a contenuti extralinguistici equivale alla rinuncia a un discorso che in qualche modo
sia ancora sensato . Sullo stesso problema il Papa osserva nell'Enciclica quanto segue:
L'interpretazione di questa parola (= della parola di Dio) non pu solo rimandarci da interpretazione a
interpretazione, senza portarci ad attingere un'enunciazione semplicemente vera . L'uomo non
imprigionato nel salotto a specchi delle interpretazioni; egli pu e deve cercare la breccia per giungere
al reale, che sta dietro le parole e che gli si mostra nelle e attraverso le parole.
Qui siamo giunti al punto centrale del dibattito tra la fede cristiana e un determinato tipo di cultura
moderna, che vorrebbe farsi passare volentieri come la cultura moderna in assoluto, ma grazie a Dio ne
solo una variante. Ci per esempio risulter molto evidente nella critica che
53
H. schade, op. di, p. 27.
54
A. KREINER, Ende der Wahrheit?, Freiburg i. Br. 1992, p. 116, la citazione tratta da M. REISER,
op. cit., p. 74.
N. 84.
199
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
il filosofo italiano Paolo Flores d'Arcais ha esercitato nei riguardi dell'Enciclica. Appunto perch essa
insiste sul problema della verit, egli dichiara: la dottrina ufficiale cattolica (appunto questa
dell'Enciclica) non ha pi nulla da dire alla "cultura tout court"56. E questa "cultura tout court" non
allora piuttosto un'anticultura? E questa presunzione d'essere la cultura in senso assoluto, non allora
una presunzione arrogante, che disprezza le persone?
Che sia in questione precisamente questo punto si pu scorgere quando Flores d'Arcais rinfaccia
all'Enciclica conseguenze micidiali per la democrazia e identifica la sua dottrina con il tipo d'isiam
fondamentalistico. Per lui ne motivo il fatto che il Papa ha designato leggi che permettono l'aborto
e l'eutanasia come destituite di autentica valenza giuridica". Chi si pone in questo modo contro un
parlamento eletto e cerca di esercitare un potere civile con rivendicazioni ecclesiastiche, mostra, a suo
avviso, che nel suo pensiero rimane essenzialmente l'impronta in filigrana d'un dogmatismo cattolico.
Tali affermazioni presuppongono che non si possa dare alcun'altra
3(1
P. FLORES D'ARCAIS, Die Frage ist die Antwort. Zur Emyklika Fides et Ratio, in FAZ,
2.3.1999, n. 51, p. 47.
' Nei nn. 68-74 dell'enciclica Evangelium vitae il Papa si confronta, con argomentazione approfondita,
con la tesi che la legislazione di una societ debba limitarsi a registrare le opinioni della maggioranza e
a recepirle: la coscienza morale privata e l'ordinamento pubblico si dovrebbero separare rigorosamente
(n. 69). A questo il Papa contrappone la concezione che la democrazia non potrebbe essere il surrogato
della morale; il valore della democrazia - cos egli dice - sta e cade con i valori che essa incarna (n. 70).
Questi sviluppi fondamentali sui princpi della dottrina dello Stato non si possono mettere da parte con
la qualificazione sprezzante di "fondamentalismo"; essi meritano almeno un rinnovato dibattito. Mi sa
consentito in tale contesto di rinviare anche al mio libro Wendeyit fir Europa?, Einsiedeln -Freiburg i.
Br. 1991.
200
Capitolo II - verit del cristianesimo?
visione superiore alle decisioni di una maggioranza. La maggioranza accidentale diventa un che di
assoluto. Poich ora l'Assoluto, l'Ineludibile ritorna a esistere. Siamo esposti alla signoria del
positivismo e all'assolutizzazione dell'accidentale, anzi di quanto manipolabile. Se l'uomo escluso
dalla verit, allora ormai solo il casuale, l'arbitrario, a dominare su di lui. Perci non "fondamenta-
listico", ma un dovere deW humanitas difendere l'uomo dall'accidentale o casuale fattosi assoluto e
restituirgli la sua dignit, che consiste proprio nell'impossibilit in ultima analisi, da parte di qualsiasi
istanza umana, di dominare su di lui, poich egli aperto alla verit stessa. L'Enciclica appunto nel suo
insistere sulla attitudine alla verit un'apologi sommamente necessaria della grandezza dell'uomo
contro quello che vorrebbe farsi passare per "la cultura tout court".
Naturalmente difficile, dato il canone dei metodi che oggi si imposto come "filigrana della
scientificit", procurare di nuovo un ingresso al problema della verit nel pubblico dibattito. Pertanto
necessaria una discussione condotta a fondo sull'essenza della scienza, severit e metodo, sul mandato
della filosofa e sui suoi itinerari possibili. Il Papa non ha considerato suo compito nell'Enciclica
affrontare il problema totalmente pratico, interrogandosi se e come la verit possa tornare a essere
"scientifica". Ma egli mostra perch dobbiamo accingerci a questo compito. Non voleva svolgere lui
stesso il compito dei filosofi, ma ha attuato quello della protesta ammonitrice, il quale si contrappone
alla tendenza distruttiva della "cultura tout court". Proprio questa protesta in tono di monito un atto
autenticamente filosofico, rende presente l'origine socratica
201
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
della filosofia e in tal modo dimostra la potenza filosofca che si trova nella fede biblica. L'essenza
della filosofa contraddetta da un tipo di scientificit che le interdice o le rende impossibile il
problema della verit. Tale autochiusura, tale rimpicciolimento della ragione non possono essere il
criterio della filosofa, e non lecito che la scienza nel suo complesso finisca col rendere impossibili i
problemi pi veri dell'uomo, senza i quali essa stessa rimarrebbe un'occupazione vacua e, in ultima
istanza, pericolosa. Non pu essere compito della filosofia assoggettarsi a un canone metodologico, che
ha diritto di esistere in singoli settori del pensiero; suo compito dev'essere proprio quello di riflettere
sulla scientificit nel suo insieme, coglierne criticamente l'essenza e al tempo stesso trascenderla, in un
modo di cui possa razionalmente rispondere, in direzione di quanto le conferisca in assoluto un senso.
La filosofia deve sempre indagare sull'uomo stesso, e quindi deve sempre compiere ricerche su vita e
morte, Dio ed eternit. A tal fine, certo si servir oggi in primissima istanza di un'aporia di quel genere
di scientificit, che taglia fuori l'uomo da tali problemi e, movendo da queste aporie, che la nostra
societ precisamente ci mette sott'oc-chio, tenter di riaprire la strada verso quanto necessario
(Notwendig), che rovescia la condizione di angustia e angoscia (Noi - Wendend). Nella storia della
filosofa dell'et moderna non sono mancati tentativi del genere e anche attualmente vi sono sufficienti
spunti incoraggianti per aprire di nuovo la porta verso il problema della verit, per uscire dal linguaggio
che gira su se stesso58. In questo
Da questo punto di vista l'enumerazione dei nomi offerta dall'Enciclica nel n. 71 senza dubbio riuscita
troppo modesta. Basta ricordare nel nostro secolo l'importanza della scuola fenomenologica - da E.
Husserl a M. Scheler - e la grande
202
Capitolo II - verit del cristianesimo?
senso l'appello dell'Enciclica assume senza dubbio un atteggiamento di critica culturale contro la nostra
attuale situazione culturale, ma simultaneamente si trova in un'unit profonda con elementi essenziali
della lotta spirituale dell'epoca moderna. Non mai anacronistica la fiducia di cercare e trovare la
verit: essa appunto quello che mantiene l'uomo nella sua dignit, spezza i particolarismi e conduce
gli uomini gli uni verso gli altri al di l dei confini tra culture in virt della loro comune dignit.
2. Cultura e verit
a) Sull'essenza della cultura.
Ci su cui finora abbiamo riflettuto si potrebbe designare come la controversia tra la fede cristiana che
trova espressione nell'Enciclica e un determinato tipo di cultura moderna, disputa durante la quale il
lato tecnico-scientifico della cultura nelle nostre considerazioni rimasto escluso. La nostra attenzione
era diretta agli aspetti della nostra cultura riguardanti le scienze dello spirito. Non sarebbe diffcile
mostrare che la sua confusione e perplessit di fronte alla questione della verit, perplessit che nel
frattempo si mutata addirittura in collera contro di essa, in ultima analisi si basa sul suo desiderio di
conseguire lo stesso canone metodologico e lo stesso tipo di sicurezza quale si da nell'ambito empirico.
La limitazione metodologica della scienza naturale a quanto controllabile sperimentalmente diviene
addirittura dimostrazione di scientif-
corrente del personalismo con nomi come F. Ebner, E. Mounier, G. Marcel o grandi pensatori ebrei
come Bergson, Buber e Lvinas, per vedere che la filosofia nel senso inteso dall'Enciclica ancor oggi
possibile e reale in una pluralit di configurazioni.
203
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cita, anzi di razionalit in assoluto. La rinuncia metodica, che nel quadro della scienza empirica
sensata, anzi necessaria, si fa cos una barriera contro la questione della verit. In fondo si tratta del
problema "verit e metodo", dell'universalit di un canone metodologico rigorosamente empirico. Il
Papa, opponendovisi, tutela la molteplicit degli itinerari dello spirito umano, l'ampiezza della
razionalit, che, a seconda della modalit dell'oggetto, deve conoscere anche differenti metodi. Quanto
non materiale non pu essere affrontato con metodi conformi a quel che materiale, cos si potrebbe
sintetizzare un po' grossolanamente la protesta del Papa contro una forma unilaterale di razionalit.
La disputa con la cultura moderna circa verit e metodo l'unico filone fondamentale nel tessuto della
nostra Enciclica. Ma il problema verit e cultura si propone sotto un altro aspetto ancora, che rinvia
essenzialmente alla sfera religiosa in senso vero e proprio. Alla rivendicazione di universalit di quanto
cristiano, che si basa sull'universalit della verit, viene oggi volentieri contrapposta la pluralit delle
culture. Il tema risuona gi nel XVIII secolo in Gotthold Ephraim Lessing, che presenta le tre grandi
religioni nella parabola dei tre anelli, uno dei quali dovrebbe essere quello autentico e vero, ma
l'autenticit non si pu pi accertare. La questione della verit insolubile e viene sostituita col
problema dell'effetto risanatore e purificatore della religione. All'inizio del nostro secolo [il XX, n.d.t]
Ernest Troeltsch ha poi espressamente tematiz-zato la questione "religione e cultura", "verit e cultura".
Se all'inizio egli presentava ancora il cristianesimo come la comune rivelazione della religiosit
personalistica,
204
Capitolo II - verit del cristianesimo?
come l'unica perfetta rottura rispetto ai limiti e alle condizioni della religione naturale, nel corso del
suo cammino di pensiero la definizione culturale della religione si sempre pi sovrapposta allo
sguardo diretto da lui alla verit e ha assoggettato tutte le religioni a una relativit delle culture. La
validit del cristianesimo diventa per lui alla fine una "faccenda europea". Per lui il cristianesimo il
tipo della religione adeguato all'Europa, mentre ora riconosce al buddhismo e al bramanesimo
un'"assoluta autonomia". La questione della verit praticamente congedata, i limiti delle culture sono
divenuti invalicabili59.
Un'Enciclica, che tutta ordinata all'avventura delle verit, doveva perci porre anche il problema di
verit e cultura. Doveva ricercare se vi possa essere in genere una comunione delle culture nella verit
una - se la verit, superando le sue forme culturali, sia in grado di enunciare se stessa per tutti gli
uomini o se, in ultima analisi, la si possa sempre presagire solo asintoticamente dietro forme culturali
diverse o persino opposte.
A un concetto statico di cultura, che ne presuppone forme fisse, che in ultima istanza rimangono
costanti e sono solo giustapposte tra loro, n possono trapassare le une nelle altre, nell'Enciclica il Papa
contrappone un modo dinamico e comunicativo di intendere la cultura. Egli sottolinea che le culture
quando sono profondamente radicate nell'umano, [...] portano in s la testimonianza della tipica
apertura dell'uomo, all'universale e alla trascendenza 60. Perci le cultu-
Cfr. in proposito H. BURKLE, Der Mensch auf der Suche nach Goti - die Frage der Religione^
Lehrbiicher zur katholischen Theologie III, Paderborn 1996, pp. 60-67.
60
N. 70.
205
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
re quale espressione dell'unica essenza dell'uomo sono caratterizzate dalla dinamica dell'uomo, che
trascende tutti i limiti. Le culture pertanto non sono fissate una volta per sempre a una struttura, ma
hanno la capacit di progredire e di trasformarsi, col pericolo tuttavia anche di decadere. Esse sono
impostate per l'incontro e la fecondazione reciproca. Poich l'apertura interiore dell'uomo a Dio da loro
un'impronta tanto pi profonda, quanto pi grandi e pure esse sono, proprio per questo in esse iscritta
l'interiore disponibilit alla Rivelazione di Dio. Essa non per loro nulla di estraneo, ma risponde a
un'intima attesa delle culture stesse. In tale contesto Theodor Haecker ha parlato del carattere
d'Avvento delle culture precristiane61, e nel frattempo molteplici ricerche di storia delle religioni hanno
anche potuto mostrare molto chiaramente questo dirigersi delle culture verso il Logos di Dio, che si
fatto carne in Ges Cristo''2. In tale contesto il Papa prende spunto dall'elenco dei popoli del racconto
della Pentecoste negli Atti degli Apostoli (At 2,7-11), che ci narra come la testimonianza per Cristo
divenga percepibile attraverso ed entro tutte le lingue, vale a dire tutte le culture che si presentano in
esse. In tutte la parola umana diviene veicolo della parola propria di Dio, del suo proprio Logos.
L'Enciclica dice in proposito: L'annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli
desti-natari l'adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identit culturale. Ci
non crea divisione alcuna, perch il popolo dei battezzati si distingue per una universalit che sa
accogliere ogni cultura63.
61
T. HAECKER, Vergil. Valer des Abendlandes, Miinchen 19175, per esempio pp. 117ss. (tr. it. Virgilio.
Padre dell'Occidente, Brescia 1935).
62
Cfr. per esempio H. BURKLE, op. rii, pp. 14-40.
63
N. 71.
206
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Da queste premesse, il Papa sviluppa, con funzione di modelli per il rapporto generale della fede
cristiana con le culture precristiane sull'esempio di quella indiana, criteri che devono essere osservati
nell'incontro di queste culture con la fede. Egli rimanda anzitutto molto brevemente al grande slancio
spirituale del pensiero indiano, che lotta per conquistare la libert dello spirito dalle condizioni spa-
ziotemporali e cos pratica l'apertura metafsica dell'uomo, che poi stata strutturata anche
speculativamente in importanti sistemi filosofici64. Con queste indicazioni diviene chiara la tendenza
universale delle grandi culture, il loro trascendere spazio e tempo, e cos anche il loro protendersi ad
attingere l'essere dell'uomo e le sue possibilit pi grandi. In ci consiste la capacit di dialogo delle
culture tra loro, in questo caso tra quella indiana e le culture cresciute sul suolo della fede cristiana. In
tal modo, per cos dire dal contatto intimo con la cultura indiana, risulta da s il primo criterio: esso
consiste nell'universalit dello spirito umano le cui esigenze fondamentali si ritrovano identiche nelle
culture pi diverse65. Ne segue contemporaneamente un secondo criterio: quando la Chiesa entra in
contatto con grandi culture precedentemente non raggiunte, non pu lasciarsi alle spalle ci che ha
acquisito dall'inculturazione nel mondo greco-latino. Rifiutare una simile eredit sarebbe andare contro
il disegno provvidenziale di Dio66. Infine l'Enciclica cita un terzo criterio, che consegue alle riflessioni
svolte fino a questo punto sull'essenza della cultura. Ci si deve guardare: dal confondere
64 (ili Cfr. ivi, n. 72.
65 Ivi, n. 72.
66 Ivi, n. 72.
207

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda


Capitolo II - verit del cristianesimo?
la legittima rivendicazione della specificit e dell'originalit del pensiero indiano con l'idea che una
tradizione culturale debba rinchiudersi nella sua differenza e affermarsi nella sua opposizione alle altre
tradizioni, ci che sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito umano67.
b) Superamento delle culture nella Bibbia e nella storia della fede
Quando il Papa insiste sulPirrinunciabilit del retaggio culturale una volta acquisito, che divenuto un
veicolo per la verit comune di Dio e dell'uomo stesso, naturalmente si solleva comunque
l'interrogativo se con questo non venga canonizzato un eurocentrismo della fede, che non viene tolto e
superato nemmeno dal fatto che possa entrare e sia gi entrata, in verit, durante la progressiva storia
della fede, anche nuova eredit nell'identit della fede che permane e riguarda tutti. La questione
rimane ineludibile: quanto greca, quanto latina propriamente la fede, che del resto nata non nel
mondo greco e latino, ma in quello del Medio Oriente, in cui sono gi sempre entrate in contatto e
continuano a esserlo Asia, Africa ed Europa? L'Enciclica prende posizione su questo problema
particolarmente nel secondo capitolo sullo sviluppo del pensiero filosofico all'interno della Bibbia e nel
quarto decisivo capitolo, quando presenta l'incontro di questa sapienza della ragione, cresciuta nella
fede, con la sapienza greca della filosofa. un problema che in questo libro
Ivi, n. 72.
208

