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Siamo più liberi nell'Era Digitale?

Scritto da MarioEs   
martedì 08 gennaio 2008

Una nuova discussione, stavolta a tre, sulla libertà nell'Era Digitale.

Oltre a PioB, che ormai nomino come mia "interfaccia filosofica" c'è stavolta Niki Costantini, che è stata definita la
sacerdotessa di aNobii.

Vi auguro buona lettura.

MarioEs: l’enorme ed il velocissimo sviluppo di Internet nelle sue componenti del Web e del “recente” Metaverso (Second Life,
al momento), ha amplificato ed accresciuto le forme di comunicazione che fino a solo dieci anni fa erano monopolizzate dai
mainstream media (Tv, radio, giornali).

Tutto ciò forse fornisce all’Uomo del XXI secolo l’idea di poter essere più libero rispetto al suo passato recente di “mero
consumatore” e di potersi svincolare da quella che è stata – ed ancora è in prevalenza – la sua identità di “funzionario
dell’Apparato Tecnico”.

Quello che vi chiedo di discutere in questo dialogo è se voi ritenete che l’evoluzione in forma digitale della comunicazione, con i
suoi social network, i social software, i blog, i wiki, il metaverso sia in qualche modo la dimostrazione che la libertà umana è
strettamente legata allo sviluppo degli strumenti di comunicazione (quindi una libertà essenzialmente “tecnica”) o se, invece,
la libertà è qualcosa di essenzialmente interiore ed è al contrario condizionata dagli strumenti di comunicazione, che in tal
modo non avrebbero altro risultato che quello di “omologare” la cultura e quindi di restringere, anziché accrescere, la libera
interpretazione del mondo da parte del singolo.

Oggi esistono molto probabilmente oltre novanta milioni di blog nel mondo ed un social network come Facebook ha oltre
quaranta milioni di iscritti, che si scambiano informazioni e le ormai famose “applications”.
Questo frenetico ed esponenziale aumento della comunicazione on line, a mio parere, è un segnale che deve essere interpretato
molto attentamente, ma la cui decifrazione è ancora molto ardua a causa della complessità del Web, che è un “network di
network” ed uno specchio della complessità sociale.

Giuseppe Granieri, esperto di comunicazione e giornalista, ha definito l’attuale stato come quello di una “umanità accresciuta”,
che grazie a queste “protesi digitali” riesce ad avere una conoscenza più ampia e stratificata della realtà.

Qui entrano in gioco i concetti di post-umano (l’uomo dalle protesi digitali, appunto), ma anche quelli più classici della filosofia
che hanno a che fare con l’attuale mancanza di senso della nostra esistenza e con quello che Nietsche chiamava “l’ospite
inquietante”, ossia il nichilismo.

Una società nichilista in senso tecnico, oltre che filosofico, come la nostra come può essere ancora libera? E libera in cosa e di fare
cosa? Come possono entrare in ciò le tecnologie digitali?

Niki: Bisogna prima di tutto identificare che cosa sia la libertà e chi sia questo Uomo del XXI Secolo, perché a me pare che
questi due concetti non siano universalmente applicabili. La maggioranza della popolazione mondiale rimane esclusa dal mondo
del web, con tutte le sue ramificazioni, emanazioni, mutazioni.
Dico subito allora che al progresso tecnologico non corrisponde un progresso culturale e sociale globalmente distribuiti. Il
concetto di ”umanità accresciuta” di Giuseppe Granieri è applicabile solo ad alcuni strati di alcune società.
Anche a voler ristringere l’area, considerando per questa discussione solo la realtà del mondo occidentale, pure qui ci sono ancora
ampie fasce di popolazione che non hanno accesso alle forme di comunicazione digitale (il digital divide è considerato a tutti gli
effetti una forma di povertà).

Questo di fatto ci rende “diversi” e rappresenta un fallimento del progresso tecnologico perché non è riuscito a ridistribuire in
maniera omogenea i suoi benefici.

