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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE
PER L’INSEGNAMENTO
NELLE SCUOLE SECONDARIE

CORSO DI STORIA DELLA FILOSOFIA

PRESENTAZIONE
DI UN MODULO DIDATTICO

Docente del Corso: Ch.ma Prof.essa Cristiana Senigaglia

Specializzando: Stefano Ulliana


Classe di abilitazione: A037 (Filosofia e Storia)
Corsi Speciali ex lege N. 143/2004, D.M. 85/2005

A.a. 2006 - 2007.


MODULO ZERO.
GLI INIZI DELLA FILOSOFIA
E I PENSATORI DELLA IONIA.
INTRODUZIONE

Se “il modulo rappresenta una unità formativa autosufficiente in grado di promuovere


saperi molari e competenze che, per la loro alta rappresentatività culturale, e perciò anche
tecnico pratica, nel settore specifico di riferimento, siano capaci di modificare
significativamente la mappa cognitiva e la rete delle conoscenze precedentemente
possedute…” (G.Domenici, 2002) e se la progettazione modulare consente di far affiorare
nell’impianto strutturale di ogni disciplina e nella conseguente proposta formativa la
struttura reticolare della conoscenza, individuando i nodi concettuali di base, le relazioni che
li collegano, alcuni dei possibili percorsi alternativi di apprendimento, allora è possibile
stabilire una serie di finalità ed obiettivi formativi, che stabiliscano, definiscano e
determinino il progressivo svilupparsi, attraverso i contenuti proposti, i metodi e gli
strumenti più adeguati ed opportuni, dell’orizzonte di riferimento della pratica educativa e
didattica dell’insegnamento della filosofia nelle classi delle scuole superiori italiane.
Costituiti, nelle diverse situazioni concrete, in serie discendente, i Piani Educativi di Istituto,
la programmazione di classe in relazione agli obiettivi educativo-didattici trasversali,
l’eventuale programmazione di Dipartimento (in questo caso il Dipartimento di Filosofia e
Storia), stabilita la programmazione disciplinare (sulla base dell’analisi della situazione
iniziale, della definizione delle finalità e degli obiettivi e della loro scansione all’interno dei
percorsi didattici, della selezione dei contenuti, con la scelta dei metodi e degli strumenti,
della determinazione delle modalità generali di verifica e di valutazione), l’orizzonte della
pratica educativo-didattica della filosofia si concentra progressivamente sul rapporto fra le
caratteristiche della classe in questione (modalità e stili di apprendimento, variabilità del
grado di motivazione ed interesse alla nuova disciplina, presenza in misura diversa di abilità
logico-linguistiche) e la proposta del singolo insegnante.
Stabilite e condotte a termine le diverse ed interrelate prove di ingresso (1. analisi di un
testo breve, con la richiesta di mettere in luce: i concetti chiave, le strategie argomentative,
le analogie, le metafore, il tema o l’argomento, la tesi dell’autore; 2. la definizione di alcuni
termini chiave, successivamente utilizzati con diverso ed approfondito significato nella
pratica didattica della filosofia; 3. la contestualizzazione storica di alcuni brani classici; 4.
l’esercitazione delle relazioni logiche in un brano considerato e proposto all’analisi), è
possibile ipotizzare di somministrare una speciale proposta interpretativa storico-filosofica
da parte dell’insegnante ad una prima classe di liceo classico, con generali condizioni
iniziali di livello medio-alto, sia per quanto riguarda le abilità analitico-sintetiche, che le
competenze legate alla individuazione lessicale o alla ricostruzione/rielaborazione personale
delle argomentazioni. Viene inoltre presupposta una forte motivazione, partecipazione ed
interesse alla nuova disciplina, nella sua forma innovativa dal punto di vista immaginativo-
razionale, con una forte curiosità ed aspettativa per l’inesplorato e il non ancora articolato e
fondato (o giustificato).

1. PREREQUISITI

Prima di incominciare il Modulo Zero, modulo iniziale ed introduttivo allo studio della
storia della filosofia e delle diverse modalità del filosofare stesso, vengono riconosciuti alla
classe una serie importante di prerequisiti di medio-alto livello conoscitivo: una conoscenza
della presenza di testi letterari nella Grecia arcaica e pre-classica, una conoscenza della
storia greca del medesimo periodo completa ed articolata (con riferimento ai fattori
economico-sociali e politici della fase storica considerata), una conoscenza della geografia
greca e dei paesi del Mediterraneo funzionale alla dimostrazione delle relazioni di scambio
(materiale, economico, ideale e religioso, tecnico) fra le diverse antiche civiltà (dall’India,
alla Persia, alla mezzaluna fertile, al processo delle diverse fasi della
emigrazione/colonizzazione greca).
Nel caso, invece, delle abilità e delle competenze, verranno richieste – o recuperate,
tramite lo stesso lavoro in classe – le capacità legate alla consapevolezza della presenza ed
attività di un orizzonte di natura immaginativo-razionale, come luogo della propria
autorappresentazione dei concetti, in tal modo superando la tradizionale suddivisione
linguistica ed immobilizzante degli stessi. Questa competenza generalizzata si deve
innestare su di un lavoro svolto in precedenza, durante la fase della scuola secondaria
inferiore, teso allo sviluppo delle capacità/abilità analitica, sintetica e rielaborativa. Questo
orizzonte generale permette, infatti, la giustificazione e l’integrazione di tutte le possibili
abilità particolari e specifiche, di volta in volta richieste dalla programmazione
dell’insegnamento filosofico.

2. FINALITÀ E OBIETTIVI

Stanti le finalità decise dal Collegio Docenti e dal Consiglio di Classe iniziale, gli obiettivi
disciplinari (competenze ed abilità in relazione alla materia filosofica) e quelli metodologici
(i diversi contributi che le conoscenze danno all’acquisizione di un metodo personale di
rielaborazione), gli obiettivi specifici legati al Modulo Zero iniziale consisteranno in:
a) acquisizione di un possibile snodo fondamentale nel modo di pensare occidentale,
costituito dalla presenza di uno schema creativo e doppiamente dialettico

4
successivamente obliato, cancellato e nascosto dalla contrapposizione fra l’ipotesi
trascendentista (Platone) e quella immanentista (Aristotele).
b) Ricostruzione progressiva di abilità espressive, descrittive ed immaginative (interne
ed esterne), attraverso la trasmissione dei contenuti speculativi della scuola ionica di
filosofia.
c) Raggiungimento della competenza generale costituita dalla consapevolezza della
presenza ed azione di un piano e sfondo ad orizzonte razionale e fonte immaginativa
e creativa, capace di fondare l’apprendimento iniziale dei contenuti della scuola
ionica di filosofia, quello successivo legato all’intervento della riflessione religiosa
di tipo orfico-eracliteo, la reazione eleate, lo sviluppo dei fisici pluralisti. Per poter
infine cogliere appieno le modalità del passaggio alla civilizzazione ideologica
occidentale, prima con Platone, poi con Aristotele.
d) In subordine, ma come premessa ed accompagnamento al lavoro di acquisizione
precedente, la scansione delle trasformazioni che la religione dei Greci ha subito,
secondo le influenze sottolineate nei commenti predisposti dall’insegnante al
manuale considerato ed utilizzato (vedi Contenuti e Appendice).

3. CONTENUTI

INTRODUZIONE.

Se la storia della filosofia occidentale può essere valutata complessivamente come


l’itinerario di una civiltà ideologica e della sua relativa civilizzazione concreta, allora
diviene imprescindibile prendere in considerazione il momento che per quella stessa
tradizione pare costituire l’attimo sorgente, il punto espressivo e la fonte dalla quale tutto
sembra avere avuto inizio e fortuna. Questa impostazione, naturalmente e necessariamente,
istituisce per se stessa una nascita autonoma ed una relativa considerazione delle relazioni e
delle influenze ad essa esterne: se, dunque, la filosofia pare iniziare il proprio cammino
letterario ed argomentativo nelle colonie greche della Ionia – con la cosiddetta scuola di
Mileto - ecco allora che, subito, la corrente speculativa dominante in quella stessa tradizione
– che potremmo definire neoplatonico-aristotelica (cristiana o laica che sia nelle sue
espressioni proprie) – si accinge immediatamente a qualificarne le origini e gli sviluppi
secondo la determinazione, che anima il proprio orizzonte di riferimento e di scopo (la
razionalità finalizzatrice e realizzatrice). Ma, come si potrà bene vedere dalle riflessioni e
dalle argomentazioni successivamente esposte, da un altro punto di vista altre avrebbero
potuto essere le relazioni di sviluppo di un pensiero, che sia stato capace di mediare

5
raggiungimenti speculativo-religiosi e pratico-tecnici da altre civiltà e civilizzazioni
concrete e parimenti reali. Così la disputa fra “occidentalisti” ed “orientalisti” 1 potrebbe
essere ricalibrata con un’accentuazione ed un favore maggiore offerto ad tesi diversa,
secondo la quale l’orizzonte immaginativo e razionale progressivamente desunto –
attraverso gli scambi ed i traffici di merci ed idee - dall’Oriente e dai paesi che si affacciano
sulla sponda orientale e meridionale del mare Mediterraneo - Cina e, soprattutto, India o
Persia, poi il Medio Oriente, la penisola anatolica e l’Egitto – si sia sì progressivamente
distaccato dalle rappresentazioni di tipo religioso ed abbia assunto per se stesso l’autonomia
e l’autosufficienza di un sapere teoretico e razionale indipendente dalle suggestioni mitico-
religiose o pratico-sanitarie, ma abbia anche conservato la possibilità di un duplice e
fondamentale orientamento speculativo, legato alla scelta fra una concezione a prevalente
orientamento, contenuto e finalità trascendente ovvero immanente. In questa scelta
precipiterebbero, allora, tutte le qualificazioni di tipo teoretico, pratico o produttivo – per
utilizzare una distinzione successivamente cara ad Aristotele – e tutte le determinazioni di
tipo religioso o quelle apparentemente laicizzate. Come se si potesse far retrocedere l’ipotesi
interpretativa enunciata da Ernst Bloch 2 a proposito della sussistenza di due correnti
speculative nel Rinascimento europeo – le famose correnti “calda” e “fredda”, emotivo-
razionale la prima e intellettualistica la seconda – anche per il problema della ipotetica
nascita della filosofia in Grecia e per l’interpretazione del suo primo sviluppo (almeno sino
ai Sofisti e a Socrate) si potrebbero creare due diverse Unità Didattiche, di un ipotetico
Modulo Zero, iniziale nello studio istituzionale e scolastico della storia della filosofia e della
filosofia stessa, dove – per l’appunto – si possano porre in discussione prima una tesi
diversa rispetto alla pura e semplice contrapposizione fra “occidentalisti” ed “orientalisti”, e
poi si possa avviare lo studio della prima fase storica della filosofia occidentale – la scuola
ionica di Mileto (con Talete, Anassimandro ed Anassimene) – mettendo in campo la
contrapposizione fra l’impostazione trascendentista e quella immanentista, collegandola e
spiegandola con le precedenti trasformazioni, che i miti e la religione – per non dire della
politica e dell’organizzazione socio-economica - dei Greci avevano in quel momento storico
attraversato.
Si passi quindi allo sviluppo argomentativo – in forma di tesina per ora allo stadio della
prima formazione analitica - della prima Unità Didattica.

1
Il Nuovo Protagonisti e Testi della Filosofia. A cura di Giovanni Fornero. Con percorsi antologici a cura di Roberto
Cortese. Milano, Paravia Bruno Mondadori Editore, 2006. Pag. 8.
2
Bloch, Ernst. Filosofia del Rinascimento. Bologna, Il Mulino, 1997.

6
UNITÀ DIDATTICA N.1

A) Influenze orientali o mediterranee e posizioni locali (di tipo trascendentista o


immanentista). 3
Gli “orientalisti” sollecitano a favore della propria tesi di una derivazione dall’Oriente dei
contenuti principali della filosofia una serie di momenti speculativo-religiosi di grande
importanza ed obbiettiva influenza: in India ricordano la nascita e lo sviluppo delle dottrine
induistiche (Rig Veda e Upanishad: XIII e IX/VIII secolo a.C.); in Persia rammentano la
presenza attiva della visione profetica di Zarathustra, con la divisione e contrapposizione fra
una divinità positiva (Ohrmudz) ed una negativa (Ahriman); in India, ancora, sottolineano
l’importanza della riflessione sul desiderio di sé e la relazione di divisione e reciproca
contrapposizione che questa comporta ed implica sull’insieme dell’Essere umanamente
vissuto, da parte di Budda (VI secolo a.C.); in Cina rammentano l’opera di Lao-tze (VI
secolo a.C.), che individua nella complementarietà degli opposti (lo Yang e la Yin)
nell’Unità del Tao la via regia per il tranquillo e razionale governo delle passioni e della vita
individuale e collettiva. In questo modo essi mostrano facilmente quante e quali strutture
immaginativo-razionali orientali possano preparare l’intervento delle successive forme di
speculazione greca laicizzata. E, non a torto.
Nel caso, poi, dell’influsso portato in Grecia dalle conoscenze scientifiche acquisite e
sviluppate in Egitto (medico-chirurgiche, astronomiche e matematiche) lo stesso principe
greco fra i filosofi – Platone – ne ammette la grandiosa importanza e l’effettivo intreccio
dialettico. Per non dire, poi, della riconosciuta importanza degli studi matematico-
geometrici della civiltà babilonese, o di quelli astronomici della civiltà caldea (con lo studio
delle eclissi, delle forme delle costellazioni, dello zodiaco e dei diversi congiungimenti
astrali). 4

3
I paragrafi A) @ P) sono il risultato del commento personale al tomo n.1 del volume di Walter Burkert, Storia delle
Religioni – I Greci. Milano, Jaca Book, 1984 (1977¹). Si tratta di un’interpretazione che, consapevolmente, si distacca
dall’impostazione presente nel testo utilizzato, e ricerca la costruzione progressiva di uno schema ipotetico d’orizzonte
di natura storico-filosofica e storico-religioso-politica capace di offrire una possibilità di comprensione alternativa dei
comportamenti e delle disposizioni psico-sociali ed antropologiche nello sviluppo della civiltà greca.
4
Rimarchevole e degno di nota è il lavoro compiuto da Roberto Renzetti, che attraverso il suo sito –
http://www.fisicamente.net – nella sezione appositamente dedicata alla Fisica ed alla sua Storia -
http://www.fisicamente.net/index-92.htm - propone una serie di saggi di altissimo valore interpretativo e scientifico.
Questa la lista delle opere ad oggi compiuta e realizzata: 182 - Alcune questioni di matematica nell'antichità preclassica.
Parte I: Egitto di Roberto Renzetti; 183 - Alcune questioni di matematica nell'antichità preclassica. Parte II:
Mesopotamia di Roberto Renzetti; 184 - Preludio alla scienza (scrittura, astronomia, astrologia, calendario): Egitto e
Mesopotamia di Roberto Renzetti; 185 - La nascita della scienza in Grecia (Ionici e Pitagorici) di Roberto Renzetti;
186 - La nascita della scienza in Grecia (eleati, atomisti, Platone, Aristotele) di Roberto Renzetti; 187 - La nascita della
scienza in Grecia (l'età ellenistica) Parte I: La matematica di Roberto Renzetti; 188 - La nascita della scienza in
Grecia (l'età ellenistica) Parte II: L'astronomia e la meccanica di Roberto Renzetti; 189 - Decadenza e fine della
scienza ellenistica. Parte III: Gli ultimi scienziati di Roberto Renzetti; 190 - Dalla dissoluzione della scienza ellenistica
alla Scolastica. Parte I: condizioni storiche, politiche, sociali, religiose e filosofiche di Roberto Renzetti; 191 - Dalla
fine della scienza ellenistica, a Roma, agli arabi, alla Scolastica. Parte II: panoramica sulle scoperte ed elaborazioni

7
Indipendentemente, quindi, dalla valorizzazione ellenistica dell’apporto egizio, che
rovescerebbe sull’ipotesi “occidentalista” la verificazione in negativo dell’autonoma
affermazione in ambiente greco dello stile filosofico, si potrebbe invece cominciare ad
inserire un richiamo alle lontane trasformazioni antropologiche subite dalle popolazioni che
abitavano la penisola ellenica, sotto l’incombere delle più lontane e distanti migrazioni di
popoli ed etnie. Si potrebbe ricordare che la civiltà patriarcale e guerriera degli invasori
indoeuropei si incontra e si fonde in maniera dialettica con quella sedentaria ed agricola
locale, basata sul culto della Grande Dea Madre. Che questo incontro e questa fusione ebbe
il riflesso prolungato di un onda sismica, che si propaga nel tempo, procedendo ad una
ripresa ciclica dei medesimi temi e problemi. Sino all’invasione dei Dori. Un’eco lontana
potrebbe, poi, essere vista nella nascita da dottrine orientali dell’Orfismo e nella
trasformazione dei precedenti Misteri eleusini. Un effetto ulteriore si realizzerebbe
successivamente durante la prima speculazione filosofica dei milesii, quando la
tematizzazione dell’infinito creativo e doppiamente dialettico fa la sua prima ed esplicita
comparsa. 5
Forse è allora possibile definire un quadro generale di opposizione ed unità – un quadro di
evoluzione dinamica e di reciproco intreccio - fra la civiltà socio-politica e religiosa
indoeuropea (che sopraggiunge) e quella mediterranea (stanziale ed in movimento lungo le
coste di questo mare), dove la molteplicità superiore ed inferiore delle divinità immaginate
siano in collegamento e scambio reciproco, proprio grazie ad una sorta di sacrificio, capace
di ricomporre quell’opposizione iniziale – ricorda la sostituzione di Giacinto con Apollo (di
provenienza anatolica) 6 e la figura di Dioniso morente e rinato dei misteri orfici - in un’unità
di potenza, che garantisca il controllo e il dominio della filiazione naturale ed umana. Qui si
avrebbe la territorializzazione ed astrazione della ragione (logos), come potere di
definizione e determinazione. Così non vi sarebbe alcun tipo di violenza7 applicando questo

scientifiche dal V al XV secolo di Roberto Renzetti; 192 - La lunga e faticosa marcia della scienza. Parte III: La
scienza del Rinascimento di Roberto Renzetti.
5
Burkert, Walter. Cit., pag. 25. Scrive W. Burkert: “permangono, con dei, culto e poesia degli dei, dei sicuri punti
d’appoggio per una progredita religione degli <<indoeuropei>>. È il caso soprattutto del <<Padre Cielo>>, il maggiore
degli dei presso greci e romani: Zeùs patér, Diespiter-Juppiter. Formata dalla stessa radice è una parola per i
<<luminosi>> dei celesti: indiano antico dèváh, latino deus; peraltro proprio nel greco questa parola è sostituita da
theós. Nessun altro nome nella cerchia degli dei olimpici è riconducibile con sicurezza a una divinità indoeuropea,
anche se taluni, come Era, Poseidone, Ares, sono formati da radici indoeuropee.” Pagg. 25-26.
6
Ricorda che Apollo (intelletto) sostituisce insieme a Zeus (giudizio, assoluto come fulmine) Poseidone (in coppia con
Demetra-Persefone), che viene prima disposto lateralmente in funzione di strumento finalizzato e controllato (mare,
commerci) e poi espunto dalla terza parte della triade greca, Artemide. Si veda, in Appendice, il lavoro personale svolto
a commento del secondo tomo dell’opera di W. Burkert, citata in precedenza.
7
W. Burkert ha una posizione diversa. Egli infatti scrive: “Che il greco, e con esso la religione greca, sia da intendersi
come sintesi di un sostrato autoctono e di una sovrapposizione indoeuropea, rappresenta ormai da tempo una
convinzione fondamentale della storiografia. Altra questione è però dove questo presupposto porti e se sia possibile
verificarlo nei singoli casi. Fin troppo evidenti sono i dualismi che si impongono in primo piano, scavalcano la
distinzione fra <<indoeuropeo>> e non indoeuropeo>>, e su di essa gravano: maschile e femminile, patriarcato e
matriarcato, cielo e terra, olimpico e ctonio, spirito e istinto. L’interazione dei due poli si rifletterà poi nella religione

8
schematismo: al contrario, questo consentirebbe l’inclusione non incoerente dei particolari
religiosi locali. <<Indoeuropeo>> e <<mediterraneo>> si fonderebbero insieme grazie a
provenienze semitiche (l’unità della potenza), anatoliche (il controllo ed il dominio, la
successiva concezione politica tirannica) e medio/lontano-orientali (ricorda le due lettere
simbolo della successiva speculazione filosofica: la Y pitagorica di derivazione orfica e la
X, capaci di portare con se stesse la rappresentazione del concetto dialettico di infinito, con
lo zero come suo opposto e l’Uno come l’Essere che, mediando fa l’uno e l’altro di questi
termini opposti, garantisce quell’equilibrio che consente il divenire). Non è difficile, allora,
traguardare, secondo questa linea di sviluppo, prima la speculazione dei Milesii – appunto
grazie all’affermazione dell’infinito creativo e doppiamente dialettico – poi quella di
Pitagora e dei pitagorici, di Eraclito (con la sua dialettica degli opposti) e di Parmenide e
degli eleati (che rinnovano il fattore immanente, contro il sopraggiungere – orfico – del
pensiero e dell’azione nella negazione). Per riuscire in ultimo a vedere nelle speculazioni di
Empedocle, Anassagora e Democrito – prima del sorgere della posizione dei Sofisti e quella
umanistica di Socrate – una ripresa ed una ricomposizione dell’orizzonte della prima
filosofia naturalistica. Platone ed Aristotele si sbarazzeranno, poi, di questa impostazione,
generando quell’orientamento ideologico, che assumerà la posizione egemone nella storia
della filosofia occidentale (sino ai nostri giorni, ma non senza alterne riprese della posizione
immanentista).
Come si può vedere, dunque, è possibile superare la contrapposizione fra “orientalisti” ed
“occidentalisti”, ritrovando nelle trasformazioni antropologiche addirittura prearcaiche ed
arcaiche della civiltà greca la giustificazione del progressivo sviluppo di una scelta
ideologica necessaria, presente in modo equivalente in civiltà diverse, fra la posizione della
distinzione/separazione/scissione/proiezione (platonizzante od aristotelica poco cambia, se
non nell’aspetto teologico e politico dell’univocità o della differenziazione) e quella opposta
della inalienabilità/dialettica espressiva/unità aperta (espressa dalle speculazioni
immanentiste, a partire dai primi presocratici).
Nel tratto ancora iniziale della manipolazione del culto originario della Dea-madre
l’edificazione di quel sistema, che progressivamente ne priverà e spoglierà – o si
autopersuaderà di poterlo intieramente fare – la potenza attuale, procede con la fissazione –
nel luogo superiore occupato dalla figura del Fuoco trascendente – della figura e della

greca, nell’attimo in cui i nuovi dei abbatteranno gli antichi Titani o anche quando l’indoeuropeo Padre del Cielo farà
sua sposa la <<Signora>> mediterranea.
Un’analisi più attenta mostra quanto i fenomeni vengano per così dire violentati da una tal sorta di schematismo. Il mito
della generazione degli dei proviene dall’antico oriente, e così pure l’immagine degli dei superiori contrapposti a quelli
inferi; proprio i choaí <<ctoni>> hanno legami con l’indoeuropeo, mentre il sacrificio <<olimpico>> si affianca al
semitico. Il Padre del Cielo, che certo in quanto <<padre>> non poteva non aver moglie, come dio della tempesta,
invincibile grazie al suo fulmine, si accosta con ogni probabilità all’anatolico.” Cit., pagg. 27-28.

9
funzione del potere folgorante, immediato, maschile, esercitato dalla personificazione
realizzata dall’immagine divina di Poseidone, compagno inseparabile di Demetra. Tanto
quanto questa – prima svalorizzazione e diminuzione della figura della Dea-madre –
presiede alla totalità delle nascite naturali, altrettanto il suo compagno Poseidone deve
rappresentarne la controparte maschile, di controllo, indirizzamento e – nel caso - dominio.
È Poseidone, infatti, a suddividere le terre ed a governarle, dopo la distribuzione effettuata
da Demetra. La figlia di Demetra Persefone – prima della successiva versione eleusina
raffigurata da Dioniso – deve così a questo punto rappresentare la riuscita di questo
accoppiamento, pericoloso oramai solo nel caso in cui la potenza vitale rimanga a livello
infero. La paura nei confronti dell’infero si allaccia allora alla sublimazione ed elevazione
della potenza, che abbandona i recessi misteriosi della terra, per salire nel cielo delle entità
luminose ed eteree. La stessa potenza irrefrenabile del toro (religione cretese) viene
diminuita ed addomesticata in quella del cavallo (religione micenea), prima di salire e
depotenziarsi o neutralizzarsi ulteriormente tramite la serie delle figure celesti. Non è però
un caso che, insieme a questo apparente depotenziamento o neutralizzazione delle libere
forze naturali, l’assoggettamento della civiltà protogreca a forme di dominio
prevalentemente patriarcale e guerresco comporti l’accumulo di forze superiori terribili,
addirittura polivocamente evocabili, da indirizzare secondo una nuova logica, appunto
separata ed autonoma. La logica del controllo totale e del relativo dominio. Ecco allora che
l’apparente fuga dal timore naturale sfocia nel terrore della guerra, continua e costante,
ineliminabile strumento di subordinazione delle violenze dei guerrieri nomadi e del loro
assoggettamento alla costruzione della nuova entità statuale: il regno monarchico ed
aristocratico.

B) L’aspetto e la caratterizzazione teologico-politica e naturale.


L’Uno necessario e d’ordine si erge, ora, come potenza invisibile ed indivisibile, alla
quale è demandato ogni atto: vita, libertà, proprietà ricadono nel suo intiero e illimitato
dominio, senza fratture o soluzioni di continuità. Il molteplice – pericoloso se libero – viene
assoggettato ed ordinato (neutralizzato e pacificato) secondo la sua guida e giudizio. Perciò
sembra addirittura scomparire alla vista, non indicando più alcuna soluzione diversamente
divergente al problema del potere e del governo. La sua scomparsa è – e sarà – la sua
assolutezza.
Accanto al sovra-umano – coincidente con lo schema, che si sarebbe poi sviluppato lungo
la direttrice Orfismo-Platonismo - dovrebbe allora essere posto – ed anzi, prima di esso, sia
in senso cronologico, che logico-ontologico – l’infra-umano: il ricordo ed il richiamo alla
potenza naturale abissale, legata alla terra ed alle divinità ctonie. Altrimenti si rischia di non

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riconoscerne a priori l’esistenza e l’essenziale capacità di sussistenza. Così termini come
<<forza>> e <<sacro>> dovrebbero essere preceduti da espressioni, che individuano una
potenza immanente, invece che trascendente ed inquestionabile. Queste espressioni
dovrebbero essere capaci di riconoscere le forme di fratellanza umano-naturale, poi esibite
dalle forme misteriche legate ai culti agricoli (per esempio i Misteri eleusini). In caso
contrario queste ultime rischiano di venire trascinate ed integrate in forme religiose, che ne
sono il tentativo di annullamento e superamento.
Così diventa evidente la ragione nascosta e motrice dei riti che impiegano lo scorrimento
del sangue, 8 in presenza di un Fuoco che viene esibito su di un altare elevato, mentre le armi
vengono sacralizzate quali strumenti divini, nell’intento di far coerire il gruppo sociale dei
guerrieri e dei proprietari. La ragione è infatti quella già analizzata tramite lo schema
diagonalizzante e verticalizzante trascendentista. Al contrario può invece ancora comparire
la ragione nascosta dei riti che si oppongono a questa trasformazione cruenta, qualora si
apponga la propria attenzione alla presentazione religiosa di cibi e offerte solamente e
semplicemente vegetali. Strumento di passaggio da questa ritualità (e dai relativi miti) alla
prima (sempre con i relativi miti) è la loro composizione in successione: prima la ritualità
con offerte vegetali, poi quella con sacrifici animali, in un medesimo rito religioso. Avviene
qui ciò che accadrà con il capovolgimento della religione eleusina tramite l’orfismo: 9 gli
stessi elementi presenti nella fase religiosa precedente vengono riassunti, ma capovolti di
senso e di significato, nella nuova forma religiosa, che in questo modo tenta una pratica di
totale egemonia.
Non è difficile, così, osservare come lo scambio fra offerta e moltiplicazione delle future
riserve alimentari o la proposta di una liberazione e realizzazione moltiplicata del desiderio
psico-biologico trovino superamento – proprio in senso hegeliano (ma dal punto di vista
personale, in senso negativo) – nella accettazione di un destino provvidenziale aggressivo e
spoliatore, fatto di decisioni guerresche e di delimitazione rigida dei generi della
riproduzione sociale. Con l’applicazione dello schema trascendentista, infatti, si costituisce
l’orizzonte comune della successiva tradizione psico-sociologica occidentale, dove la
diagonalizzazione che impone un contenuto di verità nascosto e separato, precedente e
prioritario (logico ed etico), si accompagna alla continua necessità di un ritorno che ne
risveli continuamente la forma e la realtà, in una composizione di fissità e movimento,
effettuata tramite la negazione della diversità alternativa e la sua riduzione e cooptazione
entro la comparsa di un’apparente limitazione: conservare la sostanza dei rapporti sociali
instaurati e la loro relazione gerarchica, attraverso la funzionalizzazione all’identico

8
Vedi, in Appendice, La circolarità del sangue nella storia della civiltà occidentale.
9
Vedi, in Appendice, Orfismo e Misteri eleusini.

11
dell’altro, creando il terrore della negazione assoluta, rappresentata dalla potenza alternativa
(figura ed immagine della precedente fase religiosa). Tutto ciò che nella precedente fase
religiosa – la potenza e l’atto libero del desiderio, la pianificazione di una società di liberi ed
eguali, che mettono in comune tutti i mezzi per la loro sopravvivenza, mantenendo
l’apertura del divino e la sua libera moltiplicazione, senza una rigida divisione sociale del
lavoro - viene tabuizzato nel momento in cui avviene la forzata composizione fra la società
dei guerrieri che provengono dal Nord della penisola ellenica e la stanziale società agraria
delle piccole comunità locali, più o meno federate. Allora la libera potenza della natura e
della ragione diventa il nemico da abbattere, perché impedisce con i suoi riti e miti il
coordinamento gerarchico dei ruoli e delle funzioni sociali, economiche e politiche, secondo
il nuovo paradigma della separazione positiva e della correlata negazione. Sarà proprio
contro tale paradigma che la speculazione di Parmenide eserciterà la propria posizione
critica, ravvisando negli sviluppi dell’orfismo una duplicità intollerabile dal punto di vista
dell’Essente. Se la creazione funzionale del sentimento della paura si accompagna infatti
alla delimitazione di un orizzonte di angoscia sociale, per l’apparente ma indotta perdita del
senso e del significato della vita precedente, la doppia negazione che viene agita dalla nuova
sistemazione sociale – la paura presente, l’angoscia del futuro – viene a sua volta collocata
all’interno di un prospetto di miglioramento e di progresso, che richiede il superamento per
fasi delle precedenti situazioni, considerate come negative. Qui la sensazione ed il
sentimento generalizzato della crisi, della rottura universale dei rapporti (naturali e
razionali), diventa la condizione necessaria per la possibilità evocata di una fase totale di
benessere individuale e collettivo, da realizzarsi attraverso un processo lineare e
determinato, determinante in senso oggettivo nella definizione delle cause e nella
delimitazione degli scopi. È in questo modo che si crea lo spazio e si ripete la necessità
dello Stato, dalla polis greca sino alle più moderne forme di globale orientamento
neoliberista. E, all’interno dello spazio dello Stato, il tempo dell’educazione, per imitazione
ed apprendimento. In tal modo l’azione costruttiva dello e nello Stato – il lavoro e
l’educazione gerarchicamente organizzati - sostituisce la connessione interna e profonda,
creativa e dialettica, con la stabilità della potenza naturale e razionale, che non necessita di
alcuna ulteriore forma di alienazione astratta, di ritagliare alcuna nuova triangolazione –
ecco di nuovo la forma precedentemente delineata della triade aperta – finalizzata al
superamento definitivo dello stato cosiddetto di natura. Per questo, se l’apparizione del
divino si dà all’interno di una cornice, che costituisce lo spazio della continua presentazione
dell’eterno all’interno della rappresentazione del tempo come forma ciclica del divenire
dallo stesso, l’opera umana non può non riflettersi se non come forma e realtà di
riproduzione magica di questa relazione e di questo rapporto, come più avanti nella

12
speculazione platonica si vedrà appunto nel rapporto fra il primo ente divino ed il secondo
Dio. Plasmare e riprodurre le finalità originarie diventerà allora il prerequisito dell’azione
educativa dello e nello Stato, della e nella civiltà.
Qui non può non subentrare il tema, il concetto e la prassi, legati all’infinito. Se, infatti, la
civilizzazione assume di fatto una forma di limitazione inferiore, dalla quale si costringe ad
allontanarsi – è, ancora, il cosiddetto stato di natura – essa non assume alcuna forma di
limitazione superiore, nel momento in cui traccia la linea di superamento definitivo di tale
stato. Allora apre l’orizzonte dell’infinito. È questo orizzonte a costituirsi come termine di
volontà, intelligenza e intendimento. Esso edifica il mondo nuovo tramite le ritualità per la
pioggia, l’amore, la fertilità (vegetale, animale ed umana) e l’amore ed i gesti apotropaici
contro la sterilità in generale e la morte definitiva. Ecco dunque ricomparire la funzione
essenziale dell’acqua, come elemento della vita e del suo mantenimento e conservazione.
Magia, religione civile e filosofia sono dunque strettamente intrecciati, qualora si
considerino le forme ideologiche poi prevalenti all’interno della polis greca. Restano – e
resteranno – degli spazi e degli interstizi di diversità, all’interno dei quali le forme
speculative, che soccomberanno apparentemente nella lotta per l’egemonia all’interno della
tradizione storica occidentale, tendono a ripresentare le antiche formazioni intellettuali di
tipo e di stile insieme naturale e razionale. Il concetto e la prassi dell’infinito creativo e
doppiamente dialettico (Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano Bruno),
l’eleusismo di Parmenide, l’atomismo di Democrito, Epicuro e Lucrezio, sono solo piccoli e
limitati esempi di una possibile contro-storia della filosofia, capace di rievocare e porre di
nuovo in campo aperto il problema di un diverso assetto del rapporto e della relazione fra
natura e ragione.

C) Il sacro, il sacrificio, la preghiera e la purificazione.


Il sacro tradizionale utilizza l’innocenza del veicolo femminile, irrigidito nella
neutralizzazione e negazione della sessualità (la vergine-guida), come nascondimento della
logica del sacrificio stesso, che in tanto trasporta la collettività in uno spazio e tempo diversi
(iniziazione collettiva), in quanto la collettività stessa avesse già obbedito a quelle forme di
deprivazione ed ordinamento sessuale, che avevano negato le comuni libertà della fase della
vita collettiva, comunitaria, precedente. L’acqua, le fumigazioni e la musica hanno l’unico
effetto di accompagnare e mimetizzare la cruenza del rito sacrificale, nascondendone gli
effetti sull’uomo: durante, con la mimetizzazione (e lo stordimento) sonori od olfattivi,
prima e dopo attraverso la purificazione preventiva e l’oblio totale della colpa commessa.
Non manca l’offerta rituale alla vittima stessa, tramite gli elementi simbolici della
esaltazione collettiva precedente (i cereali). Si inizia con l’offerta al Fuoco, il sangue viene

13
versato, la morte della vittima è infine la vita nuova dell’intera collettività. Il suo corpo
viene assaggiato preliminarmente nelle sue parti essenziali, cotto sul Fuoco, mangiato ed
assimilato come garanzia di trasporto e di rinascita in un altro luogo separato (banchetto
sacrificale). Qui non è forse inutile ricordare l’uso rituale e religioso precedente di alimenti
con finalità psichedeliche (il papavero od equivalenti), atti a trasportare il fedele nell’altro
mondo, il cui accesso è preparato e permesso dall’obbedienza ai riti cerimoniali.
Che cosa comporterà l’assunzione dei nuovi e successivi riti filosofico-razionali da parte
del processo di civilizzazione ellenico? Nulla di nuovo, nell’impostazione generale, tranne
una molto più accentuata forma di neutralizzazione e mimetizzazione del procedimento di
transito e passaggio nell’altro mondo, astratto e separato: allora sarà lo spirito a transitare,
mentre il corpo apparentemente permarrà all’interno dei vincoli oggettivi della materia. Così
all’inizio del tragitto della tradizione ideologica occidentale è lo spirito della materia ad
elevarsi, attraverso il medio rappresentato dalla funzione veicolare, che deve garantire il
passaggio ed il necessario capovolgimento della situazione iniziale. Compare qui quella
invenzione dell’anima, che sarà poi identificata come reperto filosofico tradizionale nella
versione orfica, platonica, aristotelica e cristiana della speculazione religiosa. Da questo
momento in poi la concezione dell’anima oscillerà fra spiritualizzazione estrema e
riconferma di una forma qualsiasi di antropomorfismo. In ogni caso, ancora, il movimento e
la potenza del sangue si interporrà all’interno del movimento e della potenza – crescita,
maturazione e raccolta – dei frutti migliori della terra (cereali, olive, vino), fissando in tal
modo il primato dell’animale sul vegetale. Di chi si muove per sé e liberamente, rispetto a
chi invece resta legato e vincolato in sé alle necessità naturali. L’anima così riesce ad
integrare la libertà dei primi alla sicurezza dei secondi, capovolgendo questa nella prima.
Rovesciando l’atto di devozione alla natura nell’affermazione totale della ragione.
Il capovolgimento è dato dal passaggio cruento, dalla forzatura e dalla conseguente rottura
irreversibile, dall’uccisione sacrificale che dà inizio al tempo come tempo nuovo. Penetrare
e fuoriuscire all’aperto del nuovo spazio squadernato dalla ragione – oltre la precedente
occlusione e prigionia delle necessità corporee naturali (nota come ciò sia la fonte della
successiva posizione orfico-platonica) - non consente comunque di dimenticare la relazione
di necessità, che lega il sacrificio di sangue alla conquistata libertà. Ogni celebrazione
dell’avvenuta conquista deve quindi rammemorare la drammaticità dell’evento originario,
rinverdendone continuamente i fasti emotivi collettivi. Di qui l’accostamento delle feste
collettive, quale scansione determinatrice dello scorrere del tempo nuovo.
In questa struttura, che si ripete immutata nella storia sociale occidentale, la fase iniziale
greca sovrappone e colloca il veicolo sacerdotale individuale in quello stesso spazio, che
successivamente verrà occupato dalla nozione astratta e separata dell’anima. È solo la

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frammentazione politica ad impedire così la formazione di una chiesa universale. Quando
questa sarà stata superata dall’istituzione imperiale romana, immediatamente la necessità
concomitante della fondazione ed organizzazione del corpo religioso dei cittadini o dei
sudditi si farà richiesta immediata della ragione politico-sociale.
È per questo motivo che il veicolo sacerdotale insieme al circolo definito dal sacrificio
viene tabuizzato e ne viene impedita qualsiasi critica, sollevazione o rovesciamento (la
speculazione filosofica di Anassagora e di Socrate ne subirà le dolorose conseguenze).
Rovesciare il sacro è, infatti, il primo compito dei conquistatori. In tal modo il sangue
animale importa quello umano: quello versato come punizione divina dai contestatori, o
quello della stessa città per effetto delle invasioni straniere. Il sacrificio attraverso il sangue
animale fonda la civiltà del sangue e del territorio umano. Lo stesso procedimento
sacrificale poteva poi utilizzare vittime sacrificali umane (prigionieri di guerra, non-uomini
in quanto di altro sangue e territorio, o vergini innocenti come Ifigenia di Aulide). Il sangue
versato poi, come potenza di vita, risvegliava alla coscienza le anime dei morti, intrappolate
nel mondo infero dell’Ade.
Se, poi, il sangue intingeva e rimpinguava dall’interno ogni movimento vitale della nuova
collettività, nel nuovo tempo segnato dalla rottura sacrificale l’organizzazione comune ed
ordinata della vita civile deve seguire la traccia trascendente offerta dal movimento del
Fuoco. Potente a salvare è egualmente potente ad annichilire e punire (rammenta
l’ambiguità del maschile-femminile, in precedenza rappresentato concretamente ed
architettonicamente dal pilastro e dal tempio): esso dunque forgia immediatamente
l’archetipo individuale e sociale del potere (a partire dalla famiglia: il focolare, Hestía).
Templi del fuoco sono il tempio di Apollo a Delfi, quello di Apollo Liceo ad Argo e quello
di Apollo Carneo a Cirene; come pure degno di nota è il culto di Artemide Lafria da
Calidone (ricorda la funzione di Apollo e quella gemella di Artemide, nello schema che
delinea la visualizzazione dell’Uno necessario e d’ordine). Il profumo divino, che si
diffonde e che sale, indica concretamente l’invisibilità del movimento dello spirito buono,
mentre quello cattivo resta confinato nella notte oscura, al di fuori della città. Portare il
fuoco all’esterno, nei boschi, è dunque una forma di recupero delle divinità della fase
naturale precedente (vedi i rituali delle feste notturne dionisiache). Così i vecchi riti naturali
legati alla divinità materna femminile si ricompongono con i nuovi riti a predominanza
maschile o pseudo-femminile, per attestare il definitivo superamento della precedente forma
di civilizzazione agraria, quando la proprietà aristocratica e guerresca della terra sostituisce
le forme collettive di godimento pacifico dei frutti della stessa. Questi culti resteranno però
sotto traccia durante lo sviluppo della civilizzazione greca, rispuntando nelle forme religiose
legate a Demetra (riti e miti eleusini) o a Dioniso (riti e miti pre-orfici).

15
L’influenza ebraica, fenicia ed anatolica ricorda la funzione cuspidale del Fuoco ed il suo
potere assoluto, di trasformazione e di mutamento – passaggio – sostanziale. Attraverso il
sacrificio del fuoco il nuovo corpo sociale assume su di sé le virtù intoccabili del Dio:
diviene rappresentante della sua stessa potenza e della sua stessa volontà, positiva e
misericordiosa (per i morti, nel rogo funebre) quanto violentemente distruttiva ed
annichilente (per i vivi, colpevoli di qualche grave reato, con il rogo). In questo modo la
concezione dell’Uno necessario e d’ordine, edificata nell’immaginazione razionale e civile
greca assorbe in sé le caratteristiche tiranniche della nuova forma di divinità, accentuando
gli orientamenti e le determinazioni apertamente violente e guerresche portate dai diversi
popoli invasori del Nord. Una miscela esplosiva per qualsiasi civiltà … i secoli bui ellenici
potrebbero dunque essere stati l’effetto prolungato di questa ferale composizione mitico-
rituale, mentre la rinascita sorta a partire dall’VIII secolo a.C. potrebbe essere stata dovuta
ad una sorta di neutralizzazione laica e di riapertura di forme relativamente pacifiche
(Esiodo, Omero) di convivenza civile, fondata su forme aperte di religiosità e di prassi
economico-politiche (accentuazione del politeismo e composizione nel motore economico
agricolo-proprietario dei movimenti trasformativi legati al commercio via mare).
Il sistema ideologico costruito attorno al sacrificio di sangue si compone con una base
materiale precedente, che prevedeva la semplice offerta incruenta di doni vegetali, risultato
della produzione agricola collettiva. All’interno di questo precedente sistema l’offerta
rappresentava direttamente la fusione con lo spirito creativo naturale, con le potenze della
terra. L’alleanza pacifica terra-uomo poteva consentire la salvezza comune delle collettività
agrarie della Grecia pre-arcaica, tramite l’immedesimazione dell’opera collettiva con
l’azione naturale. Qui lo sfondo e l’orizzonte razionale entro il quale pareva muoversi la
Natura costituisce la prima formazione di un’azione intenzionale fondamentale, tesa alla
produzione e conservazione di ciò che viene alla vita, si sviluppa crescendo e muore,
ritornando nel grembo della grande Dea madre naturale e ricostituendo la materia per nuove
nascite e produzioni. Se la forma sembra, dunque, appartenere alla volontà razionale della
Natura, anche la materia pare costituire come il serbatoio concreto e fluido della sua
continua produzione di forme e di viventi. Non è difficile osservare l’esatto parallelismo fra
quell’azione fondamentale, la sua forma razionale e la sua materia naturale e i concetti
filosofici successivamente sviluppati presso il naturalismo greco di finalità o scopo, di
forma e materia. La stessa speculazione aristotelica pescherà in questo medesimo ambiente
la struttura della propria articolazione filosofica. 10

10
Vedi, in Appendice, il commento personale a Metafisica, A.

16
L’azione di finalità o di scopo della grande Dea madre Natura – produrre e conservare
all’esistenza, secondo un processo determinato (necessità fatale) costituito da nascite,
sviluppi e morti – trova riconoscimento e fissazione religiosa nelle forme di sacralizzazione
contadina e agraria, dove la potenza della terra (Demetra) viene regolata da una volontà
superiore (Poseidone), che deve presiedere alla razionalizzazione dei prodotti naturali.
Entrare in questo circolo dialettico – dove la potenza si trasforma in volontà e la volontà
determina la potenza - significa per la collettività agricola e contadina dare forma, sostanza
e materia al proprio intento creativo di conservazione. Stabilire una rete sociale di scambi e
di funzioni interrelate, capaci di organizzare e mantenere in vita il proprio corpo politico. In
ciò stanno già le premesse delle successive costituzioni cittadine formali.
Anche il dono vegetale, allora, è una forma di sacrificio? La struttura ideologica
presupposta dal sacrificio di sangue è la stessa, oppure è diversa, rispetto alla struttura
ideologica implicita nella fase religiosa precedente, sulla quale quella relativa al sacrificio
animale si innesta e radica? Se la prima rimane, infatti a livello immanente, l’altra pare
accedere per la prima volta al piano trascendente. Certamente la dialettica verticale ed
orizzontale della prima – cfr. la successiva posizione dialettica espressa da Anassimandro -
costituisce una valida premessa per l’elevazione e l’approfondimento, la trasformazione
sostanziale consentite dalla seconda. Ma il passaggio ed il capovolgimento consentito da
quest’ultima certamente non è consentito – ed anzi pare essere esplicitamente vietato – cfr.
Parmenide e la sua negazione proprio dell’orizzonte della negazione - dalla prima. Allora il
sacrificio di sangue deve essere considerato come la negazione ed il superamento della fase
naturale-vegetale precedente, magari facilitata dalla tradizione legata alla libagione di vino o
d’olio. Per converso la fase precedente deve essere considerata come incomunicabile
rispetto alla volontà della fase successiva, che invece la userà per impiantare un progetto
d’egemonia totalmente trasformativo, completamente in opposizione con le forme di
collettivismo libero ed egualitario delle comunità agricole greche arcaiche. 11 Su questo
progetto si innesteranno poi le forme ideologiche dell’orfismo, del pitagorismo e della
successiva tradizione aristocratica platonico-aristotelica.
Il dono delle primizie – apparchaí – ha dunque un significato diverso nei due contesti di
significazione: nel primo - più antico, legato alla Dea madre Natura – esso vale come offerta
spontanea e gratuita di un inizio che non appartiene alla comunità degli uomini, perché
questa ne è in realtà dipendente; nel secondo, successivo, esso vale all’opposto come inizio
umano, come potenza legata all’umano, che è capace di trasformare secondo i propri fini
l’ambiente naturale e di sovrapporre le proprie ragioni secondo uno sfondo ed un orizzonte

11
Cfr. Carpenter, Edward. Pagan and Christian Creeds. In: http://www.sacred-texts.com/cla/pcc/index.htm.

17
razionale completamente nuovo e cambiato, rivoluzionario. Qui assume valenza centrale il
procedimento della trasformazione sostanziale, giunto sino a noi attraverso la procedura
teologica della transustanziazione cristiana (nelle sue diverse versioni, cattoliche o
protestanti). Ora si potrebbe dire che il termine divino della trasformazione si sia laicizzato
completamente nella separazione astratta, ma reale, del modo della riproduzione sociale
capitalistica (la massimizzazione del profitto come fondamento della vita sociale: un modo
di rappresentazione magico-artificiale, all’interno di una dialettica verticale ed orizzontale di
tipo ancora religioso, ma ora in forma neo-naturalistica). Nel momento rappresentato dalla
fase pre-arcaica della civilizzazione greca, invece, il procedimento della trasformazione
sostanziale indicava l’importanza fondamentale, che era venuto assumendo il controllo della
produzione dei nuovi metalli in ferro. Questa nuova forma di produzione portava con sé,
infatti, una riorganizzazione socio-politica della vita delle comunità agricole greche,
maggiormente concentrata sulla capacità della collettività stessa di mantenere la continuità
della propria vita e del proprio benessere materiale, grazie ad una potenza resasi oramai
quasi autonoma dalla Natura, basata sulla possibile predazione guerriera nei casi di
insufficienza alimentare prolungata. Questa riorganizzazione doveva però comportare una
forma di verticalizzazione e di concentrazione del potere ed una forma di subordinazione e
di ordinamento gerarchico, che sarebbe stato all’origine della stratificazione sociale poi
tradizionale (re – aristocratici/guerrieri – artigiani – contadini - schiavi). È qui che si
inserisce la prospettiva rivoluzionaria di cambiamento ideologico offerta dall’inserzione
rituale del sacrificio animale, di sangue (con tutte le implicazioni strutturali già descritte).
La stessa semplicità devozionale decantata dall’Odissea omerica – come, del resto, la
pietas romana esibita esemplarmente da Enea nell’Eneide virgiliana – si inserisce in questa
forma di subordinazione predestinata, predeterminata. Fondamento della pacificazione
sociale e dell’annullamento delle reciproche forme di combattimento e aggressività sociale,
essa costituisce la fusione fra potere religioso e potere politico. Il principio dell’ordine e
della pace sociale (in un contesto economico esterno ed interno sempre più aperto ed
aggressivo). La neutralizzazione dei rapporti socio-politici interni – e la relativa
pacificazione più o meno forzata delle relazioni all’interno della vita collettiva – porta
nell’ambiente imperiale romano, insieme all’annullamento ed alla cancellazione delle forme
di opposizione sociale e politica, il necessario sradicamento della libertà creativa ed
artistica, orale o scritta (cfr. i casi di Ovidio, Petronio). Questo orizzonte e determinazione
di negazione è, significativamente, la conclusione storica di un processo evolutivo iniziato
proprio nel periodo o fase del passaggio in ambiente greco pre-arcaico dalla tradizione
culturale orale a quella scritta.

18
Nella trasmissione culturale orale, infatti, l’azione legata alla parola, al desiderio, al voto
ed alla viva memoria collettiva conserva il rapporto dialettico sussistente fra la versione
umana della materia naturale (il deposito delle precedenti azioni collettive) e l’edificazione
di una forma espressiva totalmente creativa, non assorbita in alcuna linearità determinativa
o in alcun calcolo dei mezzi per fini prestabiliti. La conservazione diretta ed immediata della
relazione che regge la collettività – il rapporto fra liberi ed eguali delle comunità agresti
greche pre-arcaiche – non corre il rischio di forgiare alcuna forma di mimesi realistica od
oggettiva di una supposta realtà (naturale e sociale, o politica). Solamente l’avvento della
necessità di trasmettere delle finalità e degli strumenti di riconoscimento collettivi (simboli)
stabilirà la priorità di uno spazio oggettivo per il sapere, segnato e determinato da una realtà
perfettamente delimitata e visibile (mondo umano del vero). Solo la predeterminazione della
conservazione dell’esistenza immutata di una vita collettiva organizzata darà il via alla
ricerca delle modalità culturali capaci di garantire questa prosecuzione nella continuità.
Allora nascerà la forma simbolica per eccellenza: il linguaggio scritto e tutte le collegate
forme di rappresentazione diretta (geometria, calcolo numerico). Solo la linearità
determinativa finalizzata che sorge all’interno dell’orizzonte aperto dal concetto dell’Uno
come fonte di continuità – cfr. l’Uno egizio (Aton) e l’Uno delle tradizioni speculative
filosofiche presocratiche – sarà capace nella sua trasversalità di costituire una fonte di
assorbimento delle energie collettive. La viva e profonda memoria connessa con l’abissalità
della grande Dea madre Natura si trasformerà, allora, da materia viva e collettivamente
creativa in selezione e passaggio essenziale, mentre l’eroticità che ne animava lo spirito
vitale si cambierà e neutralizzerà nel rispecchiamento consentito dall’anima razionale. Ora
solo ciò che viene riconosciuto dall’intelletto può consentire la trasmissione immutata del
vero, l’apertura fondamentale che ha per termine Dio stesso ed il suo riflesso nella realtà
sociale e politica. Lo scopo ed il fine conservativo impongono una sapienza (teoretica,
teologica e pratica) oggettiva.
È, conclusivamente, la negazione che sorge con il processo di diagonalizzazione e
verticalizzazione ideologica ad imporre il piano di validità universale della scrittura e
dell’oggettività. Ma, come negazione, essa deve sradicare dalla coscienza collettiva lo
sguardo nell’abisso, la consapevolezza della presenza della grande Dea Madre Natura –
Demetra - e della possibilità di intrecciarsi ad essa, tramite la libertà del desiderio. L’offerta
realmente religiosa nel desiderio e tramite il prolungamento del desiderio stesso nella sua
filiazione – Persefone – stabilisce nelle comunità pre-arcaiche ed arcaiche greche, prima del
sopraggiungere e sovrapporsi delle strutture ideologiche dell’astratto e del separato, l’unico
orizzonte di senso e di significato umano accettabile e razionalmente comprensibile, l’unico
scopo da perseguire. Poi, con il sovrapporsi dell’organizzazione terminale, sarà il tempo

19
dell’alluvione progressiva dei riti e dei miti sacrificali e di passaggio. Della devozione
ordinata e collettiva. Solo nell’epoca successiva – dell’astratto e del separato – alcuni
pensatori cercheranno di rievocare e riportare in vita l’antica sapienza, in un nuovo
schematismo, fondato sulla concezione creativa e doppiamente dialettica dell’infinito
(Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano Bruno), oppure semplicemente creativa
(Parmenide, Nietzsche).
La trasversalità lineare-determinativa e finalizzata, imposta grazie alla combinazione e
composizione del processo di astrazione e separazione, costituisce, allora, il nuovo piano
universale del discorso e della riflessione linguistica articolata, dove la relazione soggetto-
verbo-predicato sostituisce, con la rete estesa ed aperta delle nominalizzazioni e dei giudizi
primi, il precedente orizzonte indefinito della manifestazione epifanica della Grande Dea.
Madre. I determinati-separati (le idee, gli atomi) sostituiscono le divine potenze discrete,
mentre le sacralizzazioni retoriche delle nuove classi colte, rappresentate dalle società
aristocratiche greche, prendono il posto delle offerte sacrificali religiose, contribuendo a
rimpiazzare la fluidità degli scambi fra i mortali e gli immortali con la rigidità di un culto
sempre più dogmatico ed immutabile. La civilizzazione greca si avvia in tal modo a porre le
basi per la considerazione dell’Essere come stabilità, immutabilità e unità: stabilità della
base materiale, immutabilità dell’orizzonte di determinazione, unità come continuità senza
fratture e trasformazioni socio-politiche. Poste in tal modo le premesse per l’orizzonte di
riferimento dell’intera successiva civiltà occidentale (attraverso il cristianesimo e la
globalizzazione capitalistica moderna sino ai nostri giorni), l’ideologizzazione realizzata
attraverso la stabilità e la permanenza, sia del termine divino che della sua realizzazione
terrena, fissa la convergenza assoluta del Divenire. Come medio ruotante e realizzantesi fra
gli estremi dell’idea e della realtà.
Nel panorama della realtà greca, che precede la fase arcaica, questo è perfettamente
visibile nel tentativo di retrodatare l’inizio della successiva rivoluzione ideologica su base
sacrificale, da parte di Omero, Senofonte e dello stesso Platone. Proprio per coprire i sempre
risorgenti culti religiosi di tipo materiale-naturale, che hanno nel culto della Grande Dea
Madre il proprio archetipo di riferimento. Questo riceve la sovraimpressione del culto
maschile e patriarcale, per effetto del quale l’offerta diviene sacrificio e questo si capitalizza
– come nel caso del santuario di Eleusi attorno al 420 a.C. - in sostanza capace di garantire
la sopravvivenza ideale della comunità ellenica (il denaro dell’elemosina sarà thesaurós).
Il tempo diviso, separato, alienato, in mano agli dei per la realizzazione delle opere umane
e per la scansione delle attività della comunità viene poi sancito, segnato e delimitato dalla
parola sacra, dalla euphemía (contrapposta alla blasphemía). Essa offre il senso
performativo del linguaggio, stabilendo l’isolamento e la chiusura dello spazio collettivo

20
all’opera disintegratrice dell’oppositore, del ribelle, di chi ancora si attarda all’obbedienza
dovuta ai vecchi riti entusiastico-egualitari. La parola sacra – la preghiera (eúchesthai) –
tabouizza la precedente osservanza nei confronti della diversità e della creatività naturale,
innalzando il senso di rispetto e di devozione dovuto alla divinità che si sovraimpone.
Essendo poi che l’atto di sovraimposizione comporta l’adesione allo schema totalitario
imposto dalla posizione della negazione - negazione dell’immediatamente e spontaneamente
positivo – l’inizio della parola sacra è il silenzio collettivo, l’annullamento della diversità
locutoria ed espressiva della collettività e l’adesione tramite invocazione al termine divino
superiore (di solito Apollo o Artemide, che ricevono i contributi umani in grazia di Zeus). È
questo contatto - stabilito attraverso e grazie al celebrante - a dare progresso all’azione sacra
di delimitazione, a condurla verso i successivi sentieri della precisazione e delimitazione
ulteriore. È all’interno dello spazio esterno all’uomo così segnato, che si dà luogo a tutte le
forme di scambio religioso e sacrificale.
Il processo di distinzione, esclusione, eliminazione progressiva e tendenzialmente totale
della libera potenza del diverso – lo spirito aperto della viva materia creativa - si attua
attraverso la sua neutralizzazione: il suo spirito viene infatti sradicato e piegato in una prima
forma di astrazione e separazione, di alienazione. L’atto ordinato – eterodeterminato - di
generazione. È solamente attraverso il controllo eugenetico della espressione sessuale
umana, che la stessa libera e profonda libertà d’espressione naturale ed umana viene
coartata verso la direzione diagonale stabilita dalla preventiva suddivisione in classi della
società greca prearcaica (i proprietari terrieri, garantiti dalla figura reale; i contadini e gli
artigiani soggetti; gli schiavi per crediti o di guerra). La stessa espressione dei rapporti
omoerotici viene piegata a forme di plagio giovanile (cooptazione alla classe superiore). Qui
le forme di costituzione e costruzione della società patriarcale liberano i maschi dal pericolo
rappresentato dalla libertà sessuale femminile, per assoggettare le donne al dominio
esclusivo maschile, secondo la principale necessità della trasmissione maschile del
patrimonio. Ora il possesso, stabilito in assoluto (quindi separato dalle proprie effettive
condizioni di realizzazione), sostituisce la vita, nella propria libera potenza.
Il silenzio e l’ascolto, la soggezione e la benedizione – o, all’opposto, la caoticità
espressiva e la maledizione gettata sull’altro (a coprire ed occultare12 l’ordine razionale della

12
La funzione musicale di accompagnamento rituale, con andamento ripetitivo e cantilenante, può dare adito ad una
finalità di mascheramento ed occultamento, di neutralizzazione e pacificazione, con finalità mimetiche e
percettivamente gerarchiche (cfr. musica tonale e modi musicali). Analogamente accade alla creazione poetica. Musica
e poesia greca possono infatti trovare le proprie origini nel rito religioso, come strumenti di accompagnamento e di
realizzazione del movimento di convergenza ed elevazione. Del resto la stessa tragedia greca pare vedere – secondo
Aristotele - le proprie origini nei ditirambo dedicati a Dioniso. Il movimento del pensiero classico, che edifica
nell’immaginazione razionale, secondo una terminazione d’orizzonte e di scopo superiore, occupa lo stesso spazio ed
impegna la stessa potenza di movimento mobilitata e nobilitata dalla musica, dalla poesia e dalla ritualità religiosa.
Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Ancient_Greek_music (qui si ricorda che la regolazione “etica” dei modi musicali e

21
libera potenza materiale e naturale) – sono figure comportamentali dell’immaginario
collettivo, che stabiliscono la possibilità dell’edificazione, costruzione ed educazione
dell’identità collettiva. Ben prima della formalizzazione dei principi logico-ontologici
aristotelici (identità, non-contraddizione, terzo escluso) il quadro e l’orizzonte di senso e di
significazione della civiltà greca si era formato con questa impostazione. Aristotele ne
avrebbe reso l’estrema neutralizzazione schematica, quale fondamento scheletrico della
successiva tradizione ideologica occidentale (sino alla speculazione hegeliana).
Musica, danza, poesia celebrativa entrano e si compongono con il nuovo processo rituale
religioso greco prearcaico, mostrando senza soluzione di continuità la costituzione e
l’organizzazione di uno spazio, che viene costantemente ripreso per edificare una nuova
immaginazione razionale collettiva: ora l’astratto si separa, emotivamente e fisicamente, in
una nuova forma di esaltazione e determinazione collettiva. L’Uno necessario e d’ordine
(prima Poseidone, poi Zeus) coordina l’apparizione delle divinità che ne stanno a corollario
(da Apollo ed Artemide, ad Athena, a tutte le dodici successive divinità olimpiche),
sovraimponendosi a ciò che si viene progressivamente trasformando in base materiale
neutralizzata per l’intervento artificiale umano. Per questa ragione il procedimento di
neutralizzazione della libera e razionale potenza naturale deve assumere le caratteristiche
sacrali e religiose del mascheramento e della diversificazione, dell’occultamento e della
trasformazione. Gli istinti naturali spontanei - che in una società organizzata
orizzontalmente, nelle piccole comunità contadine, vengono riconosciuti ed organizzati
secondo un principio ed una causa legati alla libera ed eguale espressività – vengono ora
controllati e repressi attraverso il proprio uso capovolto: ciò che in precedenza consentiva
l’apertura senza limiti della propria potenza espressiva ora diviene termine divino della sua
regolazione e subordinazione, della sua determinazione. Grido ed estasi sono la nuova
materia naturale di una forma che comprende ogni cosa che vive (quale persona globale e
totale), a sua volta fondamento del riconoscimento intellettuale ed espressivo (linguistico)
collettivo, quando nome ed epiteto definiscono con piena chiarezza la sua sostanza animata,
poi collocandola nel suo luogo di provenienza (delocalizzazione). L’invocazione ed il
richiamo alle passate esperienze religiose trasferiscono ed alienano in tal modo a tale
personalità divina quella potenza che, inizialmente, veniva riconosciuta in capo alla ragione
naturale: il passo successivo, realizzato dalla dogmatica cristiana, sarà quello

delle relative formazioni emotive viene utilizzata per finalità educative o guerresche) e
http://www.thinkingapplied.com/tonality_folder/tonality.pdf (qui la musica tonale viene definita come fenomeno
gerarchico; quella atonale come continua dissonanza, che segna una differenza ed un’apertura “incomprensibile”, che a
sua volta impedisce la formazione di una direzione e di un senso per la melodia: tanto la prima verticalizza,
assecondando la formazione del motivo dalla frase musicale, quanto la seconda mantiene una relazione orizzontale di
apertura, senza fondo o principio visibile e senza termine superiore o causa d’orientamento).