abbiamo ripetutamente incontrato da diversi lati: a questo punto possono essere d'aiuto le seguenti
indicazioni.
Gi nella Bibbia stessa viene rielaborato un patrimonio di pensiero religioso e filosofico pluralistico
derivante da diversi mondi culturali. La Parola di Dio si sviluppa nel contesto di una serie di incontri
con la ricerca da parte dell'uomo di una risposta alle sue domande ultime. Non caduta direttamente
dal cielo, ma addirittura una sintesi delle culture. A uno sguardo pi profondo per possibile
riconoscere un processo, nel quale Dio lotta con l'uomo e lo apre lentamente alla sua parola pi
profonda, a se stesso: al Figlio, che il Logos. La Bibbia non semplicemente espressione della cultura
del popolo di Israele, ma si trova costantemente in conflitto con la tendenza, del tutto naturale, di
questo popolo ad essere semplicemente se stesso, a "domiciliarsi" nella sua propria cultura. La fede in
Dio ed il "s" alla volont di Dio gli viene costantemente strappato contro le sue proprie concezioni e
desideri. Si pone continuamente contro la religiosit propria di Israele e la cultura religiosa propria
d'esso, la quale voleva esprimersi nel culto delle alture, nel culto della Regina del cielo, nella
rivendicazione di potere per il proprio regno. Cominciando dall'ira di Dio e di Mos contro il culto del
vitello d'oro al Sinai fino ai profeti del tardo post-esilio, si tratta sempre del fatto che Israele viene
strappato alla sua propria identit culturale ed ai suoi desideri religiosi, che deve per cos dire
abbandonare il culto della propria nazionalit, del "sangue e del suolo", per piegarsi al totalmente Altro,
al Dio che non gli appartiene, che ha creato il cielo e la terra ed il Dio di tutti i popoli. La fede di
Israele significa un autosuperamento della propria cultura per aprirsi ed entrare nella vastit della ve-
209
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
rit comune a tutti. I libri dell'Antico Testamento possono apparire sotto molti aspetti meno pii, meno
poetici, meno ispirati che non significativi passi dei libri sacri di altri popoli. Ma la loro originalit
risiede in questo carattere conflittuale della fede contro ci che proprio, in questo uscire da quanto
proprio, che comincia con il pellegrinaggio di Abramo. L'uscita dalla Legge, che Paolo raggiunge
lottando a partire dal suo incontro con Ges Cristo risorto, porta questo orientamento di fondo
dell'Antico Testamento al suo fine logico: esso esprime pienamente l'u-niversalizzazione di questa fede,
che viene staccata dalla particolarit di un ordinamento etnico. Ora tutti i popoli sono invitati ad entrare
in questo processo di superamento della particolarit, che ha avuto inizio innanzitutto in Israele, a
rivolgersi a quel Dio, che da parte sua si oltrepassato in Ges Cristo ed ha infranto il muro
dell'inimicizia che era fra noi (./"2,14) e ci conduce l'uno verso l'altro nell'espropriazione di s
compiuta sulla croce. La fede in Ges Cristo pertanto di sua natura un continuo aprirsi, irruzione
(Einbruch) di Dio nel mondo umano e aprirsi (AufbrucKj dell'uomo in risposta a Dio, che nello stesso
tempo conduce gli uomini l'uno verso l'altro. Tutto quanto ci appartiene ora appartiene a tutti, e tutto
ci che degli altri diviene allo stesso tempo anche nostro, questa totalit indicata dalla parola del
Padre al figlio maggiore: Tutto ci che mio tuo (Le 15,31), che ritorna nella preghiera sacerdotale
di Ges come parola del Figlio al Padre: Tutto ci che mio tuo, e tutto ci che tuo mio (Gv
17,10).
Questo modello fondamentale determina anche l'incontro del messaggio cristiano con la cultura greca,
che in
210
Capitolo II - verit del cristianesimo?
realt non ha inizio solo con la missione cristiana, ma si era sviluppato gi all'interno delle Scritture
dell'Antico Testamento, soprattutto attraverso la sua traduzione in greco e a partire da questa nel
periodo del primo giudaismo. Questo incontro fu possibile, perch nel frattempo nel mondo greco si era
fatto strada un simile processo di autosuperamento. I Padri non hanno semplicemente fuso nel Vangelo
una cultura greca autonoma ed a s stante. Essi poterono riprendere il dialogo con la filosofia greca e
renderla strumento del Vangelo, dal momento che nel mondo greco in virt della ricerca di Dio si era
messa in moto una autocritica della propria cultura e del proprio pensiero. La fede ha avvicinato i
diversi popoli - cominciando con i Germani e gli Slavi, che vennero in contatto con il messaggio
cristiano al tempo delle grandi migrazioni dei popoli, per giungere fino ai popoli dell'Asia, dell'Africa,
dell'America - non alla cultura greca in quanto tale, ma al suo autosuperamento che fu il vero punto
d'aggancio per l'interpretazione del messaggio cristiano. A partire da questa apertura, la fede ha attirato
la cultura greca sempre pi in una dinamica dell'autosuperamento. Richard Schffler recentemente ha
detto al riguardo con molta acutezza che la predicazione cristiana fin all'inizio esige dai popoli
dell'Europa (che per altro come tale non esisteva prima della missione cristiana), l'abbandono [...] di
ogni Dio autoctono degli Europei, molto prima che apparissero sulla loro scena le culture
extraeuropee68. A partire di qui si pu comprendere perch l'annuncio cristiano cerca un collegamento
con la filosofa, e non con le
R. SCHFFLER, Ent-europaisierung des Christianismus', in Theologie und Glau-be 88 (1990), pp.
121-131.
211
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
religioni. Dove quest'ultimo collegamento fu tentato, dove ad esempio si volle interpretare Cristo come
il vero Dio-niso, Asclepio o Eracle, tali tentativi sono stati presto considerati come sorpassati . Non si
cercato un collegamento con le religioni, ma con le filosofe, appunto per il fatto che non si
canonizzata una cultura, ma si potuto penetrare al suo interno, l dove essa aveva cominciato ad
uscire da se stessa, si era messa in cammino per aprirsi alla verit comune a tutti ed aveva abbandonato
dietro di se la chiusura entro la sua particolarit. Ci anche oggi un'indicazione fondamentale per il
problema dei contatti e del trapasso ad altri popoli e culture. Sicuramente la fede non pu stringere
legami con filosofie che escludono la questione della verit, ma certo lo pu fare con quei movimenti
che si sforzano di uscire dalla prigione relativistica. Certamente essa non pu riallacciarsi in termini
diretti alle antiche religioni. Certo tuttavia le religioni possono offrire forme e strutture, - ma soprattutto
atteggiamenti -il timore reverenziale, l'umilt, la disponibilit al sacrifcio, la bont, l'amore del
prossimo, la speranza nella vita eterna70. Mi sembra - sia detto di passaggio - che questo sia importante
anche per la questione del significato salvifico delle religioni. Esse sono salvifche non per cos dire in
quanto sistemi chiusi e per la loro fedelt al sistema, ma contribuiscono alla salvezza, l dove
conducono l'uomo, a cercare il volto di Dio (come si esprime l'Antico Testamento), a cercare il
regno di Dio e la sua giustizia.
69
Cfr. R. SCHFFLER, op. di, p. 123.
'" Sono presentati in modo molto appropriato questi nessi-accettazione e trazione, discernimento e
rifiuto in H. BRKLE, op. di, (vedi nota 15),
sformazione, d pp. 18-40.
212
Capitolo II - verit del cristianesimo?
3. Religione, verit e salvezza
Mi si consenta a questo punto di fermarmi ancora brevemente, perch esso tocca una questione di
fondo dell'esistenza umana, che a buon diritto rappresenta anche uno tra i principali problemi nel
dibattito teologico contemporaneo. Infatti, in realt si tratta del vero e proprio impulso da cui ha preso
le mosse la filosofa, e a cui deve sempre ritornare per necessit; in riferimento a esso, filosofa e
teologia entrano necessariamente in contatto, se rimangono fedeli al loro compito. l'interrogativo:
come diventa integro e salvo (heit) l'uomo? Come diviene giusto? L'epoca antica a questo proposito ha
pensato preminentemente alla morte e a quanto viene dopo di essa; l'epoca contemporanea che
considera l'aldil insicuro, e perci lo estromette in larga misura dai suoi problemi, deve almeno
ricercare la rettitudine o giustizia nel tempo e, ci facendo, non pu lasciar da parte il problema del
modo in cui si possa superare la morte. Nel dibattito sul rapporto tra cristianesimo e religioni del mon-
do per il vero e proprio punto discusso rimasta singolarmente la modalit con cui si rapportano le
religioni con la salvezza eterna. E ora, su questo punto, si imposta abbastanza generalmente la tesi
che le religioni sono tutte vie di salvezza. Forse non la via salvifica ordinaria, ma, in caso affermativo,
"vie di salvezza straordinarie": vale a dire divenuta una visione corrente che attraverso tutte le
religioni si giunge alla salvezza.
Questa risposta non corrisponde soltanto all'idea della tolleranza e del rispetto dell'altro, che oggi ci si
impone. Essa corrisponde anche all'immagine moderna di Dio. Egli non pu respingere persone solo
perch non cono-
213
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
scono il cristianesimo e sono cresciute appunto in altre religioni. Egli accoglier la loro piet religiosa
esattamente come la nostra. Per quanto evidente sia di primo acchito questa tesi, che frattanto stata
consolidata sulla base di molte altre argomentazioni, tuttavia essa suscita problemi. Infatti le singole
religioni esigono non solo cose diverse, ma anche opposte. Considerato l'aumento del numero di
persone prive di vincoli religiosi, nel frattempo questa teoria della salvezza universale viene estesa
anche a forme d'esistenza non religiosa vissuta coerentemente. Allora vale pi che mai la
considerazione per cui anche cose contrad-dittorie possono portare allo stesso fine - in una parola ci
troviamo di nuovo di fronte al problema del relativismo. Tacitamente si presuppone che in fondo tutti i
contenuti siano indifferenti [ugualmente validi, gleich giiltig]. Ci che vale veramente e propriamente
non lo sappiamo. Ciascuno deve percorrere la sua strada - divenire felice a sa fa-fon, come diceva
Federico II di Prussia. Cos, passando per le teorie della salvezza, il relativismo irresistibilmente torna a
introdursi dalla porta di servizio. La questione della verit viene eliminata dal problema delle religioni
e da quello della salvezza. La verit viene sostenuta dalla buona intenzione, la religione rimane
nell'ambito soggettivo, perch quanto oggettivamente buono e vero non si pu riconoscere.
a) La disuguaglianza delle religioni e la minaccia dei pericoli per esse
Dobbiamo accontentarci di questo? L'alternativa tra rigorismo dogmatico e relativismo umanitario
inevitabile? Io penso che, nel caso delle tre teorie appena esposte,
214
Capitolo II - verit del cristianesimo?
non si sia riflettuto bene su tre cose. Anzitutto le religioni (e nel frattempo anche l'agnosticismo e
l'ateismo) sono considerate come omogenee. Ma non cos. Di fatto esistono forme di religione
degenerate e morbose, che non costruiscono l'uomo, ma lo alienano. La critica marxista della religione
non era in tutto e per tutto campata in aria. E anche religioni, alle quali doveroso riconoscere
grandezza morale e di essere sulla via verso la verit, possono, per certi tratti di cammino, ammalarsi.
Nell'induismo (che propriamente un nome collettivo per designare molteplici religioni) vi sono
elementi grandiosi, ma anche aspetti negativi - l'intreccio col sistema delle caste, il rogo delle vedove -
che si erano formati sviluppandosi da rappresentazioni all'inizio simboliche, e ci sarebbero da citare
eccessi dello shaktismo, per dare solo pochi accenni. Ma anche l'isiam con tutto quanto di grande rap-
presenta, continuamente in pericolo di perdere l'equilibrio, di dare spazio alla violenza e di far
scivolare la religione nell'esteriorit e nel ritualismo. E vi sono anche, naturalmente, forme patologiche
di quanto cristiano, come noi sappiamo fin troppo bene - per esempio quando i cavalieri crociati, alla
conquista di Gerusalemme, la Citt Santa, in cui Cristo mor per tutti gli uomini, da parte loro
provocarono un bagno di sangue tra musulmani ed ebrei. Questo significa: la religione esige discerni-
mento, sia tra forme delle religioni, sia all'interno della stessa religione, in direzione della sua altezza
pi vera. Con l'indifferenziazione delle religioni e con l'idea che esse siano tutte s distinguibili, e
tuttavia propriamente uguali, non si avanza. Il relativismo pericoloso, in un senso del tutto concreto -
per la forma d'essere dell'uomo sia a livello di singolo che di comunit. L'abdicazione
215
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
alla verit non salva l'uomo. Nessuno pu fngere di non vedere quanto male si sia compiuto nella
storia nel nome di buone opinioni e intenzioni.
b) La questione della salvezza
Con questo tocchiamo gi il secondo punto, che in genere viene trascurato. Quando si parla del
significato salvifico delle religioni, stupefacente che si pensi per lo pi solo al loro rendere possibile
la via eterna, mentre in tal modo il pensiero vlto alla vita eterna per neutralizzato, poich a essa si
arriva comunque. Con questo procedimento, tuttavia, la questione della salvezza riassunta in modo
inadeguato. Il cielo comincia sulla terra. La salvezza nell'aldil presuppone la vita retta nell'aldi-qua.
Quindi non ci si pu affatto chiedere semplicemente chi vada in cielo e per questa via
contemporaneamente sbarazzarsi della questione del cielo. Ci si deve interrogare su che cosa sia il cielo
e come venga sulla terra. La salvezza nell'aldil deve delinearsi in una forma di vita, che renda l'uomo
quaggi "umano" e perci conforme a Dio. A sua volta, questo significa che, trattando la questione
della salvezza, si deve guardare al di l delle religioni stesse e che al riguardo occorrono criteri di vita
retta, che non possono essere relativizzati ad arbitrio. Direi dunque: la salvezza ha inizio quando
l'uomo diviene giusto in questo mondo, cosa che abbraccia sempre i due poli del singolo e delle
comunit. Vi sono forme di condotta che non possono mai servire al cammino in cui l'uomo diviene
giusto e altre che rientrano sempre nella giustizia o rettitudine dell'uomo. Ci significa che la salvezza
non sta nelle religioni in quanto tali, ma collega-
216
Capitolo II - verit del cristianesimo?
ta con esse, nella misura in cui portano l'uomo al Bene unico, alla ricerca di Dio, alla verit e all'amore.
Pertanto la questione della salvezza reca sempre in s un elemento di critica della religione, come
viceversa questo pu essere collegato positivamente con le religioni. In ogni caso ha a che fare con
l'unit del bene, con l'unit del vero - con l'unit di Dio e dell'uomo.
e) La coscienza morale (Gewisserj e la capacit di verit dell'uomo
Questa affermazione porta al terzo punto, su cui volevo esprimermi qui. L'unit dell'uomo ha un
organo: la coscienza morale. Rappresent l'audacia di san Paolo, l'affermare che tutti gli uomini sono
capaci di ascoltare la coscienza morale, lo staccare cos la questione della salvezza dalla conoscenza e
dall'osservanza della Torah e il metterla in tal modo di fronte all'appello comune della coscienza
morale, in cui parla l'unico Dio, che dice a ogni uomo quanto veramente essenziale della Torah.
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo
legge, sono legge a s stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige scritto nei loro cuori, come
dimostra la testimonianza della loro coscienza (Rm 2,14). Paolo non dice: quando i pagani si
attengono alla loro religione, questa cosa buona davanti al giudizio di Dio. Al contrario, egli
condanna gran parte delle pratiche religiose di quel tempo. Egli rimanda a un'altra fonte - a quanto
iscritto nel cuore di tutti, l'unico Bene dell'unico Dio. Qui per altro oggi si contrappongono due concetti
con-trari di coscienza morale, che per per lo pi vengono
217
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
"incastrati" reciprocamente. Per Paolo la coscienza l'organo mediante il quale traspare il Dio unico in
tutti gli uomini, che sono un solo uomo. Al presente invece la coscienza appare come espressione
dell'assolutezza del soggetto, al di sopra del quale nella sfera morale non vi pu essere alcuna istanza. Il
bene come tale non percepibile. Il Dio unico non percepibile. Per quanto concerne morale e
religione, il soggetto l'ultima istanza. Questo logico, se la verit come tale inaccessibile. Cos nel
concetto di coscienza dell'et moderna, essa la canonizzazione del relativismo, l'impossibilit di
criteri comuni morali e religiosi, mentre, viceversa, per Paolo e per la tradizione cristiana era stata la
garanzia dell'unit dell'uomo e della percepibilit di Dio, del carattere vincolante del bene unico e
uguale71. Che in tutti i tempi vi siano stati e vi siano dei "santi pagani" dipende dal fatto che dappertutto
e in tutti i tempi - seppure spesso solo con fatica e a frammenti poteva essere percepita la sentenza del
"cuore", che la Torah di Dio diviene udibile in noi stessi, nel nostro essere creaturale, e cos possibile
oltrepassare quanto meramente soggettivo, in direzione gli uni degli altri e di Dio. E questa la
salvezza. Per il resto, quel che Dio fa dei miseri frammenti del nostro avvio verso il bene, dirigendoli a
se stesso, rimane il suo mistero che noi non dovremmo presumere di voler c.ontrollare.
n
Mi sia consentito per il problema della coscienza morale di rinviare al mio volumetto, Wahrheit,
Werte, Macht, Freiburg i. Br. 1993, nuova ed. Frankfurt 1999, pp. 25-62.
218
Capitolo II - verit del cristianesimo?
4. Riflessioni conclusive
Alla fine di queste riflessioni vorrei ancora richiamare l'attenzione su una indicazione metodologica,
che il Papa da per il rapporto tra teologia e filosofa, tra fede e ragione, poich per tal via viene
affrontata la questione pratica del modo in cui un rinnovamento del pensiero flosofico e teologico
potrebbe mettersi in moto nel senso dell'Enciclica. Essa parla di un movimento circolare tra teologia
e filosofa e lo intende nel senso che la teologia deve partire sempre dapprima dalla parola di Dio, ma
poich questa parola verit, la metter in rapporto con la ricerca umana della verit, con la lotta della
ragione per la verit e cos la immetter nel dialogo con la filosofia. La ricerca della verit da parte del
credente si svolge di conseguenza in un movimento, nel quale l'ascolto della Parola emanata e la ricerca
in cui si impegna la ragione si incontrano continuamente. Per tale via, da una parte la fede si fa pi
profonda e pura, dall'altra anche il pensiero per riceve arricchimento, poich gli si dischiudono nuovi
orizzonti. Mi sembra che si potrebbe estendere ancora per un tratto ulteriore questo cammino della
circolarit. Anche la filosofa come tale non dovrebbe chiudersi in quanto puramente suo proprio ed
ideato da lei; come essa deve porsi all'ascolto di conoscenze empiriche, che maturano nelle diverse
scienze, cos dovrebbe reputare anche la sacra tradizione delle religioni e particolarmente il messaggio
della Bibbia come una fonte del conoscere, da cui essa consente d'essere fecondata. Di fatto non esiste
una grande filosofa che non abbia ricevuto illuminazioni e indicazioni sul cammino dalla tradizione
religiosa, sia che pensiamo alle filosofe della Grecia e dell'India, sia che ci rivolgiamo alla filosofia,
che si sviluppata all'interno del cristia-
219
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
nesimo, o anche a quelle dell'epoca moderna, che erano convinte dell'autonomia della ragione e la
consideravano il criterio supremo del pensare, ma tuttavia rimanevano debitrici dei grandi motivi del
pensiero offerti dalla fede biblica alla filosofia lungo il suo cammino: Kant, Fichte, Hegel, Schelling
non sarebbero pensabili senza gli apporti della fede e persine Marx, pure in mezzo alla sua radicale
inversione dell'interpretazione, vive tuttavia degli orizzonti della speranza, che aveva assunti dalla
tradizione ebraica. Dove la filosofa interrompe totalmente questo dialogo col pensiero della fede, essa
finisce - come ha formulato una volta Jaspers - in una seriet che diviene vuota . Alla fine essa si
vede poi costretta a rinunciare alla questione della verit, il che significa rinunciare a se stessa. Poich
una filosofa che non indaga pi chiedendosi chi siamo, a quale fine esistiamo, se esistono Dio e una
vita eterna, come filosofa finita.
Da ultimo, pu essere vantaggioso ancora il rinvio a un commento dell'Enciclica, che apparso nel
settimanale tedesco Die Zeit di solito piuttosto lontano dalla Chiesa. Il commentatore, Jan Ross,
coglie con grande precisione il nucleo della lettera papale, quando dice che la detronizza-zione della
teologia e della metafsica ha reso il pensiero non solamente pi libero, ma anche pi ristretto, anzi
egli non ha timore di parlare di istupidimento per incredulit o mancanza di fede (Verdummung
durch Unglaub). Dal momento che la ragione si allontanata dalle que-
72
Citato in J. PlEPER, Die mogliche Zukuft der Philosophie, in ID., Schriften zum Philosophiebegriff,
in Werke, III, a cura di B. Wald, Hamburg 1955, pp. 315-323, cit. a p. 323.
220
Capitolo II - verit del cristianesimo?
stioni ultime, si resa indifferente e noiosa, divenuta incompetente per le questioni vitali del bene e
del male, della morte e dell'immortalit. La voce del Papa ha dato coraggio a molti uomini e ad interi
popoli, per molti anche risuonata all'orecchio in modo duro e tagliente ed ha perfino suscitato odio,
ma se essa tace, sar un attimo di silenzio terribile. Di fatto se non si parla pi di Dio e dell'uomo, di
peccato e di grazia, di morte e di vita eterna, allora le tante parole, che sentiamo ininterrottamente,
saranno solo un vano tentativo di ingannarsi, rimuovendo quanto autenticamente umano. Il Papa ha
inteso contrastare il pericolo di un tale silenzio con la sua parrhesa, con la franchezza impavida della
fede, e compie cos un servizio non solo per la Chiesa, ma anche per l'umanit. Per questo dovremmo
essergli grati.
221
CAPITOLO III
VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
FEDE - VERIT - TOLLERANZA
Tolleranza e fede nella verit rivelata sono concetti che si oppongono? O, in altre parole, si possono
conciliare fede cristiana e modernit? Se la tolleranza uno dei fondamenti dell'epoca moderna,
affermare di aver trovato la verit non forse una presunzione superata, che dev'essere respinta, se si
vuole spezzare la spirale della violenza che attraversa la storia delle religioni? Questa domanda si pone
oggi in maniera sempre pi drammatica nell'incontro tra il cristianesimo ed il mondo, e si diffonde
sempre pi la convinzione che la rinuncia da parte della fede cristiana alla rivendicazione di verit sia
la condizione fondamentale per ottenere una nuova pace mondiale, la condizione fondamentale per la
riconciliazione tra cristianesimo e modernit.
1. La "distinzione mosaico," - ovvero: la questione della verit appartiene alla religione?
Questa problematica stata recentemente riformulata e approfondita dall'egittologo Jan Assmann,
muovendosi dalla contrapposizione tra la religione biblica e quella egizia e il politeismo in generale,
cos da farla emergere nella sua esposizione con tutte le sue motivazioni storiche
223