Tornando al tema della discussione, allo stesso modo il diffondersi della rete non è garanzia di maggiore libertà, ne abbiamo
solo la percezione grazie al libero accesso a una grande quantità di informazioni in tempo reale. Questo paradossalmente è il
limite più grande alla libertà vera, perché nella maggior parte dei casi la rete non fornisce gli strumenti per poter usare in maniera
efficace queste informazioni.

Inoltre, far parte di questo meccanismo di interconnessioni ci priva in qualche modo della nostra individualità: tutto quello
che ci rende individui viene trasformato in dati che possono essere verificabili, controllabili, confrontabili, selezionabili. Quel che
spinge il paradosso al suo estremo è che noi, pur coscienti di questo, non possiamo né vogliamo farne a meno.

La libertà non è legata agli strumenti di comunicazione né a una dimensione interiore, se non circoscritta al singolo
individuo.
Sarò pragmatica: la libertà si ha quando si può scegliere, è la facoltà che tutti dovrebbero avere di agire e di pensare in piena
autonomia. Il risultato non va confuso con il mezzo: come nel XV Secolo con l’avvento della stampa era inutile possedere un
libro se non si sapeva leggere, oggi con la diffusione della tecnologia dell’informazione è completamente inutile averne accesso se
non si ha la capacità, la cultura per gestire e scegliere nel marasma delle informazioni.

La cultura in senso lato è anche la chiave per ribaltare il concetto di nichilismo: da ospite inquietante a mezzo di
emancipazione e progresso.

Piob: la libertà si rivolge all’essere della conoscenza, cioè a quella forma di pensiero che si studia senza l’ipoteca teleologica che
pretende di avere già pronta la verità da offrire.

In ciò la differenza con le altre specie viventi.

Ma la libertà cercata “esistenzialmente” mette in gioco ben altro che l’armamentario dell’intelletto. Quindi la necessità, che
si oppone alla libertà, nell’uomo non è il frutto dell’abitudine, un prodotto ovvio che evoca meccanicismi assurdi o ripetitività
disanimate.

Non esiste la libertà che si risolve in una forma del pensiero.

Essa è azione, conquista, potenza nietzscheana. C’è, invece, a mio giudizio, un’ipotesi mistica nelle affermazioni sull' "umanità
accresciuta": le protesi digitali danno l’idea di un apprendista stregone che risolve ogni sforzo sincero in caos peggiore di
quello che vuole ordinare.

È egoismo logico ritenere che la tecnica semplicemente amplifichi i percorsi della conoscenza e della libertà; non è il numero di
capitelli che rende il Partenone più solido.

La libertà non è escatologica: se io rendo libero me stesso in una comunità chiusa, questo non presuppone che tutti siano liberi
per questo.
Se io ritengo che la “rete” web renda liberi (a dispetto del termine che sa di cattura), come non pensare che sia ancora io a porre,
con un atto di libero arbitrio, la rete che uso mentre essa pensa di porre la libertà (protesi digitali)?

Si cade, così, dall’io solo, libero di scegliere tra tanti io, al solo io, parabola nichilista che Mario intuisce; nichilismo, in questa
veste, indossa i panni dell’uomo che da possessore di dignità ontologica diventa gestore confuso ed allucinato di
disumanizzante (il digitale) funzionalità (tecnologia al silicio).

Continua la discussione sulla libertà nell'Era Digitale.

MarioEs: mi viene da pensare a ciò che già Marshall McLuhan scriveva nel suo best seller “Gli strumenti del comunicare” a
proposito dell’Era Elettrica (Tv in particolare, ma non solo) e cioè che con l’elettricità l’umanità è stata improvvisamente e per la
prima volta unita in unico “abbraccio” o con le sue stesse parole: “Nell’era elettrica abbiamo come pelle l’intera umanità”.
Questa interpretazione è sintomatica del fatto di come i mezzi di comunicazione, a partire dall’Era Elettrica e continuando
nell’Era Digitale in maniera ancora più amplificata, siano una “estensione del nostro sistema nervoso centrale” e quindi di come,
per citare sempre McLuhan, il medium sia il messaggio e non il suo contenuto in sé e per sé.