22
dell’imitazione consentita dalla creazione ad immagine e somiglianza, attraverso la quale
l’uomo occidentale si appropria definitivamente ed in maniera assolutamente regolata e
controllata della potenza (funzionalità strumentale del divino, che viene alla fine
esautorato). 13 Come la potenza positiva viene in tal modo fissata, così pure quella negativa
viene riflessa a specchio (katádesis, defixio), occupando quel medesimo spazio – ora
inferiore e soggetto, prima aperto superiormente - che in precedenza costituiva l’immediata
ed inalienabile positività della potenza naturale e razionale.
Qui si inserisce la nuova funzione della purificazione religiosa. Che cos’è, infatti, la
purificazione? Perché vi è la necessità di una purificazione? Rispetto a che cosa ci si deve
purificare? Rispondere a queste domande avrebbe significato, nel mondo greco che si stava
accingendo ad entrare nella fase da noi definita arcaica, prima di tutto indicare la presenza
di una nuova necessità: la necessità della conformazione collettiva, la volontà comune di
sottostare ad un’identità che non poteva – e non doveva – essere messa in discussione, o
tanto meno poteva essere criticata od addirittura abbattuta. L’idolo ed il feticcio dell’identità
compare così all’interno della civiltà occidentale insieme all’esclusione e dannazione – se
necessario, persecuzione ed eliminazione – dell’altro e del diverso. L’altro-e-diverso
(interno ed esterno) rappresenta il nemico da combattere ed eliminare, per consentire la
conservazione della propria sicurezza e libertà. In un mondo in cui l’apertura delle relazioni
di scambio commerciale ed ideologico poteva significare la perdita definitiva di entrambe
(cfr. le migrazioni greche), un vissuto di inferiorità e di pericolo si trasforma e capovolge in
un’azione ideologica improntata alla dominazione preventiva e all’uso definitivo della
violenza. Il criterio assoluto della superiorità civile delle successive poleis greche comincia
ad affacciarsi all’interno della vita collettiva, stabilendo un grado ulteriore di dominio ed
egemonia, grazie alle forme esoteriche di religiosità e di speculazione. Questa stratificazione
sociale all’interno della vita delle comunità greche del tempo trova riscontro, riflesso e
giustificazione sovrastrutturale nelle forme religiose, artistiche e poetiche e nella
costituzione di prime linee di tendenza speculativa, che successivamente sfoceranno nelle
impostazioni orfico-platoniche. Per queste linee di tendenza speculativa la precedente
distinzione-divaricazione fra potenza positiva e potenza negativa costituiva la base per una
successiva opera di chiarificazione e definizione: ora il luogo dei “puri” doveva essere
separato da quello degli “impuri”, perché mentre i primi potevano e dovevano raggiungere
ed acquisire solamente per sé il governo e la direzione (autarchia) di una vita migliore, piena
e completa, felice e priva di sofferenze o confusioni emotivo-passionali, i secondi dovevano
rimanere a costituire il serbatoio delle energie da dirigere e determinare, rappresentando il

13
Come indicano le opere filosofiche critiche, da un lato di L. Feuerbach, dall’altro di F. Nietzsche.

23
pericolo sempre incombente ed attuale di un volgo sovversivo ed iconoclasta, in preda alla
più caotica delle confusioni passionali. Re (intellettuali e sacerdoti), aristocratici (proprietari
terrieri e guerrieri a difesa dell’ordine costituito), contadini, artigiani e commercianti,
schiavi (strumenti più o meno liberi della conservazione della vita collettiva, ordinatamente
organizzata) sono la struttura reale di quella divisione e gerarchizzazione sovrastrutturale,
progressivamente orientata verso un dominio sempre più stringente.
È questa diagonalizzazione-verticalizzazione a trovare – come è già stato espressamente
indicato – figura ed immagine rappresentativa nell’elemento acqua, inteso nella sua forza e
tendenza appunto purificatrice (nota il valore reale e metaforico delle fonti/origini montane,
termini del pellegrinaggio religioso e cultuale). 14 L’orizzonte toccato dalle fumigazioni
cultuali resta invece aperto ed imprevedibile, una forma di autoassegnazione totale alla
libertà superiore (di accettazione/rifiuto) degli dei, potenze imperscrutabili, nella loro
versione più antica anche inferiori (daímones). Il male viene così riferito e delimitato,
proprio attraverso la negazione permessa da quella diagonalizzazione. Per quanto, però,
questo taglio consenta l’eliminazione in definitiva del nemico esterno ed interno, la violenza
esercitata ed espressa in maniera incontrollata ed ingiustificata all’interno della collettività e
dovuta alla stessa origine psico-sociale della nuova sistemazione teologico-politica trova
risarcimento e risoluzione nella costituzione di un fondamento giuridico formale di tipo
religioso, facilmente riconoscibile, per esempio, nei casi di omicidio dall’appello all’oracolo
di Delfi ed alla divinità olimpica di Apollo. Insieme alla diagonale negativa: potenza
maligna → contaminazione sociale → evento disastroso, si sviluppa allora una tendenza
risolutrice, intrecciata alla prima, che attraverso la sofferenza dell’espiazione scioglie le
colpe individuali o collettive e capovolge gli esiti apparentemente infausti in eventi di
prova, di giudizio e di intervento divino. Ristabilire e ricostituire allora la situazione di
equilibrio deve essere l’effetto provvidenziale e buono della divinità stessa, che in tal modo
manifesta la propria esistenza e la propria funzione umanamente positiva, acconsentendo
alla manifesta riorganizzazione di una forma perfetta di vita civile. La morte, naturalmente,
in stato di colpa inespiata, resta quale morte definitiva, irresolubile.

D) I risultati dell’intreccio fra sacralità e purezza.


La mediazione sacerdotale. La convenzionalità della legge.
Questo intreccio fra potenza positiva e determinazione negativa costituisce l’orizzonte di
riferimento della civiltà e dell’ideologia occidentale. Limitare la potenza del negativo –
l’incontrollato esprimersi del naturale e razionale – attraverso l’utilizzazione delle sue forme

14
Cfr. Fons Castalia a Delfi, in onore di Apollo. Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Delphi.

24
estreme – accidenti climatici, epidemie, rivolte – diventa il leit motiv del potere governativo
che si va costituendo, nella sua forma archetipa. L’estremo diviene, infatti, il luogo
collettivo grazie al quale il giudizio e l’intervento di un’autorità superiore può installarsi e
dirigere l’annullamento di quelle pulsioni naturali e razionali, la cui libera espressione ne
costituirebbe – per il sistema ora in edificazione – il sommovimento e la “sovversione”.
Rimane però un punto essenziale e irrinunciabile, ineliminabile: quella potenza naturale e
razionale non si lascia rinchiudere nello specchio ed immagine del negativo. Essa stessa
capovolge la propria immagine riflessa nello specchio del potere, per indicare e mostrare
una via alternativa alla strada dell’alienazione e della violenza istituzionalizzata.
La sofferenza (individuale o collettiva) diviene infatti il segno di una colpa, la
dimostrazione di una mancanza che deve essere rovesciata, attraverso l’accettazione di
un’espiazione (ancora individuale o collettiva) ed il riconoscimento delle capacità di
intercessione del soggetto che media fra divino ed umano, riuscendo in tal modo per fede
comune a ricomporre l’unità del secondo con il primo. Ecco comparire, allora, la funzione
essenziale e necessaria dell’elemento sacerdotale: puro e semplice trasmettitore della grazia
superiore e divina – sia in ambiente greco, romano e cristiano – esso diventa fondamento
ineliminabile e termine di riferimento imprescindibile per l’atto di coesione con quella
grazia stessa. Senza la propria funzione imprescindibile di mediazione la stessa potenza
civile non può instaurarsi e dirigersi. In queste società di tipo teocratico il divino viene,
allora, ristretto nella sua funzione esclusivamente punitiva e risarcitoria: la colpa, accettata e
riconosciuta (individualmente o collettivamente), una volta sia stata giudicata ed espiata,
risolve e scioglie il negativo, capovolgendone gli esiti finali ed allargandoli all’intero
panorama civile, come atti di determinazione collettiva positiva. Convenzione, positività del
diritto e legge nascono allora proprio in questo momento, come forma di opposizione
estrema alla libera naturalità di una ragione, che lasciata nella sua potenza incontrollata si
definisce determini una rottura dei limiti e delle stesse aspettative sociali di felicità e
comune benessere. Si comprende bene, allora, perché ed in che modo il sacro fondi
l’appartenenza politica, per il tramite della delimitazione di uno spazio superiore di
intangibilità ed immodificabilità (l’eternità metafisica), in relazione al quale ed all’esterno
del quale possa essere stabilito come sua proiezione l’asse e fondamento di una rigida e
coerente politica comunitaria. In questo senso il profano sta sì al di fuori del sacro, ma viene
da esso comunque delimitato e giustificato nella sua esistenza e sussistenza.
Ma in che cosa la libera potenza del naturale e razionale quasi sembra costringere verso
l’imposizione della nuova visione ideologica? Qual è l’insoddisfazione che ne origina il
superamento tentato, a tutt’oggi ancora sospeso? Forse il problema, che ne è stato
all’origine e che ha richiesto apparentemente una tale soluzione, deve essere identificato con

25
il tentativo di “toccare il cielo degli dei” e di godere della loro stessa felicità. Un tentativo
“titanico” di giustizia. Far coerire l’uno della collettività con l’Uno superiore infinito. Far
permanere la libera espressione creativa dei singoli con la relazione che ne assicurasse il
comune equilibrio: qui nasce l’aspirazione tutta determinatrice ad un termine di riferimento
collettivo e superiore, che sia capace di inverare e realizzare nella sua forma e contenuto –
nota qui i termini come verità, realtà, forma e oggettività – la sintesi unitaria del molteplice,
la possibilità di mantenere i molti nell’uno. Per fare questo i Greci – forse per primi (ma non
mancano le influenze dall’Oriente, vicino e lontano) – hanno pensato di far trascendere
attraverso una mediazione assoluta la vita delle proprie collettività in uno spazio del tutto
immaginario, astratto e separato, ma con tutte le caratterizzazioni e gli strumenti
istituzionali necessari a farlo sembrare vero e reale: un mondo capovolto – il mondo di qui,
messo lassù - nel quale la forza, la violenza e la costrizione allo scopo, della mente e
dell’azione collettiva, possano essere definiti e determinati come la manifestazione unitaria
ed organica – ecco l’origine del logico come ontologico - del divino.
Il mondo greco si completa così con il pensiero di Aristotele, per poter cedere poi a quello
romano-cristiano la propria impostazione imperiale, attuata e ripresa oltre la fase medievale
nella costituzione materiale (commerciale e finanziaria) delle premesse nazionali dell’età
moderna, e nel finale e definitivo accentramento formale permesso dalla globalizzazione
attuale. In questo tragitto “fatale” della civiltà ideologica occidentale non è difficile scorgere
i momenti nei quali questo sentiero rischia di venire interrotto e/o rovesciato: nella fase del
pensiero pre-socratico, quando alcuni pensatori – Anassimandro, Parmenide, Anassagora,
Empedocle – denunciano con la loro speculazione la valenza alienante e violenta della
versione egemonica e riduttiva dell’intelletto; nella fase di crisi e di passaggio verso la
composizione fra la versione istituzionale dell’Impero Romano e la sorgente di
legittimazione cristiana (all’inizio del IV secolo d.C.), quando Plotino ricorda
preventivamente la valenza moltiplicativa dell’Infinito; quando Giustiniano chiude nel VI
secolo d.C. la scuola filosofica di Atene; quando durante la fase della più stringente e
combattuta ricerca di una forma di convergenza assoluta Impero e Papato nel Medioevo si
trovano a scontrarsi e a debellare insieme – come peste della fede e della ragione politica –
le forme “ereticali” cataro-albigesi; quando all’inizio dell’età moderna il pensiero di
Giordano Bruno ricorda la valenza creativa e doppiamente dialettica dell’Infinito (Spirito e
Materia), oppure quando Baruch Spinoza, i libertini e i giusnaturalisti europei sottolineano
la valenza positiva del diritto naturale, mentre Descartes recupera proprio attraverso
l’estremizzazione del dubbio (bruniano? Protestante?) l’orizzonte di determinazione classico
(il Dio che universalmente chiarifica e definisce nella scienza, o che determina oltre la
morale provvisoria ed a fondamento di questa). Oppure quando nel XIX secolo la filosofia

26
d’impianto kantiano-hegeliana viene contestata dalle riflessioni ed argomentazioni proposte
da Feuerbach, Marx e Nietzsche. Oppure quando ancora, nella crisi finale della
globalizzazione, a partire dagli inizi del XX secolo sino alla fase attuale della
globalizzazione stessa, l’assoluto del Capitale induce forme dittatoriali o di guerra
preventiva terroristica quali estremi ripari alle rivoluzioni proletarie e/o semplicemente
democratiche nell’intero orizzonte di vita del pianeta. In tutti questi momenti rispunta il
frutto – terrestre e celeste nel contempo - della libera potenza naturale e razionale, oltre ogni
coltre di maligna e violenta repressione o censura, oltre ogni tentata reideologizzazione
sacro-temporale. In tutti questi momenti rifiorisce il tentativo di mantenere aperto
l’orizzonte infinito del liberamente creativo, insieme alla consapevolezza della presenza di
un motore dialettico, che vincola con il più leggero dei nodi e appesantisce con il più lieve
dei pesi: l’unità naturale e razionale infinita dell’infinito d’amore, nella spontaneità di
manifestazione dei soggetti e nella loro reciproca, amorosa, eguale libertà (nella natura e
nella ragione). Pace e giustizia, allora, non rappresentano più il termine di sicurezza di un
ordine costituito, quale garanzia nei confronti dell’aumento della complessità economico-
sociale, quanto invece il potere costituente di una potenza democratica ed inalienabile, che
rinnova i fasti delle antiche forme religiose e sapienziali (collettivamente contadine ed
agrarie), senza procedere alla costituzione di alcun nefasto, di alcuna negazione in forma di
tabù, proprio in quanto qui ed ora il negativo semplicemente non compare. Né nella forma
del soggetto (naturale o razionale) che debba essere subordinato, controllato e dominato nei
suoi fini e scopi (preventivamente giudicati potenzialmente dannosi se liberi); né nella realtà
e verità di un ordine oggettivo – nel senso sia dell’oggetto (soggetto) ordinante, che in
quello dello scopo oggettivo (universalmente soggettivo) - che debba restare limitato,
confinato, separato ed altro, in modo superiore, nella propria potenza rispetto alla necessità
prioritaria di quella subordinazione, controllo e dominio (resi reali con un giudizio ed atto
negativo preventivo).
Il giudizio e l’atto negativo preventivo gettano, infatti, sia la natura che la ragione
rispettivamente: 1) nell’abisso senza fondo di un potere infernale e dannoso, potenzialmente
esiziale; 2) in una forma di esaltazione collettiva od individuale superiore (con sacrilegio del
divino) egualmente negativa, perché indirizzata e guidata da finalità e scopi di sovversione
ed eversione dell’ordinamento costituito. Queste due caratterizzazioni del naturale e del
razionale trovano in ambiente greco prearcaico le proprie identificazioni immediate, forse
sotto l’influsso di impostazioni care alle civiltà mesopotamiche e mediorientali, in “ciò di
negativo e mortale, che può provenire dal di sotto, dal mondo ctonio (acque e arie
avvelenate)” e in “ciò che può provenire dal mondo celeste (influssi negativi astrali).” Due,
allora, saranno le contromisure allestite dal sistema ideologico occidentale in via di

27
formazione, per contrastare questi pericoli e così giustificare la propria presenza, il proprio
valore e capacità e – se necessario – la propria forza e violenza statuale: 1) l’aspersione
sacra di acqua e aria “benedette”, con virtù purificatrici e positive (vedi l’uso di profumi
come l’incenso e la mirra, con virtù disinfettanti, farmacologiche o conservanti);15 2) la
costruzione di un elaborato sistema di previsioni astrologiche (e di correlati, necessari,
comportamenti umani).
La necessità stringente di obbedire a pratiche religioso-superstiziose, del resto, accomuna
molte fasi della storia umana (cfr. il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro), anche delle
più recenti (cfr. le attuali forme di idolatria personale, in ambito religioso od anche laico e
profano), quando la sistemazione organizzata dei poteri religiosi e politici, economici e
sociali, che governano e guidano le collettività umane rischiano di entrare in crisi per il
prorompere o sopraggiungere di “potenze”, che moltiplicano la diversità naturale e
razionale, riaprendo la possibilità di manifestazione dell’infinito creativo e dialettico.
Il sangue del sacrificio deve pertanto allontanare il celebrante dal sangue e dalla morte
presenti in vita, per consentirgli di elevarsi in una condizione di superiorità, nella quale e
dalla quale potrà sporgersi, per trattenere e salvare la comunità dei fedeli dai rischi sempre
incombenti delle potenze negative. In questa situazione di mezzo, fra divino ed umano, il
celebrante interrompe (o regola in modo diverso ed alternativo) il flusso vitale e dialettico
delle forze elementari concrete - legate all’alimentazione, alla sessualità ed alla morte – per
risorgere a nuova vita, ad una vita separata, senza più pericolo di morte e con un circuito di
energie separato (estasi), che gli consente di rimanere a contatto con il divino. Verginità ed
immersione in acqua consentono il mantenimento di questo contatto, con la facile e
popolare figura della sospensione o con le molto più difficili ed elitarie tecniche di
concentrazione e rilassamento (cfr. le influenze semitiche ed indiane). Entrambe operano il
distacco, che viene segnato dall’accompagnamento di una nuova corporeità apparente (da
una nuova “vestizione”): qui anche gli altri elementi concreti aiutano nell’opera di
sfoliazione o disincarnazione. Il fuoco aiuta a distruggere il corpo mortale, per poter
mostrare al di là del velo costituito dall’immagine immediata e sensibile l’acquisizione di
quello immortale (cfr. i miti di Eracle; Demetra e Demofonte). L’aria del vento e la terra
argillosa spalmata sul viso e poi frizionata via rappresentano altrettanti usi tesi
all’eliminazione allegorica dei componenti materiali, per mostrare la pienezza della potenza
dello spirito rinato. Il contatto con il ciclo reale della vita terrestre – il ciclo annuale –
impone, però, che una vera e reale ripetibilità della rinascita stessa possa avvenire solamente

15
Il negativo del míasma (della contaminazione attraverso l’aria) poteva comprendere tutti gli atti più vitali: nascere;
avere rapporti sessuali per una positiva generazione; conservarsi in equilibrio senza entrare nelle logiche che conducono
alla follia ed all’omicidio; morire allontanando da sé il pericolo definitivo di una colpa inespiata.

28
dopo un annullamento totale delle forme concrete di devozione precedenti: solo
l’annullamento del passato del rito consente la sua presenza ripetuta nel futuro, in un senso
sempre nuovo e gioioso.

E) I luoghi del sacro. Santuari ed altari.


Come l’incrocio e la fusione della potenza di Hera e la forma o l’atto determinativo e
direttivo di Poseidone garantivano, tramite la figura realizzatrice di Persefone, la
composizione fra la creatività naturale della terra e la giusta distribuzione delle terre e dei
campi, con l’annessa regolazione comunitaria dei frutti risultanti, così la suddivisione
(impartizione) della benedizione divina che procede dall’alto del termine divino (nei diversi
santuari di Apollo, Artemide, Athena, o Zeus che tappezzano il territorio greco) rappresenta
la possibilità e la necessità che la massa popolare delle diverse comunità greche ascenda,
trascenda e trasfiguri (purifichi) la propria potenza collettiva, giungendo al termine positivo
e definitivo della propria vita sociale. Questo punto rappresenterà senza soluzione di
continuità il principio costante della ripresa e dello svolgimento annuale della vita
comunitaria, o delle sue fasi più importanti (semina-vegetazione-raccolto). In tal modo è
questo schema ideologico a riconoscere al paesaggio destinato alla sacralizzazione di un
santuario posto in un luogo sopraelevato la forma corretta ed adeguata, giusta, per la
molteplicità delle funzioni che deve svolgere, espletare e portare a compimento (elevare
accogliendo, ristorare il corpo e la mente, guidarle e dirigerle nel momento della rivelazione
misterica od oracolare, favorendo la memoria nella ridiscesa al mondo usuale e quotidiano).
Diversamente i luoghi campestri o palustri ameni, lontani o strani (Cfr. Dioniso), potevano
rappresentare la persistenza degli antichi schemi religiosi, più vicini alla forma di
estraniazione collettiva collegata ai riti della Grande Madre (poi De-meter; il culto delle
pietre 16 e degli alberi 17 posti al centro del santuario).
Lo spazio definito dal sacro, sia esso esteso in senso verticale (secondo il tendenziale
sviluppo olimpico-orfico), oppure allargato in direzione orizzontale (secondo la permanenza
sotterranea del culto dell’originario), consente alla mente umana di fornire a se stessa una
prima forma di rappresentazione del mondo. All’interno di questa, poi, il centro e
l’elemento essenziale, che deve costituire il fondamento per l’edificazione cultuale e
religiosa – l’altare – viene a raffigurare una fase ulteriore della rappresentazione stessa:
come si diceva in precedenza, una rappresentazione all’interno della rappresentazione. Una
rappresentazione che concentra e focalizza la mente in un luogo elevato, ad di sopra del

16
Come al centro dei santuari eleusini. Ricorda la pietra a forma di ombelico di Delfi (omphalós).
17
L’olivo caro ad Athena sull’Acropoli ateniese; la palma dedicata ad Apollo e ad Artemide a Delo; il salice di Hera a
Samo; la quercia di Dodona; i diversi boschi sacri (p.es. ad Olimpia).

29
quale disporre il segno concreto ed allegorico del fuoco trascendente ed accanto al quale
accostare e comporre la figura e l’immagine del divino, la sua controfigura: il celebrante.
Oppure una rappresentazione che fa esplodere la creatività collettiva nel rito orgiastico,
quando la sessualità collettiva imita la furia creativa del principio originario. Tanto la prima,
quanto la seconda serie autorappresentativa forniscono alla mente umana un modo per
penetrare nel mistero della vita in generale e della sua conduzione, regolata ad ogni passo
oppure libera ed apparentemente disordinata. Nel primo caso diventa necessario identificare
materialmente e formalmente l’elemento e lo strumento essenziale – la pietra, l’albero ed il
celebrante – nel secondo caso, invece, non si può, né tanto meno si deve isolare e dislocare
in posizione visibile alcun rapporto (elemento-strumento) essenziale: a pena di perdere il
contatto con ciò che rimane abissalmente lontano dalla vista, perché vicino al cieco ed
intimo desiderio (eros). Nel primo caso si crea la sussistenza di un perno di rotazione, di
trasvalorazione e modificazione della vita collettiva; nel secondo caso, invece, non pare
possibile sospendere alcun gesto edificatorio, edificante una forma educativa separata ed
astratta. Il cieco desiderio resta muto nel grido espressivo immediato. Non v’è sviluppo
lineare e determinativo, manca la finalità di un discorso o di un calcolo preventivo e
predittivo. Non esiste alcuna modulazione linguistica capace di entrare in rapporto con
l’altro e di ricevere dall’altro un contenuto oggettivato (identificato e distinto). Salta la
comunicazione fra pari, che viene sostituita dall’uso reciproco e feroce. Il richiamo alla
libertà eguale non ha il sostegno del rispetto e della stima reciproca. L’animalità pare fare da
preda l’uno all’altro.
Così alla ferocia reciproca dei primi riti religiosi – gli atti sessuali collettivi, con furia
quasi antropofaga (cfr. i miti dei Centauri e la Centauromachia, i miti delle Amazzoni e la
Amazzonomachia, i miti relativi ai Giganti ed ai Titani con la relativa Gigantomachia) 18 – la
progressiva civilizzazione umana ha ritenuto di ingraziare ed ingentilire la relazione

18
Da http://it.wikipedia.org/wiki/Partenone. “Il Partenone è un Tempio dorico ottastilo e periptero con caratteristiche
strutturali ioniche. Le novantadue metope doriche (realizzate da Fidia e da suoi allievi) furono scolpite come
bassorilievi. Le metope, concordando con i registri degli edifici, sono datate come degli anni 446-440 a.C.. La loro
progettazione è attribuita allo scultore Kalamis. Le metope del lato est del Partenone, sopra l'entrata principale,
raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano
l'Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud — con l'eccezione di
13-20 metope piuttosto problematiche, ormai perdute — mostrano la Centauromachia Tessala. Sul lato nord del
Partenone, le metope sono poco conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.”
La costruzione del Partenone sull’Acropoli ateniese pare obbedire proprio allo schema visivo della diagonalizzazione-
elevazione, con il punto di visione sulla collina di Pnice ad ovest e la disposizione elevata verso est dell’intero santuario
dedicato ad Atena; la porta ad est era poi la porta d’ingresso, rivolta al sorgere del sole e all’entrata del divino (ad est
era pure disposto l’altare esterno). Coincidenza ulteriore, non certamente causale, il fatto che le metope accolgono la
rappresentazione delle vittorie della civiltà ateniese su Giganti, Centauri ed Amazzoni: divinità,
semidivinità/semibestialità, popolazioni eroiche femminili legate essenzialmente al culto della Grande Madre, quindi a
quella formazione religiosa di tipo epifanico, che la successiva fase classica greca cercherà di superare ed estinguere. In
questo modo l’edificio del Partenone diventa lo snodo essenziale per l’appropriazione culturale del territorio ateniese,
secondo la quattro proiettate direttrici geografiche (verso est, verso ovest, verso il nord più vicino e verso il nord più
lontano).

30
orizzontale fra i soggetti umani, impedendo la reciproca ferocia dell’appropriazione
esclusiva e donando alla vista interna dell’immaginazione razionale una forma ed una
materia mimetica, un nuovo oggetto e specchio per la propria riflessione ed
autodeterminazione. La coscienza infinita ed universale: il riconoscimento della presenza in
se stessi di un movimento dialettico verticale (dover-essere-per-sé) ed orizzontale (dover-
essere-per-l’altro). Solamente questa nuova ragione consente all’umano la sostituzione del
precedente negativo con un opposto totalmente positivo, aprendo alla forma di una
rivelazione epifanica completamente benefica, nei suoi atti creativi (generazione) e nella
reciprocità delle sue relazioni (etica). Solo l’atto che distoglie da questa libertà eguale ed
amorosa, concentrandone e soprattutto selezionandone e graduandone il possesso, consente
quel passaggio ulteriore di civiltà, che si pretende continuamente come superamento (la
tendenza orfico-platonica, ancora presente e dominante ai nostri tempi). Prima della
graduazione progressiva della società greca in classi (al tempo di Platone e di Aristotele), il
rapporto di concentrazione verteva fra la controparte divina e la comunità dei fedeli, guidata
e diretta dalla mediazione sacra rappresentata dal celebrante, strana figura di passaggio ad
unire due mondi opposti, mezza divina e mezza umana (cfr. l’ironia aristocratica nei
confronti dei satiri, mezzo umani e mezzo animali, maschere sarcastiche dei riti e dei culti di
antica tradizione naturalistica). Con la diagonalizzazione e l’elevazione al termine divino
proposta dalla religione olimpico-orfica si dà atto quindi alla separazione ed all’astrazione
dalla primigenia fonte primitiva, dall’originario naturale e razionale: si dà atto al distacco –
definitivo per l’ideologia occidentale – dall’eguaglianza naturale, per la determinazione di
un’eguaglianza formale sotto la potenza e le ali dello Stato (l’aquila, immagine di Zeus).
L’altare (bomós) nel santuario (temenós), insieme all’immagine sacra del dio (hédos
inamovibile – cfr. la platonica ed aristotelica éidos – il dio-guerriero negli xóana)
conservata nel tempio (naós), dà concretezza materiale ed architettonica a questo schema
diagonalizzante e di elevazione-trasfigurazione. Costituisce la fase finale del processo di
autorappresentazione di una ben precisa forma culturale: esso è lo schema ideologico
generale, che farà da sfondo al presupposto teologico, politico e naturale della civiltà
occidentale, sino ai nostri giorni. Con un passaggio in più: dalla fase di celebrazione
all’aperto, naturalistica, si passa a quella all’interno, più vicina a forme di rappresentazione
astratte, separate. Consapevolmente rappresentative e distaccate: soprattutto dalla propria
origine. Così, da un lato, si può avere la nascita del teatro, dalle gradinate disposte attorno
all’altare; dall’altro, la formazione di una modalità di culto più privata ed individuale, più
intima e riservata. Quasi come in una diversa speciazione evolutiva animale.

31
F) I luoghi del sacro. Templi e immagini sacre.
L’immagine sacra del dio nel tempio dà dunque rappresentazione ad una fase ulteriore nel
processo di ideologizzazione greca: quella nella quale il termine divino non è più
all’esterno, ma viene al contrario chiuso all’interno di un orizzonte limitato, a costituire quel
perno determinante che facilmente preparerà la strada ad una trasfigurazione politica in
senso autoritario. Ora le figure del dio (Apollo, Artemide, Athena), del sacerdote e del re si
avvicinano e compenetrano a tal punto da non lasciare che un limitato movimento di
continuo ritorno al rapporto od alla triangolazione da loro stessi instaurata. Non è un caso
allora che Poseidone e Zeus 19 non si lasciassero completamente ingabbiare in questa forma
di autorappresentazione del potere assoluto umano, conservando e riaprendo l’orizzonte di
libertà caro alla determinazione degli dei olimpici ed invero sottoponendo a critica la tentata
espropriazione umana (hybris titanica) di quelle potenze, che dovevano rimanere in mano
solamente agli dei. Di qui quella critica iconoclasta che ogni tanto prorompe nella storia
della religione occidentale, orientale, mediorientale ed arabica (ebraismo, islamismo). Nel
contesto storico rappresentato dal periodo di passaggio all’età arcaica greca non è forse
disdicevole rammentare che la critica all’impossessamento umano della potenza potrebbe
identificarsi non solo con il voluto depotenziamento aristocratico della figura assolutistica
del re (d’influsso orientale: vedi Egitto, Mesopotamia, Fenici, Ittiti), quanto pure con la
desiderata e tenace conservazione di quelle forme rituali e mitiche, che volevano rifarsi ad
un culto aperto della Grande Madre, secondo una concezione immanente che valorizzava le
forme cultuali collettive di tipo larvatamente democratico (culti agrari, poi in onore di
Demetra, Hera e Dioniso).
Lo sguardo dal punto diagonale ed elevato forgerà di sé la futura posizione religioso-
speculativa orfico-pitagorica e platonico-aristotelica, quando l’orizzonte del divino si
riaprirà verso l’apparente limitazione misurante dell’ordine e della proporzione,
dell’accostamento limitato e determinato, allorquando “i molti” saranno comunque retti e
governati unitariamente, tramite una particolare convergenza di poteri (di iniziativa
legislativa, approvazione legislativa, applicazione legislativa). La rievocazione
dell’abissalità nella natura e dell’infinito del pensiero – cfr. gli Ionici, le coppie Eraclito-
Parmenide e Anassagora-Empedocle - era in quel momento già stata superata, occultata e
sovraimpressa dal nuovo schema immaginativo e razionale, destinato a fare la fortuna della
civiltà ideologica occidentale. Prova concreta e dimostrazione dell’applicazione di questo

19
Burkert, Walter. Cit., pag. 136: “Come l’architettura templare raggiunge il suo apice, e in certo senso un epilogo, con
il tempio di Zeus ad Olimpia – verso il 460 – e con il Partenone nell’Acropoli di Atene, consacrato nel 438, così le due
sculture crisoelefantine di Fidia, l’Atena Partenos dell’Acropoli e lo Zeus di Olimpia, erano già anticamente considerate
l’apogeo di tutta l’arte religiosa greca. Lo Zeus di Fidia in particolare ha improntato per secoli la concezione scultorea
del dio; perfino un comandante romano rimase atterrito di fronte alla sua maestà.”

32
schema è, del resto, come già osservato, il modo con il quale è stata disposta l’edificazione
del Partenone sull’Acropoli di Atene, con il suo punto di vista ad ovest sulla collina di
Pnice. A sottolineare, poi, come e quanto questo schema volesse fortemente superare,
occultare e nascondere, proprio tutti i possibili culti fondati sull’osservanza della grande
Dea Madre, stanno i racconti in bassorilievo esposti tramite le metope dello stesso santuario
ateniese, dove vengono celebrate le vittorie ateniesi su Giganti, Amazzoni e Centauri.
Il nuovo potere democratico ateniese
dell’età di Pericle separerà e
capovolgerà lo spazio di
rappresentazione del potere tirannico-
popolare del secolo precedente (cfr. i
Pisistratidi), garantendo l’unità politica
tramite una triade aperta (iniziativa,
approvazione e controllo
dell’applicazione legislativa), e

Acropoli di Atene: Propilei, Tempio di Atena Nike, Partenone


conservando tramite la loro astratta
fissazione istituzionale il distacco da
forme di convergenza immediata dei tre poteri. In questa forma rappresentativa di secondo
livello viene, pertanto, demolita la precedente convergenza autoritaria, mentre resta sempre
sullo sfondo la possibilità di forme democratiche più radicali, sospinte dalla riesumazione
degli antichi riti agrari collettivi.

G) Il sacerdote.
Nelle società orientali (Persia, Egitto) l’elemento di snodo, di accesso al divino, e nel
contempo lo strumento posto nelle mani e nelle eventuali decisioni antropomorfiche della
divinità, è il soggetto sacrificante. Egli amministra il culto e ne governa le azioni in nome
della collettività, per ricevere quella trasformazione reale della vita collettiva, che la
preghiera induce solo potenzialmente. Egli, dunque, è un coadiuvante necessario ed
essenziale – insieme alla pietà popolare – perché il dio accolga e senta su di sé
favorevolmente le richieste dei mortali. Egli incarna e trasmette il divino, come veicolo e
strumento assoluto della volontà della divinità stessa: perciò è mago, in quanto riesce in
quella trasformazione.
Nella Grecia prearcaica non si è ancora giunti né alla trasmissione in senso lineare e
determinativo di una dottrina mitologica universale (per il tramite di un testo sacro), né alla
costituzione di un corpo speciale ed organizzato che rappresenti una mediazione assoluta al
e dal divino (Chiesa gerarchica). Non pertanto manca il senso generale di una dialettica

33
verticale – come abbiamo già osservato – come pure il senso di una necessità
orizzontalmente condivisa (nómos): l’inizio, il mezzo ed il fine dell’esercizio cultuale resta
in mano a chi ha già dimostrato laicamente di possedere una speciale potenza sociale e/o
economica. Ma la proprietà del santuario resta in mani divine: come l’atto e la potenza del
dio non dipendono in alcun modo dalle volontà o dai desideri e richieste dell’uomo, così la
sua stessa manifestazione si deve realizzare in un luogo, che non possa dipendere dalle
volontà direttive e di finalizzazione umane. Il guardiano di questa delimitazione, senza
alcun interesse personale o di casta in questo servizio, è lo hiereús (o la hiéreia): il
sacerdote o la sacerdotessa (che può essere carica trasmissibile, soprattutto nelle più antiche
famiglie aristocratiche). 20 Una certa forma di elevazione e di trasfigurazione sarà però poi un
tratto dell’evoluzione della cultura religiosa greca, da Omero sino all’età classica, quando il
sacerdote verrà considerato con il rispetto e l’onore dovuti ad un “dio fra la gente”. 21

H) Le processioni religiose e la loro funzione.


La linearità determinativa che manca ad una eventuale trasmissione dottrinale religiosa è
invece ben presente a scandire il passaggio del tempo annuale, che viene organizzato dalla
celebrazione delle feste religiose, a loro volta capaci di segnare in modo emotivamente e
razionalmente significativo l’andamento ciclico delle stagioni naturali o lo sviluppo degli
esseri umani. Nell’esaltazione la gioia e l’orrifico costituiscono i due estremi opposti del
movimento emotivo dei singoli e della collettività, i termini fra i quali oscilla continuamente
l’animo dei concelebranti. Il termine indisponibile e quello al contrario favorevole
costituiscono insieme l’atto di un processo – cfr. il movimento concreto della processione
(pompé), poi via sacra - dialettico, nel quale ciò da cui ci si sottrae continuamente spinge
verso uno scopo opposto e rasserenante, chiaro e razionale, riconoscibile ed attendibile da
tutti e per tutti.
È in questo modo che nasce e si forma, si afferma, la mentalità progressiva: il soggetto
collettivo, attraverso il superamento di prove di difficoltà crescente, riesce a raggiungere un
grado di stabilità maggiore, un ambito vitale di felicità più grande e migliore. Nasce
l’immagine aperta di una potenza collettiva capace di assicurare la felicità ed il benessere,
quando l’atto finale religioso può compiersi (il sacrificio). Ecco allora formato lo spazio e la
struttura mentale, che si esprimeranno nella futura definizione dei concetti fondamentali
aristotelici: quello di potenza, e quello superiore di atto, nella sua realizzazione finale.
Attenzione pure al peso del fatto strumentale iniziale e finale, rappresentato operativamente
rispettivamente dal sacerdote e dalla vittima sacrificale, poi adottati, importati e trasfigurati

20
Ibi, pagg. 142-143.
21
Omero, Iliade, 16, 605.

34
nella logica determinista del primo pensiero cristiano, che vedeva nel sacrificio del Cristo la
via necessaria per la salvezza dell’umanità.

I) Nelle processioni religiose: il canto e la danza.


Come il santuario definisce spazialmente all’interno della rappresentazione religiosa
emergente il termine sacro di riferimento (essenziale ed elevato) e la processione religiosa il
necessario procedere temporale verso di esso, dimostrando la necessità di allontanarsi da un
luogo e da una potenza nei cui confronti viene esercitato il sacro potere del terrore e della
maledizione, così le nuove danze (chorós), i nuovi canti e le nuove musiche, approntate
grazie a nuovi strumenti musicali (aulós, kithára, lyra), definiscono il corredo necessario
allo sviluppo del loro intreccio, alla congiunzione fra la dimensione spaziale e quella
temporale. Bandito l’uso delle percussioni, troppo vicine al modo antico di immedesimarsi
con il divino, alla penetrazione nella stessa potenza terrestre ed ai relativi culti della Grande
Madre, la nuova danza, la nuova musica, il nuovo canto e la nuova poesia religiosa
esprimono progressivamente il distacco dall’antica e terribile potenza naturale, costruendo
degli spazi culturali astratti, nei quali la felicità immediata del contatto movimentato con il
divino trova espressione corporea collettiva nella danza, mostrando un’apertura emotiva e
razionale comune, all’interno della quale l’espressione musicale svolge la funzione della
direzione del ritmo e della ripetizione finalizzata, mentre il canto unisce l’azione verbale
come accompagnamento dell’umano, in una sua prima versione razionale, oltre
l’espressione immediata della corporeità, laddove la successiva poesia religiosa compone
musica e canto nella definizione dell’orizzonte di determinazione comune, nella
determinazione dell’ideologia religiosa di riferimento. In tal modo l’orizzonte delle nuove
potenze olimpiche riesce a sovrapporre la virtù della propria determinazione ideologica,
tramite la rotazione progressiva ottenuta dall’inserzione dei nuovi schemi di movimento – la
danza e la musica secondo il concetto di una finalità operativa – e di astrazione – il canto e
la poesia – occultando, appunto per sovrapposizione, lo spazio ed il tempo organizzati dalla
precedente determinazione religiosa. Lo spazio inamovibile dell’origine ed il tempo
eternamente presente della creatività naturale, che utilizzavano modalità espressivo-cultuali
completamente aperte, innestando la propria giustificazione razionale nell’atto della
liberazione comune (la sessualità orgiastica e l’immedesimazione con le potenze creative
della terra), capace a sua volta di dare sostegno ad una potenza d’orizzonte – ad un cielo
luminosamente e celestialmente aperto – che costituisce l’unico principio e l’unica causa
motrice del pensiero e dell’azione dell’uomo.
È facile osservare di conseguenza come, nel momento in cui comincerà a sorgere quella
particolare e specialissima arte dialettica successivamente definita - da Pitagora – come

35
filosofia, le prime correnti speculative si collegheranno alla trasmissione – si potrebbe dire,
in forma quasi laicizzata – delle prime forme creativo-dialettiche religiose: Talete,
Anassimandro, Anassimene appoggeranno e renderanno comprensibili le proprie riflessioni
all’interno dell’orizzonte di senso edificato da quelle forme religiose. Al contrario, il
prorompere dall’oriente dell’Orfismo e la sua influenza sulla filosofia pitagorica, oltre a
modificare e capovolgere di senso e di significato i precedenti culti dionisiaci ed eleusini,
costituirà il nuovo orizzonte di riferimento per la speculazione successiva di Platone ed
Aristotele, che dovranno infatti scontrarsi con tutti i problemi logico-ontologici presenti nel
loro tentativo di superamento delle speculazioni della coppia Eraclito-Parmenide, venendo a
loro volta contrastati prima dai lasciti delle speculazioni di Anassagora ed Empedocle, poi
dai contenuti coevi espressi dagli atomisti: Leucippo, soprattutto Democrito, al quale
Platone plagia i riferimenti intellettuali, censurandone poi la stessa esistenza; per non dire di
Epicuro e della successiva trasmissione latina delle sue teorie, tramite Tito Lucrezio Caro ed
il suo De rerum Natura.
Come si vede, questa opposizione fondamentale non può non rappresentare una facile
premessa per la successiva evoluzione della storia del pensiero in Occidente, quando il
nuovo pensiero cristiano utilizzerà proprio l’impostazione e la proposta platonica per
combattere la propria battaglia culturale contro le residue posizioni immanentiste, riuscendo
poi grazie a Tommaso d’Aquino, alla fine del periodo aureo del Medioevo, a reintegrare lo
stesso Aristotele in una visione neoplatonica, estendendo in tal modo almeno
potenzialmente il dominio della propria egemonia culturale su tutti i principali centri
europei di produzione della conoscenza (Parigi, Oxford) ed accostandosi ad un utile
confronto con la speculazione araba. La stessa successiva divisione in campo cristiano fra
cattolici e protestanti pare essere legata all’accentuazione della prospettiva determinista,
contro quella legata alla valorizzazione delle finalità e degli scopi operativi, in uno scontro
fra due corni di un dilemma che può nascere comunque solo all’interno del predominio del
punto di vista della trascendenza su quello dell’immanenza. L’immanenza verrà riscoperta
dalla speculazione di Giordano Bruno e trasmessa attraverso Spinoza a tutta l’evoluzione
moderna del pensiero e dell’azione occidentale, mentre Cartesio e lo stesso Leibniz
cercheranno di non uscire dal presupposto teologico-politico tradizionale. La corrente
idealistica tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel) si scontrerà proprio su questo piano di
battaglia con la successiva speculazione marxista, mentre una più approfondita ricerca e
scoperta dei temi cari alle filosofie presocratiche ed alle religioni dionisiache porterà dopo
Nietzsche – ancora ancorato alla preziosità della forma espressiva apollinea - ad una
successiva rivalutazione del primitivo e dell’espressione spontanea, ad di fuori dei canoni
culturali tradizionali. L’avventura coloniale europea, la scoperta di popolazioni e culture

36
diverse da quelle occidentali, il prorompere del primo conflitto mondiale, la reazione delle
successive costituzioni totalitarie e il secondo scontro europeo e mondiale per il controllo
egemonico ed imperiale sulle risorse del pianeta, sono il modo attraverso il quale la civiltà
ideologica occidentale stringe le fila di un ordine assoluto, fondato sul primato indiscutibile
del Capitale (economico e finanziario, oppure sociale), mentre dalla realtà storica,
geografica e persino scientifica riemerge con forza la possibilità del creativo e del dialettico,
in ambito sia naturale che razionale, con le scoperte evoluzionistiche in campo biologico,
con la rottura dell’unità del soggetto conoscente e la moltiplicazione delle prospettive di
ricerca non corpuscolari nella micro e macrofisica, con l’emergere delle avanguardie
artistiche e politiche rivoluzionarie. Dopo la contesa fra Capitale sociale e finanziario,
l’ultima fase del processo ideologico occidentale, la globalizzazione, si serve delle linee
guida conclusive elaborate sull’uomo e sulla natura dalla scienza positivista e a-dialettica
contemporanea (quando non dalla teologia dogmatica tradizionale), mentre il creativo e
dialettico riemergono a livello planetario sia a livello teoretico, sia a livello pratico, con
impostazioni scientifiche che fanno largo uso del concetto di relazione e tolgono l’antico
ordine attuale e finalistico di matrice aristotelica (in ambito fisico, biologico, psicologico e
sociale), e con impostazioni (teologico)politiche che fanno riguadagnare alle collettività
oramai planetarie il senso ed il gusto della vita libera, fraterna ed eguale.
Agli inizi di questo lunghissimo tragitto la trasformazione in senso olimpico della
religiosità greca cerca di occultare il senso religioso precedente, legato alla terra ed alla sua
potenza naturale, sostituendo alla visione ed attenzione immediata l’autocircolarità naturale
con lo sviluppo lineare determinato, diviso e scandito da fasi e finalizzato. Qui il canto (o la
poesia sempre nuova – la lirica corale - del poietés) e la danza si restringono a commento
del tragitto verso il sacro: il canto segna il procedere delle fasi, mentre la danza finale
celebra l’apoteosi del dio. Qui salti e movimenti concentrici o frontali, organizzati ed
ordinati, sostituiscono l’agitazione e la frenesia dei movimenti istintuali, sublimandoli. Non
è allora difficile collegare questa razionalizzazione e finalizzazione del movimento con le
feste atletiche di Olimpia (la prima Olimpiade è del 776 a.C.; l’imperatore Teodosio le vieta
nel 394 d.C., quando le feste religiose cristiane diventeranno la norma politico-culturale
dell’Impero romano). Allo stesso modo non è difficile comprendere la ragione per la quale
la competizione entri nella rappresentazione della
stessa funzione religiosa.

L) Nelle processioni religiose: la sessualità.


Penetrare nella potenza naturale, nelle sue diverse
manifestazioni, immedesimandosi con esse ed

Firenze, Uffizi, Caravaggio. 37


Scudo di Atena con la testa della Medusa, 1590.
assumendone l’identità: questa è forse la ragione dell’uso di maschere animali nelle antiche
celebrazioni religiose greche, che mostrano in tal modo una ulteriore e primitiva forma di
contatto e possesso con e della divinità. Un possesso che non poteva non essere totale,
immediato e completo, senza residui e pieno di libertà espressiva: per questa ragione la
liberazione delle pulsioni sessuali consentiva a uomini e donne di entrare, attraverso lo
strumento espressivo privilegiato dal dio (l’atto o lo strumento stesso della generazione),
nella potenza stessa del dio. Questa molteplicità direzionata in ogni dove doveva però essere
superata e sradicata – cfr. il mito di Perseo e della Medusa (e di Pegaso) – se si voleva
percorrere il sentiero ideologico, che attraverso il linearmente determinativo, conduceva
all’atto finale. Per questa ragione il movimento dialettico, che diede origine allo sviluppo
dell’anima separata, venne fatto coincidere con il termine divino superiore, originando in tal
modo l’immagine e la figura superiore della determinazione assoluta, dell’intelletto teorico
e pratico (Apollo ed Artemide, figli di Zeus, come Athena, che esce per riflesso ed armata
dalla sua testa). Ora l’anima e l’intelletto sono separati dalla potenza naturale e definiscono
insieme l’orizzonte superiore del razionale.

M) Nelle processioni religiose: l’agonismo.


La competizione nella corsa per l’acquisizione del termine finale deve essere nei diversi
ambiti della civiltà greca la realizzazione dell’atto sacrale: la potenza del dio viene verificata
nell’atto di benedizione associato al vincitore, 22 che vince non per sé, ma per il dio stesso. In
questo modo si realizza la selezione del migliore, del più adatto a rappresentare
umanamente le qualità stesse del dio. L’intelletto teorico non è quindi mai disgiunto da
quello pratico (Apollo ed Artemide sono gemelli), mentre la finalizzazione (Athena) emerge
su tutto. Nello stesso tempo la vittoria viene vissuta come vittoria sulla potenza della morte,
come capacità di riemergere dal mondo degli inferi, per distaccare un piano di perfezione
umana, garantita nelle sue finalizzazioni e realizzazioni dal dio superiore. Si costruisce qui,
ora, lo spazio per l’intervento divino, garante del fine e della realtà. Nell’epoca successiva
del pensiero cristiano questo spazio sarà occupato dalla questione problematica della grazia
e delle opere, mentre nella fase moderna a noi vicina la laicizzazione della competizione
religiosa svolgerà il ruolo della gara dei capitali finanziari, finalizzata alla realizzazione del
massimo profitto possibile per le nuove “potenze celesti” delle corporazioni.

22
Feste Olimpiche, Pitiche a Delfi, Nemee per Zeus, Giochi istmici a Corinto per Poseidone.

38
N) Nelle processioni religiose: l’entusiasmo e l’emozione.
L’impossessamento del dio (éntheos) è la penetrazione all’interno della sua potenza libera,
priva di legami e di relazioni esteriori: è il congiungimento con l’originario creativo, con la
fonte sotterranea di ogni manifestazione e produzione, naturale ed umana. Per questo
motivo ogni atto che circoscrive la potenza divina ripiomba nella sua stessa capacità
espressiva e determinativa immanente. Ogni atto di corteggiamento della potenza divina
diviene suscitazione – resuscitazione – del suo atto aperto di potenza, della sua capacità
espressiva e creativa. Ciò comporta inevitabilmente la necessità di una dilatazione del
proprio stato d’animo, per potersi inserire in tale apertura in divenire come strumento
dell’elevazione stessa del divino. Figlia delle capacità umane, questa elevazione sopporta il
divino, come potenza separata. È nel momento in cui si dà atto a questa separazione, che la
precedente potenza viene estratta ed astratta: come posta in una delimitazione d’orizzonte
superiore, determinante. Restare fuori (ékstasis) è allora cercare di rimanere dentro questo
nuovo spazio, che è stato immaginato e creato: lo spazio nel quale il divino compare e dà
manifestazione di sé e della propria presenza come determinazione superiore, ineliminabile
ed assoluta (katéchei). Evoluzione, fondamento ed elevazione, estraniazione – essere altro a
se stesso, in balia di un Altro enormemente più grande e potente, schiacciando il furore con
la follia (manía) - diventano conseguentemente le fasi di un processo attraverso il quale
l’iniziale potenza materiale prende vita e si aliena, grazie alla autostrumentalizzazione
dell’umano. In questo procedimento di autostrumentalizzazione l’umano costruisce
l’orizzonte della propria comprensione (teorica, artistica e pratica): facendosi misura
misurata, costituisce il principio della eterodeterminazione e muove la propria ricerca
all’apprensione della forma determinativa divina. È in questo modo che la terminazione
divina emerge quale anello e gancio di una disposizione diagonale, grazie alla quale la
predeterminazione divina si svolge inferiormente come movimento causale.
Non è, allora, difficile vedere in questo processo il modo attraverso il quale
l’impostazione orfico-pitagorica, poi platonica ed aristotelica, ha preso possesso delle
precedenti forme di esaltazione religiosa, costituendo il principio di una presa di possesso
del mondo nella sua interezza, grazie all’alienazione ed alla restrizione normante – il
primato della legge e della sovranità divina – dell’umano intimo desiderio. Elementi
teologico-politici e filosofici essenziali come determinazione e causa entrano in questo
momento a costituire l’orizzonte di riferimento di quella successiva riformulazione teorica
che si occuperà del modo attraverso il quale determinazione e causa, combinati insieme,
producano gli elementi e la loro organizzazione (cosmogonia divina). È a questa
diagonalizzazione essenziale che si riferirà poi, del resto, la stessa speculazione cristiana
delle origini, successivamente ripresa ed ampliata in modo speciale dalle categorizzazioni

39
dei primi concili ecumenici – Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.), Efeso (431 d.C.)
e Calcedonia (451 d.C.) – e dalla ulteriore ripresa e risistematizzazione operata da
S.Agostino (con effetti futuri sulla Riforma protestante e sulla nascita del mondo moderno).
Ma come si esprimeva la divina mania, prima di questa particolare forma di
razionalizzazione? La collettività apriva il proprio furore orgiastico senza distaccare ed
alienare alcun desiderio: nessun dio superiore interveniva a reprimere con punizioni
l’autodeterminazione collettiva; nessun senso di colpa doveva essere espiato attraverso il
sacrificio dell’elemento spirituale, dello strumento rivoluzionario. Lo spirito e la sua
rivoluzione continuavano a muovere dal basso tutte le forme creative, naturali ed umane,
senza alcun bisogno di una loro restrizione, ma al contrario lasciandole nella loro più
completa ed integrale libertà espressiva. Buona non era la negazione, ma la libera posizione
di sé: la liberazione comune. L’orizzonte non chiudeva, ma apriva (ecco la funzione creativa
dell’infinito, poi nell’essente parmenideo). Per questo la follia delle donne non viene
rinchiusa e purificata dal sacerdote maschile o dal femminile mascolinizzato (Artemide).
Nulla deve essere riportato ad equilibrio, perché la determinazione originaria della Grande
Madre Terra, per esprimersi, deve lacerare apparentemente ogni forma costrittiva, per
generare l’intero universo e tutte le parti in esso contenute. Le deve aprire e non rinchiudere.
La follia non viene suscitata per essere, poi, neutralizzata. Orientandola verso forme
determinatrici maschili, secondo il canone del dominio e del controllo di ogni forma
vivente. Per questo musica, canto e danza tendono progressivamente ad ingabbiare le forme
esplosive di creatività, distaccando, separando ed innalzando l’espressione verso una
terminazione divina capace di accogliere e produrre (riprodurre) tutti i suoni e tutti i
movimenti di accompagnamento alla superiore manifestazione spirituale del divino. In
questo modo il distacco e la relativa neutralizzazione vengono compiute: qui prende senso
l’allegoria del volo, 23 che avrà un valore fondamentale nel generare lo schema generale del
possesso da un punto di vista superiore ed elevato – di nuovo la terminazione divina - dello
spazio e del tempo (profezia, vaticinio, previsione). Allora, da questo punto di vista elevato,
si potranno far concorrere – come fa Platone (Fedro, 265b) – dal lato superiore Apollo e da
quello inferiore Dioniso, l’intelletto e la finalità produttiva.

O) Nelle processioni religiose: il giudizio e la previsione.


La convergenza fra giudizio e capacità produttiva fa dell’azione finalizzata un segno della
possibile determinazione divina. Il primo luogo di una sua comprensione per contenimento:

23
L’indovino guarda il volo degli uccelli disponendosi verso il quadrante superiore, il polo settentrionale, valorizzando
nel contempo il movimento che copre il quadrante legato all’incontro fra giudizio e finalizzazione, il quadrante destro
(orientale).

