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delle immagini
di Paul Zanker
Edizione di riferimento:
Paul Zanker, Augusto e il potere delle immagini, trad. it. di
Flavio Cuniberto, Einaudi, Torino 1989
Titolo originale:
Augustus und die Macht der Bilder
C. H. Becksche Verlagsbuchhandlung (Oskar Beck),
Mnchen 1987
Indice
Premessa
Cenni bibliografici
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Introduzione
16
capitolo primo
Immagini contraddittorie. La repubblica al tramonto 11
La statua onoraria e il nudo
Contraddizioni nella forma e nel messaggio
Propaganda famigliare e crisi della classe dirigente
L'immagine urbana di Roma come specchio
della situazione politica e sociale
La villa e la nascita della sfera privata
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capitolo secondo
Immagini antagoniste. La lotta per il potere assoluto
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Divi filius
Le statue trionfali del giovane Cesare
Identificazioni mitologiche
Le serie numismatiche di Ottaviano
Le immagini problematiche di Antonio
Antagonismo edilizio e variet formale
Il Mausoleo
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Indice
capitolo terzo
La grande svolta.
I nuovi segni e il nuovo stile politico
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104
capitolo quarto
Il programma di rinnovamento culturale
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1. pietas
Aurea Templa
Nuovi programmi figurativi
Feste e rituali
Le alte cariche sacerdotali
Sacerdozio e status sociale
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2. publica magnificentia
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Il princeps scende in campo contro il lusso privato 138
Ville per il popolo
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La presenza della famiglia imperiale
nellimmagine urbana
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Applauso e ordine. Il teatro come luogo dincontro
fra il princeps e il popolo
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Immagine urbana e ideologia
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3. mores maiorum
La riforma dei costumi
Il princeps come modello
Toga e stola
159
159
162
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Indice
capitolo quinto
Lo scenario mitico del nuovo Stato
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1. aurea aetas
Si inaugura let delloro
Fecondit e pienezza
I tralci del paradiso
Vittoria e pace
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183
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221
224
capitolo sesto
Il linguaggio formale del nuovo mito
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244
247
Indice
capitolo settimo
Le nuove immagini e la vita privata
254
Moda e lealismo
La privatizzazione del messaggio
Gusto e mentalit
Proiezioni bucoliche
Mentalit e autorappresentazione
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274
capitolo ottavo
La diffusione del mito imperiale
279
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296
302
Conclusione
311
Note
318
Premessa
di un Virgilio o di un Orazio dalla sua capacit di rinnovare e trasmettere le forme greche, nonostante la funzione politica delle sue opere. In Italia, lillustre archeologo di formazione marxista Ranuccio Bianchi Bandinelli contestava invece il significato storico dellarte
augustea proprio a causa del suo classicismo, visto come
lespressione di un sistema politico reazionario. A partire dalla fine degli anni sessanta, e riprendendo le ricerche di Ronald Syme e Andreas Alfldi, linteresse degli
studiosi si sposta sul valore propagandistico dei messaggi figurativi, alla ricerca peraltro infruttuosa di occulte
strategie di potere.
Negli ultimi anni linteresse per Augusto e la sua
epoca ha conosciuto uno sviluppo straordinario: soprattutto in Germania, negli Stati Uniti e in Inghilterra si
svolgono regolarmente convegni di studi, mentre leditoria contribuisce non solo con pubblicazioni specializzate o rivolte agli addetti, ma anche con libri sontuosamente illustrati e destinati a un pubblico pi
ampio. A Berlino si sta preparando attualmente una
grande mostra sul tema. Si tratta solo di una tipica tendenza postmoderna, conformemente allinteresse
generale per tutto ci che classico? O entra in gioco
anche il fascino di una societ tranquilla e ordinata, del
sovrano dal volto umano, capace di garantire benessere
e sicurezza per tutti, mecenate della poesia e dellarchitettura e tutore, insieme, di una severa moralit?
Il presente volume riprende e sviluppa i temi delle
Jerome Lectures da me tenute tra il 1983 e il 1984 ad
Ann Arbor e alla American Academy di Roma. Senza la
stimolante esperienza di quelle lezioni non avrei trovato il coraggio necessario per pubblicare questo lavoro di
sintesi. Gli inviti rivoltimi dallInstitute for Advanced
Study di Princeton (1982) e dal Wolfson College di
Oxford (1985) mi hanno consentito di approfondire e
poi di portare a termine la ricerca. Colgo loccasione per
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Cenni bibliografici.
Archologischer Anzeiger.
P. Arndt e F. Bruckmann (a cura di), Griechische und Rmische Portrts.
Acta ad archaeologiam et artium historiam
pertinentia.
American journal of Archaeology.
Mitteilungen des Deutschen Archologischen
Instituts, Athenische Abteilung.
Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt.
Appiano, Bella civilia.
Archeologia classica.
Asconio, commentario a Cicerone, Pro Scauro.
Agostino, De Civitate Dei.
11
BSR
BullCom
comunale di
Cass. Dio.
Cic.
Att.
De or.
Leg. agr.
Mur.
Phil.
Rab. Post.
Tusc.
CIL
Coarelli, Foro I-II
Crawford
CVA
Fittschen-Zanker I
Dio. Cass.
Dion. Hal.
Ant. Rom.
Vett. orat.
Flor.
Front., Aqu.
Gell.
Giard
12
P. Gros, Aurea Templa. Recherches sur larchitecture religieuse de Rome lpoque dAuguste,
Roma 1976.
Guida Ruesch
A. Ruesch, Guida illustrata del Museo Nazionale
di Napoli, Napoli 1908.
Gymnasium
Gymnasium. Zeitschrift fr Kultur der
Antike und humanistische Bildung.
Helbig I-IV
W. Helbig, Fhrer durch die ffentlichen Sammlungen klassischer Altertmer in Rom, vol. I
(1963); vol. II(1966); vol. III (1969); vol. IV
(1972).
HBr
P. Hermann, Denkmler der Malerei des Altertums.
Hist. Aug., Alex. Sev. Historia Augusta, Alessandro Severo.
Hlscher, Victoria
T. Hlscher, Victoria Romana, Mainz 1967.
Hlscher, Staatsdenkmal T. Hlscher, Staatsdenkmal und Publikum,
Konstanz 1984.
Hor.
Orazio.
Ars
Ars poetica.
Carm.
Carmina.
Ep.
Epistulae.
Epod.
Epodi.
Sat.
Satirae.
IG
Inscriptiones Graecae.
IstMitt
Istanbuler Mitteilungen.
JdI
Jahrbuch des Deutschen Archologischen
Instituts.
Jos.
Flavio Giuseppe.
Ant. Jud.
Antiqaitates Judaicae.
Bell. Jud.
Bellum Judaicum.
JRS
The Journal of Roman Studies.
Katalog Berlin
Kaiser Augustas und die verlorene Republik, Berlin 1988.
Kienast
D. Kienast, Augustus, Darmstadt 1982.
Liv.
Livio.
Luc.
Lucano.
13
14
Seneca.
De beneficiis.
Epistulae.
Servio, commentario a Virgilio, Egloghe.
Strabone.
Svetonio.
Divus Augustus.
Divus Claudius.
Divus Iulius.
Vita Horatii.
Tacito.
Annales.
Dialogus de oratoribus.
Tertulliano, De spectaculis.
M. Torelli, Typology and Structure of Roman
Historical Reliefs, Ann Arbor 1982.
Val. Max.
Valerio Massimo.
Vell. Pat.
Velleio Patercolo.
Verg.
Virgilio.
Aen.
Eneide.
Ecl.
Egloghe.
Vitr.
Vitruvio.
Zanker, Apollontempel P. Zanker, Der Apollontempel auf dem Palatin,
in Analecta Romana, supplemento X (1983),
pp. 21-40.
Zanker 1983
P. Zanker, Zur Bildnisreprsentation fhrender
Mnner in mittelitalischen und campanischen
Stdten zur Zeit der spten Republik und julisch-claudischen Kaiser, in aa.vv., Les bourgeoisies municipales italiennes aux IIe et Ier sicles av.
J.-C., Napoli e Paris 1983, pp. 251-56.
15
per Dorothea
16
Introduzione
Quando il Senato romano si riun per deliberare
sulle onoranze funebri di Augusto, uno dei senatori propose che lintera epoca del defunto imperatore venisse
chiamata saeculum Augustum e accolta cos nel calendario (Suet., Aug. 1oo). Per quanto la proposta potesse nascere da motivi opportunistici, la sensazione di
aver attraversato una svolta epocale era allora diffusissima. Dopo gli oscuri decenni delle guerre civili, Roma
era vissuta per quarantacinque anni nella pace e nella
sicurezza: la monarchia aveva dato finalmente unamministrazione ordinata allImperium, una disciplina allesercito, pane e giochi alla plebs e un grande slancio
alleconomia. Il Romano guardava ora al suo impero
con una forte coscienza della propria missione morale.
Ma agli inizi del potere assoluto augusteo (31 a. C.)
regnava il pessimismo: molti ritenevano che lo Stato,
travolto dalla propria immoralit, fosse sullorlo della
rovina. Come si giunse allora a un cos drastico mutamento di clima, che grazie allopera dei poeti augustei
avrebbe condizionato limmagine futura del saeculum
Augustum?
La cultura romana segnata in modo decisivo dal
rapido processo di ellenizzazione iniziato nel secondo
secolo a. C. con la conquista dellOriente greco, una
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per ottenere un riconoscimento e il diritto di partecipare alla vita politica. Ne nacque un antagonismo generalizzato, la cui posta in gioco non era pi, come nella vecchia aristocrazia, il servizio della res publica, ma il primato personale e linteresse economico.
La rapida importazione dei modelli greci e delle
immagini greche svolse in questi processi un ruolo
importante. Alle famiglie romane gi ellenizzate, soprattutto a quelle dei generali trionfatori, esse offrivano
una cornice efficace in cui mettere in scena il proprio
cosmopolitismo e le proprie ambizioni politiche. Ma su
molti contemporanei quelle immagini avevano un effetto irritante: troppo forte era il loro contrasto con la tradizione. I valori tradizionali e antimoderni si cristallizzarono nella nota ideologia della romanit e dello Stato
romano: ideologia che si trovava per spesso smentita
nei fatti. Il primo capitolo del libro intende mostrare
come le immagini importate dalla Grecia non solo abbiano rispecchiato quei processi di dissoluzione, ma
abbiano contribuito alla crisi del tradizionale sistema di
valori. Senza questo sfondo, senza cio il potere distruttivo delle immagini, il nuovo linguaggio visuale dellet
augustea resterebbe incomprensibile.
Dopo il tramonto definitivo della vecchia res publica durante le lotte per il potere tra Cesare e Pompeo, e
poi tra Ottaviano e Antonio, i Romani cominciarono a
interrogarsi sulle cause di quel generale disorientamento,
e ne addossarono la colpa in primo luogo allabbandono
degli antichi di e dei patrii costumi (mores maiorum). I
motivi strutturali rimanevano oscuri. Ma la visione di
unantica Roma semplice e devota,
di una classe politica disinteressata e di un popolo
contadino pronto al sacrificio visione elaborata peraltro nei palazzi sontuosi della capitale rimase vuota
retorica di fronte alla realt delle cose. I tumultuosi
mutamenti delle ultime generazioni avevano reso pro-
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forma un mito imperiale e statale dalla semplice fisionomia eziologica e capace di imporsi come una realt
autonoma rispetto alle circostanze storiche effettive.
Un mito capace di filtrare la realt stessa e di produrre
per intere generazioni la certezza di vivere nel migliore
degli Stati possibili e nella pienezza dei tempi.
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Capitolo primo
Immagini contraddittorie.
La repubblica al tramonto
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internazionale. Anche i vecchi templi erano stati rinnovati con una certa regolarit. Ma dalle prime grandi crisi
interne allepoca dei Gracchi (133-121 a. C.) i lavori di
restauro nei templi e negli edifici pubblici furono interrotti, e soprattutto si rinunci a elaborare un coerente
piano urbanistico. Non un caso che quando Cesare,
poco prima di morire, si pose il problema della situazione edilizia della citt, i suoi progetti sconfinassero subito nellutopia: quella di canalizzare il Tevere, di costruire un teatro gigantesco sul fianco del Campidoglio verso
il Campo Marzio, e unintera nuova citt ellenistica, con
strade ad angolo retto, piazze e marciapiedi. Pensava evidentemente che la vecchia Roma non si potesse pi salvare (Suet., Iul. 44; Cic., Att. XIII 33a,I).
Anche questo stato di cose fu una conseguenza del
rapido processo di acculturazione. Fin dalla met del II
secolo i grandi generali cercavano sempre nuove occasioni per mettersi in mostra e gesti di facile presa demagogica. Ma elaborare un piano organico di sviluppo urbano o provvedere agli impianti idrici e ai sistemi di canalizzazione sarebbe stata unimpresa lunga e poco spettacolare. Anche il restauro dei vecchi templi non offriva
grandi opportunit di gloria personale, tanto pi che in
questi casi occorreva rispettare precise norme religiose.
Daltra parte il Senato si opponeva per motivi politici e
morali alla costruzione di grandi edifici per il tempo libero, come i teatri e le terme: si volevano evitare quelle
assemblee e manifestazioni popolari a sfondo politico
che erano usuali nei teatri greci. Il Senato permise soltanto la costruzione di effimeri teatri di legno in occasione delle grandi feste religiose, e poich le masse non
dovevano ricevere uneducazione alla greca che le esponesse al pericolo dellozio, non si parla a Roma di ginnasi
o di pubbliche terme come quelle che gli abitanti delle
citt campane conoscevano gi nel il secolo a. C. Lattivit edilizia dei grandi si limit pertanto in larga misu-
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Roma, Campo Marzio in epoca tardo repubblicana con portici e santuari votivi.
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posto alla nuova costruzione, e che il comitium con la tribuna degli oratori (fino ad allora un luogo sacro) venisse semplicemente sopraelevato aveva dunque un preciso
significato simbolico.
Come vedremo, i due grandi edifici di rappresentanza fatti costruire da Ottaviano prima della battaglia
di Azio il Tempio di Apollo sul Palatino e il Mausoleo non sono da meno come esempi di culto della personalit: senza alcun riguardo per le tradizioni della res
publica, il loro scopo era unicamente quello di pubblicizzare limmagine di un capo carismatico.
Tra i tumultuosi mutamenti e i disordini di quegli
anni, limmagine dellurbs offriva dunque ben pochi
motivi di identificazione con lo Stato, e poteva anzi
agire come una fonte di sotterranea inquietudine. Di
fronte alla miseria delle istituzioni essa non offriva in
ogni caso immagini edificanti che potessero rafforzare la fiducia nelle sorti dello Stato romano. La stella del
buon tempo andato non brillava pi: quelle che si avevano davanti agli occhi non erano le immagini simboliche di una solida moralit collettiva, da assumere come
un punto di riferimento, ma monumenti che dichiaravano il declino dello Stato e il trionfo degli interessi privati. Tutto nella citt testimoniava lo strapotere e le
ambizioni politiche dei grandi.
La villa e la nascita della sfera privata.
Abbiamo considerato finora solo lambiente visivo
della capitale e le sue contraddizioni. Nelle antiche citt
della Campania e del Lazio il processo di ellenizzazione
si era svolto in forma assai meno problematica: cos ad
esempio Pompei possedeva gi nel II secolo a. C. un teatro di pietra, un pubblico stabilimento termale e forse
anche un ginnasio. Il Tempio della Fortuna a Palestri-
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tico, quelle sculture rappresentavano la grecit in quanto puro patrimonio spirituale, e invitavano a una vita
contemplativa, tra libri e begli oggetti, una vita raccolta in se stessa, lontana dagli obblighi politici.
La migliore idea dassieme di una villa romana non
la dnno per i luoghi di scavo ma la villa-museo fatta
costruire a Malibu in California da Paul Getty, il magnate del petrolio, riproducendo fedelmente la Villa dei
Papiri di Ercolano. Le copie di bronzo sparse tra i portici e i giardini riproducono una parte delle statue ritrovate nella villa durante gli scavi settecenteschi, e offrono nel loro insieme (sono circa ottanta tra statue ed
erme) il miglior esempio di quello che poteva essere un
arredo statuario completo. Laspetto pi interessante
dal nostro punto di vista per la totale assenza di
tematiche romane: come in quasi tutte le ville a noi
note non troviamo n raffigurazioni dei miti politici
romani, n ritratti di eroi o di personaggi storici, o dei
grandi intellettuali della storia recente, n rappresentazioni allegoriche di valori e virt romane. Cerano invece, accanto ai ritratti dei poeti greci, dei filosofi e degli
oratori, le raffigurazioni dei sovrani ellenistici: i modelli
ammirati dalla classe senatoria non erano consoli e generali, ma Alessandro e i sovrani dei regni ellenistici. La
tradizione politica romana non trova spazio nel mondo
dellotium. Solo con Augusto le immagini del mondo
politico romano entreranno nella sfera privata, e solo in
epoca imperiale si troveranno nelle case private ritratti
dei sovrani, viventi o defunti.
Non meno istruttive sulle tendenze intellettuali, le
ambizioni e la psicologia della classe dirigente sono poi
le decorazioni pittoriche parietali nel cosiddetto stile
architettonico, quali le troviamo in ville grandi e piccole, ma anche in case urbane di Roma e Pompei. Conviene partire anzitutto dagli esempi pi antichi, databili probabilmente al ii secolo a. C.: rappresentano pare-
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ti intarsiate con diverse qualit di marmi preziosi, spesso con profili di colonne sovrapposte e scorci di colonnati. La pittura doveva sostituire illusionisticamente
lambientazione sognata oppure accrescere il lusso effettivo, offrendo agli inquilini della casa immagini di favolosa ricchezza: uno scenario tangibile che riunisse quanto vi era di pi sontuoso in fatto di architetture e di
materiali. Certe piccolissime camere da letto dalle pareti decorate con scorci illusionistici, in una ridda di suggestioni ottiche contraddittorie, sembrano testimoniare
un bisogno senzaltro nevrotico di sfarzose e grandiose
prospettive architettoniche. Ci si pu chiedere se fosse
possibile abbandonarsi a sonni tranquilli in un ambiente come la piccola camera da letto della villa di Boscoreale o della Villa dei Misteri. pi facile pensare che
quelle selve di colonne perseguitassero gli abitatori
anche in sogno.
Anche in questo caso, nessun soggetto che abbia a
che fare con la vita a Roma, n vi troviamo allusioni alla
vita di campagna del senatore-possidente (a differenza,
per esempio, dalle pitture illusionistiche nei castelli e
nelle ville barocche). Troviamo, invece, vedute di santuari spesso di grande effetto scenografico: quei santuari
che sorgevano attigui ai palazzi dei sovrani ellenistici, e
che forse, in qualche caso, venivano costruiti anche
allinterno delle ville e dei palazzi pi sontuosi. Non
scorci di natura libera ma parchi raffinati e pinacoteche
decorate di erme, grandi quadri di principi ellenistici, un
filosofo greco che sembra cos vicino da toccarlo, un
rituale di iniziazione dionisiaco in cui gli abitanti della
villa si confondono col seguito del dio, e vedute di paesaggio con scene mitiche: un mondo di sogno, fatto di
lusso e cultura greca. Come le statue, le immagini pittoriche dovevano evocare associazioni erudite e soddisfare almeno nella fantasia un bisogno di splendore e di
bellezza. Pi tardi, dopo la svolta augustea, queste pare-
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guerre civili e dalle miserie di una vita politica in declino, e sperimentare con successo nuove possibilit esistenziali. E insieme ai libri, le immagini e le statue
diventarono il contrassegno emblematico della nuova
situazione. Se prima un membro dellaristocrazia poteva realizzarsi solo nel servizio della res publica, ora il
mondo dellotium gli offriva la possibilit di unesistenza libera da incarichi politici. Non c dubbio che la cultura delle ville, con i suoi valori estetici e il suo lusso,
abbia reso pi facile il passaggio alla monarchia per unaristocrazia ormai indebolita.
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Capitolo secondo
Immagini antagoniste.
La lotta per il potere assoluto
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Azio, Ottaviano, in quanto Divi filius, proclamava dunque a chiare lettere la propria candidatura al potere
assoluto che era stato di suo padre.
Il terzo monumento era una colonna commemorativa munita di rostri (columna rostrata), unaltra delle
solenni onorificenze con cui il Senato volle celebrare la
sua vittoria su Sesto Pompeo:
Tra gli onori che gli furono decretati egli accett una ovatio [ingresso solenne nella citt, il cosiddetto piccolo
trionfo], una festa annuale nei giorni delle sue vittorie e
una statua dorata nel foro, che doveva raffigurarlo nello
stesso abito col quale era entrato in citt. La statua doveva essere posta su una colonna decorata coi rostri delle navi
catturate. Limmagine fu collocata con uniscrizione in cui
si leggeva come egli avesse riportato in mare e in terra la
pace, per lungo tempo sconvolta dalle discordie (App.,
Bell. civ. 5,130).
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Lidentificazione con Eracle aveva successo soprattutto nei suoi rapporti spavaldi e affabili con la truppa.
Il richiamo a Eracle aveva del resto precisi riscontri
figurativi: i sostenitori dei triumviri non esitavano a
portare sul proprio anello limmagine del loro idolo e a
servirsene come sigillo. Un gesto di omaggio che si usava
daltronde non solo in ambito politico, ma anche verso
filosofi e poeti.
Quando per Antonio giunse in Asia dopo la suddivisione dellimpero fra i triumviri (42 a. C.), gli si
offr, sulla scia di Alessandro, un modello di identificazione di gran lunga pi efficace e pi globale: la figura di Dioniso. Un ruolo, questo, a cui sembravano
predestinarlo il suo carattere appassionato, la sua generosit e ingenuit, lamore per il vino e le feste orgiastiche, le donne facili e le storie damore spettacolari.
Il nuovo Dioniso fece ricordare ai Greci i giorni del re
Mitridate:
Quando Antonio entr in Efeso, donne vestite da baccanti, uomini e fanciulli vestiti da Satiri e da Pan lo guidarono attraverso la citt, ove non si vedeva altro che
edera e tirsi ed arpe e zampogne e flauti, mentre il popolo inneggiava a lui come Dioniso Benefico e Soave (Plut.,
Ant. 24).
E quando questo generale romano, nelle vesti di Dioniso-Osiride, incontr a Tarso la regina dEgitto in quelle di Afrodite-Iside, furono in molti a pensare che il
volto di Roma fosse mutato, come se si fosse allinizio
di una nuova et pi felice:
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Nella notte prima della presa di Alessandria, gli abitanti della citt credettero di sentire i clamori di un tiaso
attraversare la citt verso laccampamento di Ottaviano:
Molti pensarono allora che il dio avesse abbandonato
Antonio: il dio a cui era pi simile e che aveva preso a
modello in tutte le sue azioni (Plut., Ant. 75).
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vestito da Apollo Ottaviano sarebbe apparso nel banchetto dei dodici di, di cui si sent parlare poco pi
tardi (Suet., Aug. 70): un banchetto che provoc lo
scherno e lirritazione della plebe, costretta alla fame
dallembargo dei cereali ordinato da Sesto Pompeo.