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda


e filosofche1. Vale la pena di ascoltare Assmann, la cui concezione si pu ridurre - a mio parere - a tre
tesi fondamentali. Assmann lascia aperta la questione del Mos storico, dell'emergere e del formarsi
della fede monoteistica in Israele e considera "Mos" come la cifra del ricordo, della maniera in cui -
dunque - il ricordo ha dato forma alla coscienza storica. In questo senso egli parla della "distinzione
mosaica", che considera essere il vero spartiacque della storia delle religioni. Che cosa intenda dire con
questo, viene da lui cos espresso: Con la distinzione mosaica intendo l'introduzione della distinzione
tra vero e falso nell'ambito delle religioni. Fino ad allora la religione era basata sulla distinzione tra
puro ed impuro, o tra sacro e profano e non c'era assolutamente posto per l'idea di falsi di [...] che non
si possono adorare...2. Gli di delle religioni politeiste sarebbero stati in un rapporto di equivalenza
funzionale tra loro e sarebbero dunque stati interscambiabili gli uni con gli altri. Le religioni avrebbero
avuto la funzione di strumento di traducibilit interculturale. Le divinit erano internazionali, perch
erano cosmiche [...] nessuno metteva in discussione la realt degli di stranieri e la legittimit di forme
di venerazione straniere. Il concetto di una "religione non vera" era totalmente estraneo ai politeismi
antichi . Con l'introduzione della fede-in-un-Dio-unico accade dunque qualcosa di nuovo, di
sconvolgente: questo nuovo tipo di
1
J. ASSMANN, Moses der gypter. Entzifferung einer Gedchtnisspur, Miinchen. Wien 1988 (tr. it.,
Mos l'Egizio, Milano 2001).
2
Cfr. E. ZENGER, Was ist der Preis des Monotheismus? Die heilsame Provokation von J. Assmann, in
HK 55 (2001), pp. 186-191. Citazione a p. 187; cfr. J. ASSMANN, op. cit., pp. 17-23 (tr. it.
dell'articolo in Humanitas 57 [2002], 4, pp. 576-584).
Ivi, p. 19.
224

Capitolo III - verit - tolleranza - libert


religione sarebbe per sua natura un'"antireligione", che emargina tutto quello che la precede come
"paganesimo", e non il mezzo di una traducibilit interculturale, bens di uno straniamente
interculturale. Solo a questo punto si sarebbe costituito il concetto di "idolatria" come il supremo dei
peccati: Nell'immagine del vitello d'oro, del "peccato originale" dell'iconoclastia monoteistica [...]
espresso il potenziale di odio e di violenza, che si sempre tradotto in atto nella storia delle religioni
monoteisti-che . Il racconto dell'Esodo, con questo suo potenziale di violenza, appare come il mito di
fondazione della religione monoteistica e al contempo come il ritratto permanente dei suoi effetti.
La conseguenza chiara: l'Esodo deve essere annullato; dobbiamo fare ritorno in "Egitto" - vale a dire:
la distinzione tra vero e non-vero nell'ambito delle religioni dev'essere abolita, dobbiamo tornare nel
mondo degli di, i quali esprimono il cosmo in tutta la sua ricchezza e molteplicit, e di conseguenza
non conoscono un'esclusione reciproca, anzi, al contrario, rendono possibile una reciproca
comprensione. Il desiderio di annullare l'Esodo, d'altra parte, attraversa tutto l'Antico Testamento. Esso
affiora continuamente durante la storia delle peregrinazioni nel deserto e si rende drammaticamente
presente, ancora una volta, alla fine dell'Antico Testamento, nel primo Libro dei Maccabei, dove si
riferisce di traditori della legge che propongono un'alleanza con le nazioni che ci stanno attorno,
perch da quando ci siamo separati da
4
Ivi, p. 26; cfr. E. ZENGER, ari. di., p. 188 (tr. it. cit, p. 579).
225
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
loro, ci sono capitati molti mali. Essi decidono di non vivere pi secondo la legge di Mos, ma
secondo le usanze dei pagani (IMac 1,11-15). Dal canto suo, Ass-mann descrive minuziosamente la
nostalgia dell'Egitto, del ritorno a prima della distinzione mosaica, a partire dal Rinascimento, con la
sua venerazione del corpus Her-meticum come di una teologia originaria, fino ai sogni egizi
deH'Illuminismo, con il Flauto Magico di Mozart quale grandiosa realizzazione artistica di questa
nostalgia. Egli mostra in maniera impressionante come questo nuovo interesse per l'Egitto sia stato
suscitato dai conflitti politici e religiosi dell'epoca che conobbe la terribile esperienza delle guerre di
religione e le controversie religiose riguardo ad ateismo, politeismo, deismo, libero pensiero al seguito
di Thomas Hobbes e Baruch Spinoza. L'Egitto, in quanto origine di tutte le religioni rappresentava
l'ulti-ma convergenza tra ragione e rivelazione o tra natura e scrittura 5. fuori dubbio che Assmann
collochi se stesso, a modo suo, all'interno di questo movimento - il ritorno a prima dell'Esodo -, proprio
perch egli considera la distinzione mosaica, cio YEsodo, quale fonte del male, che ha deformato la
religione e portato l'intolleranza nel mondo. Se capisco bene, per lui la formula di Spinoza Deus sive
natura al contempo la formula che sintetizza ci che intende con questo ritorno, con il suo "Egitto":
la distinzione tra vero e falso pu essere espunta dalla religione se cade la distinzione tra Dio e cosmo,
se il divino ed il "mondo" vengono di nuovo visti indistintamente come un'unica realt. La distinzione
tra vero e falso indissolubilmente connessa alla distinzione tra
1
J. assmann, op. tit., p. 40.
226
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
Dio ed il mondo. Il ritorno all'Egitto un ritorno agli di, in quanto respinge un Dio che sta di fronte al
mondo, e considera gli di unicamente come forme di espressione simbolica della natura divina.
Al termine del libro di Assmann, tuttavia, appare anche una terza dimensione della distinzione mosaica,
che riguarda, per cos dire, il lato esistenziale della religione, e che tocca direttamente il modo di
pensare dell'uomo moderno: con la distinzione mosaica - cos ci insegna Assmann - appare anche,
inevitabilmente la consapevolezza del peccato ed il desiderio di redenzione; e aggiunge: Peccato e
redenzione non sono temi egizi . Ca-ratteristico per l'Egitto sarebbe piuttosto l'ottimismo morale che
"mangia con gioia il suo pane" consapevole del fatto che "Dio ha gi gradito le sue opere" - uno dei
versetti egiziani della Bibbia (Qo 9,7-IO)7. Parrebbe -scrive Assmann - che con la distinzione
mosaica il peccato sia entrato nel mondo. Forse sta proprio qui la ragione pi importante per mettere in
discussione la distinzione mosaica8. Con questo, un dato stato visto in modo certamente esatto: la
questione del vero e la questione del bene non possono essere separate. Se non si pu pi riconoscere il
vero, n lo si pu pi distinguere dal non-vero, anche il bene diventa irriconoscibile; la distinzione tra
bene e male perde il suo fondamento.
' Ivi, p. 281. ' Ivi, p. 282. 1 Ivi, p. 282.
227
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
palese che nelle tesi qui brevemente tratteggiate si trovino formulati con molta precisione i contenuti
essenziali della crisi del cristianesimo che ai nostri giorni diventa sempre pi acuta. pure chiaro che
ogni tentativo volto a comprendere e a rinnovare il cristianesimo debba porsi queste domande. Infatti
vengono qui messi in luce, in un unico grande contesto, sia il problema fondamentale del nostro tempo,
la questione della verit e della tolleranza, sia la problematica della posizione del cristianesimo nella
storia delle religioni, come pure, infine, la problematica esistenziale della colpa e della redenzione. Na-
turalmente non possibile fornire una risposta esaustiva nello spazio di questo capitolo; posso solo
tentare di accennare ad alcuni orientamenti, all'interno dei quali - a mio parere -- dovr muoversi il
dialogo.
Pu forse essere utile, prima di addentrarsi nella discussione intorno a questi problemi, accennare ad
un'altra variante del rifiuto della verit nella religione, che stavolta proviene non dalla storia, bens dal
pensiero filosofco - le tesi di Wittgenstein riguardo al nostro tema. G. Elisabeth M. Anscombe ha
riassunto la concezione del suo maestro al riguardo in due tesi: 1. Non esiste nulla del genere
dell'essere-vero di una religione. Si allude a questo quando si dice: "Questo enunciato religioso non
assomiglia a un enunciato della scienza". 2. La fede religiosa pu essere paragonata all'innamoramento
di un essere umano, piuttosto che alla sua convinzione che qualcosa sia vero oppure falso 9. Coerente
con questa logica, Wittgenstein
Qui mi appoggio a comunicazioni di J. Seifert. Egli rinvia a G. E. M. ANSCOMBE, Paganismi,
Superslition and Philosophy, in M. Crespo (a cura di), Men-schenwurde und Ethik, pp. 91-105; L.
WITTGENSTEIN, Vermischte Bemerkungen/Culture
228
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
ha annotato in uno dei suoi numerosi taccuini che per la religione cristiana non avrebbe alcuna
importanza se Cristo abbia effettivamente compiuto in un certo modo una delle opere a lui attribuite o
addirittura se egli sia semplicemente esistito. A ci corrisponde la tesi di Bultmann: credere in un Dio,
creatore del cielo e della terra, non significa credere che Dio abbia realmente creato cielo e terra, ma
unicamente considerare se stessi come creature e, grazie a ci, vivere una vita pi sensata. Nel
frattempo idee simili si sono diffuse anche nella teologia cattolica e si possono percepire pi o meno
chiaramente anche nella predicazione10. I fedeli se ne rendono conto e si chiedono se non siano stati
presi per il naso. Vivere in belle finzioni pu andar bene ad un teorico delle religioni; per l'uomo che
chiede con che cosa e per che cosa vivere o morire non sufficiente. L'addio alla pretesa di verit, che
di per s sarebbe l'addio alla fede cristiana in quanto tale, viene qui addolcito, col concedere di
continuare a esistere alla fede - intesa come una sorta di innamoramento con le sue piacevoli
consolazioni soggettive, o come una specie di mondo ludico accanto al mondo reale". La fede
and Value, p. 32; L. WITTGENSTEIN, Uber Gewifiheit, a cura di G. E. M. Anscombe e G. H. von
Wright, Frankfurt 1962, p. 29.
Questa impostazione sviluppata a fondo con consequenzialit in G. hasenhuttl, Glaube ohne Mythos,
1 voli., Mainz 20012.
Nelle sue comunicazioni Seifert osserva al riguardo: Per Wittgenstein l'uomo religioso e quello non
religioso vivono, per cos dire, in due mondi in cui giocare, e si muovono su piani diversi, senza
contraddirsi reciprocamente.... In enunciazioni religiose, secondo Wittgenstein in fondo non si
darebbe nulla... proprio cos come in un gioco di scacchi o di dama non si afferma nulla sulle dame o
regine all'infuo-ri di questi giochi. La religione perci dovrebbe essere interpretata non nella modalit
di proposizione dotate di senso con pretese di verit, ma in dimensione puramente antropologica e del
tutto soggettiva, come un gioco preferito in senso meramente personale.
229