40
la volontà divina diventa causa della determinazione della quale si ha e si fa esperienza. La
ripetizione innesca ed innesta la relazione effettuale. La pratica rituale la conferma e la
sacralizza, la rende immodificabile, escludendo possibili e dannose interferenze e
deviazioni. Nasce il principio dell’inclusione comunitaria e l’opposto principio
dell’esclusione dell’elemento deviante, oggettivo o soggettivo (diabolico od eretico).
Quando lo strumento per la decodificazione della volontà divina si farà corpo collettivo e
coeso, un insieme di segni orientati ed ordinati, retto e corretto da una dottrina trasferita per
rivelazione divina piena e completa, allora si darà istituzione e costituzione alla forma della
mediazione assoluta, alla rappresentazione definitiva dell’ideologia occidentale: la
partizione universale. Essa si muove e si determina da sé, in sé e per sé (cfr. Scoto
Eriugena). In tal modo mostrando i luoghi teoretici e pratici della causa sui, del
trasferimento e della completa e definitiva alienazione.
L’inizio di questo movimento nella Grecia prearcaica si concretizzava nella persona che
incarnava l’ispirazione, il futuro dono carismatico della fede nella grazia superiore:
l’indovino (mántis). Così come Apollo veniva giustificato da Zeus, Cristo sarebbe stato
giustificato in eterno dal Padre, in tal modo instaurando quella relazione di subordinazione
che troverà traccia ed effetto esplosivo nel primo concilio ecumenico di Nicea (cfr. la
disputa fra Ario e Atanasio). Altra sarà la soluzione apprestata da Costantino I, quando la
relazione di subordinazione verrà sovrapposta ad una linea orizzontale, a segnare sì la
dipendenza del Figlio dal Padre, ma nel contempo a determinare l’asse orizzontale dello
Spirito Santo, quale luogo principale ed esclusivo – l’immagine statica della Croce – della
mediazione divina, fondamento della potenza e dell’atto divino e, per somiglianza, del
governo imperiale ed ecclesiatico (cesaropapismo). La trasmissione familiare delle virtù
profetiche nell’antica Grecia doveva allora precedere la sacra trasmissione ecclesiastica,
nello spirito e nella lettera (canone interpretativo), della dottrina nell’età cristiana. L’attività
legata all’ispirazione ed alla profezia viene pertanto sottoposta ad un processo di graduale
razionalizzazione, quando i segni si trasformano in immagini operative (magia) attraverso il
capovolgimento e rovesciamento dell’avvenimento fortuito ed occasionale – l’accadimento
involontario (oggettivo, fisico o soggettivo, come per esempio il sogno) – in organismo
logico-deduttivo e finalizzato (discorso teo-cosmologico orientato e pianificato). In questo
modo la trasformazione legata al sacrificio rituale deve saper incontrare e fondere insieme,
da un lato la divina sapienza (Logos), dall’altro l’aspirazione umana alla positiva
realizzazione del comune desiderio. Non è difficile osservare come le fasi processuali che
vengono incardinate in questo processo di fusione, come suo successivo svolgimento,
trovino manifestazione in epoca cristiana in una problematica particolare - la diversità o
l’unicità delle nature di Cristo – ed una soluzione tradizionalmente accettata, a partire dalle

41
stesse religioni precristiane – il trasferimento e l’astrazione completa della Madre generante
nel cielo della divina potenza ed atto finalizzato (cfr. Concilio di Efeso, 431 d.C.). Allora le
interiora dell’animale saranno finalmente sostituite dalla parte più interna e nello stesso
tempo più elevata del corpo e del sangue di Cristo: dalla vita ordinata nello Spirito della
Chiesa. Come complesse ed intricate erano le interiora degli animali sacrificati, così difficile
e non immediatamente evidente compariva la soluzione cercata alla battaglia ed alla sua
conduzione vittoriosa; in modo altrettanto complicato si sarebbero poi svolte le
risistemazioni dogmatiche cattoliche, piene di riscritture e di diversi orientamenti.

P) Nelle processioni religiose: il dio che si esprime.


Seguire la mano e la conduzione del dio – la sua volontà causale – predispone l’umanità
alla necessità della subordinazione e all’accettazione della sua volontà mediata e trasmessa
(chrestérion, oraculum, oracolo). Il fatto stesso che essa sia trasmessa è il segno e la prova
della sua origine divina. Esso imporrà in tal modo l’eteronomia del divino (la sua superiore
eternità contro l’inferiorità dei mortali). L’oblio di ciò che viene trasmesso da parte
dell’oracolo è poi la prova della sua neutralità e della sua effettiva funzione di semplice e
puro veicolo del messaggio divino. Questo stesso oblio del resto giustificherà la dottrina
platonica dell’anamnesi e del ricordo delle idee nell’iperuranio, come pure la salvezza ad
opera della imperscrutabile grazia divina e non delle opere dell’uomo nella religione
cristiana. Tutte le impostazioni invece rivoluzionarie si richiameranno alla potenza dinamica
della Natura madre o della Ragione padre, al movimento inesausto dello Spirito: si tratti del
richiamo a forme preorfiche di culto immanente e materiale, di stile agricolo, o di forme
filosofiche materialiste (Anassagora), oppure cristiane attente alla moralità iniziale degli
insegnamenti del Cristo (Marcione), ovvero di forme altamente e concretamente
spiritualizzate (Circumcellioni e Donatisti, Montanisti, sino agli Anabattisti moderni ed alla
teologia di Thomas Müntzer o di Giordano Bruno).

Q) La rappresentazione immaginativa e razionale del politeismo greco. 24


Il rapporto dialettico instaurato fra il divino, elongato ed elevato, e l’umano, assoggettato
ed ordinato (nel pensiero e
Zeus.
nell’azione) costituisce uno spazio
nuovo per un tempo diverso nella
civilizzazione greca: la Artemide – La Apollo –
volontà nascosta L’intelligenza
di Zeus. aperta di Zeus.
24
Questo paragrafo è un commento al tomo n.2 del volume di Walter Burkert, Storia delle Religioni – I Greci. Milano,
Jaca Book, 1984 (1977¹). Per la parte che qui interessa il tomo n. 2 è stato commentato ed interpretato in maniera
alternativa sino alla conclusione della trattazione delle dodici figure divine, che costituiscono il pantheon della –religione
Atena Il
olimpica greca. Vedi, qui, l’Appendice. termine di
LO SCHEMA DELLA CUSPIDE realizzazione
D’ARCO OLIMPICA. IL CIELO della volontà
DIVINO. intelligente di
42 Zeus.
considerazione proposta dall’immaginazione razionale comune non resta più ferma
all’eterna creatività del presente, della potenza divina intelligente e materiale, ma si muove e
si svincola dalle sue capacità di possesso e di dominio, per rovesciarne la dominazione. Non
sarà più una Natura, che con la sua Ragione orienterà l’uomo nel pensiero e nell’azione, ma
al contrario sarà il pensiero e l’azione dell’uomo, garantito e giustificato dalle potenze
divine astratte (divinità olimpiche), a indicare la possibilità di una trasformazione e di un
movimento apparentemente libero e svincolato dai condizionamenti naturali e materiali. La
potenza divina viene dunque estratta, astratta ed alienata a terminazioni divine, che
assumono su di sé la nuova capacità delle potenze celesti, superiori, determinanti. Il
soggetto umano traspone la propria volontà e necessità di dominio in agenti di
determinazione separati, eterni, personificati con le sue stesse qualità e condizionamenti.
Nasce il mondo della rappresentazione unica e del rapporto dialettico decettivo e negativo.
Sorge l’orizzonte comune della negazione.
È all’interno di questo orizzonte
URANO - CRONO - ZEUS
di separazione che si dispongono ARTEMIDE
APOLLO
ATENA
le nuove raffigurazioni delle
potenze divine, secondo delle HERMES ARES
URANIA
precise relazioni organiche, tese a
nascondere ed occultare
definitivamente – sostituendoli - i AFRODITE
POSEIDONE EFESTO
rapporti religiosi precedenti. Mito DIONISO
PERSEFONE
e rito individuano la singola PANDEMOS

personalità divina all’interno di


una serie di rapporti organici con
GAIA – DEMETRA - ERA
tutte le altre, necessarie,
personalità divine. Vi è una Schema della disposizione funzionale delle divinità olimpiche greche.

precisa logica che tiene unito il


tutto e che verrà chiarita dalle funzioni e dalle reciproche disposizioni delle singole divinità.
La trasformazione religiosa opera per graduale sostituzione, rituale e mitica: utilizza i riti
precedenti, modificandoli con nuove mitologizzazioni. Cambiando il significato degli
strumenti ed elementi utilizzati o valorizzati. Così vedremo cambiare progressivamente di
significato le figure della Grande Dea Madre (Gea-Gaia, Era, Demetra), mentre
corrispondentemente nuove immagini razionali assumono la funzione superiore di comando
e di dominio (Urano, Crono, Poseidone, Zeus), o nuove figure strumentali sostituiscono
l’originario sviluppo dell’azione (Dioniso, Asclepio, Atena).

43
Così Esiodo ed Omero sono gli strumenti principali di questo processo di trasformazione.
L’ideologia olimpica viene da loro progressivamente costruita ed arricchita, per essere poi
ripresa e continuamente rafforzata e raffinata da tutte le successive impostazioni
tradizionaliste, nella loro battaglia contro il sempre risorgente spirito naturalistico e critico-
razionale. Il superamento dell’eroe o la fatica quotidiana nel lavoro agricolo trovano un
termine di giustificazione, valorizzazione od addirittura di glorificazione in questa nuova
forza astraente, in questa edificazione di una nuova potenza umana, che è capace di invertire
il rapporto di dominazione, dalla dipendenza naturale a quella razionale e divina,
maggiormente facilitante il desiderio umano di libertà dalle necessità materiali. Che
abbisogna di un riconoscimento reale e di uno formale, del consenso delle popolazioni
greche e dello sviluppo ulteriore portato dalla nuova classe intellettuale.
Ruotando attorno al perno estremo della strumentalità, l’ideologia in costruzione rovescia
il semplice e spontaneo finalismo creativo del soggetto naturale in una forma superiore e
separata di determinazione, che dall’alto del cielo astratto della ragione si impone con
necessità intangibile, immodificabile ed indiscutibile. L’influenza della posizione dominante
orientale (Egitto, Medio Oriente ed Anatolia) e la successiva organizzazione sistematica che
la cultura greco-latina (per non dire di quella cristiana) vi apporrà compongono bene
insieme quel quadro d’orizzonte e di determinazione del pensiero e dell’azione, che agirà
come comportamento intellettuale e di massa per la civiltà occidentale, nella sua storia di
progressiva e globale saturazione dello spazio e del tempo civile (lavoro, istituzione e
guerra/commercio). Così la nuova forma della divinità esiodea od omerica definisce la
terminalità superiore della civiltà nascente, non senza aprire per l’umano quello spazio di
mediazione assoluta, che troverà nella successiva speculazione sofistica e socratica una
specie di laicizzazione estrema. L’umanesimo realistico omerico anticipa in questo modo
quello socratico, quando lo spazio per l’imperscrutabilità dei giudizi e delle decisioni divine
si trasformerà nel sapere di non sapere socratico. Ed il non-tempo dell’eterno si rifletterà nel
tempo dell’imitazione esemplare (Platone ed il cristianesimo vi appoggeranno,
rispettivamente, la propria dottrina delle idee e quella del Cristo Salvatore). È questo
riflesso ad avere quale precedente il rapporto di filiazione dell’eroe dal divino (Teti →
Achille; Zeus → Eracle). È in questo modo che l’eroe, nato dal divino (con un parto non
completamente naturale, che ne espone l’anima a determinazioni superiori) per essere da
questi guidato attraverso mille prove, ritorna ad esso, per garantire la moltiplicazione
ideologica del suo esempio e del suo comportamento. Così, se il procedere verso l’uso
pacifico della ragione (Atena) contraddistingue il processo di rapido passaggio dall’epoca
della guerra (Iliade) a quella del commercio (Odissea), la normalizzazione del tempo
realizzata grazie ai riflessi pratici e quotidiani della teogonia esiodea fa procedere innanzi

44
l’edificazione ideologica, nella sempre più stretta composizione fra divino ed umano. 25
L’orizzonte olimpico aperto e delineato dal poeta greco nella sua Le opere ed i giorni
determina, infatti, una sorta di forma di chiusura e di negazione nei confronti di un
atteggiamento civile, culturale e religioso precedentemente attento alla considerazione vitale
e libera delle potenze naturali ed umane. L’orizzonte divino negativo e quasi punitivo
esiodeo funge da giustificazione di quell’atto e di quella potenza, che giudicano e
definiscono l’intangibilità – di qui l’amara necessità dell’espiazione attraverso il lavoro
(che, però, può rendere autonoma e giusta la collettività) – della colpa compiuta da
Prometeo e della punizione ad essa relativa: rendere autonome le comunità umane attraverso
lo strumento del fuoco vale l’effetto apocalittico degli arbitri e delle violenze interne ed
esterne ad esso collegate (invidia, gelosia, sopraffazione, guerra). Quasi come un’eco
reazionaria dei secoli bui precedenti, la libertà naturale e razionale degli uomini viene
accusata della caduta originaria, della colpa iniziale: abbandonare l’età dell’oro per giungere
in un’età nella quale – l’età dell’argento – il demone inferiore del possesso domina e
stravolge negativamente ogni rapporto umano. Di qui il passaggio all’età immediatamente
successiva – l’età del bronzo – l’età della guerra generalizzata. Solo gli eroi fanno risorgere
un riflesso ideale dell’età iniziale, quando conquistano per la Grecia l’onore della giusta
bontà dei propri possedimenti (a Troia e a Tebe) e per loro stessi l’apoteosi paradisiaca.
L’età di Esiodo invece ricalca le orme negative della corruzione iniziale: qui, di nuovo,
nell’età del ferro il demone del possesso genera ancora e di nuovo violenza, sofferenza,
ingiustizia, richiamando la necessità di una punizione esemplare. Solo la giustizia divina
può allora subentrare a fondare il richiamo alla legge ed alla sua potenza salvifica, mentre il
lavoro collettivo ed organizzato consente alla comunità di vivere in pace e con un costante
adeguamento agli insegnamenti divini (onestà, probità, ragionevolezza).
Quell’orizzonte olimpico viene, poi, determinato nella rete delle proprie relazioni fra
divinità, quando nella Teogonia il rovesciamento iniziale, l’atto della ribellione all’ordine
divino, viene transcodificato miticamente per il tramite del passaggio allegorico dal mondo
della chiusa perfezione naturale e razionale al mondo nel quale sembra operare una
dialettica decettiva, una dialettica perversa e negativa. Dove la forza del più grande sul più
piccolo e debole non conduce alcuna forma riconosciuta di alterazione, che possa essere
definita e identificata come sopraffazione e violenza al dettato divino, ma al contrario come
forma razionale di vita naturale. Quando Crono mutila Urano – e la castrazione del cielo
sembra rappresentare mimeticamente l’enucleazione e lo sradicamento della potenza
razionale superiore - solo Zeus ricomporrà la frattura iniziale, attraverso il richiamo ad un

25
Vedi alla voce Esiodo, in: http://it.wikipedia.org/wiki/Esiodo.

45
orizzonte ideale, fatto di ordine, necessità e subordinazione collettivamente accettata. È in
questo modo che comincia ad instaurarsi nella costituenda civiltà occidentale – o almeno
nella sua parte e tradizione egemonica – quel richiamo ad una potenza ed un ordine attuale,
che in altri luoghi di
questa trattazione è
SEDE DEI BEATI stato descritto come il
URANO STELLATO concetto (e la relativa,
connessa, prassi)
ETERE GIORNO dell’Uno necessario e
NOTTE
d’ordine, capace di
fondare in senso
EROS capovolto – rispetto
NINFE
all’originaria proiezione
OCEANO
immediata delle
MARE
GAIA capacità creative - la
serie delle dipendenze,
EREBO
naturali e razionali. È la
Esiodo potenza astratta della
Teogonia ragione a costituire così
CAOS
quell’orizzonte,
ingenerando in se stessa
quello spazio immaginativo all’interno del quale depositare ogni forma di contenuto
espresso, naturale ed immediato od apparentemente sovrannaturale e mediato. Essa si
occuperà, infatti, di accogliere la predisposizione divina e il suo movimento causale,
aprendo il concetto e la prassi dell’umano. Intelletto e volontà, nelle figure mitologiche di
Apollo (Artemide) ed Atena, offriranno allora campo aperto alla suddivisione ulteriore delle
cariche e delle funzioni divine, facendo bene attenzione a riassumere nella propria
ricodificazione mitologica sistematica tutte le strutture religiose precedenti, con opportune
sostituzioni per sovrapposizione. Era, Afrodite, Ares, Hermes sostituiranno e
trasformeranno il senso ed il significato delle figure precedenti: la grande Dea Madre, il
desiderio legato a Demetra e Dioniso, la funzione correlativa e dominante di Poseidone, la
funzione di interconnessione rappresentata dalle figure paniche (Pan). In questo modo il
politeismo greco troverà una nuova sistemazione organica, principalmente fondata sulla
separazione, sull’alienazione e su di un orizzonte generale di eterodeterminazione.
Ancora vicino - con la sottolineatura del Chaos come origine del tutto - alla tematica del
principio immanente – come principio dell’Essere, inteso nella sua interezza, verità e realtà

46
– caro alla formazione antropologica popolare ed agraria (Misteri eleusini), Esiodo apre alla
considerazione della presenza di una distinzione per opposti (Erebo e Notte, Gaia ed
Urano), assegnando ad essa la virtù di una possibile separazione. In questo modo egli
prepara – dopo Omero – la strada al successivo intervento dell’impostazione orfica ed alla
reazione rappresentata dal fenomeno filosofico della riaffermazione dell’immanenza stessa
(scuola ionica di Mileto), anche se attraverso l’assunzione di una dialettica nel contempo
creativa e doppiamente dialettica (l’infinito creativo e doppiamente dialettico di
Anassimandro). Prima di giungere, quindi, alla trattazione del contenuto della seconda
Unità Didattica (Talete, Anassimandro, Anassimene), la nostra attenzione deve rivolgersi
alla contrapposizione che l’intervento della nuova impostazione orfica determina nei
confronti della tradizione religiosa e popolare rappresentata dai Misteri eleusini.

R) Orfismo vs. Misteri eleusini.


È bene presentare, prima di tutto, uno schema visivo riassuntivo del possibile rapporto fra
le concezioni dell’Orfismo, quelle nascoste nei cosiddetti Misteri Eleusini e quelle
filosoficamente implicite nella costituzione della Religione olimpica greca. Esso costituirà il
termine di confronto ed il presupposto costante delle argomentazioni sviluppate in seguito –
anche nella seconda Unità Didattica - e verrà ampliato e ripreso, in modo arricchito, dalle
argomentazioni stesse alle quali darà adito. Lo schema è il seguente (vedi pagina
successiva):

47
DIVINITÀ OLIMPICHE
SUPERO

ANIMA VITA

MISTERI ELEUSINI
SEPARAZIONE ORFISMO

INFERO
CORPO

MORTE

Credo si possa sostenere che i Misteri Eleusini caratterizzino una concezione religioso-
filosofica e teologico-politica 26 nella quale il concetto e la prassi legata alla vita dell’Essere
in generale – una connessione privilegiata dovrà qui essere posta, in una eventuale Unità
Didattica successiva, con la concezione dell’Essente parmenideo - non abbandoni mai il
piano di una stretta ed invalicabile, inalienabile ed inseparabile, immanenza. Essere nella
vita e per la vita qui significa infatti far valere continuamente e costantemente la potenza e
l’atto creativo, insito ed ineliminabile nella manifestazione della vita stessa in generale,
come se essa non possa non essere pensata come un originario cuore mentale, capace di
consentire l’espressione, la manifestazione e l’unità collettiva delle singole determinazioni
soggettive (apparentemente inerti od in movimento: pietre, vegetali, animali, uomini). Qui
Natura e Ragione non si distaccano e si divaricano reciprocamente, per opporsi e stabilire la
situazione tradizionale del dominio e della comune soggezione: al contrario l’unità della
potenza naturale è sempre in atto, creativamente e – dal punto di vista razionale e dialettico -
collettivamente. La spontaneità positiva di ogni atto creativo umano o non-umano si
garantisce ed autolegittima come effetto di una sacralità originaria e centrale, ineliminabile
e, pertanto, necessaria. Demetra e Dioniso, come parte femminile e maschile di questa
sacralità, rappresentano a livello umano l’intreccio indivisibile costituito dalle passioni ed i
desideri più profondi e vitali, più naturali e razionali nel tempo stesso. Qui il sacro
originario resta indiviso e nello stesso tempo collettivamente partecipabile, per effetto della

26
Vedi, in Appendice, nella parte dedicata al commento personale al tomo 2 della Storia delle Religioni di W. Burkert,
le trattazioni delle figure di Demetra e Dioniso. In subordine, quelle di Afrodite ed Efesto.

48
penetrazione e vitalizzazione divina, nello stesso tempo spirituale e materiale. Pensiero ed
azione si liberano nell’esaltazione dei cuori, delle menti e dei corpi.
Con il sopraggiungere, alla fine del VI secolo a.C., il formarsi e costituirsi delle
concezioni dell’Orfismo (dal mitico Orfeo), si assiste invece ad una integrazione e nello
stesso tempo ad una speciale trasformazione dell’orizzonte tradizionale della religione
olimpica greca, che vale come il tentativo di imporre una limitazione - una moderazione
assoluta – al dinamico sviluppo della vita economico-sociale delle collettività greche in
formazione (le póleis). 27 Nel momento in cui la potenza naturale e razionale indivisa e
partecipata - che i culti eleusini giustificano come visione religiosa a fondamento di una
politica democratica immediata e diretta, dove sensibilità ed intelletto non si scostano
reciprocamente - viene suddivisa e coordinata gerarchicamente nella vita cittadina, tramite
quella regolazione unitaria e distaccata promossa dal connubio fra Dike (Giustizia) e Nomos
(Legge), si assiste alla negazione della sacralità originaria ed intoccabile della Natura-
Ragione, all’uccisione sacrificale di Dioniso. È la necessità della negazione della sacralità
originaria del cuore vivente e pensante dell’Essere – ricorda, di nuovo, l’Essente
parmenideo - a costituire la possibilità astratta del superamento della vita collettiva di tipo
contadino, democraticamente priva di limitazioni estrinseche e superiori, che non siano
poste in essere dalla collettività stessa, nella costituzione di un potere monocratico continuo
e senza interruzioni, capace di orientare la determinazione collettiva tramite il consenso alle
decisioni superiori intraprese. Qui nasce la possibilità di dare composizione unitaria ai
bisogni cittadini, escludendo qualsiasi tensione e contrapposizione sociale, causata nella
fase storica precedente dall’egemonia violenta ed arbitraria del ceto aristocratico e fondiario
ed ora risolta dall’assorbimento e dall’integrazione delle forze produttive precedenti. Ora la
sensibilità aperta della fase a democrazia diretta ed immediata viene rinchiusa, inglobata ed
integrata all’interno di quell’orizzonte intellettuale, che dispone un potere di giudizio e
d’azione univocamente determinante e determinato. Le piccole collettività autonome

27
Si realizza in questo modo il passaggio dalla prima fase speculativa della filosofia greca (Talete, Anassimandro,
Anassimene), nella quale il concetto di infinito era ancora connesso in forma aperta con quello della negazione assoluta
(lo zero aritmetico, di derivazione indiana), quando il creativo e dialettico non potevano essere considerati come scissi e
separati, alla seconda fase della stessa, nella quale l’Uno terminale di quel rapporto si svolge in fattore di continuità e di
sviluppo coerente, in un orizzonte razionale chiuso e determinante, nei confronti della comunità dei cittadini della
pÒliw. Quest’orizzonte a curvatura chiusa, insieme al suo contenuto univocamente determinato, aprirà la strada alle
successive concezioni intellettualistiche della terza fase della speculazione greca, quelle pitagoriche ed eraclitee, tese
verso l’individuazione e la definizione di un principio egemonico (Numero o Logos/Fuoco). Mentre Parmenide pare
quasi ritrovare la dimensione semplicemente autoaffermativa dell’infinito, con quell’affermazione dell’Essente che
divelle l’orizzonte superiore della negazione assoluta, una ripresa della concezione aperta dello stesso, creativo e
doppiamente dialettico con la sua sola posizione, avverrà invece con le argomentazioni di Anassagora ed Empedocle,
capaci di influenzare sia la reazione platonico-aristotelica, sia le forme di relativismo etico-razionale dei Sofisti (sino
agli Eristi) e quelle naturalistiche degli atomisti. Il dogmatismo stoico ed epicureo, lo scetticismo, si contenderanno poi
il controllo del passaggio dalla fase storico-ideologica a predominio greco-ellenistico a quella a dominio imperiale
romano.

49
contadine esterne alla grande città in sviluppo e le forze aristocratiche che appoggiano la
propria potenza sul possesso della terra si integrano con le forze che espandono il potere
collettivo delle città grazie agli scambi ed ai commerci (ed ai rapporti conclusi grazie alle
precedenti o contemporanee colonizzazioni). Come si scriveva in un paragrafo precedente,
simulazione (Hermes) e guerra (Ares) trovano la propria composizione, dando
rappresentazione giustificata all’ideologia olimpica in trasformazione. Una composizione
più stretta della precedente, con una svalutazione del momento negativo e guerresco, legato
alla precedente fase espansiva e di conquista, ed una contemporanea valorizzazione ed
espansione di quello positivo e creativamente più ricco dal punto di vista culturale e
strumentale. Le borghesie cittadine, così come spingono verso la diffusione della
monetazione, così pure si preoccupano di costituire quella base finanziaria statale, che
consenta loro di continuare ad espandere il proprio potere, sia all’interno delle città stesse,
che all’esterno. Lo strumento della guerra a questo punto riassume una rilevante importanza,
mentre l’opposizione interna fra classi emergenti e classi aristocratiche stringe la ricerca del
consenso verso posizioni meno imperialistiche. Il mancato superamento e consolidamento
della formazione istituzionale si riflette e si ribalta nella opposta reazione aristocratica e
democratica, con l’abbattimento delle tirannidi, inizialmente basate su di un consenso
comune.
È, dunque, l’elevazione ed il confinamento di una situazione di possibilità (e di potenza)
a costituire la condizione perché si applichi una determinazione univoca ed uniformemente
collettiva. Questa possibilità (e potenza) astratta si attua e si realizza nel momento in cui la
continuità e la prosecuzione di una determinazione collettiva unitaria – l’orizzonte
intellettuale di riferimento - si rende praticabile grazie ad una estrema rastremazione del
potere politico, nella quale “i molti” possano trovare la propria espressione grazie alla
determinazione dell’Uno (il Tiranno popolare). È qui, allora, che si apre quell’orizzonte
superiore di riferimento comune capace di costituirsi in coordinamento della vita sociale e
politico-economica delle città greche, nel mentre che si trasfigura ideologicamente come
limite decisivo e costituente della civiltà greca. La realtà del consenso prolunga
l’alienazione sorta con la costituzione della posizione dialettica olimpica, nella quale realtà
ed immagine risultano capovolte nella propria funzione genetica e di produzione: come si è
visto trattando della relazione che lega il significato sovrastrutturale della figura di Hermes
a quella di Apollo, 28 la superiore realtà delle determinazioni olimpiche ingenera quella
mobile forma d’immagine che è tesa alla creazione di un piano separato di riconoscimento e
valorizzazione. Ebbene, con la trasformazione ulteriore del potere politico verso forme di

28
Vedi, ancora in Appendice, nel medesimo commento personale, le relative figure.

50
tirannia popolare (o, vedremo, aristocratica), la realtà assunta da questo piano mediano e
separato – la realtà di ciò che oggi si chiamerebbe il piano dell’opinione pubblica ed
Aristotele definiva come il luogo delle opinioni generalmente adottate e diffuse – proietta
l’alienazione iniziale in una fase successiva, dove questa assunzione di realtà deve
necessariamente riflettersi e fondare una separazione dei poteri, all’interno della quale il
potere dei molti (o pochi) si fonda e si esprima attraverso il potere dell’Uno (il Tiranno). In
questo modo la rappresentazione completa delle classi operanti nelle diverse città greche
trovava finalmente la possibilità di fondare e rendere costituente il proprio schermo (o
scena) in una realtà finale, separando il capo reale di una rappresentazione egualmente reale
(concetto e pratica dell’egemonia). Una realtà invero immaginaria, perché fondata sul
trasferimento alterante delle prerogative e dei diritti fondamentali dei cittadini –
l’inalienabile natura razionale – tramite un capovolgimento della realtà originaria in
immagine e di quest’ultima, ancora di più, in realtà superiore (l’astratto, che si fa reale). Il
processo d’alienazione compiuto dalla religione olimpica trovava così l’esito ultimo e
definitivo del proprio sviluppo costruttivo. Solo la demolizione anarchica effettuata dai
poteri aristocratici, tesa all’eliminazione del peso crescente del fattore popolare e
democratico, o all’opposto la rivoluzione politica e sociale (dunque, in senso lato e futuro,
anche economica) delle masse popolari e democratiche avrebbero potuto poi scardinare
questo potere tirannico, aprendo la vita collettiva delle comunità greche verso soluzioni
diverse. In Atene Clistene cercherà di scomporre le basi della precedente aggregazione
tirannica, mentre Sparta conserverà la propria costituzione separata, intoccata dalle
trasformazioni economico-sociali che stanno modificando il tessuto produttivo ateniese (la
spinta commerciale e finanziaria). 29
Mentre in ambiente ionico ed ateniese questa volontà disgregatrice si avvale della
nascente critica filosofica (con tutte le limitazioni considerate opportune dal potere politico-
religioso), nell’arco delle colonie delle altre città greche sarebbe restata però dominante
l’influenza religioso-politica imposta dalle tradizioni olimpiche. Così mentre in ambiente
ionico-ateniese si assiste alle spericolate argomentazioni di Anassagora, o alla trattazione
delle conseguenze della dottrina filosofica parmenidea ed eleate, la cornice delle città-
colonie greche nel Mediterraneo si spinge ad adottare quella soluzione filosofica, che
meglio si adatta alle convinzioni profonde stabilite dai miti e dai culti olimpici tradizionali,
magari approfittando ancora delle suggestioni, che avevano contribuito all’elevazione delle
diverse tirannidi.

29
Vedi Lotze, Detlef. Storia greca. Dalle origini all’età ellenistica. Bologna, Il Mulino, 1998 (1995¹).

51
È quest’orizzonte, così ulteriormente trasformato nella sua funzione di limitazione
d’ordine necessario, a costituire la premessa politica delle successive speculazioni
pitagoriche e delle molteplici avventure platoniche, che nelle loro trattazioni cercheranno di
ridare composizione a quella separazione originaria, che è stata la causa prima del sorgere e
del fissarsi di quell’orizzonte. La stessa Grecia classica ed ellenistica post-platonica e post-
aristotelica riempirà successivamente di contenuti determinati questa fascia di immagine
superiore autorealizzantesi, costituendo tramite la ripresa conservatrice della propria
religione olimpica la materia proiettiva di quel limite invalicabile, che rappresenterà la
fondazione stessa dell’intera civiltà ideologica occidentale.
Questa trasfigurazione proiettiva ha infatti bisogno di una separazione essenziale – il
concetto filosofico stesso di essenza (apparentemente esterna o realmente interna) nelle
filosofie platonica ed aristotelica trova qui la sua genesi – capace di aprire una possibile
contrapposizione, essa stessa necessaria, fra spirito dell’anima e corpo, fra dominio mistico
ed intellettuale e soggezione materiale e collettiva. Qui la morte eterna degli Inferi si
contrappone non già alla vita immanente proclamata dai Misteri eleusini, bensì alla vita
superiore ed egualmente eterna delle anime beate e disincarnate. L’Orfismo separa l’anima
dal corpo, in tal modo inserendosi e fissandosi ulteriormente in modo univoco in quel
prospetto diagonale, che consente – come si è già visto - la fondazione di uno spazio e di un
tempo, che racchiudono in loro stessi la possibilità determinativa offerta da un testo dato e
rivelato (i testi orfici sono la variante occidentale di tutti i testi dottrinario-salvifici
precedenti o successivi, sino ai cosiddetti Libri Sacri della tradizione cristiana), quale
immediata apparenza dell’ordinamento unitario divino (questo è il luogo genetico della
trasmissione del Dio unico, per il suo Popolo, in ambiente prima semita e poi cristiano).
L’Orfismo estrae la potenza vitale di ciò che chiama e conclude come corpo, stabilendone la
conservazione, il potenziamento ed il comune riconoscimento, in una forma di
comunicazione bidirezionale, sia verticale che orizzontale, ma nel contempo unitaria: nella
stabile dialettica che in tal modo istituisce – dove la potenza si nutre delle volontà - l’anima
si fa giudizio ed atto d’ordine, disciplina continua ed esercizio senza interruzioni. L’artificio
qui trova la sua massima esaltazione, come - per trovare un esempio più vicino al nostro
tempo – nell’apollineo barocco degli Stati assoluti dell’Europa, all’inizio dell’età moderna.
È così che l’anima vivente della e nella materia si separa e trasfigura in intelletto, in potenza
separata ed astratta, ordinata all’egemonia del e sul reale, così edificato e costruito, mentre
la sensibilità viene ridislocata in funzione esterna (contrapposta) o interna (se inglobata e
integrata). È questo stesso atto di inglobamento ed integrazione della sensibilità a costituire
il rovesciamento e capovolgimento dello spirito iniziale dionisiaco, a trasformare e
trasfigurare la sua immagine: sbranato dai Titani, viene reintegrato e reso nuovo da Zeus,

52
che ne trasmette il culto dalla Tracia lungo la fascia costiera della Grecia. Eliminato a sua
volta dai culti cittadini ed ostracizzato (mito di Penteo a Tebe), punisce con il violento
disordine femminile, prima di essere riadottato grazie alle sue imprese militari in Oriente
(sino in India). Come si vede un culto di iniziazione del vecchio dio alle nuove forme del
divino, fondate sulla guerra e sulla volontà di espansione e di dominio. Alle quali egli (la
sua controfigura) si adatta in modo capovolto, egemonico. Del resto lo sfruttamento
strumentale e capovolto di un dio troverà famosi esempi d’imitazione, quando l’immagine
centrale del Cristianesimo – Gesù, il Cristo – verrà nella costituenda tradizione dogmatica –
non a caso semitico-grecizzante – individuato come l’Agnello Salvatore, la vittima
sacrificale grazie alla quale l’umanità ed il creato intero vengono salvati. Per Dioniso e per
Gesù valgono le stesse considerazioni svolte in precedenza, a proposito della trasformazione
e del capovolgimento del concetto e della prassi dell’amore. Infinito verticalmente ed
orizzontalmente, creativo e nel contempo dialettico, libero, spontaneo e gratuito nella sua
apertura e diffusione, esso si rovescia in una forma di sottrazione quasi diabolica, in una
potenza separata ed astratta quasi demonica, in fedele relazione di subordinazione con l’atto
paterno. Così la relazione verticale che lega Dioniso a Zeus varrà come stampo originario
per la relazione che legherà nella dottrina cristiana il Figlio al Padre, nella sua versione
subordinazionista (ariana) od in quella consustanziale (cattolica). Come Dioniso rinasce a
nuova vita anche Gesù, il Cristo, viene reintegrato nel cielo divino paterno insieme ad una
Madre funzionale, anch’essa astratta e separata, rovesciata nelle sue finalità di
subordinazione allo Spirito, secondo una tradizione aperta dalla figura greca di Semele.
Questo sorgere dell’anima ed il suo stesso trasfigurarsi e capovolgersi nell’atto di
determinazione vengono mitologicamente fondati attraverso la figura immaginativa
dell’innalzamento e dell’elevazione, del distacco da terra e del raggiungimento ideale del
già citato orizzonte superiore, continuamente unitario nel suo sviluppo e nella sua
progressione. Qui l’ordine supera il disordine iniziale e fonda per successione ontologica
d’interventi divini - Zán (Vita), Chrónos (Tempo), Chtonié (potenza infera e ribollente della
Materia) 30 - il mondo così come appare. Chrónos – il tempo, nella sua figura ed immagine di
continuità e di sviluppo progressivo – vince Ophióneus – il caos, come impossibilità di
procedere secondo continuità e sviluppo, perché rimette sempre tutto in una discussione che
risulta essere nel contempo dialettica e creativa. In tal modo la vita, per il tramite dello
strumento essenziale del tempo come sviluppo nella continuità, viene innalzata, ampliata ed
elongata, rispetto alla potenza inferiore della materia, dalla quale si distacca e rispetto alla

30
Fonte testuale delle successive rielaborazioni personali è il materiale sintetico relativo all’Orfismo, presente nel sito
web www.filosofico.net/orfismo.html, a cura di N. Turchi. Qui si trova il riferimento alla fonte rappresentata da
Damascio, Rapsodie orfiche.

53
quale si pone in un atteggiamento di difesa e di allontanamento. L’innalzamento effettuato
da Chrónos è così rivolto al cielo – Aíther – dove viene prodotta quella superiore, distaccata
ed isolata, scintilla divina – Phánes, il Brillante – che, composta con Nyx (la Notte), dà
luogo alla separazione strutturale del cosmo orfico: da un lato il cielo, dall’altro la terra. Il
Cháos iniziale della materia viene così superato e rovesciato nell’ordinamento e nella
relazione verticale apparente. La necessità di non scindere i termini o capi opposti del reale
– Adrástea – per conservare la capacità e la potenza rigenerativa di una vita, che si staglia e
si apre all’opposto della molteplicità incontrollabile della natura terrestre (vegetale ed
animale), fa sì che si origini qui la genealogia, la tradizione del principio strumentale
egemonico, rappresentato via via dalle figure dominanti del pantheon greco di derivazione
orfica (Crono, Zeus, Dioniso). Con il Dioniso orfico si attua la penetrazione e lo
sconvolgimento di ogni resistenza materiale: tutto viene riportato al suo ordine. La Natura –
la Terra e le sue potenze titaniche - viene assoggettata dopo un iniziale irretimento – la
concezione eleusina di Dioniso stesso – costituito dall’immobilità stabilita dalla concezione
creativa ed interdialettica, che non consente la presa di potere del tempo, che si fa strumento
egemonico nel momento in cui riesce a trasformarsi in sviluppo lineare e determinativo. Ma,
appunto, il Dioniso orfico (Zagreo) riesce a trasformarsi, ad uscire da questa immobilità, 31
assumendo la figura e l’immagine statica e stabile della potenza irresistibile (il toro). Ma
questa potenza, come si è visto in precedenza, deve essere ideologicamente astratta e
separata, divisa (Zagreo viene fatto a brani): per impedire però di essere completamente
separata e così perfettamente inutile nel suo compito di controllo, assunzione e dominio del
mondo intero, deve fare in modo che, proprio grazie ad una separazione che agisca in se
stessa, ciò che appare come esterno e contrario (la sensibilità naturale) risulti interno a se
stessa e nel suo primo grado (il sentimento lirico della
Vita
natura). Le parti della Natura stessa vengono in tal modo
inglobate – Dioniso viene sbranato, ingurgitato ed assimilato
dai Titani – e rese quali basi dell’innalzamento del cuore
intellettuale egemonico – è, non a caso, Athena a portare il
Tempo
cuore di Dioniso a Zeus – grazie al quale Dioniso stesso,
nella sua parte essenziale e fondamentale, riesce a
Materia
sopravvivere e a risorgere, mostrandosi come la riflessione
oggettiva, che non può più essere distolta ed annullata: il

31
Questa immobilità costituisce i limiti all’interno dei quali si pone e si esprime l’Essente parmenideo.

54
riferimento continuo e ciclico al medesimo principio di giudizio ed azione (Zeus ingurgita il
cuore di Dioniso, per poterlo rigenerare), per poter intrecciare tutte le riflessioni e tutte le
azioni umane (principio del totalitarismo).
È facile notare come con tale strutturazione teologico-religiosa e naturale l’Orfismo
costituisca lo schema ideologico
Zeus
fondamentale della civiltà occidentale, Athena

preparando le basi di riferimento e di Giove Minerva


elaborazione al pensiero pitagorico,
Padre Figlio
platonico ed a quello aristotelico, sino alla
loro manifestazione più tarda, hegeliana e –
per contro - nietzscheana. Allo stesso modo Era

non è difficile osservare come la triade


Giunone
orfica (Vita, Tempo, Materia) costituisca la
Spirito
base dalla quale sorgerà la genealogia delle
triadi teologico-filosofiche e naturali delle
religioni che seguiranno la civiltà greca (Zeus, Era, Athena) e ne saranno influenzate: in
primo luogo la triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva) e la stessa Trinità cristiana
(Padre, Spirito Santo, Figlio). Da notare, infine, come l’elemento umano femminile 32
subordinato all’egemonico divino maschile e da esso annullato e dissolto, proprio attraverso
la liberazione e lo scioglimento dai propri vincoli naturali – Semele a Zeus, Maria a Dio
Padre – venga successivamente divinizzato ed assunto al cielo in posizione orfica, per

32
La generazione di Athena come riflesso della mente di Zeus stabilisce il tentativo di superare la composizione fra
creativo e dialettico propria della natura originaria – la Grande Dea Madre – per istituire un ponte immediato di
determinazione lineare, grazie al quale sostituire la necessità del rapporto con le potenze originarie naturali stesse. La
razionalità greca classica si forma ora come sostituzione, annullamento e negazione della potenza originaria, creativa e
dialettica della natura. Primo esempio concreto di questa sostituzione è la generazione di Eracle, prototipo dell’eroe
semidivino, rappresentante della nuova potenza, nata dalla combinazione di una potenza attiva maschile divina e di una
potenza passiva femminile umana, dominata ed assoggettata (Alcmena). La riuscita finale delle lunghe e difficili prove
alle quali Eracle viene sottoposto, per volontà vendicativa di Hera rappresenta – come è facile notare – la vittoria di
questa nuova forma di potenza. È facile notare qui la costruzione dello stereotipo ideologico dominante nella civiltà
occidentale successiva: la forma e la prassi del paternalismo autoritario, che tramite la generazione pratica una divisione
ed una contrapposizione, fra le nuove forze razionali e le antiche forze naturali. Il fine ultimo e riuscito di tale
contrapposizione modificherà il senso ed il contenuto del rapporto triadico fra le funzioni della mente originaria:
laddove prima le potenze naturali trovavano immediatamente espressione razionale, ora la mediazione che tiene
insieme, senza scinderle, intelletto (Apollo) e volontà (Artemide) costituisce la nuova forma di potenza razionale, che
viene innalzata e riferita per la sua attuazione piena e completa all’orizzonte di perfezione divino. È ora solo all’interno
di questo orizzonte che la molteplicità delle potenze naturali - gli occhi di Argo, ucciso da Hermes, mentre difende per
Hera la giovenca Io, vengono messi a ventaglio sulla coda del Pavone, animale sacro alla dea - può ritrovare una vera ed
effettiva giustificazione divina. Come è ancora facile notare diversi e fondamentali sono stati i calchi che la civiltà
cristiana ha operato sulla base di queste schematizzazioni e trasformazioni. Per prima la definizione del Figlio come
generato, ma non creato; quindi la subordinazione all’atto divino della potenza mediante, dove la negazione necessaria
della medesima – la crocifissione del Cristo dalla duplice natura – si rovescia in salvezza universale. Infine la
subordinazione tradizionale della natura apparentemente creatrice – la parte femminile – alla ragione ed alla parte
dominante ed egemonica maschile, unica e vera rappresentante delle disposizioni - di giudizio ed azione - divine. Come
è stato scritto in altri luoghi, simulazione (legata agli scambi) e guerra (per la conquista e l’estensione dei patrimoni
paterni) sostituiscono e cancellano l’epifania originaria della divinità, immediatamente apportatrice di pace e giustizia.

55
garantire la fissazione eterna del principio strumentale ed egemonico stesso: il tempo
dell’uomo e la volontà del Dio che ci è comunemente Padre (determinante). La stessa genesi
ed il movimento finale dell’anima
umana, nella sua apparente fuoriuscita Uno necessario e
d’ordine
temporale, paiono trovare
giustificazione in questa forma di Intelletto

riflesso per subordinazione e di


successiva assunzione e disposizione Zeus Athena

eterna (salvezza). Giove Anima Minerva


L’uomo stesso può nascere – ad
Padre Figlio
esso viene consentito di nascere – solo
come ricordo e ammonimento rivolto
alla necessaria negazione della potenza Era

titanica: tanto quanto i Titani, alleati di Giunone


Era, aprono a ventaglio la propria
Spirito
potenza per surclassare e sostituire il
potere tirannico di Zeus, altrettanto la
punizione divina che instaura l’eternità del principio egemonico solitario (poi, nella
tradizione cristiana successiva, il Dio unico) deve imporre la negazione di questo
superamento, nella sradicazione della potenza e dell’atto insieme creativo e dialettico (dalla
sua lontana origine eleusina). Così la molteplicità e la moltiplicazione titanica del rapporto
fra Natura e Ragione trova la propria negazione apparentemente esterna nella trascendenza e
richiesta priorità di un eterno e stabile principio egemonico e direttivo: in tal modo la prima
figura ed immagine dell’Intelletto assoluto ed universale e delle sue decisioni compare alla
vista della strutturazione ideologica occidentale. Solo come riflesso di tale intellettualità
l’uomo potrà far valere potenze legittime: l’ordine e la disciplina imposti dall’obbedienza
alla divinità superiore determinano il processo di una nuova liberazione, invertendo il
rapporto fra natura e ragione presente ed attivo nella precedente concezione eleusina. Ora la
Ragione si impone sulla ed alla Natura, definendo tale forma di necessitazione non come
violazione della libertà comune ed aperta (creativa e dialettica), ma come sua attuazione più
piena e completa. Con tale alienazione e trasferimento si dà luogo pertanto alla radice prima
della forma rappresentativa, che ha attraversato storicamente lo sviluppo e l’apparente
trasformazione delle civiltà classiche sino ai loro momenti e fasi più moderne e attuali (sino
alla contemporanea autoseparazione ed autocodificazione dell’astratto in reale).
La sensibilità, il sentimento, la passione e la ragione occidentale si ergono in questo
modo come fasi successive di un processo di progressiva alienazione, dove la potenza

56
inferiore della natura umana deve riflettersi nella potenza superiore divina. Non è difficile
notare come questa inversione soggettiva sia poi stata la radice dell’inversione ideologica
occidentale, a sua volta ricapovolta e rimessa nell’atto immediato della sua vera ed effettiva
liberazione dalle correnti speculative marxiane più radicali, a partire dalla seconda metà del
XIX secolo. Queste, però, paiono quasi autolimitarsi nella propria prospettiva critica e
rivoluzionaria, nel momento in cui non riescono ad accogliere la necessaria demolizione
della fusione fra lo strumento che consente la presa di possesso della realtà (astratta e
separata) e lo stesso principio egemonico (la sovra-determinazione economica), fra le forze
produttive e la loro finalizzazione teo-politica, che viene invece assunta entro la propria
formazione immaginativa e razionale, preludendo al momento finale liberatorio delle forze
produttive proletarie grazie alla direzione del Partito (il comunismo, nella burocratizzazione
nazionale estrema dei mezzi e delle finalità di produzione). Questa nuova figura ed
immagine della reciproca congiunzione ed intreccio fra lo strumento ed il principio
egemonico viene infatti colta nella sua reale prosecuzione della trasmissione del principio
ideologico (astratto/reale) occidentale, nella sua forma di totale dominio e controllo della
Natura-Materia e della Ragione-Soggetti, ora nella sua definitiva veste laica di assistenza
completa e finalmente compiuta dell’Umanità intera.
Non è difficile osservare – anche se ciò fa sembrare la storia della filosofia occidentale
come una pura trasfigurazione, continua e successiva, del medesimo Spirito – come si possa
identificare una medesima tradizione speculativa, che a partire appunto dall’Orfismo
attraversi le riflessioni di Platone ed Aristotele, sia ripresa nel neoplatonismo della tarda
classicità greco-latina (da Plotino allo Ps. Dionigi), venga riassunta nella riformulazione
dottrinaria cattolica da parte di Tommaso d’Aquino, per attraversare i perigliosi scogli della
modernità – Giordano Bruno e Spinoza – e attraverso Cartesio e Leibniz si rovesci
sull’idealismo tedesco (da I. Kant sino ad G.W.F. Hegel) ed infine, appunto, sulle forme
rivoluzionarie del marxismo classico. Sempre, il concetto e la prassi dell’Uno necessario e
d’ordine forma quella potenza astratta e separata, all’interno della quale il principio
egemonico intellettuale ordina unitariamente la volontà collettiva, subordinando questa
come strumento essenziale per la presa di possesso della realtà (astratta) stessa e, di riflesso,
per quella relativa alla realtà (reale) naturale-materiale.
Nello spazio immaginativo e razionale aperto da questa elevazione astratta (che si rende
reale con tutte le forme di necessitazione che impone) è facile quindi vedere come all’anima
greco-latina della riflessione si sia poi congiunto storicamente lo spirito della fede cristiana,
trattenuto nel cielo empireo della salvezza dalla composizione fra l’intervento della grazia
divina e l’adesione consapevole all’opera dell’amore infinito ed universale, in virtù della
mediazione ecclesiastica. Dopo la fase di estrema riduzione operata dalla concezione

57
imperiale della fede (nata dalle speculazioni teologiche dei primi Concili ecumenici), che
univano lo strumento ecclesiastico al potere discriminante dell’imperatore, nel difficile
trapasso alla modernità, tutte le forme di apertura che si erano ripresentate nel
Rinascimento, grazie all’opera di alcuni pensatori veramente innovatori e rivoluzionari – fra
tutti Giordano Bruno - vengono invece neutralizzate, quando non espunte con la forza,
proprio a motivo del fatto che il fattore produttivo viene assumendo, con la costituzione
della forma statuale accentrata ed assoluta, una preminenza ed una priorità politico-
ontologica essenziale e fondamentale, quasi a riconfigurare l’immagine tradizionale
dell’orizzonte razionale occidentale come giustificazione delle nuove istituzioni di riduzione
e controllo (politico, religioso ed economico). L’Uno necessario e d’ordine rispunta e si
moltiplica nell’intero Occidente, a rappresentare il controllo preventivo delle forze
produttive e soprattutto delle loro finalità, nella ricostituzione del rapporto d’ordine fra
natura-materia, relazioni esterne e potere dello Stato. Nel cataclisma apparente delle forme
statuali manifestatosi con la globalizzazione contemporanea, dove i loro poteri vengono
riflessivamente riassorbiti nella fusione definitiva fra intenzione economica, protesa alla
finanziarizzazione totale (profitto astratto), e realizzazione politica, tesa alla costituzione di
una dittatura universale delle norme che garantiscono la conservazione e l’iper-sviluppo del
Capitale (militarizzazione reale, interna ed esterna), lo schema virtuale della modernità si
rafforza e si condensa, quasi si concentra, nella sua forma finale e definitiva: sembra infatti
ora presente uno super-Stato mondiale, che agisce la potenza e l’atto del controllo totale e
completo delle forze produttive, stimolando al massimo grado la soggezione della Natura-
Materia (con tutti gli strumenti ideologico-scientifici dei quali si fa portatore e fautore) e la
assoluta dipendenza di tutte le apparenti relazioni esterne alle proprie finalità determinanti
(regolative e legislative), grazie agli strumenti della cooptazione (per effettivo consenso
nella acquisizione degli utili prospettati) o grazie al ribaltamento regressivo del diritto e
delle istituzioni universali, o ancora grazie alla forma estrema dell’intervento annichilitorio
preventivo. In più, in questa logica della potenza e del dominio, il rappresentante laico del
principio strumentale ed egemonico lascia al rappresentante religioso il compito della
convergenza mitologica e della necessaria sussunzione dei particolari soggettivi empirici,
per dare adito ai luoghi teorici e pratici dell’esercizio del potere, in tal modo ricostituendo
quell’antica alleanza fra trono ed altare, così ben presente (e criticata) ai libertini del ‘600,
all’inizio della modernità stessa. Se, allora, nello spazio fra la Chiesa e lo Stato si era
inserito un pericoloso sovvertitore – il pensiero scientifico – ora, nel medesimo spazio, la
ricostituzione ideologica della scienza porta con sé la capacità di agire da collante fra le due
parti, giustificandole nella loro esistenza e nell’esercizio reciprocamente garantito dei loro
poteri, venendone a sua volta giustificata.

58
Questo lungo, lunghissimo cammino del principio strumentale ed egemonico ha trovato
nel momento stesso della sua nascita, durante la sua evoluzione e la ripetuta e storica
trasformazione molti ostacoli e resistenze. Fra questi, proprio all’inizio della sua storia, la
concezione presente nei cosiddetti Misteri Eleusini ha goduto di una particolare importanza,
attenta com’era alla conservazione della funzione sacrale originaria. È stata, infatti, proprio
l’asserita necessità di superare la concezione creativo-dialettica in essa presente a scatenare
le forze ideologiche, che hanno poi costituito la fondazione di quel fenomeno generale, che
le speculazioni più avvertite e critiche dell’Occidente hanno poi definito come processo
ideologico dell’alienazione (religiosa, politico-economica e naturale). In questo processo
diventa fondamentale e centrale il momento dell’uccisione del divino – il deicidio di
Dioniso o del Cristo – perché attraverso questa eliminazione si afferma quella negazione del
sacro originario, che consente il capovolgimento della libertà eguale ed amorosa iniziale in
stato di necessità, che viene a sua volta mantenuto grazie ad una colpa costantemente
ricordata – la colpa originaria/il peccato originale – e prolungato nel futuro per il tramite di
quello strumento espiatorio, che si accosta e si unisce allo strumento temporale, per
determinarne completamente le finalità di conquista. Era, per questo motivo, attraverso
un’espiazione continua che l’orfico cercava di risalire alle condizioni iniziali del dramma
teo-cosmologico vissuto, per aspettare - grazie ad esercizi di mortificazione del corpo
continui - la liberazione divina, la riapertura verso la sua volontà e la sua disposizione,
altrimenti oscurate da una sorta di impossessamento/spossessamento diabolico. Qui si
inserirà l’influenza che dal Manicheismo (III sec. d.C.) si protrarrà sino alle forme ereticali
del Catarismo (XI/XII sec. d.C.), per toccare alcune posizioni della Riforma protestante
(XVI sec. d.C.). Od influenzare forse lo stesso dubbio cartesiano (XVII sec. d.C.).
L’anima nel corpo è dunque preda del mondo e del suo potere: deve essere liberata dalla
sua prigione (il corpo ed il mondo stesso, che vengono visti come mondo infero ed
infernale). E, può essere liberata dallo sforzo umano, che porta a termine il ciclo delle
continue reincarnazioni, decise dal dio quale risarcimento della colpa iniziale, grazie
appunto alle forme prestabilite di espiazione e di sacrificio. La negazione del mondo è la
negazione della morte definitiva, per la vita definitiva. Se i tormenti concessi dal dio in vita
non bastassero, valgono quelli ulteriori subiti nell’Ade: un luogo nel quale la potenza
negativa e punitiva assurge al suo massimo grado e ruolo. Così rendere un inferno la vita
sulla Terra sarà il lato psicologicamente e sociologicamente sadico di questa impostazione
teologico-politica di tipo masochista, quando la trasformazione in senso immanente della
tradizione religiosa avrà penetrato la modernità. Non è difficile vedere qui l’origine delle
forme più cupe e orribili delle moderne tirannie, quasi strumento di espiazione e sacrificio
collettivi. Con il paradosso che, per sfuggire la morte definitiva, si addossava una morte

59
generale all’intera collettività (nasce qui l’essere moderno per la morte, sino ad Hegel ed
oltre Hegel). Nata, dunque, con il terrore della morte e della sofferenza, la posizione orfica
segna di sé e dei propri comportamenti rituali una volontà di allontanamento e di distacco
dalla vita naturale e materiale: ascesi, vesti prive di colori, alimenti ed azioni non
contaminate dal ciclo delle morti e rinascite sono tutti strumenti di un comportamento
ossessivamente teso all’evitazione dell’evento infausto, quasi come una generale formula
apotropaica. 33 L’evento infausto essendo quello della cattura e dell’inglobamento nella
logica negativa del mondo, l’evento fausto e felice si riflette nell’opposta fuoriuscita da
essa, nell’elongazione e nella apertura di una via di fuga laterale, discosta (nella Y, la
famosa via dextera phytagorea). Essa conduce al paradiso orfico, luogo nel quale ci si
ricongiunge con la vita che è solo vita, senza morte o ricordo di essa (Lete). Con la vita
eterna. Qui si viene giudicati (da Persefone), in attesa del ritorno di Dioniso e del suo regno
illimitato. 34 Dopo Eschilo, Pindaro, Platone in ambiente greco, Cicerone e Virgilio in
ambiente romano, forse lo stesso S. Paolo in ambiente proto-cristiano potrebbe
rappresentare la prova vivente di una riflessione teologico-filosofica (e politica) influenzata
dalla tradizione ebraico-ellenistica di questa stessa formazione ideologica, quando
pronunciando il suo discorso a monito della necessaria divaricazione fra la via della carne e
la via dello spirito (e dell’amore) intendeva, per l’appunto, considerare come assolutamente
valida quella separazione, con il relativo e necessario superamento incarnato dalla grazia e
dalla provvidenza salvifica di Dio (la fede nel Cristo crocifisso come Salvatore). 35 In ambito
ed ambiente orfico, così come cristiano, la sofferenza pagata dal dio diventa, infatti, pegno e
merito per la salvezza delle anime. Così la negazione, originatasi anticamente nel culto
olimpico con la sopravvalutazione della potenza oscura e minacciosa del dio (Artemide), si
trasforma in atto positivo di sacrificio, di chi è in contatto privilegiato con il divino stesso –
la filiazione – affinché la sua negazione della negazione possa ribaltarsi e riflettere una via
di fuga dalla costrizione rappresentata dal regresso delle volontà allo stato primitivo e

33
Cfr. Euripide, I Cretesi.
34
Laminette auree orfiche nei musei di Napoli, Londra, Creta.
35
La formazione intellettuale di S.Paolo può forse essere stata influenzata dalla posizione orfico/gnostica, intrecciata e
sviluppata in ambiente ebraico con un messianismo apocalittico mutuato e trasformato da quello di origine giudaico-
cristiana. S.Paolo in questo caso potrebbe essere visto come portatore di un’ideologia orfico-gnostica ed imperiale, che
utilizza l’apocalittico per togliere valore al messianismo radicale e rivoluzionario: qui lo stabile termine strumentale
della “fine dei tempi”, tramite il quale si dà composizione alla superiore volontà del Padre celeste (Zeus/Jahwè/Padre)
ed all’azione naturale e politica che promana dalla realtà inferiore, costituisce il perno attorno al quale far girare la
rapida assunzione dei fedeli legata alla nuova venuta del Cristo e l’assunzione/riassorbimento in Dio del cosmo intero
nel giorno finale del giudizio (Origene, apocatastasi). Lo spirito dell’amore paolino in questo caso manterrebbe le virtù
antirivoluzionarie della subordinazione imperiale al nuovo Signore dei tempi, dando forma ad una composizione fra la
nuova fede e la disposizione imperiale tradizionale, fondata e giustificata teo-politicamente dall’ideologia olimpica,
composizione che avrà conseguenze importanti nel momento storico in cui Impero e Religione cristiana incroceranno i
propri destini (al tempo dei primi Concili ecumenici). Cfr. S.G.F. Brandon, The Trial of Jesus of Nazareth (1968).
Hyam Maccoby, The Mythmaker: Paul and the Invention of Christianity (1986); Paul and Hellenism (1991). Michael
White, From Jesus to Christ (1998). Elaine Pagels, The Gnostic Paul (1992).

60
selvaggio della comune distruzione (l’originario positivo capovolto in condizione negativa
assoluta e totale). Il dio principale assiste così il dio secondario in quest’opera: il suo
sacrificio infatti è teso alla ricostituzione di una volontà assolutamente e totalmente positiva
(Athena, o il Regno del Figlio). Dioniso e Gesù Cristo, da ribelli, aprono una via
rivoluzionaria, che però ideologicamente viene fatta ricostituire il dominio egemonico della
figura principale, rovesciando il tempo dell’espiazione nel sovra-tempo della beatitudine
eterna, nel ricordo dell’aperto cielo stellato (Mnemosyne), fattore di genesi determinativa fra
cielo e terra. È in questo modo che l’anima può rigenerarsi in modo innocente e puro,
ovvero rivestirsi di un nuovo corpo immortale (cfr. il “cadere nel latte” orfico e, ancora, la
dottrina del “corpo glorioso” in S. Paolo).
È facile pertanto comprendere il motivo per il quale il Senato romano – con il
Senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.C. - decise di limitare fortemente e
rigidamente i culti dionisiaci, nel momento in cui il suo spirito ribellistico e rivoluzionario si
spingeva a mettere in questione l’ordinamento aristocratico della repubblica, ancora fondato
sulla tacita ed espressa obbedienza ai culti olimpici classici. Il pericolo era, inoltre,
aumentato dal fatto che la possibile sovversione interna potesse intrecciarsi con il nemico
esterno, la coalizione formata dalle forze siro-macedoni e da quelle celtiche e cartaginesi.
È, ancora, facile comprendere come il rapporto con l’apertura superiore – con la fonte
genetico-determinativa (simboleggiata dalle acque superiori dell’immortalità) – esprimesse
in epoca cristiana successiva sia il rapporto fra quelle che sarebbero poi diventate le figure
teologico-trinitarie del Padre e del Figlio, sia la consapevolezza della compiutezza e
completezza della nuova fede. Le altre fedi sarebbero state considerate delle premesse
insufficienti di per se stesse e destinate appunto a completamento e definizione definitiva da
parte del cristianesimo. Una posizione che dai primi pensatori cristiani, attenti alla necessità
di risolvere il problema del rapporto con la religione ebraica, si rifletterà molto somigliante
nelle considerazioni dei pensatori cristiani rinascimentali, ora attenti al problema della
definizione della fede mussulmana (Nicolò Cusano) o della ricomposizione con l’avvenuta
ripresa culturale della tradizione greco-latina od ermetica (Marsilio Ficino). Questa
applicazione del resto poteva comporsi con lo stesso cesaropapismo religioso, prima degli
imperatori pagani, poi dei primi imperatori cristiani (Costantino I, Teodosio I), nel momento
in cui fosse stato risolto e fosse venuto a ricomposizione il problema del rapporto con ciò
che veniva definito contenuto della Legge (la composizione fra fede filosofico-religiosa e
legge dello Stato, fra V.T. e N.T., fra legge imperiale e dottrina cristiana). Ovverosia con ciò
che veniva determinativamente imposto nella progressiva integrazione delle innovazioni in
senso lato culturali.