Come mostrano le notizie provenienti da Alessandria
queste feste somiglianti a mascherate barocche non
erano per affatto rare: durante un festino in costume
con Antonio e Cleopatra, si era visto nientemeno che il
console del 42, Munazio Planco, comparire travestito da
Glauco (divinit marina), col corpo nudo dipinto di blu
e una coda da pesce, e improvvisare un ballo a quattro
zampe. Anche in occasioni private le mascherate dionisiache erano frequenti. Come risulta dal noto fregio
della villa dei Misteri a Pompei il travestimento stimolava la fantasia degli ospiti.
Nello stesso periodo lerede di Cesare incominci a
usare come sigillo limmagine della sfinge, il simbolo del
regnum Apollinis profetizzato dalla Sibilla (Plin., Nat.
hist. 37,1,10; Suet., Aug. 50). Lanimale delloracolo
entr cos a far parte del linguaggio visivo augusteo, come anche la corona dalloro che Ottaviano portava ora
sempre pi spesso in occasione delle feste. Si diffusero
proprio allora storie miracolose che si riferivano allidentit apollinea di Ottaviano. Si diceva, ad esempio,
che fosse stata una palma miracolosa a far decidere ladozione del ragazzo da parte di Cesare. Quanto a Livia,
poco dopo le sue nozze con Ottaviano si narrava che
unaquila le avesse lasciato cadere in grembo una gallina con un ramo dalloro nel becco: nella villa di Livia il
ramoscello sarebbe poi diventato quel grande albero da
cui i futuri Cesari erano soliti staccare lalloro della vittoria. Gi negli anni trenta si era poi diffusa la voce che
Azia, la madre di Ottaviano, avesse concepito il figlio
non dal padre (presunto) ma da Apollo in forma di serpente, e una storia simile era gi circolata a proposito di
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Olimpia, la madre di Alessandro. La storia del serpente era molto conosciuta, e un piccolo cammeo di vetro
dimostra che essa fu sfruttata dai sostenitori di Ottaviano in chiave propagandistica.
Considerata questa affinit apollinea, non fa meraviglia che Ottaviano abbia attribuito la sua vittoria definitiva su Sesto Pompeo proprio allaiuto di Apollo e di
sua sorella Diana. Un santuario di Diana sorgeva, fortunatamente, anche nelle vicinanze di Nauloco, dove si
era svolto lo scontro navale decisivo, mentre la costruzione del tempio di Apollo sul Palatino sarebbe ladempimento di un voto fatto da Ottaviano durante la battaglia (36 a. C.).
affascinante vedere con quanta coerenza Ottaviano abbia tenuto fede nei successivi ventanni al suo programma apollineo, o anche, in altri termini, come
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sviluppo del suo programma politico. Ad Apollo sinonimo di morale e disciplina si potevano riferire tutti i
punti programmatici che sarebbero affiorati nel corso
della sfida con Antonio e pi tardi nella messa a punto
del nuovo regime. Gi allepoca degli accordi di Brindisi
(che nellanno 40 a. C. avevano suddiviso limpero in
due zone, lOriente e lOccidente, assegnandole ai due
triumviri, e relegando Lepido in Africa), quando Ottaviano e Antonio si invitavano a pranzo il primo adottava uno stile soldatesco e romano, mentre lo stile di
Antonio era piuttosto asiatico-egizio (Dio. Cass.,
48,30). Apollo era il Purificatore, contrario a ogni forma
di eccesso, e in quanto tale poteva ben rappresentare la
parte dellItalia che nello scontro decisivo si contrapponeva allOriente e alla sua luxuria, allEgitto con le sue
divinit dalla testa animale e il suo libertinaggio. Ma
dopo la vittoria, Apollo si trasform, diventando il cantore con la cetra, il dio della pace e della conciliazione.
E come dio profetico della Sibilla e della Sfinge poteva
finalmente inaugurare la nuova et tanto attesa.
Le serie numismatiche di Ottaviano.
Apollo offriva del resto un campo dazione molto pi
vario di Dioniso, che nel clima culturale di Alessandria
aveva vincolato Antonio a un ruolo estremamente definito. Accanto ad Apollo e a Diana trovavano posto
infatti anche altre divinit. Non solo Nettuno, che era
passato da Sesto Pompeo a Ottaviano, ma anche la progenitrice Venere e con lei Marte vendicatore, Mercurio
e lo stesso Giove si misero al seguito del dux Italiae,
quando si tratt di fare una scelta decisiva. Cos almeno annunciavano i molti e splendidi denari dargento che
Ottaviano fece coniare in parte gi prima della battaglia
di Azio e con cui pagava le sue truppe.
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Questa campagna di diffamazione volta a mobilitare lItalia in vista della guerra ebbe naturalmente il suo
punto forte nei pubblici discorsi, ma non mancano testimonianze figurative da cui risulta, anche in questo caso,
un intreccio indissolubile di parola e immagine: ed proprio dal ricorso a determinate immagini che lattacco
verbale traeva la propria efficacia.
Le statue che raffiguravano Antonio nelle vesti di
Dioniso si potevano vedere solo in Oriente, ma il partito di Ottaviano fece tutto il possibile per evocare il
fatto scandaloso, n la cosa presentava difficolt. Dappertutto si potevano vedere statue di Dioniso su cui
richiamare lattenzione, e i loro tratti femminei potevano suggerire facilmente limmagine di Antonio. Rivolgendosi a un pubblico colto, Marco Valerio Messala
Corvino fece ricorso probabilmente a unargomentazione pi articolata: le sue due orazioni polemiche (perdute), de Antonii statuis e contra Antonii litteras nacquero
in ogni caso in questo clima, ed probabile che attaccassero le statue di Dioniso e il sontuoso stile asiano
dei discorsi di Antonio come manifestazioni della stessa immoralit.
Un bellesempio di questa diffamazione su basi mitologiche il paragone gi usato con Pericle di Antonio
con Eracle, innamorato di Onfale e dedito al suo servizio:
Come nei dipinti si vede Onfale portar via ad Eracle la sua
dava e spogliarlo della pelle di leone, cos Cleopatra spesso disarmava Antonio e lo riduceva a un suo trastullo. Egli
si lasciava distrarre da affari importanti e dagli impegni di
guerra solo per oziare e divertirsi con lei sulle spiagge di
Canopo e Tafosiride (Plut., Ant. et Dem. 3,3).
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Una scena simile era raffigurata su una coppa dargento di prima epoca augustea, estremamente raffinata,
il cui modello fu messo a disposizione di un laboratorio
di ceramica aretino. La coppa dargento andata perduta, ma si sono conservati in compenso diversi stampi
dargilla e frammenti di coppe con lo stesso disegno.
Doveva trattarsi di un oggetto piuttosto diffuso.
Eracle-Antonio seduto, in morbide e trasparenti
vesti femminili, su un cocchio trainato da centauri. Si
volge con sguardo languido verso Onfale, che lo segue
su un secondo cocchio, mentre due ancelle lo assistono
con un ventaglio e un parasole: leroe ormai effeminato
e la sua pelle si fatta delicata (cfr. Hor., Epod. 9,15
sg.). Ben altra fierezza invece nellatteggiamento di
Onfale-Cleopatra, che porta la pelle di leone come copricapo e tiene in mano la clava delleroe, mentre unancella le porge una coppa di grandezza superiore al naturale: evidente allusione a Cleopatra, che i seguaci di
Ottaviano dipingevano come dedita al bere (Hor., Carm.
1,37 e Prop., 3,11,56). Sulla maggior parte delle raffigurazioni gli uomini intenti a marciare dietro il cocchio
portano una lancia, allusione, anche questa, ai dorifori della guardia di Cleopatra (e secondo gli attacchi di
Ottaviano si trattava di soldati romani costretti a questo ruolo umiliante). Sullesemplare che abbiamo riprodotto le guardie portano invece in spalla degli oggetti a
sagoma larga, forse degli enormi corni potorii destinati
a placare la sete insaziabile della ebria regina.
Contro laccusa di ubriachezza Antonio si difendeva in unorazione, purtroppo andata perduta (ma conservatasi fino ai primi anni dellimpero), dalleloquente
titolo de ebrietate sua. Oltre a respingere le accuse ingiustificate probabile che Antonio vi facesse anche lelogio del suo dio, il Liberatore e il nemico degli affanni.
Lo scritto era rivolto a un pubblico non solo in grado di
leggere, ma intriso di cultura ellenistica, aperto alle
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Tutto questo era molto audace. Non si trattava soltanto di una critica alla guerra civile, ma di un vero e
proprio ideale di vita alternativo. Che questo fosse
anche lideale di Marco Antonio e dei suoi seguaci, al
punto da pubblicizzarlo sulle monete, risulta per esempio da una singolare emissione navale: sul recto vediamo, luno di fronte all altro, i ritratti di Antonio e di
Ottavia, la sorella di Ottaviano che Antonio aveva sposato in prime nozze, come fosse una coppia regnante
egizia. Sul verso ritroviamo i due nelle vesti di Posidone e Anfitrite a spasso per il mare come una coppia di
amanti felici. Il triumviro abbraccia beatamente la sposa
su un cocchio trainato da ippocampi: la scena, tratta
dalla poesia erotica, vale nello stesso tempo come simbolo del rinnovato patto politico e come un omaggio ai
piaceri della vita. Ma a differenza dei poeti, liberi di proclamare la propria indifferenza verso la politica, gli affari e la guerra, Antonio era un personaggio pubblico.
Che il loro idolo avesse il coraggio di riprodurre sulle
monete leffigie della moglie Ottavia e poi dellamante
Cleopatra, era motivo di entusiasmo per gli appassionati della poesia sentimentale. Ma con queste immagini, e
con dichiarazioni dello stesso tenore, Antonio si esponeva fatalmente agli attacchi della propaganda avversaria. E fu proprio limpossibilit di conciliare la mentalit ellenistica con i valori tradizionali di Roma a determinare in ultima analisi il suo scacco.
La simbologia mitica era per per i contemporanei
anche un canale attraverso cui esprimere la propria simpatia per luno o laltro dei due contendenti, ossia per
luno o laltro stile di vita. Il linguaggio figurativo
anche in oggetti di uso privato come le decorazioni
domestiche, le stoviglie o i sigilli risulta intriso di allusioni politico-letterarie molto pi di quanto finora si
supponesse. Cos ad esempio nelle pitture parietali del
cosiddetto secondo stile gli attributi simbolici di Apol-
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Alla biblioteca di Pollione era collegata una splendida collezione darte, di cui possiamo farci unidea grazie
alla descrizione di Plinio il Vecchio. Asinio Pollione
amava larte ellenistica in tutte le sue forme. Vi si poteva ammirare perfino la composizione teatrale del Toro
Farnese, mentre i satiri e le menadi, i centauri, le statue
di Dioniso, le Naiadi e cos via conferivano un carattere
sereno alla raccolta, ambientata probabilmente in un giardino. Il tutto doveva apparire in vistoso e forse anche piacevole contrasto con il programma arcaicizzante e
classicheggiante di Ottaviano, la cui austera solennit
avrebbe avuto presto un esempio nel Tempio di Apollo.
Come la biblioteca, anche la collezione darte di Asinio Pollione era aperta al pubblico: spectari monumenta sua voluit (Plin., Nat. hist. 36,33). Aspetto, questo, che poteva accordarsi coi programmi del futuro
princeps assai meglio dei gusti asiani del collezionista.
Nel teso clima politico che precedette la nuova guerra
civile anche questo monumento dichiaratamente
impolitico doveva assumere un significato di parte: i
poeti elegiaci vi si saranno sentiti a proprio agio. Ma Asinio Pollione fu lunico committente neutrale di quegli anni, non a caso uno dei pochi grandi che nella battaglia decisiva di Azio non abbiano parteggiato per nessuno dei due contendenti.
Quanto pi la tensione si acuiva, tanto pi demagogica diventava lattivit edilizia dei sostenitori di Ottaviano. Statilio Tauro era tornato trionfatore ex Africa
nellanno 34, e subito dopo aveva iniziato la costruzione
di un primo anfiteatro di pietra, di dimensioni ancora
modeste (consacrato nel 29 a. C.): sorgeva sul Campo
Marzio, nelle vicinanze del Circo Flaminio, ed era destinato in particolare ai ludi dei gladiatori e ai combattimenti con gli animali feroci (Dio. Cass., 51,23,1).
Statilio Tauro era uno di quegli uomini di modesta
origine che, arricchitisi enormemente come generali di
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desiderio fatale per la sua immagine pubblica di essere sepolto ad Alessandria insieme a Cleopatra. Nei
discorsi propagandistici dei sostenitori di Ottaviano era
questa la prova che Antonio intendeva trasferire la capitale dellimpero ad Alessandria e fondare cos una monarchia di stampo ellenistico. Dopo la presa di Alessandria, Ottaviano volle naturalmente che il cadavere di
Antonio fosse sepolto nella tomba dei Tolomei: intanto, mentre il rivale giaceva al fianco dei sovrani dEgitto, a Roma sorgeva, gigantesco, il monumento funebre del vincitore. Questa spiegazione molto verosimile, anche se considera pi il momento della propaganda
che linizio effettivo dei lavori. Latmosfera di attesa e
di tensione che precedette la battaglia di Azio e la frenesia della vittoria subito dopo dnno comunque alledificio, quasi mostruoso per forma e dimensioni, un
significato molto chiaro. Nellanno 28 a. C. i lavori
erano cos avanti che la parte adibita a giardino (silvae
et ambulationes: Suet., Aug. 100) pot essere aperta al
pubblico. Dunque un monumento alla fedelt romana
del dux Italiae? Potrebbe essere questo, in effetti, il
movente immediato della costruzione, anche se il suo
potere evocativo sembra andare molto al di l di questo.
In primo luogo voleva essere una dimostrazione della
grandezza e della potenza del suo committente, e non a
torto fu denominato fin dallinizio mausoleo: espressione, questa, che riassume lo stupore per un edificio
colossale, di dimensioni mai viste, e paragonabile solo
alla tomba di Mausolo, re della Caria, considerato una
delle sette meraviglie del mondo (IV secolo a. C.). Neppure le tombe dei re della Numidia erano cos grandi. Il
confronto col monumento funebre di Cecilia Metella,
ma soprattutto con quelli dei consoli Irzio e Pansa nel
Campo Marzio (43 a. C.), parla da s.
Secondo lusanza ellenistica ledificio era situato in
posizione dominante e panoramica tra il Tevere e la via
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Monumenti funebri a confronto: a) Mausoleo di Mausolo ad Alicarnasso (iv secolo a. C.); b) monumento funebre ufficiale del console A.
Irzio (caduto nel 43 a. C.); c) Mausoleo di Augusto; d) Tomba di Cecilia Metella (raffronto schematico di J. Ganzert).
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del vocabolario formale tradisce anche qui la scarsa chiarezza del messaggio.
Se il nome popolare delledificio era mausoleo
un nome senzaltro felice e ricorrente anche nelle iscrizioni la sua denominazione ufficiale era invece tumulus Iuliorum: una formula anticheggiante, che sottolineava per con chiarezza le ambizioni dinastiche del
nuovo sovrano. Le future cerimonie funebri dellet
augustea, a cominciare dalle esequie di Marcello (23
a. C.), verranno a confermarlo.
Ottaviano non volle apparire come un monarca n
prima, n tantomeno dopo la restitutio rei publicae. Voleva dimostrare di essere il pi forte, e lunico in grado di
rimettere ordine nello Stato. Ma la situazione di antagonismo e la dipendenza da un linguaggio figurativo
importato dallesterno favorirono anche qui la comparsa di forme ipertrofiche. Come nelle statue onorarie
e nei ritratti pieni di pathos alessandrino, le dimensioni
ambiziose di questa architettura regio-ellenistica coincidevano solo in parte col contenuto del messaggio.
Ma nel caso del futuro Augusto ci non ebbe conseguenze negative. A differenza della vecchia classe aristocratica, la massa della popolazione, in gran parte ellenizzata e ben disposta verso un regime monarchico,
avvert lefficacia di questo linguaggio, per quanto contraddittorio e ambivalente. Alla vista del Mausoleo e
della residenza in cui il giovane Cesare and ad abitare
presso il tempio di Apollo, nellantica citt romulea,
non potevano esserci dubbi su chi avrebbe retto i destini di Roma. Questo retroscena architettonico, che perdur anche dopo il 27 a. C., non va dimenticato se si
vuole valutare correttamente lo stile repubblicano, la
personale riservatezza e la pietas del futuro princeps.
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Capitolo terzo
La grande svolta.
I nuovi segni e il nuovo stile politico
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Foro romano. Nellagosto dellanno 29 a. C. il vincitore celebr con grande pompa un triplice trionfo sullIlliria, sullEgitto e per la vittoria di Azio. Nellambito dei festeggiamenti consacr nel Foro il tempio del
Divus Iulius, deciso fin dal 42 a. C., e la nuova Curia,
anchessa in costruzione da molti anni e che avrebbe
assunto pi tardi lepiteto di Giulia. Anche questi due
edifici furono decorati con trofei egizi come monumenti alla vittoria.
La facciata della Curia si trova riprodotta su una
moneta della serie di cui abbiamo discusso in precedenza: sulla sommit si vede la Vittoria alata, in equilibrio sul
globo e con la corona nella mano destra. Come acroteri
laterali figurano statue di altre divinit che erano intervenute ad Azio, muniti di unancora e di un remo, come
sembra
di poter riconoscere sugli esemplari pi nitidi.
Foro Romano intorno al 10 d. C. Pianta schematica.
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ne del tempio di Cesare e della Curia, fu lo stesso Ottaviano a indicare la strada con pochi simboli di facile
lettura: parti di navi e navi intere, creature marine, delfini e la Vittoria sul globo. Immagini che avevano il vantaggio di essere facilmente riproducibili e di poter essere usate dappertutto anche in combinazione con altri
segni.
Fino ad allora i monumenti costruiti a Roma non
avevano avuto alcuna risonanza oltre le mura della citt,
e il linguaggio visivo della politica romana si era rivolto
quasi esclusivamente al pubblico della capitale. Anche
sotto Augusto non vi furono al riguardo mutamenti
sostanziali, ma ora tutto limpero guardava verso Roma,
e quei simboli cos semplici e comprensibili furono recepiti ovunque.
Cos ad esempio i rostri di bronzo furono imitati
anche in marmo, diventando in tal modo dei monumenti autonomi con una propria decorazione figurativa.
Ce ne d una buona idea uno sperone di marmo conservato a Lipsia e proveniente come altri pezzi simili da
una citt italica. Esso decorato su entrambi i lati con
figure in rilievo: da una parte ancora un Tritone con una
conchiglia, dallaltra un uomo armato con una lancia
(forse Agrippa) che viene incoronato da una Vittoria.
Non conoscendo le circostanze del ritrovamento non
possiamo stabilire se il rostro provenga da un monumento pubblico o da una tomba.
I nuovi simboli si diffusero a macchia dolio. Come
anche la Vittoria sul globo, delfini e tritoni decorativi si
trovano presto nelle case private, nelle tombe e sulle
suppellettili. Su semplici antefisse troviamo ad esempio
la Vittoria in combinazione col Capricorno o dei delfini
associati a rostri e altri simboli commemorativi. E anche
molti privati usavano i nuovi simboli come sigilli. Delfini, navi e rostri compaiono a volte su anelli e paste vitree
insieme alleffigie del vincitore, e vedremo pi tardi
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Il vincitore si ritira.
Dopo la vittoria di Azio ottenuta con laiuto di Apollo, sarebbe stato ovvio fare del santuario sul Palatino un
monumento al trionfo militare di Ottaviano. Ma quando, il 9 ottobre del 28 a. C., ledificio fu solennemente
consacrato, erano ben diverse le immagini che facevano
mostra di s nei cortili e negli atrii del tempio. Certo non
mancavano i richiami alla vittoria: su un alto podio cera
la statua votiva di Apollo Aziaco, decorata anchessa coi
rostra delle navi egizie, e sulle porte del tempio erano raffigurate luccisione delle Niobidi e la cacciata dei Galli
da Delfi (Prop., II 31,12-14).
Queste immagini parlavano di Apollo come vendicatore della hybris e venivano intese, ovviamente, come
allusioni cifrate ad Antonio, ma il vincitore rimaneva
dietro le quinte. Non era il magniloquente pathos celebrativo dei sovrani ellenistici a riempire il santuario, ma
il linguaggio della pace e della devozione religiosa. Invece del proprio carro trionfale, Ottaviano espose una
quadriga marmorea dello scultore Lisia, con Apollo e
Diana, mentre le due grandi statue di Apollo davanti al
tempio e nel sacrario celebravano il dio nelle vesti del
cantore pacifico e non in quelle dellarciere vendicativo
(Prop., IV 6,69). Inoltre, e sempre sulla scorta di modelli classici, il dio di Azio teneva in mano una patera per
le libagioni, ed era raffigurato davanti a un altare: immagini che suggerivano pensieri di colpa e di espiazione,
come anche il ricco monumento dedicato alle Danaidi.
Sacrifici e atti di piet religiosa dovevano espiare gli
orrori delle guerre civili, e Apollo era invocato quale
garante del nuovo stato di cose. Quanto a lui, il vincitore che fino a poco prima troneggiava sul Foro romano, si faceva ora protagonista di un exemplum destinato a lasciare tracce profonde:
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Apprendiamo da Svetonio che quelle offerte votive erano dei tripodi doro (Suet., Aug. 52): oggetti probabilmente di grosse dimensioni e riccamente decorati,
che dovevano testimoniare in modo tangibile la devozione del donatore. Che poi questa iniziativa spettacolare permettesse a Ottaviano di eliminare tutta una
serie di statue il cui linguaggio enfatico mal si adattava
al nuovo stile e alla nuova immagine del sovrano, era un
effetto secondario certo non sgradito. Nella pittura parietale, nelle terrecotte architettoniche e nelle ceramiche
aretine di quegli anni si sono conservati riflessi evidenti
di quei tripodi doro provenienti dal Palatino.
Sul frammento di una pittura parietale coeva sono
raffigurati addirittura due tripodi con le figure morenti dei figli di Niobe; su alcuni rilievi si vede, tra le
gambe di un tripode, laccecamento di Polifemo ubriaco. E anche questo mito pu essere riferito facilmente
ai nemici sconfitti, la cui propensione allubriachezza era
stata al centro di una vasta campagna denigratoria. I tripodi erano poi decorati con Vittorie altri simboli, ma
soprattutto col motivo dei tralci rampicanti. Questo fa
supporre che i grandi tripodi votivi servissero, in virt
del doppio programma iconografico, come monumenti
alla vittoria e alla speranza.