Pertanto, pur concordando su ciò che Niki dice e cioè che il cosiddetto digital divide è sicuramente un limite per tutte quelle
popolazioni del mondo (e del nostro Paese …) che ancora non hanno accesso alla Rete o al broadband, è pur vero che oggi circa
poco meno di un miliardo di persone utilizzano Internet e la crescita continua inarrestabile.
Questo stato dell’arte dello sviluppo di Internet ci può far asserire sin da oggi che l’umanità è ancora più “stretta” di quanto non lo
fosse nell’Era Elettrica: il mondo, come direbbe Zygmunt Bauman, è chiuso, ossia non ci sono più terre di frontiera inesplorate,
siamo tutti in qualche modo interdipendenti e vincolati ad un destino sempre più comune, come del resto ad esempio l’emergenza
clima, ma non solo, ci sta insegnando.

Sempre secondo McLuhan, ogni nuovo mezzo di comunicazione in qualche modo crea uno shock nel tessuto sociale e nella
psicologia individuale proprio in quanto messaggio oltre che mero medium ed il risultato è spesso – se non sempre - quello dell’
“asservimento dell’uomo al mezzo”, l’uomo che diventa funzionario della Tecnica direbbe Galimberti.

Se è vero che ogni nuovo strumento di comunicazione aggiunge il proprio messaggio “a ciò che noi già siamo” è anche vero che
ci sono – sempre per McLuhan – dei “punti di rottura” che segnano il passaggio in cui il sistema (inteso in tutte le sue componenti
sociali, culturali, economiche, ecc…) si muta in un altro o comunque raggiunge un nuovo stadio intrinsecamente diverso dal
precedente e – soprattutto – irreversibile.

L’Era Elettrica è stato il primo grande punto di rottura con il passato con il suo messaggio di abbattimento dei vincoli spazio-
temporali, che però ben presto si è trasformato in un effetto di omologazione culturale e di disintegrazione della psicologia
individuale nel senso di annichilimento dell’interiorità e della sua originaria differenza tipica della società pre – tecnologica
(pensiamo solo al processo di atomizzazione individuale e di disintegrazione sociale).

Ne è conseguito un processo di identificazione dell’uomo in quella che è la rappresentazione della realtà offerta dai media di
massa e la nascita di un “comune sentire” più virale di qualsiasi ideologia totalitaristica mai esistita.
In tale contesto, la libertà dell’Uomo si è sostanzialmente ridotta a libertà – per chi ci riesce – di ruoli funzionali all’interno del
Sistema-Apparato Tecnico se non ad una mera illusione di creare una sorta di muro tra la propria vita pubblica e quella privata
all’interno delle rassicuranti pareti domestiche e dei confini della propria cerchia affettiva.

Questo “annichilimento” interiore è dovuto al fatto che l’Uomo non è più il centro attorno a cui ruota il Sistema (diciamo il
proprio micro-sistema), ma uno strumento che serve allo sviluppo afinalistico del Sistema caratterizzato dallo scopo superiore ed
inevitabile del potenziamento tecnico e della crescita economica e dai criteri di utilità, efficienza e produttività.

L’irresponsabilità, l’apatia e l’aggressività sono alcuni dei comportamenti, a mio avviso, più palesi di come questo Uomo-
strumento reagisce alla sua intrinseca inutilità e alla mancanza di senso che ormai avverte attorno a sé e che la politica non riesce a
fornirgli in quanto è essa stessa asservita al Sistema Apparato ed incapace di scegliere una direzione che non sia quella della auto-
perpetuazione del proprio potere consolidato.
In questo per certi versi desolante o per lo meno decadente stato di cose, siamo transitati nell’Era Digitale da circa dieci anni e da
almeno quattro ci stiamo confrontando con nuove realtà come il Web 2.0 ed i social network.