61
Ma qui si rientra in quella dimensione di origine egizio-semitico-pitagorica della civiltà
religioso-politica occidentale, che ha abitato le sue diverse fasi di sviluppo. Prima con
l’integrazione nella civiltà classica del portato di origine orfico-pitagorizzante (con le
teorizzazioni teologico-politiche e naturali proposte da Platone ed Aristotele), poi con
l’accostamento della tradizione gnostica –
l’illuminazione personale - alla giustificazione
imperiale del potere romano, quindi con la
composizione fra V.T. e N.T., capace di legittimare una
posizione gnostica collettiva - la Chiesa come corpo
spirituale di Cristo - all’interno del cristianesimo
La chiave
stesso, infine con la ricomposizione finale fra la
della vita tradizione pagana e la nuova civiltà cristiana, con
egizia.
l’allontanamento delle posizioni manichee, ma
soprattutto con l’estromissione delle correnti
immanentiste più radicali ed ancora rivoluzionarie (Marcioniti, Montanisti, Circumcellioni,
Pelagiani). 36 Tutte queste trasformazioni ed innovazioni sono state accettate ed integrate nel
quadro teorico, produttivo e pratico della civiltà occidentale in formazione, nel momento in
cui la ruota progressiva della ideologizzazione occidentale dimostrava di essere capace di
assumere appunto tali innovazioni, il cui segno d’integrazione continuava infatti a ripetere
la separazione artificiale della sovranità e della legge, l’alienazione della potenza naturale e
politica, la subordinazione e la gerarchizzazione delle prassi e delle riflessioni, considerate e
valutate (e alla fine controllate e dominate) come legittime e consentite (giustificate).
Il mondo occidentale in questo modo si apriva ad una generale forma di adeguazione
necessaria, nelle cause e nelle finalità, nelle mediazioni, nelle metodologie e negli strumenti
realizzativi. Nelle volontà e nelle disposizioni. Orientato alla più piena, completa ed
esaustiva delle alienazioni, continuava a ricomporre, senza alcuna frattura apparente (ché
ora si adopera per negarne immediatamente la realtà e la sussistenza), la volontà egemonica
del principio con la strumentalità della causa ideale e reale, mediante e realizzativa. Nello
stesso tempo continuava – e continua - ad espellere o a reprimere con la forza e la violenza
tutte quelle posizioni, che ricordano e dissolvono la negazione fondamentale sulla quale
essa stessa si regge, quando queste mostrino e dimostrino la realtà e la sussistenza di quella
frattura. Così sul tappeto della storia quella ruota schiaccia e distrugge popoli, idee e
consuetudini, per riassorbirne e rimetabolizzarne i frammenti, in una gigantesca e mostruosa

36
Un ottimo testo che può essere qui utilizzato, per comprendere il senso della critica immanente alla prospettiva
ideologizzante della trascendenza è: Deschner, Karlheinz. Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa. Viterbo,
Massari Editore, 1998 (1962¹).

62
opera di reintegrazione. Nei momenti in cui il sostegno economico non regge la prova del
passaggio – i momenti di crisi – essa si preoccupa di ampliare la base di produzione e nel
contempo di alienazione, superando in tal modo con una nuova forma e nuove finalità
culturali il possibile distacco definitivo della sua vita separata (teologica, politica e
naturale). Ora, però, l’antico artificio dell’immagine e della relativa e connessa
innovazione/integrazione razionale giocano un ruolo fondamentale, nell’ingranare l’ultimo
dei superamenti: quello relativo alla natura razionale stessa. L’artificio della produzione
totalmente separata, perfettamente chiusa e circolare - fra materie prime, energia di
trasformazione, progetti e finalità intellettuali – usa la composizione di una materia resa
inerte sino al rifiuto, per garantire la rotazione continua e senza fermate del proprio ciclo
riproduttivo. E qui la materia inerte e il rifiuto diventano l’intera ecosfera terrestre. Con una
soluzione ancora più spinta e perversa: trasformare la prima ed ogni materia resa inerte in
rifiuto, da riutilizzare in una produzione circolare, che non esca più dal suo ambito
artificiale, se non per ricaricare la potenza vitale della materia stessa. Ed il suo stesso circolo
vitale separato. Una filosofia alla Matrix, che certamente la prima applicazione delle figure
divine di Apollo, Hermes ed Ares non poteva prevedere, 37 ma che aveva già trovato nei
primi pensatori della prima scuola filosofica – quella ionica, a Mileto – una avvertita e
consapevole forma di resistenza e di critica barriera e rirovesciamento, di ricostituzione
dell’orizzonte originario.

UNITÀ DIDATTICA N.2

A) Premessa: la scuola ionica di Mileto


Nelle principali città fondate dalla migrazione degli Ioni – Mileto, Efeso, Colofone,
Clazomene, Samo e Chio – il rapido sviluppo di una classe di mercanti, che contemperò il
proprio slancio economico con la presenza degli interessi tradizionali della classe dei
proprietari terrieri, originò molto velocemente delle trasformazioni politico-istituzionali e in
senso lato culturali, che puntarono alla creazione di una civiltà di natura tendenzialmente
democratica, dove la relazione necessaria con il problema della sopravvivenza naturale si
intrecciava sia con la dimensione di una certa stabilizzazione sociale di contenuto e di
orientamento mitico-religioso post-arcaico, sia con una forte spinta ed impulso ad integrare
in questo stesso orizzonte tutte le influenze ideali, conoscitive o pratico-religiose e
pragmatiche, provenienti dalle città della penisola anatolica o dalle coste del Vicino Oriente

37
Per comprendere appieno il senso della sostituzione realizzata da queste tre figure religiose, è necessario leggere in
Appendice la serie commentata delle figure religiose del pantheon classico greco, secondo l’interpretazione personale
offerta a corredo dell’analisi del tomo n. 2 del citato volume di W. Burkert.

63
(con tutte le trasformazioni e gli intrecci visti in precedenza). Una pluralità di idee, credenze
e modalità di comportamento e d’azione investì, con lo sviluppo economico dato dai
commerci con tutte le principali città dei paesi mediterranei (nel Mar Nero, in Egitto, Siria,
Anatolia, Sicilia, Magna Grecia, Francia meridionale e Spagna), la vita civile e culturale
della Ionia, determinando con la moltiplicazione dei rapporti e delle relazioni la
composizione di una concezione mentale e razionale collettiva di apertura, innervata dalla
trasposizione della prassi dello scambio nella concettualizzazione di una relazione
soggettiva ed oggettiva creativa e di natura dialettica.
L’originario creativo manifestato religiosamente attraverso la tradizione della Grande Dea
Madre si esprime nell’immediatezza delle emozioni e delle volontà collettive tramite
l’assegnazione di un comune orizzonte razionale, che possa essere capace di trasferire –
senza scindere – la potenza naturale e creativa immediata dei singoli soggetti in una
oggettività istituzionalizzata, dove la relazione ed il rapporto di reciprocità - nel diritto e nei
doveri - ponga a propria volta una duplicità positiva, a salvaguardia della libera diversità.
Senza quella che successivamente si sarebbe manifestata come la prevalenza di un principio
e di una determinazione egemonica di tipo e stile univocizzante – piuttosto cara alla
trasformazione in senso tirannico (popolare od aristocratico-oligarchico) delle città greche
più influenzate dalle politiche di derivazione persiana – e di contenuto, orientamento e
tendenza negativizzante, nelle città della Ionia la politica democratica sviluppò il criterio di
una doppia affermazione positiva, sia nel caso di una reciproca ed eguale libertà
d’orientamento, sia in quello rappresentato dalla consapevolezza della presenza e della
necessità di un orizzonte razionale, culturale e civile, non scisso e separato dai contributi,
dagli impulsi e dalle tendenze diverse dei singoli soggetti e cittadini.
In questa compatta adesione ad un orizzonte comune lo spirito religioso originario si fuse
con l’aperta razionalità della ricerca e della libera giustificazione delle opinioni, dei giudizi
e delle azioni, mentre la moltiplicazione interna delle potenzialità artistiche e tecniche fece
risorgere la natura ad una razionalità complessa e mai univocamente determinata e/o
determinante. Lo spirito della differenza così salvaguardò l’eguaglianza, senza
contraddizione, perché senza alcun necessario richiamo d’ordine ad un Uno, che dovesse
fungere da archetipo psico-sociologico (immaginario e d’immagine) del potere e della sua
avocazione della forza (e/o della violenza, rivolta all’interno o estesa all’esterno). La natura
radicale e creativa fu, quindi, capace di esprimersi in quella libera ed eguale relazione, che
salvaguardò la libertà stessa dell’orizzonte comune, soggettivo ed oggettivo. Sentito,
immaginato e pensato, esso valse come restrizione alla comune e reciproca estraneazione ed
alla reciproca e comune negazione, all’egoismo ed alla conseguente sofferenza e divisione
civile e sociale. Senza separazione, scissione, distinzione e alienazione della potenza e

64
dell’atto in una separata sede istituzionale, le città della Ionia seppero mantenere viva la
propria libertà reciproca ed interna, conservando l’eguaglianza comune nella libertà
reciproca delle espressioni (religiose, politiche e di ricerca naturale, o di applicazione
pratica).
In questo modo la stessa ricerca naturale, la costituzione politica o l’affermazione
dell’orizzonte religioso e razionale, non potevano essere considerate come scisse e tanto
meno venire reciprocamente contrapposte, secondo una logica interpretativa e di storiografia
filosofica di derivazione positivista. Nello stesso tempo la presenza del concetto e della
prassi dell’apertura non può non deprivare di senso l’applicazione di uno schema
interpretativo neoplatonico-aristotelico (hegeliano o cattolico-esistenzialista), che propenda
od imponga ideologicamente la necessità assoluta – per intendere il pensiero e l’essere
stesso – del concetto (e della relativa prassi) dell’Uno necessario e d’ordine, anche se qui –
in questo contesto – affermato in negativo, tramite una natura solamente immanente e
materiale. In questo caso infatti non si uscirebbe dalla medesima strutturazione speculativa,
come invece si deve fare per intendere secondo verità e realtà le riflessioni dei pensatori
della scuola ionica di filosofia. In caso contrario, si rischia di cadere in modo sempre
inconsapevole nelle trasformazioni e nei nascondimenti, negli occultamenti o nelle vere e
proprie mistificazioni operate dall’interpretazione aristotelica (cfr. Metafisica, A). 38
È proprio perché lo scopo finale delle controargomentazioni filosofiche aristoteliche è
l’appropriazione in senso astratto della originaria e sacrale fonte creativa e dialettica dei
cosiddetti “presofisti”, in funzione anti-platonica, che questa deve essere riportata alla sua
funzione immaginativa e razionale radicale, concreta ed universale, materiale e spirituale, se
si vogliono continuare ad utilizzare in forma non contrapposta – solo in realtà per carenza di
termini – due categorie apportate alla storia della filosofia occidentale proprio da quel
connubio (Platone/Aristotele) e poi sviluppate teoreticamente, praticamente e storicamente
dalla lunga ed inesausta storia del Cristianesimo dogmatico.
Così non si tratta più di cercare una sostanza prima, sottostante e materiale, una specie di
sostrato elementare e naturale, che sia poi capace di apparire e manifestarsi come
molteplicità fuggevole e in continua diradazione o allontanamento, come se si trattasse di un
soggetto sensibile caduco e destinato a scomparire, ad annullarsi, non prima di essersi
sfrangiato nella divisione infinita delle possibili determinazioni. Qui non può valere alcuna
precomprensione di natura platonico-aristotelica. E proprio perché questa precomprensione
si impose cancellando appunto l’opposta struttura immaginativa e razionale in precedenza
proposta dalle diverse scuole presofistiche. Al contrario si deve intendere e pensare che il

38
Vedi Appendice.

65
principio (érxÆ) non sia elemento, prima indiviso e poi suddividentesi, come se delle sue
molteplici manifestazioni si potessero tracciare delle rotte rettilinee e geometriche, che
prima si divarichino e che poi necessariamente debbano ritornare all’inizio, per reduplicare
senza soluzione di continuità le specie viventi così enucleate (dal tutto e nel tutto). Così la
materia non è viva internamente e necessariamente costretta a separarsi da se stessa, per
ritornare a se stessa. Dio non è all’inizio ed alla fine del tragitto. Ma, come Uno d’orizzonte
aperto, contempla in sé la possibilità della diversità/molteplicità creativa (cfr. l’origine
orientale della filosofia di Plotino). Questa, a propria volta, mentre si propone non distoglie
mai da se stessa lo sguardo della ed alla relazione eguale e libera. È questa duplicità di
filiazione divina (paterna e materna), che stabilisce e stabilizza eternamente e, qui sì
necessariamente, la relazione reciprocamente dialettica, che salva e mantiene l’originario
creativo, rammentandone sempre l’apertura necessaria d’orizzonte. Senza questa apertura,
infatti, non vi sarebbe possibilità per la creazione. Ecco quindi prendere forma una dialettica
pure verticale, già attinta dalla precedente e progressiva trasformazione della struttura
razionale dei miti e riti religiosi greci, pre-arcaici ed arcaici.
Ecco dunque spiegata l’apparenza e la comprensione dello spazio creativo e doppiamente
dialettico, che farà da sfondo all’intera speculazione della scuola ionica di filosofia, in
Talete, Anassimandro ed Anassimene.

B) Talete
Con Talete l’umido (Ïdvr) non deve dunque essere inteso come l’elemento naturale e
materiale dal quale fuoriescono tutti gli esseri viventi, quanto piuttosto la rappresentazione
sì materiale, ma in movimento aperto e dialettico, di quello spazio immaginativo e razionale
che definisce e determina, accompagna e finalizza i tre momenti successivi e collegati dello
sforzo sintetico, dell’accompagnamento di orizzonte - ırismÒw - e della necessità e
possibilità di finalizzazione individuale e collettiva. Uno spazio triadico aperto, con un
pieno valore – insieme – teologico, politico e naturale. Quindi saremmo di fronte al caso di
una rappresentazione filosofica, che opera una torsione e rivoluzione completa dell’aspetto e
della fonte creativa naturale, attraverso la globalizzazione dell’intervento e della
finalizzazione razionale. In questo movimento che ha origini creative e dimensioni
dialettiche – sia orizzontali, a comprendere l’insieme degli esseri, che verticali, a
comprendere lo slancio infinito ed universale di un impulso emotivo e razionale
fondamentale ed essenziale (cfr. la figura e la funzione dell’eros nella speculazione
parmenidea) – possono allora essere reintegrate – con un senso, un significato ed una
funzione completamente diversa – le testimonianze aristoteliche, che assegnano
all’elemento acquoso ed umido delle capacità di sostentamento degli esseri vitali, collegate

66
alle virtù espresse del calore. Secondo la testimonianza aristotelica dell’elemento acquoso
partecipavano pure tutte le potenze generative degli esseri, cosicché l’elemento stesso
poteva garantire la potenziale dinamicità di ogni sviluppo e tendenza. Ma il concetto e la
prassi stessa instaurata dalla potenza dello sviluppo e dalla tendenza richiamano in campo
quell’orientamento divergente (quell’apertura razionale e religiosa) e quel termine
d’eguaglianza (il finalizzatore collettivo), che Aristotele cerca sin da questo momento di
nascondere, occultare o negare, annullando completamente per il primo dei naturalisti
(fusiolÒgoi) la dimensione creativa e dialettica, il
modo attraverso il quale il “quanto” si fa “quale”,
grazie ad un particolare concetto di estensione con Orizzonte
variazione e rivoluzione/rovesciamento. Vedremo,
Scopo
quando tratteremo della riflessione di G.W.F. Hegel,
come si potrà tematizzare e problematizzare questo
Sintesi
concetto, e quale prassi esso possa aprire. Del resto
questo stesso concetto presentava per lo stesso
TALETE, Ïdvr.
Aristotele una ragione problematica, nel momento in
cui il filosofo di Stagira dovrà cercare di risolvere la
questione dell’induzione (§pagvgÆ). 39
È dunque proprio il concetto di sostentamento attraverso il calore che indica quel
movimento verso l’apertura di una molteplicità di potenze – cfr. le successive idee della
speculazione platonica – grazie al quale si procede e si attinge quel rovesciamento
d’orizzonte di tipo razionale, in capo al quale la realizzazione degli esseri, la loro
finalizzazione comune (eguale) può consolidarsi e stabilizzarsi, in modo necessario e nello
stesso tempo possibile, eguale, autonomo (non-eteronomo) e libero. Allora, ancora, qui non
compare il concetto di strumento e tanto meno quello di autostrumentalizzazione: concetti
entrambi cari alla successiva speculazione platonico-aristotelica.
Del resto gli stessi interessi astronomici, matematici, fisici, politici e quindi - in senso
ampio ed articolato - filosofici di Talete testimoniano in maniera diversa quale fosse e che
strutturazione avesse la propria diversa impostazione concettuale. In lui, infatti l’inscindibile
era l’inalienabile: lo stato federativo con capitale Teo – testimoniato dal racconto di Erodoto
– verso il quale egli mosse le singole città della Ionia dimostra l’applicazione di questo
comune orizzonte razionale e la sua forte valenza liberamente egualitaria. Per questa ragione
l’aspetto e la caratterizzazione politica della sua speculazione non poteva separarsi da una
concezione religiosa e da una ben precisa considerazione appunto naturale – “tutto è pieno

39
Vedi Appendice. Aristotele, Metafisica, I, 3, 983b, 20.

67
di dèi”; “esseri inanimati avrebbero un’anima come che sia in base alla calamita e
all’ambra” 40 - che prevedesse che la molteplicità apparentemente superiore delle potenze
divine non solo non si scindesse dalla vita naturale e razionale di tutti gli esseri –
liberamente ed egualmente viventi – ma ne costituisse l’impulso, il nerbo e lo scopo
profondo, alto e comune. Diverso sarà il discorso impostato dalla ricerca di una comune
regolazione, avviato dalla scuola di Pitagora e dai pitagorici. Ma qui, come per la figura
stessa di Eraclito, ci avviciniamo a quella concezione distintiva e tendenzialmente
separatista, che sarebbe stata fortemente influenzata dalla diffusione delle concezioni
religiose orfiche. Non è un mistero per alcuno che, allora, l’esito finale di questa
impostazione non dovesse perfezionarsi altrimenti che nel lavoro speculativo fortemente
univocizzante di Platone (cfr. il concetto dell’Uno-in-sé).
In conclusione diventa chiaro ed immediatamente evidente come la distinzione aristotelica
fra i “teologi” – i poeti precedenti, come per esempio Esiodo ed Omero – ed i nuovi
“fisiologi” – appunto Talete, Anassimandro ed Anassimene – non possa non portare ad una
visione disintegrata ed inintellegibile della probabile speculazione dei filosofi della Ionia e,
quindi, ci costringa ad abbandonare quel presupposto interpretativo – fortemente
aristotelizzato – che immedesimava il principio con la sostanza materiale comune ed
originaria (tØn Ïlhn ka‹ tÚ Ípoke¤menon), la cui esplosione vitale sarebbe stata all’origine
causa e principio dell’unità interna di tutti i fenomeni comparenti ed in divenire all’interno
dell’orizzonte comune dell’Essere. Lo scopo della controdimostrazione aristotelica è, infatti,
in Metafisica A, non tanto la disintegrazione delle argomentazioni platoniche, quanto
piuttosto l’occultamento, la sostituzione e l’appropriazione su di un piano astratto – il piano
immaginativo di una sensibilità, che si muove internamente secondo regolazioni e finalità
necessarie – delle argomentazioni dei presofisti e della loro visione radicale dell’infinito
creativo e doppiamente dialettico. Insieme a Platone, infatti, Aristotele trasferirà su questo
piano diviso tutti i movimenti dell’Essere stesso, distinguendosi dal proprio maestro
unicamente per l’accentuazione del senso oggettivo e determinato della finalità stessa.
L’idea dell’essere-diverso diventa così la potenza e l’atto di un divenire tendenziale e
preorientato, oltre il panorama aperto delle differenze.

C) Anassimandro
La dimostrazione ulteriore del fatto che la serie delle argomentazioni filosofiche
aristoteliche è consapevolmente indirizzata ad occludere lo spazio vitale del pensiero e

40
Diels, H., Kranz, W. I Presocratici. Testimonianze e frammenti. Da Talete a Empedocle. A cura di Alessandro Lami.
Milano, Rizzoli, 2000 (1991¹). Pag. 121.

68
dell’azione dei presofisti è dato dalla “dimenticanza” in Metafisica A della trattazione della
posizione di Anassimandro.
In contrasto con una possibile identificazione del concetto di infinito (êpeiron) in
Anassimandro con il concetto dell’illimite nella concezione pitagorica (vedi lo schema
approntato qui sotto), 41 la posizione del successore di Talete alla guida della scuola ionica di
filosofia indica apertamente la valenza creativa e doppiamente dialettica del principio,
finalmente identificata nel
suo motore fondamentale
ed essenziale e nella sua
struttura costitutiva.
Mentre l’illimite
pitagorico svolge, infatti,
la parte della categoria
astratta
dell’indeterminato,
l’infinito anassimandreo
non è parte che si combina
con una finalizzazione
Schema
determinatrice, essendo pitagorico
invece proprio lui causa,
principio ed unità in movimento, di differenziazione reciproca e di ricomposizione
d’orizzonte. Senza questa valenza potenziale superiore (cfr. la sovrabbondanza d’essere
dell’Uno infinito plotiniano) l’infinito anassimandreo non riuscirebbe, infatti, a ricoprire la
funzione che, successivamente, Parmenide e Anassagora attribuiranno rispettivamente a
Dike o all’Intelligenza (NoËw), per il tramite delle omeomerie (ımoiomhr∞): la funzione
intrinsecamente determinatrice, sia in senso dialettico orizzontale, che in quello verticale, di
rammemorazione dell’apertura dell’orizzonte razionale e naturale. Se, quindi, la distinzione
reciproca dei corpi (la separazione) - ottenuta magari attraverso la contrapposizione logica
dei contrari (come sarà in Aristotele), oppure grazie ad un’eventuale proporzione di vari
elementi (come farà la speculazione atomistica successiva) - è la fase mediana del
movimento del divenire universale, la fase iniziale e quella finale non possono non essere
contraddistinte da una posizione nella quale quella distinzione viene annullata (a favore,
quindi, di un indistinto iniziale e di un indistinto finale). Anticipando l’impostazione che
sarà cara ad Empedocle, Anassimandro distingue, qui, una ben definita e delimitata

41
Cfr. Aristotele, Metafisica (A). A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pag. 29. Metafisica, A 5,
986a 20-27.

69
dialettica verticale, che sarà utilizzata – anche se in modo diverso - da Eraclito, per la sua
dialettica degli opposti. Nello stesso tempo, come si è visto, questa dialettica verticale si
manifesta come dialettica orizzontale, attraverso la reciproca distinzione e separazione dei
corpi.
Se infinito è, dunque, il principio, infiniti saranno nello spazio e nel tempo dell’intero
movimento universale i mondi che in esso prenderanno forma, movimento proprio,
sensazione, anima e capacità di autogoverno. Quest’ultima virtù e perfezione potrà essere
attinta e confermata nel momento in cui ci si ricordi che il mondo in formazione sta in
relazione dialettica con tutti gli altri mondi in formazione e che l’evoluzione dell’uno
influenza ed è influenzata dall’evoluzione di ciascun altro. Ma il desiderio di sé, che anima i
mondi, li contrappone e rompe - disgregandola - l’unità d’orizzonte (cfr. l’origine della
sofferenza nella concezione buddista). Qual è, però, l’effetto di questa ingiustizia? Che il
rovesciamento della logica originaria si riflette sugli agenti della stessa, che verranno
dissolti dalla loro stessa reciproca negazione, quando questa avrà assunto il posto
dell’orizzonte originario, come assoluto della morte. Nella concezione sotterraneamente
politica di Anassimandro è prevista la diversità, anche la reciproca opposizione, ma non può
essere consentita la disgregazione del comune orizzonte unitario, che vale come fonte di
armonia e di contemperamento reciproco, di codeterminazione e di reciproco sostentamento
e sopravvivenza. L’orizzonte unitario universale riemerge comunque dalla dissoluzione dei
mondi in reciproca negazione, per salvaguardare o rigenerare gli altri mondi o i residui di
quelli disgregatisi.
La stessa forma della Terra, poi, posta al centro dell’Universo riepiloga visivamente lo
schema di questa doppia versione dialettica (orizzontale e verticale), con una forma
cilindrica. Il movimento e l’evoluzione contraddistinguono, infine, la stessa formazione ed
origine della specie umana, che viene fatta procedere da altre forme viventi (le forme
acquatiche).
Una visione, quella di Anassimandro, quindi totalmente positiva, capace di oltrepassare
ogni tragicità naturale e/o razionale. Ben diversa e deformata è invece l’interpretazione dello
stesso pensatore, che si ricava dall’impostazione aristotelica. Se si conserva la sua versione
strettamente necessitarista, la dialettica ed il motore infinito di questo pensatore vengono
schiacciati ed annullati, in una forma primordiale indifferenziata, dalla quale il movimento
stesso verrebbe considerato e qualificato comunque come una forma di ingiustizia, che deve
a sua volta essere negata, per ripristinare la condizione iniziale, assolutamente impedente
per quanto riguarda ogni forma di libera creatività. Tolto il motore creativo, Aristotele ha
buon gioco ad annullare anche la visione della doppia dialettica anassimandrea, in attesa di

70
occupare lo stesso spazio concettuale, con la sua definizione astratta ed immaginativa del
soggetto medio e mediante. 42

D) Anassimene
Mentre, quindi, Anassimandro aveva evidenziato il motore fondamentale ed essenziale
dell’Essere nella sua interezza (cfr. Schelling e la sua filosofia dell’Identità, di impostazione
orfico-eraclitea), svelandone la sua intrinseca struttura costitutiva di tipo creativo e
doppiamente dialettico, l’attenzione di Anassimene si concentra nella definizione e
determinazione di quel soggetto medio e mediante 43 (cfr. Aristotele ed il suo concetto di
materia logica, astratto ed immaginativo) che è da solo capace di dare spiegazione ed effetto
dimostrabile a tale principio ed a tale struttura. In questo senso Anassimene sviluppa le
considerazioni precedenti di Anassimandro, che aveva voluto indicare nell’eterno
movimento rivoluzionatorio dell’infinito (cfr. l’affinità con il nucleo centrale della
speculazione di Giordano Bruno, lo “stabilissimo moto metafisico”, che dimostra i moti
della Terra e di tutti quanti gli altri astri celesti) la possibilità e la potenza della genesi e
della reciproca codeterminazione dei corpi celesti. Per fare questo egli procedette oltre la
circolarità di fuoco, successivamente spiraleggiante in circolarità diverse, suggerita da
Anassimandro 44 e indicò nell’aria (é°ra) e nel suo movimento circolare la potenzialità
dinamica capace di instaurare quella dialettica orizzontale e verticale che, nella sua visibilità
immaginativa e razionale, attraverso la coppia logica condensazione/rarefazione, doveva
esprimere la volontà e la potenza nel contempo differenziante ed unitaria del principio
stesso. Il movimento aereo avrebbe, quindi, costituito la visibilità immaginativa sia della
reciproca differenziazione degli esseri, sia la loro ricomposizione unitaria, all’interno
dell’orizzonte razionale e religioso comune già delineato dai suoi predecessori. Allora l’aria
avrebbe mosso attraverso il soffio vitale l’anima di tutti gli esseri viventi, la quale a sua
volta avrebbe potuto sì differenziarsi, ma anche ricomporsi (cfr. l’anima universale nella
speculazione di Plotino). L’anima del tutto-d’essere avrebbe così sollecitato in senso
problematico ed effettivamente tecnico le speculazioni successive di Eraclito e di Pitagora e
dei pitagorici a cercare una possibile regolazione astratta e separata, prima e divisa, per la
determinazione essenziale di questo movimento (del divenire e dell’essere, nel contempo).

42
Vedi, in Appendice, la critica di Aristotele alla teoria delle idee platoniche (sempre in Metafisica, A).
43
La centralità teoretica di questo soggetto medio e mediante si concretizzava materialmente ed artisticamente nella
riflessione argomentativa di Anassimene per il tramite della centralità – già anassimandrea – della Terra. Dalla Terra
fuoriuscivano i fuochi, dai quali a loro volta procedevano i diversi astri celesti. Cfr. Diels, H., Kranz, W. I Presocratici.
Testimonianze e frammenti. Da Talete a Empedocle. A cura di Alessandro Lami. Milano, Rizzoli, 2000 (1991¹). Pag.
143.
44
Diels, H., Kranz, W. Cit. Pag. 131. Incredibile il confronto con la teoria cartesiana dei vortici e con la teoria moderna
della formazione spiraleggiante (accentramento e separazione per gravità).

71
A ciò avrebbe poi risposto polemicamente, prima il tentativo ricostitutivo di Parmenide e
della scuola eleate, poi quello dei fisici pluralisti (Empedocle, Anassagora, Democrito). Il
passaggio verso il progressivo dominio ed egemonia della mediazione astratta si sarebbe,
infine, realizzato grazie alle riflessioni sofistiche, socratiche, platoniche ed aristoteliche.
Quest’ultima è, dunque, una possibile traccia per lo sviluppo di quell’orizzonte formativo
di tipo disciplinare, disposto, articolato e sommariamente organizzato, all’inizio della
stesura del piano di questo modulo.

4. METODOLOGIE, STRUMENTI, MATERIALI

La classe verrà inizialmente avviata verso un progressiva problematizzazione di alcuni


presupposti terministici fondamentali nello studio della filosofia – ed in particolare del
modulo in esame – come principio, causa, unità, la coppia infinito-finito, giustizia, orizzonte
di razionalità, intelligenza, movimento e trasformazione, espressione, creatività e rapporto
dialettico, elemento e materia. In questo modo si inserirà un lavoro di recupero delle diverse
ed opposte tradizioni speculative dominanti nella civiltà occidentale (la proposta
trascendentista e quella immanentista), accostando a queste l’ipotesi alternativa
rappresentata dalle speculazioni dei Presofisti ed, in particolare, dei filosofi ionici. In questo
modo la classe verrà posta di fronte alla possibilità di intendere – con il successivo
passaggio alla speculazione antropologica ed ontologica del Socrate platonico, di Platone
stesso e di Aristotele – il salto di civiltà nell’ideologico, che contraddistinguerà lo sviluppo
del pensiero occidentale e come salto abbia necessariamente e volutamente occultato una
concezione precedente completamente alternativa. In questo modo il senso del divenire
storico della civiltà occidentale uscirà dalle secche rappresentate dall’applicazione
immediata dei criteri di sviluppo secondo continuità o differenza, per entrare in una
dimensione immaginativo-razionale più ampia, profonda ed elevata, capace di rendere
effettivamente il respiro ed il movimento reale del pensiero. L’interpretazione personale
proposta e svolta dall’insegnante, seguendo e risintetizzando il contenuto precedentemente
espresso ed articolato, offrirà così l’occasione a discenti nella fase adolescenziale per
identificare speculativamente le proprie volontà di affermazione dialettica e creativa
personale, evitando il rischio della chiusura ideologica all’interno di una dialettica e di
un’opposizione decettive e in verità svianti.
Per realizzare, dunque, gli obiettivi stabiliti per la programmazione modulare ed in
particolar modo gli obiettivi definiti per il modulo iniziale, si attuerà un confronto diretto
con i testi degli autori considerati (testimonianze e frammenti) e/o i commenti svolti a
proposito dall’insegnante (qui posti in Appendice), con un grande uso di mappe concettuali

72
(all’inizio, durante le spiegazioni frontali e/o dialogate, alla fine come guida per il riepilogo
od il recupero). Per rendere poi consapevole la classe della sussistenza di un’interpretazione
istituzionale di questa fase del pensiero occidentale, si utilizzerà il manuale scelto dal
Collegio Docenti, avviando in tal modo la classe stessa verso la consapevolezza
dell’esistenza delle principali correnti di storiografia filosofica e delle principali scuole
interpretative italiane (marxista, liberale, cattolica, critico-radicale). 45
Le lezioni vedranno, quindi, alternarsi brevi spiegazioni e contestualizzazioni iniziali e un
immediato riscontro con i dati interpretativi offerti dai testi (primari o secondari),
sviluppando un metodo di lavoro comune basato sullo scambio dialettico e sulla
problematizzazione (lezione dialogata). L’approfondimento comune ed individualizzato
verrà poi svolto secondo la modalità principale del lavoro per gruppi (apprendimento
cooperativo). Nel caso particolare individuato dalla speculazione degli Ionici la divisione
per gruppi tematici ricalcherà l’analisi iniziale dei termini proposta, mentre la suddivisione
dei compiti prevederà inizialmente la considerazione delle possibili fonti dossografiche, per
la definizione di una possibile biografia dell’autore considerato, per la determinazione di un
possibile orizzonte culturale di riferimento, per la proposta di sviluppo di particolari mappe
concettuali.
In modo più definito il momento analitico vedrà l’individuazione sulle testimonianze ed i
frammenti dei Presocratici dei termini, dei concetti e delle idee fondamentali, la
segmentazione/paragrafazione/titolazione dei testi offerti, la ricomposizione schematica e la
produzione finale di opportune ed adeguate mappe concettuali (come guida per
l’esposizione orale o scritta).
Invece il momento legato all’acquisizione delle competenze vedrà stabilire dei momenti di
discussione plenaria, dove le acquisizioni precedenti verranno integrate nel pensiero
dell’autore, mentre si formerà progressivamente quella contestualizzazione storica
dell’autore e delle sue opere che costituirà l’eventuale base per la compilazione di un tema
storico (vedi qui Verifiche e Valutazione). Nello stesso tempo si avvierà – sempre in sede di
discussione dialogata e plenaria – una riflessione sugli eventuali rapporti con le modalità
espressive delle altre discipline coeve alla nascita della filosofia (descrizione geografica,
osservazione storica, scuole di medicina). Facendo bene attenzione come l’aspetto
espressivo, tramite i generi letterari e teatrali, sia giunto sino ai nostri tempi, compiendo così
infine una fase conclusiva di attualizzazione delle medesime problematiche.
Per quanto riguarda i materiali da utilizzare, vengono evidenziati, di seguito:

45
Vedi Ruffaldi, Enzo. Insegnare Filosofia. Firenze La Nuova Italia, 1999. Pagg. 9-29.

73
a) un manuale di storia della filosofia: es. Il Nuovo Protagonisti e Testi della Filosofia,
a cura di G. Fornero; Milano, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2006, nelle pagine
dedicate all’inizio della filosofia ed ai filosofici ionici (pagg. 1-18; 19-24) e nelle
pagine che contengono le parti antologiche interessate ai contenuti del modulo
(Esiodo, Teogonia, pagg. 71-73; Orfismo, Le laminette orfiche, pagg. 73-74; Il
problema dell’arché, Talete, pagg. 74-77; Anassimandro, pagg. 77-79).
b) I Presocratici. Testimonianze e frammenti. A cura di A. Lami. Milano, Rizzoli, 1997.
Le pagine dedicate alle testimonianze ed ai frammenti relativi a Talete, Anassimandro
ed Anassimene sono le pagg. 120-148.
c) Introduzione a Talete, Anassimandro e Anassimene. A cura di R. Laurenti. Roma-
Bari, Laterza, 1995.
d) Appendice. Con documenti personali, relativi al commento a: W. Burkert, Storia delle
Religioni – I Greci (tomo 2). Milano, Jaca Book, 1984. Aristotele, Metafisica, A. O
relativi a saggi brevi, in argomento: Orfismo e Misteri eleusini; La circolarità del
sangue animale nella storia della civiltà occidentale.
e) Le mappe concettuali presenti nei lavori sopraindicati.
f) I siti di informazione filosofica, dai quali è possibile scaricare testi e documenti
(anche audio e video): www.filosofia.it (video con H.G. Gadamer, il Mistero delle
Origini); www.portadimassa.net (con testi e documenti audio e video sulla prima
filosofia); www.filosofico.net (con schede sui singoli pensatori);
www.fisicamente.net (con lavori ragionati di Roberto Renzetti sull’origine della
scienza in Mesopotamia, Egitto e Grecia); www.ilgiardinodeipensieri.eu (con
materiale diverso).

5. VERIFICHE E VALUTAZIONE

Obbedendo alle indicazioni dei cosiddetti <<Programmi Brocca>>, le prove di verifica


saranno costruite per misurare l’acquisizione degli obiettivi specifici legati al modulo
considerato e per impostare, eventualmente, un lavoro di recupero/potenziamento delle
conoscenze/abilità/competenze precedentemente individuate ed esplicitate.
Si darà così spazio – attraverso tests di domande a risposta multipla od aperta (tipologia
d’esame A); attraverso l’eventuale produzione di un breve saggio formulato sulla base di
un’adeguata documentazione (tipologia B), come approfondimento individuale del lavoro di
apprendimento cooperativo; attraverso l’elaborazione di un tema ad impronta storica
(tipologia C) – alla:

74
a) individuazione e spiegazione dei termini, dei concetti e delle idee fondamentali degli
autori considerati;
b) nella fase analitico-sintetica legata alle abilità, all’individuazione delle strategie
argomentative e delle finalità presenti nei testi degli autori considerati (o, in questo
caso, nelle testimonianze a loro offerte, con particolare attenzione alla variabile
costituita dall’interpretazione);
c) nella fase legata allo sviluppo delle competenze, la valutazione in sede di discussione
plenaria e dialogata degli apporti individuali, sino all’approfondimento in una
interrogazione individualizzata.

75
SOMMARIO

INTRODUZIONE.............................................................................................................3
1. PREREQUISITI............................................................................................................4
2. FINALITÀ E OBIETTIVI ............................................................................................4
3. CONTENUTI ................................................................................................................5
Introduzione. .................................................................................................................5
Unità Didattica N.1 .......................................................................................................7
A) Influenze orientali o mediterranee e posizioni locali (di tipo trascendentista o
immanentista). ..............................................................................................................7
B) L’aspetto e la caratterizzazione teologico-politica e naturale............................10
C) Il sacro, il sacrificio, la preghiera e la purificazione..........................................13
D) I risultati dell’intreccio fra sacralità e purezza. La mediazione sacerdotale. La
convenzionalità della legge. .......................................................................................24
E) I luoghi del sacro. Santuari ed altari...................................................................29
F) I luoghi del sacro. Templi e immagini sacre. .....................................................32
G) Il sacerdote. ........................................................................................................33
H) Le processioni religiose e la loro funzione. .......................................................34
I) Nelle processioni religiose: il canto e la danza. ..................................................35
L) Nelle processioni religiose: la sessualità............................................................37
M) Nelle processioni religiose: l’agonismo. ...........................................................38
N) Nelle processioni religiose: l’entusiasmo e l’emozione. ...................................39
O) Nelle processioni religiose: il giudizio e la previsione. .....................................40
P) Nelle processioni religiose: il dio che si esprime. ..............................................42
Q) La rappresentazione immaginativa e razionale del politeismo greco................42
R) Orfismo vs. Misteri eleusini...............................................................................47
Unità Didattica N.2 .....................................................................................................63
A) Premessa: la scuola ionica di Mileto..............................................................63
B) Talete..............................................................................................................66
C) Anassimandro.....................................................................................................68
D) Anassimene ........................................................................................................71
4. METODOLOGIE, STRUMENTI, MATERIALI.......................................................72
5. VERIFICHE E VALUTAZIONE ...............................................................................74
Sommario ............................................................................................................................76
APPENDICE. DOCUMENTI E FONTI ............................................................................77
APPENDICE
DOCUMENTI E FONTI
Commenti personali e ragionati a:
W. Burkert, Storia delle Religioni – I Greci (tomo 2).
Aristotele, Metafisica, A.
Brevi saggi personali in argomento:
S. Ulliana, Orfismo e Misteri eleusini.
S. Ulliana, La circolarità del sangue animale nella storia della civiltà occidentale.
Storia delle religioni – I Greci
A cura di Walter Burkert (Milano, Jaca Book, 1984, 1977¹)
Appunti di lettura, interpretazioni, commenti e materiali per la citazione.

Vol 2. Età arcaica. Età classica (sec. IX-IV)

Dal Capitolo 3: Gli dei rappresentati.


1. Poesia e arte figurativa sulla scia di Omero. Pagg. 177-185.
Il rapporto dialettico instaurato fra il divino, elongato ed elevato, e l’umano, assoggettato
ed ordinato (nel pensiero e nell’azione) costituisce uno spazio nuovo per un tempo diverso
nella civilizzazione greca: la considerazione proposta dall’immaginazione razionale comune
non resta più ferma all’eterna creatività del presente, della potenza divina intelligente e
materiale, ma si muove e si svincola dalle sue capacità di possesso e di dominio, per
rovesciarne la dominazione. Non sarà più una Natura, che con la sua Ragione orienterà
l’uomo nel pensiero e nell’azione, ma al contrario sarà il pensiero e l’azione dell’uomo,
garantito e giustificato dalle potenze divine astratte (divinità olimpiche), a indicare la
possibilità di una trasformazione e di un movimento apparentemente libero e svincolato dai
condizionamenti naturali e materiali. La potenza divina viene dunque estratta, astratta ed
alienata a terminazioni divine, che assumono su di sé la nuova capacità delle potenze celesti,
superiori, determinanti. Il soggetto umano traspone la propria volontà e necessità di dominio
in agenti di determinazione separati, eterni, personificati con le sue stesse qualità e
condizionamenti. Nasce il mondo della rappresentazione unica e del rapporto dialettico
decettivo e negativo. Sorge l’orizzonte comune della negazione.
È all’interno di questo orizzonte di separazione che si dispongono le nuove raffigurazioni
delle potenze divine, secondo delle precise relazioni organiche, tese a nascondere ed
occultare definitivamente – sostituendoli - i rapporti religiosi precedenti. Mito e rito
individuano la singola personalità divina all’interno di una serie di rapporti organici con
tutte le altre, necessarie, personalità divine. Vi è una precisa logica che tiene unito il tutto e
che verrà chiarita dalle funzioni e dalle reciproche disposizioni delle singole divinità. La
trasformazione religiosa opera per graduale sostituzione, rituale e mitica: utilizza i riti
precedenti, modificandoli con nuove mitologizzazioni. Cambiando il significato degli
strumenti ed elementi utilizzati o valorizzati. Così vedremo cambiare progressivamente di
significato le figure della Grande Dea Madre (Gea-Gaia, Era, Demetra), mentre
corrispondentemente nuove immagini razionali assumono la funzione superiore di comando
e di dominio (Urano, Crono, Poseidone, Zeus), o nuove figure strumentali sostituiscono
l’originario sviluppo dell’azione (Dioniso, Asclepio, Atena).
Così Esiodo ed Omero sono gli strumenti principali di questo processo di trasformazione.
L’ideologia olimpica viene da loro progressivamente costruita ed arricchita, per essere poi
ripresa e continuamente rafforzata e raffinata da tutte le successive impostazioni
tradizionaliste, nella loro battaglia contro il sempre risorgente spirito naturalistico e critico-
razionale. Il superamento dell’eroe o la fatica quotidiana nel lavoro agricolo trovano un
termine di giustificazione, valorizzazione od addirittura di glorificazione in questa nuova
forza astraente, in questa edificazione di una nuova potenza umana, che è capace di invertire
il rapporto di dominazione, dalla dipendenza naturale a quella razionale e divina,
maggiormente facilitante il desiderio umano di libertà dalle necessità materiali. Che
abbisogna di un riconoscimento reale e di uno formale, del consenso delle popolazioni
greche e dello sviluppo ulteriore portato dalla nuova classe intellettuale.
Ruotando attorno al perno estremo della strumentalità, l’ideologia in costruzione rovescia
il semplice e spontaneo finalismo creativo del soggetto naturale in una forma superiore e
separata di determinazione, che dall’alto del cielo astratto della ragione si impone con
necessità intangibile, immodificabile ed indiscutibile. L’influenza della posizione dominante
orientale (Egitto, Medio Oriente ed Anatolia) e la successiva organizzazione sistematica che
la cultura greco-latina (per non dire di quella cristiana) vi apporrà compongono bene
insieme quel quadro d’orizzonte e di determinazione del pensiero e dell’azione, che agirà
come comportamento intellettuale e di massa per la civiltà occidentale, nella sua storia di
progressiva e globale saturazione dello spazio e del tempo civile (lavoro, istituzione e
guerra/commercio). Così la nuova forma della divinità esiodea od omerica definisce la
terminalità superiore della civiltà nascente, non senza aprire per l’umano quello spazio di
mediazione assoluta, che troverà nella successiva speculazione sofistica e socratica una
specie di laicizzazione estrema. L’umanesimo realistico omerico anticipa in questo modo
quello socratico, quando lo spazio per l’imperscrutabilità dei giudizi e delle decisioni divine
si trasformerà nel sapere di non sapere socratico. Ed il non-tempo dell’eterno si rifletterà nel
tempo dell’imitazione esemplare (Platone ed il cristianesimo vi appoggeranno,
rispettivamente, la propria dottrina delle idee e quella del Cristo Salvatore). È questo
riflesso ad avere quale precedente il rapporto di filiazione dell’eroe dal divino (Teti →
Achille; Zeus → Eracle). È in questo modo che l’eroe, nato dal divino (con un parto non
completamente naturale, che ne espone l’anima a determinazioni superiori) per essere da
questi guidato attraverso mille prove, ritorna ad esso, per garantire la moltiplicazione
ideologica del suo esempio e del suo comportamento. Così, se il procedere verso l’uso
pacifico della ragione (Atena) contraddistingue il processo di rapido passaggio dall’epoca
della guerra (Iliade) a quella del commercio (Odissea), la normalizzazione del tempo
realizzata grazie ai riflessi pratici e quotidiani della teogonia esiodea fa procedere innanzi

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l’edificazione ideologica, nella sempre più stretta composizione fra divino ed umano. 46
L’orizzonte olimpico aperto e delineato dal poeta greco nella sua Le opere ed i giorni
determina, infatti, una sorta di forma di chiusura e di negazione nei confronti di un
atteggiamento civile, culturale e religioso precedentemente attento alla considerazione vitale
e libera delle potenze naturali ed umane. L’orizzonte divino negativo e punitivo esiodeo
funge da giustificazione di quell’atto e di quella potenza, che giudicano e definiscono
l’intangibilità – di qui l’amara necessità dell’espiazione attraverso il lavoro (che, però, può
rendere autonoma e giusta la collettività) – della colpa compiuta da Prometeo e della
punizione ad essa relativa: rendere autonome le comunità umane attraverso lo strumento del
fuoco vale l’effetto apocalittico degli arbitri e delle violenze interne ed esterne ad esso
collegate (invidia, gelosia, sopraffazione, guerra). Quasi come un’eco reazionaria dei secoli
bui precedenti, la libertà naturale e razionale degli uomini viene accusata della caduta
originaria, della colpa iniziale: abbandonare
l’età dell’oro per giungere in un’età nella quale
ETERE Z
NOTTE URANO E – l’età dell’argento – il demone inferiore del
U
CRONO S
possesso domina e stravolge negativamente
C GIORNO ogni rapporto umano. Di qui il passaggio
A
O
S all’età immediatamente successiva – l’età del
bronzo – l’età della guerra generalizzata. Solo
EREBO
gli eroi fanno risorgere un riflesso ideale
dell’età iniziale, quando conquistano per la
Schema visivo della Teogonia esiodea
Grecia l’onore della giusta bontà dei propri
possedimenti (a Troia e a Tebe) e per loro stessi l’apoteosi paradisiaca. L’età di Esiodo
invece ricalca le orme negative della corruzione iniziale: qui, di nuovo, nell’età del ferro il
demone del possesso genera ancora e di nuovo violenza, sofferenza, ingiustizia,
richiamando la necessità di una punizione esemplare. Solo la giustizia divina può allora
subentrare a fondare il richiamo alla legge ed alla sua potenza salvifica, mentre il lavoro
collettivo ed organizzato consente alla comunità di vivere in pace e con un costante
adeguamento agli insegnamenti divini (onestà, probità, ragionevolezza).
Quell’orizzonte olimpico viene, poi, determinato nella rete delle proprie relazioni fra
divinità, quando nella Teogonia il rovesciamento iniziale, l’atto della ribellione all’ordine
divino, viene transcodificato miticamente per il tramite del passaggio allegorico dal mondo
della chiusa perfezione naturale e razionale al mondo nel quale sembra operare una
dialettica decettiva, una dialettica perversa e negativa. Dove la forza del più grande sul più

46
Vedi alla voce Esiodo, in: http://it.wikipedia.org/wiki/Esiodo.

80
piccolo e debole non conduce alcuna forma riconosciuta di alterazione, che possa essere
definita e identificata come sopraffazione e violenza al dettato divino, ma al contrario come
forma razionale di vita naturale. Quando Crono mutila Urano – e la castrazione del cielo
sembra rappresentare mimeticamente l’enucleazione e lo sradicamento della potenza
razionale superiore - solo Zeus ricomporrà la frattura iniziale, attraverso il richiamo ad un
orizzonte ideale, fatto di ordine, necessità e subordinazione collettivamente accettata. È in
questo modo che comincia ad instaurarsi nella costituenda civiltà occidentale – o almeno
nella sua parte e tradizione egemonica – quel richiamo ad una potenza ed un ordine attuale,
che in altri luoghi di questa trattazione è stato descritto come il concetto (e la relativa,
connessa, prassi) dell’Uno necessario e d’ordine, capace di fondare in senso capovolto –
rispetto all’originaria proiezione immediata delle capacità creative - la serie delle
dipendenze, naturali e razionali. È la potenza astratta della ragione a costituire così
quell’orizzonte, ingenerando in se stessa quello spazio immaginativo all’interno del quale
depositare ogni forma di contenuto espresso, naturale ed immediato od apparentemente
sovrannaturale e mediato. Essa si occuperà, infatti, di accogliere la predisposizione divina e
il suo movimento causale, aprendo il concetto e la prassi dell’umano. Intelletto e volontà,
nelle figure mitologiche di Apollo (Artemide) ed Atena, offriranno allora campo aperto alla
suddivisione ulteriore delle cariche e delle funzioni divine, facendo bene attenzione a
riassumere nella propria ricodificazione mitologica sistematica tutte le strutture religiose
precedenti, con opportune sostituzioni per sovrapposizione. Era, Afrodite, Ares, Hermes
sostituiranno e trasformeranno il senso ed il significato delle figure precedenti: la grande
Dea Madre, il desiderio legato a Demetra e Dioniso, la funzione correlativa e dominante di
Poseidone, la funzione di interconnessione rappresentata dalle figure paniche (Pan). In
questo modo il politeismo greco troverà una nuova sistemazione organica, principalmente
fondata sulla separazione, sull’alienazione e sulla eterodeterminazione.
Gli Inni Omerici ed i poeti lirici successivi (Archiloco, Alceo, Saffo, Pindaro).
La tradizione epica orale influenza la produzione delle raffigurazioni di contenuto
religioso (immagini in movimento e personaggi in azione). Idem per la scultura.

2. Singole personalità divine. Pagg. 185-250.


2.1. Zeus. Assume per superiorità a tutti gli altri dei il luogo immaginativo e razionale
deputato alla luce che risplende. Rigeneratore dell’apertura illimitata del cielo ed orizzonte
luminoso dello stesso, esso assume su di sé la doppia caratteristica dell’entità creatrice e
della divinità che limita e finisce, definisce e determina. Porta con sé, dunque, la potenza
superiore (la pioggia, la tempesta, il fulmine), che emette e dirige verso il basso, verso il
mondo degli umani e della natura. In questa potenza rimane nascosto il suo giudizio e la sua

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decisione, che sovrasta ed impaurisce ogni altro essere, esso stesso divino o mortale. “Uno”
sopra e fra “i più”, onorato dai “molti”, come Signore (wánax) governa il consesso degli dei
e le comunità degli uomini. Governa muovendo gli uni e gli altri, insieme al mondo intero.
Seppur distaccato tiene con sé la capacità generativa, che lo lega nella relazione con le
figure e controparti femminili, progressive trasfigurazioni della immagine originale della
Grande Dea Madre. Queste vengono, infatti, progressivamente neutralizzate nella propria
autonoma virtù creatrice, attraverso il timore che viene ingenerato nei confronti della libera
potenza naturale, demonica e costantemente da blandire. Così alla sapienza naturale (Meti)
si sostituisce la saggezza di tipo maschile (Atena, che nasce dalla mente di Zeus). Ma il
pericolo rimane comunque costante (Tifeo, i Giganti), a rappresentare la permanenza della
potenza naturale e delle antiche forme di divinizzazione. La nuova ideologia religiosa
rimane invece vittoriosa grazie al consenso generale rivolto all’imposizione di un ordine
universale, dove “i più” (gli aristocratici guerrieri) ed “i molti” (i liberi) si accordano nella
sottomissione all’Uno (il re). L’ordine sociale, economico e politico della Grecia arcaica
trova dunque il proprio radicamento nella volontà e nella capacità di trattenere ed elevare la
relazione di generazione, indirizzandola verso finalità e scopi essi stessi decisi per
determinazione univoca (nóos) e concorso molteplice. Questa è la forza irresistibile e senza
opposizione, che muove e racchiude in sé (possiede) ogni cosa, grazie alla formazione di
una premessa teologica che verrà posteriormente trasfigurata dalla successiva definizione
aristotelica della potenza del cielo (De caelo), in capo al reggitore (comandante) del cosmo
intero (Metafisica).
Zeus è dunque Signore e Padrone attraverso la propria funzione paterna: come Padre
elevato e fecondo nell’infinita rete delle generazioni (degli dei, degli eroi e delle diverse
stirpi umane), esso dà luogo allo svolgimento del destino (Moîra), allo sviluppo della
necessità (Anánke). Ponendo, segue ciò che liberamente pone. In questa linearità
determinativa risiede, allora, la fonte della successiva speculazione astratta presente nella
corrente orfico-pitagorica: qui, come nella formazione religiosa cara alla Grecia arcaica, ci
si deve allontanare da un’origine che manifesta delle caratteristiche pericolose e
incontrollabili (l’indeciso, il duplice, ciò che comporta dubbio ed opposizione, o
resistenza), 47 per muoversi e progredire verso scopi salvifici, grazie ad orientamenti e
strumenti essi stessi conglomerati nel piano provvidenziale della salvezza. Giudizio ed
integrazione unitaria saranno, allora, la manifestazione concreta del piano della
Provvidenza, secondo impostazioni speculative riemergenti nel periodo post-aristotelico (la
Stoa).