Ne un buon esempio la raffigurazione sul rivestimento marmoreo della porta del tempio di Apollo: da
due tripodi, fiancheggiati in origine dai grifi di Apollo
e di Nemesi, dea della vendetta, salivano a destra e a
sinistra della porta dei tralci interminabili, che si incon-
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plicato sistema di pieni poteri sempre rinnovati, di privilegi onorari e di cariche vitalizie, ma soprattutto grazie alle sue enormi sostanze, Augusto mantenne il potere, ossia in primo luogo lesercito, saldamente nelle proprie mani. Una moneta coniata oltre dieci anni pi tardi
illustra con la massima chiarezza i rapporti tra il salvatore e lo Stato: Augusto porge aiuto alla res publica in
ginocchio ai suoi piedi, nelle vesti di una provincia sottomessa. Il salvatore raffigurato accanto allo Stato
restituito, che ha ora bisogno della sua guida. Anche
nel 27 a. C. la maggior parte dei contemporanei vedeva
la cosa esattamente cos, ma latto della restitutio fu comunque un gesto grandioso, che permise allaristocrazia
di salvarsi la faccia e di collaborare in futuro col
nuovo regime:
Per questa benemerenza [la restitutio] ricevetti dal
Senato il nome di Augusto. Gli stipiti della mia casa furono decorati ufficialmente con allori, sopra la porta venne
affissa la corona civica [una corona di fronde di quercia], e
nella Curia Iulia venne esposto il clipeus virtutis, assegnatomi dal Senato e dal Popolo per il mio valore, la mia clemenza, la mia giustizia e la mia piet, come attesta uniscrizione sopra lo scudo (Res Gestae 34).
I ramoscelli di alloro, la corona civica e anche il clipeus virtutis erano semplici onorificenze, conformi allaustera tradizione degli antichi. Cos voleva il nuovo stile
di Augusto, che ora amava tenersi in disparte e nei rapporti col Senato si atteggiava a primus inter pares. Ma la
novit principale dopo il 27 a. C. fu che il compito di
celebrare il sovrano ricadde per intero sugli altri: il Senato e le citt, le corporazioni e i singoli cittadini. Nello
spazio di una notte il princeps aveva imparato la modestia. Lepoca delle autocelebrazioni (come nel caso del
Mausoleo) era finita.
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Gli onori decisi dal Senato furono una scelta insolitamente felice, naturalmente non senza lapprovazione
dello stesso Augusto. Chi conosceva la storia di Roma
poteva trovarvi molteplici allusioni alla vecchia res publica, bench il loro contenuto simbolico si prestasse anche
ad altre interpretazioni.
Fin dai tempi pi remoti corone e ramoscelli dalloro venivano usati per adornare i vincitori e le statue
della Vittoria, e lalloro anche lalbero di Apollo. Ma
la forma dei due alberelli posti sulla porta dingresso
della casa di Augusto suggeriva ai Romani del tempo
qualcosa di completamente diverso: quella coppia di
alberelli si poteva trovare fin dai tempi arcaici nei luoghi consacrati ai pi antichi ordini sacerdotali, come la
Regia e il tempio di Vesta, i collegi dei flamines e dei pontifices. Lalloro diffondeva dunque sulla porta di casa del
princeps un alone sacrale, richiamando alla memoria un
mondo di riti antichissimi.
La corona civica aveva invece una provenienza militare. Fin dallantichit la corona di quercia veniva assegnata come onorificenza a chi avesse salvato un concittadino in battaglia, e ora invece toccava al salvatore dello
Stato, ob cives servatos. Ma anche la corona di quercia
aveva un significato polivalente, perch la quercia
anche lalbero di Giove. E in effetti, gi nello stesso anno
27 a. C. furono coniate in Asia Minore delle monete in
onore di Augusto dove si vede laquila di Giove nellatto di tenere la corona civica con gli artigli. Limmagine,
molto espressiva, era per nata a Roma, dove la troviamo, ad esempio, su uno splendido cammeo: Giove stesso rende omaggio allaugusto porgendogli la palma
della vittoria e appunto la corona civica.
Il caso sintomatico: i nuovi simboli, che in un
primo tempo sembravano ricordare lo stile sobrio degli
antichi, assunsero presto un significato ulteriore. Usate
in combinazione con altri simboli e in occasioni parti-
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gratitudine. E vedremo pi avanti (cap. viii) come dietro a questa spontaneit, a questa facile diffusione delle
immagini imperiali, si celasse una precisa situazione
sociale, economica e politica.
Ma stiamo correndo troppo. La disponibilit ad
accettare i nuovi simboli della vittoria, del culto di Apollo e della restitutio rei publicae dipendeva da unatmosfera di generale consenso verso il nuovo regime. Ma
dopo la caduta di Antonio, e perlomeno a Roma, questo consenso non era affatto garantito: si trattava anzitutto di creano e di rafforzarlo.
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Capitolo quarto
Il programma di rinnovamento culturale
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dopo tassello quella cornice, con quale sistematica coerenza abbia passato in rassegna il cahier des dolances
dellopposizione tardo repubblicana, fino a quando,
nellanno 17 a. C., pot annunciare lavvento dellet
delloro.
Al primo punto cera il programma di rinnovamento religioso (pietas). Vennero poi le iniziative nel
campo delledilizia pubblica (publica magnificentia) e il
ripristino della virtus romana nella campagna contro i
Parti (20 a. C.). Una volta rafforzati lidentit e lorgoglio nazionale, le leggi per la riforma dei costumi
dovevano apparire giuste e necessarie (18 a. C.). Con
questo il programma di risanamento era concluso.
Nulla poteva pi opporsi al sorgere dellet delloro.
Era tutto semplice.
Ma allinizio questi punti programmatici erano pure
dichiarazioni di intenti, che solo col tempo avrebbero
potuto prendere forma in azioni politiche, edifici e messaggi visivi. A tale scopo il princeps aveva bisogno di
molti collaboratori. E poich le fonti letterarie non ci
informano sugli eventi complessi che portarono alla realizzazione del suo programma culturale, dobbiamo rivolgerci alla sfera delle immagini visive per farci unidea dei
rapporti che vennero a stabilirsi tra il princeps e i suoi
sostenitori politici, i poeti disposti a collaborare, i grandi architetti, gli artisti e le botteghe.
I. PIETAS.
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In questo, che doveva essere il suo primo campo dazione, il salvatore ag in modo ordinato e sistematico. Gi nel 29 a. C. fu annunciato un programma di
restaurazione religiosa e Ottaviano si fece affidare dal
Senato lincarico di reintegrare le vecchie cariche sacerdotali. Gli antichi culti, che in parte esistevano solo pi
di nome, tornarono in vigore, gli statuti, i rituali, i
paramenti e i canti liturgici furono ripristinati o, se
necessario, creati ex novo. Tutte le prescrizioni religiose vennero fatte nuovamente rispettare con grande scrupolo. Appena un anno pi tardi veniva avviato, con la
consacrazione del tempio di Apollo, il grande programma di risanamento dei vecchi templi:
Nel mio sesto consolato [28 a. C.] ho restaurato su
incarico del Senato ottantadue templi nella citt, senza trascurarne alcuno che avesse bisogno di un intervento risanatore (Res Gestae 20).
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Erano espressioni ricche di pathos, che non mancarono di fare effetto anche su Augusto. Varrone aveva
dedicato la sua opera a Cesare, invitandolo cos ad agire,
ma per quanto lidea di un rinnovamento religioso fosse
nellaria si pensi ai templi progettati nel corso degli
anni trenta un programma sistematico in questo senso
divenne possibile solo nella mutata situazione politica
successiva alla battaglia di Azio.
Ancora nellanno 32 a. C. lincoraggiamento aveva
dovuto venire dallesterno. Tito Pomponio Attico,
amico e corrispondente di Cicerone e ricchissimo suocero di Agrippa, aveva invitato Ottaviano a ricostruire
il tempio di Giove Feretrio, affinch il dux Italiae potesse cos confrontarsi con lo stesso Romolo, leroe fondatore della citt. A Ottaviano questi gesti spettacolari evidentemente non dispiacevano: lanno dopo, in
occasione della dichiarazione di guerra ad Antonio e
Cleopatra, indoss il costume arcaico di fetialis per scagliare lui stesso, nel Circo Flaminio, la lancia rituale di
legno in una zona del circo che simboleggiava la terra
nemica e pronunciando insieme una formula di sapore
magico. probabile che in un primo tempo queste messinscene abbiano suscitato piuttosto una certa ostilit
e che i Romani colti le abbiano giudicate come arcaismi
alla moda. Ma quando queste occasioni si moltiplicaro-
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no, quando, nel 29 a. C., il tempio di Giano venne chiuso solennemente in segno di pace con un rituale arcaicizzante di cui si era persa la memoria, quando fu rinnovato lantico augurium salutis come voto per la prosperit dello Stato, e quando infine, lanno successivo,
Ottaviano inizi effettivamente il restauro di tutti gli
antichi templi, nessuno allora poteva pi dubitare che
il ritorno agli di fosse a questo punto una cosa seria.
In tutta la citt vennero aperti cantieri edilizi: il vincitore intendeva davvero fare in modo che sotto di lui, il
fondatore e restauratore di tutti i templi (Liv.,
4,20,7), questi ultimi non sentissero pi la vecchiaia
(Ov., Fast. II 61).
Aurea Templa.
Un programma cos grandioso richiedeva una precisa pianificazione. Si trattava anzitutto di suddividere i
compiti: i vari progetti edilizi vennero ripartiti nei due
ambiti delledilizia sacra e profana. La costruzione dei
santuari, che Augusto considerava il suo compito per
eccellenza, fu riservata alla stessa casa imperiale. Perfino tra i molti edifici fatti costruire da Agrippa non si
trova alcun tempio, se si eccettua il Pantheon, destinato al culto del sovrano. Tiberio invece pot restaurare i
due venerandi templi sul Foro, il tempio dei Dioscuri e
il tempio della Concordia, e consacrarli rispettivamene
il 6 e il 1o d. C. in qualit di erede designato.
La parola dordine era adesso le spese maggiori per
gli di. Le candide facciate dei templi, rivestite col
marmo estratto nelle nuove cave di Luni (Carrara), con
le loro sontuose decorazioni talvolta dorate, diventarono gli emblemi dellepoca. I migliori architetti e i migliori artisti affluirono a Roma dallOriente, attratti dalla
prospettiva di incarichi prestigiosi e di ottimi compensi.
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costruzioni che dipendevano direttamente da lui, Augusto differenziava in modo assai marcato le spese per il
terreno, i materiali e la manodopera: se vero che tutti
i templi dovevano essere restaurati, alle varie divinit
era riservato un trattamento economico assai diverso.
Gli edifici pi costosi non sorsero nei vecchi luoghi di
culto e non furono dedicati agli antichi di, ma a quelli pi legati alla persona di Augusto, ossia ad Apollo sul
Palatino e a Marte Ultore nel nuovo Foro di Augusto.
A questi va poi aggiunto il Foro di Giulio Cesare, ultimato solo ora, e il tempio di Venere Genitrice. Coi loro
portici e gli edifici annessi, le ricche decorazioni e i
doni votivi, e non in ultimo i rituali e le liturgie di Stato
a cui fornivano lo scenario, questi templi potevano rivaleggiare con lo stesso tempio di Giove Capitolino. Nonostante infatti le sontuose cerimonie che Augusto assegnava al culto statale di Giove, questultimo si lamentava di perdere fedeli a causa sua (Suet., Aug. 91,2).
Sotto Augusto, in effetti, il tempio di Giove non era pi
lunico centro del culto di Stato: cos ad esempio i Libri
Sibillini erano passati allApollo palatino, e le cerimonie
prima e dopo le campagne militari a Marte Ultore, il cui
tempio era diventato il palcoscenico delle attivit extrapolitiche. Ma non solo i templi di Venere, di Apollo e
di Marte Ultore erano strettamente legati al sovrano:
anche il culto di Giove sul Campidoglio fu in effetti
messo in immediato rapporto col princeps grazie alla
costruzione di un nuovo tempio.
Durante la campagna contro i Cantabri, Augusto
era rimasto miracolosamente illeso da un fulmine che
aveva sfiorato la sua portantina, uccidendo soltanto lo
schiavo che la precedeva. Non era questo un segno della
sua elezione, dello stretto rapporto che lo univa al dio
del tuono? In ogni caso fece subito costruire nelle immediate vicinanze del tempio di Giove un piccolo prezioso tempio tutto di marmo dedicato a Giove Tonante,
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la romanit e un possibile focolaio di sovversione. Lunica eccezione riguardava quelle divinit che gi da
molto tempo si erano insediate a Roma e che erano state
accolte per i loro meriti nel culto di Stato. Ma anche in
questo caso mantenendo le dovute distanze.
Il tempio della Magna mater (Cibele) sul palatino, il
cui culto era stato introdotto nel 205 a. C. in base a un
responso dei Libri Sibillini, fu distrutto da un incendio
nellanno 3 d. C. Sebbene i poeti sottolineassero laspetto nazionale della Magna Mater, il suo legame coi
Troiani e la sua qualit di protettrice della citt e delle
mura, Augusto fece ricostruire ledificio, non lontano
dalla sua casa, non in marmo ma in tufo (peperino) e
riserv ai liberti quel culto straniero, con le sue danze
estatiche e i suoi sacerdoti dalle lunghe chiome (galli).
Daltra parte evidente che Augusto non restaur tutti
i templi nell anno 28 a. C., come egli stesso scrive nelle
Res Gestae. Anche qui cerano cose urgenti e altre meno
urgenti. Un tempio cos popolare come quello della Triade dionisiaca (Libero, Libera e Cerere) sullAventino,
distrutto da un incendio proprio lanno della battaglia
di Azio, fu riconsacrato solo da Tiberio nel 17 d. C.
(Dio. Cass., 50,10; Tac., Ann. II 49).
Quella sfilata di templi costruiti con criteri tanto
diversi suggeriva cos ai contemporanei il diverso rango
gerarchico delle varie divinit, e a dominare incontrastati erano i nuovi edifici di culto, fatti costruire da
Augusto per i suoi di.
La grandezza degli edifici corrispondeva alla grandezza delle divinit (Ov., Fast. V 553). Ma la quantit
di piccoli culti arcaici rifioriti allombra dei grandi santuari stabiliva un chiaro elemento di raccordo tra le religione augustea e lantica tradizione di Stato. La nuova
pietas poteva misurarsi con la religiosit degli antichi,
anche se lo splendore della nuova Roma superava di
gran lunga le memorie del passato:
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zante o classicheggiante. Lunico spazio veramente libero era lornamentazione, dove in effetti si svilupp un
linguaggio ricchissimo, non vincolato ad alcun canone
o tradizione. E questo vale non solo per lesuberante
decorazione architettonica, ma anche per tutte le parti
degli arredi mobili: perfino le basi delle statue e degli
ex-voto appaiono decorate con vere cascate di bande
ornamentali.
I visitatori dei nuovi edifici di culto si trovavano di
fronte a una situazione nuova: mai prima di allora avevano visto sfilare sotto i loro occhi delle serie figurative cos programmatiche. I raffronti didattici, le continue ripetizioni e combinazioni dei vari simboli, peraltro
non numerosi, le sapienti scenografie delle facciate, delle
statue e delle immagini avviavano il Romano incolto alla
lettura di quei programmi.
I contenuti essenziali erano semplici, ma la cosa pi
importante era ripeterli a ogni occasione, si trattasse di
feste religiose o di spettacoli teatrali, di immagini o di
parole. Anche il ricco programma del Foro di Augusto
si riduceva a poche immagini. La descrizione ovidiana
del nuovo edificio come una guida ragionata alla lettu-
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ra, e pu dare unidea di come il grande pubblico reagisse a quelle sollecitazioni visive:
Poderoso Marte e poderoso il suo tempio. N diversa poteva essere la sua dimora nella citt di suo figlio
[Romolo]. Ledificio sarebbe degno anche delle vittorie sui
Giganti. Di qui Marte [Gradivus] potr scatenare in futuro guerre feroci, se un superbo ci provocher in Oriente,
o vorr in Occidente essere soggiogato [si tratta di unallusione alle cerimonie di Stato che si svolgevano nel Foro
in occasione della profectio dei generali]. Il potente in armi
[Marte] guarda verso il frontone del tempio e si rallegra che
gli di invitti occupano il posto pi elevato. Agli ingressi
vede armi di ogni foggia provenienti da tutti i paesi conquistati dal suo soldato [Augusto]. Da un lato vede Enea
col suo carico prezioso e intorno a lui i molti antenati
della casa Giulia; dallaltro Romolo, il figlio di Troia, con
le armi del nemico da lui stesso sconfitto e le statue dei
grandi romani con i titoli delle loro imprese gloriose. Solleva lo sguardo verso il tempio e vi legge il nome Augusto. Con questo nome il monumento gli sembra ancora
pi grande (Ov., Fast. V 553 sgg.).
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Feste e rituali.
Quanto si detto per il tempio di Marte Ultore vale
per tutti gli altri: non monumenti muti ma centri di vita,
soprattutto in occasione delle feste che li riguardavano,
e in particolare dei dies natales. Le feste che ricordavano la dedicazione e la fondazione dei vari santuari vennero sempre pi associate, col passare del tempo, alle
giornate commemorative del princeps o di importanti
avvenimenti della casa imperiale. I nuovi santuari venivano consacrati solo in questi giorni, e non poche delle
vecchie feste di dedicazione vennero fatte coincidere
con questi ultimi. Grazie ai calendari marmorei ritrovati
in varie citt dItalia, e grazie ai Fasti di Ovidio, possiamo farci unidea abbastanza precisa delle festivit
celebrate a Roma e nelle province dOccidente nei primi
anni dellimpero. Si trattava in gran parte di feste commemorative, giornate di preghiera e di ringraziamento
per la casa imperiale, mentre le festivit religiose si concentravano soprattutto nei giorni dedicati ad Augusto:
ben sette vennero fatte coincidere ad esempio col giorno del suo compleanno. Intorno alle date importanti si
raccoglievano diversi giorni di festa, che spesso diventavano veri e propri periodi di ferie, occupati da spettacoli teatrali e giochi del circo. Per i Romani dellepoca il corso dellanno era dunque scandito da un ritmo
regolare di feste dinastico-religiose, piene di suggestioni visive. In tutte le feste religiose si svolgevano rituali: i sacerdoti e le vittime sacrificali si recavano al tempio in processione solenne.
Nelle scene di sacrificio gli artisti erano soliti mettere in evidenza il numero prescritto, la specie e la bellezza degli animali sacrificati. Mentre per nelle raffigurazioni pi antiche le vittime sono rappresentate di
fianco allaltare in posizione di riposo, lattenzione si
sposta ora sul momento delluccisione. Su un rilievo
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cos oggetto della stessa venerazione che le famiglie tributavano da sempre al genius del pater familias. E nellanno 2 a. C. Augusto aveva quasi sessantun anni
il Senato e il popolo gli conferirono solennemente il
titolo di pater patriae, in occasione della consacrazione
del Foro di Augusto (Res Gestae 35).
Lesempio di Augusto fece scuola. Principi e aristocratici, notabili delle citt e liberti, e perfino schiavi di
fama adottarono lo schema iconografico del sacrificante per i propri ritratti celebrativi. Ovunque vi fosse
bisogno di un modello, si imitava lImperatore e la sua
famiglia.
Il nuovo stile di potere incominci a dare i suoi frutti. La piramide sociale possiede ora un vertice ben visibile dalla totalit dei cittadini: limperatore e la sua
famiglia dnno il tono in ogni ambito della vita sociale, dai costumi al taglio dei capelli. E questo non solo
per le classi alte ma per lintera societ romana.
I cittadini pi zelanti di ogni ceto incominciarono a
contendersi le cariche religiose: le varie funzioni, vecchie
e nuove, legate al culto offrivano a tutti la possibilit di
mettersi in mostra e di identificarsi col nuovo Stato. Il
princeps interveniva come moderatore e distribuiva le
varie cariche: cos ad esempio fece assegnare agli equites
il culto antico ma ormai insignificante dei Lupercali.
Il rituale, destinato in origine alla protezione e alla
crescita delle greggi, comportava luccisione di un cane,
mentre i sacerdoti (luperci), vestiti di un semplice perizoma, eseguivano una danza saltellante intorno al Palatino e le donne venivano colpite con una frusta fatta di
pelle di capra. facile immaginare che questo arcaico
rituale di fecondit poteva avere un effetto comico nello
scenario della metropoli, e per questo motivo Augusto
proib che gli adolescenti assistessero al rito. Ma anche
in questo caso si trattava di una carica ambita: di recente sono state ritrovate statue onorarie di luperci di et
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nel momento del sacrificio: al suono di un flauto versano insieme le loro patere sullaltare. Il toro e il verro
sono l pronti per il sacrificio, ma lo scultore li ha rimpiccioliti in maniera quasi grottesca per dare maggior
risalto ai sacerdoti. La presenza di un littore sottolinea
il rango quasi ufficiale del magister, che nellesercizio
delle sue funzioni cultuali aveva infatti diritto a un assistente, mentre il pretore ne aveva sei e il princeps (come
anche il console) ben dodici.
Il ruolo di minister era invece ricoperto da schiavi
particolarmente fidati e meritevoli, e anche per loro si
trattava di un incarico ufficiale, che conferiva al ministro un prestigio sociale tangibile e riconosciuto da
tutti, per esempio nelle processioni delle feste per lImperatore. Anchessi pertanto offrivano ex-voto ed altari nelle cappelle dedicate ai Lari: su uno di questi altari
si vedono tre ministri, di statura modesta e in abito servile, mentre ricevono con gesto riverente le statuette
cultuali dei Lari dalle mani di un personaggio togato di
statura decisamente pi alta. Probabilmente si tratta
niente meno che dello stesso Augusto, accompagnato dai
principi Gaio e Lucio Cesare: il fatto che si vedano solo
le due statuette dei Lari e non quella del genius Augusti
sembra confermare questa interpretazione ( difficile
pensare che Augusto offra la statuetta del proprio
genius!)
Anche gli schiavi possono dunque prendere parte alla
nuova pietas, e anche il loro abito servile assume, nel servizio sacro, un significato socialmente prestigioso.
Fino a che punto la pietas condizionasse, in chiave
dimostrativa e pedagogica, i rapporti tra il princeps e la
plebs, si pu vedere dalle sue reazioni agli onori che gli
venivano assegnati e al culto del suo genio nelle cappelle dei Lari. Augusto ricambiava quegli atti di omaggio con sempre nuovi gesti di devozione: dopo aver
fatto fondere nel 28 a. C. le sue statue dargento e aver-
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le fatte sostituire coi tripodi doro per il culto di Apollo, super ogni altro cittadino nellofferta di doni votivi e immagini sacre. Si svilupp cos un sistema di doni
e contraccambi di sapore senzaltro arcaicizzante e che
mettevano capo a sempre nuove immagini.
Ne sono un buon esempio i doni per lanno nuovo:
i rappresentanti dei tre ceti (ordines) gettavano ogni
anno una moneta nel Lacus Curtius sul Foro, che in
epoca augustea era ormai un bacino asciutto. Quel gesto rappresentava un voto sempre rinnovato per la salute dellImperatore, e ad esso si accompagnava, il primo
di gennaio, un regalo per lanno nuovo, anche quando
lImperatore era assente. Augusto lo utilizzava per comprare le immagini sacre pi preziose, che faceva poi
sistemare a turno (vicatim) nei santuari dei diversi rioni
della citt: cos ad esempio le statue dellApollo Sandalarius e dello Jupiter Tragoedus (Suet., Aug. 57). Alcuni
basamenti di queste statue si sono conservati e attestano ex-voto del princeps per Mercurio, Vulcano e i Lares
publici. Si pu supporre che immagini di questo tipo si
trovassero ugualmente nei pubblici santuari, nei tempietti rionali e anche nei luoghi di culto delle corporazioni artigiane.