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda


"giocata" qualcosa di radicalmente diverso dalla fede creduta e vissuta. Non indica una strada,
soltanto un ornamento. Non ci aiuta n a vivere n a morire; tutt'al pi fornisce un po' di svago, un po'
di piacevole apparenza -ma per l'appunto solo apparenza, e questo non basta per vivere e per morire.
2. Interscambiabilit e guerra degli di
Con questo torniamo ad Assmann. Che cosa dire del Deus sive natura, della compatibilita tra loro degli
di che non si interessano della verit, della liberazione dalla distinzione tra peccato e bene? Come si
pu vivere questo? Quanto "vero" tutto ci? Poich Assmann espone le sue tesi in quanto uomo di
scienza, dunque ad esse che occorre chiedere se siano vere. Ed egli ci suggerisce una strada. Occorre
cos pure che ci si chieda se e come questa possa essere percorsa. Se si guarda alla storia effettiva delle
religioni politeiste, l'immagine da lui abbozzata - in maniera invero abbastanza vaga - appare essa
stessa come un mito. Innanzi tutto, gi le religioni politeiste sono molto diverse fra di loro. Non poche
intuiscono in qualche modo sullo sfondo l'unico Dio, che realmente Dio. Nel buddhismo ed in alcune
correnti dell'induismo, come anche in forme tarde del platonismo, gli di appaiono come potenze di un
mondo che nella sua totalit non che apparenza, o che, in ogni caso, non la realt ultima, e che
dev'essere superato se si vuole accedere alla salvezza piena. La tesi secondo cui gli di politeisti sono
tra loro perfettamente interscambiabili, e quindi sono mezzi di comprensione interculturale, pu
appoggiarsi sulla politica religiosa dell'Impero Romano,
230
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
ma non corrisponde affatto alla storia del politeismo in generale12. Basta leggere Omero per ricordarsi
delle guerre tra gli di e del fatto che le guerre tra gli uomini sono considerate come il riflesso e la
conseguenza delle guerre tra gli di. illuminante leggere quanto ha da dire a questo proposito
Atanasio di Alessandria - dunque un egiziano che senz'altro ha conosciuto ancora personalmente
l'epoca degli di -: Un tempo, quando venivano adorati gli di, i Greci ed i Barbari si davano alla
guerra e si mostravano crudeli con i loro stessi consanguinei. Era praticamente impossibile viaggiare
per terra o per mare senza armarsi di spada a motivo degli interminabili combattimenti tra di loro.
Quegli uomini trascorrevano tutta la loro vita sotto le armi; la spada stava al posto del bastone, e solo
cosi essi potevano sopravvivere. Sebbene - come ho detto - sacrificassero agli di, il timore nei
confronti degli di non li aiutava affatto a correggere quella mentalit 13. Nella conversione dei popoli
al cristianesimo Atanasio vede il compimento della profezia del profeta Isaia, secondo cui le spade
sarebbero state forgiate in vomeri (Is 2,4) ed aggiunge: La profezia non ha nulla in s di incredibile.
Finch i barbari con i loro usi,
Secondo J. ASSMANN, op. cit., pp. 74ss., la tradizione della traduzione di nomi di di stranieri risale
alla "scienza letteraria" mesopotamica del IH secolo a.C. Egli rimanda poi all'assimilazione accadica
del pantheon sumerico e vi vede un processo che si svilupp fino a divenire una "tecnica generale della
cultura". Il suo grande esempio per documentare questo concetto universalistico di divinit poi Iside,
com'essa fu intesa e invocata nella religione isiaca "greco-egizia". E incontrastato che, nel caso delle
fusioni culturali in grandi imperi che abbracciavano diverse etnie e culture, si sia giunti a tali processi
di traduzione soprattutto per motivi politici, ma la problematica del politeismo si estende largamente al
di l di questi processi.
1
ATANASIO DI ALESSANDRIA, De incarnatione Verbi (Sources chrtiennes, CXXXIX), a cura di
C. Kannengiesser, Paris 1973, 51,4, p. 450.
231
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
per natura selvaggi, sacrificavano agli di, si esacerbavano gli uni contro gli altri e non potevano
rimanere neppure per un'ora senza le loro spade. Ma, quando essi assunsero la dottrina di Cristo,
abbandonarono immediatamente la guerra per dedicarsi alla coltivazione dei campi, ed invece di
armare le loro mani con le spade, le innalzarono nella preghiera - in breve, invece di farsi la guerra tra
di loro, si armarono contro i diavoli e contro i demoni, e li sconfissero grazie alla moderazione ed alle
virt dell'anima 4. Certo - questa descrizione stilizzata e schematizzata per motivi apologetici, ma
Atanasio doveva comunque fare i conti con dei lettori che avevano conosciuto gli anni precedenti alla
missione cristiana e quindi non poteva semplicemente lasciare libero corso alla sua fantasia. Le sue
affermazioni bastano a smitizzare l'immagine di un mondo degli di cos pacifico, in qualunque modo
si valuti poi nei particolari la loro valenza storica.
Possiamo quindi concludere: in ogni caso gli di non erano sempre pacificamente interscambiabili.
Altrettanto spesso, anzi, pi frequentemente, essi erano causa di violenze reciproche; noto anche il
fenomeno per cui gli di di una religione sono diventati i demoni di un'altra. D'altronde, la Bibbia
stessa mette a confronto realisticamente i sogni egiziani di un Israele nostalgico con la vera realt
dell'Egitto. L'Egitto reale non era la terra della bella libert e della pace, ma una "dimora di schiavi",
una terra di oppressione e guerre. Ma ora dobbiamo fare un altro passo. Le religioni politeiste non sono
una realt statica, data
14
Ivi, 52,2 - 3, p. 452.
232
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
una volta per tutte come grandezza in s sostanzialmente identica, e che si potrebbe ricostruire se lo si
desidera. Esse sono comunque sottomesse ad un processo storico, che possiamo osservare in modo
particolarmente evidente nella tarda antichit. I miti, che inizialmente esprimono l'esperienza del
mondo e della vita, vengono vissuti nel culto e prendono forma nella poesia, perdono - proprio nel
corso della loro concreta assunzione di una forma -sempre pi credibilit. Lo sviluppo dell'antichit
greco-romana ci mostra in maniera esemplare il processo per il quale la maturazione della coscienza
comune inevitabilmente conduce con insistenza sempre maggiore alla domanda, se sia poi tutto vero.
La questione della verit non stata inventata da "Mos". Essa insorge immancabilmente quando la
coscienza raggiunge una certa maturazione. Qualcosa come la "finzione di Wittgenstein" (se mi con-
sentito chiamare in questo modo la teoria del gioco, la re-lativizzazione di tutte le religioni a cui si
accennato in precedenza) si offre allora da s come tentativo di soluzione. L'antichit greco-romana, a
questo proposito, offre numerosi esempi. Nel suo importante libro Chrsis, Christian Gnilka ha
descritto in maniera approfondita l'irrompere della questione della verit nel mondo degli antichi di, e
l'incontro del cristianesimo con questa situazione. Emblematica di questo procedimento la figura,
descritta da Cicerone, del pontefice massimo romano C. Aurelio Cotta, che, nella sua funzione di
augure e capo del Collegium Pontifcum, rappresentava la religione pagana di allora. Conformemente
alla sua funzione, Cotta era garante dell'osservanza scrupolosa dei riti del culto pubblico e dichiarava
che avrebbe difeso le "concezioni" (opiniones] sugli di ereditate dagli antenati e che non se ne sarebbe
lascia-
233
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
to distogliere15. Ma, lo stesso Cotta, a casa tra gli amici, si rivela uno scettico accademico che pone
l'interrogativo sulla verit. Egli vorrebbe essere convinto, non sulla base di una semplice supposizione,
ma secondo la verit e giunge alla conclusione che c' da temere che gli di non esistano affatto. Il
criterio della verit, introdotto nel mondo antico degli di, agisce come una carica esplosi-va, constata
Gnilka16. Assmann stesso ha mostrato come questa schizofrenia abbia condotto ad una finzione difesa
dallo Stato: per i non-iniziati gli di continuano a esistere come necessit di Stato, mentre gli iniziati
riescono a scorgere la loro inconsistenza17.
La questione della verit era sorta tra i presocratici ed ha trovato in Socrate la sua forma pi grande.
Per comprendere pienamente la profondit della questione, pu essere di aiuto gettare almeno un breve
sguardo su Socrate. Per quanto concerne l'irrompere della questione della verit nel mondo degli di mi
sembra particolarmente utile il breve dialogo con Eutifrone, il sacerdote che ancora prigioniero dei
miti e della loro accurata esecuzione nel culto, e che, per, nel dialogo con Socrate, cade sempre pi in
contraddizione. Alla fine Eutifrone - spinto dalle insistenti domande di Socrate - costretto ad
ammettere che la stessa cosa viene sia amata sia odiata dagli di. Alla domanda: Cos, in base a
questo, ci che pio e ci che empio sarebbero la stessa cosa, o Eutifrone?, egli deve rispondere,
costretto
C. GNILKA, Chrs. Die Methode der Kinhenvter im Umgang mit der antiken Kultur, II, Kultur und
Conversion, Basel 1993, p. 15.
16
Ivi, p. 16.
J. assmann, op. tit., pp. 272ss.
234
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
dalla necessit: cos . Qui siamo giunti ad un punto molto importante. Socrate si era riferito alla
guerra che gli di si fanno tra di loro. Guardini commenta cos: Tutto divino. Ovunque ci sono delle
potenze, ed ognuna appartiene all'essere [...]. Tutte le potenze si risolvono nell'unit del mondo, che
esso stesso l'ultima realt divina e che racchiude in s tutte le contraddizioni [...]. Il fatto che esse
debbano combattere costituisce la tragicit necessaria... 19. Vale a dire: l'equiparazione Deus sive
natura, l'abolizione della distinzione mosaica, non significa la riconciliazione universale, bens
l'inconciliabilit dell'universo. Perch ora l'essere stesso contraddittorio, la guerra proviene dall'in-
terno dell'essere stesso, e alla fine, bene e male non possono pi essere distinti. La tragedia antica
interpretazione dell'essere sulla base dell'esperienza di un mondo contraddittorio, che inevitabilmente
genera colpa e fallimento. Nel suo sistema - l'idea che si sviluppa in passi dialettici - in fondo Hegel ha
ripreso questo modo di vedere il mondo, e ha per cercato di rappresentare la sua riconciliazione nella
sintesi onnicomprensiva come speranza per il futuro e cos simultaneamente come dissolvimento del
tragico. L'orientamento escatologico cristiano qui fuso con la visione dell'unit dell'essere, propria
dell'antichit, e sembra ormai "togliere, risolvere e sublimare" (aufheben} in s i due, spiegando in tal
modo ogni cosa. Ma la dialettica resta crudele e la riconciliazione solo apparente. Nel momento in cui
Marx traduce la speculazione hegeliana in un progetto concreto per la costruzione della storia, tale
crudelt si rende visibile,
Eutifrone 8a, ed. di Oxford, I.
R. GUARDINI, Der Tod des Sokrates, Mainz - Paderborn 1987, p. 38 (cfr. tr. it.
La morte di Socrate, Brescia 1998 , p. 42).
235
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
e noi siamo stati testimoni di tutta la sua crudelt. Perch ora risulta inevitabile che la dialettica del
progresso, messa in pratica, esiga le sue vittime: affinch i progressi addotti dalla Rivoluzione Francese
potessero essere realizzati, era necessario mettere in conto le sue vittime - cos ci si dice. Ed affinch il
marxismo potesse produrre la societ riconciliata erano per l'appunto necessarie le ecatombi di vittime
umane, non c'era altro modo: qui la dialettica mitologica stata tradotta in fatti. L'uomo diventa
materiale per il gioco del progresso; come singolo egli non conta nulla; poich solo materiale per il
crudele Dio Deus sive natura. La teoria dell'evoluzione ci insegna la stessa cosa: che i progressi, ap-
punto, hanno un determinato costo. E gli esperimenti odierni sull'uomo, che viene trasformato in una
"banca di organi", ci mostrano l'applicazione del tutto pratica di queste idee - in cui l'uomo stesso
prende in mano l'ulteriore evoluzione.
3. L'inevitabilit della questione della verit e le alternative della storia delle religioni
Facciamo un passo indietro. L'idea della pacifica inter-scambiabilit degli di in realt non regge. C'
piuttosto una profonda inconciliabilit, radicata nelle contraddizioni dell'essere stesso. Ancora pi
importante nel nostro contesto la seconda constatazione: la questione della verit inevitabile. Essa
indispensabile all'uomo e riguarda proprio le decisioni ultime della sua esistenza: esiste Dio? Esiste la
verit? Esiste il bene? La "distinzione mosaica" anche la distinzione socratica, potremmo dire. Qui si
rendono visibili la motivazione intcriore e la necessit intcriore dell'incontro storico tra la Bibbia e
PEllade. Ci che le unisce
236
Capitolo HI - verit - tolleranza - libert
appunto l'interrogativo sulla verit e sul bene in quanto tale che pongono alle religioni, ossia, come
noi ora potremmo chiamarla, la distinzione mosaico-socratica. Questo incontro ha preso avvio ben
prima dell'inizio della sintesi tra fede biblica e pensiero greco della quale si preoccuparono i Padri della
Chiesa. Esso si realizza gi nell'interno dell'Antico Testamento, soprattutto nella letteratura sapienziale
e nel memorabile evento della traduzione in greco dell'Antico Testamento, che fu un momento di
incontro interculturale di somma portata. Certo, nel mondo antico l'esito della questione socratica
rimane aperto, ed diverso in Piatone ed in Aristotele. In questo senso rimane nel mondo dello spirito
greco un'attesa rispetto alla quale l'annuncio cristiano apparso come l'agognata risposta. Questa attesa
aperta, che nel pensiero greco era come il gesto di chi aguzza lo sguardo in ricerca, uno dei motivi
principali del successo della missione cristiana20.
Possiamo concludere: il politeismo delle "religioni naturali" non una entit statica alla quale si possa
ritornare in ogni momento. Il movimento religioso procede - per quanto sia possibile vedere - in tre
stadi, mentre rimane aperto l'interrogativo se il politeismo sia stato preceduto da altri modi di rivolgersi
alla divinit. Se consideriamo, per semplificare, il politeismo come il primo stadio, allora esso si trova
sempre pi esposto alla critica della ragione, vale a dire all'interrogativo sulla sua verit, che a poco a
poco lo dissolve e - dopo una fase della doppia verit (la finzione utile ed il sapere degli iniziati) - lo
lascia cadere in rovina.
20
Cfr. a questo riguardo, e per quanto segue, in questo volume la sezione Verit del cristianesimo?
237
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
A questo punto, nel bacino del Mediterraneo, pi tardi nel mondo arabo ed anche in parti dell'Asia, il
monoteismo si presenta come la riconciliazione tra ragione e religione: la divinit alla quale giunge la
ragione identica al Dio che si mostra nella Rivelazione. Rivelazione e ragione si corrispondono.
Esiste la "vera religione"; la questione della verit e la questione del divino si sono riconciliate21.
L'antichit ci mostra per anche un altro possibile esito, che oggi tornato attuale. Da un lato, c' la
reinterpretazione cristiana di Piatone, la fusione dell'attesa greca e della sua domanda sulla verit con la
risposta cristiana e la sua rivendicazione di verit, nella quale l'orientamento greco viene accolto e
contemporaneamente riconfigurato a fondo. Dall'altro lato, c' per anche il tardo platonismo di
Porfido, di Proclo e di altri che diventa lo strumento per il rifiuto della rivendicazione cristiana e per
una nuova giustificazione del politeismo - l'altra faccia del pensiero platonico. Ora proprio la posizione
scettica diventa giustificazione del politeismo; siccome non si pu riconoscere il divino, lo si pu
adorare unicamente in multiformi cifre o simboli, in cui si esprimono il mistero del cosmo e la sua
molteplicit, che non pu essere costretta entro nessun nome22. Nella tarda antichit questo tentativo di
restaurazione del politeismo, giustificata in termini filosofici e quindi apparentemente razionale, non ha
potuto durare. Essa rimasta una costruzione accademi-
Questa sintesi di religione della ragione e rivelazione biblica l'idea-guida - di cui sono gettate le
fondamenta nell'Antico Testamento - dei Padri della Chiesa, a cui Agostino nel De cimiate Dei nella
controversia con Piotino e Porfirio ha dato una forma sistematica conclusiva.
Cfr. in proposito C. GNILKA, op. cit. (vedi la nota 15), pp. 9-55. Ancora una volta, un ulteriore passo
dell'incontro fra cristianesimo e platonismo si produsse quando il cosiddetto Pseudo-Dionigi al declino
del V secolo o all'inizio del VI trasform in senso cristiano l'interpretazione di Proclo, mut il suo
politeismo nella dottrina dei cori degli angeli e con la sua teologia negativa divenne uno dei padri della
mistica cristiana.
238
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
ca, dalla quale non scaturiva la forza di speranza e di verit che era necessaria. A maggior ragione, dato
che i loro autori non potevano rinunciare totalmente alla doppia verit. Le iniziazioni e le azioni di
culto politeiste venivano infatti viste come la via per i molti che non sono in grado di salire pi in alto,
mentre i filosofi - in quanto spiriti eletti - si riservavano la "via regia", che culmina al di sopra di tutto
questo, nell'unione mistica nell'ineffabile. D'altronde questa stata la chance del cristianesimo, che
inaugur la via dei semplici come la vera "via regia" nella comunione con Colui che viveva nel seno di
Dio e vedeva Dio.
Anche per gli odierni tentativi di offrire una via del ritorno all'Egitto, una "redenzione" dal
cristianesimo e dalla sua dottrina del peccato, non potr avvenire diversamente. Perch anche in questo
caso si rimane nella finzione, che pu s essere pensata accademicamente, ma non basta per vivere.
Certo, la fuga dal Dio unico e dall'esigenza che Egli pone continuer. E lo scetticismo, per il quale oggi
sembrano esserci ragioni pi forti che nell'antichit, proseguir. Il criterio stabilito dalla scienza
moderna per raggiungere la certezza non pu corrispondere alla rivendicazione di verit da parte della
fede cristiana, perch la forma della verifica, qui, di tutt'altra natura rispetto all'ambito dello
sperimen-tabile; infatti il tipo di esperimento richiesto - il garantire con la vita - di tutt'altra natura. I
santi, i quali hanno superato l'esperimento, possono fungere da garanti della sua verit, ma la possibilit
di sottrarsi a quest'evidenza rimane. Cos, indubbiamente, si continueranno a cercare altre soluzioni, le
si cercher in forme di unione mistica, per le quali ci sono e continueranno ad esserci istruzioni e
tecniche. In questo senso l'offerta tardo-platonica rimane all'ordine del
239
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
giorno; collocherei le argomentazioni di Assmann in questa categoria.
Ma l'Asia non ci indica forse la via d'uscita? Una religione che si regge senza dover elevare una
rivendicazione di verit? Tale questione diventer senza dubbio uno dei temi principali nei dialoghi
futuri. Qui solo un accenno. Anche il buddhismo ha il suo modo specifico di porsi la questione della
verit. Esso chiede la liberazione dal dolore, il quale provocato dalla sete di vita. Dov' il luogo della
salvezza? Il buddhismo giunge al risultato che esso non si trova nel mondo, nella totalit dell'essere che
appare. Nella sua totalit l'essere dolore, un ciclo di reincarnazioni e di sempre nuovi intrecci di
legami. La via dell'illuminazione la via che porta dalla sete dell'essere a ci che a noi appare come un
non-essere, il Nirvana. Vale a dire: nel mondo stesso non c' la verit. La verit "accade" nell'uscita da
esso. In questo senso la questione della verit si risolve nella questione della liberazione o redenzione,
o anche: si toglie e si sublima in essa. Ci sono gli di, ma essi fanno parte del mondo della
provvisoriet, non della salvezza definitiva. Solo nell'Hinayana questa visione viene rigorosamente
mantenuta. Il Mahayana conosce in modo molto pi marcato la dimensione sociale, l'aiuto per la
liberazione dell'altro e colui che aiuta. Ma l'attesa fondamentale dell'estinguersi dell'esistenza e della
persona del singolo, mantenuta, sebbene essa sia rinviata molto lontano23. Qui non si pu parlare di
Deus sive natura. Il mondo come tale dolore - e quindi anche assenza di verit - e infine solo il
distacco dal mondo
23
Cfr. H. BURKLE, Der Mensch auf der Suche nach Goti - die Froge der Religionen, Paderborn 1996,
pp. 143-160.
240
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
pu essere la salvezza. Qui si tratta di atteggiamenti esistenziali che racchiudono in s un'immagine del
mondo lonta-nissima dalle visioni occidentali ed anche da quelle "egizie", politeiste, e che si pone
come alternativa alla comprensione cristiana del mondo con la sua acccttazione del mondo in linea di
principio in quanto creazione. Anche questa via non ci dispensa per dalla questione della verit.
4. La tolleranza cristiana
indispensabile ancora un'ultima riflessione. Assmann loda la intercambiabilit degli di gli uni con
gli altri, che appare come una strada per la pace interculturale ed in-terreligiosa. Lo disturbano
1'"intolleranza" del primo comandamento e la condanna dell'idolatria quale peccato fondamentale.
Come abbiamo visto, ci si presenta a sua volta come la canonizzazione dell'intolleranza. Ora, esatto
che il Dio unico un "Dio geloso", come lo chiama l'Antico Testamento. Egli smaschera gli di perch
nella sua luce si vede che gli "di" non sono Dio, che il plurale di Dio di per s una menzogna. La
menzogna sempre non libert e non un caso, soprattutto per non falso, che nel ricordo di Israele
l'Egitto appaia come una casa di schiavi, come un luogo di non-libert. Solo la verit rende liberi. Dove
l'utilit viene anteposta alla verit - come accade nel caso della doppia verit, di cui abbiamo parlato in
precedenza -, l'uomo diventa schiavo dell'utilit e di coloro che possono decidere quale sia l'utile. In
questo senso indispensabile anzitutto la "demitizzazione" che spogli gli di del loro falso splendore e
quindi del loro falso potere, per poi mettere in luce la loro "verit", ossia per spiegare quali siano i veri
poteri e le vere realt che
241
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
stanno dietro di loro. Detto altrimenti: una volta avvenuta questa "demitizzazione", questo
smascheramento, anche la loro verit relativa pu e deve venire alla luce. Conformemente a questo, vi
sono all'interno dell'atteggiamento cristiano nei confronti delle religioni "pagane" due fasi, che tuttavia
devono necessariamente concatenarsi l'una con l'altra e non possono essere nettamente distinte in una
successione temporale. La prima fase l'alleanza del cristianesimo con la ragione, alleanza che
predomina negli scritti dei Padri, da Giustino ad Agostino ed oltre: coloro che annunciano il
cristianesimo si pongono dalla parte dei filosofi, della ragione, contro le religioni, contro la doppia
verit di un C. Aurelio Cotta. Essi vedono i semi del Logos, della ragione divina, non nelle religioni,
ma nel movimento della ragione che ha dissolto queste religioni. Ma sempre pi chiaramente appare
anche un secondo punto di vista, con il quale vengono alla luce anche il legame con le religioni ed i
limiti della ragione. Mi sembra molto caratteristico, al riguardo, il pensiero di Gregorio Magno. In una
prima lettera - ancora nella fase "illuministica" egli scrive al re inglese Aethelbert: Dunque, mio
illustrissimo figlio, conservate con cura la grazia che avete ricevuto da Dio [...]. Aumentate ancora il
vostro nobile zelo [,..] reprimete il culto degli idoli; distruggete i loro templi ed altari. Fate crescere le
virt dei vostri sudditi attraverso un comportamento eccellentemente morale... 24. Ma Gregorio dentro
di s approfondisce ancora la questione, e gi un mese dopo questa lettera scrive a un secondo gruppo
di missionari partiti da poco e a un certo Mellitus in
U
Ep. XI, 37. Cfr. in merito J. RICHARDS, Gregor der Grafie. Sein Leben - scine Zeit, Graz 1983 (tr.
ted. dall'inglese Consul of God, 1989), pp. 235-256, specialmente pp. 250ss.
242
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
maniera completamente diversa: Non appena sarete arrivati - con la grazia di Dio - presso il nostro
reverendissimo fratello, il vescovo Agostino, ditegli che tra me e me ho riflettuto a lungo su una
questione degli Inglesi. Non si dovrebbero cio distruggere i templi degli idoli di quel popolo, ma
unicamente annientare i simulacri degli di che vi si trovano [...]. Vedendo che non si distruggono i
suoi templi, non solo abbandoner l'errore, ma si recher con gioia ancora pi grande a riconoscere e ad
adorare il vero Dio nei luoghi abituali . Inoltre Gregorio in questa circostanza propone che le
cerimonie ed i sacrifici animali vengano trasformati in feste per onorare i santi ed i martiri, nel corso
delle quali venga mangiato l'animale macellato per il sacrifcio. Qui appare dunque quella che noi
chiamiamo la continuit del culto. Il luogo sacro rimane sacro e la precedente intenzione di onorare il
divino viene ripresa e trasformata, acquistando un nuovo significato. A Roma lo si pu constatare
ovunque. Un nome come Santa Maria sopra Minerva lascia riconoscere allo stesso modo
trasformazione e continuit. Gli di non sono pi di. Come tali sono caduti: la questione stessa sulla
verit ha tolto loro la divinit e provocato la loro caduta. Ma al contempo venuta alla luce la loro
verit: essi erano il riverbero del divino, presentimenti di figure, in cui il loro senso nascosto,
purificato, trovava compimento. In questo modo esiste ora anche una "traducibilit" degli di, che in
quanto presentimenti, in quanto gradini della ricerca del vero Dio e del suo rispecchiarsi nella
creazione, possono diventare ambasciatori dell'unico Dio.
Ep. XI, 56. Cfr. J. RICHARDS, op. cit., pp. 251 ss.
243
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Per terminare dobbiamo ritornare ancora una volta alla tesi conclusiva di Assmann, secondo cui, con la
distinzione mosaica, entrato nel mondo anche il concetto di peccato. Peccato e redenzione non sono
temi egizi, cos abbiamo sentito. Tuttavia essi sono certamente temi della maggior parte delle religioni
del mondo che, con un'ecatombe di vittime - comprese vittime umane -, volevano riconciliarsi con le
divinit ed ottenere l'espiazione. Ma qui non pi possibile continuare ulteriormente questa disputa.
Una cosa tuttavia mi sembra importante ai fini del nostro discorso: i temi del vero e del bene
effettivamente non sono separabili. Piatone aveva ragione identificando il punto pi alto del divino con
l'idea del Bene. Inversamente: se non possiamo conoscere la verit riguardo a Dio, allora anche la
verit riguardo a quel che bene e a ci che male resta inaccessibile. In tal caso non esistono il bene
ed il male; rimane solo il calcolo delle conseguenze: Vthos viene sostituito dal calcolo. Detto ancora
pi chiaramente: le tre domande sulla verit, sul bene, su Dio sono un unico interrogativo. E se ad esso
non c' risposta, allora brancoliamo nel buio riguardo alle realt essenziali della nostra vita. Allora
l'esistenza umana veramente "tragica" - allora certamente capiamo pure che cosa debba significare
redenzione. Il concetto biblico di Dio riconosce Dio come il Bene, come il Buono (cfr. Me 10,18).
Questo concetto di Dio raggiunge il suo culmine nell'affermazione giovannea: Dio amore (IGv
4,8). Verit e amore sono identici. Questa affermazione - se ne si coglie tutto quanto esso rivendica -
la pi alta garanzia della tolleranza; di un rapporto con la verit, la cui unica arma essa stessa e quindi
l'amore.
244