47
Ricorda lo schema proposto per la decodificazione delle relazioni fra gli dei nella Teogonia esiodea.

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Il superamento dell’originario grazie al linearmente determinativo non riesce però ad
allontanare e a separare da sé il luogo iniziale, dal quale è necessario distaccarsi, per
procedere e progredire: l’ipostasi dislocata delle condizioni iniziali rimane quale minaccia di
un negativo sempre possibile e qualche volta incombente. Sarà una dialettica verticale fra
l’originario e il divino a tentare di illuminare e tracciare una strada, che si allontani
definitivamente dal richiamo sirenico delle condizioni iniziali. A prezzo, però, di un
dimezzamento: il dimezzamento dell’Essere, orientato alla realizzazione dello scopo finale,
eguale per tutti, universalmente. Così Eraclito apre la strada ad Aristotele, grazie alla
dialettica degli opposti ed al naturalismo teologico del fuoco, mentre Parmenide trattiene
Platone in una difficile battaglia di oscuramento, di trasfigurazione e trasformazione (il
famoso “parricidio”). Aristotele acquisirà da Platone lo stile, che lo renderà tristemente
famoso presso la considerazione di Giordano Bruno: la mistificazione originaria per
capovolgimento e riduzione, in attesa del necessario superamento. L’Essere ridotto alla
condizione di immobilità e al quale viene sottratta la potenza generativa è un essere
contraffatto e diminuito, distaccato e dislocato rispetto alla centralità della potenza e
dell’atto, che sono inscindibilmente propri dell’originario (la grande Dea Madre). In tal
modo l’Essente parmenideo viene veramente trasformato e capovolto, posto nelle
condizioni di non nuocere, tramite l’inibizione del suo movimento continuamente creativo.
Così la molteplicità che esso nega, attraverso l’affermazione unitaria, è semplicemente
proprio l’alterazione provocata dall’estrazione ed astrazione della potenza e dell’atto
dell’originario, la sua separazione nell’alto del cielo e l’alienazione della ragione comune. È
il rigetto di questo capovolgimento e della sua motivazione a causare nel pensiero di
Parmenide la negazione di quel movimento che sarebbe falsificante alterazione. Questa
alterazione è, infatti, falsificante nel momento in cui trasformasse la positività del mondo
dell’Essente in negazione: negazione da negarsi (essere per il nulla), per accedere ad un
mondo separato e contrapposto, del non-Essente. Di Dio. Uno perché al di là della
limitazione, che segna il passaggio dalla negazione alla posizione superiore. Come Cartesio
attraverso il soggetto del dubbio – pensiero negativo – riaffermerà il Dio della tradizione
neoplatonico-aristotelica, così l’intera nostra modernità viene determinata nel suo quadro di
riferimento coatto dalla riaffermazione dell’orizzonte negativo/positivo dell’Uno necessario
e d’ordine. Dell’Uno trascendente (vs. l’unitarietà immanente ed inalienabile).
Così di fronte allo scorrere di queste due opposte posizioni teologiche, politiche e naturali,
la figura e l’immagine di Zeus rappresenta l’icona iniziale e fondamentale, l’architrave della
tradizione ideologica occidentale egemone. L’altra, pensata ed agita prima di questa
rivoluzione, ha continuato ad essere nascostamente o manifestamente presente in tutte le
posizioni teologico-politiche e naturali, che hanno cercato di riaffermare la libertà naturale e

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razionale, nella sua potenza ed atto inalienabile, comune. Per questo la funzione essenziale
di Zeus consisteva nel fissare ed immobilizzare la libertà creativa femminile, orientando la
filiazione verso una forma astratta e separata di causa e di scopo (mascolinizzazione
dell’azione: cfr. le due figure di Apollo ed Artemide, o di Athena). La funzione guerresca
dell’Uno necessario e d’ordine si ammorbidisce in epoca classica, quando il commercio e lo
scambio dei beni impone la trasformazione del senso e dei significati attribuiti all’insieme
del sistema teologico greco e a ciascuna delle sue parti e personaggi (per esempio con l’uso
dislocato di Poseidone, quale strumento della realizzazione dei fini stabiliti da Athena).
Intanto nelle diverse comunità della Grecia arcaica l’imporsi di situazioni politiche e
comunitarie di lotta anche estrema (esterna ed interna) per la sopravvivenza mantiene alla
figura egemone dell’Olimpo greco una forte caratterizzazione militare. Zeus decide
soprattutto nei combattimenti, fissa la propria impronta decisiva nei loro risultati e ne
richiede riconoscimento. Il taglio e la sezione del filo della vita dipende poi dalla necessità
del destino umano e naturale. Ma la fonte della ripartizione rimane comunque in mano a
Zeus. Così Zeus diviene la giustificazione della proprietà e del diritto a difenderla
(giustizia), creando la necessità della presenza e dell’azione dello strumento della legge
(Temi). Sorvegliante delle relazioni interne, la divinità olimpica non può non reggere pure le
relazioni esterne della città e le relazioni che gli stranieri hanno fra loro nel contesto
cittadino.
2.2. Era. Proprio perché Zeus rappresenta l’universale aperto e nel contempo la forma di
chiusura e di determinazione che lo limita e lo porta a fine e compimento, Era diviene quel
termine di riferimento inferiore oramai pressoché quasi inutile, se non come compagna
materiale destinata alla formazione voluta dal proprio sposo e marito. Essa perde le proprie
caratteristiche originali ed originarie di Grande Madre, per ottenere quelle addomesticate di
sposa fedele e gelosa delle prerogative plurigenerative del consorte. Anzi: tanto più la
generazione si innalza a Zeus, tanto più essa si distacca da Era, che resta quasi sterile (Ares
è un figlio quasi non voluto, difficile ed imprevedibile, ad immagine del padre). Non è
difficile intravedere in lontananza l’importanza che questa elevazione della generazione (ed
il suo trasferimento) avrà nel successivo pensiero teologico cristiano (il rapporto fra Padre e
Figlio). Il trasferimento e la dislocazione separata della potenza - se non dell’atto –
generativo determinano inoltre una trasformazione del concetto stesso di generazione. Se,
infatti, quando dominava la concezione della Grande Dea Madre la generazione si
dimostrava quale atto creativo naturale non distaccato e separato nei suoi effetti e risultati –
non vi poteva essere passaggio dal non essere all’essere – nel momento in cui Zeus assume
con la paternità celeste il dominio elevato della stessa, si assiste ad un ben preciso
capovolgimento: l’essere viene deposto all’esistenza attraversando l’orizzonte ed il velo del

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nulla apparente, in tal modo entrando nel mondo e venendo determinato dalla composizione
dei suoi elementi, secondo una finalità che accosta ed intreccia insieme decisione
sovrannaturale e disposizione naturale. Ecco perché Apollo ed Artemide si sovrappongono
ad un Dioniso trasformato e normalizzato, teso alla realizzazione degli scopi razionali voluti
da Athena. Un orizzonte così deciso diventerà in seguito l’origine eroica delle principali
genti e famiglie greche.
Il senso e significato della figura di Era viene quindi progressivamente a trasformarsi e
neutralizzarsi: dall’iniziale significato della Grande Dea (madre), identificato grazie al
primitivo senso di De-meter (Demetra), entità privilegiata nell’atto libero della generazione
(Persefone/Dioniso), essa diviene come “Signora degli animali” compagna di Poseidone,
Signore nella distribuzione delle terre e dei relativi prodotti. Quando Poseidone viene
relegato a funzione strumentale delle finalità razionali e degli scopi voluti da Athena, Zeus
lo sostituisce nella funzione di consorte della parte femminile della generazione
(matrimonio di Era, Iliade, 14, 153-353). Allora sorge il concetto di materia vivente, che si
erge e si accosta alla forma che sopraggiunge, per ricevere su di sé l’impronta, la
determinazione e lo scopo voluto dalla provvidenza divina. Nasce la materia finalizzata e
con ciò la funzione dello strumento, prima divino e poi umano. La forma sopraggiunge e si
innesta nella materia, orientandola verso i fini precostituiti dalla intelligenza e volontà
divine. In tal modo la paternità si sovrappone alla maternità, ruotandola secondo i propri
fini. Ecco perché sembra mancare ad Era la rappresentazione della maternità: perché questa
viene sostituita dalla paternità e dalla sua volontà egemonica. L’antica Dea perde la propria
potenza, allorché questa viene trasformata in quella potenza, che sarà cara alla successiva
speculazione filosofica aristotelica, di potenza (e materia) subordinata all’atto. Così la reale
separazione dell’astratto ricade e si rovescia sul concreto, a suo volta separato dalla
considerazione reale dell’astratto stesso (Era come “separata”, dopo le nozze).
La neutralizzazione della potenza originaria di Era viene segnata dalla sua verginità
prenuziale: la sua libera espressione sessuale e generativa deve essere inibita e fermata,
perché essa inizi effettivamente e legittimamente solo sotto l’imposizione maritale.
Istituzione politica e legge si fonderanno proprio su questo implicito e nascosto
presupposto, che garantisce l’allegoria della conseguente giustificazione della proprietà e
del diritto alla sua difesa. Non a caso Platone, nella sua definizione della società ideale
comunistica, accosta la questione delle donne a quella dei beni e delle proprietà, quando
vuole criticare l’inclusione della vita nell’aspetto formale della proprietà.
L’opposizione che lega Era a Zeus – la famosa discordia – non è poi altro segno che della
neutralizzazione, con effetto negativo, della sua alterità radicale: l’originale alterità radicale
della Grande Dea Madre si trasforma e si racchiude in forme negative destinate a ripetersi

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all’infinito, nel momento dell’accettazione simulata della propria subordinazione. Ciò sta
all’origine del successivo allontanamento e della conseguente separazione di Era. Come del
resto qui si situa l’origine del rapporto negativo con il figlio eroico di Zeus, Eracle, generato
in uno dei suoi numerosi “tradimenti” e destinato, come allegorica controparte maschile,
alla salvezza del mondo. Oppure quello contro Semele e Dioniso, con un capovolgimento
dell’originaria e positiva affezione di Demetra per il dio dell’ebbrezza. Oppure quello contro
Io, allegoria della coscienza umana maschile. Qui sta, soprattutto, il fondamento di quella
concezione della Natura, non più come Madre, ma come matrigna, che troverà ampio spazio
nella letteratura italiana del primo Ottocento (da parte dell’erudito Leopardi). Allo stesso
tempo, qui sta pure il fondamento del principio di contrapposizione fra autorità e libertà
licenziosa, illegittima (anarchica), rappresentata negativamente dalla genesi del
“sovversivo” Tifeo o dello strumento perverso, perché generato in proprio e non soggetto
alla consueta subordinazione, Efesto. Sarà il Dioniso normalizzato e normalizzante a
riportare Efesto – vendicatosi del potere assoluto innalzato dalla madre, con la sua
autodissoluzione, tramite la prassi autodeterminatrice (critica delle tirannidi) – alla sua più
adeguata funzione di strumento legittimo, eterodeterminato, con la sua fissazione allegorica
nel cielo olimpico.
Era diventa, quindi, nella sua pretesa autonomia, il fondamento per l’innalzamento
criticato di un potere teologico-politico assoluto, la tirannide popolare, che pretende
l’asservimento di quello stesso strumento libertario – l’autodeterminazione democratica -
con il quale decide di affermarsi, ma che decade e scompare proprio in virtù di questo.
L’autodeterminazione democratica non poteva non resuscitare il mostro della libertà eguale,
fra i sessi prima che fra le classi ed i ceti: ma Argo viene eliminato, grazie all’intervento
provvidenziale di Hermes, che interpreta il volere divino e garantisce la salvezza e la libertà
di Io. La coscienza umana, formata nell’incontro fra il maschile dominante (il futuro spirito)
ed il femminile subordinato (la futura anima), diviene il fondamento dell’ethos e dei
comportamenti legittimi, giustificati dal dio e comunemente accettati dalle comunità greche.
Lo sarà poi nella civiltà latina ed in quella cristiana, attraversando le soglie stesse della
modernità, per giungere con il suo cumulo di contraddizioni negative ed esplosive, sino ai
nostri tempi. Per questa ragione l’anormalità e la negazione apportate dalla posizione
eccezionale, ribellistica, di Era riconfluiscono nello stato del potere ordinario, quando la
sottrazione del vero dio viene espiata con il ritorno all’ordine consueto e gerarchico. Altra
però era, è e sarà la concezione e la relativa prassi legata alla procedura dell’eguale libertà,
che non cadrà nella falsa antitesi fra anormalità e normalità, perché da sempre aperta
sull’orizzonte di un amore universale ed infinito, capace di ricongiungere in maniera
indissolubile lo spirito, l’anima e la materia, in un movimento nello stesso tempo creativo e

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doppiamente dialettico, senza essere alienante né totalitario. Libero e fraternamente eguale,
per la ragione e nella natura.
2.3. Poseidone. Se la sostituzione nella generazione e la modellizzazione della
trasmissione del potere sociale dominante in versione omoerotica caratterizzano la fase di
passaggio verso una fondazione autoritaria e paternalista del corpo civile greco, la
sistemazione verticistica del potere maschile deve demolire e dislocare in senso lato la
precedente relazione genetica, decapitando ed abbassando di grado la funzione
precedentemente assunta attraverso la figura ed immagine di Poseidone.
Poseidone in origine (v. tavolette di Pilo) vale come il Signore che amministra la
distribuzione legittima delle terre e dei prodotti naturali, il Signore che ha potere e che lo
svolge nella giustizia. Esso si accompagna e si intreccia alla divinità della terra, alla Signora
della Terra e della vegetazione, l’eleusina Demetra. In questo modo l’antica concezione
della manifestazione creativa della Grande Dea Madre viene già ridotta ed asservita al suo
ruolo subordinato, attraverso la separazione di un potere maschile distinto, anche se non
completamente autonomo. Questa verticalizzazione – ricorda il mito di Eretteo – apre la
strada alla successiva trasformazione, già analizzata durante la trattazione della figura ed
immagine di Zeus. Zeus sostituisce Poseidone, come Era Demetra, mentre Atena ha il
compito di svolgere la nuova forma razionale della strumentalizzazione dell’Essere secondo
uno scopo od una finalità apparentemente esterni. Nel passaggio dalla forma socio-
economica a prevalenza contadina a quella nella quale i commerci e gli scambi, insieme alle
diverse fasi delle colonizzazioni, prendono il sopravvento e l’egemonia politica, nuovo
esterno e tradizionale interno devono trovare una rinnovata forma di composizione: ci
riusciranno bandendo agli inferi il potere ctonio di Ade – Iliade, 15 - e delegando il vecchio
potere di Poseidone lungo le tracce della nuova fortuna economica delle città greche.
Assegnato il mare a Poseidone, a Zeus non resterà che impossessarsi del cielo e del governo
generale, secondo un punto di vista molto più ampio ed elevato (theómai). Allora il
procedimento di astrazione e di separazione dovrà coinvolgere la natura del cosmo intero,
che subisce nella sua formazione un processo di antropomorfizzazione. È da questo nuovo
ed impegnativo punto di vista che sorgerà la necessità della speculazione filosofica, sia per
confermare che per negare tale progetto di identificazione ed immedesimazione.
Anfitrite andrà allora a sostituire Demetra, quale rappresentante delle profondità abissali
della potenza, prima della Terra ed ora del mare. Quale antico governante di questa prima
potenza Poseidone è signore dei terremoti, come pure nei riguardi della seconda è
suscitatore delle sue tempeste. Ha una dimensione interna e radicale che lo lega alle
rappresentazioni degli sconvolgimenti, sia naturali che politici. Terremoti e contro-
rivoluzioni hanno in lui la propria causa, mentre in qualche colpa comune essi segnano il

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proprio principio. In questo modo egli diviene il fattore principale della stabilità, il
fondamento sul quale è possibile erigere una nuova civiltà, appunto quella che vede Zeus
quale rappresentante egemonico. Egli, il maggiore dei figli di Crono, si fa da parte e lascia
al fratello minore il comando.
La profondità abissale rischiava però di resuscitare quelle libere potenze naturali e
razionali, che la nuova sistemazione teologico-politica e civile intendeva reprimere e
superare: Perseo deve allegoricamente recidere il capo molteplice della Gorgone-Medusa,
affinché dal suo sangue possa nascere Pegaso, il cavallo alato, l’anima aperta ed universale,
soggetta al guerriero Crisaore, lo spirito. La materia vivente e possibile della natura e della
ragione deve essere capovolta in forme, che irreggimentino la sua libera ed egualmente
aperta forza originaria: la dialettica fra esterno ed interno, fra nuovo e tradizionale,
comporrà una dialettica verticistica, che di tanto offrirà spazio al progresso, di quanto tutte
le sue forme eterodosse possano essere reintegrate a ricostituire una forma più elevata di
civiltà. In questa anticipazione nascosta della dialettica hegeliana, la religione olimpica
greca offre il primo esempio di quello che sarà il procedere storico-civile consapevole e
voluto da parte di tutte le classi dominanti nelle diverse epoche e fasi della civiltà
occidentale. In tutti i cosiddetti momenti di crisi e di passaggio l’antico viene sostituito dal
presente attraverso forme di reintegrazione, che ne limitino il valore oppositivo e ne
guadagnino le basi di favore e di consenso: lo si è visto nel passaggio dalla civiltà greco-
latina a quella cristiana, con il consapevole cesaropapismo di Costantino I e Teodosio I; nel
passaggio alla modernità, quando le spinte eterodosse del Rinascimento vengono
neutralizzate e ridotte, per poter essere riutilizzate in forme moderate e poi attualmente
conservatrici; lo si vede nella fase conclusiva e contemporanea della globalizzazione,
iniziata proprio grazie a quel prolungato passaggio, quando dalla sinistra o dalla destra
politica, obbedendo alla logica dittatoriale del Capitale, viene forgiato in ambito statale un
apparato istituzionale radicale (una formazione istituzionale, politica e culturale in senso
lato nazional-socialista, nella amministrazione degli interessi economici privati,
tendenzialmente monopolistici), capace di riassorbire le spinte progressive materiali
(marxianamente: lo sviluppo delle forze produttive) in forme apertamente regressive e
reazionarie, esclusivistiche e nazionalistiche.
La religione olimpica greca compie il primo passo in avanti ed in alto, nascondendo quello
all’indietro che comincia ad essere compiuto nella volontà di potenza, di dominio e di
distruzione. Come lato oscuro e nascosto della faccia apparente chiara e distinta, questa
volontà rimarrà la causa costante di tutti i successivi processi di reintegrazione e di
progresso nell’alienazione. Nella prima fase (Poseidone-Demetra) questa volontà viene resa
consapevole nei suoi effetti possibilmente negativi e disastrosi (Arione e l’impresa dei Sette

88
contro Tebe); nella seconda (Zeus-Era) invece essa viene completamente occultata, per
mostrare invece una potenza ed un atto completamente chiari e distinti. La stessa filosofia
aristotelica successiva adotterà questa visione decettiva, quando gestirà il rapporto fra la
potenza e l’atto adottando la soluzione della necessità finale. La prima fase, al contrario,
rammenta ancora la possibilità disastrosa legata a quella volontà, attraverso l’allegoria dello
sprofondamento abissale, in terra od in mare (i cavalli di Poseidone). L’acqua che, poi,
rifluisce dalla fonte abissale purifica quella volontà e le consente di svolgersi senza intralcio
ed interferenze, senza dubbi, ostacoli, resistenze od opposizioni. Prepara, così il campo alla
seconda fase, che neutralizza in anticipo i rischi di quella volontà di dominio. Il contatto con
gli inferi libera nello stesso tempo tutte le forze animistiche (le anime dei morti), le rivifica
e le riporta a coscienza, attraverso la bocca (l’apertura profonda) dell’oracolo (Delfi). Alla
fine Atena incarnerà il senso della necessità finale ed imbriglierà la potenza scatenata di
Poseidone, limitandola all’atto strumentale. E così orientandola a se stessa.
2.4. Atena. Essa rappresenta e svolge allegoricamente la funzione dello scopo, ovvero
della finalità deposta dal capo di Zeus e così disposta (cfr. il mito della sua nascita dalla
mente di Zeus), che intreccia unitariamente tutte le relazioni umane e naturali e che fa
progredire il movimento stesso di questa complessa organizzazione, orientandola. Essa,
dunque, svolge – secondo quanto precedentemente svelato della dialettica trasformativa,
capovolgente ed integrante operata dalla nuova ideologia olimpica – la funzione
importantissima di coordinamento e di trasformazione delle funzioni precedentemente
espletate dall’antica concezione teologica immanente greca, secondo l’immagine della
sapienza nel suo svolgimento storico, politico, astratto. Attraverso la sua figura la
precedente potenza creativa della teologia immanente viene separata, estratta ed astratta, per
essere trasformata e capovolta. Qui si inseriscono le funzioni allegoriche svolte dalle due
figure mitologico-religiose di Hermes e di Ares. Se Hermes collega il mondo inferiore a
quello superiore, per mostrarne ed indicarne la volontà trasformativa, Ares svolge in senso e
significato negativo il connubio fra la potenza di Era e quella di Zeus: capovolge la libera e
fraterna potenza creativa e di relazione della Grande Dea Madre nella disintegrante e
negativa potenza della guerra, imposta per decreto superiore (Zeus). Questo capovolgimento
solleva, riorienta ed inverte la precedente finalità immanente – espressa attraverso lo
strumento (cfr. la figura allegorica di Efesto) della pacifica autodeterminazione democratica
(dai molti, l’uno) – in una finalità trascendente, eterodeterminativa (dall’Uno ai molti).
Atena dà così luogo allo spazio astratto – l’esterno, interno alla potenza privilegiata ed
egemone (Zeus, insieme ai figli Apollo ed Artemide) - dell’intervento razionale operato
dall’intelletto superiore (cfr. la figura allegorica di Apollo). Esso deve svolgere e realizzare
la volontà egemone di conquista e di dominio (Zeus), solo dopo od insieme all’avvenuta

89
neutralizzazione e negazione dello spirito amoroso comune e fraterno (Artemide vs
Afrodite).
Atena costituisce in tal modo un’importantissima invenzione della nuova ideologia
olimpica, attraverso la rimodulazione di precedenti influenze anatoliche: è attraverso la
funzione espletata dalla sua figura ed immagine, che si realizza l’alienazione attraverso la
quale si dà atto al capovolgimento operato dalla nuova impostazione ideale. L’alienazione
della potenza dal punto di vista immanente a quello trascendente. Non è difficile osservare
come, nel momento in cui il cristianesimo assume in sé lo schema immaginativo e razionale
generale della precedente civiltà pagana (con i primi quattro concili teologico-filosofici),
alla figura di Atena venga sovrapposta quella di Gesù Cristo - Figlio di Dio, assunto in
cielo. È facile così comprendere come, non già il cristianesimo abbia conquistato e sostituito
la fede pagana, quanto invece sia accaduto il contrario: lo schema classico, preparato
dall’ideologia olimpica e fortificato dalla filosofia platonica e neoplatonica (anche nella
ripresa coordinata di Aristotele) abbia conquistato dall’interno - grazie alla formazione
filosofica prevalente dei suoi Vescovi, Apologeti e Padri della Chiesa – lo spirito della
nuova fede, capovolgendolo e riorientandolo a funzione dell’imperio terreno. Il teologico-
politico e naturale astratto che qui nasce si svilupperà lungo tutti i secoli del Medioevo,
giungerà principalmente attraverso le speculazioni di Tommaso d’Aquino e di Nicolò
Cusano alla modernità, forgerà lo spirito della Controriforma tridentina per toccare le
sponde della contemporaneità, in attesa di una sua attuale e presente riesumazione. Esempio
che si vuole definitivo di questo astratto è l’intreccio ed il connubio, circolare e dinamico
nella sua confortazione dialettica, che si instaura fra la dottrina tradizionale cristiana -
cattolica, protestante od ortodossa, che sono in reciproco avvicinamento proprio per questo
motivo – la funzione economico-politica e sociale egemonica del Capitale e le forme
univocizzanti della scienza contemporanea, attente a sovradeterminare gli effetti e le
successive ricadute delle cosiddette discipline fondamentali (la fisico-chimica con la teoria
del Big Bang, la biologia con la teoria del disegno intelligente, l’antropologia culturale con
la teoria dell’unità separata del genere umano). Naturalmente a queste componenti astratte si
oppongono, in una nuova battaglia di Titani e Giganti, le nuove componenti concrete ed
immanenti presenti come contraltari nelle discipline scientifiche (teoria delle stringhe,
evoluzionismo, ecologia), nella concezione politico-economico-sociale (democrazia radicale
delle fonti energetiche e delle modalità e finalità produttive) e nelle innovazioni teologiche
(ripresa delle forme immanentiste). In questa battaglia gli elementi più importanti, quelli
teologici, devono essere ancora approfonditi ed opportunamente sviluppati, per poter dar
luogo ad utili e necessarie rimodificazioni del tessuto politico e della natura del rapporto con
l’ambiente circostante, oramai comprensivo della vita planetaria stessa.

90
Anche Atena però subisce un processo di trasformazione, che la conduce alla sua
stilizzazione finale. Prima sembra, infatti, comparire come divinità-uccello, che collega
l’inferiore con il superiore, bene capace di addentrarsi entro i meandri della oscura volontà
degli dei superi, poi del padre Zeus, che riesce ad estendere la sua conquista ed il suo
dominio grazie alla realizzazione ed attuazione dell’intelligenza nascosta, da lei stessa
permesse (ecco il senso allegorico e concreto del suo animale simbolico, la civetta, e l’uso
delle armi, di difesa e di offesa). Perciò essa pare essere
stata collegata al culto primigenio della Grande Dea
Madre, dal quale progressivamente viene distaccata,
quando nell’Iliade (IV, v. 514) compare come dea nata
nella “terza volta”, dopo Artemide ed Apollo, e così
destinata a rappresentare il termine conclusivo della
prima triade chiusa greca (Zeus/Artemide-Apollo).
Appunto il termine che realizza la loro disposizione: la
disposizione della potenza e volontà di Zeus, Artemide,
tramite l’atto intelligente di Apollo. Atena accoglie e
porta a compimento nella storia dell’uomo questa
disposizione, attraverso il proprio concepirsi come
divinità distaccata, pura, vergine (Athéna Parthénos).
Questo stesso luogo teoretico sarà la condizione di
possibilità della definizione della verginità della madre
Vienna, Parlamento. Statua di Atena
del dio cristiano (Maria), della sua assunzione in cielo e
della determinazione del dogma della sua immacolata
concezione. Per riuscire in ciò essa doveva essere il nuovo padre/madre (Pallade Atena) del
movimento riflessivo: doveva elevarsi ed intrecciarsi in un luogo mediano con la figura di
Hermes, messaggero dagli dei (nota il corrispettivo cristiano dello Spirito), per poi
svincolarsi da questi e raggiungere la propria posizione distinta e separata, capace di dare
inveramento e realizzazione finale e definitiva alla volontà divina. È solo alla fine di questo
tragitto, che essa riuscirà finalmente a uccidere la bestia orrifica rappresentata dalla libera ed
eguale molteplicità (il trofeo del suo scudo, la Gorgone/medusa, il Serpente ebraico-
cristiano): solo dunque negando le proprie radici, coincidenti con l’apertura creativa e
sostenitrice della Grande Dea Madre.
Ad Atena si oppone Efesto, strumento di Era. Immagine dell’autodeterminazione e
conservatore, quindi, dei pacifici ed inalienabili diritti dei cittadini, esso si scontra con
l’immagine dell’alienazione e del trasferimento, della trasformazione ed alterazione secondo
una volontà superiore, della costituzione dello stato d’eccezione – lo stato di guerra - come

91
stato normale e normante. Esso si scontra, quindi, con la triade costituita da Hermes-Atena
ed Ares. Lo spirito greco, come quello cristiano, saranno determinati fondamentalmente ed
essenzialmente da questa caratteristica militante, linguisticamente e filosoficamente tradotta
dall’impostazione platonica (valida ed attuata sino ad Hegel ed ai suoi epigoni
contemporanei), quando la volontà nascosta di Zeus, Artemide, viene rappresentata dal
concetto (e dalla relativa prassi teologico-politica) dell’identità, insieme all’applicazione
contraria dell’Essere-diverso, definitiva fissazione e neutralizzazione in immagine statica (la
pietrificazione della Gorgone in senso difensivo nello scudo di Atena) della radicale ed
immanente apertura creativa e dialettica del molteplice, attraverso la cancellazione della sua
immagine vitale e dinamica (la testa della Gorgone, mozzata da Perseo, la rivoluzione
doppiamente dialettica decapitata della sua apertura superiore, teologica, 48 e così
neutralizzata nel movimento inferiore, politico-naturale).
La fusione abnorme fra Efesto ed Atena – cfr. il mito di Erittonio/Eretteo – darà
rappresentazione mitica ed allegorica del tentativo ateniese di comporre insieme la
precedente contraddizione insanabile, attraverso appunto delle forme di riduzione e
neutralizzazione delle potenzialità eversive proprie di una democrazia diretta e radicale. Qui
l’intento eidetico in funzione regressiva – ricorda l’anamnesi platonica - sarebbe diventato
essenziale e fondamentale, per la elevazione di uno spirito collettivo comune ed uniforme e
per l’edificazione dello Stato.
2.5. Apollo. Se il cielo divino si sorregge grazie all’angolo, al termine di completezza e di
realizzazione, rappresentato da Atena, esso sorge e tramonta, rispettivamente, prima grazie
alla volontà nascosta di Artemide, poi alla intelligenza chiara, aperta, distesa e distinta di
Apollo. Apollo così costituisce lo spazio di illuminazione divina, Apollo Febo, l’eterno
termine di salvezza per l’umanità. Esso incanta grazie all’alterazione della quale si fa
portatore Hermes, 49 trasmettitore della volontà di trasformazione divina.
Ma che cos’è questa trasformazione ed alterazione, che danno luogo a tale incantamento?
È la volontà – divina – di riorientare lo sguardo, l’attenzione e la successiva azione
dell’uomo verso un termine di riferimento elevato, distaccato rispetto al precedente centro
abissale della coscienza umana. È in questo modo che la volontà e l’intelletto umani si
allontanano dall’originario creativo e dialettico, per trasporlo e trasferirlo in maniera astratta
in un luogo separato. Con Apollo nasce dunque quell’alienazione della coscienza, che si

48
Medusa si unisce con Poseidone, a rappresentare dal punto di vista di Atena il rischio e la pericolosità di una riuscita
politica tirannica.
49
Ricorda l’inno omerico, che narra dell’incontro fra Hermes ed Apollo. Hermes cede ad Apollo la lira, conservando
con questo scambio il bestiame sottratto ad Admeto. L’alterazione qui intesa è uno scambio truffaldino fra la realtà
dell’originario e la finzione immaginativa e razionale proposta dal connubio elevato (i due nell’uno di Zeus) di una
volontà nascosta (Artemide) e di un’intelligenza manifesta (Apollo).

92
determina come trascendenza. Essa avrà, prima con Platone, poi con il pensiero e la teologia
cristiana un’importanza fondamentale per fissare e consolidare l’ideologia principale della
civiltà occidentale. Questa corrente religiosa, che nasce con Apollo, influenzerà la
successiva corrente filosofica orfico-pitagorica, che invece avrà come controparte il
pensiero e la speculazione di Parmenide. Il suo rifiuto dell’alterazione e del movimento si
collegano, infatti, al rigetto di questo incantamento, per il mantenimento del realismo
unitario ed inalienabile dell’originario. L’alienazione che viene realizzata grazie
all’immagine ed alla figura di Apollo traslocano, infatti, la potenza e l’atto originario in una
dimensione separata, in una stanza degli dei e del divino, che come sopra si sosteneva avrà
grandissima influenza sullo sviluppo del pensiero successivo. Nel contempo l’atto e la
potenza dell’originario, così come vengono svuotati e trasferiti, mostrano di sé un luogo ed
un tempo annichilito: il luogo ed il tempo della negazione. Il luogo ed il tempo
dell’esistente, limitati dall’orizzonte all’interno del quale essi valgono come possibile
contingenza, effetto di un’emanazione o di una creazione che si realizza attraverso il nulla,
il velo (cielo) che nasconde ed annulla alla visione – ecco l’invisibilità – la sostanza
dell’Essere (Uno) superiore. In questo modo l’essere esistente, così proiettato, diventa il
luogo del gioco intrecciato di forze e di potenze che lo generano, alimentano e finalizzano,
prima in senso pagano, poi secondo il piano di salvezza cristiano.
Apollo, insieme ad Hermes, dà inizio a questo movimento
circolare. Dialettico: verso il basso e contemporaneamente
verso l’alto. Per questo Parmenide rifiuterà la dialettica in
quanto tale, a partire da quella orizzontale, in quanto
premessa di quella verticale, prodromo al raddoppiamento del
punto di vista (gli uomini a due teste). Per questo l’Unità
verrà da lui contrapposta alla molteplicità. Ciò non toglierà
che all’Essente parmenideo rimanga la virtù continuamente
creativa, determinante secondo un motore erotico (il desiderio
divino nella natura) ed una da esso inscindibile finalità di
giustizia (Dike).
Incantatore (con la musica, il canto e la poesia) o punitivo
(con il suo arco infallibile e devastatore di intere comunità), 50
Apollo incarna la virtù del potere. Dio oracolare a Delfi,
Parigi, Louvre. Apollo Saurocton.
tramite la Pizia, tenta di sostituire – per parziale e
fondamentale sovrapposizione e riorientamento (una strategia poi rituale, dal passaggio alla

50
Ricorda il comando di Apollo ad Oreste, di uccidere la madre Clitemnestra, per il tradimento e l’uccisione del marito
Agamennone. Di qui l’inizio del ciclo tragico greco (Eschilo, Sofocle, Euripide).

93
cristianità alla persuasione delle masse popolari durante il primo movimento fascista) - i
misteri di Eleusi, troppo vicini alla religiosità contadina, immediata e creativa. Lo fa,
congiungendosi per una parte della propria raffigurazione con le potenze ctonie (il serpente
e la medicina, il figlio Asclepio), in tal modo sovrapponendosi al fondamento precedente,
ma con una volontà di trasformazione essenziale. Questa si realizza attraverso il racconto
mitico ed allegorico della sua nascita da Zeus e Latona, insieme alla gemella e primogenita
Artemide. 51 La necessaria sospensione della madre, aggrappata ad una palma sull’isola di
Delo, ed il conseguente parto sospeso dei figli, per sfuggire alla persecuzione della
gelosissima Era – gelosissima per la sostituzione della propria posizione principale, nei culti
della Grande Dea Madre – rappresenta in figurazione plastica e statica, visibile, l’atto di
sospensione e trasfigurazione concettuale imposto dalla nuova ideologizzazione olimpica.
La potenza e l’atto naturale di generazione viene allora trasposto nell’atto e nella potenza
artificiale e strumentale caro all’umano ed alla finalizzazione rappresentata da Atena.
Apollo diviene il dio delle arti.
L’artificio – di cui le Muse sono la fonte divina protettrice 52 - sostiene dunque la finzione
dell’immagine – il suo movimento di alterazione e di sottrazione trasfigurativa –
deprimendo la realtà e rendendola dipendente dal proprio orizzonte ideale astratto, separato,
che diviene determinante nella logica della costituzione di un nuovo potere. L’eraclitea
divisione che raddoppia, o la successiva dottrina platonica delle idee saranno la
manifestazione e l’occupazione filosofica dello spazio così generato e del nuovo tempo che
in tal modo si impone. Apollo, dio della profezia e massimo indovino, incarna la nuova
funzione e dimensione temporale che viene aperta, quella di un futuro possibile e
necessario. Qui si situa la richiesta della comparsa dell’infinito, come limitazione ed
orientamento del finito, e la composizione del finito come movimento e finalità
eterodeterminata. Questa struttura si manterrà identica nel passaggio dalla concezione
pagana al pensiero cristiano, giungendo sino alla distinzione tardo-medievale fra la absoluta
potentia Dei e la sua potentia ordinata.
Ciò che deve però essere mantenuto in questa composizione è la separatezza e la priorità
egemone dell’infinito: in ambito greco, la separatezza e la priorità del giudizio operato da
Zeus. Ad esse perciò si accompagna la virtù etica apollinea della purezza, della distinzione e
della diversità rispetto alla natura reale e materiale. Qualsiasi traccia od operazione che

51
La contrapposizione con i riti misterici eleusini si rende evidente pure nel racconto allegorico della battaglia ed
uccisione del Pitone, caro a Gea. Nel luogo stesso di questa eliminazione, la fons Castalia, sorgerà il tempio di Delfi.
Segno della tentata sostituzione della precedente fede eleusina sono inoltre i racconti mitici delle prove musicali
sostenute da Apollo contro i Satiri (Marsia e Pan).
52
La pluralità concorde delle Muse sarà la premessa mitica del rapporto filosofico-linguistico-politico fra l’essere
identico e l’essere diverso nella filosofia platonica.

94
provi a negare quella separazione viene infatti giudicata e perseguitata come cattiva e
perversa contaminazione, causa degli eventuali effetti negativi ricaduti sull’operare e vivere
dell’uomo. Ne è dimostrazione concreta e segno ammonitore il mito del tentato connubio fra
Atena ed Efesto, quando il figlio della loro unione (Erittonio/Eretteo) porta alla follia le
figlie di Cecrope, una volta manifestato alla loro aperta visione.
L’edificazione progressiva dell’ideologia olimpica porta con sé una progressiva
trasformazione del rapporto fra immagine mentale e concreta realizzazione, che già si
sovrappone alla realtà dell’immagine vivente, creativa, della natura. Qui si costituisce un
processo, che vede nella sua prima fase l’elaborazione di concrete forme di rappresentazione
artistico-religiosa. La concretezza di queste rappresentazioni artistico-religiose – in primis le
sculture delle divinità (e di Apollo in particolare) – veicola attraverso la figura antropomorfa
il primo passo verso quella distinzione e separazione. Ora il dio giustifica la sua apparenza
in forme umane, solo sovrumanamente comprensibili. Successivamente l’architettonica
degli edifici sacri compie un passo ulteriore in questa direzione, allorquando quel processo
si autorappresenta, costituendo in tal modo una forma ed una materia chiusa e limitata.
Come sostanza, che si rende apparente in modalità opposte ma complementari, essa rende
visione e contatto nel contempo con l’astratto e con il reale. Soprattutto, essa mostra ed
indica, attraverso la propria realizzazione, la finalizzazione dell’opera che si viene
soggettivamente costruendo: l’adeguazione alla finalità oggettivamente presente. È solo qui
che soggettivo ed oggettivo compaiono insieme, a riflettere la precedente imposizione
dell’infinito. Ora la sistemazione ideale dell’orientamento finalistico, concepito grazie a
quella dialettica verticale olimpica, e realizzata grazie alla disposizione ad oriente degli
spazi sacri e dei templi, definisce sia lo spazio di movimento superiore
(astronomico/astrologico), permesso attraverso e grazie alla virtù del cielo, sia lo spazio ed
il tempo di movimento inferiore, la disposizione concreta e reale (geografica) del territorio e
della vita naturale ed umana (storia). Non è così difficile osservare come e per quali motivi
cominciano a sorgere e si svilupperanno le successive e diverse discipline scientifiche: esse
devono coordinare i dati osservativi con la genesi delle opportune ed adeguate spiegazioni
mitico-narratologiche. La successiva filosofia si inserirà in uno spazio che viene aperto e
generato solo dall’ultima fase di quel processo: quando si darà luogo alla concretizzazione
dell’astratto (ideale e reale), alla sua trasformazione in realtà umanamente pensabile e sulla
quale è consentito legittimamente – con la divina giustificazione – operare e modificare. La
prima filosofia – quella dei cosiddetti pensatori presocratici – avrà a che fare con un
tentativo di laicizzazione di queste forme di origine religiosa (i Milesii, Eraclito), oppure
con un consapevole ritorno alla formazione religiosa della divinità originaria, alla Grande
Dea Madre (Parmenide), con delle successive forme molto spinte di rinaturalizzazione del

95
razionale (Anassagora, Empedocle, gli atomisti). Sull’altro versante l’influenza
orientaleggiante sulla formazione delle dottrine orfiche si vedrà protratta nella formulazione
degli schemi interpretativi della scuola pitagorica, 53 a sua volta fondamentale per la genesi
delle dottrine platoniche ed aristoteliche.
Resta dunque fondamentale il rapporto con il territorio, ma nel contempo la possibilità o la
necessità di unire ad esso una fonte creativa infinita, universalmente riconoscibile, come
accade per l’Essente parmenideo, oppure di svincolarsi da esso per aprire uno spazio di
visione universale, capace di riprodurre l’iniziale ed originale apertura epifanica della
divinità. Qui il creativo (infinito) si lega al dialettico (infinito), propendendo poi verso una
soluzione eraclitea oppure orfico-pitagorica (poi platonico-aristotelica). Le soluzioni
naturalistico-razionali successive di Anassagora, Empedocle e degli atomisti daranno
concretezza ad una terza via. Ora la disputa è infatti sulla traccia politica imposta dai
presupposti teologico-filosofici delle diverse scuole di pensiero. I Sofisti e Socrate ne
daranno prova evidente con i loro principi argomentativi e le loro discussioni. Diventando
poi dominante nella cultura greca la scelta inizialmente antinomica fra le speculazioni di
Platone ed Aristotele, e passando attraverso l’influenza della Stoa nella penetrazione
dell’ambiente culturale romano, la figura e l’immagine del Logos assieme a quella del Sol
Invictus ricomporranno lo schema gerarchico fondamentale dell’olimpismo, 54 allorquando si
realizzerà l’integrazione della nuova forma speculativa religiosa del cristianesimo all’antica
greco-romana, grazie alle elaborazioni dei primi concili ecumenici (Nicea, 325 d.C.;
Costantinopoli, 381 d.C.; Efeso, 431 d.C.; Calcedonia, 451 d.C.). Progressivamente
orientata alla modernità, la speculazione medievale cercherà di ricomporre Platone ed
Aristotele, proprio nelle sue versioni egemoniche e dominanti (Tommaso d’Aquino e Nicolò
Cusano), per mostrare infine l’esito definitivo di quella realizzazione dell’astratto: la
costituzione di un’immanenza astratta, resa operante grazie alla supposizione di un principio
di produzione, orientato e garantito nella sua causa teologica d’orizzonte. Grazia,
determinazione ed opera entrano ora a definire gli strumenti teologico-politici principali, per
riuscire a definire l’economia della salvezza: per pochi eletti, per molti o possibilmente per
tutti. L’adeguazione della realtà (in genere, materiale) a questa immagine di salvezza (in
genere, spirituale) plagia la formazione e la nascita della modernità, dandole la forma di un
fascio di relazioni più o meno univoco. Questa è la nascita di quel bellum omnium erga
omnes che attraversa l’intera storia della nostra modernità occidentale, quando l’idea e poi il
dio, all’immagine e somiglianza del quale eravamo costituiti, vengono sostituiti dalla
Confessione, dallo Stato e dalla Nazione o dall’alleanza ideologico-politica. Ora la realtà

53
Vedi commento personale a: Aristotele, Metafisica (A).
54
Vedi schema visivo precedente.

96
non può non – deve imperiosamente – rivelare, non più l’idea o il dio, ma la sostanza
inseparabile della nostra salvezza comunitaria, sociale. La sostanza inalienabile che è
insieme potenza ed atto universalmente determinante, senza residui e senza ostacoli,
resistenze, interferenze od opposizioni: sia essa il capitale dell’ordine economico, sociale e
politico occidentale, o la forma neoreligiosa della salvezza comunitaria occidentale ed
orientale, essa intrappola il senso dialettico e toglie quello profondamente creativo. Solo il
risorgere delle antiche posizioni creative immanenti o creativo-dialettiche potrà far
fuoriuscire l’umanità e la natura dalle gabbie d’acciaio così costruite, demolendo la loro
costrizione e restituendo l’agio ed il respiro del vero spirito e della reale materia. Battaglia
culturale condotta da tutte le impostazioni scientifico-teologiche fondate sull’immagine
dell’apertura creativa e dialettica (ricorda l’elenco precedente), essa condurrà alla vittoria
contro quella nefasta ed orribile combinazione immediata di un dionisiaco pervertito e di un
apollineo diminuito, che si manifesta orridamente nella determinazione e definizione della
guerra di civiltà, infinita e permanente, assolutamente e reciprocamente preventiva. In
alternativa resterebbe, infatti, solo la fine reciproca.
2.6. Artemide. La concezione del primato di una potenza oscura e minacciosa,
imperscrutabile e invisibile nelle motivazioni, ma di un atto visibile che ne dimostri le
finalità stesse, e che quindi ne dia forma accettabile e condivisa, anche se non
immediatamente riconosciuta, è concezione che accompagna l’intera storia della civiltà
ideologica occidentale, pre-cristiana e cristiana. È la concezione della faccia nascosta di Dio
o del Dio nascosto, che in Grecia viene rappresentata dalla figura di Artemide. Primogenita
di Zeus, essa chiude la trattazione della parte principale dell’Olimpo greco, in quanto che,
oltre alla funzione già delineata per Hermes, il solo Ares risulta mancante per la definizione
completa del nuovo meccanismo ideologico escogitato. Si vedrà che, come Hermes
impersonerà la funzione di mediazione fra mondo superiore e inferiore, intrecciato come
abbiamo visto con la figura di Apollo, l’immagine di Ares – il dio della guerra – svolgerà
una funzione importante per distaccare lo spirito e l’animo collettivi dal pacifico e giusto
godimento dei beni, garantito dall’immedesimazione con la divinità originaria, la Grande
Dea Madre (in tutte le sue successive versioni). Ares garantirà, come nucleo centrale, la
distinzione e separazione in posizione elevata di una potenza negativa, distruttrice, che
sostiene l’intero processo di trasfigurazione e di capovolgimento imposto grazie alla nuova
ideologia olimpica. Figlio malvisto per questo da Era, che rammenta la propria virtù
creativa e dialettica positiva, Ares – come si vedrà in seguito – sarà adottato da Zeus come
un proprio figlio di second’ordine, nonostante la funzione imprescindibile di sostentamento

97
e di sostegno per l’intera impalcatura ed orizzonte celeste. 55 L’altra parte della descrizione
dell’Olimpo, equamente diviso in due parti, tratterà infatti proprio delle trasformazioni
progressive, che quella concezione subì all’interno dell’ambiente culturale e civile greco,
per l’effetto di trascinamento dovuto al nuovo progetto ideologizzante (per estrazione,
capovolgimento ed astrazione, alienazione/separazione).
La figura stessa di Artemide e la sua nuova funzione
riesce però ad imporsi attraverso un ben delineato
processo di trasformazione, che la vede inizialmente
sovrapposta alla figura della Signora degli animali,
accanto dunque alla significazione originaria della
Grande Dea Madre. Per effetto forse del motore nascosto
significato dalla presenza e dalla funzione di Ares,
Artemide stessa viene elevata e trasferita in una
posizione superiore, dislocata diagonalmente come prima
o prioritaria. Le caratteristiche positive che potevano
accomunarla così alla Grande Dea Madre – la gioia e la
La Signora di Efeso. Artemide.
felicità della libera espressione vitale, modulata
soprattutto attraverso lo strumento del desiderio erotico (qui entra in gioco la figura
antagonista di Afrodite) – si piegano e capovolgono in determinazioni prettamente negative
– il movimento animato che la creatività della Grande Dea Madre manifesta viene capovolto
in potere lugubre e selvaggio, quasi demonico nella propria capacità di individuazione e di
punizione. Il fatto è che la sua nuova collocazione si realizza attraverso proprio il sacrificio
della potenza femminile, dando in tal modo rappresentazione visiva di un passaggio
iniziatico, nel quale e attraverso il quale ciò che era primo stando in basso si capovolge in
ciò che è nuovamente primo, però stando in alto. È così che si forma la figura isolata di
Artemide, oggetto ideale della concupiscenza maschile (cfr. mito di Atteone). La sua
potenza si costituisce nuovamente attraverso un’apparente contraddizione e grazie al suo
superamento regressivo: l’esito mortale dei sui effetti e della sua opera viene infatti

55
La sua figura godrà invece del massimo interesse e della massima considerazione ed effettiva potenza, quando con il
nome di Marte, nel mondo romano costituirà il motore nascosto, prima dell’ingrandimento rapido della Repubblica, poi
dell’espansione incontrollabile dell’Impero. Diventato compagno inscindibile del potere imperiale, esso tenderà ad
assumerne direttamente il comando e la funzione rappresentativa, mettendo sempre di più ai margini la virtù pacificante
augustea. Sino al tracollo finale, per mano della stessa potenza guerriera. Nel mondo greco la guerra, almeno sino ad
Alessandro Magno ed alla costituzione del suo Impero orientaleggiante, non superava come motore economico-sociale
e quindi politico il controllo della proprietà fondiaria e lo sviluppo dei commerci, che in tal modo sostituivano lo
strumento della guerra come fattore d’incremento delle ricchezze, lasciando però a quest’ultima la funzione del
mantenimento e del rafforzamento del prestigio e dell’onore collettivo. Sarà la presenza nella Repubblica romana di una
forte componente economica quale il latifondo, con le sue implicazioni sociali (le grandi masse spossessate ed
impoverite) a imporre la soluzione istituzionale dell’Impero, attraverso la nobilitazione e la mobilitazione grandiosa
dello strumento guerresco (esercito professionale).

98
giustificato dall’appartenenza all’ambito paterno, all’ambito nel quale si esercita l’oscura e
temibile potenza di Zeus. La contraddizione si manifesta non appena si consideri il fatto che
la sua nuova ed edificata potenza vuole essere potenza di una nuova vita, nuova ed ideale
potenza vitale (ecco il senso della raffigurazione di Artemide come ragazza piena di slancio
e di vitalità). La nuova Natura, elevata e lontana dall’uomo, ideale e perciò fuori dal comune
commercio con le opere quotidiane degli uomini stessi, fa sì che questa nuova potenza si
stagli come intoccato ed intoccabile, isolato, nuovo potere, garantito e legittimato dal
richiamo all’orizzonte dei giudizi e delle finalità paterne (Zeus). In questa volontà regressiva
sta tutto lo spirito che in tal modo viene edificato: lo spirito conservatore e reazionario della
nuova Grecia, costruita oramai in città e lontana da una natura che mantiene come prima e
fondamentale, solo dopo averne negato le caratteristiche principali di creatività e di eguale
rapporto dialettico. La caccia all’esterno – caratteristica tipica di Artemide - diventa allora la
mitizzazione minore (il simbolo) della guerra e del privilegio interno alle stesse città: la
prima viene, infatti, esercitata lontano dalle città, ma secondo finalità che sono essere stesse
estranee alla natura così idealizzata, perché prossime alla considerazione assoluta dello
strumento e della strumentalizzazione (ricorda la figura di Atena); il secondo si compie
all’interno della città nell’organizzazione gerarchica delle classi e dei ceti in formazione. In
un caso e nell’altro Afrodite finisce per dare visione e definizione ad un prospetto d’azione
angolato, a quella diagonalizzazione che diventerà il fondamento delle speculazioni
religioso-filosofiche della scuola orfico-pitagorico-platonica (ricorda quale esempio
concreto di questa diagonalizzazione, in Platone, il cacciar fuori delle forme ideali da parte
dell’Artefice divino e la loro unità simbolica nell’idea del Bene). Si deve così sottolineare il
fatto che il superamento regressivo di quella contraddizione mantiene una fondamentale
valenza negativa, che fa della potenza rappresentata attraverso la figura di Artemide una
potenza sempre esplosiva, sempre disgregante (qui sta la giustificazione dell’uso per sé
dell’immagine della Gorgone). La motivazione di questa disgregazione esplosiva risiede
dunque nella negazione, attraverso la quale si costruisce la contraddizione stessa: fare della
negazione della vita una nuova vita. Qui Artemide costituisce il principio del pensiero-
azione negativo e del suo prolungamento d’orizzonte, che riguarda la determinazione e
l’operazione.
2.7. Afrodite. Se Artemide dunque rappresenta lo scopo principale del rovesciamento del
culto originario della Grande Dea Madre, al contrario Afrodite 56 ne intende ricordare la
bellezza e la pienezza, insieme spirituale e carnale (Afrodite celeste e Afrodite terrena).

56
Di origine orientale – identificata con Inanna presso i Sumeri, Ishtar presso i Babilonesi, Hathor fra gli Egizi – il suo
culto attraversa il Mediterraneo in direzione occidentale, facendo tappa a Cipro e presso l’isola di Citera, fra Creta ed il
Peloponneso.

99
Figlia di Dione (Gea, la Madre Terra) a Dodona o di Urano evirato da Crono, essa vale
come ciò che provoca e causa l’erezione della potenza maschile: in tal modo essa occupa,
mediamente e centralmente, quello stesso spazio che procurerà successivamente la torsione
guerresca dell’animo greco olimpico. Lo spazio di Ares. Prima della sovrapposizione della
cuspide olimpica e dell’inserimento del motore negativo, essa concepiva il movimento
erotico causando il desiderio e la relativa posizione. In questo sviluppo si congiunge nel
prolungamento ideale rappresentato da Efesto, il precedente strumento della
autodeterminazione. Quando l’ideologia olimpica tenta di trasformarne e trasfigurarne le
caratteristiche, la sua innata e positiva sensibilità creativa si negativizza in rapida
suscettibilità, in un velocissimo movimento di sottrazione e negazione, che in tal modo la
avvicina di molto alla definizione dell’animo di Artemide, originariamente il suo contrario
ed opposto. Per questo si avvicina ad Ares, primo di una serie continua di tradimenti
(Adone, Anchise con il quale genera Enea), simbolo della trasposizione e del passaggio
negativo, tanto quanto Efesto si dimostra invece il rappresentante diretto ed immediato di
ogni forma di autoposizione. Per la sua duplice e divisa tendenzialità viene a costituire
l’archetipo originario dell’eterno femminino, da un lato soggetto alla sicurezza del
matrimonio, dall’altro al piacere della libera soddisfazione psico-sessuale. Una forma
femminile ed inferiore della divagante e poligama tendenza superiore maschile,
esemplificata da Zeus. Nella coppia Zeus – Afrodite si dà pertanto luogo e raffigurazione
alle due facce complementari del tradimento, a sua volta originato dall’allontanamento dal
sacro potere originario della Grande Dea Madre. La necessità dell’espiazione della colpa
sessuale e la sua significazione come colpa principale nasce qui, influenzando per gran
lungo tempo le successive speculazioni filosofico-teologiche del cristianesimo sulla colpa
ed il peccato.
Psiche diviene in tal modo (cfr. il mito di Eros e Psiche) quella controfigura, tramite la
quale è possibile oggettivare, alienare e risolvere il senso della propria colpa, in una sorta di
parallelo con il procedimento del capro espiatorio di ambiente semitico. La propria colpa
viene così nascosta dalla colpa dei propri figli. Nel consueto procedimento per prove e
successive difficoltà il mostro iniziale della favola è infatti il potere materno/paterno, che
destina alla negazione completa della propria autonomia, sensibilità ed autodeterminazione,
quale punizione di una colpa originaria, trasmessa di generazione in generazione: voler
mantenere la propria indipendenza di giudizio e d’azione in un mondo oramai orientato
verso il predominio maschile e patriarcale. Solamente la disubbidienza permette di nascosto
nel sogno il mantenimento delle proprie libere virtù, quando la luce dell’aperto mondo
maschile ne condanna e nega invece il decretato tradimento. Solo il ritorno alla potenza
originaria della Terra – Demetra – consente la discriminazione della via giusta: per

100
riottenere la realtà di Eros, fuggito dal sogno e dall’immaginazione, Psiche deve
ricongiungersi con Afrodite, immedesimarsi con le sue volontà. Solo in questo modo ella
riotterrà l’amore perduto. Nella nuova successione delle prove, apparentemente insuperabili
ma superate, Psiche cade quando cerca di ricomporre la bellezza di Afrodite e di ricomporsi
a lei, senza differenze. La bellezza della potenza materna deve invece essere superata, in
grazia di quel piacere divino, che toglie il velo dell’apparente soggezione (mortalità) e
riammette al pieno e gioioso, inalienabile, godimento della propria autonomia. Il godimento
della bellezza maschile richiede invece (Adone nasce come controfigura nascosta
dell’unione fra Zeus e Afrodite, fra il padre e la propria figlia) la conservazione da parte
femminile dei luoghi e dei tempi dell’autonomia maschile, dopo quelli dedicati all’obbligo
coniugale e della nascosta licenza sessuale. Ma Afrodite perde il proprio Adone, quando
questo risale a sua volta lungo lo stesso sentiero percorso da Artemide, il sentiero tracciato
da Ares: il privilegio della distinzione per classe o per censo e la guerra allontanano e
divaricano gli amanti liberi dalla propria reciproca eguaglianza.
Il cammino di Artemide del resto è il cammino già visto dell’artificio: l’amore per la
propria opera ed il perfezionamento continuo della stessa allontanano dalla vita normale –
cfr. il mito di Pigmalione e Galatea – distogliendo l’uomo dai piaceri immediati e terreni,
dal mondo orizzontale di Afrodite. L’opera astratta e separata diviene viva solo per effetto
dell’imposizione divina, compiuta grazie alla determinazione olimpica (giudizio
misericordioso del dio). Nasce qui la necessità del riconoscimento come prova oggettiva
oltre – se non contro - il consenso o dissenso soggettivo. Nasce il concetto del per-sé ed in-
sé, oltre – se non contro – il per-altro o da-altro (in-altro). Eternità ed alterazione trovano
qui la propria ricomposizione e ricombinazione strutturale.
Così mentre inizialmente l’alterazione portata dall’immagine di Apollo godeva di un
valore positivo, ora una diversa immagine dell’alterazione trova la condanna e la necessaria
subordinazione eteronoma dei soggetti. Il tragitto inizialmente aperto dal concetto di finalità
e di scopo (Atena), si conclude ora con una regressione reazionaria, con il trasferimento
totale della potenza ad un piano elevato e separato, dove giudizio ed azione vengono
solidificati grazie ad una determinazione univoca. Così la nuova ideologia conservatrice e
reazionaria giustifica il fatto che la tirannide aristocratica sostituisca l’iniziale apertura
democratica elitaria, fonte di possibili pericoli per l’ordine istituito. Come i Sofisti e, in
special modo, Socrate con tristezza riconosceranno, introdurre la possibilità di una
variazione dell’ordine socio-politico all’interno della città di Atene comportava l’immediata
eliminazione quali “cattivi maestri”, con l’accusa di praticare una sovversione religiosa che
avrebbe negato l’influenza della medesima tradizione religiosa sulle generazioni future. Il
principio dell’Uno necessario e d’ordine, svolto nella sua isolata dimensione di

101
determinazione collettiva separata (il molteplice), si radica ora nel cuore della posizione
teologico-politica della civiltà occidentale, confermando ed immobilizzando quella
impostazione alienata e capovolta che l’ideologia olimpica aveva generato. Ripresa e
ridefinita da Platone ed Aristotele, la relazione che lega insieme eternità e contingenza
costituisce il punto d’onore ed il principio di slancio persuasivo della successiva fede
filosofica cristiana, che riesce ad attraversare il Medioevo ed a penetrare nella modernità,
con il mantenimento e il consolidamento di tutti i progetti in senso lato totalitari (con il
primato della legge e della sovranità separata) che emergono dal suo seno, sia a livello dei
singoli Stati-Nazione (Spagna, Francia), che a livello sovranazionale (Concilio di Vienna,
1815). Ma la virtù profonda ed eguale di Afrodite non doveva andare perduta: se quasi tutti i
movimenti reali che si originarono nel primo cristianesimo, per ristabilire la vera fede
(Marcioniti, Montanisti, Pelagiani), e i movimenti che diedero inizio alla fine del Medioevo
- Catari, Patari, Albigesi (negati tutti dal potere ecclesiatico, che li condannò come eretici) -
si appellarono in ultima istanza ai due termini finali della sua stessa negazione – le
corrucciate, moralizzanti ed ascetiche Artemide e Atena – le forze - prima intellettuali, poi
d’élite, infine di massa – che mossero i propri passi a partire dalla fine del Medioevo e dal
Rinascimento per giungere sino al XX secolo, con il progressivo affermarsi della forma
astratta di immanenza precedentemente descritta, la rivalutarono proprio quale patrona delle
proprie rivoluzioni, per ristabilire un’immanenza concreta. Fondata sul concetto e sulla
relativa prassi dell’infinito creativo e dialettico. Giordano Bruno, Spinoza, Feuerbach,
Marx, Nietzsche sono solo i principali fra gli esponenti filosofici – tralasciando dunque tutti
gli artisti ed i letterati – che seguirono e si immersero profondamente in questa “corrente
calda” della trasformazione rivoluzionaria (e della riacquisizione della vera e reale,
concreta, immanenza).
2.8. Hermes. Dio della (sovra)posizione, raggiunta attraverso l’esibizione fallica, si
insedia al posto di Afrodite, sovrapponendo la molteplicità dei propri modi espressivi alla
molteplicità dei modi creativi dell’amore e del desiderio. Se in precedenza il taglio del fallo
di Urano permetteva ad Afrodite di sorgere e di nascere, ora l’intervento di Hermes –
combinato, come si è visto con quello di Apollo (la finzione reale dell’immagine) - consente
ad Ares di separare definitivamente uno scopo ed una finalità nuova (Atena), rispetto alla
precedente (Dioniso - Efesto). Una nuova potenza dedicata alla simulazione ed alla guerra si
sostituisce alla precedente, rivolta al pacifico godimento dei beni terreni. In questo contesto
la stessa opera immanente di autodeterminazione (la finalità esibita dalla coppia Dioniso -
Efesto) viene trasformata in lavoro, come cessione ed alienazione del valore della propria
azione. Tutto ciò è consentito e permesso proprio dalla rotazione incardinata attorno alla
coppia Hermes - Ares: gli strumenti della simulazione e della guerra sono infatti gli

102
strumenti grazie ai quali l’eteronomo si fa riconoscere e si impone, a causa degli effetti
positivi decretati ed acquisiti (denaro nei commerci, gloria e privilegi attraverso le imprese
guerresche). Come la simulazione commerciale genera il plus-valore delle proprie merci
scambiate, così il minus-valore della vita collettiva ed individuale dei popoli stranieri
(barbari) costituisce quella negazione di riferimento, costante per l’espansione stessa della
civiltà greca (sino all’imperialismo ateniese). Ancora in una dialettica hegeliana anticipata,
la civiltà greca assume la negazione dell’antitesi come elevazione assoluta e totalitaria della
propria posizione.
L’amore e l’eguale e fraterna autodeterminazione esaltata dai culti misterici eleusini viene
allora gradualmente sopraffatta dall’applicazione delle nuove regole determinatrici
dell’oracolo delfico, viste come superiori e capaci di trasformare il senso e significato degli
stessi miti misterici. L’orfismo trarrà da questa impostazione la forza per sovrapporsi al
permanere sotterraneo degli antichi culti, modificandoli e riorientandoli (violentandoli)
secondo delle finalità effettivamente contrarie alle ragioni che ne avevano determinato il
sorgere e la nascita, ottenendo poi con il pitagorismo, ma soprattutto con il platonismo, una
sanzione di legittimità sacrale ed immodificabile. Tale da costituire una tradizione per tutte
le forme civili occidentali successive.
Apollo, dunque, deve governare e far incontrare da un lato il
negativo/positivo di Hermes con il negativo/negativo di Ares. Hermes,
infatti, scambia con Apollo la capacità persuasiva detenuta dalla serie
degli strumenti positivi di civilizzazione: il fuoco e la cultura (la
scrittura, la capacità di calcolo, il gioco). In questo modo riesce ad
incantare con una magia più alta e profonda di tutti gli espedienti
naturali e razionali ancora goduti dalle divinità ctonie ed originali (cfr.
la Circe omerica). Contemporaneamente Atena si preoccupa di
agevolare con le proprie finalità divine l’invenzione di tutti quegli
strumenti essenzialmente od esclusivamente negativi, che
permetteranno l’espansione della civilizzazione greca (cfr. l’Ulisse
Musei Vaticani. Hermes
omerico). Così la valenza sinistra di Hermes si compenetra grazie ad
Apollo con la valenza destra di (Ares)Atena (i due serpenti che si
accoppiano, nel kerykeîon). Il furto della vacche sacre di Apollo e la loro restituzione – cfr.
l’Inno omerico ad Hermes – non rimette le cose come stavano, ma determina l’inizio
dell’accrescimento della potenza greca. Accrescimento che si realizza sotto gli auspici e
l’orizzonte ideologico degli dei olimpici.

