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di Jean Leclercq
Liturgia
sommario: 1. Introduzione. 2. Liturgia e scienza liturgica. 3. Liturgia e storia. 4. Liturgia e
teologia. 5. Liturgia e scienze umane. 6. Liturgia e linguistica. 7. Liturgia e missionologia.
8. Liturgia ed ecumenismo. 9. Liturgia e incontro delle religioni. 10. Liturgia e politica. 11.
Liturgia e arte. 12. Liturgia e musica. 13. Secolarizzazione e celebrazione. Bibliografia.
1. Introduzione
Nella storia della liturgia cristiana il XX secolo figurer senza dubbio, e anzi gi figura,
come il pi importante dopo il I: allora, infatti, la liturgia cominci a esistere; nel nostro,
invece, si trasforma in modo assai pi profondo di quanto non abbia mai fatto nel passato,
pur conservando i suoi caratteri essenziali e costitutivi. Come indica il termine stesso
(derivato da una parola greca), la liturgia un servizio' che la Chiesa rende a Dio sotto
forma di culto; in un'epoca in cui la Chiesa e la societ umana nella sua globalit sono
soggette a mutamenti che non trovano precedenti nell'era in cui viviamo, anche se il
mistero cristiano e la natura umana non hanno subito modifiche radicali, naturale che la
concezione e l'espressione di un culto, immutato nella sua essenza, assumano forme sino
a quel momento sconosciute. Ne scaturisce una serie di problemi non soltanto nuovi, e
numerosi, ma tra loro connessi: ormai ogni discorso sulla liturgia deve necessariamente
richiamarsi a diverse discipline. Esse saranno dunque qui interrogate, una dopo l'altra, in
merito ai problemi che la liturgia pone, oggi e per il futuro.
2. Liturgia e scienza liturgica
Da quando la liturgia viene studiata con metodo scientifico, cio soprattutto a partire dal
sec. XVII, essa stata essenzialmente oggetto di ricerche storiche. Cos stato fino agli
anni trenta. E indicativo che la pi ampia enciclopedia allora pubblicata sull'argomento
portasse il titolo Dictionnaire d'archologie chrtienne et de liturgie: il concetto di liturgia
era collegato a quello di passato. M. Audrieu, uno dei pi eminenti eruditi in questa
materia, evitava qualsiasi considerazione di carattere dottrinale; successivamente, sotto
l'influenza di autori come A. Baumstark, studioso di liturgia comparata', e come R. Guardini,
L. Bouyer, J. Danilou o, fra gli anglicani, G. Dix, la scienza liturgica allarg il suo orizzonte
fino a includervi tutto quello che, nella vita della Chiesa, ha rapporto con il culto:
predicazione, pratica della vita cristiana, attivit pastorale e, soprattutto, teologia della
Chiesa stessa e dei misteri che essa celebra, in particolare l'eucaristia, gli altri sacramenti,
e le feste. Tale disciplina ormai costituita e viene largamente studiata.
Essa assolve ora una funzione nella vita della Chiesa, svolge un ruolo nell'evoluzione
stessa della liturgia. E tale funzione consiste nel formulare un giudizio critico su quel che la
liturgia , in una data epoca, e sul suo divenire. L'esercizio di questa funzione critica ha
preparato la riforma attuata dal Concilio Vaticano II, che ne ha riconosciuto la legittimit: i
liturgisti hanno posto in evidenza ci che vi era di inadeguato nella precedente pratica del
culto, hanno indicato le vie del rinnovamento; l'autorit ha fatto ricorso alla loro
competenza. Essi, di concerto sia con la gerarchia ecclesiastica sia con il popolo cristiano,
devono continuare a formulare giudizi su quel che viene realizzato al fine di migliorarlo
incessantemente.
Per essere in grado di assolvere il loro compito, essi debbono ricorrere in primo luogo alla
teologia, che offre loro sicuri criteri di interpretazione; in secondo luogo alla storia che
consente loro di collocare l'odierno indirizzo riformatore in rapporto alla tradizione; poi alla
esegesi del Vecchio e del Nuovo Testamento e alla patristica, poich il culto attinge
largamente da queste fonti cristiane', cio la Bibbia e le opere dei Padri della Chiesa. Ma
debbono anche richiamarsi a scienze la cui applicazione in questo campo nuova: in
particolare alla psicologia, alla sociologia e alla fenomenologia. Quest'ultima descrive
l'essere dell'uomo nella sua concreta situazione storica, nel suo Dasein, come si dice in
tedesco; cerca di trovargli un senso, un orientamento in base alle sue aspirazioni pi
profonde, a un livello in cui si colloca l'esperienza del sacro: il problema dei rapporti fra il
profano e il sacro sottender tutto quello che d'ora in poi verr detto a proposito della
liturgia nel nostro secolo.
3. Liturgia e storia
Allo studio di ci che la liturgia stata nel passato si sempre lasciato, nella riflessione
avente per oggetto il culto cristiano, un posto di primaria importanza (importanza che
talvolta fu anche eccessiva, nella misura in cui fu esclusiva, o quasi): la storia, in questo
settore, ha fornito materia a innumerevoli studi di carattere generale e a numerosi lavori di
tipo monografico. E qui necessario ricordare almeno brevemente un capitolo di questa
lunga storia, perch esso chiarisce il modo in cui si pongono oggi i problemi di teologia
della liturgia: il capitolo che riguarda il sec. XX sin dai suoi inizi. Durante il Medioevo, il
culto cristiano aveva assunto la forma di una liturgia clericale', nel senso che solo, o
quasi, un'lite culturale, composta di chierici e monaci, era in grado di comprenderne il
significato ed esercitava un ruolo nella sua evoluzione. I protestanti del sec. XVI avevano
criticato questo stato di cose. La riforma cattolica, alla quale rimane legato il nome di san
Pio V, aveva portato soprattutto a fissare e uniformare testi e riti che subivano continue
variazioni a seconda dei tempi e dei paesi, senza tuttavia contribuire in misura notevole a
un effettivo inserimento della pratica liturgica nella vita quotidiana del popolo cristiano:
alcune devozioni' si erano quindi sviluppate al di fuori della liturgia. Nel sec. XIX dom
Guranger, abate del monastero benedettino di Solesmes, in Francia, dal 1837 al 1875,
ebbe il merito di porre in evidenza con le sue opere il posto centrale che spettava al culto
nella vita della Chiesa; ci facendo egli si era prefisso di restaurare un passato, d'altronde
ancora poco conosciuto, e di vedere nella liturgia di Romal'unico modello di manifestazione
della vita cultuale.