A sentire le voci che riecheggiano nella Rete, dovremmo trovarci ad una svolta – al “punto di rottura” di cui parlavo prima, ma i
dubbi che si affollano nella mia mente sono sempre tanti.
Se è vero che il medium è il messaggio, quale potrebbe essere il messaggio del Web 2.0 e quale potrebbe essere quello del “next
big thing” che riguarderà la Rete che possa creare lo shock sufficiente a destare dal “torpore narcisistico” in cui è piombato
l’Uomo a causa della tecnologia elettrica e della prima infatuazione digitale?

Esistono secondo voi spazi perché la tecnologia digitale cortocircuiti un meccanismo ormai fin troppo consolidato in modo da
recuperare la “libertà di scelta” di cui Niki parlava o il destino post-umano è sempre più diretto verso un allucinato (o
narcotizzato?) dis-umano come crede forse Pio?

Tags: brain 2 brain blog 2 brain Libertà Post Umano Era Digitale web 2.0

Piob: la scelta nasce dal desiderare qualcosa ed il solo oggetto profondo è quello dell’oggetto.
L’uomo non desidera ciò che gli manca, nemmeno di ciò a cui manchiamo ma di ciò a cui non manchiamo.
Soltanto questo è l’altro nel senso vero dell’espressione: esso è l’alterità esistenziale che esiste indipendentemente da noi ed è
quindi perfezione estranea a noi e che desideriamo.

Ecco cosa è, per me, il mondo di web 2.0: non è semplicemente prendere la multimedialità per oggetto, ma farlo diventare
oggetto, evidenziarne l’alterità nascosta sotto la pretesa realtà.
Le conseguenze emotive, di cui parla Mario, sono evidenti: le emozioni nascono dal percorso che compio nel desiderare l’altro: la
stessa illusione della fine di un’era digitale per l’inizio di un’altra.

In realtà, io credo che si potrebbe anche dire “disillusione della fine” oppure “fine dell’illusione” (quella definita “next big thing”):
l’illusione che il medium digitale cambiasse, liberasse, l’uomo. Ma esso è sempre schiavo delle sue primordiali passioni:
aggressività, apatia, assuefazione appunto.

Nel web 2.0 ci troviamo all’interno di uno spazio instabile in cui le regole umane (progressività del tempo, linearità degli eventi,
principio d’identità, esclusività dei luoghi) non funzionano più.
Al suo posto c’è una curiosa reversione delle cose che realizza tutto sulle proprie traccie (web 1.0) per potersi poi cancellare.
Secondo me, ed in questo rispondo a Mario ed invito Niki ad interagire, il problema origine-fine, vale a dire la linearità e la
continuità delle cose che ci permetterebbe di individuarne il senso, è esattamente ciò che in qualche modo ci sfugge.

Niki: Proprio della “disillusione della fine” si tratta.


Perché il principio del medium digitale non è il digitale ma l'uomo stesso, organico, quindi soggetto e schiavo della sua organicità.
L' élan vital che diede origine all'era digitale, e quindi anche alle mutazioni del Web 2.0, trae origine dall'uomo biologico e ne
rispecchia in modo parallelo tutte le caratteristiche, la forza e la debolezza.
Cos'è, infatti, il Web 2.0 se non una emanazione dell'umanità e l'espressione della ricerca di motivazione e soddisfazione dei suoi
bisogni fondamentali?

La piramide di A. Maslow trova espressione anche nella realtà digitale, a cominciare dalle motivazioni/bisogni primarie. A
tutt'oggi (e secondo me anche per il prossimo futuro) la realtà digitale non riesce a trascendere dal “sé” di concezione junghiana e
quindi dal bisogno di doverlo realizzare.

Se si tralasciano bisogni prettamente fisiologici, quelli immediatamente successivi restano gli stessi: sicurezza e protezione,
appartenenza, stima e successo, bisogno di realizzazione del sé.
Gli archetipi rimangono immutati perché la rete stessa si basa su questi archetipi, che rappresentano la sua “matrice organica”.
Ecco quindi spiegata “la fine dell'illusione (quella definita “the next big thing”: l'illusione che il medium digitale cambiasse,
liberasse l'uomo”).