103
Il volo - l’elevazione diagonale, cifrata dai suoi calzari alati - ed il
risveglio – il passaggio alla nuova cultura (l’apertura della sua
nuova espressione e parola, il logos persuasivo e retorico) – sono
dunque le caratterizzazioni fondamentali del personaggio divino
Hermes, che consentono di vedere e giudicare il mondo precedente
come sfera immersa nel sonno e nella morte priva di vie d’uscita. Il
suo risveglio stabilizza, invece, l’uomo occidentale in una situazione
e condizione sospesa e separata, continuamente oscillante fra
l’invenzione di strumenti di sfruttamento positivi e strumenti di
negazione completi ed esaustivi. Esaustivi soprattutto di quella
volontà di conquista, dominio e di violenza che le figure
Hermes Logios.
precedentemente delineate di Artemide, Apollo ed Atena erano
deputate a realizzare e potenziare.
Lo stesso racconto mitico dell’uccisione del gigante Argo, dai mille occhi, per la
sottrazione di Io dal santuario di Era, rappresenta la volontà di passaggio ad una forma di
civiltà superiore, attraverso l’eliminazione di quella inferiore: la potenza della Terra e della
coscienza che rimane abbarbicata alla sua molteplice celebrazione. Il passaggio dai morti ai
vivi era quindi il simbolo stesso della rivivificazione compiuta da Hermes, che poteva
lasciare i vivi/morti del mondo inferiore al proprio destino di lineare determinazione.
Oppure poteva appunto risvegliarli ed eleggerli ad un mondo superiore, il mondo stesso
dell’eternità (dei vivi/vivi o vivificati). Per questo la figura di Hermes – e di suo figlio
Asclepio – era definita come lo spirito e l’anima, che conduceva ad una salvezza di tipo
sacrale, ad una salute incorruttibile. Egli trasmigra le anime (psychopompós) e predice il
futuro, nella sua condizione di determinazione voluta dagli dei stessi. Per questo è divino
interprete.
Così facendo raccoglie presso di sé tutte quelle caratteristiche e capacità di
trasformazione, che il governo di Apollo ed Atena paiono indirizzare secondo volontà e
finalità superiori. Hermes muove, mentre Zeus con i suoi altri figli realizza. È così che,
finalmente, Hermes riesce a sostituire definitivamente il rapporto inferiore fra la Grande
Dea Madre (Gaia, Demetra o Era che sia) e la sua molteplice manifestazione amorosa e
desiderante (Afrodite), ponendo in un angolo le celebrazioni eleusine di Dioniso ed Efesto.
Segno e prova ulteriore di questo progressivo ingabbiamento e limitazione degli antichi culti
è la progressiva integrazione alla propria persona divina di personaggi precedentemente
riferibili ai culti terrestri e naturali, come Pan, Priapo, Eros stesso (che secondo la Teogonia
di Esiodo nasce dal nulla e prima di tutti gli altri dei, a segnalare l’apparenza dell’atto

104
creativo della Natura profonda). La fede filosofica astratta sostituisce ora lo spirito concreto
e reale.
2.9. Demetra. Se Hermes rappresenta la riuscita della trasformazione della vera e reale
Natura in atto di disposizione astratto e separato, diagonale ed eteronomo, la permanenza di
Demetra nel Pantheon degli dei olimpici segnala una difficoltà insuperabile. La Natura vera
e reale non si lascia spossessare della propria potenza e del proprio atto generativo e
creativo, senza conseguenze nefaste e distruttive per la stessa costruzione sovrastrutturale
olimpica: essa deve dunque essere mantenuta come base della sua stessa trasformazione,
accettata, voluta e progrediente secondo l’atto impositivo superiore. Deputata a questa
trasformazione sta la relazione verticale che collega la figura e l’immagine della Grande
Dea Madre con le figure e le immagini maschili che via via si sostituiscono nel piano di
controllo e dominio maschile dell’intero essere apparente: Urano (accoppiato con
Gea/Gaia), Crono e Poseidone (accoppiato con Demetra), Zeus (accoppiato con Era).
Secondo la verticale di questa relazione si attuano tutte quelle trasformazioni delle divinità
iniziali, che porteranno al capovolgimento delle finalità generativo-determinatrici, in tal
modo annullando tutte le funzioni apertamente creative ed orizzontalmente dialettiche. Tutte
le divinità iniziali, che finiranno all’interno del Pantheon greco, subiscono questo
trattamento di trasformazione e di capovolgimento, tranne appunto quelle che devono
mantenere un lineamento di irriducibilità, di fondamentale inalterazione.
Scomparsa Gea/Gaia insieme al troppo naturale Urano, Demetra (accoppiata con
Poseidone e figlia di Crono e di Rea) costituisce forse il primo e più importante di tali
esempi di irriducibilità e inalterazione. Il primo segno
della sua trasformazione nell’immaginazione e nella sua
ragione fondante risiede, infatti, nel fatto che la relazione
orizzontale, che la lega alla figlia Persefone, si innalza
per effetto della generazione paterna, attribuita a Zeus.
Così ciò che prima era ragione profonda e immagine
creativa autosostenuta ora si modifica in immagine
fondata nel cielo di una ragione spossessata, distante e
separata. Ciò imporrà a Persefone il matrimonio con
Ade, Signore degli inferi, quale forma di
ricongiungimento con le potenze inferiori, dalla quali era
stata staccata. Solo con questo ricongiungimento
Persefone può ridiventare la Signora della vegetazione,
Triade eleusina: Persefone, Trittolemo,
Demetra. Eleusi, bassorilievo (440-430 a.C.) la potenza generativa di tutto ciò che pare rinascere da
sotto terra ad ogni primavera. La comune accoglienza

105
con Artemide ed Atena ai confini diagonali del mondo costituisce, infatti, il prologo e la
premessa della successiva imposizione matrimoniale, quale soluzione del problema legato al
distacco della vita, rappresentato dal ratto di Persefone ad opera di Ade (lo sprofondamento,
realizzato dall’antagonista mascherante). Il distacco della vita è la separazione della parte
essenziale di Demetra, che si muove per recuperarla e la riottiene grazie ad Hermes,
ovverosia grazie all’accettazione di quella subordinazione al potere separante e
ricongiungente, che in precedenza aveva sostituito il movimento e la potenza di Afrodite.
Non è difficile traguardare lo sviluppo successivo del concetto del potere separante e
ricongiungente con la speculazione, prima eraclitea, poi empedoclea ed, infine, platonica.
Chi separa, distingue, per opporre e ricomporre. È il Signore del Tutto e di ogni singola
determinazione, finita e contingente.
È il sangue che irrora e si sparge sulla terra come riflesso di quello che proviene da essa –
la melagrana - a costituire il pegno per la riacquisizione della potenza vitale: il sacrificio
dell’animale o dell’uomo (poi lo sarà dello stesso Dio), nel lavoro od in guerra, ora
sostituiscono la precedente età dell’oro, dove nulla veniva né alienato, né tanto meno negato
definitivamente con la morte. Giustizia e pace vengono allora sostituite dalla civiltà che
impone alienazione e guerra, per decisioni (leggi) sovrane e separate.
È, dunque, ancora una volta l’artificio, che si distacca e separa in una potenza isolata, a
costituire il fulcro di una leva, che trasforma il razionalmente naturale – l’amore diffusivo
comune a tutte le specie - in una selezione argomentata del più adatto ed adeguato, secondo
una scala di valori e di preferenze che organizza la gerarchizzazione dell’esistente. E che
capovolge l’amore gratuito, libero e spontaneo, iniziale nell’amore come dono del cielo,
dosato e meritato per grazia e riconoscimento superiore. Qui nasce la concezione dell’amore
come strumento divino finalizzato ad una salvezza, intesa e vissuta come distacco e
separazione dalle potenze negative della materia inferiore, terrestre. Una salvezza operata in
grazie e per virtù di potenze razionali e celesti. Non è difficile allora riscontrare in questa
strutturazione lo schema principale attuato successivamente dalla dottrina cristiana pre- e
post-conciliare (dalla contrapposizione fra Spirito e carne in S.Paolo, alla dottrina della
salvezza per opera dello Spirito Santo, dei Santi e della stessa Chiesa, intesa come
prosecuzione ed imposizione terrestre della stessa volontà dispositrice divina).
2.10. Dioniso. Insieme a Eros, Priapo e Pan, Dioniso subisce il medesimo trattamento
destinato agli altri dei antichi: per effetto della penetrazione e dell’invasione sul piano
immaginativo e razionale dello schema ideologico portato dall’Orfismo esso viene
sottomesso ad un procedimento che ne capovolge la natura, le finalità e la ragione. La sua
immagine iniziale, infatti, viene identificata con il movimento amoroso generalizzato, libero
e spontaneo. Assolutamente inalienabile ed inseparabile dalle potenze espresse, anch’esse

106
liberamente, dalla ragione naturale. Dalla potenza e dall’atto, creativo e dialettico, della
Grande Dea Madre Terra. Con la quale finisce perciò necessariamente ed amorevolmente
collegato ed associato (si veda, a questo proposito la relazione con la coppia Demetra -
Persefone).
Dio della diffusione amorosa, collettiva ed individuale, dove la relazione dialettica di tipo
orizzontale prevale su quella di stampo verticale, Dioniso libera le anime e gli spiriti degli
animali e degli uomini, facendoli ruotare (danzare) ed unire reciprocamente e
collettivamente, in un’esaltazione generale che ne fa accostare ed insieme comporre l’azione
(appunto creativa e dialettica) all’immagine razionale concreta della coppia Demetra –
Persefone. Immagine e controparte maschile dell’antica e vera Afrodite, Dioniso ne
rivitalizza il movimento d’erezione, legato alle potenze corporee, alla volontà ed
all’intelligenza. Impedendo, in tal modo, il tentativo di sottrazione/sostituzione della
potenza e dell’atto vitale praticato da Hermes (in complicità con l’immagine cara ad
Apollo). Contro la sua fissazione, estraniazione ed alienazione, vegetali, animali ed uomini
vengono immessi e conservati in un movimento collettivo e generale da una causa, che ha
in sé il principio e la fine (il fine) del movimento stesso. Una causa che quindi non si
sdoppia ed aliena, nella generazione di uno spazio superiore astratto e separato, e che
dunque nega in anticipo ed in radice il suo capovolgimento, effettuato successivamente
proprio dall’inserzione del piano dividente intrinseco alla posizione orfica (od, ancora
successivamente, gnostica e manichea). Qui la creatività ed il mutuo e reciproco rapporto
dialettico, che animavano le collettività religioso-politiche dionisiache originarie,
definiscono un’immagine reale e concreta che si staglia in modo molto peculiare, che
diventa molto simile nei suoi tratti principali alle
successive comunità proto-cristiane, mosse dallo spirito
amoroso della libera eguaglianza e dalla conseguente
comunione dei beni e delle vite. Prima, naturalmente
dell’inserzione orfico-apocalittica paolina e della
successiva e coerente definizione dogmatica, astratta e
separata, dei primi Concili ecumenici.
Rigettando il capovolgimento alienante della
trascendenza, l’atto di immanenza dell’azione e della
prassi, con la sua finalità non strumentale, rappresentato
Louvre. Maschera di Dioniso.
concretamente dalla vita politica delle comunità religiose
eleusine, non separa potenze in alto, né predispone scopi decisi in modo eteronomo, decisi
da altri o altrove, per finalità esse stesse distaccate. In questo modo esso apre

107
quell’orizzonte comunemente creativo e singolarmente dialettico, che darà luogo alla
realizzazione concreta della democrazia immediata e diretta (assembleare).
La naturalità e la assoluta normalità (ragione) dell’accrescimento della potenza proprio
dello spirito dionisiaco (manía) rovesciano quindi la dichiarazione di effettiva “follia” o
quella di reale “estraniazione” al movimento che pretende la separazione ed il passaggio,
l’alienazione, di un capo discosto e separato, primo, quale fondamento e radice celeste delle
migliori virtù spirituali, astratte e tendenzialmente separate esse stesse. Come si è visto
questo passaggio era reso possibile dall’accostamento e dalla reciproca alleanza dialettica
fra la rappresentante simbolica dello sviluppo delle forze sociali fondate sullo scambio (la
simulazione ermetica) e l’espansione del dominio statuale, legato alla guerra (Ares) ed
all’imposizione di un’immagine fissa e stabile della trasformazione artificiale e del divenire
cittadino (Apollo e Artemide). La maschera apposta sul capo del coribante maggiore
acquisirà, quindi, la valenza atta a rappresentare lo scostamento, l’innalzamento e il
nascondimento prioritario della potenza mirabile del dio, in una trasformazione che segna
l’avvio della rappresentazione tragica nell’ambiente pre-classico greco. Come il coro
ditirambico veniva inizialmente scisso e gerarchizzato, posto in una relazione dialettica
verticale, così la società politica greca si assoggettava alla separazione introdotta dalla
rappresentazione ideologica della religione olimpica. Successivamente questo rapporto
dialettico verticale avrebbe sviluppato una dimensione dialettica orizzontale ma superiore,
astratta, sfruttando l’antagonismo presente nelle società cittadine e modificando in funzione
semplicemente rappresentativa la funzione del coro tradizionale, progressivamente destinato
a svolgere finalità sempre minori, sino a quasi scomparire nell’immedesimazione scenica
degli spettatori. È in questo modo che viene portato a termine quel processo di
inglobamento delle masse popolari, che aveva inizialmente attaccato – con trasformazione
per inversione - proprio l’immagine originale di Dioniso.
Un parallelo con maschera di Dioniso avverrà con l’utilizzazione dello stesso termine –
persona in latino - per la definizione e qualificazione delle Persone divine, nella Trinità
cristiana, nata dalle decisioni dei primi Concili. Le tre potenze, separate ma inter-connesse,
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, portavano a compimento il processo ideologico
iniziato con la costituzione olimpica e con il travasamento della strutturazione ideologica
della nuova fede nel campo tradizionale precedente, sotto le medesime schematizzazioni
strutturali e sotto la medesima architettonica. Una architettonica che avrebbe poi costituito
l’architrave maggiore e le trabeazioni definitive di tutta la speculazione filosofica
successiva, medievale e sinanco moderna (cfr. Cartesio e l’idealismo tedesco).
Di origine antichissima – vi sono segni della sua presenza in ambiente minoico-miceneo
(XV sec. a.C.) – come del resto il culto della Grande Dea Madre, il culto di Dioniso

108
attraversa le trasformazioni storiche e sociali delle comunità greche – le invasioni, le diverse
fasi delle colonizzazioni – per incontrare e scontrarsi con il progetto culturale e ideologico-
religioso iniziato dalla coppia Omero – Esiodo. Le forme teologico-politiche delle piccole
comunità contadine devono in quel momento subire, insieme alle subordinazioni politiche
derivate dalle confederazioni con le nascenti principali città greche, l’aggressione e la
cogenza ideologica di quelle forze aristocratiche, che utilizzarono e crearono
consapevolmente e con coerenza veramente mirabile un apparato di sovrastrutture ideali,
poi passato alla storia con il nome di Pantheon olimpico. Di origine forse anatolica, con
importanti deduzioni ed influenze dal Vicino Oriente, esso si appoggerà sulla relazione di
tipo verticale (anziché orizzontale), assoggettante e gerarchica. Così anche la figura ed
immagine di Dioniso subirà una trasformazione completa, un pieno e totale
capovolgimento. Ora egli diviene figlio di Zeus e di Semele: soprattutto deve appoggiarsi
alla relazione verticale con il padre, per poter sopravvivere e rinascere a nuova vita (simbolo
della trasformazione completa del suo culto originario). Come avverrà successivamente per
il rapporto fra il Figlio ed il Padre nella teologia cristiana, Dioniso deve appoggiarsi a
figure simboliche di sostentamento e di elevazione, che lo mantengono in una stabile
relazione di dipendenza con Zeus: il tirso, la vite, l’edera, il vino. Il movimento naturale
dell’edera e l’afflusso del vino nel sangue si innesta, allora, come riflesso superiore di un
riflesso inferiore e si congiunge ad esso: il riflesso del sangue deposto negli inferi, la
melagrana (il culto di Persefone). La circolazione del sangue nella Terra e dalla Terra allora
manifesta l’organo completo della vita, che si nutre della potenza della morte per edificare il
proprio nuovo regno, che farà ricircolare il proprio nuovo sangue nel sangue terreno ed
infraterreno, per ripristinare senza soluzione di continuità e senza fratture il movimento
generativo e creativo. Accostandosi alla potenza originaria di Afrodite, poi sostituita da
quella guerresca di Ares, questo riflesso superiore fa proiettare verso il cielo l’atto e la vera
potenza creativa, emanatrice. Genitrice. Ora l’immagine della Grande Madre è morta
(Dioniso-toro viene sbranato dai Titani).
Questa proiezione fa sì, però, che il dio figlio e la dea madre possano essere ancora
salvati, per inglobamento e trasferimento. La loro immagine originale allora verrà uccisa,
eliminata, mentre la loro immagine astratta e neutralizzata verrà elevata. Zeus ingloba (e
trasferisce) Dioniso mangiandolo e così rigenerandolo. Zeus ne assorbe la potenza
originaria, insieme a quella della vera madre, per deputarla e successivamente rifletterla
nella dipendenza di una nuova organizzazione terrestre di tipo celeste. L’ordine maschile si
impone sulla relazione orizzontale (Demetra-Persefone) praticata grazie alla Grande Dea
Madre, ad Afrodite e a Dioniso stesso, nella sua versione originale. Solo l’antagonismo
momentaneo è permesso: all’interno delle feste dionisiache femminili si recupera in modo

109
temporaneo il rapporto con la sacralità originaria, per rientrare successivamente purificate
nell’ordine maschile stabilito (cfr. i miti di Ippaso e delle figlie di Minia).
La transustanziazione del corpo – e della potenza di Dioniso – resa attraverso la deofagia
– nota il parallelo con il culto cristiano della comunione57 – sono quindi nel contempo
astratti e reali: reali nella vera uccisione ed eliminazione definitiva del culto originario (della
triade aperta Grande Madre – Afrodite – Dioniso; Gesù), ma astratti perché compiuti dal
procedimento operato dall’astrazione alienante, che si rende reale attraverso il consenso
generalizzato deposto ai piedi della relazione verticale di gerarchizzazione del potere (Zeus,
dottrina ecclesiastica). Reale, astratto e di nuovo reale Dioniso (Gesù, come Cristo) esce
capovolto: negato e riaffermato. In un modo tale che l’intero orizzonte olimpico (cristiano)
assume su di sé la caratteristica e la funzione separata della negazione e dell’alienazione.
Ma la potenza nella negazione è rappresentata dalla figura ed immagine di Artemide. La
volontà oscura e terribile del Dio – o in ambito cristiano la predestinazione della grazia –
vengono affermate grazie alla sua attività artificiale e divaricante (Artemide è dea dei parti),
mentre è dovuta alla triade Hermes/Ares/Apollo – o, sempre in ambito cristiano, alla
Provvidenza divina - la realizzazione positiva della sua separazione. L’immagine viva e
vitale della potenza e dell’atto creativo e dialettico originari viene spezzata, mentre al suo
posto sorge l’immagine che divarica causa e fine dell’azione e del pensiero (discorso),
innalzando un termine finale e definitivo di giudizio e di operazione, che intreccia insieme
lo scambio della potenza e la disposizione dell’atto finale. Così mentre la sovranità separata
della Legge – cfr. Le leggi di Platone – offre sostanza egualmente separata a quel
movimento di incorporazione del valore, che attraverso la monetazione predispone lo
strumento positivo dell’accrescimento artificiale delle ricchezze, la loro moltiplicazione
viene resa possibile attraverso l’atto di colonizzazione dell’altro e del diverso: qui
l’immagine guerresca di Ares svolge la funzione dell’acquisizione di quel territorio –
appunto ora resto astratto (demolito nelle precedenti credenze ed usanze collettive, se non
degli stessi soggetti umani) – sul quale verrà sovrapposta l’immagine della nuova credenza
olimpica (la coppia Hermes/Apollo) e del suo Dio direttivo e governante (Zeus). In capo a
questa divinità viene pertanto formandosi quella nuova mentalità collettiva – astratta essa
stessa – per la quale l’autorità del principe si fonda su una potenza separata ed un atto finale
indiscutibile ed inopponibile o inoppugnabile. Ora la colpa originaria, alla quale segue
necessariamente la repressione e la punizione finale, diventa la sottrazione di obbedienza a
tale credenza, che allontana ed espelle dalla comunità (esilio). Non è allora difficile
sovrapporre, con un calco, le posizioni e le funzioni esercitate dalle corrispondenti e

57
Molti dei problemi connessi alla definizione del senso della comunione in ambiente protestante – reale od allegorica
transustanziazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo – potrebbero trovare qui collocazione e soluzione.

110
correlative figure cristiane: il Dio che è Signore, la sua potenza separata esercitata nello
Spirito dalla Chiesa, la dichiarazione di eresia, gettata in faccia soprattutto a quelle posizioni
che affermano la responsabilità e l’autonomia del merito, nella continuità immanente della
grazia divina e nella sua diveniente rivelazione (e creazione). Come si vede una negazione
che ripiomba addosso ai lontani epigoni e prosecutori dell’antico spirito dionisiaco ed
eleusino. Lo stesso identico calco è visibile del resto nel passaggio alla modernità, quando la
formazione dello Stato avviene sotto l’egida – Athena rediviva – dell’assolutezza del potere
politico, economico e sociale. Sino alle attuali manifestazioni del potere globalizzato.
Così lo spazio della democrazia ateniese si inserisce all’interno di quell’orizzonte di
determinazione e della sua aperta triangolazione, con il potere separato di iniziativa
legislativa (gli arconti dell’Areopago, il consiglio dei Cinquecento) e quello similmente
separato deputato al controllo giudiziario (i tribunali dell’Eliea), con il potere incarnato
nella radice popolare delle Assemblee (esecutive e deleganti). L’afflusso popolare nei poteri
separati non toglieva il fatto che essi fossero per l’appunto distinti e lontani da un possibile
accorpamento comune ed assembleare. In questo risiedeva infatti il temuto pericolo della
tirannide e della eliminazione di qualsiasi possibilità antagonistica. L’antagonismo, invece,
dibattuto nelle assemblee, od esercitato nei diversi consigli e tribunali, garantiva la
conservazione del motore economico imperialistico della democrazia ateniese stessa, stretta
fra l’ipervalutazione dell’artificiale – lo scambio attraverso i commerci – di fronte
all’esiguità dei beni reali – mancanza di latifondo – e la sua necessaria espansione
territoriale e colonizzatrice.
Non è così difficile osservare la ragione per la quale all’interno dell’orizzonte religioso ed
ideologico olimpico la figura che si oppone all’immagine originaria di Dioniso sia proprio
Artemide, mentre quella che lo contrasta più attivamente sia quella di Athena, deputata a
svolgere quella funzione di finalità razionale distinta e separata, sovradeterminata (Athena
nasce come riflesso della mente di Zeus), che non può non opporsi e cercare di sostituire,
cancellare o subordinare (Dioniso rinasce secondo il mito orfico dalla coscia di Zeus) quella
finalità interna ed autodeterminantesi, che segna la traccia e l’evoluzione dello sviluppo
dell’azione dionisiaca (e che ha come termine simbolico la figura di Efesto).
Sarà così la ritualità orfica a rinchiudere e ridurre la potenza dionisiaca all’espressione
libera e collettiva dell’atto sessuale, in una forma di recinto sacro neutralizzante e di sfogo.
La sua completa negazione, infatti, ingenerava quelle forme di distruzione definitiva
dell’ordine maschile – cfr. Euripide, Le Baccanti – che rischiavano di risultare come una
rivelativa forma di punizione, per l’annullamento della sacra potenza originaria (della dea e
del dio). Al contrario l’esibizione controllata e limitata della potenza sessuale avrebbe
consentito un rapido rientro dallo stato di eccezione, con la reintegrazione ed il ripristino

111
della norma e dell’ordine maschile. Ciò che viene negato a Dioniso non è dunque tanto la
libera espressione sessuale – che questa viene garantita in forme eccezionalmente devianti –
quanto piuttosto la potenza del cuore e dell’intelligenza: entrambi infatti vengono resi a
Zeus e da esso sostituiti (con la potenza di Ares e la freddezza calcolatrice e strumentale di
Athena). Sensibilità, sentimento, passione e ragione vengono inglobati all’interno
dell’orizzonte eterodeterminante di Zeus e da questo capovolti, come si può vedere nella
trasformazione militare della figura di Dioniso stesso, ora destinato alla conquista delle terre
ad Oriente sino all’India, come risarcimento della precedente pazzia. La follia dell’amore
per la libertà eguale (cfr. la “follia della croce” di Erasmo da Rotterdam), caposaldo delle
piccole comunità contadine ed eleusine, loro cuore ed intelligenza, viene così rovesciato
nella propria autostrumentalizzazione per finalità a quella opposte (guerra e conquista),
considerate e valutate necessariamente come normali (e normanti). Ben altra cosa sarà la
prosecuzione dell’azione dionisiaca, piena ed effettiva, così come si svolgerà e realizzerà
tramite la figura ed immagine di Efesto.
2.11. Efesto. Abbiamo visto che Artemide occupa la posizione opposta e contraria a quella
svolta e sviluppata da Efesto. Come potenza separata ed isolata, essa si nasconde dietro la
simulazione e le invenzioni di Hermes: pura ed intoccabile, utilizza l’immagine statica e
stabilmente superiore, trascendente, di Apollo per realizzare le finalità paterne. All’estremo
(in Athena) minaccia (con Ares) una distruzione terrificante (la Gorgone/Medusa sullo
scudo di Athena stessa), sempre per compiere le volontà paterne, addossando la
responsabilità e la colpa del proprio intervento distruttivo al nemico o all’oppositore interno.
Una funzione importante però interviene qui per limitare e neutralizzare il luogo negativo
aperto dall’abisso fondato da Artemide, l’abisso della circolazione vitale del sangue (dagli
inferi alla terra e viceversa): Apollo con la forza della sua immagine – che è potenza di
elevazione – trasforma e capovolge quell’abisso in verticalità, utilizzando il negativo come
strumento per la realizzazione di un progetto razionale globale, capace di conservare e
potenziare l’egemonia del principio direttivo e governante (Zeus). In questo modo l’unicità
egemonica trova la possibilità di un consenso universale, nel momento in cui il negativo sia
accettato per il contro-positivo che promette di realizzare. Appare così che il negativo abbia
in sé un destino comunque positivo da realizzare. Non è allora difficile osservare come
questo stilema filosofico costituisca l’essenza del tragico greco, che con Eschilo, Sofocle ed
Euripide presenta e realizza (rappresenta) l’orizzonte negativo/positivo della civiltà
ideologica greca pre-classica. Su questa stessa base, del resto, sarebbe stato facile
giustificare l’orizzonte politico delle tirannidi, che si erano storicamente realizzate nei
diversi luoghi mediterranei della colonizzazione greca.

112
Per ritrovare la funzione originaria svolta dalla figura allegorica di Efesto, prima della sua
successiva trasformazione in strumento ideologico, è importante a questo punto porsi la
seguente domanda: che cosa blocca, impedisce o neutralizza, quella unicità egemonica?
Questa unicità egemonica blocca, impedisce o neutralizza, il ripresentarsi - con la forza di
cui comunque sempre gode – della potenza e dell’atto immediato ed inalienabile legato al
creativo ed al dialettico. Sommerge e cancella – o pretende di farlo con le fantasie
dell’immaginazione astratta o la forza brutale dell’annientamento - il sacro originario. Nella
sua elevazione (Afrodite originaria), nella sua apertura (Persefone originaria), nella sua
azione (Dioniso originario) e nel suo libero ed autonomo svolgimento (Efesto originario).
Ecco quindi come a ritroso possa comparire quale potesse essere l’immagine originale di
Efesto: esso era niente di più e niente di meno che il processo di autodeterminazione, con il
quale il creativo e dialettico si esprimeva e si svolgeva e sviluppava (cfr. i Cabiri di
Samotracia). Esso diventa solo successivamente e per particolari influenze strumento di una
sovradeterminazione: prima esso vale come mezzo sempre modificabile, variabile o
cancellabile e sostituibile delle volontà comuni. Come strumento democratico capace di
dissolvere qualsiasi progetto autoritario o tirannico. La sua controfigura ideologica è Eracle
(Ercole) - lo strumento di un’azione e di una finalità eterodeterminata ed eterodeterminante,
come è facilmente visibile dalla successione delle prove, che è costretto ad affrontare e
superare - al quale, sempre ideologicamente, viene infatti avvicinato. Figlio di Era come
Ares, a cui viene infatti accostato dall’ideologia olimpica, per la fabbricazione di
insuperabili (magici) strumenti guerreschi, l’Efesto olimpico vive separato da Athena, con
al quale però fa coppia costante (come finalità razionale e strumento). Brutto e deforme, si
sostiene con un bastone, né più né meno come il Dioniso olimpico, che si sorreggeva grazie
all’aiuto paterno (Zeus). Per questo la sua intelligenza pare scomparire, come scompariva il
cuore e la mente di Dioniso, per tramutarsi in furia costruttrice eterodiretta. Rigettato dalla
madre, si vendica imprigionando il suo potere tirannico con lo stesso strumento, che lo eleva
e giustifica, in modo separato: la democrazia viva e concreta, appunto il libero ed autonomo
sviluppo dell’autodeterminazione collettiva. Senza alienazione e cessione di sovranità. Così
solo l’unione con la relazione amorosa che sostiene la collettività – l’unione con Afrodite –
potrà risarcire il suo trasferimento ideologico, non voluto ma costretto (Dioniso lo ubriaca,
per riportarlo all’Olimpo). La democrazia greca, nata nella condizione materiale e formale
delle piccole collettività contadine dell’interno, si trasferisce ad Atene, dove viene collocata
su di un piano astratto ed apparentemente separato, all’interno del quale
l’autodeterminazione vale solo come radice esecutiva di leggi inizialmente preparate e
finalmente controllate altrove (ricorda la triangolazione precedente, l’apertura dei poteri
separati dell’iniziativa legislativa, del controllo giudiziario ed, appunto, della radice

113
esecutiva democratica). Il motore commerciale trasforma, insieme alla resistenza fondiaria,
la democrazia diretta in democrazia mediata, perché possano essere salvaguardati gli
interessi prima della classe proprietaria e poi di quella legata agli scambi ed alla produzione.
Con il progressivo prevalere di quest’ultimo interesse si assisterà – con logica e necessaria
conseguenza – allo sgretolamento della difesa degli interessi separati dei proprietari
fondiari, per effetto di un afflusso di elementi democratici nella struttura precedentemente
definita e delineata (nei consigli e nei tribunali). L’impianto astratto però non verrà toccato,
perché consentirà di giustificare e potenziare l’imperialismo economico-politico della città
di Atene. Per questo l’Uno necessario e d’ordine continuerà sotto le spoglie teologico-
filosofiche di Platone ed Aristotele a dominare l’orizzonte culturale e civile ateniese (poi
anche macedone), come in precedenza faceva l’orizzonte ideologico costruito grazie agli dei
olimpici. Il contatto con Roma dell’olimpismo e della filosofia greca ingenererà
successivamente colpi e contraccolpi di natura diversa, prima con la reazione conservatrice
latifondista, poi con l’accettazione del motore imperiale.
Ad autoconferma della validità dell’impianto ideologico olimpico, l’Afrodite astratta non
accetta di unirsi ad Efesto, ma gli preferisce Ares, accentuando così l’importanza e la
valutazione del vero ed effettivo motore e strumento della democrazia ateniese: l’amore per
l’espansione, la conquista e la ricchezza, per il tramite della guerra. Ed ancora: Zeus punisce
Efesto per la liberazione di Era, sospesa fra cielo e terra con una catena d’oro. Il piano
astratto e separato, con la sua fondamentale riduzione ed imprigionamento del sacro
originario, non può e non deve essere cancellato: ripristinare il sacro originario merita come
punizione l’allontanamento e l’affossamento ultimo e definitivo (Efesto rotola in basso per
nove giorni e nove notti), dal quale si può riemergere solo a condizione di capovolgersi,
appunto, in strumento caro al potere sovradeterminante (Efesto divinità degli artisti ed
artigiani). In questo modo Efesto diventa lo strumento di tutti gli strumenti approntati dal
progetto razionale ed immaginativo, sentimentale e sensibile, olimpico (l'elmo e i sandali
alati di Ermes, l'egida di Zeus, la cintura di Afrodite, il bastone di Agamennone, l'armatura
di Achille, i batacchi di bronzo di Eracle, il carro di Helios, la spalla di Pelope, l'arco e le
frecce di Eros, l'elmo che rende invisibili di Ade). Con tutti i loro significati allegorico-
filosofici appropriati. Anche Prometeo ed il vaso di Pandora – con il relativo accorpamento
dell’umanità allo strumentale e la dannazione della negatività femminile – sono collegati
all’attività ideologizzante di Efesto, che si trasforma quindi nell’apparenza più mirabile del
sistema olimpico. In ogni luogo ed ovunque, è tutto in ogni parte, come il fuoco (il suo
elemento/strumento simbolico) che tutto è capace di trasformare. Prima ipotesi teologica del
dio artefice che tutto comprende, assume su di sé le diverse funzioni del sistema chiuso
stesso: intervenire, aprire e chiudere definitivamente. Deprivato dell’intelligenza e del

114
fondamento (ha i piedi deformi, inutili e quasi da cancellare), in questo modo offre e rende
compiuto il luogo deputato ad accogliere e custodire la potenza di Ares.
2.12. Ares. La potenza distinta di Ares si colloca nel luogo mediano e centrale, elevato e
distaccato, nel quale il taglio diagonale, negativo ed abissale, di Artemide si capovolge in
positivo, grazie all’immagine sospesa di Apollo (la disposizione divina, il fato o destino).
Ares diventa in questo modo lo strumento sotterraneo della suprema e superiore ragione
strumentale (Athena). Nel luogo occupato da Ares – e grazie al luogo occupato da Ares – la
libertà originaria si trasforma e capovolge in una triplice necessità: la necessità di ordinare
verticalmente e gerarchicamente la comunità umana (cfr. il mito di fondazione di Tebe e la
funzione di Armonia), la doppia necessità di dare alla potenza ed all’atto divini una forma
ed una materia, un portato ed una valenza, chiuse e orizzontalmente delimitate. È in questo
modo – il modo introdotto dall’Uno necessario e d’ordine – che la molteplicità creativa e
dialettica della potenza e dell’atto religioso originario si capovolgono nella molteplicità che
nega il creativo, sino alla distruzione totale ed al totale sradicamento, ed il dialettico
orizzontale, sostituendolo e cancellandolo con il dialettico verticale. 58
Così nel luogo negativo/positivo centrale e mediano, che sospende la caduta abissale nella
distruzione e che dà ciclo - in senso lato, alimentare - al movimento del sangue, la potenza
negativa immediata di Ares – che quella di Artemide è trascendente 59 – viene neutralizzata
dall’intervento della ragione strumentale. La potenza negativa immediata di Ares diventa
pertanto l’apparente opposto irrazionale dello strumento governato dalla razionalità
superiore (Athena). L’una e l’altro però procedono in coppia, per sottrarre spazio e tempo –
cancellandolo dalla vista – alla negazione della finalità strumentale, effettuata tramite la
figura precedentemente analizzata di Efesto (dell’originario Efesto, non della sua
trasfigurazione olimpica). In questo modo essi costituiscono lo spazio ed il tempo di una
falsa alternativa, 60 quella vera e reale essendo quella che contrappone il sacro originario al
sistema olimpico: o la pace dell’ordinata sottomissione (esterna ed interna), o la guerra sino

58
Il mito che raffigura Ares su di una quadriga di cavalli immortali, dal respiro infuocato e legati con finimenti d’oro,
costituisce in modo rapido e mirabile la rappresentazione visiva dello spazio logico ed ontologico creato dallo schema
di cui Ares è portatore (+). Parmenide utilizzerà lo stesso stratagemma, per mostrare lo spazio del proprio schema
interpretativo della realtà (v), più vicino – al contrario dello schema olimpico di Ares – alla visione del sacro originario,
immanente. Cfr. Iliade, V, v. 352.
59
Nella lotta di Ares contro i giganti Oto ed Efialte, Ermes ed Artemide intervengono alleati, per liberarlo dal vaso di
bronzo nel quale era stato imprigionato e per fare in modo che i suoi nemici si eliminassero a vicenda. Il contenitore di
Efesto – il contenimento della guerra, per effetto della libera espressione del creativo e dialettico - viene rotto
dall’intervento di una simulazione d’immagine distaccata combinata con una potenza alienata, che predispongono
l’intervento autoritario di una divinità superiore. La bellezza e la bontà della potenza distinta della città, retta
gerarchicamente, amministrata armonicamente secondo la diversità dei propri interessi, capace di espandere se
necessario strategicamente la zona della propria influenza.
60
La sottomissione di Ares ad Athena è una costante dell’Iliade omerica, sin dalla immedesimazione con gli opposti
schieramenti: Athena con gli Achei, Ares con i Troiani.

115
alla dissoluzione completa. Che dissolve soprattutto la possibilità di vedere e praticare il
sacro originario: la vita creativa e dialettica.
In questo senso Ares è il sicuro e definitivo distruttore del sacro originario.61
Tracio, come il Dioniso trasformato olimpicamente e orficamente, ne assume infatti la
furia, però in negativo. Unica furia collettiva negativa (enyálios), resta sempre comunque
inferiore e dipendente dal calcolo strategico di Athena. Ha il suo opposto apparente in
Eracle, 62 lo strumento positivo della grazia e delle decisioni divine (Zeus). Egli viene così
alla fine sostituito, 63 quando lo strumento delle prove superate attraverso eroiche sofferenze
e disagi – lo strumento dell’alienazione singolare e quotidiana - sostituisce lo strumento
guerresco, allorché la civiltà delle città greche trova una comune contemperazione ed
armonia (di fronte al comune nemico persiano e per effetto della moltiplicazione degli
scambi commerciali reciproci).

61
Simbolico di questa distruzione è il sacrificio di giovani vite animali (cuccioli di cane), dedicato ad Ares.
62
Cfr. il racconto mitologico della lotta mortale fra Cicno, figlio di Ares, ed Eracle stesso.
63
Ares viene congedato alla fine e ritorna in Tracia.

116
Metafisica, libro A.
Aristotele. A cura di Giovanni Reale (Milano, Rusconi, 1998, 1993¹).
Appunti di lettura, interpretazioni, commenti e materiali per la citazione.

Nel Libro A, cap. 1, della Metafisica Aristotele, dopo avere inizialmente discettato della
distinzione fra la t°xnh, l’applicazione specifica del giudizio, riferita all’universale (tÚ
kayÒlou) e l’§mpeir¤a, il divenir esperto grazie ai successi applicativi individuali
(kayÉßkaston), mira alla stabilizzazione e valorizzazione del primo termine attraverso il
concetto di causa (afit¤a). Sapiente è, infatti, colui che conosce le cause e, conoscendo le
cause, sa insegnare. 64 Più sapiente è, ancora, chi conosce le cause relative alla realtà gratuita
dell’essere, rispetto a chi conosce le cause relative al benessere della vita (prÚw ≤donØn), o
rispetto a chi conosce solamente le cause capaci di soddisfare le sue mere necessità (prÚw
ténagka›a). Sommamente e realmente sapiente è chi, alla fine, conosce le cause prime ed
i principi (tå [pr«ta]a‡tia ka‹ tåw érxåw … pãntew).
Nel cap. 2 Aristotele riesce così a presentare e a definire il quadro concettuale delle cause
prime, che sono oggetto della ricerca filosofica. Se il sapiente ha conoscenza dell’intero
dell’essere, e se questa conoscenza è una forma di conoscenza superiore, che riguarda la
cause ed ha una finalità disinteressata e libera, allora il sapiente non può non godere di una
posizione di egemonia, dalla quale governare l’evoluzione e la discriminazione delle
conoscenze ulteriori e successive, comunque subordinate alla sapienza stessa (sof¤a). 65
Con quest’immagine piramidale il filosofo di Stagira definisce le caratteristiche della
sapienza stessa: essa deve riguardare l’universale (tØn kayÒlou §pistÆmhn), in quanto
tutti i particolari sono da riportarsi all’universale; ma l’universale è, infatti, lontano dalla
sensibilità e dall’opinione comunemente attingibile; esso è infatti comprensibile grazie ad
una quadratura o ad un insieme particolarmente ristretto di principi – forse qui il riferimento
è ai generi sommi dell’essere del Sofista platonico 66 – particolarmente elevato ed astratto.
Questi principi definiscono così il perimetro, il limite ed il confine, all’interno del quale
l’immaginazione razionale delle cause può garantire l’egemonia effettiva e concreta della
sapienza su tutte le altre scienze e tecniche. Così la materia che costituirà la formazione
immaginativa e razionale delle cause sarà la materia stessa della quale si concretizzerà lo
spirito libero del sapiente, secondo l’orientamento prevalente ed implicito, definito
contestualmente dal proprio maestro Platone: la diagonalizzazione dell’Uno necessario e

64
Metafisica, A, 1, 981b 7-10.
65
Metafisica, A, 2, 982a 4-19.
66
Stabilità e movimento, identità e diversità, possono insieme aprire una separazione che da un lato predisponga il
primato dell’essere stabile ed identico, dall’altro conducano verso la dipendenza dell’essere sempre in movimento e
sempre diverso (il cielo e l’essere sensibile, in divenire).
d’ordine. 67 È questa diagonalizzazione a tenere insieme obliquamente le cause ed i principi
cercati, edificando trasversalmente ciò che successivamente costituirà il predominio e
l’egemonia della metafisica su tutte le altre scienze (fisica, logica grammaticale, etica,
politica, retorica, matematiche) e tecniche (arti produttive). È questa diagonalizzazione,
ancora, ad indicare nell’Uno necessario e d’ordine il bene e il fine di ogni sviluppo naturale,
come pure di ogni azione umana. 68 È questa diagonalizzazione, infine, a far designare Dio –
l’Uno necessario e d’ordine - come causa. 69 Causa che è oggetto di una scienza teoretica,
non pratica o comunque produttiva. Dal sensibile, agli astri, all’universo il sapiente si è,
così, progressivamente innalzato lungo questa diagonale, abbandonando successivamente i
territori della necessità ed i terreni del piacevole benessere, per giungere al fine alla
contemplazione di ciò che è più vicino a Dio ed ha perciò il maggior valore. La sapienza è
quindi scienza di Dio, in senso soggettivo ed oggettivo. 70
Le ultime affermazioni di Aristotele confermano, dunque, quell’impianto diagonale
stabilito da un soggetto assoluto, che fa dipendere a sé un mondo unico (cielo, astri e Terra),
che costituirà la stella polare del movimento intellettuale e della volontà nella fine dell’età
classica e che sorgerà di nuovo con forza ineguagliata, quando la visione imperiale
tradizionale pagana penetrerà con la sua ideologia nel nuovo mondo istituzionale in
formazione cristiano, sostituendone lo spirito e la natura originaria – così vicina al principio
creativo e doppiamente dialettico del pensiero presocratico – con un artefatto dogmatico ed
irrigidito, teso alla stabilizzazione della necessitazione generale con l’opposta libertà di un
immaginato mondo ultraterreno. Resecata via la pericolosa divaricazione avvertita
dell’eguaglianza, questa libertà diventava il criterio di ogni assoggettamento, in attesa che la
potenza del Capitale in ascesa potesse, durante il passaggio alla prima età moderna,
irrobustirne la sostanza e la prassi, prolungandone la vita sino ai nostri giorni.
In questo panorama di formazione della storia e tradizione ideologica dell’Occidente la
riflessione aristotelica è originariamente essenziale: quando nel capp. 3, 4 e 5 Aristotele si
preoccupa di conformare alla propria quadratura onto-logica dei principi e delle cause il
precedente pensiero presocratico, egli dà inizio proprio allo sradicamento della prospettiva
di alternativa, rappresentata dalla speculazione che precede le riflessioni del Socrate
platonico. Toglie ed annulla la stella dell’eguaglianza, per conservare una stella della libertà
ridotta ed in fin dei conti pure asservita: asservita all’immagine di Dio, che sarà prevalente
nell’ideologia occidentale sino ai giorni nostri.

67
Cogli il senso e l’orientamento intellettuale stabilito dalla divaricazione e dalla dipendenza costruite dalla quadratura
determinata nella nota precedente.
68
Metafisica, A, 2, 982a 20 – 982b 7.
69
Metafisica, A, 2, 982b 7-10.
70
Metafisica, A, 2, 983a 5-11.

118
Aristotele riesce a compiere questa estrema reazione, utilizzando proprio quella
diagonalizzazione della disposizione intellettuale e della volontà precedentemente indicata,
procedendo ad un suo ulteriore raddrizzamento verticale. Successivamente perciò a quella
diagonalizzazione, Aristotele enumera, dispone ed organizza la serie delle quattro cause
prime, ponendole in una duplice serie composta: la forma che apertamente e superiormente
comprende e identifica (tØn oÈs¤an ka‹ tÚ t¤ ∑n e‰nai), la materia che soggiace alla forma
e ne subisce la determinazione (tØn Ïlhn ka‹ tÚ Ípoke¤menon), per effetto di un
movimento che ha un inizio ed una opposta fine (≤ érxØ t∞w kinÆsevw … tØn
éntikeim°nen afit¤an … tÚ o ßneka ka‹ tégayÒn). O, come si dice con terminologia
tradizionale astratta: una causa produttiva del movimento ed una causa finale dello stesso. 71
Non è difficile immaginare la dislocazione delle quattro cause aristoteliche nello spazio
immaginativo e razionale, utilizzando lo schema visivo seguente:

DIAGONALIZZAZIONE VERTICALIZZAZIONE

FINE

FORMA

MATERIA

INIZIO

Come si può facilmente vedere Aristotele si appropria degli spazi immaginativi e razionali
aperti dal pensiero presocratico, per condurre un proprio sviluppo immaginativo e razionale.
Forse, pure, sotto l’influsso del recupero che Platone stesso, nella fase finale della sua
speculazione, andava facendo della tradizione filosofica precedente. È solo dopo aver
condotto a fine questa specie di appropriazione indebita, che il filosofo di Stagira comincia
la propria trattazione storica delle filosofie che lo hanno preceduto. Iniziando dai primi
filosofi. Ma ad essi Aristotele attribuisce solamente lo spazio immaginativo e razionale
deputato all’accoglimento della specie materiale. Essi non sembrano avere posseduto alcuna
dimensione dialettica, né tanto meno creativa. La loro sostanza permaneva identica ed

71
Metafisica, A, 3, 983a 24-32.

119
indivenibile, mentre tutte le determinazioni successive e singolarizzanti venivano ridotte ad
affezioni ovvero modificazioni accettate dalla medesima, come se questa potesse
trasformarsi continuamente attraverso un corpo proteiforme. 72
Talete 73 avrebbe considerato questa sostanza materiale come elemento acquoso (Ïdvr),
considerandone le virtù di sostentamento vitale collegate al calore. Dell’elemento acquoso
partecipavano pure tutte le potenze generative degli esseri, cosicché l’elemento stesso
poteva garantire la potenziale dinamicità di ogni sviluppo e tendenza. Ma il concetto e la
prassi stessa instaurata dalla potenza dello sviluppo e dalla tendenza richiamano in campo
quell’orientamento divergente e quel termine d’eguaglianza, che Aristotele cerca sin da
questo momento di nascondere, occultare o negare, annullando completamente per il primo
dei naturalisti (fusiolÒgoi) la dimensione spazio-temporale, il modo attraverso il quale il
“quanto” si fa “quale”, grazie ad un particolare concetto di estensione con variazione.
Vedremo, quando tratteremo della riflessione di G.W.F. Hegel, come si potrà tematizzare e
problematizzare questo concetto, e quale prassi esso possa aprire. Del resto questo stesso
concetto presentava per lo stesso Aristotele una ragione problematica, nel momento in cui il
filosofo di Stagira dovrà cercare di risolvere la questione dell’induzione (§pagvgÆ).
Dopo Talete la trattazione storiografica aristotelica si dedica alla figura ed alla riflessione
di Anassimene, del quale rammenta la scelta del principio “materiale” dell’aria (é°ra). In
rapida serie, poi, Aristotele ricorda Eraclito di Efeso, con la sua scelta del principio del
fuoco (pËr) ed Empedocle, che aggiunge ai tre precedenti elementi il principio della terra
(g∞), costituendo in tal modo un complesso di quattro sostanze in reciproca combinazione
puramente quantitativa. Aristotele toglie qui ogni movimento dialettico e creativo alla
natura empedoclea, quasi sterilizzandone la potenza dinamica. Una potenza che
massimamente viene riaperta e moltiplicata, ricordando l’effettiva realtà delle omeomerie
(ımoiomhr∞) di Anassagora di Clazomene, che vengono infatti riferite dallo stesso
Stagirita al novero dei principi infiniti (épe¤souw e‰na¤). Potenza moltiplicata ed infinito
costituiscono, infatti, la materia e la forma o ragione del suo essere dinamico, che può così
mantenere sia l’aspetto e la dimensione eterna, che – attraverso la variazione e la
combinazione reciproca – quella reciproca codeterminazione alla generazione e corruzione,
che stabilisce il senso del divenire temporale. 74

72
Metafisica, A, 3, 983b 6-18.
73
Metafisica, A, 3, 983b 18 – 984a 5.
74
È qui sommamente da sottolineare come l’apparente confusione con la quale Aristotele riporta la dottrina di
Anassagora sia in realtà la diffusione di una impenetrabile cortina fumogena sul concetto di infinito e su come esso
possa indurre il movimento della variazione. Giordano Bruno riapproderà a questo concetto, facendo piazza pulita del
finitismo aristotelico.

120
Nascosto il raggiungimento di Anassagora – ricordiamolo attivo ad Atene durante il
periodo pericleo ed allontanato dalla città, proprio perché considerato pericoloso per la
religione tradizionale – Aristotele ha buon gioco nel sovrapporre allo spazio immaginativo
anassagoreo la propria voluta semplificazione, basata su un concetto lineare di divenire (per
semplice generazione ed altrettanto semplice e banale corruzione). Aristotele, per questo,
dopo avere ridotto ed annullato ogni spazio dialettico e creativo alle speculazioni
concorrenti, introduce il concetto e la prassi di una causa eteronoma, che dal di fuori riesce
a imporsi sul sostrato e lo fa modificare e muovere (in senso lato). 75
Allora il “principio del movimento” (≤ érxØ t∞w kinÆsevw) sarà costituito da un
soggetto paraumano, che Aristotele unicamente dice di vedere, dopo averne sottratto
l’alternativa ai pensatori precedenti. Con questo gioco di prestigio piuttosto imbroglione
Aristotele si permette di sviluppare ulteriormente la sua consapevole mistificazione,
includendo quasi tutta la tradizione speculativa precedente – tranne Parmenide – fra coloro
che negano non solo – come del resto è comunemente accettato – che l’essere possa
dileguarsi, ma pure che possa in alcun modo modificarsi. 76 Non solo: egli coopta
Parmenide nel novero dei pochi pensatori capaci di distinguere, dopo l’identificazione
dell’essere con l’Uno, due diversi piani separati, forse appunto quello della ragione (per
Aristotele sensibile al trattamento interiore) e quello della materia (per Aristotele sensibile
al trattamento esteriore). 77 Qui, allora, non si può non rimandare ad una successiva
interpretazione corretta dei pochi frammenti rimasti del PERI FUSEVS, per smantellare
l’assunto assiologico che vede imposta la struttura del divenire del diverso dall’identico.
La potenza e l’atto di questo “movimento” conducono Aristotele a valutare positivamente
la possibilità offerta dai naturalisti, di combinare per elementi opposti l’emergere
progressivo del divenire reale, mentre nello stesso tempo ne critica la supposta incapacità –
anzi, di più, l’impossibilità – a giustificare la finalità migliorativa dell’esistente, comunque
presente in natura. Per primo, sarà Anassagora di Clazomene – secondo Aristotele – che
inserirà il concetto di Intelligenza (NoËw), per spiegare questa finalità, d’ordine tendenziale
e di organizzazione, che Aristotele stesso definisce come movimento verso il bene e il
bello. 78
Nel cap. 4 Aristotele richiama a questo proposito il pensiero di Esiodo e, di nuovo, di
Parmenide, per segnalare un possibile antecedente alla teoria della necessaria presenza
attiva di un principio, che muova ed orienti al bene ed al bello: qui l’amore ed il desiderio
(ÖErvw, §piyum¤a) vengono come distolti dalla loro virtù e potenza rivoluzionarie,

75
Metafisica, A, 3, 984a 21-22, 22-27.
76
Metafisica, A, 3, 984a 27 – 984b 1.
77
Metafisica, A, 3, 984b 1-4.
78
Metafisica, A, 3, 984b 20-22.

121
consistenti nella capacità creativa e dialettica superiore, per essere in qualche modo
declassati e neutralizzati a fattori di convogliamento delle molteplici finalità naturali ed
umane. 79 In opposizione a questo convogliamento Aristotele abbassa, poi, una dialettica
decettiva (½), attraverso la quale dà origine al termine inferiore della materia riottosa e
disordinata, persino brutta per il suo divaricarsi dal t°low dell’ordine e della perfezione.
Qui egli riesce a desviare la speculazione di Empedocle, assegnando a questo spazio così
costruito l’agibilità funzionale dei suoi due principi: l’Amicizia (Fil¤a) e la Discordia
(Ne›kow). Aristotele riesce, in questo modo, a trasporre il senso dei due principi empedoclei,
rispettivamente, alle funzioni unitarie, coordinatrici ed organizzatrici di una sensata
intelligenza finalistica ed alla funzione diabolica di un’attività disgregatrice e
contrappositiva. 80 Separando su due piani diversi – essi pure contrapposti – i due principi
empedoclei, Aristotele toglie la loro paritaria complementarità, potente nel contempo a
unire e differenziare all’interno dell’orizzonte razionale, e costruisce quello schema
dualistico fra i principi del bene e del male, che ricomparirà con grande valore ed evidenza
nella tradizione religiosa medievale.
Materia e movimento però non soddisfano l’aspettativa aristotelica, che preme
conseguentemente per indicare e definire due ulteriori cause: una forma intelligente –
intrinsecamente presente in ogni evento naturale – e una finalità capace di elongare un
processo lineare e coerente, senza le “confusioni” empedoclee, 81 ma che sappia distinguere
fra un inizio ed un opposto scopo o fine. La dialettica deviata di Empedocle diventa allora
nella immaginazione aristotelica la prima forma, ancora abbozzata, della propria dialettica,
vera e reale, fra causa produttiva e causa finale. La dialettica dei contrari.
Proseguendo lungo la strada precedentemente tracciata e che gli aveva consentito di
collocare le speculazioni di Anassagora ed Empedocle in uno spazio distinto e separato che
non era affatto loro proprio, Aristotele banalizza e sminuisce le riflessioni provenienti dalla
scuola degli atomisti Leucippo e Democrito. Qui, dopo aver ricordato il loro uso dei due
principi del pieno (tÚ pl∞rew) e del vuoto (tÚ xenÚn), egli aborrisce il loro paritario
accostamento, ancora una volta tradizionalmente infastidito dall’eguaglianza dell’essere e
del non-essere. Così come non aveva compreso, o addirittura mistificato, l’orizzonte di

79
Metafisica, A, 3, 984b 23-32.
80
Metafisica, A, 3, 984b 32 – 985a 10.
81
L’Amicizia che separa e la Discordia che riunisce – Metafisica, A 4, 985a 24-25 - sono la prova o dell’incapacità di
comprensione di Aristotele, che non vede la mutua e reciproca presenza attiva dei due principi, all’interno di un
medesimo ed aperto orizzonte razionale (l’Amicizia in effetti distingue per omeomerie orizzontalmente divaricate,
mentre la Discordia riunisce tutte queste omeomerie al comune orizzonte razionale), o della sua volontà di nascondere e
mistificare ulteriormente questa visione, forse influenzato da un’impostazione pitagorico-platonica, che gli impone
quella forma di dialettica decettiva già indicata. Del resto le stesse “incomprensioni” aristoteliche successive, relative
alle modalità d’azione dei due principi empedoclei, confermano a contrario l’effettiva sussistenza e realtà di un
orizzonte razionale aperto, costituito da una pluralità essa stessa aperta di determinazioni (lo Sfero).