Questo religioso e altri aprirono la via all'opera di san Pio X, che, in un
famoso Motu proprio del 22 novembre 1903, dichiar che la partecipazione attiva dei
fedeli ai misteri cristiani" era la fonte primaria e indispensabile dello spirito cristiano". Sei
anni dopo, un benedettino belga, dom L. Beaudouin, dichiarava: Bisognerebbe
democratizzare la liturgia". Egli stesso e altri, in particolare I. Herwegen, dal 1913 abate di
Maria Laach, I. Schuster, abate di San Paolo fuori le Mura, poi P. Parsh in Austria, O. Casel
inGermania, realizzarono e promossero nella prima met del sec. XX un vasto sforzo di
ricerca in tre settori: quello della conoscenza storica, quello della riflessione teologica, e
quello del contributo che la celebrazione del culto apporta alla funzione pastorale che la
Chiesa esercita nei confronti dei fedeli. Nel 1943, su iniziativa del domenicano P. Duploy,
veniva fondato in Francia un Centre de Pastorale Liturgique.
Quello che allora si chiamava movimento liturgico' si andava intensificando e sviluppando
in Spagna, in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile e in molti altri paesi. Innumerevoli
pubblicazioni, di carattere erudito o divulgativo, facevano conoscere i risultati di tutti questi
lavori, i problemi e le soluzioni che si cercava di dare. Nel 1956 ebbe luogo ad Assisi il
primo Congresso internazionale di pastorale liturgica. Gi da parecchi anni la Santa
Sede aveva cominciato a modificare talune pratiche desuete, rinnovando, per esempio, la
veglia pasquale. Gli studi eruditi del gesuita J.A. Jungmann, del benedettino B. Capelle e di
altri, hanno fornito una guida illuminante su questo tema. Un'opera pubblicata per la prima
volta in francese nel 1961, e da allora continuamente ristampata e tradotta in altre lingue,
ha costituito una summa di questa scienza storica della liturgia. Il titolo dell'opera
L'glise en prire. Introduction la liturgie. E stata redatta da un gruppo di eminenti
studiosi, diretti da A. G. Martimort che doveva svolgere un ruolo fondamentale nella
redazione della Costituzione del Concilio Vaticano II sul rinnovamento della liturgia.
La convergenza di tutti questi sforzi port, infatti, alla stesura di questo testo, promulgato
nel 1963. Successivamente un comitato esecutivo, denominato Concilium, ricevette dalla
Santa Sede l'incarico di preparare nuovi testi per tutte le manifestazioni della vita cultuale;
in una decina d'anni l'opera stata quasi interamente portata a termine. All'inizio degli anni
settanta si pot cominciare ad apprezzarne gli aspetti positivi e i limiti. Il Concilio aveva
riconosciuto la legittimit di riti diversi, l'esigenza di un certo decentramento, la necessit
di una concezione teologica fondata sulla Scrittura e sulla tradizione. In realt taluni
lamentano che la parte affidata alle sperimentazioni' non abbia avuto spazio e tempo
sufficienti. Come in tutti i periodi di transizione, i progressisti' si oppongono ai
conservatori'. Ma la ricerca prosegue, e l'opera immensa gi realizzata, nonostante le
notevoli difficolt, permette di discernere in quale direzione proseguir l'evoluzione.
4. Liturgia e teologia
Durante il sec. XX nell'elaborazione di una teologia della liturgia hanno fatto epoca tre
opere che si sono sviluppate secondo una medesima direzione pur completandosi e
perfezionandosi a vicenda.
La prima fu quella del benedettino tedesco O. Casel, morto nel 1948. Egli pose l'accento
sul fatto che il culto un'azione' che rende presente' un mistero': un evento che ha
realizzato la salvezza viene attualizzato in un rito; il culto cristiano partecipe della storia
della salvezza nel senso che la continua e rende la salvezza stessa realmente presente l
dove il culto viene celebrato. Questi concetti fondamentali furono ulteriormente sviluppati e
suffragati con argomentazioni di carattere filologico e dottrinale che diedero adito a
discussioni. Ma, saldamente fondati sulla tradizione patristica, a poco a poco si imposero.
Sta di fatto che se ne ritrova l'essenza nell'opera liturgica di Pio XII, e in modo particolare
nella sua enciclica Mediator Dei,pubblicata nel 1947. Questo documento costituiva la
prima sintesi dottrinale presentata dal magistero romano in merito alla liturgia. Malgrado le
imperfezioni, che non si mancato di rilevare, sul piano dell'informazione e sulla
riflessione che ne derivava, esso impose all'attenzione il fatto che il culto deve essere
studiato da un punto di vista non giuridico o estetico, ma teologico. Esso dava questa
definizione: La liturgia il culto pubblico che il nostro Redentore, capo della Chiesa,
rende al Padre Celeste, e che la comunit dei fedeli rende al suo fondatore, e, per suo
tramite, al Padre". La liturgia viene presentata come la continuazione ininterrotta' del culto
che Cristo ha reso al Padre durante la sua vita terrena: per mezzo della liturgia la Chiesa,
comunit che ha per fine primo il culto, rende Cristo presente' fra gli uomini nei suoi
misteri'. Nell'enciclica, cos come nelle opere di Casel, viene posto l'accento sull'azione'
cultuale nella quale il Corpo partecipa a questa salvezza realizzata dal Capo. Tuttavia, Pio
XII insiste, in modo da molti ritenuto eccessivo, sul ruolo dei sacerdoti, degli altri ministri e
dei religiosi deputati a questa funzione, che esercitano il culto in nome della Chiesa".
L'ulteriore progresso da realizzare era quello di mostrare che tutti i membri del popolo di
Dio partecipano in egual misura, anche se in maniera diversa, alla celebrazione del
mistero liturgico.
Doveva esser questo uno dei principali apporti del Concilio Vaticano II. Successivamente
alla Mediator Dei, Pio XII promulg alcuni altri documenti che diedero l'avvio alla riforma
della liturgia romana in una prospettiva pastorale. Ma si dovette attendere il Concilio
perch fosse intrapreso un rinnovamento coraggioso, prendendo le mosse da una teologia
fondata ancora sul concetto, tradizionale ma approfondito, della presenza del Cristo
operante'. Fin dalle prime pagine della Costituzione Sacrosanctum Concilium (SC) l'atto di
culto presentato come il momento della storia della salvezza" in cui viene attualizzata
l'opera della nostra redenzione, in modo tale che attraverso essa il mistero di Cristo e la
stessa autentica natura della Chiesa si esprimano nella vita e si manifestino agli altri"
(SC2). La parte successiva del documento non fa altro che sviluppare questa definizione e
trarne le conseguenze.