Nel Museo Capitolino si trova un altare votivo augusteo in cui raffigurata probabilmente lofferta di una
statua di Minerva ai ministri di un collegio di carpentieri
da parte dello stesso Augusto. Il princeps supera per un
buon terzo di statura i ministri raffigurati nel loro abito
servile; sul lato opposto dellaltare uno dei magistri offre
un sacrificio davanti alla stessa statua di Minerva. Sul
lato breve si vedono i loro strumenti del mestiere, seghe
e scuri ma anche elmi, poich i membri del collegio
erano anche vigili del fuoco. Tra queste insegne
professionali, ma pi grandi e in forte evidenza, si trovano poi vari oggetti di culto: un lituus, un galerus con
lapex e un grosso coltello sacrificale. Come nel caso del
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2.
PUBLICA MAGNIFICENTIA.
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Roma, portici e templi nella zona del teatro di Marcello. Dalla Forma Urbis.
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A sud degli edifici di Agrippa e al di l del Circo Flaminio sorgevano luno accanto allaltro i templi e i portici dei trionfatori del secondo secolo, che, opportunamente restaurati e rinnovati, diedero la loro parte di
contributo alla gloria della casa imperiale. Il ricordo dei
loro fondatori repubblicani era intanto quasi del tutto
svanito. Cos, ad esempio, la Porticus Octavia era stata
costruita nel 168 a. C. da Gneo Ottavio dopo la sua vittoria navale su Perseo, re di Macedonia: ledificio, famoso per i suoi preziosi capitelli di bronzo, fu fatto restaurare da Augusto, il quale non ebbe in questo caso alcuna difficolt a rinunciare al proprio nome (Res Gestae
19), visto che era gi il nome originario. Fece poi collocare nel portico restaurato le insegne militari strappate
ai Dalmati durante le guerre in Illiria.
La Porticus Metelli, fatta costruire nel 147 a. C. da
Quinto Cecilio Metello vincitore dei Macedoni intorno
ai templi di Giove Statore e di Giunone Regina, fu
invece sostituita da una Porticus Octaviae nuova di
zecca: ledificio fu finanziato da Augusto in onore della
sorella Ottavia, che vi dedicher pi tardi una schola con
biblioteca in memoria del figlio Marcello, morto nel 23
a. C. Il giovane aveva sposato Giulia, figlia unica di
Augusto, che lo aveva presentato gi nel 29 a. C. come
il suo erede potenziale. In suo onore verr costruito pi
tardi il teatro omonimo.
In questo avvicendamento anche le famose opere
darte che Metello aveva collocato nelledificio acquistarono un significato nuovo: le statue di Venere e di
Eros, opere di maestri classici, come anche il celebre monumento equestre di Lisippo che raffigurava Alessandro
e i suoi venticinque compagni, diventavano ora altrettante allusioni ad Augusto. Non aveva egli portato il
sigillo di Alessandro, e non dedicava forse nei suoi
monumenti sempre nuove immagini alla memoria del
grande Macedone?
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nie augustee, come ad esempio la colonia iberica di Emerita Augusta, la costruzione di un anfiteatro era prevista fin dallinizio.
In certe occasioni le idee del princeps erano per
davvero grandiose. Per linaugurazione del Foro di
Augusto e del tempio di Marte Ultore egli organizz,
ad esempio, dei giochi nel Circo con duecentosessanta leoni, fece disputare sul Foro il lusus Troiae con la
partecipazione del principe Agrippa Postumus, e inoltre dei giochi di gladiatori nei Saepta e una caccia ai
coccodrilli (per lesattezza trentasei) nel Circo Flaminio (Dio. Cass., 55,10). Per commemorare la vittoria
di Azio fece scavare una gigantesca naumachia al di
l del Tevere e vi fece rappresentare la battaglia di
Salamina tra gli Ateniesi e i Persiani, con un totale di
tremila uomini e trenta navi pesanti, oltre a un gran
numero di navi leggere. In queste feste di Stato, dal
forte contenuto ideologico, il princeps non badava a
spese pur di imprimere nel cuore e negli occhi del
popolo romano immagini indimenticabili (Vell. Pat.,
II 100,2).
Ma soprattutto ad Augusto stava a cuore il teatro,
che oltre ad essere il luogo dincontro tra il princeps e il
popolo svolgeva anche unimportante funzione culturale e pedagogica. La nuova Roma aveva bisogno di teatri splendidi, proprio perch il teatro e la scena avevano svolto un ruolo decisivo nelle citt greche, e soprattutto nellAtene del periodo classico: senza teatri laspirazione di Roma a diventare il centro anche culturale dellimpero sarebbe rimasta poco credibile. Anche
limpulso dato al teatro nascondeva, insomma, la preoccupazione di stare alla pari con i Greci. Le due grandi
manifestazioni atletiche greche indette da Augusto rientrano nello stesso quadro, e perfino le Res Gestae (22)
ne parlano con orgoglio, sebbene questo tipo di gare si
conciliasse ancor meno del teatro coi mores maiorum.
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3.
MORES MAIORUM.
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Al contrario dei programmi di rinnovamento religioso e di publica magnificentia, la riforma morale con i
suoi inviti allausterit era condannata naturalmente allo
scacco. Soprattutto la campagna demografica rimase
senza ascolto, poich i gruppi a cui il princeps si rivolgeva
con pi insistenza scuotevano la testa. Si reagiva con
battute di spirito, e personaggi come Ovidio non resistettero alla tentazione di commentare quegli inviti con
allusioni mordaci. In fondo, questa massiccia interferenza moralizzatrice nella vita privata dei Romani
mal si adattava allo stile del nuovo regime: Augusto era
come prigioniero della propria missione, della sua
fede in un rinnovamento anche interiore. curioso
vedere questo politico realista, freddo calcolatore, nei
panni del predicatore instancabile, sempre pronto a citare esempi commendevoli presi dallantica letteratura e
a mandarli perfino ai governatori delle province (Suet.,
Aug. 89). E proprio limpegno con cui Augusto si prese
a cuore questo programma, e insieme la scarsit dei
risultati, a spiegare il suo comportamento inumano verso
la figlia Giulia e la nipote dello stesso nome. La libert
di costumi delle due giovani, attratte, come Ovidio,
dalla dissolutezza dionisiaca della jeunesse dore, e sempre al centro di vivaci pettegolezzi, lo colpi nel suo
punto debole: furono entrambe cacciate, e Augusto si
rifiut per tutta vita di riconciliarsi con loro.
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Anche nel campo figurativo gli artisti, che pure avevano accettato di buon grado il programma di rinnovamento religioso, non ebbero grandi idee al riguardo. Sui
rilievi dellAra Pacis i bambini erano in primo piano, ma
purtroppo non ce nerano molti; pi tardi invalse luso
di distribuire come decorazioni militari delle medaglie
con le figure dei principi e dei loro bambini, e cos via.
Ma tutto ci ha a che fare piuttosto con la continuit
della dinastia imperiale.
Si tratta per di unimpressione ingannevole. Se la
morale coniugale e il culto della prole non trovano unespressione diretta nel linguaggio artistico, essi entreranno presto a far parte in forma sublimata del tema utopico dellet delloro.
Il princeps come modello.
Il principale exemplum era per lo stesso Augusto, il
quale impront il suo modo di vivere e le sue comparse
in pubblico a una scrupolosa osservanza dei mores maiorum. Era soprattutto nella sua persona che immagine e
realt dovevano armonizzarsi (Vell. Pat., 2,165,5). Nelle
sue comparse in pubblico non poteva fare a meno di colpire il suo stile sobrio e misurato, dal modo di camminare al modo di esprimersi, la sua affabilit con le persone pi semplici, il suo rispetto verso i senatori, la sua
disciplina e il suo autocontrollo. I visitatori descrivevano la semplicit patriarcale della sua casa: si raccontava
che, proprio come gli antichi, avesse fatto fondere tutte
le suppellettili doro, ed era noto che egli non amava il
lusso delle ville, pur avendo prescelto lintera isola di Capri come suo rifugio personale. Correva voce che la sua
toga, dal taglio semplice e priva di contrassegni vistosi,
fosse stata tessuta dalla moglie e dalla nipote, malgrado
le centinaia di schiave al servizio dellimperatore.
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Basilica i barbari sottomessi in un prezioso marmo policromo, per ricordare le vittorie dellimperatore, e i funzionari delle Zecca gli rendevano omaggio sul recto e sul
verso delle monete.
Uno di essi arriv al punto di esaltare le nuove leggi
sulla riforma dei costumi facendo raffigurare su una
moneta la vestale Tarpea, che aveva tradito Roma per
amore del re dei Sabini, nel momento in cui viene seppellita sotto gli scudi nemici. Lexemplum non era comunque nuovo: esso venne probabilmente rielaborato
nella cerchia di poeti intorno a Mecenate, e Properzio
gli dedic unintera elegia (4,4), interpretando la storia
della sventurata vestale secondo il nuovo indirizzo ideologico, ossia come un esempio delle conseguenze rovinose a cui pu condurre il disprezzo della religione e
della morale.
Probabilmente negli anni intorno ai ludi saeculares fu
elaborato anche un nuovo ritratto di Augusto. Le novit
sembrano piuttosto modeste, ma contengono unindicazione precisa: al posto delle forme classicistiche del
ritratto precedente, quello degli anni intorno al 27 a. C.,
vediamo ricomparire alcuni spunti fisiognomici del vecchio ritratto di Ottaviano. Cos il taglio dei capelli rigorosamente policleteo cede il passo a una stilizzazione pi
realistica. Rimane invece immutato quel carattere
senza et, sebbene Augusto si stesse avvicinando alla
cinquantina. Il nuovo ritratto ebbe per una circolazione limitata e le botteghe continuarono a usare il tipo
ormai familiare, mentre limmagine esteticamente trasfigurata delleterno giovinetto non poteva pi reggere
ormai alla realt di un uomo malaticcio e invecchiato.
Il desiderio di un ritratto dallespressione cos misurata si spiega da un lato con la rinuncia alle immagini
patetiche e dallaltro con la comparsa della nuova statua celebrativa a capo coperto. La toga tessuta a mano
del princeps era gi di per s un atto di omaggio alla tra-
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scuro, ne prov sdegno ed esclam: Ecco i Romani, signori del mondo, il popolo togato [Aen. I 282]; e diede incarico agli edili di non permettere pi a nessuno di fermarsi
nel Foro e nelle vicinanze, se non si toglieva il mantello e
indossava la toga (Suet., Aug. 40).
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Per le dame di alto rango non sar stato facile rinunciare ai vecchi abiti sfarzosi e provocanti, di stoffa trasparente, per indossare una stola piatta come una camicia. E adesso veniva Ovidio a far sapere che le nuove
leggi sul costume le escludevano anche dai giochi amorosi. Per le sue avventure sentimentali il giovane romano doveva ormai rivolgersi a donne non sposate dei ceti
inferiori, alle giovani liberte, alle schiave o alle non
romane. Ovidio non sar stato lunico a trarre queste
conseguenze dalle nuove leggi sul costume.
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Capitolo quinto
Lo scenario mitico del nuovo Stato
Dopo dieci anni di rinnovamento religioso e morale, gli edifici e le immagini, i sacrifici e le feste incominciarono a dispiegare tutta la loro forza suggestiva. La
convinzione che il nuovo Stato sarebbe durato in eterno e la fiducia nella sua guida crebbero ovunque. I tentativi di far cadere il regime erano falliti, linvincibilit
di Augusto era stata ribadita dalle vittorie sui Cantabri
e sui Parti, la pace interna si confermava stabile: chiunque poteva sperimentare in prima persona i successi del
nuovo regime. Era dunque venuto il momento di dare
a quel successo unespressione duratura. Il nuovo Stato
aveva bisogno di immagini che fossero in grado di idealizzare la realt e di celebrare la felicit presente: aveva
bisogno di un mito.
Certo, Augusto e i suoi collaboratori non potevano
formulare questa esigenza in termini cos diretti e sistematici, e tuttavia quello che prese forma negli anni del
principato augusteo non si pu definire se non come un
mito di Stato. Gli elementi che lo compongono provengono da ambiti assai diversi, e appaiono unificati
dalla persona stessa di Augusto. Ancora una volta il
processo fu avviato da singole iniziative, in parte promesse dal princeps, in parte dai suoi sostenitori. Senza
che alcun progetto unitario fosse allopera, un complesso intreccio di fattori diede vita poco per volta a un
sistema, e il nuovo mito di Stato, che non va confu-
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AUREA AETAS.
Augusto pot muoversi dapprima in un quadro prestabilito. Da tempo si fantasticava infatti sul prossimo
avvento di una nuova et di Saturno, e ora le premesse
non mancavano. Gli di e le stelle avevano mandato la
guida promessa e sotto di lui il popolo romano si era
purificato e rinnovato. Per lanno 17 a. C. si prevedeva
unaltra cometa, come gi alla morte di Cesare: ad Augusto non rimaneva altro che annunciare lavvento della
nuova et. Nei giorni compresi fra il 30 maggio e il 3 giugno dellanno 17 a. C. furono proclamati dei grandi ludi
saeculares: lultima occasione era stata 136 anni prima,
durante la guerra contro Cartagine. E non sar stato
facile per il collegio sacerdotale dei XV viri sacris faciundis dare un fondamento matematico e teologico alla felice contingenza politica.
Si inaugura let delloro.
affascinante seguire le tappe che prepararono lopinione pubblica al grande evento: anzitutto venne cancellata lonta della sconfitta contro i Parti, poi venne lepurazione del Senato e infine la riforma morale del 8
a. C. I grandi motivi della virtus, del mos maiorum e della
politica familiare vennero cos incorporati con perfetta
naturalezza nel programma e nello scenario della festa.
Il protocollo dei ludi, di cui si fortunatamente conservata liscrizione e il poema ufficiale composto per
loccasione da Orazio, il Carmen saeculare, ci permettono di seguire da vicino lorganizzazione dellevento. Il
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prio: perfino i non sposati, che le leggi recenti escludevano dai teatri e dalle feste, potevano prendervi parte
propter religionem, per riguardo alla religione, secondo lespressione usata dal princeps.
I ludi saeculares furono un susseguirsi di messinscene spettacolari, che ebbero come teatro i santuari e i luoghi di culto della citt. I motivi ricorrenti del cerimoniale e del Carmen saeculare mostrano che lo scopo dei
riti, di sapore in parte arcaicizzante, non era pi, come
nelle occasioni precedenti, quello di propiziare gli di
inferi, ma di ottenere prosperit e salute: si trattava cio
di una idealizzazione cultuale della nuova moralit e del
nuovo Stato. Nel corso di tre cerimonie notturne furono
offerti sacrifici alle Moire, alle Ilitie e alla Terra Mater.
La prima notte le de del destino ricevettero nove pecore e nove capri: durante la cerimonia Augusto recit una
preghiera piena di formule arcaiche per limperium e la
maiestas del popolo romano, per la salute, la vittoria e
la prosperit del popolo e delle legioni, per la crescita
dellimpero, per gli ordini sacerdotali e infine per se stesso, per la sua casa e la sua famiglia. Nelle due notti
seguenti furono evocate le Ilitie, come protettrici delle
partorienti, e la Terra Mater in quanto dea della fecondit: a questultima, Augusto sacrific con le sue stesse
mani una scrofa gravida. Per chi era presente, una scena
difficile da dimenticare. Una di queste scene arcaicizzanti di sacrificio si trova raffigurata su una serie
di monete cornata poco pi tardi.
Le cerimonie che si tenevano alla luce del giorno non
erano meno intense di queste scene notturne. Il primo
giorno, sul Campidoglio, vennero offerti sacrifici a
Giove e, nel secondo, a Giunone Regina, nel terzo giorno, sul Palatino, ad Apollo, Diana e Latona. Anche in
questo caso Augusto e Agrippa offrivano personalmente le vittime: due buoi per Giove, due vacche per Giunone e focacce per Apollo e Diana. Cori di centodieci
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matrone scelte, e tre gruppi di sette fanciulli e fanciulle vestiti di bianco svolgevano nei riti una parte centrale. Le madri invocavano la benedizione di Giunone sullo
Stato e la famiglia, i fanciulli nei loro bianchi vestiti cantavano il Carmen saeculare composto da Orazio davanti
al tempio di Apollo Palatino:
Febo, Diana, signora delle selve,
luce del cielo, sempre venerati
e venerabili, esaudite i voti
in questo giorno sacro,
che nei versi sibillini prescrive
alle vergini elette e ai fanciulli
di cantare un inno agli dei che amarono
i nostri sette colli.
Sole fecondo, che col carro ardente
porti e nascondi il giorno, e nuovo e antico
rinasci, nulla pi grande di Roma
possa mai tu vedere!
E tu, che dolce schiudi a tempo i parti
per rito, proteggi le madri, Iltia,
o come tu vuoi essere invocata:
Lucina, Genitale.
Educa i figli, dea, e benedici
il decreto che regola le nozze
delle donne e la legge di famiglia
che accende nuove vite,
perch al compiersi di centodieci
anni, ritornino i canti e le feste
affollate per tre limpidi giorni
e tre notti serene.
E voi, Parche, che la sorte fissata
rivelate, senza che niente possa
mutarla, aggiungete a quelli compiuti
altri buoni destini.
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I temi e le immagini del Carmen si riferivano ai rituali a cui la gente aveva assistito negli ultimi giorni, e le
immagini invocate di Apollo e di Diana, insieme alle
divinit astrali gemelle del Sole e della Luna, si potevano ritrovare dappertutto nel recinto del tempio. Nel
sacrario del tempio si trovavano probabilmente gi allora i Libri Sibillini nella nuova redazione dei XV viri, conservati in due custodie doro sotto limmagine votiva,
dove la Sibilla inginocchiata richiamava lattenzione sul
contenuto rassicurante delle profezie. Ma la speranza del
futuro, i fanciulli, era li fisicamente, rappresentata dallimmagine toccante dei piccoli cantori. Ogni elemento
legato allaltro: abbiamo a che fare con unopera
darte totale rivolta ai cinque sensi, in cui rivivono,
nello stesso tempo, gli antichi rituali perduti.
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Fecondit e pienezza.
Nel corso degli anni seguenti vediamo comparire sui
monumenti pi svariati nuove immagini di prosperit e
di pienezza. Come nei riti dei ludi saeculares, anche qui
il motivo della fecondit nella natura ma soprattutto
nelluomo appare decisamente in primo piano. Se
infatti la societ romana non era disposta ad accogliere
il programma di restaurazione morale con i suoi immediati risvolti di politica demografica, essa era invece
estremamente sensibile alle visioni utopiche dellaurea
aetas. Il programma di incremento demografico fallisce,
ma il motivo della prolificit ritorna poi sublimato e
idealizzato nelle immagini. Il fenomeno istruttivo: che
le azioni del sovrano riescano oppure no, ha un importanza secondaria, la realt cede il passo allimmagine accattivante di una felicit duratura. La pi antica e
la pi complessa composizione di questo genere il
cosiddetto rilievo della Tellus nellAra Pacis Augustae, il
cui programma fu ordinato e approvato da una
commissione senatoria.
Una divinit materna dalle vesti classicamente stilizzate seduta su una roccia, in atteggiamento nobile
e pieno di dignit. Tiene in braccio due neonati che giocano, cercando il suo seno, dei frutti le riposano in
grembo e nei capelli porta una ghirlanda di spighe e
papaveri. Dietro di lei crescono, in meticolosa evidenza, spighe, papaveri e altre piante. Il corpo, il vestito e
il portamento della donna dovevano stimolare nellosservatore molteplici associazioni; ma sia che il pensiero
corresse alliconografia di Venere (il motivo del vestito),
oppure a Cerere (il velo, la ghirlanda di spighe), o ancora alla dea Tellus (la roccia, lambientazione), in ogni
caso si capiva subito che era questa la dea della fecondit e della crescita.
Liconografia eclettica e polivalente corrisponde a
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Per quanto la figura della Pax Augusta possa apparire pregnante e molteplici le sue associazioni il suo
carattere composito ne faceva nondimeno un messaggio
di facile lettura, tanto pi che il Romano del tempo vi
trovava cifre ormai familiari, o rese tali dalle solennit dei ludi saeculares. Limmagine serena del bue al
pascolo e delle spighe in emblematica evidenza si era gi
vista come augurio di pace sulle monete degli anni 2726 a. C. Una strofa del Carmen saeculare si pu leggere
come una parafrasi poetica di quellimmagine, quasi
Orazio e lo scultore si fossero messi daccordo:
La terra ricca di animali e biade
incoroni di spighe la campagna;
piogge e brezze benefiche del cielo
ne nutrano i prodotti.
Non c dubbio che i Leitmotive di questo repertorio figurativo provengano dalla stretta cerchia dei consiglieri di Augusto e abbiano a che fare direttamente col
programma dei ludi. Mentre per levocazione della
fecondit nel Carmen saeculare dettata da una precisa
intenzione politica rivolta al contesto concreto (vv. 1720) delle leggi sul matrimonio, lo scultore riesce ad assortire una variet di motivi dal significato immediato: il
tema della prolificit si al centro della composizione,
ma allinterno di uno scenario utopico dalle cifre ben
riconoscibili. Il monito politico di Augusto viene tradotto in un messaggio estetico di cui chiunque poteva
accettare i contenuti.
I motivi simbolici connessi alla figura della dea
Madre mostrano come tutta la natura partecipi di questa fecondit paradisiaca, ed erano evidentemente motivi cosi familiari da poter essere utilizzati o citati nei contesti pi diversi, anche in forma abbreviata, pars pro toto.
Ne sono un buon esempio tre rilievi concavi che ador-
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Soprattutto nei lavori per committenti privati troviamo veri miracoli di fantasia. Cos, ad esempio, i tralci raffigurati su un grande cratere dargento devono
molto, nel loro rigore compositivo, ai modelli ufficiali
li vediamo spuntare perfino dalle ali di una coppia di
grifi mentre i putti senza ali rientrano a loro volta nel
tema programmatico della fecondit, ma i gesti grotteschi con cui questi paffuti lattanti si muovono sui rami
filiformi, catturano pesci o infilzano gamberi con un tridente, dnno vita a un mondo sereno di pure forme artistiche. Manierismi analoghi si trovano anche nella pittura parietale: ricchezza inventiva e leggerezza giocosa
prendono il sopravvento l dove gli artisti si sentono
liberi dal peso dei programmi ufficiali. Ed appunto in
queste opere, assai pi che nelle forme rigorose ma aride
e didattiche dellAra Pacis, che larte augustea raggiunge ai nostri occhi gli esiti pi convincenti.
Vittoria e pace.
La cosiddetta vittoria sui Parti risaliva allanno 20
a. C. ma poich la sua utilizzazione in chiave ideologica appare in stretto rapporto con lapertura del saeculum
aureum ce ne occupiamo soltanto ora. La cerchia di
Augusto attribu allavvenimento un significato assai
particolare: non solo esso costituiva il presupposto per
linizio dellet delloro, ma le sue celebrazioni permisero di collaudare una nuova idea di vittoria, che consacrava il sovrano a vincitore in aeternum e ne faceva il
garante della pace e della prosperit universale.