122
quelle due riflessioni, così ora rende inintellegibili le differenze degli atomisti (tåw
diaforåw afit¤aw) – figura (sx∞mã), ordine (tãjin) e posizione (y°sin) – finalizzandole
secondo principi operativi – per proporzione (rusm“), per contatto (diayigª) e per
direzione (tropª) – lineari e deterministici, che scompongono in una miriade di frammenti
inorganizzabili (caotici) i singoli movimenti degli esseri.
Se forma intelligente e fine riescono a comporre i “contrari” – causa produttiva e causa
finale – allora Aristotele ha buon gioco nel cap. 5 a nascondere il fatto che i Pitagorici
fossero stati degli anticipatori, in forma riduttiva (matematica), delle proprie
argomentazioni. Per il pensatore di Stagira, infatti, i discepoli di Pitagora considerarono e
considerano gli elementi dei numeri (tå t«n ériym«n stoixe›a) elementi di ogni realtà,
immobilizzando in tal modo con una serie di rapporti astratti le relazioni determinanti fra gli
esseri del mondo. In queste relazioni determinanti essi fecero uso della combinazione dei
concetti di materia e di forma, in quanto stabilizzarono e identificarono gli esseri grazie alla
composizione delle due categorie prime dei numeri, il pari (tÒ êrtion) ed il dispari (tÒ
perittÒn). Il primo permetteva il fluire senza limite o termine della determinazione
numerico-geometrica (illimitato: êpeiron), mentre il secondo stabiliva un punto d’arresto a
questo fluire, un termine che chiudeva e rendeva compiuto e perfetto l’essere che ne veniva
determinato (limitato: peperasm°non). Il primo essere a venir composto dall’applicazione
combinata di queste due categorie era l’Uno (tÚ ®n), mentre tutti gli altri numeri erano
alternativamente indicati da una o l’altra delle stesse. Così l’Uno stesso poteva
rappresentare in una figura e schema ordinato, secondo l’applicazione delle due categorie
contrarie, una sorta di intreccio originario e di termine superiore d’arco della serie
successiva e subordinata dei numeri, immagini che si proiettavano sull’intera realtà. 82
Lo schema generale, proposto da alcuni Pitagorici e ricordato da Aristotele, può allora
forse essere interpretato secondo la seguente mappa concettuale:

82
Metafisica, A 5, 986a 20-21.

123
In conclusione Aristotele può così ricordare l’affermazione pitagorica che maggiormente
gli preme, per le sue argomentazioni: l’affermazione che la combinazione e composizione
dei “contrari” è origine della materialità triangolare (ª) di tutti gli esseri della realtà. In
questo modo egli può, ancora, accusare i pensatori che lo hanno preceduto di non aver
saputo analizzare e distinguere bene i principi formali e le cause effettive di produzione e
determinazione della realtà.
In opposizione alle scuole pluraliste di filosofia Aristotele può, successivamente,
introdurre il discorso verso la trattazione della posizione eleatica, qui espressa dalle figure di
Parmenide, Melisso e Senofane. I monisti, infatti, non si sottomettono alla derivazione
dell’essere sopra esposta per la scuola pitagorica, controbattendo al movimento dell’Uno
nell’atto della generazione la sua stabilità. L’Uno è immobile. 83
Per essere immobile, però, deve essere riguardato in tutt’altro modo rispetto a quello nel
quale è stato considerato dalle scuole precedentemente descritte: non può più essere
considerato come principio isolato ed originario della derivazione della pluralità ordinata
degli esseri, ma deve imporre per sé una visione aperta. Aristotele definirà questa visione
aperta, quest’apertura in realtà opposta alla dimensione proiettata e soggetta delle precedenti
riflessioni, sotto il nome di forma (katå tÚn lÒgon) per Parmenide e sotto il nome di
materia (katå tØn Îlen) per Melisso, visto che, secondo il proprio intento di ridurre le
speculazioni altrui alla propria, il primo avrebbe trattato l’Essere ancora come limitato,
mentre il secondo ne avrebbe indicato una profondità superiore illimitata. Senofane, a sua
volta, avrebbe prima di Parmenide stesso identificato l’Uno con Dio, fuoriuscendo in tal
modo dalle coordinate riduttive dello Stagirita.
Concentrata, poi, la sua attenzione su Parmenide – la sua affermazione del tutto integro ed
unitario era infatti riconducibile con maggiore facilità alla forma intelligente aristotelica –
Aristotele sottolinea le difficoltà eleati di dover tenere insieme, anche se per opposti,
l’essere (senza contrari) ed i fenomeni (che sembrano agire e muoversi fra e dai contrari).
Così lo stesso Parmenide avrebbe assegnato e definito il campo ontologico dell’Essere alla
ragione (katå tÚn lÒgon), mentre avrebbe dovuto in un certo senso abdicare
all’integralità della sua tesi originaria, generando e determinando il nuovo campo della
sensibilità (katå tØn a‡syhsin), attraverso una quadratura logico-reale composta da due
cause e due principi: il caldo (yermÚn) ed il freddo (cuxrÒn), che agiscono grazie al fuoco
(pËr) ed alla terra (g∞n). In questo modo Parmenide stesso si sarebbe alla fine allineato
alla visione dei Pitagorici, rivoluzionandone però la linearità di tipo trasversale, per elevare
invece una forma di ritorno al principio fondamentale ed originario dell’Uno, che

83
Metafisica, A 5, 986b 17.

124
costituirebbe una prima forma razionale di etica naturale, se l’essere viene infatti
identificato tramite il caldo, mentre il non-essere viene ammesso per effetto della causa
inferiore del freddo.84
Stabulati in tal maniera materia e causa (anche sdoppiata) del movimento all’interno della
propria collezione di “animali filosofici”, Aristotele può in conclusione risottolineare come
la traccia finale di queste considerazioni e riflessioni non possa non portare alla valutazione
di una forma razionale di necessità naturale, capace di superare le teorizzazioni
sull’individuazione e le individualità praticate dalla scuola eleate e pitagorica. Qui comincia
ad inserirsi il discorso sulla predicazione, che ha infatti bisogno di un orizzonte di
riferimento e di un termine di ritorno stabile e continuamente attinto, pur nella possibile
varietà e variazione delle classi di determinazione effettivamente presenti ed agenti. Solo
così la definizione razionale e naturale degli esseri reali - ırismÒw richiama il termine greco
per orizzonte - potrà farsi carico della responsabilità e del peso legati alla sussistenza
precedente di enti ideali oggettivi (le idee). Che nella mente di Aristotele devono sì essere
legati e vincolati alle cose che determinano, ma devono nel contempo esserne svincolati e
liberi (separati) – appunto dotati di una precedenza originaria – per evitare la compresenza
di concetti contraddittori (l’uno che è nello stesso tempo tutti quei molti uno, che individua
e distingue, o seleziona). 85
L’estrazione dell’idea spinge ora la trattazione aristotelica a considerare le riflessioni e le
argomentazioni elaborate, organizzate e proposte da Platone e dai Platonici suoi discepoli.
Platone, infatti, ritenuto da Aristotele seguace e discepolo delle dottrine eraclitee e
socratiche, rivolge ed inverte la propria attenzione al mondo separato delle idee (fid°a),
dichiarando l’impossibilità di estrarre queste ultime dalla realtà sensibile. Per il pensatore
stagirita l’idea platonica era la determinazione aperta verso la superiorità celeste,
immaginativa ed universale, mentre le realtà sensibili individuali dovevano essere accostate
alla applicazione delle loro controproiezioni (riflessi od ombre) inferiori. In questo senso la
predicazione e l’individuazione stessa va dall’orizzonte delle idee stesse ai sensibili, che si
rivolgono a queste per partecipazione (m°yejiw). L’apertura di una relazione orizzontale che
raccolga i soggetti e li rivolga verso l’altezza dell’ideale e la sua molteplicità – il vero senso
e significato politico della metafisica platonica – viene occultato dall’interpretazione
aristotelica, che preferisce schiacciare il concetto platonico di partecipazione su quello
pitagorico di imitazione (m¤mhsiw), semplice riproduzione dell’oggetto guardato. Certo la
partecipazione – come l’imitazione – porta in campo la problematicità del contenuto della
relazione verticale oggetto sensibile – idea, ma lo stesso Aristotele subito dopo è costretto a

84
Metafisica, A 5, 986b 31 – 987a 2.
85
Metafisica, A 5, 987a 19-29.

125
nominare le entità intermedie che svolgono, nel panorama della speculazione platonica,
appunto questa funzione: gli enti matematici intermedi (tå mayhmatikå), che riuniscono
in sé la funzione stabile e distinta – appunto mediana - di raccoglimento per similarità,
mentre le idee si aprono superiormente a ventaglio, per allargare la precisione della
differente individuazione. 86
Per definire meglio la costituzione della pluralità ideale Platone avrebbe poi utilizzato,
secondo Aristotele, la combinazione e la composizione di un principio formale (razionale) e
di un principio materiale (immaginativo): l’Uno (tÚ ßn) e la diade grande-piccolo (tÚ
m°ga ka‹ tÚ mikrÚn). Qui la relazione di precisazione viene accolta all’interno di un
orizzonte, che mentre consente e rende possibile una rigida individuazione, dall’altro lato si
deve ampliare a costituire il riferimento della stessa. 87 Per questo motivo l’Uno platonico
rimane stagliato all’orizzonte, come inindividuabile: così Aristotele lo avvicina al concetto
di sostanza, allontanandolo da quello di predicato. Pur sempre considerandolo come causa
generale dell’applicazione specifica, operata grazie agli enti matematici.
L’applicazione della prassi della precisazione tramite la diade grande-piccolo toglie alla
speculazione platonica l’estensione illimitata dell’immaginazione razionale. Su questo
punto argomentativo e problematico Aristotele è precisissimo: facendo derivare l’illimitato
dall’applicazione di questa diade, Platone apre al futuro concetto aristotelico della
necessaria distinzione fra atto del finito e infinito in potenza (posizione e successione
infinita dei numeri e delle grandezze). In questo modo, obiettivamente, la filosofia platonica
reseca via l’orizzonte speculativo e pratico dell’infinito, che invece era stato acquisito e
mantenuto dalle ultime filosofie presocratiche immediatamente precedenti o contemporanee
(Anassagora, Melisso). Inizia ora la tradizione del mondo finito occidentale, reale nella
sostanza, infinito in una forma decettiva di immaginazione (immaginazione lineare e
seriale). Così Aristotele ha buon gioco nel ricordare che, mentre i Pitagorici attribuivano
l’Uno attraverso i numeri ai sensibili in maniera sostanzialmente necessaria ed immediata,
Platone costituisce per primo la separazione del medio, opponendo la forma superiore ai
sensibili inferiori. Anima senza corpo e corpo indistinto perché senz’anima costituiranno
allora i due termini di distinzione del mondo platonico, che Aristotele indaga, analizza e
sviluppa in tutte le sue ulteriori conseguenze.
Se, dunque, Platone usando le immagini pure aggancia all’orizzonte dell’Uno la
successiva forma decettiva di immaginazione, così egli fonda – come sopra si sottolineava –
la dialettica fra finito ed infinito: la forma dell’Uno si sottrae attraverso l’applicazione che
comunque nasce da lei stessa, in virtù dell’aggiunta della diade grande-piccolo. Questa

86
Metafisica, A 6, 987b 14-18.
87
Metafisica, A 6, 987b 20-22.

126
aggiunta si oppone alla separazione definitiva dell’Uno (opposizione assoluta), facendo
cadere giù – derivare – la flussione del rapporto numerico della grandezza. Nella
proporzione 1:1 ecco nascere il 2; quando il 2 viene esteso secondo una diagonale
orizzontale e lineare i termini dell’1 e del 2 permettono la proiezione ulteriore del 3 (che è
un’aggiunta aperta). Ecco nascere il triangolo (che è un’aggiunta chiusa), secondo un modo
di procedere influenzato dal pitagorismo. Ma anche ecco nascere la potenza del plurale, che
secondo la materia della diade grande-piccolo può generare tutti i numeri successivi: più
grande del 3 è il 4, prodotto per l’aggiunta di 1. E così via, secondo la serie immaginativa
della posizione e dell’infinito potenziale.
Aristotele, invece, preferisce non voler vedere questa potenza del plurale, che lo avrebbe
costretto a considerare la materia sotto il punto di vista dell’immaginazione, non più della
semplice applicazione immediata ed individuale della forma materiale. Così non l’Uno
aperto produce la serie - anche infinita - degli esseri, ma l’unico e ristretto soggetto umano
diventa l’artefice esclusivo ed assoluto di una produzione sempre identica, senza variazione
o trasformazione alcuna. La perdita dell’orizzonte attuale infinito operata volontariamente
dalla speculazione platonica qui si riduce ulteriormente nella perdita del valore stesso
dell’immaginazione razionale, pur nelle forme ridotte e decettive stabilite da Platone. È solo
da notare il fatto che il contro-esempio utilizzato da Aristotele – l’accoppiamento maschio-
femmina – svela l’originaria fissazione della costituzione autoritaria del Soggetto Assoluto.
Per questa costituzione – appunto per la costituzione aristotelica del mondo (poi anche per
quella cristiana) – le forme restano molteplici a livello inferiore, anche se possono – o
meglio, devono – essere riportate, attraverso il fattore produttivo, a quello finale.
Equivocando ancora una volta le riflessioni di Empedocle ed Anassagora, 88 Aristotele
finisce per schiacciare lo stesso Platone dentro le coordinate della sua opposizione assoluta:
quella appunto fra causa produttiva (naturale) e causa finale (metafisica). Così la forma
dialettica decettiva platonica trova la sua fissazione definitiva nel rapporto del mondo (e del
pensiero) unico aristotelico.
Tramite l’Assoluto, che si fa opposizione all’opposizione rappresentata dall’emergere del
mondo naturale, si innalza ed edifica quella forma all’interno della quale l’Uno di tradizione
eleate, pitagorica e platonica trova la sua definitiva e mortale sistemazione, in un processo
di progressiva riduzione e mortificazione. Qui esso diventa, infatti, un ente di ragione
astratto e separato, falsamente perché riduttivamente universale, proprio in quanto atto a
capovolgere l’apertura dell’universale vero e buono, della sua comune partecipazione, nella
costrizione alla necessaria e soggetta appartenenza, nella partecipazione rovesciata ad una

88
Metafisica, A 6, 988a 14-17.

127
comunità che si instaura per comunicazione della sua unica ed assoluta voce. Questa
univocità di tipo restrittivamente oggettivo fonderà nella storia della civilizzazione
occidentale tutte le forme gerarchiche ed autoritarie, costituendo quella che sopra è già stata
definita come la tradizione dell’Uno necessario e d’ordine. Dalla comunità politica greca,
all’Impero romano, dalla Chiesa cristiana allo Stato occidentale come universale che si
impone sulla naturalità ed universalità del diritto, dalla Nazione borghese allo Stato
socialista reale o neoliberista e neocapitalista, la dialettica contemporanea di questa
tradizione pare terminare con l’esito finale rappresentato dalla potenza in atto di un Capitale
(finanziario, produttivo e distributivo) che si fa religione mondiale, mentre al contempo le
varie e diverse religioni mondiali paiono modularsi in relazione ad esso, per affinità e
somiglianza (quando non in un rapporto di reciproca e soddisfacente legittimazione e
strumentalizzazione), o per opposizione ed incongruenza. Oggi, come in ogni momento di
“crisi” della civiltà occidentale, è il mantenimento dell’orizzonte razionale e naturale
dell’infinito come atto e potenza a costituire il superamento di quella stessa
autosterilizzazione alla quale si assoggetta, paradossalmente, quella tradizione.
Quando, infatti, quell’Uno si fa opposto all’opposto, esso si riduce sino alla propria
autoeliminazione, per una sorta di contro-effetto originato dialetticamente da quella stessa
negazione assoluta che rivolge contro la potenza del suo nemico costante, il soggetto
naturale e razionale. La potenza naturale e razionale, infatti, tanto più si evidenza e si
raccoglie come soggetto, quanto più quell’Uno pretende di rivolgere a sé e solo a se stesso
una superiore potenza ed un atto distaccato. Questi non sono altro, infatti, che quella volontà
di vita capovolta e convertita in necessità di morte: una natura maligna e violenta, sempre
pronta alla sopraffazione ed alla spoliazione, una ragione che si fa diritto ed insieme legalità
del più forte, della comunità coesa che si fa strumento di eliminazione del diverso e
dell’altro. Ma questa conversione punta come proprio obiettivo la fonte stessa che l’ha
generata: la necessità di morte – l’eliminazione dell’amore per la libertà e l’eguaglianza, la
dissoluzione della prassi della natura buona e pacificatrice, la disintegrazione della ragione
aperta e giusta – deve infatti togliere di mezzo se stessa, come necessità, per una morte
spontanea, per l’eliminazione volontaria e collettiva – il sacrificio rituale (quotidiano) - di
tutti i soggetti che aderiscono alla sua logica violenta. Essa sostituisce l’apertura
immaginativa e razionale, il movimento creativo e dialettico del pensiero e dell’azione, per
presentare una pietrificazione di se stessa – quasi come un monolite dell’isola di Pasqua – in
attesa che qualcuno la riscopra e la riattivi, dopo l’autoeliminazione dei suoi sudditi. Questo
è accaduto realmente nella storia dell’evoluzione negativa della civiltà occidentale, quando
la necessità di finire ed essere terminati ripropone continuamente la contro-affermazione
dell’identico e della necessaria identità; questo è ciò che in ogni momento – da tutti e da

128
ciascuno – può e deve essere fermato e rovesciato, ora per la stessa salvezza rivoluzionaria
della specie umana e dell’intera vita di questo pianeta.
Al tempo in cui Aristotele scriveva la sua Metafisica, la lotta fra l’affermazione assoluta
dell’identico e della relativa e necessaria identità e la pluralità creativa e dialettica della
natura razionale (anche nella sua veste apparentemente oscura di materia immaginativa) era
rappresentata proprio dal tentativo aristotelico di affermazione del concetto e della realtà
della sostanza (oÈs¤a). Per ottenere questo risultato, però, Aristotele deve affrontare e
superare i problemi rappresentati dalla filosofie presocratiche e dallo sviluppo delle
teorizzazioni platoniche. Per questo, dopo una breve ricapitolazione organizzata di queste
posizioni, egli affronterà criticamente tutti i loro principi argomentativi.
Con in mente la disposizione che lo porterà ad affermare il concetto e la realtà della
sostanza, Aristotele segnala, dunque, per prima la decettività dei pensatori naturalisti, che
sostennero l’equiparazione del principio (érxÆ) con la materia (Ïlh). Unica o molteplice,
corporea od incorporea, essa vale come astratto da applicare alla determinazione degli
esseri. 89 Ma prima di questa affermazione - Aristotele sembra implicitamente sostenere –
dovrebbe essere individuata ed affermata la presenza e la funzione della causa motrice (≤
érxÆ t∞w kinÆsevw): questa viene effettivamente posta in essere da quei pensatori che la
identificarono attraverso i concetti dell’Amicizia e della Discordia (Empedocle),
dell’Intelligenza (Anassagora) o dell’Amore (Parmenide). 90 Se questo è un primo passo
necessario per il raggiungimento della verità, ben più difficile è stato – secondo lo stesso
Aristotele – guardare e vedere la presenza e l’azione di ciò che costituisce lo stabile ed
aperto riferimento superiore: solo i platonici con le forme (e‡dh) e l’Uno (©n) hanno dato
conto – anche se in modo unilaterale e quindi erroneo - della realtà e verità dell’essenza (tÚ
d¢ t¤ ∏n e‰nai) e della sostanza (oÈs¤a), aprendo superiormente il luogo razionale distinto e
separato dell’Uno e delle idee. 91 Così, scostando l’unilateralità platonica, data dalla sua
apertura, Aristotele giunge alla fine a parlare della causa che meno è stata vista, analizzata e
trattata con definizione e determinazione dalle precedenti scuole di filosofia: la causa finale
(tÚ o ßneka). Contro la derivazione dal basso di questa causa – sostenuta da Anassagora
con l’Intelligenza ed Empedocle con l’Amicizia – oppure contro l’assenza della sua
funzione terminale e di relazione – non vista dai platonici, che utilizzano l’Uno e l’Essere
come determinazione inintelligente – Aristotele sottolinea – quasi con una contro-reazione
platonica di prima maniera alla reazione critica finale del proprio maestro Platone - la

89
Metafisica, A 7, 988a 23-32.
90
Metafisica, A 7, 988a 32-34.
91
Metafisica, A 7, 988a 34 – 988b 6.

129
valenza etica del prospetto platonico, assegnando alla causa finale la qualifica del bene
(égayÒn). 92
Come se rigettasse, dunque, l’evoluzione critica del proprio maestro, Aristotele – quasi un
platonico della prima maniera, ferocemente attaccato all’insegnamento proposto dalla
Repubblica – pare quasi congegnarsi per criticare tutte quelle posizioni filosofiche che
richiamino in qualsiasi modo, grado e misura la concezione dell’Uno infinito ed aperto.
Negando la dimensione creativa e doppiamente dialettica dello Spirito, il pensatore stagirita
procede così, quale primo passo, alla critica dei naturalisti, siano essi monisti o pluralisti.
I monisti materialisti vengono accusati: 93 (1) di ridurre e quasi dimezzare l’ampiezza
dell’essere alla dimensione inferiore, materiale e corporea. Qui Aristotele in realtà
disinnesca l’intima creatività ed il rapporto dialettico insito in questa presente nelle
speculazioni dei primi pensatori greci. Toglie loro questa dimensione dell’essere, per
attribuirla successivamente – e, soprattutto, in modo neutralizzato - alla propria posizione
speculativa, codificata dalla sintesi autonoma del concetto e della prassi dello scopo o fine
(naturale e razionale). (2) Di negare, appunto, ciò che solo lui stesso porterà in campo in
modo definito e determinato: la causa del movimento. Ovvero, appunto, il rapporto con il
fine nella natura e nella ragione. (3) Di negare, conseguentemente, la sostanza e l’essenza: la
determinazione superiore ed interiore di ogni cosa, dunque la loro stessa natura.
Paradossalmente, dunque, Aristotele sembra sottintendere nel suo discorso che i monisti
materialisti mancano con i loro stessi strumenti e posizioni concettuali l’obiettivo che si
erano prefissati: spiegare naturalisticamente la verità e realtà di ogni cosa e del tutto in
generale. Infatti: (4) essi mancano strutturalmente la dialettica fra gli elementi ed il loro
ordine. Invece Aristotele sostiene di porre in campo una propria organizzazione gerarchica
degli elementi, facendo occupare il luogo superiore ed egemonico all’elemento dal quale si
generano tutte quelle “radici”, che raccoglieranno sopra i propri “tronchi” tutti i “fiori” ed i
“frutti” della generazione ulteriore, in tal modo generando l’immagine dell’Uno necessario e
d’ordine di tipo materiale. Quest’immagine di chiusura finalizzatrice ed organizzativa –
quasi l’archetipo di ogni prassi annichilatrice del rapporto fra libertà ed eguaglianza, a
garanzia della diversità e della relazione – vale come principio d’ordine: come elemento
primo e superiore esso consente, permette, sviluppa ed organizza l’azione dell’insieme
gerarchico degli elementi graduati e subordinati. Infatti se gli elementi non fossero graduati
e subordinati il posto ed il luogo egemone, occupato secondo Aristotele dal fuoco, verrebbe
preso dall’elemento maggiormente concentrato, la terra. È, dunque, l’immagine di un centro
superiore – e non inferiore – quella che comincia a stagliarsi e definirsi nell’immaginario

92
Metafisica, A 7, 988b 6-16.
93
Metafisica, A 8, 988b 22 – 989a 19.

130
aristotelico, quale premessa per la prosecuzione del proprio discorso critico, ora rivolto ai
naturalisti pluralisti.
Così come aveva chiuso, ridotto e spento, l’ampio orizzonte dell’Uno infinito nei primi
pensatori greci, così – a maggior ragione – Aristotele deve annullare ora ogni possibilità di
visione dell’elemento creativo e dialettico presente nei “naturalisti pluralisti”. Forse
influenzato dalla visione egemone dell’elemento fuoco presente in Eraclito, forse
combattuto dalla necessaria scelta fra un’impostazione eliocentrica o geocentrica,
l’Aristotele naturale decide di combattere a suo modo l’immagine aperta e dinamica
dell’Essere presentata da Empedocle e da Anassagora.
Così della concezione empedoclea 94 (1) critica l’apparente fissità degli elementi estremi,
fuoco e terra, che andrebbero invece considerati secondo lui in una continua dinamica di
trasformazione. Considerati gli elementi ordinati secondo la propria scala gerarchica – dal
basso verso l’alto: terra, acqua, aria, fuoco – Aristotele vuole avere buon gioco nel mostrare
come i termini opposti e motori dell’intero movimento naturale non possano essere
considerati come distinti e separati dai restanti elementi, pena l’incomponibilità e la
fratturazione della stessa unità naturale. Ma il punto è proprio questo: Empedocle utilizzava
Odio e Discordia quali motori opposti per l’integrazione o la differenziazione naturale, che
godeva proprio per questa ragione di uno spazio immaginativo e razionale comune. Qui
Aristotele pare, invece, sostituire consapevolmente i due termini corretti della speculazione
empedoclea con il quadro gerarchico entro il quale farà poi valere le proprie critiche e le
proprie contro-teorizzazioni, falsificando in anticipo la discussione e la dimostrazione
stessa. 95
Proseguendo nella sua critica volutamente confusa, Aristotele (2) confonde la visione
chiara e precisa della dialettica empedoclea, la sua apertura d’immagine razionale,
sottintendendo che uno solo debba essere il principio egemone, al quale l’altro debba in
ogni caso obbedire. Se, di nuovo ed ancora, questa dev’essere la pre-struttura entro la quale
costringere il pensiero di Empedocle, è gioco facile per Aristotele dimostrare
apparentemente che lo schema che lega le due cause di movimento nell’interpretazione
empedoclea non regge la prova della composizione e dell’ordine naturale. Facendo valere
ancora la sua interpretazione sull’origine pitagorico-orfico-platonica della separazione ed
opposizione dei motori, Aristotele può conseguentemente (3) affermare che la divaricazione
indotta da questa opposizione impedisce il passaggio medio dall’elemento inferiore a quello
superiore e viceversa, così annullando quel processo che è da lui stesso definito alterazione.

94
Metafisica, A 8, 989a 20–30.
95
Una critica, questa, costantemente messa in gioco nelle affermazioni critiche di Giordano Bruno, nella sua costante
polemica antiaristotelica e proprio nei luoghi testuali nei quali il filosofo di Nola intende contrapporre la propria
rivalutazione del pensiero presocratico alla vulgata della tradizione ideologica platonico-aristotelica.

131
Ma questo processo del divenire altro dall’altro - che qui viene fondato teoreticamente e
praticamente, per essere successivamente trasmesso alla storia della filosofia occidentale
sino a G.W.F. Hegel – divarica effettivamente le due linee di quella dialettica decettiva,
precedentemente delineata e criticata, che stabilisce – forse per controbilanciare l’effetto
della tradizione pitagorico-platonica – la necessità di riorientare lo scopo naturale e
razionale dalla sua fissità geometrica alla sua potenza soggettiva. Se infatti l’altro dall’altro,
rispetto all’Uno di tradizione pitagorico-platonica, rischia di non trovare ricomposizione,
perdendosi nei cieli dell’incomprensibile e dell’irrazionale, l’altro dall’altro che qui, nel
pensiero aristotelico, viene ricomposto, stabilisce la distinzione fra la fascia superiore della
ragione e quella inferiore della natura, edificando e costruendo lo spazio vincolante della
potenza di un soggetto unico ed egemone, capace di tenere insieme sotto un comune
orizzonte generale tutte le determinazioni razionali e le finalizzazioni strumentali naturali. È
in questo modo che, allora, nasce l’immagine e la figura dell’uomo occidentale, che
comprende ed agisce, secondo un presupposto generale che afferma la dialetticità piena e
completa fra razionale e reale (si noti qui ancora la figura terminale, per la civiltà ideologica
occidentale, rappresentata dal pensiero di G.W.F Hegel, attualmente ripreso dalla linea del
cosiddetto pensiero unico in economia politica o del Dio unico nelle riflessioni di matrice
istituzionale-religiosa). Non è difficile vedere come e quanto questa piena e completa
dialetticità fra razionale e reale abbia alla fine stravolto paradossalmente rispetto ai suoi
stessi fini – e proprio a causa della sua costruzione di un soggetto assoluto – sia la ragione
che la realtà naturale, come le abbia pervertite nella loro creatività e nel loro rapporto
dialettico. La ragione, infatti si è oramai ridotta ed autoisterilita nella celebrazione dei fasti
del potere politico e religioso tradizionale – suo criterio valoriale è infatti l’idea e la prassi
del dominio, del controllo e della sempre più ampia, profonda ed addirittura preventiva
repressione – mentre la natura stessa ha perso quasi del tutto la sua stessa esistenza,
schiacciata dal presupposto e dalla necessità utilitarista e strumentale. Solo il richiamo ad
una concezione che ricordi e ravvisi la presenza e l’azione dell’infinito nella ragione e nella
natura e che quindi ne ristabilisca le reciproche aperture d’immaginazione, potrà ricostituire
il senso della vita dello spirito che le accomuna.
Quale testimone antico di questa alleanza, Anassagora, 96 viene invece investito dal furore
distruttivo del fondatore di quella linea interpretativa. Aristotele infatti, più ancora che con
Empedocle, costringe la speculazione dell’avversario entro delle coordinate che ne
mortificano ed annullano in anticipo l’apertura e lo spirito. Prima (1) ne schiaccia il
pensiero entro la falsa opposizione fra mescolamento iniziale e generico – tutto è

96
Metafisica, A 8, 989a 30 – 989b 21.

132
inizialmente mescolato - e distinzione finale completa e specifica – tutto è alla fine distinto
e separato. Poi, utilizzando l’implicito nascosto in questa sua prima riscrittura revisionista –
che le cose devono essere tagliate e semplificate alla sostanza (naturale e razionale) – (2) ne
approva una certa, per lui importante, novità. 97 Questa novità sarebbe rappresentata
dall’azione dell’Uno razionale e dalla presenza della Diversità naturale. Chiuso entro lo
stereotipo tipico della propria interpretazione verticale Aristotele, infatti, riduce
l’Intelligenza anassagorea ad un principio separato e puro. Così la sua autonoma ed
illimitata presenza viene convertita ed invertita in una determinazione egemonica separata,
trasmessa poi come qualità dominante a tutta la tradizione storiografica filosofica
occidentale. Nello stesso tempo ciò che in questa stessa tradizione occuperà il posto della
materia visibile, il Diverso e l’indeterminato, viene ristretto alla definizione di una
corporeità multiforme e proteiforme: appunto quella di una materialità che sorregge
l’apparizione sempre diversa degli enti contingenti, nell’interpretazione di un estremo
materialismo quasi a propaggini sempre cangianti dell’unica sostanza. Chiuso l’Uno e
schiacciata sino all’annullamento la dialettica fra le omeomerie anassagorea, Aristotele può
a buona ragione essere considerato l’inventore della tradizione del concetto e della prassi
dell’Uno necessario e d’ordine, al cui muro schiacciare gli avversari filosofici, quasi come
in una sorta di stupro filosofico, dove la vittima viene prima costretta e poi negata e gettata
via. Del resto questa stessa tradizione diventerà in epoca tardo-medievale e moderna – anzi
sino alla nostra stessa contemporaneità – il fondamento della lotta all’eresia, alla deviazione
politico-religiosa, dal momento che tutte le sue forme storicamente determinate possono
essere effettivamente riportate proprio alla volontà di riaprire e far rivivere il concetto e la
prassi dell’Uno aperto ed infinito (dalla ribellione dei Catari alla rivoluzione comunista).
Aristotele può dunque procedere nella sua opera di selezione filosofica, aggredendo il
nemico successivo, prossimo a quello a lui più vicino e dunque più pericoloso (Platone ed i
platonici): i Pitagorici. 98 Dei Pitagorici Aristotele ravvisa la distinzione e la separazione fra
enti sensibili ed enti insensibili, astratti, geometrico-matematici. Come se si trattasse
dell’applicazione, in una fase primitiva indefinita ed imprecisa, della medesima figura ed
immagine dell’Uno necessario e d’ordine, che sarà sviluppata da Platone e dai Platonici, per
essere poi veramente e realmente determinata da Aristotele solamente, (1) la struttura
argomentativa dei Pitagorici viene raccolta e quasi raggrumata attorno al cardine verticale
rappresentato dall’ente primo e stabile, privo di movimento, perché determinante: gli enti
matematici (tå mayhmatikå). Occupata comunque in questo modo una posizione medio-
superiore, essi rivolgono secondo Aristotele la propria attenzione quasi esclusivamente agli

97
Metafisica, A 8, 989b 5-6.
98
Metafisica, A 8, 989b 29 – 990a 32.

133
enti naturali, contenuti entro il limite superiore del cielo. Nello stesso tempo essi si
riferiscono pure, con gli stessi strumenti, agli enti più alti, che si sottraggono alla sensibilità,
non perché non affettino gli uomini con il loro pensiero o con la loro azione, ma perché
paiono essere separati dal mondo che nasce e si corrompe, e che dunque sta in movimento
perenne e diuturna trasformazione. Essi, soli, restano eterni.
I Pitagorici, però, (2) con la loro combinazione laterale di illimitato (êpeiron) e limitato
(peperasm°non), pari (tÒ êrtion) e dispari (tÒ perittÒn), non riescono a determinare
– sempre secondo Aristotele – da dove a dove proceda il movimento: non riescono a
definire e determinare la sua causa. La linearità di determinazione progressiva, che abbiamo
visto essere stata sviluppata dalla scuola pitagorica, sembra togliere – secondo la
considerazione implicita del pensatore stagirita - la visione ed il prospetto della necessità di
un movimento di ritorno alla causa prima, di movimento all’inizio (con la relativa
generazione e corruzione), infine di scopo etico. I Pitagorici sembrano agli occhi di
Aristotele non voler o poter definire e determinare, individuare, tale causa. Del resto, se si
ha presente lo schema visuale complessivo sviluppato a proposito della scuola pitagorica, si
nota facilmente come essenziale dovesse rimanere per tale impostazione speculativa proprio
quell’apertura superiore che Aristotele intende annullare e demolire (l’infinito aperto
dell’Uno). Perciò il problema resta – così come resterà nella storia della filosofia tutte le
volte che un’autentica ripresa della tradizione pitagorica si scontrerà con la volontà di
mantenere intatta ed integra la tradizione aristotelica – quello dell’incompossibilità fra una
impostazione che a priori impone il richiamo prioritario al non-identico – con valenze nello
stesso tempo teologiche, politiche e naturali – ed una statuizione – perché qui si situa la
fusione fra potere e potenza del religioso ed istituzione politica, così come la subordinazione
degli enti naturali – che pre-eleva l’identico come fondamento del pensiero e dell’azione.
Non è difficile notare come, di fronte all’affermazione del Dio vero e reale (l’Uno infinito
ed aperto) ci stia la continua e diuturna dichiarazione d’eresia da parte del suo idolo e
feticcio umano (l’Uno geometrico nella potenza). Tolto perciò il cappello della vera causa
prima pitagorica, Aristotele può far finta di denunciare l’insussistenza razionale di tutte le
loro spiegazioni naturali, in quanto prive di un altro elemento che diventerà fondamentale
nell’impostazione aristotelica stessa: l’alienazione. Se, infatti, l’impostazione pitagorica non
prevede un movimento per, da e in altro, la statuizione aristotelica lo impone, lo rende
assolutamente necessario. Senza questo movimento, infatti, la statuizione aristotelica
dell’identico si sfalda e dissolve: solo se uno spirito all’orizzonte ci chiama e ci si impone
attraverso la nostra morte, il rapporto fra la causa che chiama e la causa che si impone potrà
continuare indefinitivamente nella propria continua ripresa e circolarità. L’Uno aperto ed
infinito, senza questa doppia causa, non richiede e tanto meno impone alcuna alienazione:

134
l’essere per sé, da sé ed in sé ne costituisce la valenza nello stesso tempo teologica, politica
e naturale. Non è dunque un caso se nella lotta ideologica presente nella nostra
contemporaneità il richiamo alla tradizione aristotelico-hegeliana, effettuato dal pensiero e
dalla religione unica del capitale sacralizzato, venga combattuto teologicamente,
politicamente e, pure, naturalmente da uno spirito di nuovo attento e sensibile all’intreccio
inscindibile fra fattore creativo e rapporto doppiamente dialettico, nel divenire
dell’Eguaglianza per l’essere della Libertà.
È l’estensione quadrangolare di questo infinito – sospeso fra i capi dell’identico e del non-
identico - a costituire quella grandezza, che i Pitagorici sicuramente videro ed Aristotele
preferì negare, basandosi su di un concetto di eguaglianza finita, invece che infinita. Tanto
infatti l’eguaglianza aristotelica vuole valere come medio assoluto della riduzione
determinatrice operata in virtù del principio egemonico – l’Uno necessario e d’ordine come
coerenza assoluta del procedimento analogico (di accostamento e proporzione) – quanto,
all’opposto, la visione e la prassi dell’infinito creativo e dialettico, che sarà ripresa
esplicitamente dalla speculazione di Giordano Bruno, protenderà senza alcuna
predeterminazione – ecco la giustificazione del richiamo al Chaos atomico (antico e
moderno) – l’ambito di vita del desiderio, naturale e razionale. Apparentemente chiuso nella
vorace passione dell’amore – l’Orco della Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587) –
esso proromperà di nuovo alla libertà della Notte – è, ancora, lo stesso testo bruniano – per
ricordare l’impredeterminato della ragione: l’Uno aperto ed infinito.
Aristotele, al contrario, (3) non solo nega questa forma dimostrativa, ma pretende di
confondere l’aspetto di distinzione astratta da lui stesso sovrapposto alla speculazione
pitagorica – gli enti matematici superiori da un lato, gli enti sensibili concreti e materiali
dall’altro - con la sua organizzazione fisica dei corpi leggeri e pesanti, ovvero con la
gerarchizzazione dei due contrari come motore combinato ed opposto della determinazione
superiore e della subordinazione inferiore. Con questa meta-fisica teologica e politica
Aristotele ritiene, pertanto, che le argomentazioni pitagoriche sulla prevalenza degli enti
matematici abbiano comportato un’impossibilità di principio: separate ed astratte, esse non
possono adeguarsi allo schema logico-organizzativo preparato in altri testi (Organon,
Fisica, De Caelo) dallo stesso Aristotele.
In più, alla fine, (4) egli pretende di rinchiudere la stessa, intera, speculazione pitagorica
entro il recinto di una piena e completa finitezza, come se lo stesso schema da lui stesso
proposto non ne indicasse invece un possibile superamento e rovesciamento. Non sarà
certamente un caso, che fra tutti coloro che alla fine del medioevo ed in piena o tarda età
rinascimentale indicheranno la possibilità di un rapporto diverso fra l’infinito divino (la sua
potenza) e la apparente finitezza mondiale (la sua volontà), comparissero dei pensatori che

135
si richiamavano nei loro schemi argomentativi appunto al lascito della tradizione pitagorica
(Fracastoro, Brahe, Keplero). Aristotele, invece, imputa ai pitagorici l’assenza di uno spazio
che solo lui stesso riesce a vedere e pensare, ad analizzare e sistemare: lo spazio proteso
dell’infinito potenziale. 99 Anzi: che lui vede sulla scorta di Platone e, confortato dal suo
pensiero ed ammaestramento, organizza e sistema.
Volendo però rimanere coscientemente entro i limiti di un mondo unico e finito, Aristotele
non può non criticare e sottoporre a negazione preventiva la dialettica aperta dai pitagorici,
che invece del suo giusto mezzo – che medievalmente troverà corrispettivo nell’espressione
della necessaria adequatio mentis rei – pongono in essere due mondi diversi ed opposti,
dove le partizioni celesti trovano un numero – intellegibile (nohtoÁw) dirà Platone, secondo
Aristotele – mentre le partizioni fenomenico-terrestri trovano un numero diverso – secondo
Platone: sensibile (afisyhtoÊw) e dipendente dai primi. 100
Platone101 (1) sembra sviluppare la posizione dei Pitagorici, stabilendo una sorta di
corrispondenza tra gli enti soprasensibili e quelli sensibili, attraverso il concetto dell’idea
(fid°a). Non solo: egli istituisce una corrispondenza unitaria non solo per gli enti corruttibili,
ma persino per quelli incorruttibili (eterni). Forse immaginando un soggetto assoluto, che
predisponga l’orizzonte di uno spazio assoluto, all’interno del quale fosse necessario ridurre
ad unità le determinazioni prime (eterne) e seconde (sensibili), il maestro di Aristotele viene
(2) criticato dal suo allievo proprio per il procedimento di fondazione ideale, che pare non
avere un risultato effettivamente reale, moltiplicando gli enti soprasensibili fuori dalla
necessità. Oltre agli oggetti della determinazione scientifica, infatti, compariranno per
riflesso anche le origini immaginate del negativo (épÒfasiw) – l’essere diverso come
essere del non essere di qualcosa – con la conseguenza ulteriore che l’immagine razionale di
unità necessaria viene a prevalere e a fondare il richiamo (la memoria) di ciò che non è più,
perché già corrotto. Criticando il fatto che per Platone nulla sembra mai morire
definitivamente, Aristotele tende invece a spingere in avanti la sua concezione del divenire,
che stabilendo un atto prioritario selezionerà il procedere della materia. Allora questa
selezione preventiva non potrà non avere come conseguenza (3) la negazione del concetto e
della relativa prassi della relazione (prÒw ti poioËsin fid°aw), visto soprattutto che questo
concetto una volta ammesso tiene aperta la possibilità di un rapporto dialettico fra
soprasensibile e sensibile che non si esaurisce, ponendo sempre un diverso dal diverso

99
Una lettera – Giordano Bruno la sosteneva come per eccellenza pitagorica (De umbris idearum, Parigi, 1582) - che
rende bene questa protensione visuale, nel mantenimento di quell’apertura di relazione, che contraddistingue il pensiero
presocratico ed il miglior platonismo, è la lettera Y.
100
Qui la lettera più adatta, per presentare il doppio ventaglio della moltiplicazione partitiva dell’immaginazione, è la
lettera X.
101
Metafisica, A 9, 990a 33 – 993a 10.

136
apparentemente possibile (il “terzo uomo” del Parmenide platonico). Questa
moltiplicazione all’infinito della determinazione allora (4) vanifica proprio quel necessario
richiamo all’unità, che pare essere la più forte richiesta razionale platonica (ed aristotelica).
Infatti Platone deve favorire il concetto di moltiplicazione numerica (tÚn ériymÒn),
aprendo lateralmente la possibilità materiale della moltiplicazione degli enti; nello stesso
tempo è costretto a negare l’apparenza vincolante ed identitaria dell’Uno (tÚ prÒw ti toË
kayÉ aÍtÒ). I Platonici, a loro volta seguendo questo insegnamento platonico, devono
contraddire proprio l’originario richiamo all’unità razionale avanzato dal loro maestro.
Così Aristotele può – a buon vedere, secondo la propria considerazione – correggere
questa tendenza alla disintegrazione dell’Essere – che porterà effettivamente alla deriva
scettica dell’Accademia - e, quasi reincamminandosi lungo i sentieri dell’essere parmenideo
(o almeno di quell’immagine determinata e determinante dell’essere parmenideo a lui più
funzionale), riprendere la questione dell’unità dell’essere e del reale, riproponendo la
necessità del concetto di sostanza (oÈs¤a). Contro l’apertura del relativo e del negativo, che
comporta l’impossibilità di chiudere l’essere nell’interezza e continuità di una
organizzazione positiva e di scopo, Aristotele ribadisce quelle che gli parevano essere le
finalità originarie della stessa speculazione platonica: (5) affermare l’essere delle sostanze,
costituendo una relazione di determinazione univoca e vincolante, perciò necessaria perché
intrinseca. Qui può comparire il senso e significato dato da Aristotele al concetto di natura,
appunto quasi seguendo le orme di una tradizione parmenidea modificata e trasformata al
soggetto. È in questo modo – con questo concetto di natura così rideterminato – che
Aristotele può legittimamente ritenere di aver superato la distinzione e separazione imposta
dall’idea platonica, oltrepassando ed annullando perciò stesso la posizione del suo maestro.
In conclusione: il positivo è dato dallo scopo. È lo stesso orizzonte soprasensibile tracciato
ed indicato da questo a costituire la direzione della selezione analitica e puntuale della
materia. In caso contrario – ed è il caso di Platone e dei platonici – la materia non solo non
riesce a trovare determinazione, ma si sdoppia apparentemente fra una materia superiore ed
una inferiore, che non riescono più a trovare connessione e collegamento.
La connessione ed il collegamento sono invece dati solamente qualora fra il superiore
della ragione e l’inferiore della sensibilità si situi l’equilibrio di una determinazione, che
dopo aver oscillato fra posizione di un soggetto assoluto – qui forse sta il lascito e
l’influenza del Dio raffigurato nella Repubblica platonica – e meditazione di uno scopo,
trovi l’effettiva e reale causa della nascita e del movimento, del venire ad essere e del suo
scomparire e trasformarsi. Come se Aristotele fosse abbagliato dalla significatività
dell’immagine concreta – di derivazione archimedea – dell’equilibrio idrostatico di un corpo
immerso in un liquido, egli subito precisa – rende chiaro e distinto, si potrebbe dire – (6)

137
che il mondo intiero – compreso, dunque, tutto ciò che è in esso contenuto – non può avere
come causa trasformativa un ente separato ed astratto, quanto invece un ente inseparato ed
interno. Qui Aristotele comincia ad incamminarsi lungo i sentieri che definiranno la portata
e lo sviluppo di una Natura generale, capace di comprendere e muovere dall’interno ed in
modo organizzato ogni sorta di fenomeno apparente (esterno od interno, materiale o
psicologico). Per questo il pensatore stagirita (7) procede allo smantellamento della visione
“poetica” platonica, sostituendo al principio di una variabilità di orientamenti comuni – le
idee come “modelli” (parade¤gmata) e la “partecipazione” (met°xv) ad esse - la
possibilità di un’azione unitaria, che non faccia però convergere necessariamente verso un
termine univoco con funzione d’origine (per riflesso d’immagine), ma che apra una
relazione di apparente diversità – simile, non uguale – tale da costituire un’estensione di
qualità e caratteristiche, che non possono essere date a priori – perché queste sarebbero
nell’ottica platonica forme delle forme primigenie, una riduzione inutile e dannosa dal punto
di vista euristico per Aristotele - ma che devono al contrario essere ricostruite a posteriori,
integrando se possibile tutte le possibili somiglianze. Nasce in questo modo il procedimento
analogico, con un debito nascosto dovuto al fattore moltiplicativo materiale platonico.
L’estensione per variazione - il 3 rispetto alla diade – rimane qui il concetto fondante della
produzione creativa e nello stesso tempo scientifica della ricerca aristotelica: essa consente
infatti sia l’individuazione specifica, che la variabilità individuale. È con questo concetto
che Aristotele (8) può superare la separazione platonica fra idee e sensibili, impiantando
nell’ambito della conoscenza un’azione di ricerca che procede per integrazioni successive, o
per salti qualitativi, mentre nell’ambito del riconoscimento dell’azione presente in Natura
può inserire la ricerca delle vere ed effettive cause motrici. Queste allora verranno
considerate come l’autentico artefice interno delle materie che vengono ad esistere e che si
trasformano.
Aperto l’orizzonte degli artefici naturali, Aristotele può a buon diritto (9) eliminare la
fredda e rigida corrispondenza numerica platonica, che attua una triangolazione dove la
diversità individuale è precompresa nella possibilità di una forma data a priori. Se per
Platone la variazione della determinazione era concessa da una forma assoluta di necessità,
per Aristotele questa necessità non ha più alcun valore, in quanto e perché tende a
focalizzare a sé il rapporto come ente di proporzionamento, costituendo persino il fattore di
un raddoppiamento inutile e fuorviante: quello fra ragione e sensibilità.
L’autofocalizzazione del proporzionamento metafisicizza poi il numero, costituendolo in
rapporto d’ordine (dall’Uno e verso l’Uno). Ciò (10) toglie la possibilità di una molteplicità
delle forme, come invece asserito dagli stessi Platonici. Infatti rimanere – come fanno questi
– all’interno dell’orizzonte del quantitativo non consente di cogliere la giustificazione del

138
passaggio alla variazione (e quindi la stessa numerazione, secondo Aristotele), che è invece
garantita da una visione qualitativa, che sia non fa scomparire il singolo ente nella
scomposizione elementare, sia mantiene ed assicura la differenza fra gli enti singoli grazie
comunque alla comune persistenza di un criterio di giudizio e di classificazione (la logica
ontologica degli elementi aristotelici).
Tolta la separazione platonica, Aristotele (11) può fare a meno dell’intermedio platonico
(tå metajÁ legÒmena), che da un lato dovrebbe far derivare ed esprimere la diversità, ma
dall’altro non sembra essere capace – proprio per la sopraindicata impotenza quantitativa –
di raccogliere ed elevare a vera ed effettiva differenza gli enti singoli esistenti. Comincia
così a delinearsi l’accostamento aristotelico del concetto di potenza a quello di qualità e
differenza, che (12) impedisce il fissarsi di una diagonalizzazione della disposizione
assoluta, voluta attraverso il radicarsi nell’Uno della diade platonica ed il suo riflesso diviso
negli elementi a questa dipendenti. Tolta la visione del terzo termine platonico, Aristotele
(13) gli sostituisce la soluzione da lui stesso approntata, che prevede l’alta composizione
delle differenze come forma di unificazione non meramente quantitativa. Il processo di
composizione in serie (14) aprirebbe però alla considerazione del suo rovesciamento e della
sua penetrazione nella materia soggetta, che in tal modo riuscirebbe a staccare una
determinazione progressiva, per aggiunte successive. Così l’unità del numero superiore
troverebbe riflesso in una frantumazione inferiore, in una scansione di segni separati. Come
può allora – questiona Aristotele – l’unità superiore continua trovare corrispondenza in una
divisione data? Il rapporto fra quella e questa dovrebbe essere di opposizione, così come
sostengono i pensatori dialettici presocratici. Per superare questa apparente difficoltà fra
principio e principiato – che presso i Platonici li oppone – Aristotele (15) escogita una
particolare critica della composizione delle tre dimensioni platoniche (misurazione
progressiva, limite orizzontale e limite verticale), sottolineandone l’incomponibilità
meramente quantitativa. La scomposizione aristotelica, infatti, evidenzia il grado e l’ordine
diverso degli elementi platonici, facendo leva sulla differenza assoluta fra corpo, superficie
e numero.
La stessa misurazione progressiva, poi, (16) dev’essere un’aggiunta successiva di unità
(punti), altrimenti l’estensione platonica dal punto iniziale – la retta - non avrebbe limite e
determinazione precisa e progressiva (secondo un punto finale). Punto iniziale e punto
finale riempiono perciò di punti tutta la linea tracciata, o questa se fosse di genere diverso
non potrebbe essere fermata dal termine finale (o partire da quello iniziale). In questo modo
Aristotele comincia a definire il genere come relazione. Come capacità reciproca di due
termini di entrare in relazione. Ciò ha valore non solo nell’aritmetica, ma anche nello
svolgimento del discorso, nella composizione grammaticale della frase (nome-verbo). Come

139
pure nella composizione onto-logica iniziale degli esseri (atto-potenza). Con la sistemazione
generale di questa disposizione Aristotele (17) riesce a sbarazzarsi delle ontologie
precedenti – quelle presocratiche e quelle, più recenti, dei Platonici – irradicando al centro
dell’apparizione dell’Essere e del movimento dei suoi fenomeni – il loro comparire
all’essere e la loro finalità - la logica reale della sostanza. Togliendo di mezzo il falso ed
inutile raddoppiamento fra sensibili e razionali proposto dalla scuola platonica, (18)
l’affermazione aristotelica della priorità, prima genetica e poi finale dell’atto su di una
potenza materiale che gli sia fedele accompagnatrice, sostituisce la visione dell’apertura
proposta dalla tradizione presocratica e platonica con una triangolazione d’orizzonte più
ferma e salda nel mantenimento dell’unità e dell’integralità dell’Essere. Come procedendo
ad una moralizzazione delle stesse determinazioni naturali, Aristotele rigetta quella visione
quantitativa, che gli pare inabile alla considerazione finalistica dell’intelligenza, presente
come motore interno a tutti gli esseri esistenti. Questa impostazione, infatti, deve comunque
inserire a posteriori una forma astratta e superiore di intelligenza, per spiegare
successivamente le motivazioni razionali, che paiono fondare il venire ad essere, il
movimento e l’eventuale trasformazione – magari reciproca ed organizzata - dei fenomeni
apparenti.
Se, allora, il centro dell’Essere è occupato da questa nuova impostazione, anche il
concetto di soggetto materiale (19) deve innovare la prospettiva delle ricerche naturalistiche:
se, infatti, nei platonici la proporzione lineare – il grande e piccolo – stabiliva la porzione di
corpo da doversi considerare, il nuovo ordinamento aristotelico – rifacendosi a quello dei
primi fisiologi – stabilirà la duplice ed opposta – ma interconnessa – direzione spaziale e
temporale dell’alto e del basso, delle nature che procedono ad una diffusione degli elementi
e di quelle che, invece, ne determinano una concentrazione. Stabilita, quindi, la differenza
fondamentale, tutte le altre differenze successive (20) fonderanno la spiegazione delle
diversità naturali ed i movimenti degli esseri comparenti. Senza questi movimenti infatti
non sarebbe possibile identificare, distinguere e dividere gli esseri nelle loro proprie
classificazioni, distruggendo in tal modo la stessa ricerca naturalistica. L’immobilità delle
forme platoniche conduce proprio a questo esito fatale, impedendo l’ordinamento
gerarchico del mondo.
In tal modo l’ordine aristotelico delle sostanze (21) annulla la confusione presente nel
tentativo di sistemazione razionale proposto dai Platonici. La stabilità delle forme
platoniche si regge infatti su un orizzonte di continuità, che stabilisce quel limite superiore
al di là del quale pare governare con legge assoluta (necessità insuperabile) l’Uno stesso.
Perciò i Platonici attribuiscono all’Uno medesimo la proprietà assoluta di tutte le forme e –
conseguentemente – di tutte le determinazioni che originano da queste. Così le forme stesse

140
vengono ad essere – per proprietà – separate. Ma nello stesso modo vengono separati anche
tutti gli atti di giudizio che identificano, qualificano, quantificano ed in diverso modo
definiscono gli esseri esistenti. Così però – con le parole stesse di Aristotele – si identifica
l’universale (kayÒlou) con il genere (g°now). Si dà forma solo conoscitiva, intellettuale,
alla relazione: al contrario, la relazione – definita da Aristotele in precedenza come rapporto
fra causa e fine – non permette alcuna forma di chiusura verticale, proprio perché se
l’universale platonico vale in realtà come forma di riduzione e di negazione della pluralità
aperta dell’esistente, il genere aristotelico conserva tale pluralità, pur organizzandola in
modo gerarchico all’interno di un mondo unico. È da vedere, naturalmente, con un’analisi
approfondita dei testi platonici della cosiddetta fase autocritica – per esempio il Parmenide
– se Platone avesse effettivamente stabilito una forma di verticismo astratto, tramite il quale
garantire l’applicazione assoluta di un giudizio esso stesso assoluto. E se la riformulazione
critica della teoria delle idee non valesse invece proprio come reazione al tentativo di
superamento aristotelico, che comunque stabilisce una pluralità finita di sostanze, all’interno
dell’orizzonte di un mondo unico, dove la sostanza del pensare divino deve coincidere con
quella del fare morale, politico e naturale. Insomma, se Platone volesse ricordare
un’apertura più ampia di quella del suo discepolo.
Comunque, Aristotele, dopo aver demolito quest’immagine platonica dell’Uno astratto,
necessario e d’ordine, ritiene di (22) poter esibire alcuni casi, nei quali il genere non può
essere ridotto all’universale. I numeri ideali infatti non sono capaci di costruire la
progressione che conduce dalle lunghezze alle superfici ed ai solidi. Questi infatti sembrano
costituire un tipo di enti legati ad una facoltà immaginativa, che si sovrappone alla
distinzione platonica fra enti ideali, intermedi e corruttibili. Soprattutto, (23) ridurre la
pluralità aperta e diversificata (comunque ordinata) delle determinazioni razionali e naturali
rischia di far mancare al ricercatore la costituzione formale e materiale degli esseri stessi:
per esempio nel caso della finalità attribuita all’azione, solo le sostanze – gli enti che
possiedono una intelligenza motrice interna – possiedono apertamente delle caratteristiche
speciali, solo ad esse consone. Altri esseri – che non godono di questa specialità – non
possono essere parificati a queste, come invece pare volere la ricerca egualitaria dei
platonici (o dei presocratici).
L’apertura egualitaria della ricerca proposta dai presocratici e dai platonici (24)
presupporrebbe, secondo Aristotele, la possibilità di un’acquisizione totale ed integrale dei
contenuti scientifici a partire da un grado zero della conoscenza, che lo stagirita rigetta, al
pari della teoria platonica dell’innatismo. L’epistemologia aristotelica prevede, invece, che
la conoscenza sia un’azione progressiva, capace di svilupparsi – sia che si attui per
dimostrazione (épode¤jsiw), o definizione (ırismÒw), od ancora per induzione

141
(§pagvgÆ) – da alcuni presupposti sino alla conclusione dei propri diversi procedimenti
interni. L’universale, l’accettato od il comunemente posto conducono, allora, verso una
gradualità di determinazione che scandisce la fermezza, la stabilità e la chiarezza degli stili
conoscitivi aristotelici: la ricerca presocratica o quella platonica, invece, secondo Aristotele,
presupponendo una forma generale di conoscenza eguale negli oggetti e nei soggetti, (25)
non riconosce il grado persistente nell’attività di conoscenza, dove gli oggetti devono essere
portati ad evidenza grazie a stili e modalità strumentali diverse, legate al contatto immediato
con l’oggetto stesso di conoscenza, ovvero alla mediazione costituita dall’opinione
(specialistica o comune). La pretesa presocratica e platonica di cogliere immediatamente
l’essenza dei fenomeni comparenti alla mente generale si scontra, secondo Aristotele, con la
necessaria presenza di una mediazione, che divide e distingue gli obiettivi della conoscenza
stessa, secondo le finalità teoretiche, pratiche o poietiche ad essa attribuite dalla volontà
umana. La volontà umana, in questo modo, entra a modulare l’accesso soggettivo ai
contenuti ed alle forme di conoscenza, riflettendo o rivoluzionando l’ordine sociale
costituito.
Aristotele resta, naturalmente, fermo all’ipotesi sociale necessariamente riflessiva, quando
predispone all’attenzione collettiva il problema della differenza o coincidenza fra l’intero e
le parti. L’intero astratto e separato e la somma convergente delle parti riflette infatti lo stile
e la concezione elitaria del problema del rapporto fra lo Stato unitario della pÒliw greca e la
pluralità di partecipazione alla vita cittadina, legificata nel passaggio dalla condizione di
autonomia a quella di obbedienza al nuovo potere imperiale in formazione (quello
macedone). Del resto sarà Aristotele stesso a risolvere a conclusione del Libro XII il
problema metafisico – problema in realtà sempre di natura teologico-politica – affermando
che “le cose non vogliono essere governate male, <<il governo di molti non è buono; uno
solo sia il comandante>>.” 102 Al contrario l’ipotesi sociale rivoluzionaria, se si accontenterà
di mantenere l’orizzonte d’intervento razionale e naturale codificato dall’impostazione
aristotelica, tenderà a bloccare l’energia e la potenza sociale creativa, prestabilendo un asse
dialettico di soggezione e di rappresentanza, costituendo le basi per la primazia del Partito o
per l’attuale Stato assoluto del Capitale, nel quale ogni diritto naturale e razionale viene
alienato a vantaggio della necessaria ed imprescindibile intangibilità della sostanza
patrimoniale del profitto generale (neocorporativismo gerarchico e sessista). Solo la
riapertura del più ampio e diverso orizzonte razionale e naturale platonico e presocratico
potrà, invece, superare e dissolvere questo vincolo necessitante, riaprendo una dialettica

102
Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pag. 585.

142
orizzontale e verticale capace di conservare l’elemento creativo e vitale del e nel rapporto
inscindibile fra libertà ed eguaglianza.
Così la condanna finale pronunciata da Aristotele (26) del procedimento in astratto dei
platonici (o dei precedenti presocratici), deve in realtà essere rovesciata proprio contro
l’impostazione aristotelica, che assicura una sensibilità mediata dai diversi gradi e dalle
diverse modalità (finalità) affermate dalla sua concezione di conoscenza.
Le conclusioni 103 approntate, dunque, da Aristotele devono essere rovesciate contro
Aristotele stesso: non sono confusi i suoi predecessori, ma al contrario è ristretto e
discriminato l’orizzonte speculativo da lui stesso impostato ed imposto. È per via di questa
restrizione e discriminazione preventiva, che il discorso sulle cause dei predecessori viene
occultato e mistificato nelle sue effettive aperture e nelle sue reali determinazioni.
Dimostrazione sicura di questa arroganza è del resto l’affermazione per la quale “la filosofia
primitiva, infatti, sembra che balbetti su tutte le cose, essendo essa giovane e ai suoi primi
passi.” 104 Non è un caso nemmeno che l’obiettivo polemico principale sia, poi, Empedocle.
Con la sua concezione apertamente egualitaria degli elementi e delle forze il pensatore
agrigentino doveva infatti stabilire quel concetto e quella realtà creativa e dialettica
dell’infinito, che proprio l’impostazione aristotelica doveva svellere e distruggere
dall’orizzonte razionale e naturale dell’Essere. Con tutte le conseguenze teologiche,
politiche e scientifiche che, nel lungo e più che bimillenario sviluppo della storia
occidentale, a tutt’oggi ancora affliggono la mente umana generale.