In quanto azione di Dio fra gli uomini, la liturgia un annunzio profetico dell'amore eterno
che si comunica nella salvezza; costituisce anzi il momento ultimo, definitivo e, in tal
senso, escatologico, di questa storia: insegna il senso di quel che fu predisposto sotto
l'Antica Alleanza e che si compiuto nel Cristo, di quel che viene continuato nella Chiesa
e si concluder nella gloria del Regno. Essa realizza la santificazione degli uomini
attraverso un insieme di segni e in virt della proclamazione della parola di Dio. Per
questo comporta essenzialmente letture tratte dalla Bibbia, il cui scopo non solo quello di
istruire i fedeli, ma di rendere presenti in mezzo a loro i misteri di cui quei testi parlano. Per
lo stesso motivo l'omelia viene rivalorizzata come inerente al mistero eucaristico, come
elemento necessario dell'azione liturgica, e deve consistere nel commento dei passi della
Scrittura letti di volta in volta ai fedeli. In primo luogo necessario che il testo venga
compreso: la sostituzione delle lingue viventi al latino nella logica di questa riforma, e ha
suscitato una nutrita corrente di riflessioni teologiche sul ruolo della predicazione e sul
modo in cui deve essere tenuta.
Dato che la redenzione l'elemento centrale della salvezza, quindi della liturgia, al mistero
pasquale viene nuovamente dato risalto, e il calendario deve essere modificato allo scopo
di far meglio comprendere che tutto il ciclo della storia umana e dell'anno cristiano porta
alla Pasqua e da questa illuminato. Questo vale anche per tutti i testi che esplicitano il
contenuto dei riti e dei sacramenti. E a questa manifestazione di amore proveniente da Dio
deve corrispondere l'amore dell'uomo che, liberamente, accetta di credere al mistero, vi
partecipa attivamente, consente che tutta la sua esistenza ne sia pervasa.
La grande innovazione della costituzione conciliare consistita in un ritorno
all'ecclesiologia della tradizione antica ponendo in luce che l'azione liturgica non soltanto
opera di sacerdoti, di ministri o di persone delegate a tale compito in nome degli altri
cristiani: Le celebrazioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa,
che sacramento di unit, cio popolosanto radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi.
Perci tali azioni appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano;
tutti i membri vi sono impegnati in diverso modo, secondo le diversit del loro stato, delle
loro funzioni e della loro attiva partecipazione" (SC26). In realt il sacerdozio comune dei
fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano, sono tuttavia
ordinati l'uno all'altro, poich entrambi, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico
sacerdozio di Cristo" (Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, n. 10). Tutta
l'ecclesiologia che era implicita nella Costituzione sulla liturgia, la prima promulgata dal
Concilio, venne sviluppata dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa; la riforma globale
della liturgia, che fece seguito al Concilio, ne costitu la realizzazione concreta. Non si
ancora finito di trarne tutte le conseguenze di ordine pratico e dottrinale: il Vaticano II ha
provocato un profondo rinnovamento della teologia della liturgia.
5. Liturgia e scienze umane
Una fra le conquiste della teologia della liturgia durante il XX secolo, conquista che fu
anche sancita dal Concilio Vaticano II, stata la rivalutazione del fatto che il popolo di Dio
deve partecipare attivamente alla celebrazione del culto. Ammesso questo principio,
compito delle scienze umane studiare come potr esser tradotto in pratica: l'autorit, che
aveva il potere di ribadirne la validit, non pu imporne le applicazioni concrete senza
tener conto dei criteri oggettivi che possono essere forniti dalle discipline che studiano il
comportamento umano. Questo in particolare compito della psicologia che cerca di far
conoscere l'uomo fin nei suoi strati psichici pi profondi, e della sociologia che analizza i
comportamenti collettivi: e ci in quanto la celebrazione impegna totalmente l'individuo ed
anche un'attivit di gruppo. Prima degli anni settanta, il problema dei rapporti tra
psicologia e sociologia da un lato e liturgia dall'altro non era stato affrontato che
raramente, anche se dal 1936 al 1938 era uscita negli Stati Uniti una rivista dal titolo
'Liturgy and sociology". Oggi tale problema costituisce oggetto di indagini dalle quali si
possono ragionevolmente attendere molti risultati interessanti.
La principale difficolt consiste nel fatto che la liturgia coinvolge elementi di natura diversa:
si tratta di stabilire dei rapporti con Dio e al tempo stesso con gli uomini; di celebrare un
mistero ricevuto per via di rivelazione e comunicazione divine, e che un'istituzione, la
Chiesa, deve trasmettere fedelmente, e tale celebrazione ha luogo in una comunit di
esseri umani, tra i quali crea una forma di comunione religiosa e spirituale di ordine
interamente diverso da quello dei normali rapporti che gli uomini possono intrattenere tra
loro. Questa realt si compie nel tempo e nello spazio pur trascendendoli; viene ricevuta
attraverso una tradizione che si sviluppa nel corso della storia e che, tuttavia, non
unicamente il prodotto di una crescita dell'umanit. Vi continuit del contenuto
essenziale, ma anche evoluzione di forme esteriori che possono giungere non soltanto a
non manifestare pi il mistero, ma addirittura a nasconderlo agli occhi degli uomini, anche
se credenti. Quel che era destinato a tutto il popolo dei fedeli pu sia degradarsi fino a
divenire null'altro che una manifestazione folcloristica pi vicina alla superstizione e alla
magia che a un culto autentico, sia limitarsi a soddisfare le aspirazioni dottrinali e
intellettuali o le forme estetiche di una sorta di aristocrazia. Spetta dunque a una corretta
applicazione dei metodi psicosociali stabilire come si possa celebrare il mistero cristiano in
ciascun insieme di gruppi umani, conformemente al loro tipo di cultura.
A questo riguardo, in molte parti del mondo d'oggi bisogna tener conto di parecchi
elementi nuovi rispetto a tutti i secoli precedenti. La popolazione tende a concentrarsi nelle
citt; come assicurare contatti religiosi tra i singoli, in questa nostra vita di massa, in
questa nostra societ industriale? Contro la civilt tecnocratica, generatrice di immensi
risposta, degli esperimenti orientati utilmente allo scopo. Che cosa dicono' all'uomo d'oggi,
cio cosa significano' realmente per lui la Bibbia e i testi tradizionali nei quali si
espressa la fede cristiana? E pertanto quale uso se ne pu fare nel culto, che celebra i
misteri di cui parlano queste opere, in particolare in quest'epoca di ecumenismo, in cui
chiese diverse si sforzano di capirsi per trasmettere un medesimo messaggio?