Fin dai tempi pi antichi gli di di Roma si erano
impegnati nelle guerre giuste: una grande vittoria era
segno dei buoni rapporti fra la res publica e le sue divinit tutelari, mentre una sconfitta aveva sempre alla
sua origine qualche inosservanza di natura religiosa e
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bisognava allora riconciliarsi con gli di mediante sacrifici e rituali di purificazione. Una concezione arcaica i
cui esiti appaiono per non troppo lontani dallidea ellenistica di unumanit divinizzata: se per i Greci, infatti, gli di si manifestavano nelle gesta dei grandi uomini, e tutto dipendeva dalle energie sovrumane di questi
ultimi, la vittoria per in entrambi i casi un segno di
elezione.
Nellideologia augustea le vittorie rivestono poi un
significato particolare: non solo esse dimostrano, come
tra i sovrani ellenistici e i grandi della tarda repubblica, il favore degli di verso Augusto e la sua unicit,
ma testimoniano insieme, nel quadro della riforma
religiosa, la ritrovata armonia tra lo Stato e i suoi di.
Ogni nuova vittoria non poteva perci non risolversi in
una conferma del nuovo regime.
Il nesso tra pietas e vittoria era gi stato sottolineato dopo Azio; dieci anni pi tardi la vittoria sui Parti fu
celebrata come avvenimento del secolo e come conferma dellavvenuto risanamento dello Stato: a tale scopo
risultava certo pi adatta della lenta e sanguinosa sottomissione dei Cantabri in Spagna, che significativamente non ebbe eco nelle arti figurative. Non tutte le
vittorie andavano celebrate allo stesso modo: non si
trattava tanto di ricordare il singolo successo, quanto di
illustrare il nesso organico tra la vittoria e la pietas, il
regime politico e la felicit universale.
Fin dalla met degli anni venti i Romani furono preparati a una nuova campagna militare contro i Parti.
Sono i poeti a darci unidea delle parole dordine diffuse per loccasione: i Romani dovevano ricordarsi dello
smacco subito nellanno 53 a. C., quando Crasso aveva
perduto le insegne militari e le aquile delle legioni, e i
prigionieri di guerra, cos almeno si diceva, non avevano ancora fatto ritorno. Senza prima riscattare lonore
militare di Roma la restitutio dello Stato non sarebbe
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tempo da Romolo e Marcello (spolia opima), e che offrivano ora un illustre termine di paragone alle insegne
riconquistate ai Parti: che lintenzione fosse precisamente questa risulta da una serie di monete in cui vediamo il nuovo tempio di Marte con la statua arcaistica del
dio e le famose insegne associati al tempio di Jupiter
Tonans.
Tutte le altre celebrazioni della vittoria sui Parti
presero la forma di iniziative in onore di Augusto, che
videro il Senato in prima fila. Augusto rinunci al
trionfo vero e proprio, ma questo non imped ai senatori di attingere al repertorio tradizionale delle grandi
occasioni e di fargli costruire proprio accanto al tempio
del Divus Iulius un nuovo arco di trionfo (Dio. Cass.,
54,8) su cui erano raffigurati dei Parti nellatto di offrire ad Augusto le insegne.
Limmagine propagandata dal Senato del Parto sottomesso piacque moltissimo ai Romani: i funzionari
della Zecca fecero coniare una moneta in cui si vedeva
un Parto inginocchiato nellatto di porgere i signa, e
anche Orazio annunci che Fraate aveva accettato in
ginocchio lautorit di Cesare (Ep. I 12,27). Limmagine adulatoria veniva riprodotta persino sugli anelli: su
una gemma in pasta vitrea i barbari sono raffigurati,
significativamente, insieme alla Vittoria sul globo, simbolo dellimpero. E di questa immagine si impadronir
lo stesso Augusto nelle sue memorie:
Costrinsi i Parti a restituire il bottino e le insegne di
tre eserciti romani e a supplicare umilmente lamicizia del
popolo romano (Res Gestae 29).
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In unepoca in cui Augusto accentuava ulteriormente la sua gi abituale riservatezza, il committente lo fece
raffigurare nelle vesti splendide del vincitore e non esit
a richiamare senza mezzi termini la sua origine divina.
Nella mano sinistra Augusto teneva la lancia e nella destra forse i signa riconquistati. I piedi nudi ricordano liconografia degli di e degli eroi, mentre la figura di
Eros a cavallo su un delfino allude senza dubbio alla
progenitrice Venere: nei lineamenti del fanciullino si
voluto addirittura riconoscere il ritratto del nipote Gaio
Cesare, nato nel 20 a. C., ma si tratta forse di uninterpretazione troppo azzardata. Non solo il ritratto di
Augusto, ma lintera statua segue i modelli classici dellarte greca del v secolo, cos da innalzare la figura del
vittorioso in una sfera pi elevata.
Dai rilievi della corazza risulta per una nuova concezione della vittoria; al centro della composizione il re
dei Parti offre le insegne e le aquile delle legioni a un
personaggio in divisa militare, che potrebbe essere un
rappresentante delle legioni romane, se non addirittura
lo stesso Marte Ultore. Lepisodio, presentato qui con
semplice realismo, si inserisce tuttavia in uno scenario
che abbraccia terra e cielo: a destra e a sinistra siedono
due figure femminili in atteggiamento afflitto, personificazioni dei popoli sottomessi dai Romani ( la figura
col fodero vuoto), o comunque ridotti allobbedienza
(figura con la spada). facile riconoscere nella donna
dalla tromba con lestremit a forma di drago e dal vessillo col cinghiale la personificazione dei Celti di Occidente, e nellaltra figura, umiliata ma non disarmata, la
personificazione dei popoli dellOriente o dei Germani,
costretti a pagare il tributo e a difendere i confini dellimpero. Ci corrisponderebbe allo scarno resoconto
delle vittorie di quegli anni lasciatoci da Orazio in una
delle sue Epistulae:
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Roma, Foro di Augusto. Pianta con ricostruzione del programma statuario. Il lato sud della piazza non ancora stato portato alla luce.
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to dal presente al passato. Il Foro e il tempio furono concepiti come la vetrina del nuovo Stato, secondo un
preciso programma educativo. Conformemente al suo
nuovo stile politico, Augusto evit ogni forma diretta di
autocelebrazione, anche se i contemporanei, abituati a
una trentennio di immagini encomiastiche, potevano
cogliere ovunque allusioni e riferimenti. In ogni caso,
anche un avversario di Augusto avrebbe avuto difficolt a scorgere in quel programma figurativo i segni di
una politica dellimmagine diretta dallalto: anche nel
Foro di Augusto, come vedremo, lelogio diretto del
sovrano rimane una prerogativa del Senato.
Venere e Marte.
La parte mitologica del programma figurativo del
Foro di Augusto comprendeva poche figure e nessun elemento nuovo. Laspetto decisivo era dato dalla fusione
di due cicli mitologici: il mito di Troia e la leggenda di
Romolo. Secondo la versione della leggenda sulle origini di Roma che gi Virgilio aveva adottato per il suo
poema, Marte aveva sedotto Rea Silvia, figlia del re di
Alba Longa, ed era diventato cos padre dei due gemelli Romolo e Remo e progenitore dellintera stirpe romana. Ma poich Rea Silvia discendeva, secondo la leggenda, dalla stirpe troiana di Enea, la madre dei due
mitici gemelli poteva essere accolta nellalbero genealogico di Augusto ed per questo che i poeti augustei la
chiamano perlopi col nome di Ilia (da Troia=Ilion). In
questo modo Venere e Marte, e sia pure con partner
differenti, diventavano progenitori dei Romani (e la circostanza non manc di suggerire ad Ovidio unaltra
allusione ironica alle leggi matrimoniali). Le due divinit
avrebbero vigilato insieme sui loro protetti, Marte
garantendone la virtus, e Venere procurando fecondit
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e pienezza. Il mito privato della famiglia Giulia diventa cos un elemento centrale del nuovo mito di Stato, e
la statua della dea dellamore verr associata in tutte le
occasioni possibili a quella del dio della guerra, col risultato inevitabile di richiamare alla memoria anche la
segreta storia damore che univa i due nel mito greco. I
mitologi augustei cercarono di aggirare la difficolt interpretando questo amore come la prefigurazione del
ruolo eletto che la famiglia Giulia avrebbe ricoperto
nella storia marziale del popolo romano.
Prima della battaglia di Azio, Ottaviano aveva ancora fatto raffigurare la sua antenata nelle vesti di seduttrice, ma sul frontone del tempio di Marte Ultore la
vediamo ora, conforme al nuovo ruolo, dignitosamente
avvolta in un mantello e con lo scettro nella mano accanto al dio della guerra. Anche nella cella del tempio la sua
statua era vicina del resto a quella di Marte, e Ovidio
comment la cosa con una battuta, suggerendo che lo
sposo, cio Vulcano, era rimasto ad attendere fuori della
porta (Trist. II 295). (Cera l, probabilmente, una statua di Vulcano, donata da Augusto in occasione della
riorganizzazione del corpo dei vigili del fuoco).
Questa indicazione di Ovidio stata messa in rapporto con un rilievo conservato ad Algeri, interpretato a
sua volta come una raffigurazione del gruppo statuario
del tempio di Marte Ultore. Accanto alla statua di Marte
si trovano Venere con Eros e una statua con un mantello ai fianchi: si tratta con tutta probabilit di Cesare divinizzato e raffigurato, in virt del suo rango divino, accanto a Venere e Marte. Lamorino porge alla madre la
spada di Marte e il gesto in tale evidenza da suggerire
uninterpretazione allegorica, suffragata anche da altri
monumenti: Marte disarmato da Amore sarebbe unallusione alla pace, ottenuta dopo la giusta guerra, e la stessa idea ritorner nella statua di Marte Ultore.
Non crediamo di forzare linterpretazione del mode-
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Enea e Romolo.
Dei vecchi cicli mitologici vennero conservate solo
poche figure particolarmente rappresentative. Alla coppia Marte-Venere facevano riscontro, nelle nicchie centrali delle due grandi esedre del Foro di Augusto, le figure contrapposte di Enea e Romolo, raffigurati, rispettivamente, in fuga da Troia e nelle vesti di trionfatore.
Una contrapposizione che non aveva il significato di un
confronto tra i due eroi, ma intendeva piuttosto illustrarne le virt complementari.
Le statue originali non si sono conservate, ma statuette, rilievi e pitture parietali ce ne dnno comunque
unidea attendibile. Enea porta sulle spalle il vecchio
padre Anchise, tenendo per mano il figlioletto Ascanio,
ma mette anche in salvo gli di di Troia, i Penati, che il
vecchio Anchise tiene in mano come un bene prezioso.
Insieme al Palladium, i Penati troiani erano ora venerati nel tempio di Vesta come garanti dei destini di Roma.
Cesare aveva attribuito ad Enea anche il merito di aver
messo in salvo il Palladium e infatti lo vediamo, su una
moneta di et cesariana, nellatto di fuggire da Troia con
in mano larcaica statua di Atena. Ma il gruppo statuario del Foro di Augusto ha un significato che va al di l
della pura commemorazione storica: Enea qui un nume
tutelare del nuovo Stato ed la sua pietas eroica verso il
padre e verso gli di ad apparire in primo piano.
Ecco perch lartista introduce nella sua raffigurazione una serie di elementi didascalici estranei al fatto
vero e proprio. Cos il giovane troiano in fuga gi raffigurato in vesti romane: non solo romana larmatura,
ma in quanto antenato dei Giulii porta anche i calzari
di un giovane patrizio! Il piccolo Ascanio vestito invece come un pastore frigio, con un abito dalle maniche
lunghe e il berretto a punta, e tiene curiosamente in
mano perfino un bastone per la caccia alla lepre: par-
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Un secondo raffronto tra Enea e Romolo si conservato nei rilievi sul lato dingresso dellAra Pacis.
Diversamente per che nel tempio di Marte, non si trattava qui di rievocare gesta esemplari ma la divina Provvidenza che aveva vegliato fin dallinizio sulla storia
romana: a destra dellingresso raffigurato larrivo di
Enea nel Lazio, a sinistra il ritrovamento della lupa con
i due gemelli.
Il pius Enea, dopo lungo peregrinare, ha trovato finalmente sotto una quercia la scrofa e i porcellini della promessa (Verg., Aen. III 390; VIII 84). Qui, nel punto dove
sarebbe sorta Lavinio, doveva costruire secondo loracolo
un tempio ai Penati e dare una nuova patria ai fuggiaschi.
gi stato preparato un semplice altare di pietra,
adorno per il sacrificio. Gli assistenti, con una corona
in capo, trattengono la scrofa destinata allofferta e portano un vassoio colmo di frutti, mentre Enea, a capo
coperto, versa la libagione sacrificale. Leroe sembra
assorto in profondi pensieri e lintera scena come
sospesa: anche gli altri officianti hanno lo sguardo rivolto lontano, come se avessero una visione. Losservatore
era cos indotto a meditare sulle implicazioni simboliche
della scena, tanto pi evidenti quanto pi si immergeva
nei singoli particolari della raffigurazione.
Per conferire alla figura di Enea una particolare
solennit, lartista ha modellato la testa e la parte superiore del corpo nelle forme dellarte del primo periodo
classico, e gli ha dato un mantello di foggia antica, come
quelli che si vedevano sulle antiche statue del re di
Roma in Campidoglio (Plin., Nat. hist. XXXIV 23). E
appunto come un re di Roma Enea tiene la lancia nella
mano, in segno di sovranit. Qui egli non pi leroe
guerriero come sul Foro, ma il pater Aeneas carico di
esperienza e modello di devozione. Ascanio, di cui si
conservata sul rilievo appena una striscia sottile, porta
invece il costume troiano e un bastone da pastore, anche
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doppi sensi e le battute salaci di Ovidio avevano evidentemente il loro pubblico, e qualcuno pens perfino
di mettere in caricatura le immagini pompose del mito:
il proprietario di una villa presso Stabia si fece dipingere in una delle sue camere una versione parodistica del
gruppo arcinoto di Enea (quello del Foro di Augusto),
in cui gli illustri antenati del princeps figurano come una
famiglia di scimmie dalle teste di cane e dai membri
enormi.
Ma erano casi isolati. Nel complesso la nuova iconografia mitologica ebbe una larga diffusione non solo negli
ambienti ufficiali di Roma e delle citt, ma anche nella
vita privata, e penetr a fondo nella coscienza di larghi
strati della popolazione. Piacerebbe sapere se erano in
molti a fare come Orazio che, in lieta compagnia e
secondo lusanza dei padri, cantava al suono di flauti lidi la virtus dei capi, Troia e Anchise, e la discendenza di Venere che tutto pervade (Carm. IV 15,29).
Il gruppo di Enea era del resto assai diffuso anche
su anelli e lucerne e sotto forma di statuette di terracotta, dove era facile intenderlo come un segno di
fedelt al regime. Ma in breve tempo limmagine fini per
diventare un puro e semplice simbolo di pietas privata.
I committenti dei monumenti funerari non pensavano
pi al princeps: il contenuto morale dellimmagine era
ormai stato assimilato e chi la utilizzava intendeva semplicemente esprimere la pietas del defunto e, insieme,
laffetto dei suoi cari rimasti in vita.
Unimmagine riveduta della storia romana.
Mito e storia non erano, nel mondo antico, domini
separati. Le gesta degli antenati leggendari erano sentite come altrettanto storiche di quelle compiute dagli
effettivi antenati di una famiglia, e possedevano inoltre
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(Suet., Aug. 31). I grandi Romani erano dunque gli artefici militari dellimpero, i generali e i trionfatori.
La galleria delle statue del santuario di Marte suggeriva, inoltre, un quadro dinsieme dellintera storia
romana in cui i nemici di un tempo apparivano affiancati nella comune gloria della nazione: Mario accanto a
Silla, Lucullo accanto a Pompeo. Il personaggio pi
recente fra gli auctores dellimpero era il figliastro di
Augusto, Druso, caduto nellanno 9 a. C. durante la
campagna contro i Germani. Lunico grande assente era
Giulio Cesare, il dittatore che, in quanto dio, non poteva essere confuso tra i mortali. Al Divus Iulius spettava
un posto nel tempio.
Sotto ogni statua si trovavano un breve titulus col
nome del personaggio e le tappe della sua carriera pubblica, e un elogium pi ampio con lelenco delle sue benemerenze, non solo militari ma anche civili. Di Appio
Claudio Cieco si ricordava ad esempio la vittoria sui
Sanniti e i Sabini, la costruzione della via Appia, dellacquedotto omonimo e del tempio di Bellona, ma anche
il fatto di aver impedito con successo di concludere la
pace col re Pirro. Il testo conciso e perentorio delle iscrizioni doveva poi rafforzare limpressione che i grandi
Romani fossero proprio tutti l. Tra i frammenti marmorei conservati vi sono statue loricate e togate; probabilmente la scelta delluno o dellaltro modello rispecchiava i meriti del personaggi. Pare comunque che della
galleria facessero parte anche statue pi antiche.
Nel Foro di Augusto veniva resa pubblica, tramite
la forma di un doppio messaggio scritto e visivo, un
immagine della storia riveduta e adattata alla nuova
situazione politica. La storia romana veniva a coincidere con la marcia inarrestabile dellimpero, e il fatto di
ricondurre lintera vicenda alle imprese personali dei
summi viri conferiva a quella marcia un indubbio carattere di inevitabile destino.
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chiaro che Augusto prese parte direttamente allideazione del programma e alla scelta dei summi viri:
secondo Plinio (Nat. hist. XXII 6, 13) avrebbe addirittura composto egli stesso gli elogia sotto le statue. Ma
la notizia non va presa necessariamente alla lettera, poich Augusto si serv senza dubbio di numerosi consiglieri e lassegnazione dei vari posti nella galleria rappresent, com facile immaginare, un ricco e gradito
argomento di conversazione. E stata avanzata lipotesi,
piuttosto plausibile, che nel programma della galleria
abbia avuto un ruolo di primo piano Gaio Giulio Igino,
liberto di Augusto e direttore della biblioteca del tempio di Apollo. Autore di un libro De familiis Troianis e
di un commento allEneide di Virgilio, Igino poteva dare
in effetti un contributo qualificato, anche se lidea complessiva risale senza dubbio alla grande visione del VI
libro dellEneide, dove Anchise nellAde mostra ad Enea
i grandi Romani dei secoli futuri, fino a Cesare Augusto: Egli riporter let delloro nel Lazio, che fu gi il
regno di Saturno (VI 792).
Ancora una volta i Romani videro sfilare sotto i propri occhi lintero programma del loro Walhalla in occasione delle esequie di Augusto:
Furono quindi celebrati i funerali. La bara era davorio e doro, coperta da un manto di porpora e doro. Il
corpo di Augusto era chiuso dentro una cassa e sottratto
agli sguardi, ma si vedeva un suo ritratto di cera nelle vesti
di trionfatore che i consoli designati per lanno successivo
andarono a prendere nella sua casa sul Palatino. Unaltra
statua doro veniva dalla Curia e una terza era trasportata su una quadriga trionfale. Seguivano poi i ritratti
[eikones, probabilmente attori con maschere] dei suoi antenati e dei suoi parenti defunti con leccezione di Cesare,
che era stato accolto fra gli eroi; e infine i ritratti di tutti
i romani che si erano in qualche modo distinti, Romolo in
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Era daltronde tipico dello stile di Augusto argomentare, ovunque fosse possibile, con esempi e citazioni degli antenati. N la risposta a questo invito si fece
attendere a lungo. Il Senato eresse infatti, e c da supporre in posizione dominante, un monumento celebrativo dallaspetto di una quadriga trionfale sulla cui base
faceva spicco il nuovo titolo onorario di Pater Patriae:
Nellanno del mio tredicesimo consolato il Senato, i
cavalieri e lintero popolo romano mi conferirono il titolo
di padre della patria, e decisero di apporre una scritta
relativa allavvenimento nellatrio della mia casa, nella
Curia Iulia e sotto la quadriga del Foro di Augusto che il
Senato stesso vi aveva fatto porre (Res Gestae 35).
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vano a proiettare la gloria presente sullo sfondo paradigmatico del passato. Qui i giovinetti indossavano la
toga virile e venivano iscritti nelle liste militari; nel tempio di Marte il Senato decideva sulla guerra, la pace e i
trionfi; di qui partivano i governatori militari; qui i
generali vittoriosi deponevano le insegne trionfali al
ritorno dalle loro spedizioni; qui i principi barbari promettevano fedelt e amicizia verso Roma. Il tempio di
Marte ottenne cos privilegi che fino ad allora spettavano, almeno in parte, al tempio di Giove Capitolino,
e il nuovo Foro divent lo scenario ufficiale della politica estera e di tutto quanto avesse a che fare con la
virtus e la gloria delle armi.
Se il messo incaricato di recapitare la lettera in cui
Caligola annunciava la sottomissione della Britannia
dovette passare anzitutto dal Foro Romano, per poi
scendere da cavallo alla Curia e consegnare infine la lettera nel tempio di Marte alla presenza del Senato riunito (Suet., Gaius 44), ci si pu immaginare come doveva
essere grandioso il cerimoniale in occasione dei trionfi,
dellarrivo di re stranieri o di altri avvenimenti solenni.
Augusto stabil che anche in futuro i generali vittoriosi ricevessero sul Foro una statua di bronzo che li raffigurava in abito trionfale e che venissero esposte qui le
armi e le insegne conquistate al nemico. Conosciamo i
nomi di alcuni personaggi a cui il Senato attribu tale
onorificenza su proposta dello stesso Augusto. Ma il
pathos pedagogico con cui Augusto invit i Romani a
imitare i grandi uomini del passato e promise a ciascuno
una gloria conforme ai suoi meriti, cadde nel vuoto: se
infatti le statue degli altri generali vittoriosi erano disposte pi o meno casualmente tra le colonne o ai margini
della piazza, per i principi imperiali Germanico e Druso
minore Tiberio fece erigere nel 9 d. C. degli archi di
trionfo ai lati del tempio di Marte, ad aperta imitazione
degli archi di Augusto ai lati del tempio di Cesare.
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3. PRINCIPES IUVENTUTIS.
IL RUOLO DEI SUCCESSORI NEL MITO DI STATO.
Presentare in pubblico i suoi eredi era una delle principali preoccupazioni del vecchio Augusto: pur mantenendo il suo stile abituale, egli intendeva far capire che
solo un membro della famiglia Giulia la famiglia eletta poteva ereditare il principato. Secondo unaccorta
suddivisione dei poteri, furono proposti come eredi,
ancora giovanissimi, i due nipoti Gaio e Lucio Cesare:
popolo, Senato ed equites applaudirono alla scelta e conferirono loro onorificenze e le pi alte cariche di Stato.
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Pi ancora della naturalezza con cui il giovane principe indossa qui i panni di Augusto, ci che rende interessante dal nostro punto di vista questa probabile celebrazione della sua vittoria il richiamo alla battaglia di
Azio e al motivo dellet delloro, a cui alludono il centauro marino col timone e il centauro di terra con la coda
desinente in volute vegetali. Anche questa vittoria consolida, insomma, la nuova et felice che si era inaugurata con Azio: gli slogan degli anni precedenti sono
diventati ormai una precisa ideologia trionfale, e le vecchie vittorie del princeps vengono ricordate come gesta
mitiche di unepoca ormai remota.