103
Metafisica, A 10, 993a 11 – 993a 27.
104
Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pag. 65.

143
Orfismo e Misteri eleusini
Un possibile rapporto e confronto.
A cura di Stefano Ulliana.

È necessario, prima di tutto, inserire uno schema visivo riassuntivo del possibile rapporto
fra le concezioni dell’Orfismo, quelle nascoste nei cosiddetti Misteri Eleusini e quelle
filosoficamente implicite nella costituzione della religione olimpica greca. Esso costituirà il
termine di confronto ed il presupposto costante delle argomentazioni sviluppate in seguito e
verrà ampliato e ripreso, in modo arricchito, dalle argomentazioni stesse alle quali ha dato
adito. Lo schema è il seguente:

DIVINITÀ OLIMPICHE
SUPERO

ANIMA VITA

MISTERI
SEPARAZ. ORFISMO ELEUSINI

INFERO
CORPO

MORTE

Credo si possa sostenere che i Misteri Eleusini contraddistinguano una concezione


religioso-filosofica e teologico-politica nella quale il concetto e la prassi legata alla vita
dell’Essere in generale – una connessione privilegiata deve essere qui posta con la
concezione dell’Essente parmenideo - non abbandoni mai il piano di una stretta ed
invalicabile immanenza. Essere nella vita e per la vita qui significa infatti far valere
continuamente e costantemente la potenza e l’atto creativo, insito ed ineliminabile nella
manifestazione della vita in generale stessa, come se essa debba essere pensata come un
originario cuore mentale capace di consentire l’espressione, la manifestazione e l’unità
collettiva delle singole determinazioni soggettive (apparentemente inerti od in movimento:
vegetali, animali, uomini). Qui Natura e Ragione non si distaccano e si divaricano
reciprocamente, per opporsi stabilendo la situazione tradizionale del dominio e della
comune soggezione: al contrario l’unità della potenza naturale è sempre in atto,
creativamente e – dal punto di vista razionale e dialettico - collettivamente. La spontaneità
positiva di ogni atto creativo umano o non-umano si garantisce ed autolegittima come
effetto di una sacralità originaria e centrale, ineliminabile e, pertanto, necessaria. Demetra e
Dioniso, come parte femminile e maschile di questa sacralità, rappresentano a livello umano
l’intreccio indivisibile costituito dalle passioni ed i desideri più profondi e vitali, più naturali
e razionali nel tempo stesso. Qui il sacro originario resta indiviso e collettivamente
partecipabile, per effetto della penetrazione e vitalizzazione divina, nello stesso tempo
spirituale e materiale. Pensiero ed azione si liberano nell’esaltazione dei cuori, delle menti e
dei corpi.
Con il sopraggiungere, alla fine del VI secolo a.C., il formarsi e costituirsi delle
concezioni dell’Orfismo (dal mitico predecessore degli stessi Omero ed Esiodo, Orfeo), si
assiste invece ad una integrazione e nello stesso tempo ad una speciale trasformazione
dell’orizzonte tradizionale della religione olimpica greca, che vale come il tentativo di
imporre una limitazione - una moderazione assoluta – al dinamico sviluppo della vita
economico-sociale delle collettività greche in formazione (le póleis). 105 Nel momento in cui
la potenza naturale e razionale indivisa e partecipata - che i culti eleusini giustificano come
visione religiosa a fondamento di una politica democratica immediata e diretta, dove
sensibilità ed intelletto non si scostano reciprocamente - viene suddivisa e coordinata
gerarchicamente nella vita cittadina tramite quella regolazione unitaria e distaccata
promossa dal connubio fra Dike (Giustizia) e Nomos (Legge), si assiste alla negazione della
sacralità originaria ed intoccabile della Natura-Ragione, all’uccisione sacrificale di Dioniso.
È la necessità della negazione della sacralità originaria del cuore vivente e pensante
dell’Essere – ricorda, di nuovo, l’Essente parmenideo - a costituire la possibilità astratta del
superamento della vita collettiva di tipo contadino, democraticamente priva di limitazioni
estrinseche e superiori che non siano poste in essere dalla collettività stessa, nella

105
Si realizza in questo modo il passaggio dalla prima fase speculativa della filosofia greca (Talete, Anassimandro,
Anassimene), nella quale il concetto di infinito era ancora connesso in forma aperta con quello della negazione assoluta
(lo zero aritmetico, di derivazione indiana), quando il creativo e dialettico non potevano essere considerati come scissi e
separati, alla seconda fase della stessa, nella quale l’Uno terminale di quel rapporto si svolge in fattore di continuità e di
sviluppo coerente, in orizzonte razionale chiuso e determinante della comunità dei cittadini della pÒliw.
Quest’orizzonte a curvatura chiusa, insieme al suo contenuto univocamente determinato, aprirà la strada alle successive
concezioni intellettualistiche della terza fase della speculazione greca, quelle pitagoriche ed eraclitee, tese verso
l’individuazione e la definizione di un principio egemonico. Mentre Parmenide ritrova la dimensione semplicemente
autoaffermativa dell’infinito, con la produttività continua dell’Essente, una ripresa della concezione aperta dello stesso,
creativo e dialettico con la sua sola posizione, avverrà invece con le argomentazioni di Anassagora ed Empedocle,
capaci di influenzare sia la reazione platonico-aristotelica, sia le forme di relativismo etico-razionale dei Sofisti (sino
agli Eristi) e quelle naturalistiche degli atomisti. Il dogmatismo stoico ed epicureo, lo scetticismo, si contenderanno poi
il controllo del passaggio dalla fase storico-ideologica a predominio greco-ellenistico a quella a dominio imperiale
romano.

145
costituzione di un potere monocratico continuo e senza interruzioni, capace di orientare la
determinazione collettiva tramite il consenso alle decisioni superiori intraprese. Qui nasce la
possibilità di dare composizione unitaria ai bisogni cittadini, escludendo qualsiasi tensione e
contrapposizione sociale, causata nella fase storica precedente dall’egemonia violenta ed
arbitraria del ceto aristocratico e fondiario ed ora risolta dall’assorbimento e
dall’integrazione delle forze produttive precedenti. Ora la sensibilità aperta della fase a
democrazia diretta ed immediata viene rinchiusa, inglobata ed integrata all’interno di
quell’orizzonte intellettuale che dispone un potere di giudizio e d’azione univocamente
determinante e determinato. Le piccole collettività autonome contadine esterne alla grande
città in sviluppo e le forze aristocratiche che appoggiano la propria potenza sul possesso
della terra si integrano con le forze che espandono il potere collettivo delle città grazie agli
scambi ed ai commerci (ed ai rapporti conclusi grazie alle precedenti o contemporanee
colonizzazioni). Come si scriveva in un testo precedente, simulazione (Hermes) e guerra
(Ares) trovano la propria composizione, dando rappresentazione giustificata all’ideologia
olimpica in trasformazione. Una composizione più stretta della precedente, con una
svalutazione del momento negativo e guerresco, legato alla precedente fase espansiva e di
conquista, ed una contemporanea valorizzazione ed espansione di quello positivo e
creativamente più ricco dal punto di vista culturale e strumentale. Le borghesie cittadine
così come spingono verso la diffusione della monetazione, così pure si preoccupano di
costituire quella base finanziaria statale, che consenta loro di continuare ad espandere il
proprio potere, sia all’interno delle città stesse, che all’esterno. Lo strumento della guerra a
questo punto riassume una rilevante importanza, mentre l’opposizione interna fra classi
emergenti e classi aristocratiche stringe la ricerca del consenso verso posizioni meno
imperialistiche. Il mancato superamento e consolidamento della formazione istituzionale si
riflette e si ribalta nella reazione aristocratica e democratica, con l’abbattimento delle
tirannidi, inizialmente basate sul comune consenso.
È, dunque, l’elevazione ed il confinamento di una situazione di possibilità (e di potenza) a
costituire la condizione perché si applichi una determinazione univoca ed uniformemente
collettiva. Questa possibilità (e potenza) astratta si attua e si realizza nel momento in cui la
continuità e la prosecuzione di una determinazione collettiva unitaria – l’orizzonte
intellettuale di riferimento - si rende praticabile grazie ad una estrema rastremazione del
potere politico, nella quale “i molti” possano trovare la propria espressione grazie alla
determinazione dell’Uno (il Tiranno popolare). È qui, allora, che si apre quell’orizzonte
superiore di riferimento comune capace di costituirsi in coordinamento della vita sociale e
politico-economica delle città greche, nel mentre che si trasfigura ideologicamente come
limite decisivo e costituente della civiltà greca. La realtà del consenso prolunga

146
l’alienazione sorta con la costituzione della posizione dialettica olimpica, nella quale realtà
ed immagine risultano capovolte nella propria funzione genetica e di produzione: come si è
visto trattando della relazione che lega il significato sovrastrutturale della figura di Hermes
a quella di Apollo, la superiore realtà delle determinazioni olimpiche ingenera quella mobile
forma d’immagine che è tesa alla creazione di un piano separato di riconoscimento e
valorizzazione. Ebbene, con la trasformazione ulteriore del potere politico verso forme di
tirannia popolare (o, vedremo, aristocratica), la realtà assunta da questo piano mediano e
separato – la realtà di ciò che oggi si chiamerebbe il piano dell’opinione pubblica ed
Aristotele definiva come il luogo delle opinioni generalmente adottate e diffuse – proietta
l’alienazione iniziale in una fase successiva, dove questa assunzione di realtà deve
necessariamente riflettersi e fondare una separazione dei poteri, all’interno della quale il
potere dei molti (o pochi) si fonda e si esprima attraverso il potere dell’Uno (il Tiranno). In
questo modo la rappresentazione completa delle classi operanti nelle diverse città greche
trovava finalmente la possibilità di fondare e rendere costituente il proprio schermo (scena)
di realtà finale, separando un capo reale di una rappresentazione egualmente reale. In realtà
immaginaria, perché fondata sul trasferimento alterante delle prerogative e dei diritti
fondamentali dei cittadini – l’inalienabile natura razionale – tramite un capovolgimento
della realtà originaria in immagine e di quest’ultima, ancora di più, in realtà superiore. Il
processo d’alienazione della religione olimpica trovava così l’esito ultimo e definitivo della
propria costruzione. Solo la demolizione anarchica effettuata dai poteri aristocratici, tesa
all’eliminazione del peso crescente del fattore popolare e democratico, o all’opposto la
rivoluzione politica e sociale (dunque, in senso lato e futuro, anche economica) delle masse
popolari e democratiche potranno scardinare questo potere tirannico, aprendo la vita
collettiva delle comunità greche verso soluzioni diverse. In Atene Clistene cercherà di
scomporre le basi della precedente aggregazione tirannica, mentre Sparta conserverà la
propria costituzione separata, intoccata dalle trasformazioni economico-sociali che stanno
modificando il tessuto produttivo ateniese (la spinta commerciale e finanziaria).
Mentre in ambiente ionico ed ateniese questa volontà disgregatrice si avvale della
nascente critica filosofica (con tutti gli opportuni limiti), nell’arco delle colonie delle altre
città greche restava però dominante l’influenza religioso-politica imposta dalle tradizioni
olimpiche. Così mentre in ambiente ionico-ateniese si assiste alle spericolate
argomentazioni di un Anassagora, o alla trattazione delle conseguenze della dottrina
filosofica parmenidea ed eleate, la cornice della città-colonie greche del Mediterraneo si
spinge ad adottare quella soluzione filosofica, che meglio si adatta alle convinzioni
profonde stabilite dai miti e dai culti olimpici tradizionali, magari approfittando ancora delle
suggestioni che avevano contribuito all’elevazione delle diverse tirannidi.

147
È quest’orizzonte, così ulteriormente trasformato nella sua funzione di limitazione
d’ordine necessario, a costituire la premessa politica delle successive speculazioni
pitagoriche e delle molteplici avventure platoniche, che nelle loro trattazioni cercheranno di
ridare composizione a quella separazione originaria, che è stata la causa prima del sorgere e
del fissarsi di quell’orizzonte. La stessa Grecia classica ed ellenistica post-platonica e post-
aristotelica riempirà successivamente di contenuti determinati questa fascia di immagine
realizzante superiore, costituendo tramite la ripresa conservatrice della propria religione
olimpica la materia proiettiva di quel limite invalicabile, che rappresenterà la fondazione
stessa dell’intera civiltà ideologica occidentale.
Questa trasfigurazione proiettiva ha infatti bisogno di una separazione essenziale – il
concetto filosofico stesso di essenza (apparentemente esterna o realmente interna) nelle
filosofie platonica ed aristotelica trova qui la sua genesi – capace di aprire una possibile
contrapposizione, essa stessa necessaria, fra spirito dell’anima e corpo, fra dominio mistico
ed intellettuale e soggezione materiale e collettiva. Qui la morte eterna degli Inferi si
contrappone non già alla vita immanente proclamata dai misteri eleusini, bensì alla vita
superiore ed egualmente eterna delle anime beate e disincarnate. L’Orfismo separa l’anima
dal corpo, in tal modo inserendosi e fissandosi ulteriormente in modo univoco in quel
prospetto diagonale, che consente – come si è già visto - la fondazione di uno spazio e di un
tempo, che racchiudono in loro stessi la possibilità determinativa di un testo dato e rivelato
(i testi orfici sono la variante occidentale di tutti i testi dottrinario-salvifici precedenti o
successivi, sino ai cosiddetti Libri Sacri della tradizione cristiana), quale immediata
apparenza dell’ordinamento unitario divino (questo è il luogo genetico della trasmissione
del Dio unico, per il suo Popolo, in ambiente semita e poi cristiano). L’Orfismo estrae la
potenza vitale di ciò che chiama e conclude come corpo, stabilendone la conservazione, il
potenziamento ed il comune riconoscimento in una forma di comunicazione bidirezionale,
sia verticale che orizzontale, ma nel contempo unitaria: nella stabile dialettica che in tal
modo istituisce – dove la potenza si nutre delle volontà - l’anima si fa giudizio ed atto
d’ordine, disciplina continua ed esercizio senza interruzioni. L’artificio qui trova la sua
massima esaltazione, come - per trovare un esempio più vicino al nostro tempo –
nell’apollineo barocco degli Stati assoluti dell’Europa, all’inizio dell’età moderna. È così
che l’anima vivente della e nella materia si separa e trasfigura in intelletto, in potenza
separata ed astratta, ordinata all’egemonia del e sul reale, così edificato e costruito, mentre
la sensibilità viene ridislocata in funzione esterna (contrapposta) o interna (inglobata). È
questo stesso atto di inglobamento della sensibilità a costituire il rovesciamento e
capovolgimento dello spirito iniziale dionisiaco, a trasformare e trasfigurare la sua
immagine: sbranato dai Titani, viene reintegrato e reso nuovo da Zeus, che ne trasmette il

148
culto dalla Tracia lungo la fascia costiera della Grecia. Eliminato a sua volta dai culti
cittadini ed ostracizzato (mito di Penteo a Tebe), punisce con il violento disordine
femminile, prima di essere riadottato grazie alle sue imprese militari in Oriente (sino in
India). Come si vede un culto di iniziazione del vecchio dio alle nuove forme del divino,
fondate su guerra e volontà di espansione e di dominio. Alle quali egli (la sua controfigura)
si adatta in modo capovolto, egemonico. Del resto lo sfruttamento strumentale e capovolto
di un dio troverà famosi esempi d’imitazione, quando l’immagine centrale del Cristianesimo
– Gesù, il Cristo – verrà nella costituenda tradizione dogmatica – non a caso semitico-
grecizzante – individuato come l’Agnello Salvatore, la vittima sacrificale grazie alla quale
l’umanità ed il creato intero vengono salvati. Per Dioniso e per Gesù valgono le stesse
considerazioni svolte in precedenza, a proposito della trasformazione e del capovolgimento
del concetto e della prassi dell’amore. Infinito verticalmente ed orizzontalmente, creativo e
nel contempo dialettico, libero, spontaneo e gratuito nella sua apertura e diffusione, esso si
rovescia in una forma di sottrazione quasi diabolica, in una potenza separata ed astratta
quasi demonica, in fedele relazione di subordinazione con l’atto paterno. Così la relazione
verticale che lega Dioniso a Zeus varrà come stampo originario per la relazione che legherà
nella dottrina cristiana il Figlio al Padre, nella sua versione subordinazionista (ariana) od in
quella consustanziale (cattolica). Come Dioniso rinasce a nuova vita anche Gesù, il Cristo,
viene reintegrato nel cielo divino paterno insieme ad una Madre funzionale, anch’essa
astratta e separata, rovesciata nelle sue finalità di subordinazione allo Spirito, secondo una
tradizione aperta da Semele.
Questo sorgere dell’anima ed il suo stesso trasfigurarsi e capovolgersi nell’atto di
determinazione vengono mitologicamente fondati attraverso la figura immaginativa
dell’innalzamento e dell’elevazione, del distacco da terra e del raggiungimento ideale del
già citato orizzonte superiore, continuamente unitario nel suo sviluppo e nella sua
progressione. Qui l’ordine supera il disordine iniziale e fonda per successione ontologica
d’interventi divini - Zán (Vita), Chrónos (Tempo), Chtonié (potenza infera e ribollente della
Materia) 106 - il mondo così come appare. Chrónos – il tempo, nella sua figura ed immagine
di continuità e di sviluppo progressivo – vince Ophióneus – il caos, come impossibilità di
procedere secondo continuità e sviluppo, perché rimette sempre tutto in una discussione che
risulta essere nel contempo dialettica e creativa. In tal modo la vita, per il tramite dello
strumento essenziale del tempo come sviluppo nella continuità, viene innalzata, ampliata ed
elongata, rispetto alla potenza inferiore della materia, dalla quale si distacca e rispetto alla
quale si pone in un atteggiamento di difesa e di allontanamento. L’innalzamento effettuato

106
Fonte testuale delle successive rielaborazioni personali è il materiale sintetico relativo all’Orfismo, presente nel sito
web www.filosofico.net/orfismo.html, a cura di N. Turchi. Cfr. Damascio, Rapsodie orfiche.

149
da Chrónos è così rivolto al cielo – Aíther – dove viene prodotta quella superiore, distaccata
ed isolata, scintilla divina – Phánes, il Brillante – che, composta con Nyx (la Notte), dà
luogo alla separazione strutturale del cosmo orfico: da un lato il cielo, dall’altro la terra. Il
Cháos iniziale della materia viene così superato e rovesciato nell’ordinamento e nella
relazione verticale apparente. La necessità di non scindere i termini o capi opposti del reale
– Adrástea – per conservare la capacità e la potenza rigenerativa di una vita, che si staglia e
si apre all’opposto della molteplicità incontrollabile della natura terrestre (vegetale ed
animale), fa sì che si origini qui la genealogia, la tradizione del principio strumentale
egemonico, rappresentato via via dalle figure dominanti del pantheon greco di derivazione
orfica (Crono, Zeus, Dioniso). Con il Dioniso orfico si attua la penetrazione e lo
sconvolgimento di ogni resistenza materiale: tutto viene riportato al suo ordine. La Natura –
la Terra e le sue potenze titaniche - viene assoggettata dopo un iniziale irretimento – la
concezione eleusina di Dioniso stesso – costituito dall’immobilità stabilita dalla concezione
creativa ed interdialettica, che non consente la presa di potere del tempo, che si fa strumento
egemonico nel momento in cui riesce a trasformarsi in sviluppo lineare e determinato. Ma il
Dioniso orfico (Zagreo) riesce a trasformarsi, ad uscire da questa immobilità, 107 assumendo
la figura e l’immagine statica e stabile della potenza irresistibile (il toro). Ma questa
potenza, come si è visto in precedenza, deve essere ideologicamente astratta e separata,
divisa (Zagreo viene fatto a brani): per impedire perciò di essere completamente separata e
così perfettamente inutile nel suo compito di controllo, assunzione e dominio del mondo
intero, deve fare in modo che, proprio grazie ad una separazione che agisca in se stessa, ciò
che appare come esterno e contrario (la sensibilità naturale) risulti interno a se stessa e nel
suo primo grado (il sentimento lirico della natura). Le parti della Natura stessa vengono in
tal modo inglobate – Dioniso viene sbranato, ingurgitato ed assimilato dai Titani – e rese
quali basi dell’innalzamento del cuore intellettuale egemonico – Athena porta il cuore di
Dioniso a Zeus – grazie al quale Dioniso stesso, nella sua parte essenziale e fondamentale,
riesce a sopravvivere e a risorgere, mostrandosi come la riflessione oggettiva, che non può
più essere distolta ed annullata: il riferimento continuo e ciclico al medesimo principio di
giudizio ed azione (Zeus ingurgita il cuore di Dioniso, per poterlo rigenerare), per poter
intrecciare le riflessioni e le azioni umane.
È facile notare come con tale strutturazione teologico-religiosa e naturale l’Orfismo
costituisca lo schema ideologico fondamentale della civiltà occidentale, preparando le basi
di riferimento e di elaborazione al pensiero pitagorico, platonico ed a quello aristotelico,
sino alla loro manifestazione più tarda, hegeliana e – per contro - nietzscheana. Allo stesso

107
Questa immobilità costituisce i limiti all’interno dei quali si pone e si esprime l’Essente parmenideo.

150
modo non è difficile osservare come la triade orfica (Vita, Tempo, Materia) costituisca la
base dalla quale sorgerà la genealogia delle triadi teologico-filosofiche e naturali delle
religioni che seguiranno la civiltà greca (Zeus, Era, Athena) e ne saranno influenzate: in
primo luogo la triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva) e la stessa Trinità cristiana
(Padre, Spirito Santo, Figlio). Da notare, infine, come l’elemento umano femminile 108
subordinato all’egemonico divino maschile e da esso annullato e dissolto, proprio attraverso
la liberazione e lo scioglimento dai propri vincoli naturali – Semele a Zeus, Maria a Dio
Padre – venga successivamente divinizzato ed assunto al cielo in posizione orfica, per
garantire la fissazione eterna del principio strumentale ed egemonico stesso: il tempo
dell’uomo e la volontà del Dio che ci è comunemente Padre (determinante). La stessa genesi
ed il movimento finale dell’anima umana, nella sua apparente fuoriuscita temporale, paiono
trovare giustificazione in questa forma di riflesso per subordinazione e di successiva
assunzione e disposizione eterna (salvezza).
L’uomo stesso può nascere – ad esso viene consentito di nascere – solo come ricordo e
ammonimento rivolto alla necessaria negazione della potenza titanica: tanto quanto i Titani,
alleati di Era, aprono a ventaglio la propria potenza per surclassare e sostituire il potere
tirannico di Zeus, altrettanto la punizione divina che instaura l’eternità del principio
egemonico solitario (poi, nella tradizione cristiana successiva, il Dio unico) deve imporre la
negazione di questo superamento, nella sradicazione della potenza e dell’atto insieme
creativo e dialettico (la sua lontana origine eleusina). Così la molteplicità e la
moltiplicazione titanica del rapporto fra Natura e Ragione trova la propria negazione

108
La generazione di Athena come riflesso della mente di Zeus stabilisce il tentativo di superare la composizione fra
creativo e dialettico propria della natura originaria – la Grande Dea Madre – per istituire un ponte immediato di
determinazione lineare, grazie al quale sostituire la necessità del rapporto con le potenze originarie naturali stesse. La
razionalità greca classica si forma ora come sostituzione, annullamento e negazione della potenza originaria, creativa e
dialettica della natura. Primo esempio concreto di questa sostituzione è la generazione di Eracle, prototipo dell’eroe
semidivino, rappresentante della nuova potenza, nata dalla combinazione di una potenza attiva maschile divina e di una
potenza passiva femminile umana, dominata ed assoggettata (Alcmena). La riuscita finale delle lunghe e difficili prove
alle quali Eracle viene sottoposto, per volontà vendicativa di Hera rappresenta – come è facile notare – la vittoria di
questa nuova forma di potenza. È facile notare qui la costruzione dello stereotipo ideologico dominante nella civiltà
occidentale successiva: la forma e la prassi del paternalismo autoritario, che tramite la generazione pratica una divisione
ed una contrapposizione, fra le nuove forze razionali e le antiche forze naturali. Il fine ultimo e riuscito di tale
contrapposizione modificherà il senso ed il contenuto del rapporto triadico fra le funzioni della mente originaria:
laddove prima le potenze naturali trovavano immediatamente espressione razionale, ora la mediazione che tiene
insieme, senza scinderle, intelletto (Apollo) e volontà (Artemide) costituisce la nuova forma di potenza razionale, che
viene innalzata e riferita per la sua attuazione piena e completa all’orizzonte di perfezione divino. È ora solo all’interno
di questo orizzonte che la molteplicità delle potenze naturali - gli occhi di Argo, ucciso da Hermes, mentre difende per
Hera la giovenca Io, vengono messi a ventaglio sulla coda del Pavone, animale sacro alla dea - può ritrovare una vera ed
effettiva giustificazione divina. Come è ancora facile notare diversi e fondamentali sono stati i calchi che la civiltà
cristiana ha operato sulla base di queste schematizzazioni e trasformazioni. Per prima la definizione del Figlio come
generato, ma non creato; quindi la subordinazione all’atto divino della potenza mediante, dove la negazione necessaria
della medesima – la crocifissione del Cristo dalla duplice natura – si rovescia in salvezza universale. Infine la
subordinazione tradizionale della natura apparentemente creatrice – la parte femminile – alla ragione ed alla parte
dominante ed egemonica maschile, unica e vera rappresentante delle disposizioni - di giudizio ed azione - divine. Come
è stato scritto in altri luoghi, simulazione (legata agli scambi) e guerra (per la conquista e l’estensione dei patrimoni
paterni) sostituiscono e cancellano l’epifania originaria della divinità, immediatamente apportatrice di pace e giustizia.

151
apparentemente esterna nella trascendenza e richiesta priorità di un eterno e stabile principio
egemonico e direttivo: in tal modo la prima figura ed immagine dell’Intelletto assoluto ed
universale e delle sue decisioni compare alla vista della strutturazione ideologica
occidentale. Solo come riflesso di tale intellettualità l’uomo potrà far valere potenze
legittime: l’ordine e la disciplina imposti dall’obbedienza alla divinità superiore
determinano il processo di una nuova liberazione, invertendo il rapporto fra natura e ragione
presente ed attivo nella precedente concezione eleusina. Ora la Ragione si impone sulla ed
alla Natura, definendo tale forma di necessitazione non come violazione della libertà
comune ed aperta (creativa e dialettica), ma come sua attuazione più piena e completa. Con
tale alienazione e trasferimento si dà luogo pertanto alla radice prima della forma
rappresentativa, che ha attraversato storicamente lo sviluppo e l’apparente trasformazione
delle civiltà classiche sino ai loro momenti e fasi più moderne e attuali (sino alla
contemporanea autoseparazione ed autocodificazione dell’astratto in reale).
La sensibilità, il sentimento, la passione e la ragione occidentale si ergono in questo modo
come fasi successive di un processo di progressiva alienazione, dove la potenza inferiore
della natura umana deve riflettersi nella potenza superiore divina. Non è difficile notare
come questa inversione soggettiva sia poi stata la radice dell’inversione ideologica
occidentale, a sua volta ricapovolta e rimessa nell’atto immediato della sua vera ed effettiva
liberazione dalle correnti speculative marxiane più radicali, a partire dalla seconda metà del
XIX secolo. Queste, però, paiono quasi autolimitarsi nella propria prospettiva critica e
rivoluzionaria, nel momento in cui non riescono ad accogliere la necessaria demolizione
della fusione fra lo strumento che consente la presa di possesso della realtà (astratta e
separata) e lo stesso principio egemonico (la sovra-determinazione economica), fra le forze
produttive e la loro finalizzazione teo-politica, che viene invece assunta entro la propria
formazione immaginativa e razionale, preludendo al momento finale liberatorio delle forze
produttive proletarie grazie alla direzione del Partito (il comunismo, nella burocratizzazione
nazionale estrema dei mezzi e delle finalità di produzione). Questa nuova figura ed
immagine della reciproca congiunzione ed intreccio fra lo strumento ed il principio
egemonico viene infatti colta nella sua reale prosecuzione della trasmissione del principio
ideologico (astratto/reale) occidentale, nella sua forma di totale dominio e controllo della
Natura-Materia e della Ragione-Soggetti, ora nella sua definitiva veste laica di assistenza
completa e finalmente compiuta dell’Umanità intera.
Non è difficile osservare – anche se ciò fa sembrare la storia della filosofia occidentale
come una pura trasfigurazione, continua e successiva, del medesimo Spirito – come si possa
identificare una medesima tradizione speculativa, che a partire appunto dall’Orfismo
attraversi le riflessioni di Platone ed Aristotele, sia ripresa nel neoplatonismo della tarda

152
classicità greco-latina (da Plotino allo Ps. Dionigi), venga riassunta nella riformulazione
dottrinaria cattolica da parte di Tommaso d’Aquino, per attraversare i perigliosi scogli della
modernità – Giordano Bruno e Spinoza – e attraverso Cartesio e Leibniz rovesciarsi
sull’idealismo tedesco (da I. Kant sino ad G.W.F. Hegel) ed infine, appunto, sulle forme
rivoluzionarie del marxismo classico. Sempre il concetto e la prassi dell’Uno necessario e
d’ordine forma quella potenza astratta e separata all’interno della quale il principio
egemonico intellettuale ordina unitariamente la volontà collettiva, subordinando questa
come strumento essenziale per la presa di possesso della realtà (astratta) stessa e, di riflesso,
per quella relativa alla realtà (reale) naturale-materiale.
Nello spazio immaginativo e razionale aperto da questa elevazione astratta (che si rende
reale con tutte le forme di necessitazione che impone) è facile quindi vedere come all’anima
greco-latina della riflessione si sia poi congiunto storicamente lo spirito della fede cristiana,
trattenuto nel cielo empireo della salvezza dalla composizione fra l’intervento della grazia
divina e l’adesione consapevole all’opera dell’amore infinito ed universale, in virtù della
mediazione ecclesiastica. Dopo la fase di estrema riduzione operata dalla concezione
imperiale della fede (nata dalle speculazioni teologiche dei primi Concili ecumenici), che
univano lo strumento ecclesiastico al potere discriminante dell’imperatore, nel difficile
trapasso alla modernità tutte le forme di apertura, che si erano ripresentate nel
Rinascimento, grazie all’opera di alcuni pensatori veramente innovatori e rivoluzionari – fra
tutti Giordano Bruno - vengono invece neutralizzate, quando non espunte con la forza,
proprio a motivo del fatto che il fattore produttivo viene assumendo con la costituzione della
forma statuale accentrata una preminenza e priorità politico-ontologica essenziale e
fondamentale, quasi a riconfigurare l’immagine tradizionale dell’orizzonte razionale
occidentale come giustificazione delle nuove istituzioni di riduzione e controllo (politico,
religioso ed economico). L’Uno necessario e d’ordine rispunta e si moltiplica nell’intero
Occidente, a rappresentare il controllo preventivo delle forze produttive e soprattutto delle
loro finalità, nella ricostituzione del rapporto d’ordine fra natura-materia, relazioni esterne e
potere dello Stato. Nel cataclisma apparente delle forme statuali manifestatosi con la
globalizzazione contemporanea, dove i loro poteri vengono riflessivamente riassorbiti nella
fusione definitiva fra intenzione economica, protesa alla finanziarizzazione totale (denaro
astratto), e realizzazione politica, tesa alla costituzione di una dittatura universale delle
norme che garantiscono la conservazione e l’iper-sviluppo del Capitale (militarizzazione
reale, interna ed esterna), lo schema virtuale della modernità si rafforza e si condensa, quasi
si concentra, nella sua forma finale e definitiva: sembra infatti ora presente uno super-Stato
mondiale, che agisce la potenza e l’atto del controllo totale e completo delle forze
produttive, stimolando al massimo grado la soggezione della Natura-Materia (con tutti gli

153
strumenti ideologico-scientifici dei quali si fa portatore e fautore) e la assoluta dipendenza
di tutte le apparenti relazioni esterne alle proprie finalità determinanti (regolative e
legislative), grazie agli strumenti della cooptazione (per effettivo consenso nella
acquisizione degli utili prospettati) o grazie al ribaltamento regressivo del diritto e delle
istituzioni universali, o ancora grazie alla forma estrema dell’intervento annichilitorio
preventivo. In questa logica della potenza e del dominio il rappresentante laico del principio
strumentale ed egemonico lascia alla rappresentante religiosa il compito della convergenza
mitologica e della necessaria sussunzione dei particolari soggettivi empirici, per dare adito
ai luoghi teorici e pratici d’esercizio del potere, in tal modo ricostituendo quell’antica
alleanza fra altare e trono, così ben presente e criticata dai libertini del ‘600, all’inizio della
modernità stessa. Se allora nello spazio fra la Chiesa e lo Stato si era inserito un pericoloso
sovvertitore – il pensiero scientifico – ora nel medesimo spazio la ricostituzione ideologica
della scienza porta con sé la capacità di agire da collante fra le due parti, giustificandole
nella loro esistenza e nell’esercizio dei loro poteri, e venendone a sua volta giustificata.
Questo lungo, lunghissimo cammino del principio strumentale ed egemonico ha trovato nel
momento stesso della sua nascita, durante la sua evoluzione e la ripetuta e storica
trasformazione molti ostacoli e resistenze. Fra questi, proprio all’inizio della sua storia, la
concezione presente nei cosiddetti Misteri Eleusini ha goduto di una particolare importanza,
attenta com’era alla conservazione della funzione sacrale originaria. È stata, infatti, proprio
l’asserita necessità di superare la concezione creativo-dialettica in essa presente a scatenare
le forze ideologiche, che hanno poi costituito la fondazione di quel fenomeno generale, che
le speculazioni più avvertite e critiche dell’Occidente hanno poi definito come processo
ideologico dell’alienazione (religiosa, politico-economica e naturale). In questo processo
diventa fondamentale e centrale il momento dell’uccisione del divino – il deicidio di
Dioniso o del Cristo – perché attraverso questa eliminazione si afferma quella negazione del
sacro originario, che consente il capovolgimento della libertà eguale ed amorosa iniziale in
stato di necessità, che viene a sua volta mantenuto grazie ad una colpa costantemente
ricordata – la colpa originaria/il peccato originale – e prolungato nel futuro per il tramite di
quello strumento espiatorio, che si accosta e si unisce allo strumento temporale, per
determinarne completamente la finalità di conquista. Era, per questo motivo, attraverso
un’espiazione continua che l’orfico cercava di risalire alle condizioni iniziali del dramma
teo-cosmologico vissuto, per aspettare grazie ad esercizi di mortificazione del corpo
continui la liberazione divina, la riapertura verso la sua volontà e la sua disposizione,
altrimenti oscurate da una sorta di impossessamento/spossessamento diabolico. Qui si
inserirà l’influenza che dal Manicheismo (III sec. d.C.) si protrarrà sino alle forme ereticali

154
del Catarismo (XI/XII sec. d.C.), per toccare alcune posizioni della Riforma protestante
(XVI sec. d.C.). Od influenzare forse lo stesso dubbio cartesiano (XVII sec. d.C.).
L’anima nel corpo è dunque preda del mondo e del suo potere: deve essere liberata dalla
sua prigione (il corpo ed il mondo stesso, che vengono visti come mondo infero ed
infernale). E, può essere liberata dallo sforzo umano, che porta a termine il ciclo delle
continue reincarnazioni, decise dal dio quale risarcimento della colpa iniziale, grazie
appunto alle forme prestabilite di espiazione e di sacrificio. La negazione del mondo è la
negazione della morte definitiva, per la vita definitiva. Se i tormenti concessi dal dio in vita
non bastassero, valgono quelli ulteriori subiti nell’Ade: un luogo nel quale la potenza
negativa e punitiva assurge al suo massimo grado e ruolo. Così rendere un inferno la vita
sulla Terra sarà il lato sadico di questa impostazione masochista, quando la trasformazione
in senso immanente della tradizione religiosa avrà penetrato la modernità. Non è difficile
vedere qui l’origine delle forme più cupe e orribili delle moderne tirannie, quasi strumento
di espiazione e sacrificio collettivi. Con il paradosso che per sfuggire la morte definitiva si
addossava una morte generale all’intera collettività. Nata, dunque, con il terrore della morte,
la posizione orfica segna di sé e dei propri comportamenti rituali una volontà di
allontanamento e di distacco dalla vita naturale e materiale: ascesi, vesti prive di colori,
alimenti ed azioni non contaminate dal ciclo delle morti e rinascite sono tutti strumenti di un
comportamento ossessivamente teso all’evitazione dell’evento infausto, quasi come una
generale formula apotropaica. 109 L’evento infausto essendo quello della cattura e
dell’inglobamento nella logica del mondo, l’evento fausto e felice si riflette nell’opposta
fuoriuscita da essa, nell’elongazione e nella apertura di una via di fuga laterale, discosta
(nella Y, la famosa via dextera phytagorea). Essa conduce al paradiso orfico, luogo nel
quale ci si ricongiunge con la vita che è solo vita, senza morte o ricordo di essa (Lete). Con
la vita eterna. Qui si viene giudicati (da Persefone), in attesa del ritorno di Dioniso e del suo
regno illimitato. 110 Dopo Eschilo, Pindaro, Platone in ambiente greco, Cicerone e Virgilio in
ambiente romano, forse lo stesso S. Paolo nell’ambiente proto-cristiano era stato influenzato
dalla tradizione ebraico-ellenistica di questa formazione ideologica, quando pronunciava il
suo discorso a monito della necessaria divaricazione fra la via della carne e la via dello
spirito (dell’amore). 111

109
Cfr. Euripide, I Cretesi.
110
Laminette auree orfiche nei musei di Napoli, Londra, Creta.
111
La formazione intellettuale di S.Paolo può forse essere stata influenzata dalla posizione orfico/gnostica, intrecciata e
sviluppata in ambiente ebraico con un messianismo apocalittico mutuato e trasformato da quello di origine giudaico-
cristiana. S.Paolo in questo caso potrebbe essere visto come portatore di un’ideologia orfico-gnostica ed imperiale, che
utilizza l’apocalittico per togliere valore al messianismo radicale e rivoluzionario: qui lo stabile termine strumentale
della “fine dei tempi”, tramite il quale si dà composizione alla superiore volontà del Padre celeste (Zeus/Jahwè/Padre)
ed all’azione naturale e politica che promana dalla realtà inferiore, costituisce il perno attorno al quale far girare la
rapida assunzione dei fedeli legata alla nuova venuta del Cristo e l’assunzione/riassorbimento in Dio del cosmo intero

155
In ambito ed ambiente orfico, così come cristiano, la sofferenza pagata dal dio diventa,
infatti, pegno e merito per la salvezza delle anime. Così la negazione, originatasi
anticamente nel culto olimpico con la sopravvalutazione della potenza oscura e minacciosa
del dio (Artemide), si trasforma in atto positivo di sacrificio di chi è in contatto privilegiato
con il divino stesso – la filiazione – affinché la sua negazione della negazione possa
ribaltarsi e riflettere una via di fuga dalla costrizione rappresentata dal regresso delle volontà
allo stato primitivo e selvaggio della comune distruzione. Il dio principale assiste il dio
secondario in quest’opera: il suo sacrificio infatti è teso alla ricostituzione di una volontà
totalmente positiva (Athena, il regno del Figlio). Dioniso e Gesù Cristo, da ribelli, aprono
una via rivoluzionaria, che ricostituisce il dominio egemonico della figura principale,
rovesciando il tempo dell’espiazione nel sovra-tempo della beatitudine eterna, nel ricordo
dell’aperto cielo stellato (Mnemosyne), fattore di genesi determinativa fra cielo e terra. È in
questo modo che l’anima può rigenerarsi in modo innocente e puro, ovvero rivestirsi di un
nuovo corpo immortale (cfr. il “cadere nel latte” e, ancora, la dottrina della reincarnazione
in S. Paolo). È facile pertanto comprendere il motivo per il quale il Senato romano – con il
Senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.C. - decise di limitare fortemente e
rigidamente i culti dionisiaci, nel momento in cui il suo spirito ribellistico e rivoluzionario si
spingeva a mettere in questione l’ordinamento aristocratico della repubblica, ancora fondato
sulla tacita ed espressa obbedienza ai culti olimpici classici. Il pericolo era, inoltre,
aumentato dal fatto che la possibile sovversione interna potesse intrecciarsi con il nemico
esterno, la coalizione formata dalle forze siro-macedoni e da quelle celtiche e cartaginesi. È,
ancora, facile comprendere come il rapporto con l’apertura superiore – con la fonte
genetico-determinativa (simboleggiata dalle acque superiori dell’immortalità) – esprimesse
in epoca successiva, cristiana, sia il rapporto fra quelle che sarebbero successivamente
diventate le figure trinitarie del Padre e del Figlio, sia la consapevolezza della compiutezza
e completezza della nuova fede. Le altre fedi sarebbero state orientate a diventare premesse
insufficienti di per se stesse e destinate appunto a completamento e definizione definitiva da
parte del cristianesimo. Una posizione che dai primi pensatori cristiani, attenti alla necessità
di risolvere il problema del rapporto con la religione ebraica, si rifletterà molto somigliante
nelle considerazioni dei pensatori cristiani rinascimentali, ora attenti al problema della
definizione della fede mussulmana (Nicolò Cusano) o della ricomposizione con ripresa

nel giorno finale del giudizio (Origene, apocatastasi). Lo spirito dell’amore paolino in questo caso manterrebbe le virtù
antirivoluzionarie della subordinazione imperiale al nuovo Signore dei tempi, dando forma ad una composizione fra la
nuova fede e la disposizione imperiale tradizionale, fondata e giustificata teo-politicamente dall’ideologia olimpica,
composizione che avrà conseguenze importanti nel momento storico in cui Impero e Religione cristiana incroceranno i
propri destini (al tempo dei primi Concili ecumenici). Cfr. S.G.F. Brandon, The Trial of Jesus of Nazareth (1968).
Hyam Maccoby, The Mythmaker: Paul and the Invention of Christianity (1986); Paul and Hellenism (1991). Michael
White, From Jesus to Christ (1998). Elaine Pagels, The Gnostic Paul (1992).

156
culturale greco-latina od ermetica (Marsilio Ficino). Questa applicazione del resto poteva
comporsi con lo stesso cesaropapismo religioso, prima degli imperatori pagani, poi dei
primi imperatori cristiani (Costantino I, Teodosio I), nel momento in cui fosse stato risolto e
fosse venuto a ricomposizione il problema del rapporto con ciò che veniva definito
contenuto della Legge (la composizione fra fede filosofico-religiosa e legge dello Stato, fra
V.T. e N.T., fra legge imperiale e dottrina cristiana). Ovverosia con ciò che veniva
determinativamente imposto nella progressiva integrazione delle innovazioni culturali. Ma
qui si rientra in quella dimensione di origine egizio-semitico-pitagorica della civiltà
religioso-politica occidentale, che ha abitato le sue diverse fasi di sviluppo. Prima con
l’integrazione nella civiltà classica del portato di origine orfico-pitagorizzante (con le
teorizzazioni teologico-politiche e naturali proposte da Platone ed Aristotele), poi con
l’accostamento della tradizione gnostica alla giustificazione imperiale del potere romano,
quindi con la composizione fra V.T. e N.T., capace di legittimare una posizione gnostica
all’interno del cristianesimo, infine con la ricomposizione finale fra la tradizione pagana e la
nuova civiltà cristiana, con l’allontanamento delle posizioni manichee: tutte queste
trasformazioni ed innovazioni sono state accettate ed integrate nel quadro teorico,
produttivo e pratico della civiltà occidentale in formazione, nel momento in cui la ruota
progressiva della ideologizzazione occidentale dimostrava di essere capace di assumere
quelle innovazioni il cui segno d’integrazione continuava a ripetere la separazione artificiale
della sovranità e della legge, l’alienazione della potenza naturale e politica, la
subordinazione e la gerarchizzazione delle prassi e delle riflessioni legittimate e consentite.
Il mondo occidentale in questo modo si apriva ad una generale forma di adeguazione
necessaria, nelle cause e nelle finalità, nelle mediazioni e negli strumenti. Nelle volontà e
nelle disposizioni. Orientato alla più piena, completa ed esaustiva delle alienazioni, continua
a ricomporre senza alcuna frattura la volontà egemonica del principio con la strumentalità
della causa mediante. Nello stesso tempo continua ad espellere o a reprimere con la forza e
la violenza tutte quelle posizioni che ricordano e negano la negazione fondamentale sulla
quale si regge. Così sul tappeto della storia quella ruota schiaccia e distrugge popoli, idee e
consuetudini, per riassorbirne e rimetabolizzarne i frammenti, in una gigantesca e mostruosa
opera di reintegrazione. Nei momenti in cui il sostegno economico non regge la prova del
passaggio – i momenti di crisi – essa si preoccupa di ampliare la base di produzione e di
alienazione, superando in tal modo con una nuova forma e nuove finalità culturali il
possibile distacco definitivo della sua separata vita (teologica, politica e naturale). Qui
l’artificio dell’immagine e l’innovazione razionale giocano un ruolo fondamentale,
nell’ingranare l’ultimo dei superamenti: quello relativo alla natura stessa. L’artificio della
produzione totalmente separata, perfettamente chiusa e circolare - fra materie prime, energia

157
di trasformazione, progetti e finalità intellettuali – usa la composizione di materia resa inerte
e rifiuto per garantire la rotazione continua e senza fermate del proprio ciclo riproduttivo. E
qui materia inerte e rifiuto diventa l’intera ecosfera terrestre. Con una soluzione ancora più
spinta e perversa: trasformare la prima ed ogni materia resa inerte in rifiuto, da riutilizzare
in una produzione circolare che non esca più dal suo ambito artificiale, se non per ricaricare
la potenza vitale della materia stessa. Ed il suo stesso circolo vitale separato.

158
La circolarità del sangue nella storia della civiltà occidentale.
A cura di Stefano Ulliana.

La particolare concezione sottesa alla circolarità del sangue nel sacrificio animale
effettuato dai culti religiosi greci – il sangue che sgorga dalla vittima, che viene spruzzato
sull’altare e viene sparso per terra, penetrando nei recessi degli inferi e così ritornando a
nuova vita (cfr. il mito di Persefone) sulla terra stessa - istituisce quella relazione verticale,
che innalza, sorregge e sostiene 112 tutto il sistema architettonico delle divinità olimpiche
greche, che viene così aperto ed astratto in uno spazio superiore d’immaginazione razionale.
Questo innalzamento si fonda su di un innesto verticale, atto a neutralizzare, chiudere ed
utilizzare quella potenza e quell’atto creativo e dialettico, che in origine esprimeva la vitalità
inarrestabile ed incontrollabile (il caos come simbolo dell’infinito) della dea/dio originari.
Ora questa vitalità viene appunto chiusa,
OLIMPO
considerata finita e così capovolta: viene in
O
R
F
realtà neutralizzata, per poter essere
I CIRCOLARITA’ DEL SANGUE
S strumentalizzata. Essa viene neutralizzata
M
O grazie – come si è visto in precedenza –
all’intervento combinato della simulazione
LINEARMENTE DETERMINATIVO (Hermes) di un’immagine (Apollo), che separa
l’atto e la potenza vitale originaria, prima
determinandoli secondo l’attività principale di
un artificiale distinto ed isolato – è la linea che
da Artemide/Efesto condurrà alla
ipersublimazione orfica – poi capovolgendoli secondo le finalità attuali ed eterne di una
mente separata (Zeus/Athena). Raggiunto questo punto finale nel tragitto dell’alienazione, è
l’azione stessa che può venire traslocata e subire la soggezione della eterodeterminazione,
trasformandosi e trasfigurandosi da naturale in razionale e dando così origine al luogo
sospeso all’interno del quale si svilupperà il processo della determinazione lineare: il
progresso cumulativo e continuo della civiltà, che si serve di cause strumentali adeguate agli
scopi collettivi proposti e procede esso stesso attraverso la dialettica discorsiva delle
posizioni. Qui si compie quello spirito, che potrebbe essere definito come olimpico positivo.
Vi è però poi una ulteriore accentuazione della separazione indicata in precedenza:
quando la potenza oscura della volontà divina – volontà di conquista e di dominio –

112
Esemplare a questo proposito è il sacrificio di cuccioli di animale (preferibilmente di cane, ma forse in determinati
casi pure umani) ad Ares, per l’inserzione fondamentale compiuta da questa divinità, motrice dell’innalzamento –
insieme alla combinazione Hermes/Apollo - dell’intero sistema olimpico.
pretende di autonomizzarsi e farsi libera volontà di potenza, chiara e distinta, tutta fondata
sulla propria capacità artificiale (Artemide/Efesto). Allora la vita infinita viene, non solo
chiusa, neutralizzata e strumentalizzata, ma persino giudicata in toto negativamente – vita
terrena di sofferenza e dolore – e negativamente così compulsata – vita dilaniata, che
prolunga la sofferenza ed il dolore sino al suo capovolgimento. Questo atto reattivo – sorto
dal terrore della morte come fine totale e definitiva dell’individuo – capovolge l’orizzonte
positivo vitale originario, felice e gioioso nel piacere comune che si viene
autodeterminando, in una forma distratta (distorta) di delimitazione mondiale negativa, per
la quale la stessa materia mondiale viene determinata come luogo di sofferenza e di morte
insuperabile, di espiazione per la stessa divinità in forma umana (il Dioniso orfico, poi il
Cristo Gesù cristiano). Questo atto reattivo – psicologico/sociologico/politico – costituisce
la fase successiva alla fase olimpica positiva e viene completamente definito dallo spirito
della posizione orfica (successivamente gnostica e manichea). Esso si realizza quando
l’astratto – fondato sull’alienazione della potenza ed atto originari della vita infinita – si
rende reale e separato in modo compiuto e definitivo: quando riesce a brillare della luce
autonoma della propria assoluta potenza artificiale, che lo porta a tagliare definitivamente i
rapporti con la natura e con l’umanità stessa, per collocarsi in un luogo nuovo, fonte di un
ordine nuovo, grazie al quale rivestirsi di una nuova corporeità immortale. 113
Sotto l’egida di Zeus sorge così una nuova divinità – mentre il suo orizzonte pare virare al
negativo – non più umana, né tanto meno naturale: sovrumana e sovrannaturale, piena e
completa (perfetta) nei suoi propri attributi, termine assoluto di riferimento per gli adepti di
una nuova religione. L’Uno necessario e d’ordine si è definitivamente incarnato come
assoluto, così portando a termine il processo di alienazione, che dall’infinito concreto e
reale inseparato è stato prima trasformato nell’infinito finiente astratto (legislativo), per poi
finire nell’infinito reale e concreto separato (legislativo, esecutivo e giudiziario). In questo
modo diventa evidente come, seguendo questo processo di progressiva e totale alienazione,
il teologico-politico abbia attraversato fasi diverse: dalla democrazia immediata e diretta
delle comunità contadine eleusine, alla democrazia di tipo oligarchico-borghese, con i tre
poteri separati (Atene), per finire nella tirannide a base popolare e schiavistica, con
un’organizzazione militare e burocratica perfetta, funzionale all’espansione del motore
economico (scambi commerciali/latifondo in Roma). Parimenti il naturale stesso viene
sottoposto ad un processo di trasformazione, alterazione e capovolgimento parallelo a quello
subito dal teologico-politico, ad ulteriore conferma – se ce ne fosse bisogno - che teologico,

113
Qui trovano la propria genesi immaginativo-concettuale gli automi magici della tradizione neoplatonica, mossi dalla
parola segreta, ma anche il mistero della resurrezione paolina, dei corpi resi gloriosi dalla parola e dalla rivelazione
divina finale (giudizio apocalittico).

160
politico e naturale vengono sempre mutuamente e reciprocamente definiti dalle diverse
posizioni speculative. Con la definizione e la determinazione - il concetto universale, si
potrebbe dire – dell’infinito finiente astratto, separato ed isolato, la vita infinita viene
scomposta e diagonalizzata, in due elementi divisi e contrapposti: la materia inferiore e lo
spirito superiore. Mentre la materia viene disattivata, lo spirito all’opposto viene caricato ed
assorbe ogni attività. Con il passaggio all’infinito separato la determinazione dell’azione
giunge in capo ad un organo direttivo egemonico, un agente che pianifica e rende concrete
finalità assolutamente separate, divine e soprannaturali (poi provvidenziali), non più
soggette ad alcun procedimento di tipo interdialettico e discorsivo. La natura comincia a
subire la sovranità di leggi stabilite e decise altrove ed altrimenti. Essa viene così annientata
definitivamente dalla e nella sua controfigura spirituale. Viene spenta nel suo profondo
creativo e annullata nella relazione dialettica, che fa intercorrere fra le sue parti od i suoi
elementi. Tanto, infatti, essa era aperta, creativa, dinamica ed inter-dialettica, in modo
immanente ed inalienato, quanto ora all’opposto viene chiusa, soffocata ed uccisa, per
essere trasfigurata nel suo stesso uccisore, lo spirito assoluto. Esso infatti accoglie su di sé le
spoglie morte delle potenze naturali, per resuscitarle a nuova vita
(Dioniso/Cristo/Frankenstein).
È grazie a questa uccisione e rinascita rituale e simbolica che fa la sua comparsa quella
triade verticale, che costituirà il nucleo essenziale della dottrina trinitaria cristiana: il Padre
(P), il Figlio (F) e lo Spirito Santo (SS). Grazie a questa triade la
sovradeterminazione assoluta maschile e patriarcale annulla la forma e (P)
la potenza della religiosità originaria (la Grande Dea Madre) ed
ingenera l’orizzonte di continuità di una vita conservata e mantenuta
SS)
integralmente – con tutta la persuasione o la forza e la violenza
necessarie – in un luogo astratto e separato: ora il grembo del mondo
(F)
deve obbedire all’ordine separato così costituito, che pertanto diviene
il modello terminale per tutte le successive istituzioni temporali
cristiane medievali. Soggezione nel lavoro, guerra e preghiera realizzano i tre gradini sociali
ed istituzionali, che concretizzano in ogni microcosmo locale il macrocosmo spirituale,
nelle sue tre funzioni principali del sostentamento (SS), dell’acquisizione (F, il Cristo
militante) e del governo saggio ed illuminato (P, benigno e severo).
Il mondo moderno riaffonda questa triade nel ventre e nel grembo di una natura/materia,
che è ora destinata a riaccogliere e fare propria l’impressione formale di un tale ordine
costituito, per dare svolgimento e sviluppo ad un piano - e ad una pianificazione - nel
contempo astratti e reali (Stato moderno). La continuità del linearmente determinativo, nella
trasmissione della civiltà classica all’età moderna, usa la normalizzazione delle spinte

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creative rinascimentali, decretata dal Concilio di Trento, per spingere fuori e disporre
l’apparenza di una nuova triangolazione superiore, dove la relazione orizzontale deputata
all’amministrazione dello spazio astratto (economico, sociale e politico) viene sussunta
entro la regolazione e la direttività di un potere assoluto (Consiglio del Re), che sigilla il
tempo reale dello sviluppo adeguato e lineare (tradizionale) delle forze che garantiscono una
riproduzione sociale statica, secondo l’ordine stabile ed immodificabile degli ordini feudali
(nobiltà, clero, terzo stato). Lo sviluppo delle forze produttive legato alla circolarità della
triade finanze/commercio/profitto – inizialmente bilanciato dal miglioramento
dell’organizzazione agraria (fisiocratismo) – spinge per la trasformazione egemonica del
terzo stato in stato primo ed unico, con una laicizzazione dell’assoluto che riassorbe,
sottomette ed apparentemente flette a proprio esclusivo vantaggio gli strumenti ideologici
della fase precedente, commutandoli nella costituzione dell’apparato della giustificazione
ideologica e nell’organizzazione per la difesa/offesa interna ed esterna. L’intellettuale
laicizzato della Rivoluzione francese – 1789-1792/3 – ora trasforma e trasfigura gli ordini
precedenti in classi: nascono così la proprietà, la classe media della burocrazia
amministrativo-giudiziaria e militare, la sortita della nuova classe dei produttori (proletari o
non). Il sorpasso dell’industriale sull’agricolo modifica ulteriormente la visione di
quell’astratto reale che è lo Stato, accentuando tutte quelle caratteristiche che nell’antichità
avevano fatto la fortuna delle concezioni orfico-platoniche: l’autonomia e la libertà
dell’apparato artificiale e produttivo, ora scientificamente innovato, organizzato e
pianificato. Qui entra a proposito il richiamo libertario del Romanticismo inglese – nella
critica civile di un testo come Frankenstein (or the modern Prometheus) – che prevede la
fase neo-tirannica successiva della società occidentale, l’imperialismo economico del
Capitale, attraverso la raffigurazione del suo strumento d’uso: l’umano non-umano (il
bestiale orfico appunto rinnovato). Fase che si prolunga attraverso due conflitti mondiali e
lungo l’intero secolo XX, nella battaglia prima contro l’antagonista ideologico interno – il
nazi/fascismo – poi contro quello apparentemente esterno, di un socialismo egualmente
astrattamente reale. Ripresentatosi vittorioso alla fine del secolo XX quale unico soggetto,
unico agente ed unico fine per una natura, una realtà ed una ragione sempre ed ancora
astratti, l’imperialismo economico, sociale, politico e scientifico del Capitale si va oramai
dispiegando mondialmente in modo di nuovo assolutamente totalitario e violento. Identità e
necessità unica e d’ordine, incarnata dalla e nella capitalità del profitto – la nuova forma
dell’infinito separato – la forma/materia di questo impero trasloca, trasfigura e deporta –
avendo acquisito e fatti propri hegelianamente gli strumenti antitetici dei precedenti
antagonisti (la violenza dell’ordine materiale e la formalizzazione organica del comando) –
la natura al piano astratto della realtà politica e questa al piano separato della direzione e

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governo economico del mondo. In questo modo la scienza stessa – naturale, biologica,
antropologica e teologica – viene ridotta ed adeguata a forme ideologiche funzionali alla
conservazione ed al mantenimento integrale della visione e della prassi dell’Uno necessario
e d’ordine (ora incarnato definitivamente e molto prosasticamente nella figura istituzionale
del presidente degli U.S.A.). La teoria del Big Bang – la forma laica e moderna che meglio
si appoggia alla visione creativa tradizionale, dove Dio esprime se stesso nell’universo dal
nulla apparente – la teoria della selezione fondata su di un progetto intelligente e
predeterminato – dove la vita resta sempre nel dominio separato di un dio astratto, sia per le
forme non-umane, che per quelle umane – il concetto di Dio come Identità assoluta – che
preclude nella negazione assoluta ogni forma di creatività e rivelazione continua, offrendo il
terreno di battaglia privilegiato per le nuove guerre politico-religiose – sono tutte forme
ideologizzate di scienza, con o senza la consapevolezza dei suoi attori principali: gli
scienziati. All’opposto, quasi a far rinascere anch’esse le antiche forme sapienziali e
religiose, stanno le aperture creative e dialettiche svelate dalla nuova fisica delle stringhe, 114
dalla biologia ed antropologia evoluzionista 115 e dalla teologia della creazione e rivelazione
continue. 116 Ma il Dio/Dea infinitamente aperto/a viene combattuto nella sua riemergenza
dalle forme laiche ed attuali dell’antico olimpismo ed orfismo (o gnosticismo e
manicheismo): ora la circolarità globale del sangue animale planetario (materie prime,
vegetali, animali, uomini), la sua rinnovata e continua aspersione e dispersione sacralizzata
– la guerra infinita – innalza un nuovo potere assoluto, quando la civiltà pare risorgere a
nuova vita, sugli effetti positivi del cumulo di macerie ed i rifiuti negativamente ingenerati.
Un nuovo potere assoluto ed una nuova volontà di dominio e di conquista si riaffermano –
infiniti – quando la contemporanea accentuazione orfica dell’olimpismo – l’artificiale che si
fa assoluto – appoggiandosi, nella persuasione, alla ineluttabilità e necessità del negativo,
che essa stessa ha in precedenza causato - chiede la sottomissione o la distruzione – globale
e generalizzata – delle nature, delle realtà e delle ragioni, che non si piegano e rimangono
creativamente, vitalmente e libertariamente irriducibili alla sua prigionia, al suo
soffocamento e alla sua deliberata eliminazione. La scintilla dell’antico credo e la sua
potenza immane ed inarrestabile, in una vita infinita, creativa e dialettica, dove il
movimento della libertà sia l’eguale amore, apre di nuovo il cammino alla rigenerazione
dello spirito concreto, reale e vero.

114
Cfr. Alan Woods, Ted Grant, La rivolta della Ragione. Milano, AC Editoriale Coop, 1997.
115
Cfr. Rupert Sheldrake, La rinascita della Natura. Milano, Corbaccio, 1993.
116
Cfr. Whitney Bauman, The Problem of a Transcendent God for the Well-Being of Continuous Creation.
In: <<Dialog: A Journal of Theology >> 46 (2), 2007, pagg. 120–127.

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