La prima distinzione che bisogna fare in questo campo tra lingua' e linguaggio': lingua'
si riferisce all'impiego delle parole, linguaggio' ha un significato assai pi ampio,
comprendendo, oltre alla lingua parlata, il rituale, gli atti e i simboli che esprimono
l'esperienza umana nella sua globalit. L'analisi linguistica dell'una e dell'altra di queste
due realt mette in luce che sia la lingua che il linguaggio devono essere chiari e non
ambigui, e al tempo stesso devono ammettere una certa elasticit che permetta loro di
passare da una realt all'altra, o di tradurre diversi aspetti apparentemente contraddittori di
un medesimo dato complesso: cos Dio al tempo stesso trascendente e immanente,
impassibile e amoroso, ineffabile e purtuttavia oggetto della parola umana. Ora nella
liturgia, a prescindere dalla teologia o da altri settori dell'attivit religiosa, il linguaggio deve
essere concreto e non astratto, perch deve scaturire dall'esperienza vissuta dalle
comunit, rispondere alle esigenze e possibilit dell'esperienza stessa: deve tradurre
un'esperienza totale', non di individui ma di collettivit raccolte in assemblee di preghiera.
Inoltre, esso deve conservare integralmente la rivelazione trasmessa da Dio agli autori
antichi, e tuttavia in modo che sia compreso dagli uomini di oggi, che vivono in culture
diversificate, le quali hanno per in comune la caratteristica di essere assai lontane da
quelle di un tempo. In una stessa societ esso deve poter essere significante' sia per i
fedeli abituati alle nuove forme delle scienze, delle tecniche, dell'economia, della politica,
sia per i lavoratori dediti all'agricoltura o ad altre attivit, che vi sono meno preparati. Pur
essendo esatto, conforme ai dati della fede, il linguaggio liturgico deve evitare di essere
teorico o speculativo, come pu esserlo quello degli specialisti in teologia. Al fine di
esprimere la partecipazione di una comunit a un mistero, esso deve far ricorso non
soltanto a un vocabolario', ma anche a modi di espressione diversi dalle parole: a gesti, a
segni, a canti, a simboli di vario tipo. Deve scaturire da quel che oggi si chiama una
situazione di scambio' e offrire ad essa il suo contributo: ora questa situazione sempre
specifica, e circoscritta a un gruppo; ma nel culto cristiano questo gruppo partecipa a un
mistero universale, in intima e reale comunione con tutti coloro che egualmente vi
partecipano. Il linguaggio liturgico pu essere un misto di paradosso e di poesia
corrispondente alle diverse esigenze che deve conciliare. Ma non pu mai fare astrazione
dal discorso o dal dialogo che intercorre tra Dio e degli esseri umani e da quello che
intercorre tra questi ultimi. E poich ciascuno un essere di questo mondo', il suo modo
di parlare a Dio e di Dio deve al tempo stesso rapportarsi al suo essere unico, al mondo di
cui fa parte, e a Dio verso cui si impegna con tutto se stesso. I partecipanti non sono
spettatori, ma attori; bisogna che vi sia tra loro un'autentica comunicazione', il che
presuppone un condividere' la cui espressione sia accessibile a tutti coloro fra i quali esso
si instaura.
Bisogna che la partecipazione di tutti a una medesima esistenza totale' creata dallo
Spirito di Ges Cristo risorto traspaia dal loro discorso', e di conseguenza dal loro
linguaggio'. Bisogna che la Rivelazione abbia un significato per ogni comunit raccolta in
un dato luogo e in un dato tempo. Bisogna che ognuno sia certo di ascoltare la parola di
Dio, e non una parola umana, anche se espressa in versetti biblici, e che ogni fedele sia
certo di rivolgersi a Dio, non solo a se stesso o ad altri uomini. In questa conversazione tra
Dio e una comunit umana, il silenzio avr un ruolo insostituibile: sar il momento in cui
verr espresso l'inesprimibile, diventer una forma necessaria di lode in conformit alla
formula tradizionale: Tibi silentium laus. Non consister solo nell'astenersi dalla parola;
sar un atteggiamento totale di presenza al mistero e di rispetto per ci che, in esso,
trascende l'uomo. Quanto al linguaggio adottato, esso dovr essere al tempo stesso
quello della vita abituale e quello del culto: dovr dire' qualcosa nella vita quotidiana, dare
un significato all'esistenza secolare' di tutti i giorni, introdurvi una speranza. Dovr dunque
evitare ogni forma di esoterismo, e anche qualsiasi volgarit; dovr avere piuttosto le
caratteristiche della lingua parlata che quelle della letteratura, cio della lingua scritta.
Come si vede, la creazione di un linguaggio liturgico adatto al nostro tempo pone alla
linguistica problemi nuovi per questa scienza, essa stessa ancor giovane. E necessario un
periodo di ricerche, di discussioni, di sperimentazioni, dopo il quale si pu prevedere che il
culto sar dotato di mezzi di espressione meno legati a una cultura intellettualistica,
clericale, ereditata dal passato, e pi vicini a una cultura popolare adeguata a ciascun
paese, a ciascun complesso umano, nel mondo di oggi e di domani.
7. Liturgia e missionologia
Uno dei settori nei quali pi sensibile stata la trasformazione della liturgia cristiana a
partire dalla met del sec. XX stato quello dell'esercizio del culto nei paesi detti di
missione', cio nei luoghi in cui la fede stata introdotta, quando ancora non vi era
conosciuta, da missionari, inviati da Chiese gi esistenti in altre parti del mondo. Vi sono
state missioni di questo tipo tra i cattolici, gli ortodossi, gli anglicani, i riformati di diverse
denominazioni. Quasi ovunque furono semplicemente importate le forme che il culto aveva
assunto negli antichi paesi cristiani d'Europa e nelle loro propaggini occidentali, quali i
paesi del Nordamerica. Queste forme erano strettamente connesse alle culture del mondo
mediterraneo e delle regioni limitrofe. Come fare, ci si finalmente chiesti, per rendere
ovunque presenti il messaggio e il culto cristiani adattandoli alla particolare cultura di
ciascuna parte del mondo? Si delineato un processo evolutivo che comport due fasi,
entrambe necessarie. All'inizio si parl di adattamento' della liturgia alle diverse culture, e
tale processo assunse sia il nome generico di indigenizzazione' sia quelli pi specifici di
africanizzazione', malgascizzazione', induizzazione', ecc. Ma un simile procedimento
implicava la permanenza di forme cultuali che ci si contentava di adattare' alle nuove
situazioni. In un secondo tempo si giunti a pensare che si trattava piuttosto di creare
nuove forme cultuali muovendo da quelle gi esistenti in ciascun tipo di civilt, con il
partire, ad esempio, dalla natura specifica della cultura africana (africanit'), al fine di
innestarvi la celebrazione del mistero cristiano: questa realt di carattere universale
doveva assumere espressioni differenti nelle diverse culture. Tale sforzo inventivo, che
continua tuttora, ha gi dato dei risultati. Una data di estrema importanza, in questo
processo evolutivo, stata quella della Settimana internazionale di studi sulla liturgia e le
missioni, che si tenuta a Nimega nel 1959, e i cui atti sono stati pubblicati in un volume
che ebbe una profonda eco fra i missionologi e i liturgisti. Ventotto conferenzieri cattolici,
provenienti da ogni parte del mondo, affrontarono in quell'occasione tutti gli aspetti del
problema ora formulato. Le conclusioni cui pervennero e le proposte ivi presentate sono
state successivamente superate, specialmente per l'azione stimolante esercitata dal
Concilio Vaticano II. Comunque gli orientamenti che essi avevano formulato si rivelarono
determinanti. Non potendoli riportare tutti in questa sede sar sufficiente ricordare i
principali.