II LIBERT E VERIT
1. // problema
Nella coscienza dell'umanit di oggi la libert appare di gran lunga come il bene pi alto, al quale tutti
gli altri beni sono subordinati. Nella giurisprudenza la libert dell'arte, la libert di espressione del
pensiero ha, senza eccezioni, la preminenza sopra ogni altro valore morale. Valori che entrino in
concorrenza con la libert, che possano costringere a limitarla, appaiono come vincoli, come "tab",
cio come relitti di arcaici divieti e timori. L'agire politico deve legittimarsi con il fatto che favorisce la
libert. Anche la religione pu continuare ad essere accettabile solo nella misura in cui si presenta come
forza liberatrice per le singole persone e per l'umanit nel suo insieme. Nella scala dei valori, dai quali
dipendono l'uomo e la sua vita degna, la libert appare decisamente come il vero valore fondamentale e
come il diritto umano fondante in assoluto. Ci accostiamo invece piuttosto con sospetto al concetto di
verit: ci si ricorda al riguardo di tutte quelle opinioni e sistemi per i quali gi in passato si preteso il
concetto di verit; quante volte in tal modo l'affermazione di verit fu un mezzo per opprimere la
libert. A questo si aggiunge lo scetticismo, alimentato dalle scienze della natura, nei confronti di tutto
quanto non sia spiegabile o documentabile con esattezza: tutto questo sembra in ultima analisi essere
solo valutazione soggettiva, che non pu pretendere alcun carattere vincolante comune. L'atteggia-
mento moderno nei confronti della verit si rivela nel modo pi stringente nella domanda di Filato: che
cos' la
245
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
verit? Chi afferma di essere al servizio della verit con la sua vita e con la sua parola e azione, deve
essere preparato ad essere classificato come sognatore o come fanatico. Infatti lo sguardo nell'aldil ci
impedito; questa parola di Goethe, presa dal Faust, caratterizza la sensibilit di tutti noi.
Indubbiamente, vi sono abbastanza motivi, davanti ad una pretesa di verit che si presenti con troppa
sicurezza, di chiedere con prudenza: che cos' la verit? Ma vi sono altrettanti motivi per porre la
domanda: che cos' la libert? Che cosa intendiamo in realt quando esaltiamo la libert e la
collochiamo sul gradino pi alto della nostra scala di valori? Io credo che il contenuto collegato in
generale con il desiderio di libert sia illustrato in modo preciso nelle parole, con le quali una volta
Karl Marx ha espresso il suo sogno di libert. La condizione della futura societ comunista render
possibile fare oggi questo, domani quello, al mattino andare a caccia, al pomeriggio a pescare, a sera
dedicarsi all'allevamento de] bestiame, dopo la cena a discutere, secondo ci di cui al momento avr
voglia...6. Proprio in questo senso la mentalit media irriflessa intende per libert il diritto e la
possibilit di fare tutto quello che desideriamo in quel momento e di non dover fare ci che non
desideriamo. Detto altrimenti: libert significherebbe che la propria volont sia l'unica norma del nostro
fare e che essa possa volere tutto ed abbia anche la possibilit di mettere in pratica tutto quanto
voluto. A questo punto emergono
26
K. MARX, F. ENGELS, Werke, 39 voli., Berlin 1961-1971, III, p. 33, citazione tratta da K. LOW,
Warum fasziniert der Kommunismusl', Kln 1980, p. 65.
246