Tiberio e Druso generali dellimpero.
Quando Augusto adott i suoi due nipoti (17 a. C.),
i figliastri Tiberio e Druso, rispettivamente di 25 e 21
anni, erano entrambi in seconda linea per la successione al trono, ma svolsero come generali un ruolo importante per se stessi e per la dinastia e molto prima che
Tiberio diventasse il poco amato erede ufficiale di Augusto. Come gli altri generali essi erano legati di Augusto,
ma in quanto principi spettava loro un rango particolare: una funzione per cos dire di rappresentanza,
che divenne presto parte integrante dellideologia imperiale. Se il princeps non prendeva parte personalmente a
una spedizione, erano i principi a combattere in sua
vece e le loro vittorie erano le sue vittorie, perch a lui
spettava in ogni caso il comando supremo, limperium
maius. Ma questo meccanismo istituzionale fin per assumere, nelle immagini, dimensioni mitiche.
La prima occasione fu offerta dalle guerre di espansione condotte da Druso e Tiberio contro le popolazioni alpine. La Zecca di Lugdunum, che era sotto la giurisdizione del princeps, celebr i primi successi contro i
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fianco di Augusto, Druso e Tiberio appaiono decisamente in subordine al comandante supremo, bench
spetti a loro il merito effettivo di quelle vittorie. La consonanza tra le varie voci mostra come il princeps, malgrado la sua discrezione, sapesse dare il la al grande
coro encomiastico, senza comunque intervenire di persona. Se pensiamo per alle manifestazioni celebrative
seguite alla vittoria sui Parti, vedremo che coloro ai
quali erano affidate le lodi del sovrano erano ora molto
pi attenti che in passato ai segnali dallalto. Il loro unisono impressionante. Ce ne d una controprova il
cambiamento di ruolo a cui Tiberio dovette sottoporsi.
Tiberio come successore.
Augusto non pot compiacersi a lungo dei successi
riportati dai suoi giovani generali. Druso mor in Germania, Tiberio and in esilio volontario nel 7 a. C. e per
undici lunghi anni si sottrasse alla vicinanza del princeps.
Irritato dal modo in cui Augusto acconsentiva agli onori
decretati per i due giovani principi ereditari, part per
Rodi e visse per qualche tempo come un Greco, portando lo himation e i sandali e circondandosi di filosofi e di
poeti: anche per lui la cultura greca rappresentava unalternativa. E solo dopo che la crudele Fortuna ebbe
strappato ad Augusto i suoi due figli (cos lesordio
delle Res Gestae), il princeps dovette ripiegare su Tiberio,
adottandolo e facendogli a sua volta adottare il figlio di
Druso, Germanico, e lultimo nato Agrippa Postumo.
Poich il mito della famiglia Giulia risultava in questo
caso poco applicabile (Tiberio apparteneva alla famiglia
Claudia), fu necessario, a maggior ragione, insistere sulle
sue qualit militari. Gi nellanno 7 a. C. Tiberio aveva
celebrato un trionfo sui Germani, e dopo ladozione fu
la volta delle dure vittorie sui Pannoni e sui Dalmati.
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Capitolo sesto
Il linguaggio formale del nuovo mito
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tima cos Dionigi se il progresso stato tanto rapido e generale. Alla vecchia cultura viziosa restano
ormai pochi seguaci solo in qualche remota citt della
Misia, della Frigia e della Caria: ma non c da stupirsene, perch limmoralit sempre venuta dallOriente.
Quel brusco mutamento di stile riscontrabile anche
nelle forme del linguaggio politico. Basti ricordare il
passaggio dal ritratto giovanile di Ottaviano in stile
patetico al ritratto di Augusto, composto di citazioni
classiche, dalla vigorosa nudit delle statue tardo repubblicane ai togati a capo coperto, dalliconografia di
Venere, asiana e sensuale, allausterit di un linguaggio
pregno di valori simbolici.
La nuova cultura doveva essere una sorta di supercultura, capace di unire il meglio della tradizione greca
al meglio delleredit romana, di fondere lestetica greca
col senso romano della moralit e della virtus. Doveva
essere una cultura esemplare, degna di un popolo dominatore e tale da imporsi in tutto limpero (Vitruvio).
Solo entro questa cornice diventano comprensibili le
qualit specifiche del classicismo e dellarcaismo augusteo. Non si trattava di una moda odi un semplice orientamento del gusto come il classicismo tardo ellenistico,
che la cultura alessandrina aveva accolto come una possibilit espressiva accanto ad altre. Lo sguardo indietro dellarte augustea obbedisce, invece, a una precisa
ideologia, a una ben definita e aggressiva visione del
mondo le cui origini vanno cercate nel clima antagonistico che precedette la battaglia di Azio. Antonio era
stato un deciso sostenitore del gusto asiano (cfr. ad
esempio Suet., Aug. 86), al punto da assumere e ostentare nei suoi anni orientali uno stile di vita improntato
a dionisiaca dissipatezza (tryphe). Non c dubbio che il
severo classicismo e arcaismo soprattutto della prima et
augustea vadano anche intesi come una reazione allo
stile culturale di Antonio e dei suoi seguaci: della jeu-
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celebrati, tanto pi che la loro disputa col poeta Ipponatte li aveva addirittura consacrati sulla scena letteraria. Gi Attalo II di Pergamo (morto nel 138 a. C.) possedeva una delle loro opere, e Augusto ne fu, a quanto
pare, un grande estimatore: Plinio riferisce (Nat. hist.
XXXVI 13) addirittura che egli avrebbe fatto collocare
opere dei figli di Archermos in quasi tutti i suoi templi (in omnibus fere aedibus). E qui non si trattava
tanto di ammirazione per i due celebri maestri, quanto
di una pi generale simpatia, ampiamente documentata, per lo stile arcaico. Come giustificare questa predilezione per le forme arcaiche accanto a quelle classiche,
e malgrado la valutazione negativa che ne dava lestetica classicistica?
Il significato sacrale della forma arcaica.
Gi nel v secolo a. C. lo stile arcaico veniva utilizzato in certe funzioni religiose per il suo particolare
valore ieratico: un valore che non and perduto neanche durante lellenismo, quando le forme estreme dellarte tardo arcaica venivano apprezzate in chiave manieristica. Ancora in piena epoca imperiale le forme arcaiche possedevano, con ogni evidenza, una sorta di aureola religiosa: cos Pausania parla dellaspetto quasi
sacro di unantica statua di Ercole, peraltro insignificante da un punto di vista artistico (Paus., II 4,5). La
restaurazione religiosa augustea offriva a questi valori un
terreno particolarmente favorevole. Fin dai tempi di
Catone il Vecchio le antiche immagini di terracotta avevano goduto di una speciale venerazione, a cui corrispondeva un preciso equivalente letterario: secondo
Cicerone (De or. III 153) luso di espressioni arcaicizzanti conferisce al discorso un effetto grandioso e
solenne, mentre per Quintiliano gli arcaismi di Virgi-
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lio dnno alla sua lingua, come succede con le immagini, la dignit inimitabile, lauctoritas, dellantico (VIII
3,24 sg.). Lo stile arcaico, anche etrusco-italico, ha dunque connotati di natura essenzialmente sacrale. Cos per
Plinio il Vecchio persino le statue di terracotta etrusche
sarebbero sanctiora auro (Nat. hist. XXXV 157 sg.), ed
significativo che quasi tutte le creazioni arcaicizzanti
di epoca augustea siano immagini di culto: un tentativo
serio, bench finora poco studiato, di creare una nuova
iconografia religiosa.
Accanto a iconografie famigliari come quella di
Diana e dellAthena Promachos, o alle statue arcaicizzanti di Apollo, nacquero anche nuove immagini tagliate su misura per il programma personale del princeps. Tra
queste probabilmente anche la nota statua della Spes, raffigurata come una kore arcaicizzante e con un fiore in
mano: nume tutelare della fioritura e della crescita, riferito anzitutto ai principi della casa imperiale e poi, pi
in generale, alla giovinezza. In occasione della nascita di
Britannico, Claudio far coniare leffigie della Spes su
alcune monete.
Poteva capitare che anche le divinit pi antiche e
famigliari ricevessero una nuova veste arcaicizzante.
Cos una raffinatissima statua di Priapo trasforma lantica divinit fallica della fecondit secondo criteri di
decenza pi consoni alla nuova cultura. Accanto agli
attributi tradizionali la capra e i frutti di campo ne
compaiono ora di nuovi: i fanciullini nudi che si arrampicano su di lui reclamando la sua famosa virilit a favore della nuova politica demografica. Da frammenti di
altre statue sappiamo che Priapo guardava quei fanciullini con un volto sorridente, incorniciato da una barba
accuratissima e ricciuta e da una folta chioma pettinata
con eleganza.
La predilezione per larcaico non dunque una semplice moda estetica, ma nasce dalla pietas del program-
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ma culturale augusteo. E tuttavia, ci non significa affatto mettere fuori gioco il classicismo, poich larte classica conserv, come vedremo subito, il suo primato nella
rappresentazione della figura umana. I due valori antagonisti, la pietas e il classicismo, e i loro equivalenti formali, produssero perfino combinazioni stilistiche dove
le forme arcaiche vengono piegate in senso
classicheggiante e viceversa: la dimensione estetica e
quella religiosa dovevano fondersi in un nuovo stile pi
elevato, capace di esprimere compiutamente i valori
della nuova epoca.
Ne sono un buon esempio i pannelli protoaugustei
di terracotta del Palatino, di eccezionale conservazione.
A differenza di altre versioni pi antiche e puramente
arcaicizzanti di maniera tardoellenistica, i nuovi pannelli
dove raffigurata la lotta per il tripode e luccisione
di Medusa da parte di Perseo risultano ampiamente
debitori delle forme protoclassiche, mentre lelemento
arcaico si riduce alla rigidit ieratica delle figure e al
carattere araldico della composizione. Il nuovo stile,
nato da una sintesi a tavolino si distingue nettamente dagli arcaismi giocosi di epoca ellenistica, e se le
mescolanze stilistiche variano da caso a caso si pu dire
tuttavia che le opere arcaicizzanti di epoca augustea
sono sempre in qualche modo filtrate attraverso il linguaggio formale del classicismo. In qualche caso non
resta altro, di arcaico, che un vago simbolismo.
Le implicazioni morali della forma classica.
Lalta considerazione di cui larte classica godeva
allepoca di Augusto poggiava su criteri pi etici che
estetici, come risulta gi dal riuso sacrale degli originali classici nel tempio di Apollo. Con lestetica a orientamento classicistico del li secolo a. C. si era affermata
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Dionigi riprende qui chiaramente i giudizi dellestetica tardo ellenistica, secondo la quale la rappresentazione della figura umana e divina aveva raggiunto i suoi
vertici con Fidia e Policleto: ora per quei giudizi sono
di natura non pi estetica, ma etica. Si pu notare come
le tre qualit comuni a Isocrate, Fidia e Policleto vengano indicate con termini dal significato quasi identico,
dove laccento cade sempre su unidea di grandiosit
sacrale.
Almeno nella fase iniziale dellarte di Stato augustea
questi valori funzionarono come effettivi criteri di scelta. Abbiamo gi esaminato i ritratti classicheggianti di
Augusto e dei principi della casa imperiale. Ma anche le
statue degli imperatori e dei principi defunti richiamano
con insistenza, nelle loro parti nude, le proporzioni classiche e la maniera di Policleto. Ne un esempio molto
chiaro lo schema iconografico ideato probabilmente, in
un primo tempo, per la statua del Divus Iulius, con la
parte superiore del corpo scoperta e un drappeggio alla
maniera classica. Questa posa eroica fu poi utilizzata
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cate ai personaggi femminili della casa imperiale (spesso molto simili alle prime). Anche in questo caso vennero usati modelli classici, con una prevalenza per di
modelli pi recenti rispetto all0 stile severo e solenne del
primo classicismo: assume qui un rilievo importante
quella categoria di charis che Dionigi attribuiva, nella sua
analisi stilistica, a Lisia e Callimaco. Una bella statua di
epoca tiberiana mostra ad esempio una di queste divinit allegoriche con i tratti e lacconciatura di Livia. La
posizione pi flessuosa e la veste mossa e attillata nella
forma del cosiddetto stile ricco sono caratteristiche
tipiche della maniera callimachea della fine del v secolo a. C. Se le statue degli imperatori e dei principi esprimevano gravit e sublimit, queste divinit femminili
devono prodigare i loro doni (si noti la cornucopia) con
grazia e leggerezza: ma i tratti del volto devono far capire che la prosperit viene dalla casa imperiale. Il panegirico non potrebbe essere pi esplicito.
Conformemente alle dottrine dei maestri di retorica atticisti, la possibilit di combinare stili diversi ed
esemplari offriva poi agli artisti eclettici una risorsa di
notevole efficacia estetica. Abbiamo gi visto come uno
schema figurativo arcaico possa venire filtrato attraverso
il linguaggio formale del classicismo, ma anche lincantevole Diana Braschi della Gliptoteca di Monaco testimonia un procedimento non diverso. Qui per in questo esempio magistrale di ricreazione mitica augustea
prevalgono le forme mosse della maniera callimachea.
Se la leptotes e la charis sono particolarmente congeniali alla figura leggiadra e virginale della dea, lartista non
ne trascura tuttavia laspetto ieratico, avvalendosi anche
in questo caso di precise allusioni al linguaggio formale
dellarcaismo. Cos landatura impettita della dea (si
notino le ginocchia ravvicinate), la combinazione
emblematica con la piccola cerva, le trecce che ricadono rigide sui seni e la corona col fregio animale trafora-
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dargento un episodio dellepos omerico, gli artisti miravano a un linguaggio il pi possibile semplice e perspicuo e tale da evocare unatmosfera di sacralit.
Questi criteri valgono anche per le scene erotiche,
predilette gi dalla ceramica ellenistica. In contrasto
con limmediatezza sensuale di quei modelli, gli amanti
raffigurati sulle prime tazze aretine mostrano un contegno pi riservato, che la purezza dei contorni e la classicit delle proporzioni mettono in ulteriore evidenza.
Ancora un esempio, dunque, della nuova moralit, odi
come il formalismo ideologico possa rendersi autonomo,
al punto di prendere il sopravvento sul soggetto raffigurato.
La povert di contenuti drammatici, il simbolismo e
lastrattezza concettuale comportavano una singolare
apertura semantica delle immagini. Evocare associazioni significative che andassero oltre la scena raffigurata
era per gli artisti ancora pi importante di quanto non
lo fosse lidentificazione univoca delle singole figure, a
volte in effetti polivalenti, come nel caso della Pax sullAra Pacis.
Nella sfera privata questa concezione figurativa sembra sfociare non di rado in un aperto gioco enigmistico,
come s lambiguit di certe immagini fosse voluta dallartista per venire incontro ai gusti del suo pubblico. Ne
un esempio il celebre Vaso Portland. Perch mai lintagliatore non ha provvisto le sue figure di attributi
esplicativi? In realt, il vaso di vetro blu scuro illustra
in modo esemplare la peculiarit di questo stile narrativo: le due scene a tre figure sono composizioni perfettamente bilanciate, in cui quasi ogni figura cita un famoso schema iconografico dellarte greca. Le misteriose
immagini hanno ricevuto almeno una ventina di interpretazioni pi o meno originali, ma lacume ermeneutico non sembra ancora soddisfatto. Come spesso nellarte augustea abbiamo a che fare con due scene sim-
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rezza e la precisione delle forme, che appare cos accentuata nellornamentazione architettonica e dei cui connotati etici abbiamo parlato in precedenza.
Vos exemplaria Graeca nocturna versate manu,
versate diurna (Rigiratevi tra le mani i modelli greci
di giorno e di notte; Hor., Ars 268). Un lavoro assiduo
a paziente (labor e mora) il presupposto per padroneggiare larte greca. Chi non frequenta questi modelli col
massimo impegno e con lattenzione rivolta ai minimi
particolari non sar mai in grado di superarli, come si
legge anche in Dionigi. A dire il vero, era questo un
principio raccomandato da sempre nelle scuole, ma senza
grandi risultati: ora invece, e il fatto tanto pi sorprendente, gli scultori augustei se ne appropriano con
assoluta disinvoltura. Ogni foglia di acanto raffigurata
sui capitelli dei grandi edifici, ogni ciocca di capelli
testimonia la messa allopera di questo principio eticoartistico. Si parlato spesso, e con ragione, della precisione toreutica degli artisti augustei: non si erano mai
viste prima di allora delle copie cos esatte, cos rigorosamente fedeli degli originali greci. Ma non si tratta,
come capita a volte di leggere, di un semplice sviluppo
stilistico a partire dallarte cosiddetta neoattica del tardo
ellenismo. Il fenomeno implica piuttosto un cambiamento di mentalit, una vera metabole. Questa precisione e questo amore per i dettagli sarebbero cio
impensabili senza una identificazione dellartista con lo
spirito del tempo e col ruolo assegnatogli dal nuovo programma culturale.
Lenfasi della svolta culturale e del ritorno a moduli stilistici classico-arcaici dur poco e fu in un primo
tempo un fenomeno limitato alla citt di Roma, ma le
sue conseguenze per larte di epoca imperiale furono
ugualmente profonde. Naturalmente la tradizione artistica dellellenismo sopravvisse e conobbe anche, in certi
settori, momenti di rinascita, ma limmediatezza sen-
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occhi delle sfingi (copie di modelli classici) che decoravano le erme sulla scena dellOdeion, secondo il gusto
personale dellimperatore.
Gli Ateniesi dovevano per anche ricordarsi che la
cultura dei loro antenati aveva solide basi religiose. Proprio in mezzo allAgora, sullasse dellOdeion, venne
perci ricostruito un tempio dellet del Partenone, trasportato qui per loccasione dalla sua sede originaria in
una localit dellAttica. Anche in questo caso la forma
classica aveva il valore di un simbolo: il tempio era infatti dedicato ad Ares, dio della guerra. Gli Ateniesi sapevano dunque dove stava di casa, il dio, quando dedicarono una statua al figlio adottivo dellimperatore Gaio
Cesare in quanto nuovo Ares.
Le iniziative di Agrippa non rimasero isolate e anche
ad Atene si fin per parlare di restaurazione morale.
Uniscrizione, molto discussa (IG II 1035), testimonia
lesistenza di un programma per il restauro di ottanta (!)
templi in rovina in tutta lAttica: particolare, questo,
che fa pensare a una stretta connessione col programma
di Augusto nella citt di Roma. Negli stessi anni un
certo Giulio Nicanore, un siriano di cittadinanza romana, compr dagli Ateniesi lisola di Salamina e si fece
celebrare per questo come un nuovo Tucidide e un
nuovo Omero (ancora un vezzo classicheggiante). Era
uno scandalo che il luogo in cui i Persiani erano stati
sconfitti venisse a trovarsi nelle mani di uno straniero.
Lo stesso Augusto proib, per lavvenire, la vendita della
cittadinanza attica.
Tutto questo lasci tracce profonde nel modo di sentire generale. Nelle iscrizioni tornarono in uso gli antichi caratteri, la cosiddetta Agora romana fu decorata con elementi architettonici dellet di Peride, e perfino nel trasporto dei blocchi di marmo vennero usati,
in certe occasioni, cavicchi e ganci di foggia antica.
Atene non fu lunica citt dellOriente in cui la
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Capitolo settimo
Le nuove immagini e la vita privata
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Moda e lealismo.
In un primo tempo la ripresa e lutilizzo delle immagini politiche vale come segno di fedelt e dedizione
al regime. Esporre nel proprio atrium comera usanza
diffusa statue di Augusto e di altri membri della famiglia imperiale, significava professare anche in privato
unesplicita adesione al princeps. Il poeta Ovidio, esiliato sul Mar Nero, aveva certo motivi particolari per rendere omaggio alla famiglia di Augusto, se voleva sperare in un atto di grazia che gli consentisse di ritornare a
Roma. Ma il suo sacello privato, in cui figuravano busti
di Augusto, di Livia, dellerede al trono Tiberio e dei
principi Germanico e Druso Minore (proprio come nelle
gallerie pubbliche), non si distingueva dalle migliaia di
edicole domestiche davanti alle quali si offrivano sacrifici in occasione delle feste imperiali o di privati festeggiamenti (ex Ponto II 8,1 sgg.; IV 9,105 sgg.). Chi portava sul proprio anello leffigie dellimperatore o simboli
come il Capricorno, i rostri, i Parti in ginocchio e simili,
e usava quellanello come sigillo, si identificava col
nuovo Stato, come anche i proprietari delle tazze di
Boscoreale. La riproduzione su vasta scala di questi
oggetti in materiali da poco prezzo la pasta vitrea per
le gemme, la terracotta per il vasellame dargento fece
si che queste immagini trovassero una enorme diffusione. I simboli politici comparivano su tutti gli
oggetti di uso privato suscettibili di decorazione: sui
gioielli e le stoviglie, i mobili e gli utensili, i tessuti, le
pareti e i rivestimenti di stucco, sugli stipiti delle porte,
le lastre di terracotta, le tegole e perfino i monumenti
funerari e le urne cinerarie di marmo.
Naturalmente non possibile stabilire, caso per caso,
se lacquirente o il committente di quel certo oggetto
con quella immagine avesse in mente un messaggio politico preciso, o si limitasse ad accettare il modello offer-
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Volumnius A. F. Violens, scritto sullarchitrave dellurna come si trattasse del donatore di un tempio. Mentre i bucrani e le ghirlande del lato maggiore si ispirano
senzaltro a monumenti pubblici come lAra Pacis, sul
lato minore raffigurata una squisita scena di giardino.
Tra gli altri particolari assume uno speciale rilievo il
motivo delluccello intento ad abbeverarsi da un cratere: motivo che abbiamo gi incontrato nel programma
del saeculum aureum e anche come simbolo della Venus
Augusta. In questo caso, per, il quadretto idilliaco non
ha pi nulla a che fare con laulica pietas della nuova et,
ma va inteso come semplice allusione a una vita felice,
in un quadro di ricchezza e di raffinata cultura. La vita,
insomma, del defunto. Abbiamo allora un programma
composito: la scena di giardino si riferisce al suo status
sociale, i simboli della pietas alla sua privata devozione.
Poco per volta, sempre nuovi elementi del linguaggio politico vengono accolti in questi monumenti privati, rivolti alla ristretta cerchia famigliare: aquile, teste di
Ammone, Vittorie, armi, tripodi, cigni, sfingi e vari
simboli di fecondit compaiono allora come segni di
distinzione e di augurio in una cornice piuttosto vaga,
tale da abbracciare vivi e defunti a un tempo. Cos ad
esempio i tripodi, che vediamo raffigurati in forme sontuose, e spesso adorni di una fitta vegetazione rampicante, hanno certo poco a che fare con Apollo, e vanno
intesi piuttosto come simboli di pietas privata, come una
forma di decorazione funeraria a sfondo cultuale. Le
allusioni dirette alla morte sono invece estremamente
rare: perfino i rostri vengono incorporati in queste complesse macchine decorative come puri simboli di prestigio, e non certo per richiamare la battaglia di Azio, ma
perch la presenza dei rostra sui monumenti di Stato
aveva uninnegabile efficacia.