Taluni problemi sono di carattere generale e si pongono ovunque. Il primo consiste nel
restituire all'eucaristia il posto assolutamente centrale che le compete, mentre spesso e
stata attribuita a devozioni o a pratiche secondarie importanza maggiore di quanta ne
meritino. Si tratta di dare alle forme della celebrazione di questo mistero, come di tutti gli
atti del culto, delle radici che si accordino all'ambiente, alle tradizioni, alle consuetudini
della vita sociale e politica di ogni popolo. Almeno nella stessa misura che per le iniziative
di sviluppo' (le quali richiedono costruzioni, opere di assistenza e altre attivit umanitarie
8. Liturgia ed ecumenismo
Tutte le Chiese e comunit cristiane rendono un culto a Dio. Via via che esse si sforzano
di riavvicinarsi le une alle altre, di superare cos le divisioni di origine storica, che per lungo
tempo le hanno opposte le une alle altre, con la speranza di riunirsi forse un giorno in
qualche modo - ed questo lo scopo di ci che viene chiamato l'ecumenismo - esse sono
indotte a studiare ci che, nella liturgia propria di ciascuna, o pu divenire comune alla
liturgia di molte altre o anche di tutte. E si pu affermare che oggi, ovunque, o quasi, vi ,
in questa direzione, un fervore di ricerca che ha gi dato dei risultati. Inoltre, a seguito del
rinnovamento della liturgia, soprattutto nella Chiesa romana e dopo il Vaticano II, le
Chiese, a partire dalla met del sec. XX, hanno esercitato tra loro una reciproca azione di
stimolo, nel campo liturgico, sul piano degli studi scientifici e su quello delle applicazioni
pratiche e pastorali. Infine, e in modo ancor pi profondo, la ricerca teologica che ha per
oggetto la comunione', spesso indicata col termine greco , ha indotto a porre il
problema della possibilit di una partecipazione alle stesse realt, ai medesimi misteri,
nonostante tradizioni dottrinali e cultuali diverse.
Esistono due gruppi di problemi generali. Quelli del primo gruppo si riferiscono alla
reciproca accettazione dei sacramenti impartiti nelle diverse confessioni, in particolare del
battesimo e del matrimonio - con le relative conseguenze di carattere dottrinale, giuridico e
liturgico - e soprattutto dell'eucaristia: la questione sollevata su quest'ultimo punto
l'intercomunione. Vi si risponde sia praticandola, pi o meno legittimamente, sia cercando
di giungere a un accordo sui motivi che la giustificano, su quali condizioni ed entro quali
limiti essa sia valida. Su questo argomento, nei soli anni 1970-1972, sono state pubblicate
diverse dichiarazioni o rapporti, da parte della Commissione internazionale anglicanacattolica romana detta di Windsor', della Commissione di studi nominata dal Segretariato
romano per l'unit e della Federazione luterana mondiale, del gruppo ufficioso cattolico e
protestante francese detto Groupe des Dombes', e da parte di teologi di diverse
confessioni e cattolici romani degli Stati Uniti. Le loro conclusioni, sempre pi concordi,
vertono su tre punti principali: l'eucaristia come commemorazione sacrificale', la presenza
sacramentale', chi il ministro e chi presiede l'eucaristia.
Un secondo gruppo di problemi generali riguarda i testi da adottare nelle celebrazioni
attuate nelle diverse confessioni: nell'opera dal titolo Eucharisties d'Orient et
d'Occident, teologi cattolici, protestanti, ortodossi presentano un dossier che consente loro
in un ufficio liturgico era stata inclusa una lettura tratta dal Bhagavadgt; da parte di
fedeli ortodossi si levarono voci di protesta contro questa introduzione nella preghiera
cristiana di testi che non esprimono la parola di Dio cos come contenuta nella Bibbia. E
quando furono pubblicati gli atti del Congresso di Bangkok, la rivista ortodossa Orthodox
observer" (1971, IL, p. 83) mise in guardia dal pericolo insito nel far perdere al messaggio
cristiano la sua specificit, il suo carattere unico. Bisogna esser grati a questi orientali per
tale avvertimento; e tuttavia sembra che la ricerca dei cattolici esprima un movimento
irreversibile; esso avr i suoi rischi, ma condurr certamente a un progresso, a un
arricchimento della liturgia tradizionale.
10. Liturgia e politica
Il problema delle relazioni esistenti fra queste due realt non riguarda solo i rapporti tra
politica & preghiera, poich quest'ultima pu essere di carattere privato. A priori si pu
pensare che il culto e la politica, concernendo l'uno e l'altra attivit della vita pubblica, si
influenzeranno reciprocamente, anche e soprattutto se si tratta non della politica di
partito', ma della politica in una accezione pi ampia, pi aderente al suo contenuto
semantico, cio dello sforzo degli uomini al fine di rendere pi umana la societ, della lotta
per una maggiore giustizia nel mondo, in breve del bene comune dell'intera famiglia
umana. E un fatto che nella storia il comportamento politico dei cristiani ha spesso
caratterizzato con la sua impronta l'ispirazione e l'espressione della loro azione liturgica:
sar sufficiente ricordare, per fare qualche esempio, che taluni elementi del cerimoniale
della corte imperiale di Bisanzio furono inseriti nella liturgia orientale; che, nel Medioevo, in
Occidente, l'unione tra l'Impero' e la cristianit' ha talvolta ispirato testi e riti della liturgia
romana; che quei pellegrinaggi di guerrieri che furono le crociate comportavano degli atti
di culto, e cos via. In quasi tutte le epoche vi sono stati sermoni per i periodi di guerra,
funzioni liturgiche per celebrare vittorie militari e politiche, ecc. Tutto ci era collegato a un
contesto storico in cui il sacro e il profano si trovavano strettamente uniti, e talvolta
confusi. Nella seconda met del sec. XX un nuovo contesto socio-culturale determina una
nuova situazione, solleva problemi e comporta esigenze altrettanto nuove: un numero
sempre maggiore di uomini sente la responsabilit di promuovere la pace, la giustizia e la
libert in luogo della guerra, dello sfruttamento dei deboli da parte dei potenti,
dell'oppressione, quali che siano le forme economiche, psicologiche e di altro tipo che
assumono tutte queste manifestazioni di sottosviluppo: lo sviluppo si configura sempre pi
come una liberazione'. Al tempo stesso si affacciano due tendenze complementari: l'una
attribuisce un ruolo pi importante ai gruppi', anche ai piccoli gruppi' all'interno di uno
stesso paese o di un medesimo tipo di societ; l'altra tende a intensificare i rapporti
sovranazionali. Nelle Chiese si manifesta una crescente indipendenza nei confronti degli
Stati e, di conseguenza, una maggiore libert, una pi vasta esigenza di impegno politico
a servizio della giustizia e della pace, in armonia con la fede e il comportamento cristiani, e
quindi con il culto. La lettera Octogesima di Paolo VI sulla giustizia e sulla pace
costituisce, nella Chiesa cattolica, un esempio di questa tendenza. E in linea con tale
orientamento l'elaborazione di una teologia politica'.