certamente degli interrogativi: quanto libera in realt la volont? E quanto ragionevole? E: una
volont irragionevole una volont veramente libera? Una libert irragionevole veramente libert?
veramente un bene? Dunque la definizione della libert a partire dalle possibilit della volont e da
quelle del mettere in pratica il voluto non deve essere completata mediante il legame con la ragione,
con la totalit dell'essere umano, perch non si giunga alla tirannia dell'irrazionalit? E non apparterr
alla collaborazione fra ragione e volont anche il cercare la ragione comune a tutti gli uomini e cos la
tollerabilit reciproca delle libert? evidente che nella questione della ragionevolezza della volont e
del suo legame con la ragione contemporaneamente presente, in modo nascosto, anche la questione
della verit.
A tali questioni non ci costringono soltanto astratte riflessioni flosofche, ma la nostra situazione
sociale, del tutto concreta, nella quale di fatto l'esigenza di libert continua, ma in verit dubbi si
manifestano in modo sempre pi drammatico nei confronti di tutte le forme finora conosciute dei
movimenti di liberazione e dei sistemi di libert. Non dimentichiamo che il marxismo si presentato
come la sola grande forza politica del XX secolo con la pretesa di introdurre il nuovo mondo della
libert e dell'uomo liberato. Proprio questa sua promessa di conoscere la via scientificamente assicurata
verso la libert, e di costruire il nuovo mondo, gli ha attirato molti degli spiriti pi audaci della nostra
epoca; in definitiva esso appariva persine come la forza, per mezzo della quale la dottrina cristiana
della redenzione poteva essere trasformata in una realistica prassi di liberazione - come la forza per
erigere
247
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
il regno di Dio in quanto vero regno dell'uomo. Il crollo del socialismo reale negli Stati dell'Europa
orientale non ha totalmente allontanato tali speranze, che qua e l in silenzio sopravvivono ancora e
sono alla ricerca di nuove forme. Al crollo politico ed economico non ha corrisposto nessun reale
superamento culturale, e in questo senso la questione posta dal marxismo non ancora affatto risolta.
Nondimeno, che il suo sistema non funzionasse come era stato promesso evidente. Che questo
presunto movimento di liberazione fosse, accanto al nazionalsocialismo, il pi grande sistema di
schiavit della storia contemporanea, nessuno pu pi seriamente negarlo: le dimensioni della cinica
distruzione dell'uomo e del mondo vengono in verit spesso taciute piuttosto per vergogna, ma nessuno
pu pi contestarle.
La superiorit morale del sistema liberale nella politica e nell'economia, che venuta cos alla ribalta,
non suscita tuttavia alcun entusiasmo. Troppo grande il numero di coloro che non partecipano dei
frutti di questa libert, anzi, perdono completamente ogni libert: la disoccupazione diviene
nuovamente un fenomeno di massa; la sensazione dell'inutilit, della superfluit, angoscia le persone
non meno della povert materiale. Lo sfruttamento senza scrupoli si diffonde; la criminalit organizzata
si serve delle possibilit offerte dal mondo liberale, ed in tutto questo si aggira il fantasma della
mancanza di senso. Il filosofo polacco Andrej Szczypiorski ha impietosamente descritto nel corso delle
Settimane universitarie di Sali-sburgo del 1995 il dilemma della libert, che si presentato dopo la
caduta del muro; merita di essere ascoltato un poco pi estesamente: Non vi alcun dubbio che il
248
capitalismo ha realizzato un grande progresso. E non vi neppure alcun dubbio che esso non ha
soddisfatto le attese. Nel capitalismo si continua ad udire il grido delle masse immense, il cui desiderio
non stato soddisfatto... Il crollo della concezione sovietica del mondo e dell'uomo nella prassi politica
e sociale fu una liberazione di milioni di vite umane dalla schiavit. Ma nel patrimonio del pensiero
europeo, alla luce della tradizione degli ultimi due secoli, la rivoluzione anticomunista significa anche
la fine delle illusioni illuministiche, quindi la distruzione della concezione intellettuale, che stava a
fondamento dello sviluppo della prima Europa... subentrata un'epoca singolare, finora a nessuno
nota, dell'uniformiz-zazione dello sviluppo. Ed improvvisamente si reso evidente - certo per la prima
volta nella storia - che vi era solo un'unica ricetta, un'unica strada, un unico modello ed un'unica
maniera di configurare il futuro. E gli uomini perdettero la fede nel significato dei mutamenti in atto.
Perdettero anche la speranza che il mondo fosse realmente trasformabile e che valesse la pena di
trasformare il mondo... L'attuale mancanza di un'alternativa fa porre tuttavia alla gente domande
totalmente nuove. La prima domanda: forse allora l'Occidente non aveva ragione? La seconda
domanda: se l'Occidente non aveva ragione, chi allora aveva ragione? Poich per nessuno in Europa si
pu dubitare che il comunismo non aveva ragione, sorge la terza domanda: forse non esiste una ra-
gione? Ma se cos, tutto il patrimonio di pensiero dell'Illuminismo non ha nessun valore... Forse la
vaporiera dell'Illuminismo, andata in riposo dopo due secoli di lavoro utile, senza guasti, si fermata
davanti ai nostri occhi e con la nostra partecipazione. Ed il vapore sale
249
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
soltanto in aria. Se le cose stanno di fatto cos, allora le prospettive sono cupe .
Per quanto si possano qui porre anche delle controdomande, il realismo e la logica delle domande di
fondo di Szczypiorski non devono essere accantonati; ma nello stesso tempo la diagnosi cos
opprimente, che non ci si pu fermare ad essa. Non aveva ragione nessuno? Forse non esiste una
ragione? I fondamenti dell'Illuminismo europeo, sui quali si appoggia il nostro cammino di libert,
sono errati o almeno difettosi? La domanda "Che cos' la libert?" non in fondo meno complicata
della domanda "Che cos' la verit?". Il dilemma dell'Illuminismo, nel quale ci siamo innegabilmente
venuti a trovare, ci costringe a porre in modo nuovo entrambe le questioni ed anche a cercare
nuovamente il loro collegamento. Per andare avanti, dobbiamo dunque riflettere nuovamente sul punto
di partenza del cammino moderno della libert; la correzione di rotta, della quale abbiamo eviden-
temente bisogno, perch nell'oscuramento delle prospettive divengano nuovamente visibili delle vie,
deve ritornare ai medesimi punti di partenza e di l ricominciare. Naturalmente nel ristretto ambito di
questo libro io posso solo cercare di gettare pochi sprazzi di luce, accennando alla grandezza e ai
pericoli del cammino dell'epoca moderna, per aiutare cos a compiere una rinnovata riflessione.
Qui io cito dal manoscritto, che era stato conservato in occasione della Settimana universitaria.
250
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
2. La problematica della storia moderna della libert e del suo concetto di libert
Non vi nessun dubbio: l'epoca, che denominiamo et moderna, determinata sin dall'inizio dal tema
libert; la ricerca di nuove libert in assoluto l'unico motivo, che giustifica una tale periodizzazione.
Lo scritto polemico di Luter Della libert del cristiano da subito inizio al tema in toni forti28. Fu il
richiamo della libert, che mise all'erta le persone, che pose in movimento una vera valanga e fece
scaturire dagli scritti di un monaco un movimento di massa, che trasform radicalmente il volto del
mondo medievale. Si trattava della libert della coscienza nei confronti dell'autorit ecclesiale, quindi
in assoluto dell'intima libert dell'uomo. Non gli ordinamenti della comunit salvano l'uomo, ma la sua
fede totalmente personale in Cristo. Che improvvisamente tutto il sistema dell'ordinamento della
Chiesa medievale in ultima istanza non contasse pi, fu avvertito come un formidabile impulso di
liberazione. Gli ordinamenti, che in verit dovrebbero sostenere e salvare, apparvero come un peso;
essi non sono pi vincolanti, cio non hanno pi alcun significato redentivo. La redenzione
liberazione, liberazione dal giogo degli ordinamenti sovraindividuali. Anche se non si dovrebbe parlare
dell'individualismo della Riforma, tuttavia la nuova rilevanza del singolo e lo spostamento della
relazione fra la coscienza del singolo e l'autorit sono un tratto fondamentale. Questo movimento di
liberazione rimase certamente limitato sul piano propriamente religioso. L dove esso, come nella
Guerra dei contadini e nel movimento degli
28
Cfr. su tutta la questione per esempio E. LOHSE, Martin Luther, Miinchen 1981, pp. 60s., 86ss.
251
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
anabattisti, divenne anche un programma politico, Luter vi si opposto con forza. Nell'ambito
politico, tutt'al contrario, con la creazione delle Chiese di Stato e di regione (Lana) il potere
dell'autorit civile fu accresciuto e rafforzato. Nell'ambito anglosassone poi da questa nuova me-
scolanza di potere religioso e politico fuoriescono le Free-churches (Chiese libere) e divengono cos
precorritrici di una nuova struttura della storia, che poi nella seconda fase dell'evo moderno,
l'Illuminismo, assume chiara configurazione.
Comune a tutto l'Illuminismo la volont di emancipazione, innanzitutto nel senso del kantiano sapere
aude - osa di fare uso tu stesso della tua ragione. Si tratta del distacco della ragione del singolo dai
vincoli dell'autorit, che devono essere tutti criticamente esaminati. Solo ci che ragionevolmente
comprensibile deve valere. Questo programma flosofico , per sua essenza, anche un programma
politico: solo la ragione deve dominare, come ultima istanza non deve esistere altra autorit se non
quella della ragione. Solo quanto comprensibile ha valore; ci che non ragionevole, vale a dire
comprensibile, non pu neppure obbligare. Questo orientamento di fondo dell'Illuminismo si riscontra
tuttavia in filosofie sociali e in programmi politici diversi, anzi contrapposti. A mio parere, si
potrebbero distinguere due grandi correnti: il filone anglosassone, orientato pi secondo il diritto
naturale, che tende alla democrazia costituzionale come all'unico sistema realistico di libert; vi si
contrappone l'approccio radicale di Rousseau, che in ultimo esito mira all'anarchia piena. Il pensiero
giusnaturalistico critica il diritto positivo, le forme concrete di autorit, a partire dal criterio di misura
dei diritti innati della persona, che precedono tutti gli ordina-
252
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
menti giuridici, ne sono la misura ed il fondamento. L'uomo creato libero, libero, foss'anche nato
in catene, ha detto in questo senso Friedrich von Schiller. Non questa una frase per consolare gli
schiavi con idee metafsiche, ma una parola di lotta, una massima d'azione. Gli ordinamenti giuridici,
che creano schiavit, sono ordinamenti ingiusti. Sulla base della creazione, l'uomo ha diritti, che
devono essere fatti valere, perch vi sia giustizia. La libert non viene concessa all'uomo dall'esterno.
Egli ha un diritto, per il fatto che stato creato libero. Da una tale riflessione stata sviluppata l'idea
dei diritti dell'uomo come Magna charta del moderno movimento della libert. Se qui si parla di
natura, non quindi semplicemente inteso un sistema di ritmi biologici. Piuttosto si afferma che prima
di tutte le forme di ordinamento esistono dei diritti nell'uomo stesso, a partire dalla sua natura. L'idea
dei diritti dell'uomo in questo senso innanzitutto un'idea rivoluzionaria: essa si pone contro
l'assolutismo dello Stato, contro l'arbitrio della legislazione positiva. Ma anche un'idea metafsica:
nell'essere stesso si fonda una esigenza etica e giuridica. Non una cieca materialit, a cui si possa poi
dar forma secondo la pura convenienza. La natura reca in s lo spirito, porta in s ethos e dignit e
costituisce cos il titolo di diritto alla nostra liberazione e ne insieme la misura. Questo
sostanzialmente in fondo il concetto di natura di Romani 2, ispirato dalla Stoa e trasformato a partire
dalla teologia della creazione, che qui incontriamo: i pagani conoscono "per natura" (physe) la legge e
sono cos legge a se stessi (Rm 2,14).
La caratteristica specifica illuministico-moderna di questa linea di pensiero si potr vedere certamente
nel fatto
253
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
che l'esigenza di un diritto della natura , nei confronti delle forme di autorit costituite, soprattutto
rivendicazione dei diritti dell'individuo nei confronti dello Stato, nei confronti delle istituzioni. Come
natura dell'uomo viene considerato prima di tutto che egli di fronte alla comunit ha dei diritti, che
devono essere difesi davanti alla comunit: l'istituzione appare come il polo contrapposto della libert;
come soggetto titolare della libert appare l'individuo e come suo fine la piena emancipazione
dell'individuo.
In tale prospettiva questa corrente si avvicina al secondo orientamento, dall'impostazione molto pi
radicale: per J. J. Rousseau tutto ci, che stato creato dalla ragione e dalla volont, contro la natura,
ne la corruzione e la contraddizione. Il concetto di natura non a sua volta plasmato dall'idea di
diritto, che come legge di natura si presenterebbe gi anteriormente a tutte le nostre istituzioni. Il
concetto di natura di Rousseau antimetafisico, indirizzato al sogno della libert totale, senza alcuna
regola29. Qualcosa di simile riemerge in Nietzsche, che contrappone l'ebbrezza dionisiaca all'ordine
apollineo ed evoca cos i contrasti originari della storia delle religioni: gli ordinamenti della ragione,
simboleggiata da Apollo, corrompono la libera, illimitata ebbrezza della natura 30. Klages ha ripreso lo
stesso motivo con l'idea dello spirito come avversario dell'anima: lo spirito non il grande, nuovo
dono, nel
29
Cfr. D. WYSS, Zur Psychologie und Psychopathologie der Verblendung: J.-J. Rousseau una M.
Robespiene, die Begriinder des Sozialismus, in Jahrest und Tagungsbericht der Gorres-Gesellschaft
1992, pp. 33-45; R. SPAEMANN, Rousseau - Biirger ohne Valeriana. Von der Polis zur Natur,
Miinchen 1980.
30
Cfr. P. KOSTER, Der sterbende Goti. Niet&ches Entwurf ubermenschlicher Grafie, Meisenheim
1972; R. LOW, Niet&che. Sophist und Erzieher, Weinheim 1984.
254
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
quale soltanto si darebbe in assoluto libert, ma il disgregatore della realt originaria, con la sua
passione e la sua libert31. Da un certo punto di vista questa dichiarazione di guerra allo spirito
antilluministica, e in questo senso il nazionalsocialismo poteva richiamarsi a tale orientamento nella
sua ostilit verso l'Illuminismo e nel suo culto di "sangue e suolo". Ma il motivo di fondo
dell'Illuminismo, il grido reclamante la libert, anche qui non solo presente ma portato alla sua
forma pi radicale. Nei radicalismi politici del secolo XIX come del XX rispuntano continuamente in
forme molteplici, di fronte alla forma democraticamente addomesticata della libert, tali tendenze. La
Rivoluzione francese, che era iniziata con un'idea democratica costituzionale, ha rapidamente gettato
via da s questi legami e si messa sui binari di Rousseau e dell'idea anarchica di libert; proprio cos
essa divenuta -inevitabilmente - una dittatura sanguinaria.
Anche il marxismo continua questa linea radicale: esso ha sempre criticato la libert democratica come
libert apparente e promesso una libert migliore, pi radicale. Il suo fascino veniva anzi proprio dal
fatto che prometteva una libert maggiore e pi audace di quella realizzata nelle democrazie. Due
aspetti del sistema marxista mi sembrano essere particolarmente importanti per la problematica della
libert nell'epoca moderna e per il problema di libert e verit:
Cfr. T. STEINBUCHEL, Die philosophische Grundlegung der christlichen Sittenlehre, I, Dusseldorf
19473, pp. 118-132.
255
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
a) II marxismo parte dall'idea che la libert indivisibile, quindi come tale sussiste solo se la libert
di tutti. La libert legata all'uguaglianza: perch vi sa libert, deve essere stabilita innanzitutto
l'uguaglianza. Ci significa che per il fine della libert piena sono necessarie rinunce alla libert. La
solidariet di coloro, che combattono per la comune libert di tutti, ha priorit sulla affermazione
pratica delle libert individuali. La citazione di Marx, dalla quale siamo partiti, mostra che in realt alla
fine di nuovo presente l'idea della libert illimitata dell'individuo, ma per il momento prevale la
sovraordinazio-ne dell'aspetto comunitario, la sovraordinazione dell'uguaglianza sulla libert e quindi il
diritto della comunit rispetto all'individuo.
b) Collegato con quanto precede il presupposto che la libert del singolo dipenda dalla struttura della
totalit e che la lotta per la libert debba essere condotta innanzitutto non come lotta per i diritti
dell'individuo, ma come lotta per una struttura del mondo diversa. Di fronte alla questione sull'aspetto
che questa struttura debba avere e quali siano pertanto i mezzi razionali per la sua edificazione, al
marxismo per mancato il respiro. Infatti anche un cieco poteva in realt vedere che nessuna delle
strutture costruite rendeva reale quella libert, a motivo della quale era richiesta la rinuncia alla libert.
Ma gli intellettuali sono ciechi, l dove si tratta delle creazioni del loro pensiero. Per questo motivo essi
hanno potuto rinunciare a ogni realismo e continuare a combattere per un sistema, le cui promesse non
potevano essere mantenute. Ci si aiut con una fuga nella mitologia: la nuova struttura avrebbe creato
un uomo nuovo -- poich in realt, solo
256
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
con uomini nuovi, con uomini totalmente diversi le promesse avrebbero potuto funzionare. Se
nell'esigenza della solidariet e nell'idea dell'indivisibilit della libert si trova la caratteristica morale
del marxismo, altrettanto nel suo preannuncio dell'uomo nuovo si fa manifesta una menzogna, che
paralizza anche l'approccio morale. Verit parziali sono ordinate a una menzogna, e per questo
l'insieme fallisce: la menzogna sulla libert vanifica anche gli elementi veri. La libert senza la verit
non libert.
Noi siamo oggi a questo punto. Siamo giunti di nuovo esattamente alle problematiche, che
Szczypiorski ha formulato cos drasticamente a Salisburgo. Che cos' menzogna, ora lo sappiamo -
almeno in relazione alle forme di marxismo finora realizzate. Ma che cos' la verit lo ignoriamo
ancora. Anzi, il timore cresce: forse non esiste affatto una verit? Forse non esistono affatto la giustizia
ed il diritto? Forse ci dobbiamo accontentare di ordinamenti di emergenza minimi? Ma forse proprio
anche questi ordinamenti minimi non hanno successo, come mostrano i pi recenti sviluppi nei Balcani
ed in tante altre parti del mondo? Lo scetticismo cresce, e le sue ragioni si rafforzano, ma non si pu
eliminare la volont di un mondo della perfetta libert.
La sensazione che la democrazia non sia ancora la forma giusta della libert abbastanza generale e si
diffonde sempre pi. La critica marxista della democrazia non pu essere semplicemente messa da
parte: quanto libere sono le elezioni? Quanto manipolata la volont attraverso la propaganda, quindi
attraverso il capitale, attraverso alcuni dominatori dell'opinione pubblica? Non esiste forse la
257
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
nuova oligarchia di coloro, che determinano che cosa moderno e progressista, che cosa deve pensare
una persona illuminata? La crudelt di questa oligarchia, la sua possibilit di "esecuzioni" pubbliche,
da tempo conosciuta. Chi volesse opporsi un nemico della libert, perch egli impedisce la libera
espressione delle opinioni. E che cosa dire della formazione del consenso negli organi di rappre-
sentanza democratica? Chi potrebbe ancora credere che il bene comune sia, qui, l'elemento
propriamente determinante? Chi potrebbe dubitare della potenza di interessi, le cui mani sporche
divengono visibili sempre pi frequentemente? E in genere: il sistema della maggioranza e minoranza
veramente un sistema di libert? E associazioni di interessi di ogni tipo non stanno diventando a vista
d'occhio pi forti della rappresentanza propriamente politica, del Parlamento? In questo groviglio di
poteri emerge in modo sempre pi minaccioso il problema dell'ingovernabilit: la volont di
affermazione dei diritti dei gruppi opposti blocca la libert della collettivit
Esiste senza dubbio il flirt con soluzioni autoritarie, la fuga davanti alla libert non padroneggiata. Ma
questo atteggiamento non ancora determinante per lo spirito del secolo. La corrente radicale
deH'Illuminismo non ha perduto la sua efficacia, diviene addirittura pi forte. Proprio di fronte ai limiti
della democrazia diventa pi alto il grido che invoca una totale libert. E "legge e ordine" hanno
sempre, anzi decisamente in misura crescente nella mentalit dominante, il significato di opposizione
alla libert. Istituzione, tradizione, autorit appaiono in s come il polo opposto alla libert. La
caratteristica anarchica del desiderio di libert si rafforza, perch le forme regolate
258
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
della libert comunitaria non soddisfano. Le grandi promesse dell'inizio dell'epoca moderna non sono
state mantenute, ma il loro fascino inalterato. La forma democraticamente ordinata della libert non
pu pi oggi essere difesa semplicemente con questa o quella riforma di legge. La questione tocca i
fondamenti stessi. Si tratta di che cosa l'uomo e come egli possa vivere giustamente in quanto singolo
e nella collettivit.
Come si vede, il problema politico, filosofico e religioso della libert diventato un tutto inscindibile;
chi cerca vie per il futuro, deve tenere in considerazione il complesso e non pu accontentarsi di
pragmatismi superficiali. Prima di tentare di indicare in un'ultima parte alcune linee per un cammino,
che per me sembrano aprirsi, vorrei ancora gettare uno sguardo sulla filosofa della libert forse pi
radicale del nostro secolo, quella di Jean-Paul Sartre, nella quale il problema appare in tutta la sua
seriet e in tutta la sua grandezza. Sartre vede la libert dell'uomo come la sua condanna. A differenza
dell'animale, l'uomo non ha nessuna "natura". L'animale vive la sua esistenza secondo una norma in
esso innata; non ha bisogno di riflettere su che cosa voglia fare della sua vita. Ma l'essere uomo in-
determinato. un problema aperto. Io stesso devo decidere che cosa voglio intendere con l'essere
uomo, che cosa farne, come configurarlo. L'uomo non ha alcuna natura, ma solo libert. Deve vivere
la vita diretto da qualche parte, ma comunque finisce nel vuoto. Questa libert senza un significato
l'inferno dell'uomo. Ci che allarma in questa impostazione di pensiero che qui la separazione tra
libert e verit portata alle estreme conseguenze: non esiste nessuna verit. La libert non ha nessuna
dire-
259
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
zione e nessun criterio32. Ma questa totale assenza di verit, la totale assenza di qualsiasi legame anche
morale e metafsico, la libert assolutamente anarchica come determinazione essenziale dell'essere
umano, per colui che cerca di viverla, si svela non come l'esaltazione massima dell'esistenza, ma come
la vanifcazione della vita, come il vuoto assoluto, come la definizione della perdizione. Nel-
l'estrapolazione di un concetto radicale di libert, che per Sartre stesso fu esperienza di vita, diviene
visibile che la liberazione dalla verit non produce la pura libert, ma la toglie. La libert anarchica,
assunta in modo radicale, non redime l'uomo, ma ne fa una creatura fallita, un essere
senza senso.
3. Libert e verit
3.1 Sull'essenza della libert umana
Dopo questo tentativo di comprendere l'origine dei nostri problemi e cos di prendere conoscenza della
loro intrinseca impostazione, tempo di cercare delle risposte. E diventato evidente che la crisi della
storia della libert, nella quale oggi ci troviamo, motivata da un concetto di libert non chiarito e
unilateralizzato. Da una parte, si isolato il concetto di libert falsandolo: la libert un bene, ma lo
solo in unione con altri beni, con i quali costituisce una totalit inscindibile. Dall'altra, si ristretto il
concetto di libert stesso ai diritti individuali di libert e lo si cos privato della sua verit umana.
Vorrei chiarire
32
Cfr. J. PlEPER, Kreaturlichkeit und menschliche Natur. Anmerkungen zum philoso-phischen Ansatz
vonJ.-P. Sartre, in ID., Uber die Schwierigkeit heute zu glauben, Munchen 1974, pp. 304-321.
260
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
il problema di questo modo di intendere la libert con un esempio concreto, che allo stesso tempo ci
pu aprire la strada ad una concezione adeguata di libert. Penso alla questione dell'aborto. Nella
radicalizzazione della tendenza individualistica dell'Illuminismo, l'aborto appare come un diritto di
libert: la donna deve poter disporre di se stessa. Essa deve avere la libert, sia che voglia mettere al
mondo un bambino sia che voglia disfarsene. Essa deve poter decidere di se stessa, e nessun altro pu
imporle dall'esterno - cos ci viene detto - una norma vincolante in ultima istanza. Ne va del diritto di
autodeterminazione. Ma la donna nell'aborto decide propriamente di se stessa? Non decide essa in
realt di qualcun altro - del fatto che ad un altro non debba essere concessa nessuna libert, che a lui lo
spazio della libert - la vita - debba essere tolto, perch entra in concorrenza con la mia propria libert?
E quindi ci si deve chiedere: che cosa veramente questa libert, tra i cui diritti si annovera l'eliminare
subito fin dall'inizio la libert di un altro?
Non si dica ora che il problema dell'aborto tocca uno specifico caso particolare e non serve per chiarire
il problema complessivo della libert. No, proprio in questo esempio si chiarisce la figura fondamentale
della libert umana, la sua essenza tipicamente umana. Infatti di che cosa si tratta? L'essere di un'altra
persona umana cos strettamente intessuto con l'essere di questa persona, la madre, che per il
momento pu sussistere assolutamente solo nella sua correlazione corporea con la madre, in un'unit
fsica con lei, che tuttavia non elimina il suo essere altro e non permette di porre in discussione il suo
essere se stesso. Certamente - questo "essere se stesso" in
261
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
modo radicale un "essere dall'altro", mediante l'altro; viceversa l'essere dell'altro - della madre - viene
stimolato da questa correlazione a un "essere-per", che contraddice al suo proprio volere se stesso e
cos viene sperimentato come opposizione alla propria libert. Ora dobbiamo aggiungere che il
bambino, anche se viene partorito e cambia la forma esterna delP"essere-da" e delP"essere-con",
nondimeno resta altrettanto dipendente, altrettanto rimesso a un "essere-per". Certo, ora lo si pu
inviare in una scuola materna e mettere in collegamento con un altro "per", ma la figura antropologica
la stessa, rimane quella della dipendenza, che esige un "per", un'accettazione dei limiti della mia
libert, o piuttosto un vivere la mia libert non in prospettiva di concorrenza, bens di reciproco
sostegno. Se apriamo gli occhi, vediamo che questo a sua volta non vale solo per il bambino, che
piuttosto nel bambino entro il seno materno si da semplicemente a conoscere in modo molto intuitivo
l'essenza dell'esistenza umana nel suo complesso: vale anche per l'adulto che egli pu essere solo in-
sieme con l'altro e a partire da lui e cos egli sempre dipendente da quelP"essere-per", che intendeva
proprio escludere. Diciamolo in un modo ancora pi preciso: l'uomo presuppone in realt come del
tutto ovvio l'"esse-re-per" degli altri, cos come oggi si venuto configurando nella rete del sistema di
servizi, ma da parte sua desidererebbe non essere coinvolto nella costrizione di un tale "da" e "per",
bens divenire del tutto indipendente, potendo fare o non fare ci che semplicemente vuole. Il desiderio
di libert radicale, che si manifestato sempre pi chiaramente nel cammino dell'Illuminismo,
soprattutto nella linea aperta da Rousseau, e determina oggi largamente la coscienza comune,
aspirerebbe a non essere "da", n
262
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
"verso", n "di", n "per", ma appunto del tutto libero. Ci significa considerare la figura reale
fondamentale dell'esistenza umana stessa come l'attentato alla libert che si cela in anticipo in ogni
singola vita e azione; vorrebbe essere liberato proprio dalla sua specifica essenza umana per divenire
l'"uomo nuovo": nella nuova societ queste condizioni che limitano l'io e questo "dover-donare-s-
stessi" potrebbero lecitamente non esistere pi.
In fondo dietro la richiesta radicale di libert dell'evo moderno sta molto chiaramente la promessa:
diventerete come Dio. Anche se Ernst Topitsch credeva di poter affermare che oggi nessun uomo
ragionevole voglia pi essere simile a Dio o uguale a Dio, nondimeno a un pi attento esame si deve
affermare esattamente il contrario: il fine implicito di tutti i movimenti di liberazione moderni di
essere finalmente come un Dio, non dipendenti da nulla e da nessuno, non limitati nella propria libert
da nessuna libert estranea. Se si considera una volta per tutte questo nascosto nucleo teologico della
volont radicale di libert, allora diviene visibile anche l'errore fondamentale, che si ripercuote pure l,
ove tali radicalismi non sono direttamente voluti, anzi, sono respinti. Essere totalmente liberi, senza la
concorrenza di altre libert, senza un "da" e un "per" - si nasconde qui non un'immagine di Dio, ma di
un idolo. L'errore originario di tali radicalizza-te volont di libert sta nell'idea di una divinit, che
concepita in modo puramente egoistico. Il Dio pensato cos non un Dio, ma un idolo, anzi l'immagine
di colui che la tradizione cristiana chiamerebbe il diavolo - Fanti-dio -, perch in esso si trova proprio
l'opposto radicale del vero Dio: il vero Dio per sua essenza totalmente
263
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
"essere-per" (Padre), "essere-da" (Figlio) ed "essere-con" (Spirito Santo). L'essere umano tuttavia
immagine di Dio proprio per il fatto che il "da", "con" e "per" costituisce la figura antropologica
fondamentale. L dove si cerca di liberarsene, non ci si avvicina alla divinit, ma alla disuma-
nizzazione, alla distruzione dell'essere stesso attraverso la distruzione della verit. La variante
giacobina dell'idea di liberazione (chiamiamo una buona volta cos i radicalismi moderni) ribellione
contro lo stesso essere-uomini, ribellione contro la verit, e pertanto conduce l'uomo - come Sartre ha
visto acutamente - in un'esistenza di autocontraddizione, che chiamiamo inferno.
In questo modo emerso molto chiaramente che la libert legata ad un criterio, al criterio della realt
- alla verit. Libert di autodistruzione o di distruzione dell'altro non libert, ma la sua diabolica
parodia. La libert dell'uomo libert condivisa, libert nell'essere insieme di libert, che si limitano
reciprocamente e cos si sostengono reciprocamente: la libert deve commisurarsi a ci che io sono, a
ci che noi siamo - altrimenti si sopprime da se stessa. Con questo arriviamo per ora ad una
correzione essenziale del superficiale concetto di libert oggi largamente dominante: se la libert
dell'essere umano pu consistere solo nell'ordinato essere insieme di pi libert, allora questo significa
che ordine e diritto non sono concetti opposti alla libert, ma la sua condizione, anzi un elemento
costitutivo d'essa medesima. Il diritto non una limitazione della libert, ma la costituisce. L'assenza di
diritto assenza di libert.
264
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
3.2 Libert e responsabilit
Certamente con questa affermazione nasce subito anche una nuova domanda: che cosa un diritto
conforme a libert? Come deve essere strutturato un diritto, perch esso costituisca un diritto di libert;
infatti esiste indubbiamente un diritto apparente, che un diritto da schiavi e pertanto non un diritto,
ma una forma regolamentata di ingiustizia. La nostra critica non pu essere rivolta contro il diritto
stesso, il quale appartiene all'essenza della libert; essa deve smascherare come tale il diritto apparente
e mettersi al servizio del manifestarsi del vero diritto - di quel diritto, che secondo la verit e pertanto
secondo la libert.
Ma come lo si trova - questa la grande questione, la questione, finalmente posta in modo giusto, della
reale storia della liberazione. Procediamo anche qui, come gi finora, non con astratte considerazioni
filosofche, ma cerchiamo di avvicinarci progressivamente a una risposta a partire dalle realt presenti
della storia. Se cominciamo da una piccola comunit ben controllabile, si pu facilmente scandagliare
in una qualche misura, a partire dalle sua possibilit e limiti, quale ordine favorisca meglio la convi-
venza di tutti, cos che dal loro essere insieme nasca una figura comune di libert. Ma nessuna piccola
comunit isolata in se stessa; essa inclusa e condeterminata nella sua propria essenza dalle
istituzioni pi grandi, alle quali appartiene. Nell'epoca degli Stati nazionali si partiva dal presupposto
che la propria nazione fosse l'unit di misura - che il suo bene comune costituisse anche il criterio giu-
sto della libert comune. Lo sviluppo del secolo XX ha chiarito che questo punto di vista non
sufficiente. Ago-
265
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
stino aveva detto al riguardo che uno Stato, il quale si riferisse solo agli interessi comuni suoi propri e
non alla giustizia in s, alla vera giustizia, non sarebbe differente strutturalmente da una ben ordinata
banda di predoni. Infatti per essa caratteristico proprio il prendere come criterio il bene della banda
indipendentemente dal bene degli altri. Guardando indietro all'epoca coloniale ed ai danni che si
lasciata alle spalle nel mondo, oggi vediamo che ancora Stati molto ben ordinati e civilizzati si av-
vicinavano in qualche modo all'essenza della banda di predoni, perch pensavano solo a partire dal
proprio bene e non dal bene in s. Una libert cos garantita ha in s quindi qualcosa della libert dei
predoni. Non la vera, autentica libert umana. Nella ricerca del criterio giusto tutta quanta l'umanit
deve stare davanti ai nostri occhi e - come vediamo sempre pi chiaramente - ancora una volta non solo
l'umanit di oggi, ma anche quella di domani.
Il criterio per il reale diritto, che possa definirsi autenticamente come tale e quindi come diritto di
libert, pu pertanto essere solo il bene della totalit, il bene stesso. A partire da questa intuizione, Hans
Jonas ha dichiarato che il concetto di responsabilit il concetto etico centrale . Ci significa che la
libert, per essere compresa correttamente, deve sempre essere pensata insieme con la responsabilit.
La storia della liberazione quindi pu verifcarsi sempre soltanto come storia di una responsabilit
crescente. La crescita della libert non pu pi consistere sempli-
3
H. JONAS, Dos Prinzip Verantwortung, Frankfurt a. M. 1979 (tr. it. // principio responsabilit,
Torino 1991).
266
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
cernente nel sempre pi vasto allargamento dei diritti individuali - ci che conduce all'assurdo e alla
distruzione anche delle libert individuali. Crescita della libert deve essere crescita della
responsabilit. A ci appartiene anche l'accettazione dei legami sempre pi grandi, che sono richiesti
dalle esigenze di coesistenza dell'umanit, dalla necessit di adeguarsi a quel che essenziale
dell'uomo. Se responsabilit rispondere alla verit dell'essere uomo, allora possiamo dire: alla vera
storia della liberazione appartiene la continua purificazione diretta alla verit. Nella purificazione del
singolo e delle istituzioni per opera di questa verit consiste questa vera storia della libert.
Il principio responsabilit costituisce una cornice, che necessita di essere riempita di contenuti. In tale
contesto si deve vedere la proposta dell'elaborazione di un ethos mondiale, per il quale si impegnato
con passione soprattutto Hans Kng. Indubbiamente ha senso, anzi, nella nostra attuale situazione
necessario cercare gli elementi di fondo delle tradizioni etiche nelle diverse religioni e culture; in
questo senso una tale impresa certo importante e opportuna. Per un altro verso, i limiti di un tale
tentativo sono evidenti, e su di essi ha richiamato l'attenzione ad esempio Joachim Fest in un'analisi
senz'altro bene intenzionata, ma anche molto pessimistica, che nel suo orientamento si avvicina allo
scetticismo di Szczypiorski34. Infatti
J. FEST, Die schwierige Freiheit, Berlin 1993, spec. pp. 47-81; a p. 80 egli commenta sintetizzando il
Weltethos di H. Kiing, in queste parole: Quanto pi oltre si spingono gli accordi raggiunti non senza
concessioni, tanto pi devono diventare estensibili e di conseguenza inevitabilmente impotenti anche le
norme etiche, finch il progetto da ultimo sfocia in una mera convalida di quella moralit non impegna-
tiva, che appunto non il fine, ma il problema.
267
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
a un tale minimo etico distillato dalle diverse religioni del mondo manca innanzitutto il carattere
vincolante, l'autorit intrinseca, di cui ha bisogno Vethos. Gli manca anche, nonostante tutto lo sforzo
per raggiungere l'intelligibilit, l'evidenza razionale sufficiente, che secondo il parere degli autori ben
potrebbe e dovrebbe sostituire l'autorit; gli manca anche la concretezza, che solo rende Vethos effi-
cace.
Mi sembra giusta un'idea che certamente compresente in questo tentativo: la ragione deve mettersi in
ascolto delle grandi tradizioni religiose, se non vuole divenire sorda e muta e cieca proprio in
riferimento all'essenziale dell'esistenza umana. Non esiste nessuna grande filosofa, che non viva
dell'ascolto e dell'accoglienza di una tradizione religiosa. L dove questa relazione viene interrotta, il
pensiero flosofico si inaridisce e diventa un vuoto gioco di concetti 35. Proprio in rapporto al tema della
responsabilit, cio alla questione delPancoramento della libert nella verit del bene, nella verit
dell'uomo e del mondo, si rivela molto chiaramente la necessit di tale ascolto. Infatti, per quanto
giusto sia nella sua impostazione il principio responsabilit, resta tuttavia la domanda: come dobbiamo
individuare ci che bene per tutti e ci che bene non solo per oggi, ma anche per domani? Un
doppio pericolo qui in agguato: da una parte vi il rischio di uno scivolamento nel
consequenzialismo, che giustamente il Papa critica nella sua enciclica sulla morale . L'uomo si aggrava
35 f
E penetrante al riguardo J. PlEPER, Schriften zum Philosophebegriff, in Werke, 8 voli., Ili, a cura di B.
Wald, Hamburg 1995, pp. 300-323, come pure pp. 15, 70, specialmente pp. 59ss.
36
Veritatis splender, nn. 71-83.
268
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
del peso di se stesso quando ritiene di poter considerare tutt'attorno le conseguenze della sua azione e
di poterle assumere come norma della sua libert. Ben presto allora il presente viene sacrificato al
futuro, ma anche il futuro non viene edificato. Per altro verso nasce la questione: chi allora decide che
cosa impone la nostra responsabilit? L dove la verit non pi vista nell'intelligente assimilazione
delle grandi tradizioni della fede, essa viene sostituita dal consenso. Ma di nuovo c' da domandarsi: il
consenso di chi? Allora si dice: il consenso di coloro, che sono capaci di argomentare. Poich poi non
pu sfuggire la pretenziosit elitaria di tale dittatura intellettuale, si dice che quanti sono capaci di
argomentare dovrebbero rispondere "da avvocati" anche per coloro che non fossero capaci di
un'argomentazione razionale. Tutto questo ha poca probabilit di suscitare fiducia. Quanto fragili siano
i consensi e quanto rapidamente, in un certo clima intellettuale, gruppi partitici possano imporsi come
gli unici rappresentanti autorizzati del progresso e della responsabilit, davanti agli occhi di tutti noi.
Qui con troppa facilit si rischia di cacciare il diavolo con Beelzebub; con troppa facilit, invece del
demonio delle passate costellazioni culturali, sette nuovi e peggiori demoni possono occupare la nostra
casa.
3.3 La verit del nostro essere uomini
La questione del modo in cui si debbano porre nella giusta relazione responsabilit e libert non pu
essere decisa semplicemente attraverso un calcolo degli effetti. Dobbiamo tornare all'idea precedente,
secondo cui la libert umana una libert nella coesistenza delle libert; solo cos essa autentica, cio
conforme alla reale condizione
269

FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda


dell'uomo. Ci significa: io non ho affatto bisogno di cercare elementi di correzione
alla libert del singolo a partire dall'esterno; in tal caso libert e responsabilit, libert
e verit rimarrebbero sempre contrapposte, mentre non lo sono. La realt del singolo
rettamente compresa porta in se stessa il rimando alla totalit, all'altro. Pertanto
diremo: esiste in ogni uomo la verit comune dell'unica essenza umana, che dalla
tradizione fu designata come "natura" dell'uomo. Se muoviamo dalla fede nella
creazione, possiamo formulare questa realt ancora pi chiaramente: esiste l'unica
creatura uomo come cos concepito da Dio, e corrispondervi il nostro compito. In lui
libert e comu-nitariet, ordine e orientamento al futuro costituiscono una cosa sola.
Responsabilit allora significherebbe: vivere l'essere come risposta - come risposta a
ci che siamo in verit. Quest'unica verit dell'uomo, nella quale il bene di tutti e la
libert sono inscindibilmente ordinati l'uno all'altro, espressa nella tradizione biblica
centralmente nel Decalogo, il quale del resto sotto molti aspetti coincide con le grandi
tradizioni etiche di altre religioni. Il Decalogo allo stesso tempo presentazione,
rappresentazione di s da parte di Dio e spiegazione dell'essere umano,
manifestazione della sua verit, che diviene visibile nello specchio dell'essenza divina,
perch solo a partire da Dio l'uomo pu essere compreso rettamente. Vivere il
Decalogo significa: vivere la propria somiglianz con Dio, rispondere alla verit del
nostro essere e cos fare il bene. Detto ancora in altro modo: vivere il Decalogo
significa vivere l'aspetto divino (Gttlic-hkeit) dell'uomo, e questa appunto libert:
una fusione
270
Capitolo III - VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
del nostro essere con l'Essere divino e l'armonia che ne consegue di tutti con tutti37.
Perch questa affermazione sia intesa rettamente deve essere aggiunta ancora
un'osservazione. Ogni grande parola umana conduce oltre ci che viene detto
direttamente in modo consapevole, a una pi grande profondit; in quanto viene detto
si nasconde sempre un'eccedenza di non detto, che con l'avanzare delle epoche rende
pi dense di senso le parole. Se questo vale gi per la parola umana, ci a maggior
ragione vale per la parola, che viene dalle profondit divine. Il Decalogo non mai
semplicemente compreso fino in fondo. Nelle situazioni della responsabilit storica
che si susseguono e mutano, esso si presenta in prospettive sempre nuove, si aprono
dimensioni sempre nuove del suo significato. Si verifica quell'essere introdotti nella
verit tutta intera, in una verit, il cui peso non potrebbe affatto essere sostenuto in un
solo momento della storia (cfr. Gv 16,12s.). Per i cristiani significa quella spiegazione,
che si realizzata nelle parole e nella vita e nella passione e nella risurrezione di
Cristo, l'istanza interpretativa decisiva, nella quale si dischiude una profondit prima
imprevedibile. Poich questa la verit delle cose, proprio per questo l'ascolto umano
del messaggio della fede non un'acccttazione passiva di una informazione altrimenti
sconosciuta, ma il risveglio della nostra memoria sepolta e lo schiudersi delle forze
della comprensione, che attendono in noi la luce della verit. Cos tale comprensione
un processo estremamente attivo, nel quale soltan-
Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2052-2082.
271
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
to tutta la ricerca razionale dei criteri della nostra responsabilit attinge realmente
la propria forza. La ricerca razionale non viene soffocata, ma liberata dall'aggirarsi
senza esito all'interno di ci che non si riesce a comprendere e ricondotta sulla via.
Se il Decalogo approfondito in una comprensione razionale la risposta alle
esigenze interiori della nostra natura, allora esso non il polo che si oppone alla
nostra libert, ma la sua forma viva. Allora esso il fondamento di ogni diritto di
libert e la forza veramente liberante della storia umana.
4. Sintesi dei risultati
Forse la vaporiera dell'Illuminismo, andata in riposo dopo due secoli di lavoro
utile, senza guasti, si fermata davanti ai nostri occhi e con la nostra
partecipazione. Ed il vapore sale soltanto in aria; questa la pessimistica
diagnosi di Szczypiorski, che avevano incontrato all'inizio come provocazione alla
riflessione. Ora, io direi: senza guasti il lavoro di questa macchina non lo fu mai -
pensiamo solo alle due guerre mondiali del secolo XX e alle dittature, che
abbiamo sperimentato. Ma vorrei aggiungere: non abbiamo affatto bisogno di
prendere congedo dall'eredit dell'Illuminismo come tale e nel suo insieme, di
parlare di vaporiera andata in riposo. Ci di cui per abbiamo bisogno di una
correzione di percorso in tre punti essenziali, nei quali vorrei riassumerne il
risultato delle mie riflessioni.
1. Una concezione della libert, che voglia vedere come liberazione soltanto la
dissoluzione sempre pi ampia delle norme e l'ampliamento continuo delle libert
in-
272
Capitolo III - VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
dividuali fino alla totale liberazione da ogni ordinamento, errata. La libert, se
non intende portare alla menzogna e all'autodistruzione, deve orientarsi alla verit,
cio a ci che veramente noi siamo e corrispondere a questo nostro essere. Poich
l'uomo un'essenza nell"'essere-da", nel-l'"essere-con" e nell'"essere-per", la
libert umana pu consistere solo nell'ordinata coesistenza delle libert. Il diritto
pertanto non il contrario della libert, ma la sua condizione, anzi ne costitutivo.
La liberazione non consiste nella progressiva abolizione del diritto e delle norme,
ma nella purificazione di noi stessi e nella purificazione delle norme, cos che esse
rendano possibile la convivenza umanamente degna delle libert.
2. Dalla verit della nostra essenza consegue un ulteriore elemento: nell'ambito di
questa nostra storia umana non esister mai la situazione assolutamente ideale, e
non si eriger mai un ordine di libert definitivo. L'essere umano sempre in
cammino e sempre limitato. Szczypiorski davanti alla palese ingiustizia della
societ socialista e di tutti i problemi dell'ordine liberale aveva posto il dubi-toso
interrogativo: forse non esiste in assoluto un diritto? A questo proposito ora
dobbiamo dire: in verit, l'ordine semplicemente ideale delle cose, il diritto
perfetto, non esister mai38. L dove tale pretesa viene avanzata, non viene detta la
verit. La fede nel progresso non errata sotto tutti gli aspetti. Errato per il mito
del futuro mondo liberato, nel quale tutto sar diverso e sar buono. Noi possiamo
erigere sempre solo ordinamenti relativi, essi
Cfr. la Costituzione conciliare Gaudium et spes, n. 78: ... nunquam pax pr
semper acquisita est..
273
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
possono sempre avere ragione ed essere giusti solo relativamente. Ma dobbiamo
impegnarci proprio in questo avvicinamento il pi adeguato possibile a quanto
veramente giusto. Tutto il resto, ogni escatologia intrastorica, non libera, ma di
conseguenza inganna e asservisce. Perci deve essere smitizzato anche il mitico
fulgore, che si attribuito a concetti come cambiamento e rivoluzione. Il
cambiamento non un bene in se stesso. Se esso buono o cattivo dipende dai
suoi contenuti e dai punti di riferimento concreti. L'idea, che il compito essenziale
nella lotta per la libert sia il cambiamento del mondo, - lo ripeto - un mito.
Nella storia ci sar sempre un progredire e un retrocedere. In rapporto alla
autentica natura morale dell'uomo, la storia non si svolge linearmente, ma con ri-
petizioni. Nostro compito lottare di volta in volta nel presente per quella
strutturazione relativamente migliore della convivenza umana e custodire il bene
cos raggiunto, vincere il negativo esistente e difenderci dall'invasione delle
potenze della distruzione.
3. Dobbiamo anche prendere congedo dal sogno dell'assoluta autonomia della
ragione e della sua autosuffcien-za. La ragione umana ha bisogno dell'appoggio
delle grandi tradizioni religiose dell'umanit. Essa esaminer assolutamente in
modo critico le singole tradizioni religiose. La patologia della religione la
malattia pi pericolosa dello spirito umano. Essa esiste nelle religioni, esiste per
proprio anche l, dove la religione come tale viene respinta e viene attribuito un
ruolo assoluto a beni relativi: i sistemi ateistici dell'epoca moderna sono gli esempi
pi spaventosi di una passione religiosa alienata dalla sua essenza, il che significa
per una malattia mortale dello spirito uma-
274
Capitolo III - VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
no. L dove Dio negato, non viene costruita la libert, ma le viene sottratto il suo
fondamento e pertanto essa viene stravolta39. L dove le pi pure e profonde
tradizioni religiose vengono totalmente abbandonate, l'uomo si separa dalla sua
verit, vive contro di essa e perde la libert. Anche l'etica flosofica non pu essere
puramente e semplicemente autonoma. Essa non pu rinunciare all'idea di Dio n
rinunciare all'idea di una verit dell'essere, che ha carattere etico 40. Se non esiste
nessuna verit dell'uomo, egli non ha neppure una libert. Solo la verit rende
liberi.
Cfr. J. FEST, op. cit., p. 79: Nessuno degli appelli, che sono diretti all'uomo, gli sa dire come esso possa vivere senza
aldil e senza timore del Giudizio finale, e tuttavia, come possa, di volta in volta, lottare contro i suoi egoismi e le sue
cupidigie. Cfr. anche L. KOLAKOWSKI, Falls es keinen Goti gibt, Munchen 1982.
Cfr. J. PlEPER, op. cit, nota 10.
275
Principali fonti dei singoli capitoli
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI.
LA COLLOCAZIONE DELLA FEDE CRISTIANA
NELLA STORIA DELLE RELIGIONI
In: Goti in Welt. Festgabe fir Karl Rahner z.um 60. Geburtstag, a cura di H. Vorgrimler,
Freiburg i. Br. 1964, II, pp. 287-305; inoltre in J. Kardinal RATZINGER, Vom Wiedera-
uffinden der Mitte. Grundorientierungen. Texte aus vier Jah-rzehnten. A cura del gruppo
dei discepoli. Redazione St. Horn, V. Pfniir, V. Twomey, S. Wiedenhofer, J. Zhrer,
Freiburg i. Br., Basel, Wien 1997, 1998 2, pp. 60-82.
CAPITOLO II FEDE, RELIGIONE E CULTURA
Der christliche Glaube vor der Herausforderung der Kulturen, in: Evangelium und
Inkulturation (1492-1992), a cura di P. Gor-dan, Salzburger Hochschulwochen 1992,
Graz 1993, pp. 9-26; inoltre in KNA, Okumenische Information, (Bonn) 52-53
(dicembre 1992), pp. 5-15.
In spagnolo in: Ecclesia (Madrid) 7 (1993), pp. 360-386; in: Mercurio (Santiago de
Chile, 1943) 1993; in spagnolo
277
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
(versione modificata) in: Nuova umanit (Roma) XVI, 1994/6, pp. 95-118.
In inglese (versione ampliata) Christ, Faith and th Challenge of Cultures, in: Origins
(Vatican) voi. XXIV, 41 (30-3-1995), pp. 678-686.
In spagnolo (la stessa versione) in: Communio (Madrid) 18 (1996), pp. 152-170.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I
LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI
ANNI NOVANTA. SULLA SITUAZIONE DELLA
FEDE E DELLA TEOLOGIA OGGI
Zur Lage von Glaube und Theologie heute, in: Internat. Kath. Zeitschrift Communio
(Freiburg i. Br.) 25 (1996), pp. 359-372, anche nelle diverse edizioni de L'Osservatore
Romano (Citt del Vaticano); inoltre in: MlCHAEL MULLER, Stets war es der Hund,
der star, Aachen 1998, pp. 33-53.
In spagnolo in: Ecclesia (Madrid) 10 (1996), pp. 485-502; inoltre in: Communio
(Madrid) 19 (1997), pp. 13-27; anche in: Humanitas (Pontifcia Universidad Catolica
de Chile) 52 (1997), pp. 280-293; anche in Enciclopedia del Cristianesimo (Navarra
1997), pp. 22-30; in spagnolo un'altra volta in: CONSEJO EPISCOPAL LATINO-
AMERICAN, F y teologa en America Latina, Bogot 1997, pp. 13-36; inoltre in:
Gladius (Buenos Aires) 43 (1998), pp. 13-27.
278
PRINCIPALI FONTI DEI SINGOLI CAPITOLI
In italiano in: La Civilt Cattolica (Roma) 22 (1997), pp. 69-88.
In portoghese in: Communio (Rio de Janeiro) 79 (luglio-dicembre 1998), pp. 185-201.
CAPITOLO II VERIT DEL CRISTIANESIMO?
I LA FEDE TRA LA RAGIONE E IL SENTIMENTO
Glaube zpoischen Vernunft und Gefiihl, in: Mitteilungen des bersee-Club (Hamburg
1998) estratto, parimenti in: Die neue Ordnung (Bonn) 52 (1998), pp. 164-177; inoltre
in: Konferenzblatt fr Theologie und Seelsorge (Bressanone) 110 (1999), pp. 133-144.
In polacco in: Ethos (Lublin) 44 (1998), pp. 59-72.
In italiano in: Archivio Teologico Torinese (Torino) 1 (1999), pp. 7-19.
II IL CRISTIANESIMO: LA RELIGIONE VERA?
(Testo abbreviato) in: FAZ (Frankfurt) 8-1-2000; inoltre (testo integrale) in: 30 Tage
(Rome) 1 (2000), pp. 33-44; in: A. Raffelt (a cura di), Weg und Weite. Festschrift far Karl
Lehmann, Freiburg i. Br. 2001, pp. 631-642.
279
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
In francese in: Vrit du Chrtianisme? Conferenza tenuta il 27-11-1999 alla Sorbona,
Parigi; (testo abbreviato) in: Le Monde (Paris 1999); (testo abbreviato) in: La Croix
(Paris 1999); (testo integrale) in: La Documentation Cat-holique (Paris) 1 (2000), pp.
29-35; in: 30 Jours (Rome) 1 (2000), pp. 33-44; Chrtianisme: Hritages et Destins, a
cura di C. Michon, Paris 2002, pp. 303-324.
In inglese in: 30 Days (Rome) 1 (2000), pp. 33-44.
In italiano in: 30 Giorni (Roma) 1 (2000), pp. 49-60; inoltre in: Vita e Pensiero
(Milano) 1 (2000), pp. 1-16; in: Nuova Umanit (Roma) XXII, 2000/2, pp. 187-202; in:
Micro Mega Almanacco di filosofia (Roma) 2 (2000), pp. 41-53.
In portoghese in: 30 Dias (Roma) 1 (2000), pp. 33-44.
In spagnolo in: 30 Dias (Roma) 1 (2000), pp. 33-44; tVerdad del cristianismo?, in:
Communio (Santiago de Chile), 5 (2001), pp. 83-98.
In polacco in: Christianitas (Brwinw) 3 (2000), pp. 11-23; inoltre in: Ethos (Lublin)
53-54 (2001), pp. 79-90.
In ungherese (testo abbreviato come in FAZ dell'8-1-2000) in: Mrleg (Bcs) 3
(2000), pp. 292-301.
Ili FEDE, VERIT E CULTURA
RIFLESSIONI IN COLLEGAMENTO CON L'ENCICLICA FIDES ET RATIO
Die Einheit des Glaubens und die Vielfalt der Kulturen. Reflexion-en ini Anschlufi an die
Enzyklika "Fides et Ratio", in: Theo-logie und Glaube (Paderbon) 89 (1999), pp. 141-
152; in:
280