Come si vede, di fronte allo strapotere del linguaggio ufficiale non c pi posto per un mondo di imma-
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gini private: se il contenuto del messaggio fa riferimento a una sfera personale, committenti e scultori devono
per esprimerlo coi vocaboli propri dellideologia imperiale. Cos, il gruppo di Enea viene utilizzato sui monumenti funerari come simbolo di piet e di attaccamento alla famiglia, mentre la scena della Lupa con Romolo e Remo, emblema dellorgoglio romano, diventa sugli
altari funerari un puro segno di dedizione e di amore fra
congiunti.
Luso privato di immagini e segni propri dellarte di
Stato augustea raggiunse per il suo culmine solo nellet
dei Flavi: la privatizzazione fu lenta e graduale, a riprova ulteriore della diffusa efficacia di quel linguaggio.
Gusto e mentalit.
Ritorniamo ora, ancora una volta, agli inizi dellarte augustea, per vedere come lo spirito della nuova epoca
abbia fatto il suo ingresso nelle case private non solo
attraverso i nuovi temi figurativi, ma contribuendo,
insieme, a sviluppare un nuovo stile di decorazione per
gli ambienti interni. Si visto come allora negli anni
quaranta e negli anni trenta i Romani amassero lo stile
architettonico pi sfarzoso, con i suoi materiali pregiati e le sue raffigurazioni illusionistiche di porticati, giardini, grandiose.
Intorno agli anni trenta incominciano a diffondersi
forme sempre pi manieristiche, che senza rinunciare
allo sfarzo ne dnno tuttavia una versione singolarmente estraniata. Intellettuali conservatori come Vitruvio
portavoce forse di una parte consistente dellalta
societ romana condannano come senzaltro immorale questo sviluppo in senso antinaturalistico e antitradizionale, segno di una rapida evoluzione del gusto:
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Sugli intonaci si preferisce ora dipingere cose mostruose (monstra) anzich immagini fedeli al vero. In luogo delle
colonne si dipingono giunchi scanalati, e in luogo dei frontoni stucchi a foglie arricciate e volute, o candelabri che
sorreggono piccole edicole. In cima a queste crescono fiori
delicati i cui steli si svolgono dalle radici e su cui siedono
figurette senza senso. I gambi sono figure ibride, con teste
di uomini o di animali: cose che non sono, non possono essere, n furono mai (Vitr., VII 5,3).
Lallungamento manieristico delle colonne e lo sviluppo in senso fantastico della decorazione ebbero per
conseguenza se consideriamo queste pareti con uno
sguardo dinsieme un netto passo indietro rispetto al
lusso ostentato di forme e materiali che caratterizzava
le vecchie architetture dipinte. vero che, ad esempio,
le pitture parietali della Farnesina (circa 20 a. C.) esibiscono una ricchezza di particolari senza precedenti, ma
laccento cade ora sempre pi sugli aspetti ornamentali
della decorazione. Alle prospettive mosse e spezzate
subentrano superfici pi uniformi, dove lo sguardo
attratto da immagini e scene precise. Evoluzione stilistica e iconografica procedono dunque di pari passo e la
direzione sembra indicata anche qui dal nuovo sistema
di valori.
Ne una prova uno degli ambienti principali della
Casa di Augusto sul Palatino, nella parte finora riportata alla luce. La spiccata semplicit dellarticolazione
scenografica sottolinea lefficacia degli ampi scorci paesaggistici, ma ognuna delle tre scene appare dominata da
un misterioso oggetto di culto o votivo collocato in
primo piano. Il contenuto religioso della decorazione
denuncia qui con evidenza linflusso del committente.
La sensibilit estetica sembra reagire con sorprendente rapidit alla mutata situazione culturale. Se vero
che gli ambienti della Casa di Livia e della Casa di
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pareti di una villa a Boscotrecase (circa 1o a. C.), appartenente alla famiglia di Agrippa.
Le colonne e le prospettive architettoniche sono
diventate sottili ed eleganti strisce ornamentali, che
scandiscono lintera parete in riquadri perfettamente
equilibrati. Guardandoli da vicino si scopre per che
quelle colonne e asticciole filiformi sono decorate con
motivi ricchissimi e curiosi e che, nonostante la sottigliezza immateriale delle strutture, si tratta proprio di
cornici architettoniche, di colonne, pilastri e candelabri.
Se questo tipo di intelaiatura non senza precedenti nella tradizione manieristica, le grandi superfici monocrome su cui lo sguardo riposa rappresentano invece una
novit assoluta: la ricerca di chiarezza, di una netta articolazione dei vari elementi zoccolo, parete, motivi
ornamentali e figure e di una tonalit cromatica uniforme e pacata, il carattere distintivo del nuovo stile.
La rigogliosa e intricata ornamentazione di pochi
anni prima cede il passo alla miniatura, a un sottile disegno che si svolge sui riquadri monocromi come tracciato con una punta dargento: quasi a documentare la
rigorosa coerenza della nuova concezione. Molte cose
fanno pensare che i primi committenti appartenessero
alla cerchia dellimperatore: diversamente non sarebbe
facile spiegare lalto livello artistico e anche la rapida diffusione delle nuove creazioni, a cui gli ambienti di corte
fornirono una adeguata cassa di risonanza.
Linventore del terzo stile aveva in mente non
solo il nuovo gusto estetico, ma anche il nuovo sistema
di valori. Ne sono una prova le precise implicazioni
morali delle immagini, sottolineate dalla semplicit delle
pareti e dallordine formale dellinsieme. Sarebbe tuttavia sbagliato parlare di un programma vero e proprio:
diremo piuttosto che il nuovo clima politico si rispecchia
indirettamente in un mondo di valori estetici conforme
alla nuova sensibilit. Va da s che il nuovo apparato
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derni, la domanda che gli scultori si pongono, per contrasto, come anche i poeti della cerchia augustea.
Un piccolo rilievo conservato a Monaco non meno
pervaso di contenuti programmatici. Sembra uno scorcio disinvolto e affettuoso di vita quotidiana, eppure
non c un solo particolare che non contenga una precisa indicazione didascalica. Vediamo un vecchio contadino che va al mercato col suo vitello, ma a differenza di quei rilievi ellenistici in cui pescatori e contadini
apparivano affamati e abbrutiti, in un quadro distanziante e dalla forte connotazione negativa, qui lartista
non si stanca di sottolineare il benessere del suo contadino: la vacca ben nutrita e porta due grasse pecore
allacciate sul dorso, il vecchio ha una lepre sulle spalle
e tiene in mano un cesto pieno di frutta. E tutto ci non
merito del suo lavoro, bens della sua devozione religiosa. Lo sfondo, infatti, dominato anche qui da un
antico santuario: si vedono le mura e la porta del sacro
recinto, e davanti ad esso un altare con delle fiaccole e
un vaso rituale, mentre sullalto scorgiamo una piccola
cappella del dio Priapo. Al centro delledificio circolare, costruito in blocchi di marmo, sinnalza una specie
di obelisco cultuale su cui poggia il ventilabro dionisiaco, segno mistico di prosperit. Come se ci non bastasse, il vecchio albero nodoso, cresciuto per generazioni
attraverso la porta del tempio, dispiega miracolosamente proprio sopra gli oggetti del culto delle grandi, giovani foglie di quercia. Nel tempio in rovina si pu vedere unallusione ai desera sacraria (Prop., III 13,47), di cui
si curavano ormai solo i contadini e i pastori, rimasti
fedeli alla natura: prima, ovviamente, che arrivasse
Augusto. Uniconografia non meno complessa e carica
di quanto lo fossero i motivi bucolici presenti nella poesia augustea.
In qualche caso le decorazioni di interni contenevano allusioni dirette al nuovo mito dellet delloro, come
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negli stucchi sui soffitti della Farnesina. Uno dei rivestimenti svolge addirittura un regolare programma
con sacrifici campestri, una scena di iniziazione ai misteri dionisiaci della fecondit, allegorie mitologiche
(Fetonte), ma anche Vittorie alate con lo sguardo significativamente rivolto alle armi, e immagini del saeculum
aureum come terra. Come nei dipinti su parete vediamo
floride greggi sullo sfondo degli edifici dedicati al culto.
Ma in questo caso il quadro incorniciato da due grifi
e da due statue di Mercurio, i cui caducei molto grandi e tesi in gesto propiziatorio erano un simbolo universale di pace e prosperit. Alcuni interpreti moderni
hanno visto nelle teste delle due statue una allusione alla
fisionomia di Augusto: ed era forse proprio questa
lintenzione dei committenti e degli artisti.
Con i mobili e gli oggetti di uso comune, questo
insieme di pitture parietali, rilievi e rivestimenti di stucco forma un complesso senzaltro paragonabile allarte
napoleonica: lo Stile Impero nacque in poche botteghe
impegnate a lavorare per la Corte e gli ambienti ad essa
vicini, e il caso dellarte augustea non diverso. In
entrambe le situazioni la rapida diffusione del nuovo
stile fu resa possibile da una disposizione estetica che
rispecchiava a sua volta una nuova mentalit. A questo
fenomeno contribuirono fattori diversi e complessi, e il
mutamento del sistema politico fu solo uno tra gli altri.
Ma fu quello, in ogni caso, che coagul le tendenze gi
in atto, imprimendo ad esse una direzione pi precisa.
Mentalit e autorappresentazione.
Prima di concludere questo capitolo vorremmo dare
un breve sguardo ai monumenti funerari e ai molti ritratti marmorei anonimi della prima et imperiale: vedremo
allora come il mutamento del gusto e della mentalit
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abbia lasciato tracce profonde nellidentit di larghi strati della societ romana.
A Roma e nelle citt italiche lusanza di farsi costruire grandiosi monumenti funebri come la Tomba di
Cecilia o quella del fornaio Eurisace aveva perso terreno, e lo stesso vale per le innumerevoli tombe private dei liberti, che negli ultimi decenni della repubblica avevano preso parte al gioco dellantagonismo
sociale, facendosi raffigurare con le loro famiglie sul
margine delle strade. In luogo di quelle tombe individuali, che si imponevano quasi aggressivamente allosservatore, sorgevano ora sempre pi spesso tombe di
famiglia, chiuse dalla parte della strada e decorate solo
allinterno.
Per la vecchia aristocrazia e gli alti funzionari dell
amministrazione imperiale quei gesti di vanit autocelebrativa non avevano pi, almeno a Roma, alcun significato. Poich era il princeps a decidere sulle pubbliche
onorificenze e a stabilire a chi spettasse una statua nei
punti ancora liberi del Forum Augustum, la ricerca del
primato personale e della messinscena stravagante aveva
perso ogni interesse: gi Munazio Planco aveva fatto
costruire il suo poderoso mausoleo non pi a Roma ma
a Gaeta, e sia pure in una posizione molto in vista. Caio
Cestio, evidentemente meno sensibile al nuovo clima
politico ed estetico, fu uno degli ultimi a seguire la vecchia moda spettacolare con la sua grande piramide
davanti alla Porta Ostiense (11 d. C.). vero che anche
in seguito verranno costruite occasionalmente tombe
monumentali, ma si tratta allora, ed significativo, di
homines novi e non pi della vecchia aristocrazia.
Il nuovo gusto dellalta societ romana sembra orientato ormai, pi che sui grandi monumenti, su semplici
tombe di famiglia, dove il defunto era ricordato con un
semplice altare, mentre le urne cinerarie e i ritratti venivano sistemati in loculi relativamente modesti.
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Capitolo ottavo
La diffusione del mito imperiale
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tro allimperatore, di cui tutti avrebbero presto sperimentato la forza pacificatrice e ordinatrice, col linguaggio ben collaudato delle monarchie ellenistiche, ossia
con gli onori abituali per gli di olimpi (Phil., Leg.
149-51).
Ma sebbene le forme del nuovo culto imperiale fossero le stesse che le citt greche avevano riservato ad
Alessandro e ai re ellenistici, e poi a Roma e ai condottieri romani, tale culto rappresentava, per la sua diffusione e la sua intensit, qualcosa di completamente
nuovo. In precedenza il culto del sovrano era un fatto
sporadico, legato alliniziativa di singole citt e a occasioni particolari: ora invece il fenomeno pressoch
universale, e coinvolge, oltre alle citt libere, anche
le citt delle province e localit prive dello status cittadino. Il culto dellimperatore divent rapidamente la
forma di culto pi diffusa.
Naturalmente le forme e limpegno variavano da
citt a citt, secondo le disponibilit finanziarie dei personaggi che lo amministravano e limportanza o le ambizioni delle varie comunit. Il culto di Augusto poteva
essere associato a culti e feste di altre divinit, ma spesso si svolgeva in edifici appositi e di nuova costruzione:
Nelle vecchie e nelle nuove citt vennero costruiti per
lui templi, propilei, recinti sacri e porticati (Phil., Leg.
149-51). I nuovi luoghi di culto dedicati allimperatore
erano spesso pi grandi e monumentali di quelli dedicati
agli antichi di, ma non se ne distinguevano, di regola,
nellaspetto esterno. Si trattava di templi peripteri isolati, perlopi con portici perimetrali, o di templi a pianta circolare, di altari monumentali e simili. Il nuovo
tempio romano, caratterizzato dallalto podio, dal frontone massiccio e dallabbondanza della decorazione,
invece piuttosto raro in Oriente e si trova solo nelle citt
di pianta romana. Luso delle forme architettoniche a
loro famigliari sottolineava, agli occhi dei Greci, lo stret-
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mente i sacrifici venivano offerti per il sovrano agli antichi di, anche se in certe occasioni ci si rivolgeva direttamente a lui per ottenere benefici particolari. Nonostante la sontuosit dei rituali e degli edifici, anche
Augusto e i suoi successori non furono equiparati a
pieno titolo agli di olimpi, ai quali erano subordinati
come una potenza di rango inferiore ma profondamente radicata nella vita delle citt e dei singoli cittadini. Gli
storici delle religioni hanno spesso messo in dubbio la
qualit emotiva e religiosa del culto imperiale, interpretandolo come un rituale monotono di sottomissione e di
fedelt politica, ma si tratta di una valutazione su cui
pesa molto probabilmente lidea cristiana di religione
come fede.
In ogni caso, qualunque fossero i pensieri e i sentimenti dei Greci durante le cerimonie in onore di Augusto, un fatto che questi rituali erano accompagnati da
processioni, pubblici banchetti e giochi in grande stile.
Le feste dellimperatore segnavano i punti alti del calendario, e offrivano ai cittadini lopportunit di una vera
esperienza comunitaria. Era un piacere assistere allafflusso di pellegrini dalle citt vicine, ai traffici delle
fiere, alle sfarzose ambascerie venute da lontano: erano
giorni in cui la vita mostrava, anche ai pi poveri, il suo
lato migliore. Le cerimonie offerte allimperatore, che
risiedeva nella lontana Roma, lusingavano lorgoglio
civico e offrivano ai pi ricchi una buona occasione per
mettersi in mostra e fare sfoggio della propria munificenza verso Augusto e i loro stessi concittadini.
Ma poi, per tutto lanno, lo scenario architettonico
in cui si svolgeva la vita quotidiana continuava a ricordare limperatore. Dappertutto si incontravano le sue
statue e i suoi ritratti, e come se non bastasse cerano le
monete: quasi tutte le citt battevano moneta con la sua
effigie. Questa forma di omaggio al nuovo padrone del
mondo era a sua volta senza precedenti, anche se le
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tra entra in scena limperatore stesso come figura mitica: ad esempio, lo vediamo sottomettere la Britannia
nelle vesti di un nuovo Achille, in una scena che utilizza il noto schema iconografico del gruppo di Achille e
Pentesilea. Numerosi rilievi lo mostrano nelle vesti del
Vincitore, circondato da divinit e figure allegoriche, e
qui limperatore appare nudo o con la corazza, conformemente agli schemi iconografici usuali nella parte occidentale dellimpero. Anche il Genius Senatus, il Genius
Populi Romani e varie altre personificazioni allegoriche
rispettano la consueta tipologia dellarte romana. Cos,
ad esempio, la divinit femminile da cui Nerone viene
incoronato corrisponde non solo, nel suo classico schema iconografico, alle nuove divinit politiche di
Roma, ma porta anche, come queste ultime, la pettinatura e i tratti di unimperatrice, e precisamente di Agrippina Minor, moglie di Claudio e madre di Nerone.
Nel loro omaggio allimperatore, Oriente e Occidente utilizzano insomma fin dallinizio le stesse formule, e le figure simboliche e allegoriche del mito imperiale vengono esportate senza difficolt, fondendosi
almeno in parte con le antiche figure del mito greco.
Anche nei ritratti dellimperatore e degli altri membri della casa imperiale ci si attiene perlopi e a volte
con molta precisione ai modelli romani. Esistono,
vero, alcune efficaci trasposizioni di quei modelli nel linguaggio formale patetico dellarte ellenistica e alcuni
esempi in cui il modello offerto direttamente dal ritratto di un sovrano ellenistico, ma sono casi rari. Perch questa imitazione pedissequa delliconografia romana? Non cerano pi artisti di cui il nuovo sovrano
potesse ispirare la fantasia creativa? Oppure, semplicemente, si cercava di riprodurre i suoi tratti autentici, cos come tutti li conoscevano dalle numerose statue e dalleffigie delle monete?
Una conseguenza del fenomeno fu, in ogni caso,
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quella di imporre unimmagine standard dellimperatore e della sua famiglia. Quei ritratti si offrivano come
un modello a cui rifarsi anche nel modo di vestire e nel
taglio dei capelli, tanto che, a partire dallet di Augusto, anche in Oriente le acconciature di moda sono quelle degli imperatori, delle principesse e dei principi di
casa imperiale: un altro passo avanti verso la formazione di una cultura unitaria.
Le citt fanno a gara nel culto dellimperatore.
Il culto dellimperatore e gli onori resi alla sua persona si diffusero con rapidit ma in modo affatto spontaneo. Augusto e i suoi immediati collaboratori presero
direttamente liniziativa solo in pochi casi, come quello
degli altari provinciali per Roma e Augusto, fatti costruire nelle Gallie (a Lione) e in Germania (a Colonia), allo
scopo di stabilire un legame duraturo tra i ceti dirigenti di quei popoli da poco sottomessi e la casa imperiale.
In genere, per, Augusto amava la riservatezza, e soprattutto ai cittadini romani non si stancava di ripetere che
limperatore era un comune mortale e che gli onori divini andavano riservati agli di: cosi richiedeva il nuovo
stile del principato.
Ma quando, nellinverno fra il 30 e il 29 a. C., le
assemblee provinciali della Bitinia e dellAsia ottennero dallo stesso Augusto lautorizzazione a tributargli un
culto divino e sia pure a condizione di estenderlo
anche alla dea Roma e di non qualificare esplicitamente limperatore come dio , da quel momento non vi
furono pi freni. Anche in questo caso i ruoli erano
comunque ben ripartiti: i sudditi esprimevano con gli
atti di culto la loro fedelt al regime, mentre limperatore fungeva da moderatore, cercando di limitare gli
onori eccessivi o addirittura rinunciandovi.
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te eseguito. Il Senato procede insomma, in questa circostanza, come aveva fatto un tempo la citt di Mitilene, ma in forma assai pi sistematica, e si pu immaginare che i suggerimenti celebrativi di Roma siano
stati accolti nelle citt dellimpero come un invito e un
dovere. Ovunque furono eretti archi e statue in onore
di Germanico, cos come ventanni prima erano stati
dedicati altari e culti ai principi Gaio e Lucio, prematuramente scomparsi. E anche allora era stato il Senato
romano a dare lesempio.
Il culto imperiale in Occidente.
Nelle citt romane dOccidente ladesione al nuovo
regime e il desiderio di prender parte alla costruzione del
saeculum aureum erano, se mai, ancora pi forti, visto
che si trattava del loro Stato. La fine sospirata delle
guerre civili fu un motivo di sollievo per tutti, ricchi e
poveri, schiavi, liberti, notabili delle citt. Con la sola
eccezione dellaristocrazia romana non cera pi nessuno che rimpiangesse la vecchia repubblica, ed possibile che qualcuno abbia visto in quella svolta storica una
specie di miracolo. Quando ad esempio i cittadini di
Palestrina passavano accanto agli altari della Securitas e
della Pax, offerti insieme dai decuriones (il senato cittadino) e dal populus, o guardavano la fontana coi simboli della Pace, non si trattava affatto, per loro, di anonime opere darte. E anche la generazione successiva non
avr avuto difficolt a capire per quale motivo, dopo la
morte di Augusto, fu dedicato allimperatore divinizzato ancora un terzo altare in cui il suo ritratto appariva
in mezzo a due cornucopie.
Il movimento di riforma religiosa si era diffuso rapidamente alle citt romane, dove incontriamo molteplici iniziative volte a rinnovare gli antichi templi e le
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templi dedicati al culto imperiale furono le prime costruzioni in marmo in assoluto. E mentre a Pompei una
parte dei nuovi edifici costruiti sul Foro non poteva
imporsi alla vista a causa dei porticati antistanti, in altre
citt, dove queste costruzioni non esistevano, i nuovi
templi furono edificati in punti di grande effetto scenografico. A Ostia, per esempio, il tempio marmoreo di
Roma ed Augusto rivaleggiava col vecchio Campidoglio
e lo superava, anzi, di gran lunga per il suo apparato
ornamentale. Sullantico Foro di Leptis Magna il tempio dedicato al culto dellimperatore spiccava per le sue
dimensioni fra numerosi altri edifici sacri. Lo stesso
vale per Terracina, e anche a Pola il tempio di Augusto
dominava il Foro insieme a un secondo tempio.
A differenza di quelli pi antichi, i nuovi templi
erano in genere di marmo, o almeno rivestiti di marmo.
Come anche a Roma esso aveva qui un preciso valore
Ostia, il Foro agli inizi dellet imperiale. Il nuovo tempio per il culto dellimperatore, rivestito di marmo, domina la piazza, eclissando in
parte il vecchio Capitolium.
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costruire un tempio a Pozzuoli voglia precisare, nelliscrizione dedicatoria, di averlo offerto cum ornamentis,
ha dunque un significato non casuale, visto che la decorazione era la parte pi costosa del tempio. Gli ornamenta comprendevano infatti anche i fregi e i rilievi del
frontone e, insomma, tutto larredo del tempio, incluso
lo stesso altare.
Lo spazio per le immagini non mancava. Ma come
gi nel caso della decorazione architettonica vera e propria, non troviamo, fuori Roma, un repertorio iconografico autonomo: lo sguardo era rivolto alla capitale e
non c e quasi motivo che non sia ripreso dal nuovo linguaggio coniato nei templi romani. Se mai, la necessit
di scegliere e di semplificare i modelli di partenza ebbe
leffetto di rendere ancora pi immediato, nelle citt di
provincia, quel linguaggio. I motivi di maggiore successo furono comunque i fregi a girali di acanto, gli oggetti liturgici, le foglie di alloro e di quercia, le armi. Lo
testimoniano i frammenti conservati nei musei e nei
lapidari di quasi tutte le citt romane dOccidente; e si
tratta sempre, con poche eccezioni, di oggetti della
prima et imperiale.