Assistiamo, cos, alla comparsa di nuove manifestazioni liturgiche: messe di protesta',
sermoni destinati a rendere coscienti i cristiani, cio a educarli al senso del loro dovere
politico, ufficiature e funzioni per la pace, rifiuto all'ingresso di militari armati e inquadrati
nei luoghi di culto per partecipare a cerimonie, anche se di carattere ufficiale oppure
patriottico, partigiani' e contestatori che si rifugiano nelle chiese per pregarvi o per
digiunarvi, riunioni di preghiera politica', e pubblicazione di testi che possono essere
utilizzati a tale scopo. Contribuisce a rendere pi acuto il problema l'insoddisfazione
suscitata in taluni dalla riforma scaturita dal Concilio Vaticano II, ritenuta troppo formale,
troppo impersonale, troppo uniforme, non adatta a favorire sufficientemente l'inserimento
nel culto delle preoccupazioni reali e quotidiane dell'umanit, e di ciascuno dei suoi
membri: si vuole poter parlare a Dio, nel linguaggio di oggi, degli avvenimenti attuali, delle
sofferenze e delle aspirazioni del tempo e dell'ambiente cui si appartiene, si vuole trovare
nella preghiera uno stimolo per un giusto comportamento cristiano, cio per la cosiddetta
ortoprassia' religiosa. Ora in tutto ci vi indubbiamente un pericolo: si rischia di ridurre
l'analisi cristiana delle situazioni politiche a una analisi nella quale non vi spazio per la
componente religiosa, e che sar, per esempio, di tipo marxista; ci si espone ad attribuire
a un'opzione politica legittima, ma relativa, un valore assoluto, a fondarla su
un'informazione insufficiente, data l'infinita complessit degli attuali problemi mondiali, a
trasporre ingenuamente nel mondo contemporaneo testi della Bibbia o della tradizione che
furono scritti in civilt estremamente diverse dalla nostra, a mondanizzare', a
secolarizzare', per cos dire, la Chiesa, confondendo il profano con il religioso. Nei gruppi
di preghiera il partecipante sar portato a ricercare una compensazione affettiva o una
liberazione psichica invece di una presenza a Dio e agli uomini nella fede, ad
abbandonarsi a celebrazioni festose, forse anche entusiastiche, ma che non avranno
alcuna conseguenza pratica, oppure ad attribuire un'importanza eccessiva a colui che
relazione alla vita e alla cultura contemporanee, tenendo conto, in particolare, dei dati
forniti dalla sociologia e dalla psicologia. La soluzione dipende a un tempo dall'evoluzione
della Chiesa e da quella della societ.
Per quel che concerne la Chiesa, essa indubbiamente sulla via del rinnovamento.
Sempre pi si insiste sul fatto che ovunque essa esiste, la Chiesa una comunit, e non
una somma di individui che ricercano Dio indipendentemente gli uni dagli altri: ora questa
comunit, generatrice di unione fra i cristiani, assume un nuovo orientamento missionario,
animata da un'ansia di universalit e di ecumenismo. La Chiesa cattolica acquisisce, per
cosi dire, nuove frontiere o, pi esattamente, non ha pi frontiere. Rifiuta ormai di
presentarsi, ovunque e in tutti i settori, nella forma della cristianit latina occidentale: la
scomparsa del latino come lingua liturgica imposta ovunque il simbolo della
disoccidentalizzazione della Chiesa. Ne consegue che le forme artistiche del culto sono
sempre pi differenziate, senza alcun pregiudizio per l'unit di fede e di sacramenti che
esiste fra tutti i cattolici e che si auspica possa instaurarsi fra tutti i cristiani. Di fatto la
cristianizzazione delle zone non occidentali del mondo ha coinciso con la loro
colonizzazione: bisogna quindi procedere ora a una decolonizzazione della liturgia e delle
arti dalle quali essa attinge le proprie forme di espressione. Primo presupposto di questa
impresa la libert, di cui il cardinale Montini, prima di diventare papa Paolo VI, parlava in
questi termini ad alcuni artisti milanesi: Noi non pretendiamo da voi una determinata
tradizione, n uno stile piuttosto che un altro: non siete tenuti a osservare proporzioni
definite o talune forme convenzionali. [...] Ispiratevi a una cultura e a una spiritualit
autenticamente cristiane, e poi fate quel che volete".
Come conseguenza delle nuove frontiere' che si sostituiscono alle antiche dentro e fuori
del cristianesimo, vi sono ora, pi che nel passato, luoghi di culto utilizzati da chiese e
confessioni cristiane diverse; il libro delle ore liturgiche' della comunit protestante di
Taiz, che comprende elementi attinti da tradizioni diverse, in uso presso tutte le
confessioni. In Estremo Oriente si proposta la creazione, accanto alle chiese
parrocchiali, di luoghi in cui tutti i credenti possano incontrarsi, praticare la loro religione,
assistere insieme a cerimonie paraliturgiche; la tendenza di assimilare non solo elementi
tratti da religioni non cristiane, ma anche taluni elementi suggeriti dalle culture popolari, al
fine di rivitalizzare, grazie al vigore e alla spontaneit propri dei popoli giovani, i riti
cristallizzati dell'Occidente.
In conseguenza dell'evoluzione della cultura, si cerca di vivere, di pregare, di celebrare
Dio in armonia col tempo in cui si vive: se ne accettano l'evoluzione, i mutamenti. A un
Tutti questi presupposti non vietano l'esistenza di un'arte sacra e di un'architettura sacra:
pensare di costruire edifici solo utilitari non sarebbe certo una soluzione migliore di quella
di un ritorno alla sacralit antica. Il problema di inventare degli edifici che favoriscano
architettonicamente la vita delle comunit e la partecipazione all'eucaristia nella semplicit
e nella gioia. La celebrazione dell'eucaristia diventa meno cerimoniale'. Si tende verso
una maggiore semplicit. Quella forma di povert che consiste nell' economia dei mezzi
impiegati diviene un dovere morale. Non si cerca pi di imporsi, ma solo di invitare.