Ritengo che proprio in questo fallimento bisognerebbe identificare la linearità e la continuità delle cose auspicata da Piob, la
conservazione dell'imprinting biologico della rete, anche se liberato dalla concezione di “singolo” per espletarsi nel concetto di
“organismo collettivo”, quello che secondo MarioEs si esprime con il “comune sentire”.

In questo contesto, the next big thing non potrà che essere la rottura dei vincoli biologici, perché come scrive André Gorz “la
contraddizione tra i saperi e i bisogni corporali, da una parte, e i “bisogni della megamacchina tecnoeconomica, dall'altra, è
diventata patogena”.

E ancora, secondo George Dyson, gli umani sono diventati i “colli di bottiglia per la circolazione e il trattamento delle
informazioni e delle conoscenze”.
Scontato quindi che la vera next big thing si identificherebbe solo con il definitivo superamento dell'obsolescenza umana.
E con l'apertura della riflessione sull'etica del post umano.

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Ultima parte del dialogo sulla libertà nell'Era digitale.

Colgo l'occasione per ringraziare gli amici Niki Costantini e PioB, con i quali penso che sicuramente "imbastiremo" altri
interessanti dibattiti .

Buona lettura.

PioB: la libertà è fuori campo, fuori-scena, la messinscena della democrazia del web 2.0 finita… seppellita sotto i commenti,
murata nella celebrazione estetica (il web designer) è allucinazione. Quello che dispiace, “next big thing”, è la circolazione della
libertà come oggetto estetico da preferire.

Nel festival, nelle gallerie multimediali, nei musei di SL, l’immagine fa scorrere messaggi, sentimentalità, libertà .
E’ la tecnica che dà alla foto il suo carattere originale.
E’ tramite il tecnicismo che il nostro mondo si rivela radicalmente non libero. E’ la libertà dell’immagine in SL che,
paradossalmente, rivela la non libertà del web 2.0.

La tecnica, come dice Galimberti, porta alla somiglianza, nel cuore dell’apparenza: il neon fa apparire la luce solare, la imita, la
illude.

Quindi il mondo in sé stesso non somiglia a niente; in quanto libertà e privazione dell’immagine della realtà essa invece ha a che
fare con molte altre cose, altrimenti identificabili tra loro: la relazione fa il mondo.
E qui interviene il fattore est-etico della libertà .

Non esiste libertà o prigionia, ma libertà bella e/o brutta, in un gioco in cui l’immagine copre il ruolo primario, come quando si
rappresenta la foto di un ragazzo gotico che porta per il guinzaglio la sua donna.

Niki: Condivido l'opinione di Pio.

La sfida è perduta, non solo seppellita sotto il ciarpame estetico e il tecnicismo, il web 2.0 non è democratico, la sua democrazia,
se mai ce ne fosse una, viene vissuta e consumata al suo interno.
E' la grande dicotomia del mondo reale che viene rispecchiata anche dalla rete.

Anzi, la rete, mantenendo gli archetipi dell'essere umano non fa che aumentare lo spazio virtuale tra “noi” e “loro”.
Dove, anche nel “noi” “l'immagine copre il ruolo primario” come ribadito da Pio. Non si vive il mondo tra le maglie della rete, se
ne hanno degli spaccati, degli scorci, se ne subiscono gli echi e le onde d'urto “Che il mondo esterno pensasse a se stesso: nel
frattempo era follia addolorarsi o pensare. Il principe si era preoccupato di provvedere a tutti i mezzi di divertimento: vi erano
buffoni, "improvvisatori", ballerini, musicanti, vi era la Bellezza, vi era il vino. Tutte queste cose e la sicurezza regnavano là
dentro: fuori infuriava la "morte rossa.” (E. A. Poe).

MarioEs: non esiste né libertà né democrazia mi dite, ma riflettiamo un attimo.