Il significato proprio di questi segni era, almeno agli
inizi della nuova epoca, ovunque comprensibile. Anche
un osservatore analfabeta non aveva difficolt ad afferrare i messaggi onnipresenti che gli parlavano attraverso la combinazione dei vari segui. Prendiamo ad esempio la statua femminile a busto scoperto ritrovata sul
Foro di Cuma; essa tiene un neonato in braccio ed
seduta su una roccia completamente ricoperta di tralci.
Come sullAra Pacis, anche qui le volute partono da un
largo cespo di acanto, e deve trattarsi in effetti della
stessa figura che compare sullAra Pacis nel rilievo della
Pax. In entrambi i casi abbiamo a che fare con unimmagine di fecondit, intesa come allusione alla nuova et
felice, ma qui lipotesi rafforzata da uniscrizione dedi-
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catoria: Cn. Lucceius, membro di una delle prime famiglie di Cuma, ha offerto la statua ad Apollo, dio della
nuova et (Apollini sacrum). Poich di questo tipo statuario esistono molte repliche, si pu supporre che loriginale forse un capolavoro di epoca classica si trovasse a Roma.
Esempi di imitazioni simili a questa si trovano in
molte citt dellItalia e delle province occidentali, ma
come nel caso dei ritratti della famiglia imperiale, anche
qui non sappiamo quali canali segui effettivamente la
loro diffusione. probabile per che i committenti e le
botteghe abbiano avuto entrambi la loro parte: i notabili delle citt conoscevano in parte personalmente i
monumenti romani e potevano avere loccasione di ordinare decorazioni architettoniche e ritratti direttamente
nelle botteghe della capitale, ma la diffusa richiesta di
quei motivi stereotipi avr indotto le botteghe locali a
imitare quel repertorio e a farlo proprio.
Naturalmente non mancavano le variazioni sul tema.
Su una copia del rilievo della Pax proveniente da Cartagine, la parte centrale della composizione ripresa
fedelmente, mentre le due Aurae sono sostituite da figure pi concrete, probabilmente perch si trattava di
motivi troppo colti. Nel mare vediamo ora tuffarsi un
tritone, mentre sulla terra ricca di frutti vediamo una
divinit femminile con due fiaccole: forse Diana lucifera, che abbiamo gi visto associata ai temi della fecondit e della nascita.
Sempre a Cartagine, il liberto P. Perellio Edulo istitu un culto per la gens Augusta presieduto da lui stesso
in qualit di sacerdos perpetuus. Il grande altare marmoreo presenta su tre lati (il quarto mostra lo stesso Edulo
nelle vesti di sacrificante) un compendio dei principali
motivi delliconografia ufficiale romana: Enea in fuga,
Apollo col tripode e la dea Roma su un cumulo di armi
come sullAra Pacis. Particolare attenzione merita il rilie-
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nelle altre citt i ricchi liberti sfruttarono il culto imperiale per accrescere il proprio prestigio: bench esclusi
dalle magistrature cittadine gli homines novi aspiravano
pi di oggi altro ceto a un riconoscimento sociale e colsero loccasione al volo. E anzi probabile che questi personaggi, spesso di origine orientale, siano stati in qualche
caso i primi a istituire culti in onore di Augusto, obbligando in questo modo lalta societ locale a comportarsi
di conseguenza e a prendere le dovute iniziative.
Un esempio istruttivo ci viene dagli scavi di Tivoli,
dove il liberto M. Vareno, che ricopriva la carica di
magister Herculeus, fece costruire sul Foro a proprie
spese un piccolo sacrario o esedra con una statua di
culto, e precisamente in occasione del ritorno dellimperatore, come leggiamo sulliscrizione dedicatoria: pro
salute et reditu Caesaris Augusti. Si trattava del ritorno di Augusto dai viaggi del 19 o del 13 a. C. In quelloccasione infatti il Senato e il popolo avevano eretto i
famosi altari della Fortuna Redux e della Pax Augusta, il
cui esempio come quello degli honores decretati pi
tardi ai principi Gaio e Lucio ebbe largo seguito. Nellabside del piccolo edificio si conservata un ampia
base su cui fu ritrovata una statua di buona fattura nel
noto schema iconografico di Giove seduto. Purtroppo la
testa mancante, ma il luogo del ritrovamento e lo stile
autorizzano lipotesi che si trattasse della statua di
Augusto offerta da Vareno.
Il liberto celebra dunque il suo sovrano nelle vesti
ormai consuete del padrone del mondo e dedicandogli
anche un culto privato, cos come aveva fatto pi o
meno negli stessi anni Erode a Cesarea, ovviamente in
grande stile. La statua in aperto contrasto collimmagine del pio sacrificante con cui Augusto amava allora
identificarsi, ma Vareno agisce di sua iniziativa e non
sembra, del resto, che il princeps e i suoi successori avessero molto da obiettare contro questa iconografia cos
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posto, come a Roma, secondo un rigoroso criterio gerarchico, che faceva della cavea uno specchio dellordinamento sociale. I primi posti erano destinati ai funzionari locali, ai sacerdoti e ai decuriones, mentre alcuni posti erano riservati a eventuali senatori di passaggio
(una precisa ordinanza disponeva che venissero lasciati
sempre liberi). Un parapetto separava le file di posti
intermedi, destinate alla plebs, da quelli dellalta societ:
a Pompei il settore popolare comprendeva venti file
ed probabile che in molte citt questa zona del teatro
fosse ancora suddivisa in settori pi specifici. Le donne,
i non Romani e gli schiavi, che occupavano lultimo gradino della scala sociale, sedevano in fondo. Qui, in corrispondenza dellultimo settore della cavea, i fratelli
Olconii avevano costruito a Pompei un corridoio coperto (crypta), contenente alcune file di posti aggiuntive e
molto ravvicinate fra loro. Non si trattava di una misura edilizia casuale o rispondente a una pura necessit
logistica: se infatti la politica sociale di Augusto mirava
a una netta distinzione tra i vari ceti, era anche suo precipuo interesse coinvolgere i gruppi pi marginali, e
questo non solo nel quadro del culto imperiale ma anche
nei giochi e nelle celebrazioni festive.
Naturalmente il princeps non poteva essere presente
di persona come a Roma. Invalse pertanto luso, gi in
et augustea, di collocare delle statue sue e dei suoi
famigliari sulla parete adorna di colonne dietro il palcoscenico (scaenae frons), l dove il pubblico era abituato
a vedere le Muse, gli di e i capolavori dellarte greca.
Nelliscrizione dedicatoria del teatro di Pompei i
fratelli Olconii fanno riferimento anche unaltra innovazione, i tribunalia: sopra i corridoi laterali di accesso
allorchestra, dalla volta a botte, vennero ricavate delle
file di posti per i funzionari che presiedevano ai giochi,
e furono proprio questi posti laterali a conferire unimpronta decisamente romana al teatro ellenistico di Pom-
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pei. Limportanza di questo settore architettonico risulta dal fatto che le iscrizioni dei donatori si trovavano
proprio nei tribunalia (si veda lesempio di Leptis
Magna). Su questi posti sopraelevati i magistrati si presentavano alla cittadinanza come statue vive sui loro
archi monumentali. Anche il potere locale dunque si
metteva in scena, e sia pure in doveroso secondo piano
rispetto alle statue imperiali della scaenae frons.
Il teatro augusteo non era un luogo in cui si potesse
dimenticare la politica per abbandonarsi semplicemente al piacere dionisiaco dello spettacolo. Non siamo in
grado di affermare se anche fuori Roma gli spettatori
dovessero portare la toga, ma anche qui, in ogni caso,
statue e immagini proponevano il clima solenne della
nuova era. Ovunque si vedevano altari, tempietti, Vittorie, fregi con armi e girali dacanto e cosi via. A Roma,
figure di barbari incatenati decoravano a volte perfino
il sipario. Anche al culto imperiale si faceva non di rado
allusione in maniera pi o meno discreta: cos ad esempio nel tempietto collocato sopra la cavea del teatro di
Leptis Magna cera una statua di Ceres Augusta coi tratti e lacconciatura di Livia, e dal teatro di Arles provengono non meno di tre altari, tra cui quello celebre
con i cigni di Apollo.
Nel caso dei teatri o di altri edifici pubblici come le
basiliche o le terme, i committenti e gli architetti progettavano fin dallinizio e di comune accordo anche lapparato decorativo, mentre le pubbliche piazze, e soprattutto i fori, si arricchivano poco per volta di statue e altri
monumenti. Anche in mancanza di un piano unitario,
tuttavia, laspetto complessivo dei fori di et augustea
ha qualcosa di inconfondibile, che lo distingue nettamente dalle piazze repubblicane.
Ancora una volta lesempio pi suggestivo quello
di Pompei. Il foro di et repubblicana era caratterizzato da monumenti di dimensioni molto omogenee, come
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tr invece sugli aspetti pi legati alla persona del sovrano o a singoli punti programmatici ai quali anche 1
Oriente poteva essere sensibile, come il rinnovamento
religioso o, in determinate citt (per esempio Atene), il
nuovo classicismo.
Sia in Oriente che in Occidente furono le grandi
famiglie cittadine a sostenere con maggior energia il
culto imperiale e a trarne i maggiori benefici. Ma occorre aggiungere che in Italia il possesso della cittadinanza
romana costituiva un elemento differenziale, che permetteva di identificarsi in modo pi diretto col programma di rinnovamento augusteo. Il culto imperiale e
la trasmissione dei nuovi valori, soprattutto per quanto
riguarda la ristrutturazione urbanistica delle citt, vanno
qui dunque di pari passo, in un clima di pieno consenso ideologico. I templi e i teatri, gli acquedotti e le porte
cittadine costruite in quegli anni conferirono alle citt
dellOccidente quella fisionomia tipicamente romana
che anche in futuro non avrebbe pi subito mutamenti
sostanziali.
Le non molte formule in cui si esprimeva il mito
imperiale subirono inevitabili semplificazioni, nel contenuto come nello stile, e se queste, da un lato, potevano ridurlo e banalizzarlo, dallaltro ebbero per leffetto di rafforzarne il potere comunicativo. I preziosismi e le raffinate allusioni, le finezze genealogiche e le
combinazioni arcaicizzanti o classicheggianti non ebbero, al di fuori di Roma, quasi alcun seguito. Ma anche
nella stessa Roma lo sviluppo delle forme artistiche non
procedeva certo nella direzione dellarricchimento e
della preziosit: la forma semplificata in cui le citt
romane recepiscono il nuovo linguaggio dellarte augustea si dimostr anzi cos efficace da potersi imporre, col
tempo, anche nella capitale.
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Conclusione
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amore e di dolore con le figure del mito, o per celebrare invece il coraggio, la bellezza, la virtus dei defunti.
Come il mito imperiale, anche questa ideologia della
cultura raggiunse tutti i ceti e tutti gli ambiti della vita
privata e sociale, fino a fondersi con i valori e le aspirazioni pi radicate e diffuse.
Non si tratta peraltro di un sistema rigido, il linguaggio visivo dellet imperiale appare suscettibile di
ampliamenti e accentuazioni diverse: cos ad esempio le
qualit militari dellimperatore e la forza dellesercito
svolgono col passare del tempo un ruolo crescente, mentre limmagine borghese del princeps tende a scivolare
sullo sfondo. Ma pi che di novit vere e proprie si tratta in gran parte di semplificazioni, di sviluppi o accentuazioni quantitative: i rituali e le scenografie architettoniche legate al culto o alle feste dellimperatore diventano via via pi sontuosi e insieme pi uniformi; sui rilievi funerari i valori raffigurati in via allegorica vengono
sottolineati con pi forza e riferiti pi direttamente al
defunto, mentre (a partire dagli ultimi decenni del ii
secolo a. C.) il racconto mitologico, liconografia classica e lo stile classicheggiante perdono poco per volta terreno. Nei primi due secoli dopo Augusto, tuttavia, le
linee portanti del sistema rimangono nel complesso
immutate, perch il potere stabile e, con esso, lintera articolazione della societ.
In questo stato di cose le innovazioni potevano venire solo dallalto e potevano diffondersi, di regola, solo
a partire da Roma. Naturalmente nessuno impediva a
singoli gruppi, per esempio una scuola filosofica, di
diffondere nuove immagini, ma per imporsi realmente
e ottenere un effettivo successo era comunque necessaria una consacrazione da parte della casa imperiale e
dellalta societ romana.
Se la situazione non sfoci in un generale livellamento di stampo moderno, lo si deve a quei caratteri di
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questo caso un regresso. Abbiamo invece una florida cultura fatta di imitazioni, compilazioni e virtuosismi. Le
sole novit effettive ed importanti nei primi due secoli
dopo Augusto si hanno l dove il potere entra in scena
come tale: nel campo cio delle iniziative economiche e
delle imprese militari, ma soprattutto nellorganizzazione delle masse urbane, con tutti i problemi relativi allapprovvigionamento alimentare e al tempo libero, e qui
larchitettura e lurbanistica sono in primo piano. Ma
sarebbe largomento di un nuovo libro.
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Note
Introduzione
Cfr. H. Jucker, Das Verhltnis der Rmer zur bildenden Kunst der
Griechen, Frankfurt am Main 1950; O. J. Brendel, Prolegomena to the
Study of Roman Art (1953), New Haven - London 1979; R. Bianchi
Bandinelli, Roma. Larte romana nel centro del potere, Milano 1969; P.
A. Brunt, Social Conflicts in the Roman Republic, London 1971; E.
Gabba, Esercito e societ nella tarda repubblica romana, Firenze 1973;
C. Nicolet, Le mtier de citoyen dans la Rome rpublicaine, Paris 1976;
K. Christ, Krise und Untergang der rmischen Republik, Darmstdt 1979;
Ch. Meier, Res publica amissa, Frankfurt am Main 1980; G. Alfldi,
Rmische Sozialgeschichte, Wiesbaden 1984. Cfr. anche E. Rawson,
Intellectual Life in the Late Republic, London 1985; E. Gruen, The Hellenistic World and the Coming of Rome, Berkeley 1984, voll. I e II. Sul
processo di ellenizzazione, cfr. anche P. Veyne, The Hellenisation of
Rome and the question of acculturation, in Diogenes, cvi, pp. 1-27;
A. Giardina e A. Schiavone (a cura di), Modelli etici, diritto e trasformazioni sociali, Bari 1981, in particolare i contributi di G. Clemente
e A. La Penna.
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II.
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III.
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IV.
1. pietas.
Cfr. K. Latte, Rmische Religionsgeschichte, Mnchen 1967, pp.
294 sgg.; Kienast, pp. 185 sgg.; A. D. Nock, Religious Development
from the Close of the Republic to the Death of Nero, in Cambridge
Ancient History, Cambridge 934, vol. X, pp. 465 sgg.; J. A. North,
Conservation and change in Roman religion, BSR, xliv (1976), pp. 1-12;
G. Liebeschtz, Continuity and Change in Roman Religion, Oxford
1979. Su Varrone cfr. RE, supplemento vi (1935), coll. 1172 sg. (H.
Dahlmann).
Aurea Templa.
Cfr. Gros, Aurea Templa. Sulla fortuna del marmo nelledilizia
romana e sullo sfruttamento intensivo delle cave di Luni, cfr. H. Cain,
Rmische Marmorkandelaber cit., pp. 9 sgg.; D. e F. Kleiner, in AA
(1975), pp. 250 sgg.
Sulla cosiddetta Ara Pietatis, cfr. Torelli, p. 63 sgg.; G. Koeppel, in
BJb, clxxxiii (1983), pp. 98-116.
Sulliconografia cfr. J. A. North, Sacrifical scenes in Roman reliefs,
in Acta XI Intern. Congr. Class. Arch. (1978), pp. 273 sg.
Sulla cerchia dei poeti, cfr. J. Griffin, Augustus and the Poets: Caesar qui cogere possit, in F. Millar e E. Segall (a cura di), Caesar Augustus, Seven Aspects, Oxford 1984, pp. 189-218.
Sui singoli luoghi di culto, cfr. la bibliografia riportata in PlatnerAshby e Nesh.
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338
2. publica magnificentia.
Per la bibliografia sulla politica economica di Augusto, cfr. Kienast,
p. 311; M. Torelli, in Katalog Berlin, pp. 23-48.
Sulla Porticus Liviae, cfr. M. Boudreau Flory, in Historia, xxxiii
(1984), pp. 309 sgg.; P. Zanker, in aa.vv., Urbs. Espace urbain et histoire, Roma 1987.
Su Vedio Pollione, cfr. R. Syme, in JRS, li (1961), pp. 23-30.
Ville per il popolo.
Sui monumenta Agrippae, cfr. RE A 9 (1961), coll. 1226 sg., s. v.
Vipsanius (R. Hanslik); Roddaz, Marcus Agrippa cit., pp. 231 sgg.
Sullapprovvigionamento idrico, cfr. W. Eck, in aa.vv., Frontinus,
Wassewersorgung im antiken Rom, Mnchen 1983, pp. 47-77 (anche
sugli impianti per uso privato).
Sul Pantheon cfr. F. Coarelli, in aa.vv., Citt e architettura nella
Roma imperiale, Roma 1983, pp. 41-46.
Sul gruppi pedagogici, cfr. M. Bieber, Sculpture of the Hellenistic
Age, 1981, p. 135, fig. 628; HBr, pp. 109 sgg., tav. 82.
Sugli Horrea Agrippiana, cfr. Kienast, pp. 166 sgg.; H. Bauer e altri,
ACl, xxx (1978), pp. 31 sgg.; G. Rickmann, The Corn Supply of Ancient
Rome, Oxford 1980, pp. 6o sgg., 179 sgg.
339
340
3. mores maiorum.
La riforma dei costumi.
Cfr. A. Wallace-Hadrill, in Proceedings of the Cambridge Philological Society, xxvii (1981), pp. 58-8o; D. Norr, in aa.vv., Freiheit
und Sachzwang. Festschrift H. Schelsky, Opladen 1977, pp. 309-34;
Kienast, p. 137.
Sulle phalerae in vetro cfr. A. Alfldi, in Ur-Schweiz, xxi
(1957), pp. 8o sgg.; H. Jucker, in Schweizer Mnzbltter, xxv
(1975), pp. 50 sgg.; si veda anche lo studio di D. Boschung, Rmische
Glosphalerae, in BJb, vol. 187 (1987), pp. 193-258.
Il princeps come modello.
SullAra Pacis e laltare dei dodici di, cfr. H. Thompson, in Hesperia, xxi (1952), pp. 79 sgg.; A. Borbein, in JdI, xc (1975), p. 246
(con illustrazione).
SullAra Fortunae Reducis, cfr. Torelli, pp. 28 sg. Cfr. anche i frammenti di un altro altare marmoreo augusteo conservati a Villa Borghese: G. Moretti, Ara Pacis Augustae, Roma 1948, pp. 190 sg.
Sui conii monetari, cfr. M. Fullerton, in AJA, vol. 89 (1985), pp.
473-83; Kienast, p. 324.
Sulliscrizione di C. Naevius Surdinus, cfr. Coarelli, Foro II, pp. 211
sgg. Sulle statue di barbari nella Basilica Aemilia, cfr. Schneider, pp.
117 sgg.
Per il teatro di Balbo, cfr. G. Gatti, in MEFRA, xci (1979), p. 237
sgg.; D. Manacorda, Archeologia urbana a Roma. Il progetto della cripta Balbi, 1982.
Sul terzo tipo ritrattistico di Augusto cfr. Fittschen-Zanker I, n. 8.
341
V.
Sui ludi saeculares, cfr. CIL VI n. 32323; Th. Mommsen, Gesammelte Schriften, Berlin 1913, vol. VIII, pp. 567-626. Cfr. anche Helbig III, n. 2400 (H. G. Kolbe); A. Wallace-Hadrill, The Golden Age
and Sin in Augustan ideology, in Past and Present, xcv (1982), pp.
19-36; Kienast, pp. 99-187.
Sul gruppo statuario del tempio di Apollo cfr. p. 256. La Sibilla compare sulla Base di Sorrento: cfr. G. E. Rizzo in BullComm, lx (1932),
pp. 7 sgg.; M. Guarducci, in RM, lxxviii (1971), pp. 90 sgg.; T.
Hlscher, in Katalog Berlin, p. 375.
A proposito della moneta della fig. 134, cfr. un rilievo arcaicizzante
coevo raffigurante il sacrificio di un maiale: cfr. F. Willemsen, AM,
vol. 76 (1961), pp. 209 sgg., tav. daggiunta 93.
Fecondit e pienezza.
Sul cosiddetto rilievo della Tellus, cfr. Simon, Ara Pacis cit., p. 25.
Per lidentificazione della figura come Pax, cfr. Torelli, pp. 38 sgg.; cfr.
anche ad esempio Tibullo I 10, 67 sg. o Germanico, Arat. 96 sgg.; S.
Settis, in Katalog Berlin, pp. 400-26.
Sulla cosiddetta Ara Grimani e il rilievo di Palestrina, cfr. V. M. Strocka, in Antike Plastik, iv (1965), p. 87, tavv. 53 sgg.; F. Zevi, in
Prospettiva, vii (1976), pp. 38-41; A. Giuliano, in Xenia, ix (1985),
pp. 41-46. Una datazione augustea mi sembra senzaltro possibile.
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VI.
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Moda e lealismo.
Per quanto riguarda i ritratti dei personaggi della casa imperiale
esposti nellatrium delle abitazioni private, uno dei primi esempi il
ritratto di Marcello proveniente dalla Casa del Citarista di Pompei: cfr.
Fittschen-Zanker I, n. 19 e inoltre Neudekker, Die Skulpturenausstattung cit.
Sulle pietre intagliate, cfr. M. L. Vollenweider, Die Steinschneidekunst und ihre Knstler in sptrepublikanischer und augusteischer Zeit,
Baden Baden 1966. Sulle paste vitree con ritratti augustei stanno lavorando attualmente C. Maderna e R. M. Schneider sotto la guida di T.
Hlscher. Cfr. intanto i volumi della serie Antike Gemmen in deutschen
Sammlungen, 1968 sgg. (con ulteriore bibliografia).
Per le gemme intagliate, cfr. P. Zazoff, Die antiken Gemmen,
Mnchen 1983; E. Zwierlein-Diehl, in Klner Jahrbcher fr Vorund Frhgeschichte, xvii (1980), pp. 12-53. Cfr. anche in questo volume la bibliografia alla p. 245.
Sullargenteria augustea, cfr. Pernice e Winter, Der Hildesheimer
Siberfund cit.; Gehrig, Hildesheimer Silberfund cit. Sullargenteria
augustea in generale cfr. D. E. Strong, Greek and Roman Silver Plate,
London 1966; E. Kunzl, in BJb, clxix (1969), pp. 321 sgg.; Id., in
Jahrbuch des Rmisch-Germanischen Zeutral museums Mainz, xxii
(1975), pp. 62 sgg.; C. C. Vermeule, Augustan and Julo-claudian Court
Silver, in Antike Kunst, vi (1963), pp. 33 sgg. In questo contesto
andrebbero considerate anche quelle composizioni che stabiliscono un
rapporto giocoso con liconografica politica. Lesempio migliore sono
le tazze Hoby al Museo Nazionale di Copenaghen, su cui cfr. Gabelmann, Antike cit., p. 142.
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VIII.
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Conclusione
Cfr. T. Hlscher, Rmische Bildsprache cit.
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