L'esigenza di verit consiste nel rendere manifesta la vera situazione della Chiesa fra gli
uomini: non si deve mentire con un apparente trionfalismo.
Per meglio servire si costruiscono chiese che possano assolvere pi compiti: culto,
insegnamento religioso, incontri, servizi sociali e d'altro genere; a queste diverse finalit
un congruo numero di locali di limitate proporzioni risponde meglio di una vasta sala. E tali
locali devono potersi adattare a diversi tipi di celebrazione che comportano tutti una
partecipazione attiva: messe di gruppo, di giovani, riunioni di culto ecumenico, talora con
meditazione in occasione della proiezione di film o di diapositive, con accompagnamento
di organo o di altri strumenti, con predicazione o omelia dialogata'. Queste chiese, il cui
scopo non pi la liturgia ma la vita della comunit nella sua poliedricit e con tutta la
disponibilit che essa esige, sono talvolta chiese variabili', multiple', smontabili'. L'attuale
cos viva presa di coscienza di tutte queste esigenze incide sulla pianificazione, sulla
concezione e sulla costruzione delle nuove chiese, sulla scelta del materiale da utilizzare,
sulla eliminazione degli edifici inutili, sull'eventuale loro sostituzione. Si cerca di non partire
da una immagine' preesistente o da uno schema prestabilito di ci che deve essere la
Chiesa, poich possono essere di ostacolo alla funzione che la Chiesa deve assolvere
oggi. Non si devono fare chiese moderne' che siano nuove manifestazioni di una pratica e
di un pensiero autoritari, che facciano pensare al potere, alla corte, alla solennit, alla
grandezza. Si tenta di rispondere ai veri bisogni di una Chiesa umile e capace di servire il
mondo, utilizzando le tecniche moderne - ivi inclusi i mezzi audiovisivi -, che faccia uso di
risorse economiche limitate e razionalmente impiegate, grazie alle quali, in particolare, il
personale ecclesiastico venga equamente retribuito. Cos l'architettura e le altre arti
liturgiche esprimono una visione del mondo e sono poste al servizio della Chiesa e della
liturgia in via di rinnovamento, della comunit divenuta pi viva.
I presupposti e le aspirazioni di carattere generale che sono stati delineati implicano
conseguenze pratiche in tutti i settori dell'arte liturgica. In architettura si insiste sempre pi
su una certa qualit' dello spazio: viene posta molta cura nel determinare quali saranno gli
spazi preparatori, come sagrato e atri, che separano il luogo sacro dall'ambiente profano
della strada; in quali posti dell'area centrale riservata alla comunit si collocheranno il
pulpito, la croce, il seggio del celebrante, le sedie per le persone anziane, l'altare e la zona
che lo circonda, con la parte riservata ai musicisti e ai loro strumenti, e, eventualmente,
uno spazio per la danza. Devono essere previsti altri posti per il colloquio intimo con Dio:
meditazione, adorazione, confessione, devozioni, via crucis; e altri ancora per i sacramenti
e i riti: battistero e cappella funeraria. Bisogna che la luce e le ombre, i colori, la
decorazione delle pareti, l'illuminazione, tutto contribuisca affinch il luogo di culto sia al
tempo stesso funzionale, adatto al clima, e simbolico in misura tale che i fedeli possano
comprenderne il significato. I simboli devono essere tratti sia dalla tradizione, sia dalle
scienze che attualmente studiano gli archetipi validi per gli uomini di tutti i tempi e per gli
uomini di oggi. Certi oggetti o segni hanno un valore simbolico particolare: strumenti di
lavoro nelle zone industriali, tamburo del re o del capo in alcune trib dell'Africa, porta e
portale, ragno o serpente in altre. Tutto questo varia secondo le civilt. Un vescovo d'Asia
auspica che nelle chiese cristiane, come nelle pagode buddhiste, vi siano iscrizioni in
grossi caratteri cinesi, lanterne e tappeti multicolori, petardi scoppiettanti nei momenti pi
solenni, melodie ispirate alle forme musicali dei monasteri buddhisti, orchestre cinesi.
Ci si rivolge alla pittura non per copiare la natura ma per evocare ci che misterioso: le
arti cosiddette primitive' hanno gi arricchito l'opera di pittori profani come Gauguin,
Czanne, Picasso e altri; esse possono dare qualcosa anche all'arte sacra. La scultura
viene utilizzata per la croce, la statuaria e gli arredi; presso molte popolazioni dell'Africa e
dell'Oceania, il motivo d'ispirazione per le statue pu derivare da rappresentazioni di
feticci, di totem, di simboli della vita e della fecondit. Tessuti locali vengono impiegati
come elementi decorativi e come ornamenti. La veste liturgica viene armonizzata con lo
spazio del santuario per quanto attiene alla scelta della forma e del colore, con la
tradizione e la cultura di ogni paese, con il clima, con il simbolismo esistente in ogni tipo di
civilt quale mezzo per evocare il sacro o per contraddistinguere una funzione. I colori
sono quelli ai quali ciascun popolo conferisce un proprio valore: il colore del lutto, per
esempio, per taluni il bianco, per altri il nero.
Lo stesso vale per il cerimoniale, per il modo di giungere le mani in certi momenti, di
aprirle o di levarle in alto, di incrociarle sul petto, di augurare la pace con un bacio o in
altra maniera, di stare eretti o seduti in diverse posizioni, o in ginocchio, di scegliere i doni
offerti per il culto, di porgerli, di rappresentare simbolicamente il sacrificio ricordando lo
scambio del sangue', come presso i Malgasci, o altre usanze proprie di altre tradizioni, di
1963 sul rinnovamento della liturgia; e continuano a servire da guida per l'applicazione
pratica.
Il Concilio ha introdotto un criterio che rivoluzionario se lo si raffronta al recente passato:
san Pio X, il primo papa che abbia fatto figurare nella legislazione ecclesiastica
l'espressione musica sacra', nel Motu proprio del 1903 la caratterizz come il tipo di
musica che pi si avvicinava alla melodia gregoriana'. Il Vaticano II si espresso ben
diversamente: La musica sacra sar tanto pi santa quanto pi sar collegata
strettamente con l'azione liturgica". Sicch si parla ora anche della funzione ministeriale'
della musica destinata a conferire efficacia ai testi, a suscitare la partecipazione dei fedeli,
a dar corpo ed espressione alla comunit spirituale che essi costituiscono. da questo
punto di vista che bisogna considerare tutti gli altri problemi teorici e pratici, di cui
possibile indicare qui solo i principali: rapporto tra stile liturgico e stile profano; equilibrio
tra il ruolo del coro, quello dei musicisti e quello dell'assemblea dei fedeli; tra ci che si
conserva del passato - canto gregoriano, polifonia classica e neoclassica - e il nuovo
repertorio che bisogna creare in lingua viva; alternanza dei diversi tipi di ascolto musicale,
di suoni (articolati o meno), di parole e di silenzi; adattamento dei diversi tipi di audizione
alle differenti situazioni rituali; nuovi mezzi creativi, che si avvalgono non solo della chitarra
e di altri strumenti che fanno perdere all'organo il monopolio quasi assoluto, d'altronde
piuttosto recente, di cui sembrava godere, ma anche di mezzi elettro-acustici da cui
derivano le musiche elettronica', sperimentale', concreta'; ritmi nuovi - come quelli del
jazz, delle musiche chiamate pop, beat, rock - che rispondono al bisogno di molti giovani
di comunicare in un linguaggio che loro congeniale e che l'espressione di una nuova
cultura musicale, popolare ed erudita al tempo stesso, che ha formato in loro un certo
gusto, una mentalit, un bisogno di ascoltare, di cantare, persino di gridare tutti insieme: vi
qui un fenomeno sociologico. Il transistor e i mass media hanno avuto in questa
trasformazione un ruolo di cui bisogna tener conto.