PRINCIPALI FONTI DEI SINGOLI CAPITOLI


Wahrheit, die uns trgt, Paderborn 1999, pp. 24-40; anche in: Intern. Kath. Zeitschrift
Communio (Freiburg i. Br.) 28 (1999), pp. 289-305.
In inglese: Culture and Truth. Reflections on th EncyclicaL, in: Origins (Vatican) voi.
XXVIII, 36 (1999), pp. 625-631; inoltre in: Sacerdos (Rome) 26 (marzo-aprile 2000),
pp. 19-28.
In italiano: L'enciclica Fides et Ratio. Conferenza svolta in San Giovanni in Luterano, in:
Per una lettura dell'enciclica Fides et Ratio. Quaderni de L'Osservatore Romano 45,
Citt del Vaticano 1999, pp. 245-259; inoltre in: RlNO FlSICHELLA (ed.), Fides et
Ratio. Lettera enciclica di Giovanni Paolo II, Ci-nisello Balsamo (MI) 1999, pp. 117-128.
In portoghese: F, vertade e cultura (Parte I) in: Communio (Lisboa) XVI, 1999/5, pp.
464-472; F, vertade e cultura (Parte II), in: Communio (Lisboa) XVI, 1999/6, pp.
557-568.
In spagnolo (versione molto rielaborata) in: Alfa y Ome-ga/Documentos (=Allegato al
quotidiano ABC, Madrid), 200 (17-2-2000), pp. 1-18.
In polacco: Analecta Cracoviensia XXXII (Consilium Edito-rum: Lucas Kamykowski,
Stephanus Koperek CR, Bolesla-us Kumor, Joseph Makselon, Casimirus Panus /
Pontificia Academia Theologica Cracoviensis), Wydawnictwo Nau-kowe Papieskiey
Teologieznej W Krakowie 2000, pp. 231-246.
281
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
CAPITOLO III VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
In italiano: Per una convivenza tra i popoli, a cura di G. P. Milano, E. W. Volente, Siena
2002.
II LIBERT E VERIT
In: Intern. Kath. Zeitsschrift Communio (Freiburg i. Br.) 24 (1995), pp. 526-542; di
nuovo in: O. SCRINZI, J. SCHWAB (edd.), 7545. Erbe und Auftrag, 1998, pp. 83-99.
In italiano in: Communio (Milano) 144 (1995), pp. 9-28;
anche in: Studi cattolici (Milano) XL, 1996/430,
pp. 820-830. In spagnolo in: Humanitas (Pontifcia Universidad Catolica
de Chile) 14 (1999), pp. 199-222.
282
Indice delle sigle
CCL Corpus Christianorum series latina, Turnhout 1953ss.
FAZ Frankfurter Allgemeine Zeitung, Frankfurt.
HK Handkommentar zum Alten Testament, Gttingen 1901.
KNA Katholische Nachrichten-Agentur, Bonn.
LThK Lexikon fur Theologie und Kirche, Freiburg i. Br. 1957-1962.
NTS New Testament Studies, Cambridge-Washington 1954ss.
OLZ Orientalische Uteraturzeitung, Berlin.
QP Quaestiones disputatae, Freiburg i. Br.
RAG Reallexikon fur Antike und Christentum, Stuttgart 1950ss.
RGG Die Religion in Geschichte und Gegenwart, Tiibingen 1957-1965.
StdZ Stimmen der Zeit, Freiburg i. Br. 1871ss.
TThZ Trierer Theologische Zeitschrift, Trier 1888ss.
283
Indice dei riferimenti biblici
Ap
APOCALISSE
5,6 101
21,33 43
22,5 43
At
ATTI DEGLI APOSTOLI
1,8 57
2,7-11 206
4,12 7
12,22-32 18
7 Cor
CORINZI (I Lettera)
1,18 127
1,23 93
15,28 45
Dn DANIELE
3,38s 156
Dt DEUTERONOMIO
5,7 108
6,4s 108
32,8 160
Ef
EFESINI
2,14 162, 210
3,16 167
Es ESODO
3,14 97
20,3 108
FU FILIPPESI
2,5 102
4,8 182
Gc
GIACOMO
1,17 49
Gio
GIONA
3,5 103
Gn
GENESI
8,20 18
9,17 18
12,1 91
285
12,11 73
14,18-20 102
Gv
GIOVANNI (Vangelo)
12,31 73
14,6 193
14.9 109 16,12s 271
17.10 210
7 Gv
GIOVANNI (I Lettera)
4,8 244
4,16 163
Is
ISAIA
2,4 231
44,6-20 18
64,1 138n
Le
LUCA
7,28 41
10,1-12 104
10,5-7 104
10,7 104
10,10-12 105
15,31 210
7 Mac
MACCABEI (I Libro)
1,11-15 226
Me MARCO
10,18 244
Mt
MATTEO
2,1-23 18
4,10 108
7,13 77n
28,19s 57
O?
QOLET (Ecclesiaste) 9,7-10 227
Rm
ROMANI
2 253
2,14 182, 217
2,14s 253
6 91
12,1 135
Indice dei nomi*
A
Abele: 99, 101, 102
Abramo (Abram): 18, 39, 40, 8t 91, 98, 99, 101, 102, 113, 152 153, 156, 162, 210
Adamo: 127
Adoukonou B.: 80n
Aethelbert (re inglese): 242
Agostino d'Ippona (santo): 39, 40r 90, 173, 174n, 177, 178, 238n 242, 243, 266
Alighieri Dante: Vedi lettera D
Ambrogio da Milano (santo): 4C 193
Anscombe G. E. M.: 228, 229n
Antiseri D.: 177n
Apollo (divinit): 254
Aristotele: 237
Asclepio (divinit): 212
Assmann J.: 223, 224, 226, 227
230, 23 In, 234, 240, 241, 244
Atanasio di Alessandria (santo) 231, 232
Aurelio Caio Cotta: 233, 234, 242
B
Baget Bozzo G.: 50
Bailey A.: 131n
Bali H.: 92n
Balthasar H. U. von: 37n, 92n
Bamunoba Y. K.: 80n
Barth K.: 19n, 49, 50, 51, 54, 68, 83, 142
Beelzebub (principe dei demoni):
269
Beintrup G.: 158n
Benedetto da Norcia (santo): 167, 168
Bergson H.: 203n
Berlicche (Lettere di Berlicche di C. S. Lewis): 195, 197
Bianchi E.: 138n
Bienert W.: 94n
Bivort de la Saude J. de: 33n
Boff L.: 58n
Bonhoeffer D.: 50, 54, 68
Bosco T.: 183, 184n
Bouyer L.: 157n
Bouquet A. C.: 22n
Braaten C. E.: 141n
Brague R.: 92n
Brahama (divinit): 45n
Bruck M. von: 122n
Brunner A.: 24n
* II nome di Ges Cristo o Ges di Nazareth non inserito nell'indice dei nomi perch ricorre frequentemente.
287
Brunner E.: 25n, 39n
Buber M.: 7, 46, 203n
Buddha: 31, 39
Bultmann R.: 127, 140, 229
Brkle H.: 45n, 47, 172n, 180n, 205n, 206n, 212n, 240n
Butler S.: 190
C
Cabasilas N.: 180
Caio Aurelio Cotta: vedi lettera A
Chandebois R.: 188n
Childs B. S.: 141n
Cicerone Marco Tullio: 39, 90, 174n
Colombo Cristoforo: 59
Colombo G.: 138n
Comte A.: 187
Confucio: 39
Copernico N.: 164
Crespo M.: 228n Cuttat J. A.: 32n
D
DanilouJ.: 18n, 22n, 38, 39n
Danneels G.: 132n
Dante Alighieri: 195
Dasgupta S. N.: 126n
Davide (re): 40 Descartes R.: 187
Dierse U.: 5 In
Dionigi l'Areopagita: 45, 92n, 238n
Dioniso (Divinit): 212
Dirac R: 145
Dohmen C.: 160n
Dopp S.: 180n
Drewermann E.: 139
Drumm J.: 94n
Dupuis J.: 53, 75n
E
Ebner F.: 203n
Eco U.: 196
Eilers W.: 34n
Einstein A.: 145
Eliade M.: 22n, 38
Engels F.: 246n
Epicuro: 175
Eracle (eroe mitologico): 212
Eraclito: 175
Espagnat B. d': 164n
Eusebio di Vercelli (santo): 184
Eutifrone: 234
Ezechiele: 39
F
Faust (Pausi): 149
Federico II di Prussia: 214
Fedro (Fedro): 197
Feil E.: 5In
Feldmann L. H.: 179n
Ferguson M.: 132n
Fest J.: 147, 148, 151, 267, 275n
Feuerbach L.: 68
FichteJ. G.: 220
Fiedrowicz M.: 86n
Flores d'Arcais P.: 200
Frauwallner E.: 126n
Fries H.: 19n
Fuss M.: 132n
G
Gaio Mario Vittorino: vedi lettera V
Galileo Galilei: 164
Geerlings W.: 180n
Gensichen H. W.: 32n
Geremia: 39
Giacobbe: 39, 40
Giobbe: 95, 113, 159
Giona: 103, 113
Giovanni Battista (santo): 41
Giovanni Evangelista (santo): 163, 193
Giuliano l'Apostata (imperatore) : 76n, 177, 183, 184
Guastino (martire e santo): 180, 212
Glasenapp H. von: 33n, 126n, 170n
Gnilka C.: 76n, 77n, 184n, 233, 234, 238n
Goethe J. W. von: 48, 246
Gregorio Magno papa (santo): 167, 168, 242, 243
Grillmeier A.: 94n
Guardini R.: 41, 48, 50, 91, 138n, 153n, 235
Gunon R.: 22n
Grnder K: 5 In
H
Hacker R: 22n, 36n
Haecker T.: 65n, 206
Harnack A. von: 94, 138n
Hasenhiittl G.: 229n
Hegel G. W. F.: 46, 48, 187, 220, 235
Heidegger M.: 127
Heiler F.: 20n
Heisenberg W.: 145, 146, 148, 151, 152, 158, 164n
Hick J.: 52, 122n, 123, 124, 125, 127, 131, 136, 137, 138, 142
Hobbes T.: 226
Hbner K.: 30n
Husserl E.: 202n
I
Isacco: 39, 40, 99, 101, 102
Isaia: 231
Iside (divinit): 23In
J
Jaspers K: 39n, 40n, 220
Jensson R. W.: 14In
Jonas H.: 266
Junker R.: 189
Justin Martyr: vedi Giustmo (martire)
K Kannengiesser C.: 97n, 231n
Kant E.: 131, 136, 137, 138, 141, 143, 145, 187, 220
289
Kelsen H.: 74
Kern H. J.: 52n
Klages L: 254
Knitter P. R: 52, 122n, 125n, 127, 128, 130, 131, 136, 137, 138, 142
Kolakowski L.: 275n
Kolping A.: 128n
Koster P.: 254
Kraemer H.: 22n
Kreiner A.: 199
Krickeberg W.: 77 Kriele M.: 137n, 138n
Kng H.: 267
Kurthen M.: 158n
L
La Potterie I. de: 138n
Lanczkowski C.: 22n
Lao-Tzu: 39
Laplace P. S.: 187
Le Bar J.: 132n
Le Cour R.: 131n
Lessing G. E.: 204
Lvinas E.: 46, 92, 96n, 203n
Lewis C. S.: 194, 195, 196
Linke O. B.: 158n
Lohse E.: 25In
Losch H.: Sin
Low K.: 246n
Low R.: 254n
Lubac H. de: 33n, 187n
Luter M.: 99, 251, 252
Lutz-Bachmann M.: 94n
Luz U.: 197
M
Macrobio: 184n
Marcel G.: 203n
Marco Terenzio Vairone: Vedi lettera V
Marco Tullio Cicerone: Vedi lettera C
Margherita (Faust): 149
Marx K.: 49, 68, 187, 220, 235, 246n, 256
Mauthner R: 197
Meer F. van der: 40n
Mefistofele (Faust): 48
Meiner F.: 149n
Melchisedek: 98, 99, 100, 101, 102, 113
Mellitus (Missionario): 242
Menke K. H.: 122n, 125n, 127n, 128n, 130n, 13 In, 132, 136n, 141n
Minucio Felice: 76n
MonodJ.: 158, 164n, 188n
Mos: 39, 95, 209, 224, 226, 233
Moubarac J.: 39n
Mounier E.: 203n
Mozart W. A.: 226
Mller W.: 77n
N
Neill S.: 22n
Neuer W.: 138n
NeunerJ.: 22n
Newton H.: 164
Nietzsche R: 40n, 254
No: 18
O
Ohm T.: Sin Omero: 231 Osea: 39
P
Panikkar R.: 125n
Paolo VI (papa): 98
Paolo di Tarso (santo): 90, 92n, 135, 167, 178, 180, 182, 210, 217, 218
Pauli W.: 145, 146, 151
Pettazzoni R.: 33n
Pieper J.: 64n, 141n, 195, 220n, 260n, 268n
Pietro Apostolo (santo): 7
Pitagora: 175
Planck M.: 145, 146, 148
Piatone: 95, 164, 195, 197, 198, 199, 237, 238, 244
Piotino: 90, 164n, 177n, 238n
Ponzio Filato: 74, 245
Popper K.: 190, 191
Porfrio: 184, 238
Possenti V.: 75n
Pottmeyer H. J.: 52n
Proclo: 238
R
Rad G. von: 157n
Radhakrishnan S.: 22, 23, 29, 32, 35n, 87
Rahner K.: 13, 14, 15, 19n, 27, 51, 83
Ramakrishna Rao K. B.: 126n
Ramanuja: 31
Ravasi G.: 159n
Reale C.: 177n
Rech P.: 22n
Reiser M.: 196, 197, 199
RichardsJ.: 242n, 243n
Ringgren H.: 39n
Ritter J.: 5In
Ross J.: 220
Rousseau J. J.: 252, 254, 255, 262
S
Sartre J. P.: 259, 264
Schade H.: 198n, 199
Schaffler R.: 211, 212n
Scheffczyk L.: 94n
Scheler M.: 202n Schelling F. J.: 220
Schenker A.: 96n, 160n
Scherer S.: 189
Schiffers N.: 164n
Schiller F. von: 253 Schiattar A.: 138n
Schleiermacher F.: 149
Schmidt P. L.: 174n
Schmidt-Leukel P.: 52n, 122n
Seckler M.: 52n
Seifert J.: 228n, 229n
Seneca: 174n
Shankara: 31
Simmaco: 76n, 185
Simon M.: 179n
Simonetti M.: 97n
Sinesio di Cirene: 40
Smith M.: 189
Sobrino J.: 94n
Socrate: 85, 153, 166, 197, 234, 235
Sole (Dio atzeco): 77
Spaemann R.: 254n
Spalding H. N.: 2In
Spann O.: 24n
Spinoza B.: 148, 187, 226
Steinbiichel T.: 255
Strom A.: 39n
Stubenrauch B.: 52, 123n
Sudbrack J.: 45, 46, 47, 48n, 49, 91n
Szathmary E.: 189
Szczypiorski A.: 248, 250, 257, 267, 272, 273
T
Thamus (Fedro): 197
Thom J.: 2In
Thot (Fedro): 197
Tommaso d'Aquino (santo): 50, 186
Topitsch E.: 263
Tracy O.: 197n
Trimborn H.: 77n
Troeltsch E.: 172, 186, 204
V
Valentiniano II (imperatore): 185
Vairone Marco Terenzio: 173, 174, 176, 177, 185
Verweyen H. J.: 141n
Vetten C.P.: 180n
Vittoria (divinit): 185
Vittorino Gaio Mario: 40
Vorgrimler H.: 13n
W
Wald B.: 195n, 220n, 268n
Waldstein M.: 140
Waldstein W.: 75n
WerbickJ.: 122n
Widengren G.: 34n Wilfred F.: 126n
Wittgenstein L.: 228, 229n
Wyss D.: 254n
WohlmutJ.: 96n
Wright G. H. von: 229n,
Z
Zaehner R. C.: 34n, 36n
Zarathustra: 34
Zerries O.: 77n
Zeller E.: 91n
Zenger E.: 224n, 225n

INDICE GENERALE
PREMESSA 7
PARTE PRIMA
LA FEDE CRISTIANA NELL'INCONTRO CON LE CULTURE E LE RELIGIONI
CAPITOLO I
UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
IL POSTO DELLA FEDE CRISTIANA NELLA STORIA
DELLE RELIGIONI 13
OSSERVAZIONE PRELIMINARE 13
1. Posizione del problema 17
2. // posto del cristianesimo nella storia delle religioni 23
3. Mistica e fede 30
4. La struttura delle grandi vie religiose 37
INTERLUDIO 45
CAPITOLO II
FEDE, RELIGIONE E CULTURA 57
1. Cultura - inculturazione - incontro delle culture 60
2. Fede e cultura 68
3. Fede, religione e cultura nel mondo tecnico 74
VARIAZIONI SUL TEMA FEDE, RELIGIONE E CULTURA 83
I INCLUSIVISMO E PLURALISMO 83
II IL CRISTIANESIMO UNA RELIGIONE EUROPEA? 88
III ELLENIZZAZIONE? 93
IV ABRAMO E MELCHISEDEK 98
V DISTINGUERE CI CHE CRISTIANO 103
VI PREGHIERA MULTIRELIGIOSA E INTERRELIGIOSA 110
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
PARTE SECONDA
LA QUESTIONE DELLA VERIT E LE RELIGIONI
OSSERVAZIONE PRELIMINARE 117
CAPITOLO I
LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA SULLA SITUAZIONE
DELLA FEDE E DELLA
TEOLOGIA OGGI 119
1. La crisi della teologia della liberazione 119
2. Relativismo - la filosofia dominante 121
3. // relativismo in teologia: l'abolizione della cristologia 123
4. // richiamo alle religioni asiatiche 125
5. Ortodossia e ortoprassi 127
6. // New Age 131
7. // pragmatismo nella vita quotidiana della Chiesa 134
8. Compiti della teologia 136
9. Prospettiva 142
CAPITOLO II
VERIT DEL CRISTIANESIMO? 145
I LA FEDE TRA RAGIONE E SENTIMENTO 145
1. L'attuale crisi della fede 145
2. 77 Dio di Abramo 152
3. Crisi e sviluppo della fede di Israele nell'esilio 155
4. // cammino verso la religione universale dopo l'esilio 157
5. // cristianesimo come sintesi di fede e ragione 162
6. Alla ricerca di una nuova evidenza 164
II IL CRISTIANESIMO - LA RELIGIONE VERA? 170
III FEDE, VERIT E CULTURA.
RIFLESSIONI IN COLLEGAMENTO CON L'ENCICLICA
FIDES ET RATIO 193
1. Le parole, la parola e la verit 194
INDICE GENERALE
294
2. Cultura e verit 203
3. Religione, verit e salvezza 213
4. Riflessioni conclusive 219
CAPITOLO III
VERIT - TOLLERANZA - LIBERT 223
I FEDE - VERIT - TOLLERANZA 223
1. La "distinzione mosaica" - ovvero: la questione della
verit appartiene alla religione? 223
2. Interscambiabilit e guerra degli dei 230
3. L'inevitabilit della questione della verit e le alternative
della storia delle religioni 236
4. La tolleranza cristiana 241
II LIBERT E VERIT 245
1. // problema 245
2. La problematica della storia moderna della libert e del suo concetto di libert 251
3. Libert e verit 260
4. Sintesi dei multati 272
Principali fonti dei singoli capitoli 277
Indice delle sigle 283
Indice dei riferimenti biblici 285
Indice dei nomi 287
295

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