Parto dalla democrazia.
La democrazia, come ho già avuto modo di dire su Brain 2 Brain, non è un concetto assoluto, ma ha varie componenti che
essenzialmente sono quella politica, quella sociale e quella economica.

Soprattutto, poi, non và confuso il concetto di democrazia con quello di democraticità, che è il livello materiale di attuazione e
sviluppo della democrazia.
Ciò premesso, mi pare che il Web non abbia, innanzitutto, alterato in peggio la democrazia ed il livello di democraticità
riscontrabile dieci anni fa nella società “pre - digitale”, ma anzi abbia e stia contribuendo a diffondere il pluralismo delle
molteplici opinioni dei suoi “abitanti”, determinando quindi lo sviluppo di un processo di crescita democratica - ancora agli albori
- nella componente sicuramente politica e sociale ed un pò meno, forse, in quella economica.

L’orizzonte temporale che stiamo analizzando, dopotutto, è di “appena dieci anni”, ma in questo esiguo arco temporale sono
invece accadute tante cose rispetto a “prima”: il fenomeno dirompente della blogosfera, dei social network ed ora del metaverso
(siamo in una fase di accelerazione).

L’Uomo, per la prima volta, può non solo produrre oltre che consumare cultura, ma anche distribuirla a costi pressoché nulli: e
tutto questo vi pare poco o, addirittura, nulla?

Solo cinque anni fa questa nostra discussione sarebbe molto probabilmente rimasta su e-mail o addirittura mai memorizzata (e
quindi mai esistita?), adesso la pubblichiamo e la rendiamo condivisibile ed immediatamente fruibile – oltre che persistente - al
“popolo del Web”.

La democrazia, dunque, è sensibilmente aumentata se la intendiamo anche come partecipazione della gente al dialogo o dibattito
collettivo e come processo di “rottura” dal precedente monologo collettivo rappresentato dai mass media e dal suo risultato più
subdolo, ossia l’omologazione culturale.

Poi la libertà.

Pio ne fa un fatto estetico, Niki non ne vede in funzione degli “altri” che soffrono (“fuori infuriava la morte rossa”, citando Poe).
In realtà, io ritengo che uno dei portati più dirompenti dell’Era digitale, iniziato con l’era elettrica, sia che non esista un “fuori” ed
un “dentro”, ma un tutto in cui l’umanità è sempre più unita in un unico “abbraccio” (McLuhan) e ricoperta da un’ ”unica pelle”.

Non è più possibile, dunque, pensare ed agire come “noi” e “loro” e questo fatto la Rete ce lo “sbatte” in faccia, più che
nascondercelo.

Sono piuttosto molteplici e divergenti le reazioni a questa tendenza unificante della Rete, dominate da influenze culturali pre -
tecnologiche, da miti identitari, da ideologie xenofobe, da interessi utilitaristici delle elite del capitalismo neo liberista, tutte cose,
badate bene, radicate nell’animo umano ed indipendenti dal Web e dal “suo spirito”, che anzi cerca di muoversi in senso opposto
in direzione di un’ anima “open”, di condivisione, di collaborazione e di produzione non commerciale.

Se oggi grazie al Web 2.0 possiamo produrre i nostri contenuti per un mercato non commerciale vuol dire che “qualcosa” sta
cambiando nelle “proporzioni e negli schemi dei rapporti umani” (sempre McLuhan) e che la libertà senza dubbio sta
aumentando, anche se non ancora per tutti.

Qualcosa di davvero nuovo sta accadendo ed il cui portato è ancora troppo presto da comprendere per poter poi proiettarlo nei
suoi possibili sviluppi futuri, che molto probabilmente sono già prossimi ad un bivio evolutivo.
D’altronde non è dell’ “assoluto” di cui stiamo parlando, ma del viaggio che l’umanità ha intrapreso da un pò di tempo ampliando
le proprie strade di comunicazione : dalla terraferma al digitale.

La storia insegna che un tale ampliamento, come accadde per la stampa, dovrà “creare” nuovi pattern evolutivi e culturali.
Le premesse ci sono: io ci spero.

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