questo un campo di ricerche e di sperimentazioni assai vasto, che deriva dall'indagine
psicosociologica delle comunicazioni, ed ove tendenza generale annettere maggiore
importanza alla spontaneit che alla ritualizzazione. In questa direzione continuano a
lavorare sia le chiese scaturite dalla Riforma che il cattolicesimo romano. Anche i
monasteri, che erano rimasti ancorati alle forme avute in retaggio dal passato, a poco a
poco accettano di partecipare al rinnovamento. In un nuovo equilibrio tra rumore e
interiorit, la parola, il canto, il silenzio, diversificati anch'essi, devono contribuire a
simbolizzare la reciproca presenza dell'uomo e di Dio, l'impegno personale che questo
incontro esige, la comunione che ne risulta tra tutti coloro che partecipano all'atto liturgico.
13. Secolarizzazione e celebrazione
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II due tendenze si sono nettamente imposte pi
di quanto avessero mai fatto in passato, e continuano a contraddistinguere l'evoluzione dei
problemi liturgici durante il decennio che ha avuto inizio nel 1970. Sono tendenze
connesse, anche se in apparenza contraddittorie. Ma la prima, quella che insiste sulla
necessit di secolarizzare le forme della preghiera, ha provocato un rinnovamento della
seconda, che invece tende verso un ritorno alla celebrazione festiva.
Uno dei compiti del processo attualmente in corso, che va sotto il nome di
secolarizzazione, consiste nel discernere, nel culto ereditato dal passato, da un lato ci
che costituisce il suo contenuto essenziale - il mistero che vi si compie - e dall'altro lato le
forme che tale realt ha assunto nel corso di epoche successive della storia: alcune di tali
forme erano espressione di culture di altri tempi e in parte di ci che in esse vi era di
profano, quindi, in tal senso, di secolare; in seguito tali forme erano state sacralizzate.
Cos quel che oggi viene chiamato desacralizzazione' equivale, in diversi casi, a qualcosa
che si potrebbe definire desecolarizzazione'. anche una deritualizzazione' nella misura
in cui si era giunti ad attribuire maggiore importanza ai riti - fossero anche quelli dei
sacramenti - che non all'autenticit della vita che essi erano destinati a comunicare: da
questo punto di vista l'odierna evoluzione della liturgia fa parte della ricerca, attualmente in
corso, di un nuovo equilibrio fra sacramentalizzazione ed evangelizzazione: donde lo
sforzo di semplificazione, diretta a una maggiore autenticit, che ha avuto gi luogo.
Tuttavia l'eliminazione di elementi artificiosi ha determinato la necessit di rivitalizzare il
culto, restaurando in particolare il senso della celebrazione e della festa, ma in un modo
che sia in armonia con la psicologia e con la cultura odierne. Il credente vuol pregare, non
solo con lo sguardo rivolto al passato, ma anche aperto sul presente e proteso verso
l'avvenire: questo implica un duplice sforzo di riflessione e di innovazione. La cosiddetta
teologia della morte di Dio' ha provocato una crisi della preghiera, che si sta superando
cercando di comprendere meglio perch e come pregano gli uomini del nostro tempo, e
questo partendo non da una teoria ma da un'analisi teologica dei dati di fatto. Inoltre le
nuove correnti di pensiero cristiano, che dalla morte di Dio' sono passate alla speranza'
attraverso la rivoluzione' e la violenza', come avvenuto anche per taluni eccessi della
semplificazione e della deritualizzazione, hanno indotto a comprendere meglio che coloro
che hanno una ragione e un mezzo per superare l'angoscia, l'assurdit apparente della
condizione umana e la desolazione, potevano e dovevano esprimerlo dedicandosi ad
attivit disinteressate, di tipo ludico. Si sono avute manifestazioni di questo tipo - a volte
connesse con il movimento hippy - nella societ occidentale e, in particolare, nelle chiese
cristiane.
In questo settore vi un libro simbolico, la cui pubblicazione ha fatto epoca: The feast of
fools. Quest'opera di H. Cox, pubblicata negli Stati Uniti nel 1969, stata subito tradotta in
diverse lingue. L'autore vi studia le componenti della festa' e della fantasia, le loro
connessioni da un lato con la morte di Dio', dall'altro con la religione: il mito, il rito, la
teologia, la mistica; termina con un capitolo sul Cristo considerato come clown o
arlecchino'. I temi che l'autore sviluppa non sono affatto nuovi, ma rispondono a un
bisogno rivelato da una recente produzione letteraria sui medesimi argomenti, in
particolare sulla necessit che venga riservato un certo spazio all'improvvisazione creativa
nella celebrazione anche attraverso un ritorno alla danza liturgica; anche quest'ultima
oggetto di pubblicazioni di carattere dottrinale e pratico, e ha gi ritrovato nel culto un ruolo
che aveva perduto. Ma al di l di queste forme esteriori, un comportamento spirituale
che viene ricollocato nella sua giusta luce, quella festa interiore che costituisce l'essenza
della celebrazione, che anima tutto l'ambiente che la circonda, anch'esso determinato
dalla festa, che compenetra interamente l'ambito spazio-temporale, che unifica tutti i gesti
del culto, e che si esprime serenamente nella ufficiatura di ogni giorno: giacch se
l'esaltazione non pu essere continua, pu esserlo l'esultanza nello Spirito Santo.
In conclusione, in virt di un ritorno spontaneo a quanto di meglio vi era nella tradizione, ci
si sta avviando verso un culto totale', che impegna tutta la personalit dell'uomo in una
risposta gioiosa in seno a comunit istituite, nella Chiesa, attraverso lo Spirito Santo, alla
rivelazione e alla comunicazione che Dio ha fatto di s in Ges Cristo.
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